84
da Storia sociale dell’arte di Arnold Hauser Storia dell’arte Einaudi 1

Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

da Storia socialedell’arte

di Arnold Hauser

Storia dell’arte Einaudi 1

Page 2: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Edizione di riferimento:Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte. Volume pri-mo. Preistoria. Antichità. Medioevo, trad. it. di AnnaBovero, Einaudi, Torino 1955, 1956 e 1987Titolo originale:Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, C. H. Beck,München

Storia dell’arte Einaudi 2

Page 3: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Indice

Storia dell’arte Einaudi 3

il medioevo

I. Lo spiritualismo dell’arte paleocristiana 4

II. L'arte del cesaropapismo bizantino 13

III. Cause e conseguenze dell’iconoclastia 21

IV. Dalle invasioni barbariche al Rinascimento carolingio 27

V. Poeti e pubblico dell’epica 42

VI. L’organizzazione del lavoro nei conventi 54

VII. Feudalesimo e arte romanica 62

Page 4: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Capitolo primo

Lo spiritualismo dell’arte paleocristiana

Fittizia è l’unità dello sviluppo storico del Medioevo;di fatto, esso si scinde in tre epoche culturali ben distin-te: il feudalesimo terriero dell’alto Medioevo, la caval-leria cortese e la borghesia cittadina del tardo Medioe-vo. Le cesure tra queste fasi sono in ogni caso piúprofonde di quelle che si possono osservare al principioe alla fine di tutta l’epoca. Feudalesimo, cavalleria, bor-ghesia non solo sono divisi fra loro piú nettamente chenon Antichità e Medioevo, o Medioevo e Rinascimen-to, ma le trasformazioni che le separano – la nascita delvassallaggio cavalleresco e la trasformazione dell’econo-mia curtense nell’economia monetaria delle città, ilrisveglio della sensibilità lirica e lo sviluppo del natura-lismo gotico, l’emancipazione della borghesia e gli inizidel nuovo capitalismo – sono, per la genesi del sensomoderno della vita, anche piú importanti delle conqui-ste intellettuali della Rinascita.

La maggior parte degli elementi che si consideranocaratteristici dell’arte medievale, e soprattutto la ten-denza a semplificare e stilizzare, la rinuncia alla profon-dità e alla prospettiva, l’arbitrio nelle proporzioni e neigesti, sono indicativi solo per l’alto Medioevo e perdo-no il loro valore all’inizio dell’età comunale. L’unicotratto fondamentale che conserva valore per l’arte e perla cultura anche dopo quella svolta, è la visione metafi-sica del mondo. Nel passaggio dall’alto al pieno Medioe-

Storia dell’arte Einaudi 4

Page 5: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

vo, l’arte perde la sua rigidezza e il suo impaccio, maconserva il suo carattere profondamente religioso e spi-ritualizzato, e resta anche in seguito l’espressione diuna società tutta pervasa dal cristianesimo e organizza-ta ieraticamente. La sua continuità è garantita dall’ege-monia spirituale del clero, assoluta nonostante tutte leeresie e le sette, e dal credito inconcusso della Chiesadispensatrice di salvezza.

Ma la visione trascendente propria del Medioevo nonè data già a priori col cristianesimo; l’arte paleocristia-na non ha ancora nulla della trasparenza metafisicaessenziale allo stile romanico e gotico. La spiritualità diquell’arte, in cui già si volle riconoscere la sostanza dellaconcezione medievale1 in realtà è ancora quel generale,vago spiritualismo che impregnava già l’estremo paga-nesimo. Essa non contiene ancora alcun sistema sopran-naturale in sé conchiuso e in grado di sostituire l’ordi-ne naturale delle cose; al massimo vi si esprime un accre-sciuto interesse e una piú fine sensibilità per i moti del-l’anima umana. Le forme della tarda antichità e dell’ar-te paleocristiana sono significative solo in senso psico-logico, non metafisico; sono espressionistiche, non divi-natorie. I grandi occhi sbarrati dei tardi ritratti romaniesprimono una vita psichica intensa, intellettuale e affet-tiva; ma questa vita psichica è senza sfondo metafisicoe in sé non ha nulla a che fare col cristianesimo. Essadipende da condizioni che non è stato il cristianesimo acreare. La tensione che trova nel messaggio cristiano lasua soluzione, si annunzia già con l’ellenismo; la rispo-sta del cristianesimo alle domande che si poneva queltempo inquieto fu pronta, ma per una formulazione arti-stica di essa dovettero lavorar molte generazioni: non fucosa trovata a un tratto, insieme con la dottrina.

L’arte cristiana dei primi secoli non è che una deri-vazione, se non proprio una degenerazione, della tardaromanità. L’affinità fra le due correnti è cosí grande, che

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 5

Page 6: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

il vero mutamento di stile dev’essere avvenuto nel pas-saggio dall’età classica a quella post-classica, non dalpaganesimo al cristianesimo. Le opere del basso Impe-ro, specie quelle del tempo di Costantino, anticipano giàessenzialmente l’arte paleocristiana: lo stesso impulso aspiritualizzare e ad astrarre; la stessa predilezione per laforma piatta, incorporea come un’ombra; la stessa ten-denza alla frontalità, alla solennità e alla gerarchia; lastessa indifferenza alla vita organica e vegetativa; lastessa insensibilità per tutto ciò che è soltanto caratte-ristico, singolare e pittoresco; in breve, la stessa volontàartistica diretta all’ideale anziché al sensibile, che tro-viamo negli affreschi delle catacombe, nei mosaici dellechiese romane, nei codici miniati paleocristiani. Il pro-cesso che, dalla rappresentazione minuta e circostanzia-ta dell’epoca alessandrina conduce alla concisione espo-sitiva della decadenza e allo schematismo dei simbolipaleocristiani, s’inizia con l’Impero. Di qui si può vede-re, quasi passo per passo, come l’elemento ideale pre-valga sempre piú su quello formale, e come, a poco apoco, le forme si mutino in una sorta di ideogrammi. Lavia che allontana l’arte cristiana dall’oggettività e dalrealismo classico si biforca. Da un lato si sviluppa unsimbolismo che non mira tanto a rappresentare, quantoa evocare e manifestare la presenza dell’Essere Santo, etrasforma ogni particolare in simbolo soteriologico. Soloil valore ideale, che da tale simbolismo deriva agli ele-menti dell’opera, spiega la maggior parte delle caratte-ristiche, di per sé incomprensibili, dell’arte paleocri-stiana; anzitutto l’alterazione delle proporzioni natura-li, che si adeguano all’importanza spirituale degli ogget-ti rappresentati; la cosiddetta «prospettiva invertita»2,per cui la figura principale, piú lontana dallo spettato-re, appare piú grande delle figure secondarie disposte inprimo piano; la veduta frontale a scopo di ostensionesolenne; il trattamento sommario degli accessori inani-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 6

Page 7: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

mati; e cosí via. L’altra corrente porta a uno stile epico-illustrativo che vuole rappresentare al vivo scene, fatti,avvenimenti aneddotici. I bassorilievi, gli affreschi, imosaici paleocristiani, quando non sono immagini didevozione, vogliono essere racconti: Bibbia scolpita eagiografia dipinta. Quel che importa all’artista è l’espo-sizione precisa, la chiarezza dei riferimenti. Nell’evan-geliario di Rossano una miniatura mostra Giuda cherestituisce i denari; il Gran Sacerdote, sotto il baldac-chino, copre parzialmente una delle colonne anteriori,benché lo si debba immaginare seduto dietro di essa.L’evidenza del gesto di ripulsa importava al pittore piúdi cose senza alcun rapporto col fatto3.

È un’arte semplice e popolare, almeno ai suoi inizi,che per molti aspetti ci rammenta le note scene dellaColonna traiana. A questo stile si adattarono gradual-mente anche i circoli ufficiali, cosí che infine l’artepaleocristiana, che rispondeva in primo luogo al gustodegli umili, si distinse da quella dell’élite non tanto perle sue tendenze, quanto per la qualità. Poiché probabil-mente le pitture delle catacombe sono, per la maggiorparte, opera di semplici artigiani, dilettanti e scombic-cheratori, chiamati a quel compito piú dai loro principîche dal loro talento. Ma la degenerazione del gusto edella tecnica si manifestò anche negli ambienti d’anticacultura. Siamo di fronte a una frattura simile a quellache noi stessi avvertimmo nel trapasso dall’impressioni-smo all’espressionismo. L’arte costantiniana, accanto aquella del secolo i, ci sembra rozza come, per esempio,un quadro di Rouault accanto a un’opera di Manet. Neidue casi il mutamento stilistico fu la conseguenza delmutamento nell’animus di una società iperurbanizzata,cosmopolita, dilacerata dalle contraddizioni economi-che, tormentata da presagi di rovina e disposta a spera-re solo in un aiuto ultraterreno; di una società che, nelsuo pessimismo catastrofico, annetteva molta piú impor-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 7

Page 8: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

tanza al nuovo contenuto spirituale che alle antiche raf-finatezze formali. Negli ultimi tempi di Roma questostato d’animo si rispecchia ugualmente nitido nell’artepagana e in quella cristiana, con la sola differenza chele opere destinate ai Romani illustri e facoltosi si dove-vano ad artisti veri, probabilmente non inclini a lavorareper la povera comunità dei cristiani. E ciò neppure quan-do erano personalmente vicini alle idee cristiane e sisarebbero adattati a un piccolo compenso, o magariavrebbero lavorato gratis; perché i cristiani avrebberovoluto ch’essi smettessero di fare idoli pagani; conces-sione tanto piú difficile per un artista, quanto piú eraeccellente e apprezzato.

Quegli studiosi, che già nell’arte paleocristiana voglio-no riconoscere l’immagine metafisica del mondo propriadel Medioevo, interpretano generalmente tutto ciò che inessa appare deficiente, nei confronti dell’arte classica,come una rinunzia cosciente e volontaria e muovonodalla teoria dell’«intento artistico» per considerare ogniinsufficienza di mezzi mimetici ed espressivi come unaconquista spirituale e un guadagno. Ogni volta che unostile non sembra in grado di assolvere un determinatocompito, essi cominciano col domandarsi se quello stiletendeva proprio ad assolvere quel compito; e senza dub-bio è questo uno degli spunti piú fecondi nella teoria del-l’intento artistico; ma vale solo come ipotesi di lavoro enon va spinta oltre i propri limiti. In ogni caso è erratointerpretare la teoria in modo tale da eliminare senz’al-tro ogni tensione fra volere e potere4. E proprio nell’ar-te paleocristiana la presenza di quella tensione è indiscu-tibile. Poiché spesso non è che insufficienza e povertà,rinunzia involontaria alla forma corretta e primitivo erro-re del disegno, ciò che in essa viene apprezzato come sem-plificazione voluta e sintesi sovrana, esaltazione consciadei propri fini e sublimazione ideale della realtà.

L’arte paleocristiana supera l’incertezza formale e

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 8

Page 9: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

l’impaccio solo dopo l’editto di Milano, quando diven-ta l’arte ufficiale dello stato e della corte, degli ambien-ti aristocratici e colti. Ora, in opere come il mosaicoabsidale di Santa Pudenziana, essa riacquista perfinoqualcosa di quella kalokagathía di cui ancora poco primanon voleva sentir parlare, ostile com’era al sensualismoclassico. L’idea che soltanto l’anima è bella, e il corpo,come ogni cosa materiale, è brutto e abominevole, vienerespinta nello sfondo, almeno per un certo tempo, dopoil riconoscimento del cristianesimo. La Chiesa, ormaipotente e ricca, fa rappresentare Cristo e i discepoli inaspetto solenne e dignitoso, quasi patrizi romani, digni-tari imperiali o senatori influenti. Rispetto all’arte anti-ca, questa è ancor meno originale dell’arte cristiana pri-mitiva. Si può definire piuttosto come il primo di queiRinascimenti che nel Medioevo si susseguono quasi inin-terrotti e da allora divengono un tema ricorrente nellastoria dell’arte.

Durante i primi secoli dell’era cristiana la vita, nel-l’Impero, rimase press’a poco immutata; si svolgeva nellestesse forme economiche e sociali, secondo le stesse tra-dizioni e istituzioni. I modi della proprietà e l’organiz-zazione del lavoro, le fonti della cultura e i metodi d’in-segnamento non sono sostanzialmente mutati: sarebbestrano un improvviso mutare dell’arte. Tutt’al piú, leforme della civiltà antica, in seguito al nuovo orienta-mento cristiano, hanno perduto la coerenza originaria,pur restando il solo linguaggio che si possa usare per farsiintendere. Neppure l’arte cristiana disponeva di altreforme; e le utilizzò come si utilizza il vocabolario di unalingua: non perché le volesse conservare, ma semplice-mente perché «c’erano»5. Il vecchio linguaggio, comeavviene di solito delle forme e delle istituzioni consoli-date, si mantenne intatto piú a lungo dello spirito dondeera sorto. Lo spirito già da gran tempo era cristiano, maci si esprimeva pur sempre secondo le antiche forme

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 9

Page 10: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

della filosofia, dell’arte e della poesia. Ne derivò fin dalprincipio, per la civiltà cristiana, un dissidio ignoto almondo orientale e classico. Le forme e i contenuti eranonati e s’erano sviluppati insieme; la visione cristiana,invece, si componeva di una nuova impostazione spiri-tuale ancora indifferenziata e di forme di pensiero e disensibilità proprie di una civiltà raffinata, giunta all’e-strema maturità intellettuale ed estetica.

Dapprima l’ideale cristiano non muta l’aspetto este-riore, ma la funzione sociale dell’arte. Per l’antichitàclassica, l’opera d’arte aveva un valore prevalentemen-te estetico; per il cristianesimo, essa ha un significatoaffatto diverso. Fra gli elementi dell’eredità classica, ilprimo a perdersi fu l’autonomia della forma. Per ilMedioevo, di fronte alla religione, come non c’è unascienza, cosí non c’è un’arte autonoma e indifferente allafede. Anzi l’arte, almeno per quanto concerne l’effettosulle masse, è lo strumento piú prezioso per l’opera edu-cativa della Chiesa. «Pictura est quaedam litteraturaillitterato», diceva Strabone; e cosí anche Durando:«Pictura et ornamenta in ecclesia sunt laicorum lectio-nes et scripturae». Per l’alto Medioevo l’arte sarebbeaffatto superflua, se tutti sapessero leggere e seguire iragionamenti astratti: da principio essa è solo una con-cessione fatta alla moltitudine ignorante, che facilmen-te soggiace alle impressioni dei sensi. Ma come «puragioia dell’occhio», come dice san Nilo, non sarà piúconsiderata per molto tempo. Lo scopo morale e dida-scalico è il tratto piú caratteristico dell’interpretazionecristiana. Anche presso i Greci e i Romani l’opera d’ar-te spesso non era che uno strumento di propaganda, manon fu mai considerata come un semplice mezzo didat-tico. In questo la divergenza si manifesta fin dall’inizio.

Solo nel secolo v, con la fine dell’Impero d’Occi-dente, comincia il radicale mutamento delle forme. Sol-tanto ora l’espressionismo tardoromano si trasforma in

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 10

Page 11: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

«linguaggio trascendente»6. Soltanto ora si compie l’e-mancipazione dell’arte dalla realtà; ma in modo cosítotale che la rinuncia all’imitazione del vero spessoricorda il geometrismo greco delle origini. Anche qui lacomposizione viene subordinata a un ordine decorati-vo; ma questo non è piú semplicemente l’espressione diun’armonia decorativa, ma anche di un ordine piú alto,di un’armonia universale. Né ci si ferma alla pura deco-razione, al regolare allineamento delle figure, all’ordi-namento simmetrico dei gruppi, all’accordo ritmico deigesti, all’accostamento decorativo dei colori; tutti que-sti criteri non sono che la premessa del nuovo sistemaformale, cosí come infine ci appare a Santa Maria Mag-giore, nei mosaici della navata. Ecco scene che si svol-gono in un ambiente senz’aria e senza luce, in uno spa-zio senza profondità, né prospettiva, né atmosfera, configure piatte, non modellate, senza peso né ombra. L’il-lusione di un concreto rapporto spaziale non viene piúneppure cercata; le figure sono sempre piú isolate, e iloro rapporti sono puramente ideali. Si fanno semprepiú statiche e inanimate e appaiono sempre piú solen-ni, spiritualizzate, remote dalla vita e dalla terra. Perla maggior parte, i mezzi con cui si ottiene questo effet-to – la riduzione della profondità spaziale, la piattezzae la frontalità delle figure, il gusto della sobrietà e dellasemplicità – erano già presenti nell’arte tardoromana enell’arte cristiana primitiva, ma soltanto ora si con-giungono come elementi di un nuovo stile. Là appari-vano ancora sporadicamente, cercavano una giustifica-zione particolare7 e si trovavano sempre in aperto, irri-mediabile conflitto con tradizioni e reminiscenze natu-ralistiche; qui la fuga dal mondo è consumata, tutto èdiventato forma rigida, inanimata, fredda, ma anchevita, la piú intensa ed essenziale; morte dell’Adamocarnale e vita nuova dello spirito. Qui tutto riflette leparole di Paolo: «E vivo, non piú io, ma Cristo vive in

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 11

Page 12: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

me» (Gal., 2, 20). L’antica gioia del senso è finita.Scomparso l’antico splendore, lo stato romano è in rovi-na; la Chiesa celebra il suo trionfo, non piú nello spiri-to romano del dominio, ma nel segno di una potenzache dichiara di non essere di questo mondo. E solo ora,che la Chiesa è divenuta pienamente sovrana, si creauno stile che non ha praticamente piú nulla in comunecon l’antichità classica.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 12

Page 13: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Capitolo secondo

L’arte del cesaropapismo bizantino

La civiltà dell’Oriente greco non è stata spezzatadalle invasioni barbariche come quella dell’Occidente.L’economia urbana e mercantile, pressoché distruttanell’Impero romano d’Occidente, in Oriente continuòa fiorire, piú vitale che mai. La popolazione di Costan-tinopoli già nel secolo v superava il milione, e ciò che icontemporanei narravano della sua ricchezza e del suosplendore suona come un racconto di fate. Per tutto ilMedioevo, Bisanzio fu la terra meravigliosa dei tesorisenza fondo, dei palazzi scintillanti d’oro e delle festesenza fine; e al mondo intero era esempio di eleganza edi maestà. I mezzi per sostenere quella magnificenza sca-turivano dal commercio e dagli scambi. Molto piú del-l’antica Roma, Bisanzio era una metropoli nel sensomoderno: una città cosmopolita per popolazione e costu-mi, centro d’industrie e di esportazioni, mercato e scalointernazionale8, e per giunta una città schiettamenteorientale, a cui sarebbe riuscito incomprensibile il disde-gno degli occidentali per il commercio. La corte stessa,con i suoi monopoli, rappresentava una grande impresaindustriale e commerciale. Ed è soprattutto per la restri-zione che la libertà economica subí a opera di questimonopoli che la vera fonte della ricchezza privata, nono-stante la struttura capitalistica dell’economia bizantina,non fu il commercio, ma la proprietà terriera9. I grandiprofitti commerciali non andavano a vantaggio dei pri-

Storia dell’arte Einaudi 13

Page 14: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

vati, ma dello stato e della casa imperiale. Le restrizio-ni imposte all’iniziativa privata non consistevano sol-tanto nel fatto che, a partire da Giustiniano, la fabbri-cazione di certe sete e il commercio dei principali gene-ri alimentari furono riservati allo stato, ma si estende-vano anche all’ordinamento dei mestieri, per cui spet-tava all’amministrazione cittadina e alle corporazionil’intero regolamento della produzione e degli scambi10.Ma il monopolio statale delle industrie e dei commercipiú redditizi era ben lungi dal bastare alle esigenze delfisco; l’amministrazione delle finanze toglieva alleimprese private la maggior parte del guadagno in con-tanti sotto forma di imposte, contributi, dazi, licenzed’esercizio e cosí via. Cosí il capitale mobile privato nonacquistò mai vera forza. La politica economica autocra-tica della Corona poteva lasciare libertà al possidente diprovincia nelle sue terre, ma in città ogni cosa era vigi-lata e regolata con la massima severità dall’autorità cen-trale11. Bisanzio lavorava, grazie agli introiti regolaridelle imposte e alla razionale direzione delle aziendestatali, con un bilancio in perfetto pareggio, e dispone-va inoltre di una riserva monetaria che, a differenzadegli stati occidentali dell’alto e del pieno Medioevo, lepermetteva di domare ogni tendenza particolaristica oribelle. La potenza dell’imperatore poggiava su un forteesercito di mercenari e su un’efficiente burocrazia, chenon avrebbero potuto sussistere senza le entrate rego-lari dello stato. Ad esse Bisanzio dovette la sua stabilità,e l’imperatore la propria libertà economica e la propriaindipendenza dai grandi proprietari terrieri.

Queste condizioni spiegano perché lo spirito dina-mico, progressivo, innovatore, generalmente connesso alcommercio e agli scambi, all’economia urbana e mone-taria, non abbia potuto penetrare a Bisanzio. La vita cit-tadina, che di solito promuove l’uguaglianza e l’eman-cipazione, funge qui da supporto di una cultura ristret-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 14

Page 15: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

ta, conservatrice. Grazie alla politica costantiniana infavore delle città, fin da principio Bisanzio ebbe unastruttura sociale diversa dalle città del mondo antico,dell’alto e del basso Medioevo. Specialmente la legge checondizionava la proprietà di terreni in certe parti del-l’Impero alla proprietà di una casa a Costantinopoli,provocò l’emigrazione dei proprietari di terre verso lacittà; e cosí si sviluppò una particolare aristocrazia urba-na che fu sempre piú fedele all’imperatore della nobiltàoccidentale12. Questo ceto economicamente soddisfattoe conservatore agí in senso stabilizzante anche sul restodella popolazione, e contribuí alla nascita e all’afferma-zione di una cultura caratteristica di una monarchiaassoluta, con la sua tendenza all’uniformità, alla con-venzione, alla stasi, proprio in una città commerciale etendenzialmente irrequieta come Costantinopoli.

La forma politica dell’impero bizantino fu il cesaro-papismo, che raccoglieva il potere temporale e spiritualenelle mani di un autocrate. La supremazia dell’imperatoresulla Chiesa si fondava sulla dottrina, elaborata dai Padrie sancita dalle leggi giustinianee, del diritto divino, desti-nato a sostituire l’antico mito dell’origine divina del re,inconciliabile con la fede cristiana. Se l’imperatore nonpoteva essere «divino», poteva essere tuttavia il rappre-sentante di Dio in terra o, come Giustiniano si facevavolentieri chiamare, il suo archipresbyteros. Non ci fumai, in Occidente, uno stato cosí teocratico, mai nellastoria moderna il servizio del principe fu parte cosí essen-ziale del servizio di Dio. In Occidente gli imperatorierano soltanto sovrani temporali, ed ebbero sempre nellaChiesa una rivale, quando non un’aperta avversaria. InOriente, invece, essi erano al vertice di tutt’e tre le gerar-chie: Chiesa, esercito e amministrazione13, e considera-vano anche la Chiesa come un «dicastero statale».

L’autocrazia, spirituale e temporale, dell’imperatored’Oriente, spesso esigentissima per la fedeltà dei sudditi,

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 15

Page 16: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

doveva apparire in modo da eccitare la fantasia dellagente, rivestirsi di forme imponenti e trincerarsi dietroun mistico cerimoniale. La corte ellenistico-orientale,con la sua solennità inaccessibile e la rigidissima eti-chetta che vietava ogni improvvisazione, era la corniceadatta per un effetto di questo genere. Ma a Bisanzio lacorte, ancor piú che ai tempi dell’ellenismo, fu il centrodi tutta la vita intellettuale e sociale. E prima di tutto,la corte era non solo il maggiore, ma di fatto l’unicocommittente di lavori artistici di un certo impegno, poi-ché da essa venivano i piú importanti incarichi anche perle chiese. Solo a Versailles l’arte fu di nuovo cosí total-mente aulica. Ma forse non fu mai cosí interamenteregale, cosí sottratta all’influsso dell’aristocrazia; e nondivenne mai, come a Bisanzio, la rigida, inerte immagi-ne del conformismo ecclesiastico e politico. In nessunluogo l’aristocrazia fu cosí soggetta al monarca, cosíinteramente ed esclusivamente ceto di burocrati e impie-gati creato dall’imperatore e accessibile solo ai suoi favo-riti; non quindi casta chiusa o nobiltà ereditaria, anzineppure nobiltà nel senso stretto della parola. L’auto-cratismo dell’imperatore non permetteva l’affermarsi diprivilegi ereditari. La classe dei grandi e degli influenticoincideva sempre con la burocrazia; si avevano privi-legi solo finché si era in servizio. Perciò, trattandosi diBisanzio, bisognerebbe parlare solo di Grandi del regno,e non di una casta nobiliare. Il senato, rappresentanzapolitica del ceto superiore, veniva reclutato, da princi-pio, solo tra i funzionari, e soltanto piú tardi, quando laproprietà fondiaria ebbe conseguito una posizione pri-vilegiata, anche fra i proprietari di terre14. Ma nono-stante i favori goduti da costoro rispetto agli industria-li e ai mercanti, non si può parlare di una nobiltà feu-dale, e neppure di una nobiltà ereditaria15. Fra la ric-chezza e la dignità sociale, la carriera burocratica era l’a-nello necessario. I ricchi latifondisti – ed essi soli erano

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 16

Page 17: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

veramente ricchi – dovevano procurarsi un titolo uffi-ciale, magari comprandolo, per essere annoverati tra iGrandi; i funzionari, a loro volta, tendevano alla sicu-rezza economica attraverso l’acquisto di beni fondiari.E si giunse a una fusione cosí perfetta delle due classidirigenti, che – da ultimo – tutti i latifondisti erano fun-zionari, e tutti i funzionari latifondisti16.

Ma l’arte aulica bizantina non avrebbe mai potutodiventare l’arte cristiana per eccellenza, se la Chiesastessa non fosse diventata un’autorità assoluta e non sifosse sentita signora del mondo. In altre parole: lo stilebizantino poté affermarsi dovunque ci fosse arte cri-stiana, solo perché la Chiesa cattolica pretendeva inOccidente alla stessa potenza che l’imperatore posse-deva a Bisanzio. Lo scopo dell’arte era identico nei duecasi: espressione di autorità assoluta, di grandezzasovrumana, di mistica inaccessibilità. La tendenza auna rappresentazione prestigiosa dei personaggi a cui sitributa rispetto e venerazione, tendenza che cominciaad affermarsi fin dal basso Impero, culmina nell’artebizantina. Anche qui, come già nell’antico Oriente, l’e-spediente principale è la frontalità. Si mette in moto unduplice meccanismo psichico: da un lato il rigido atteg-giamento della figura rappresentata frontalmente indu-ce in chi guarda una disposizione spirituale corrispon-dente; dall’altro, l’artista esprime, in questo atteggia-mento, la propria venerazione per lo spettatore che egliimmagina sempre nella persona del basileus, suo com-mittente e protettore. Questa venerazione è il signifi-cato della frontalità anche quando, o meglio – per ilfunzionamento simultaneo dei due meccanismi – pro-prio quando il sovrano medesimo è il personaggio rap-presentato, e si verifica il paradosso che l’atteggiamen-to rispettoso venga assunto proprio dalla persona a cuiva il rispetto dell’artista. Il meccanismo psicologico diquesta auto-oggettivazione non è altro che quello per

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 17

Page 18: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

cui il re rispetta rigorosamente l’etichetta che gravitaintorno alla sua persona. In certo qual modo, grazie allafrontalità, ogni figura assume un carattere ufficiale. Ilformalismo del rituale aulico ed ecclesiastico, la solen-ne gravità della vita regolata da criteri ascetici e dispo-tici, la tendenza simbolico-cerimoniale della gerarchiaecclesiastica e mondana, pongono all’arte le stesse esi-genze e si esprimono nello stesso stile. L’arte rappre-senta Cristo come un re, Maria come una regina; l’unoe l’altra indossano vesti preziose e regali, e siedonofreddi, inespressivi e distanti sul loro trono. Il lungocorteo dei martiri e dei santi si avvicina a loro in lentiritmi solenni, come il seguito dell’imperatore e del-l’imperatrice nelle cerimonie di corte. Gli angeli assi-stono e formano processioni severamente ordinate,come i dignitari ecclesiastici nelle feste religiose. Tuttoè grande e possente, ogni elemento umano, soggettivo,arbitrario è soppresso. Un rituale intangibile vieta aquelle figure di muoversi liberamente, di uscire dallefile, persino di volgere lo sguardo. Nei mosaici dedica-tori di San Vitale troviamo il paradigma, artisticamen-te insuperato, di una vita assorta nella celebrazione.Nessun’altra arte, classica o classicheggiante, idealisti-ca o astratta, ha piú saputo esprimere ritmo e forma contanta immediata purezza. Piú nulla di complicato, disfumato o trascolorante nella penombra: tutto è sem-plice, chiaro, distinto; tutto è contenuto in forti con-torni ininterrotti, in colori puri, senza gradazioni. Lasituazione epico-aneddotica si è trasformata senza resi-dui in una scena ufficiale. Giustiniano e Teodora colloro seguito recano offerte: un tema insolito come moti-vo principale per il presbiterio di una chiesa. Ma, comein quest’arte cesaropapistica le scene sacre acquistanoil carattere di cerimonie di corte, cosí le solennità dellacorte s’inquadrano senza difficoltà nella cornice delrituale ecclesiastico.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 18

Page 19: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Nell’architettura, specie nella disposizione internadelle chiese, si esprime lo stesso spirito «regale», auto-ritario e solenne che domina i mosaici delle pareti. Findall’inizio la chiesa cristiana si distingue dal tempioantico per essere soprattutto la casa della comunità, enon solo la casa del dio; e il centro ideale dell’architet-tura si sposta dall’esterno all’interno dell’edificio. Masarebbe errato scorgere in questo l’espressione di unprincipio democratico e interpretare la chiesa, fin dal-l’inizio, come un genere architettonico piú popolare deltempio. Già nell’architettura romana l’attenzione si spo-sta dall’esterno all’interno, il che, in sé e per sé, non dicenulla sulla funzione sociale dell’edificio. La strutturabasilicale, che la chiesa paleocristiana desume dagli edi-fici pubblici romani, divisa internamente in sezioni didiverso grado e valore, dove il coro – riservato al clero– è separato dallo spazio restante, aperto a tutti, corri-sponde a una tendenza aristocratica piuttosto che demo-cratica. Ma l’architettura bizantina, che integra con lacupola lo schema della basilica paleocristiana, rafforzal’elemento «antidemocratico» della suddivisione dellospazio interno in zone nettamente circoscritte. La cupo-la, corona dell’intero edificio, accentua e sottolinea lacesura tra le varie parti dell’interno.

La miniatura presenta all’incirca lo stesso stile deimosaici, solenne, pomposo, astratto; ma è piú vivace espontanea nell’espressione, piú libera e varia nei suoitemi, della grande decorazione parietale. Vi si possonodistinguere due correnti: quella delle grandi, lussuoseminiature a piena pagina, che si ispirano allo stile deglieleganti manoscritti alessandrini; e quella dei libri piúmodesti, destinati all’uso dei conventi, dove le illustra-zioni si limitano spesso a disegni in margine e corri-spondono, col loro naturalismo orientale, al gusto piúsemplice dei monaci17. I mezzi relativamente modestiche la miniatura richiede, permettono una produzione

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 19

Page 20: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

anche per gente meno altolocata e di gusti piú liberalidi quel che non siano i committenti dei costosi mosaici.La tecnica piú scorrevole, piú semplice, favorisce fin dal-l’inizio una certa libertà e si presta a esperimenti indi-viduali, piú che non il complesso e difficile procedi-mento musivo. Tutto lo stile della miniatura è quindi piúnaturale e piú schietto di quello solenne delle chiese18; equesto spiega perché le botteghe degli scrivani sianodivenute, durante l’iconoclastia, il rifugio dell’arte orto-dossa e popolare19.

Ma semplificheremmo erroneamente la realtà storicase nell’arte bizantina, o anche solo nel mosaico, voles-simo negare ogni traccia di naturalismo. I ritratti cheessa inserisce nelle sue rigide composizioni, sono spessodi una fedeltà sorprendente; e ciò che piú meraviglia inquest’arte è forse proprio la sua capacità di armonizza-re questi contrasti. I ritratti della coppia imperiale e delvescovo Massimiano nei mosaici di San Vitale sono per-suasivi, vivaci e parlanti come i migliori ritratti del bassoImpero. Pare che a Bisanzio, come a Roma, e nono-stante ogni restrizione stilistica, non si sapesse rinun-ciare alla caratterizzazione fisiognomica. Si potevanoimpostare le figure di fronte, allinearle secondo un ordi-ne astratto, irrigidirle nella solennità cerimoniale; ma,dove si trattava di ritrarre personaggi ben noti, non sipoteva prescindere dal caratteristico. Ci troviamo difronte, in ogni caso, ad una fase già avanzata dell’artepaleocristiana20, che si avvia a una nuova differenzia-zione e cerca la sua strada nella direzione della minorresistenza.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 20

Page 21: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Capitolo terzo

Cause e conseguenze dell’iconoclastia

Le disgraziate guerre dei secoli vi, vii e vii, che richie-sero la collaborazione dei proprietari di terre per la con-tinua reintegrazione dell’esercito, rafforzarono la poten-za di quella classe e condussero anche in Oriente a unaspecie di feudalesimo. Mancava, è vero, quella recipro-ca dipendenza di signori e vassalli che caratterizza ilsistema feudale in Occidente, ma anche qui l’imperato-re si trovò a dipendere piú o meno dai proprietari ter-rieri, non appena non ebbe piú i mezzi necessari permantenere un esercito mercenario21. Tuttavia il sistemadella concessione di possessi fondiari come ricompensaper servigi militari si sviluppò solo in piccola scala nel-l’Impero d’Oriente. Qui il benefizio non toccava, comein Occidente, a magnati e cavalieri, ma a contadini esemplici soldati. Naturalmente i latifondisti cercavanodi riassorbire queste terre, come avevano fatto in Occi-dente con la proprietà dei contadini liberi; e anche quii contadini, per i gravami fiscali spesso insopportabili,si mettevano sotto la protezione dei grandi, come inOccidente avveniva per mancanza di sicurezza civile. Daparte loro gli imperatori, almeno in un primo tempo, siopposero con ogni mezzo all’estensione del latifondo, equesto – in primo luogo – per non cadere essi stessi inbalia dei grandi proprietari. Il loro principale sforzo,durante la lunga, disperata lotta contro Persiani, Avari,Slavi e Arabi, fu rivolto all’esercito: ogni altra conside-

Storia dell’arte Einaudi 21

Page 22: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

razione passava in secondo piano. Anche il divieto diadorare le immagini non fu che una delle loro misure diguerra.

Propriamente l’iconoclastia non fu un movimentoostile all’arte; non perseguitò l’arte in generale, ma soloun determinato tipo di arte: si rivolse soltanto contro lerappresentazioni di contenuto religioso, mentre le pit-ture decorative furono tollerate anche al tempo della piúselvaggia persecuzione. La lotta aveva soprattutto unosfondo politico; l’ostilità all’arte, in quanto tale, non fuche un motivo secondario e relativamente trascurabile,forse il piú trascurabile di tutti. Alle origini del movi-mento esso ebbe, in ogni caso, la parte minore, anchese contribuí poi in misura non disprezzabile alla diffu-sione dell’idea iconoclastica. Certo l’orrore per la figu-razione del divino, come la repulsione per tutto ciò chericordasse il culto degli idoli, non era piú cosí forte, peri tardi Bizantini amanti dell’arte, come per i primi cri-stiani. Prima che il cristianesimo fosse riconosciuto dallostato, la Chiesa aveva combattuto per ragioni di princi-pio contro l’uso delle immagini nel culto, e anche neicimiteri le aveva tollerate solo con gravi restrizioni.Anche qui erano proibiti i ritratti, si evitavano le scul-ture, e le pitture erano limitate a rappresentazioni sim-boliche. In generale si rifuggiva dall’adornare le chiesecon opere d’arte. Clemente Alessandrino sottolinea cheil secondo comandamento riguarda le immagini di ognispecie; e questa è la norma per la Chiesa primitiva e peri Padri. Ma dopo l’editto di Milano non c’era piú datemere ricadute nel culto degli idoli, e l’arte, anche senon senza resistenze e limitazioni, poté mettersi al ser-vizio della Chiesa. Ancora nel secolo iii, Eusebio dichia-rava contraria alla Scrittura e idolatrica la rappresenta-zione di Cristo, e immagini isolate di Cristo sono rela-tivamente rare anche nel secolo successivo. Solo nelsecolo v s’intensifica la produzione di questo genere. Ma

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 22

Page 23: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

poi l’immagine del Salvatore diventa un oggetto di cultoe infine una specie di protezione magica contro il Mali-gno22. Un’altra fonte dell’iconoclastia, indirettamentecollegata all’orrore degli idoli, è l’avversione dei primicristiani all’estetismo sensuale dell’antichità classica.Questo motivo spiritualistico è formulato in mille guisedagli antichi cristiani, e trova la sua espressione forse piúcaratteristica in Asterio di Amasia, che respinge ognirappresentazione del Santo, perché un’immagine nonpuò fare a meno di sottolineare gli elementi materiali esensibili. «Non dipingere il Cristo, – ammoniva, – glibasta l’umiliazione dell’incarnazione, a cui si è sottopo-sto spontaneamente e per amor nostro; anzi accogli ilVerbo incorporeo nell’anima tua»23.

Molto piú importante di tutti questi motivi fu lalotta contro l’idolatria, a cui il culto delle immagini,aveva condotto in Oriente. Ma non era neppure questoche piú premeva a Leone III Isaurico; la purezza dellareligione gli stava a cuore assai meno dell’azione «illu-ministica», ch’egli si riprometteva vietando il culto delleicone. E anche piú importante dev’essere stata per luila considerazione di quei cospicui e dotti circoli ch’eglisperava di conquistarsi con quel divieto». L’influsso deiPauliciani aveva diffuso in quei circoli una tendenzaalla «riforma», e qua e là s’erano levate voci che respin-gevano l’intero sistema sacramentale, il rituale «pagano»e la costituzione ufficiale del clero. Ma nulla apparivaloro piú pagano dell’idolatria connessa alle immaginisacre, e almeno in questo la dinastia puritana degli Isau-ri, di origine contadina, concordava perfettamente conquei notabili25. Ad agevolare la diffusione dell’iconocla-stia, contribuirono moltissimo i successi militari degliArabi, che non conoscevano icone. L’opinione mao-mettana, trovò seguaci, come sempre ne trova il suc-cesso. Fare a meno delle icone, come gli Arabi, diven-ne una moda a Bisanzio. Molti attribuivano la fortuna

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 23

Page 24: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

del nemico alla sua ripugnanza per le immagini, e pen-savano di potergli semplicemente rubare il segreto. Altriforse volevano mitigare l’animo dell’avversario adot-tandone il costume. I piú, probabilmente, eran d’avvi-so che la rinuncia al culto delle immagini non potevarecare alcun danno.

Ma il movente principale e, in ultima analisi, decisi-vo dell’iconoclastia fu la lotta impegnata dagli impera-tori e dai loro fidi contro la potenza sempre piú grandedei monaci. In Oriente questi non esercitavano certosulla vita spirituale degli alti ceti un influsso cosí gran-de come in Occidente. La cultura laica, a Bisanzio,aveva una sua tradizione, direttamente legata all’anti-chità classica; e non aveva bisogno della mediazionedei monaci. Tanto piú intimi erano i rapporti fra que-sti ultimi e il popolo; e si formava cosí un fronte comu-ne che, in certe condizioni, poteva diventare pericolo-so per il governo. Già i monasteri erano mete di pelle-grinaggio, a cui la gente affluiva coi suoi dubbi, con lesue pene, recando suppliche e doni. La massima attrat-tiva dei conventi erano le icone miracolose; un’iconacelebre era una fonte inesauribile di gloria e di ricchez-za per il convento che la possedeva. I monaci si mostra-vano condiscendenti verso gli usi della religione popo-lare, il culto dei santi e delle reliquie, la venerazionedelle immagini, per accrescere non solo le loro entrate,ma la loro autorità.

Leone III si sentiva ostacolato nel suo proposito difondare un forte stato militare soprattutto dalla Chiesae dai monaci. Fra i maggiori latifondisti erano i princi-pi della Chiesa e i conventi, esenti da tasse. Non solo,ma i conventi, data la popolarità della vita monastica,sottraevano molte forze giovanili all’esercito, alla buro-crazia e all’agricoltura; e al fisco, per le continue dona-zioni e fondazioni pie, toglievano considerevoli introi-ti26. L’imperatore, vietando il culto delle icone, li privò

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 24

Page 25: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

del piú efficace mezzo di propaganda27. Il provvedi-mento colpí in loro i produttori, i possessori e i custodidelle immagini, ma soprattutto i difensori del magicoalone che ne avvolgeva la santità. L’imperatore dovevadissiparlo, se voleva conseguire i suoi intenti totalitari.A questa spiegazione del fenomeno iconoclastico la sto-riografia «idealistica» obietta che la persecuzione comin-ciò solo tre o quattro decenni dopo il divieto del cultodelle icone, e che, sotto Leone III, non s’intrapreserocontro i monaci ostilità dirette28. Come se non fossebastato il divieto a colpirli sensibilmente! Un assaltodiretto non era necessario, né giustificato, prima che siopponessero al divieto; ma non appena ciò avvenne, sipassò alle persecuzioni personali.

L’iconoclastia non fu un movimento puritano, plato-nico o tolstoiano, diretto contro l’arte in quanto tale.Non determinò un arresto dell’attività artistica, ma soloun nuovo orientamento; si direbbe anzi che abbia pro-dotto un effetto stimolante sulla produzione, che eracaduta ormai in un meccanico e monotono formalismo.I temi puramente ornamentali, a cui i pittori dovevanoattenersi, li ricondussero verso lo stile ellenistico, e l’af-francamento dalle esigenze del clero permise di trattarecon piú freschezza i temi naturali29. Quando questi temisi svilupparono in scene di caccia e di giardino, anche lafigura umana divenne piú libera e mossa, meno piatta efrontale. La seconda fioritura dell’arte bizantina neisecoli ix e x, che mantenne le conquiste naturalistichedi quello stile profano trasponendole nella pittura sacra,potrebbe essere quindi considerata, a ragione, come unaconseguenza dell’iconoclastia30. Comunque, l’arte bizan-tina ricadde presto in forme stereotipe. Questa volta lacorrente conservatrice non partiva dalla corte, ma daiconventi, e cioè proprio dai luoghi che già erano stati lasede della tendenza piú libera, meno convenzionale, piúpopolare. Come un tempo l’arte aulica, ora quella mona-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 25

Page 26: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

stica cerca un canone saldo, coerente, intangibile. L’or-todossia dei monaci, vittoriosa nella contesa delle imma-gini, è diventata conservatrice in seguito alla vittoria;tanto che le icone greco-orientali del secolo xvii non dif-feriscono essenzialmente da quelle dell’xi.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 26

Page 27: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Capitolo quarto

Dalle invasioni barbariche al Rinascimentocarolingio

L’arte barbarica, in confronto a quella romano-cri-stiana, è un fenomeno regressivo: stilisticamente, è sullostesso piano dell’età del ferro. Mai concezioni cosíprofondamente contrastanti si trovarono geografica-mente vicine come allora, quando a Bisanzio l’arte rap-presentava figure, sia pure entro rigidi schemi, con altovirtuosismo tecnico; mentre nell’Occidente, occupato dastirpi germaniche e celtiche, dominava un geometrismoastratto e puramente decorativo. Per quanto fantasiosae complicata, col suo molteplice intrico di motivi (nastri,trecce e spirali, corpi incrociati di animali e figure umanecontorte), quest’arte decorativa, dal punto di vista del-l’evoluzione storica generale, non oltrepassa l’epoca diLa Tène. Essa rivela il suo carattere primitivo soprat-tutto nella straordinaria povertà di figure – la figuraumana appare solo nelle miniature irlandesi e anglosas-soni – ma anche nella rinuncia a dare agli oggetti rap-presentati una sia pur minima consistenza corporea.Nonostante l’esplosivo dinamismo formale, spesso effi-cacissimo, è e rimane arte minore, meticoloso artigia-nato, mania di gioco. Ciò che il suo «goticismo segreto»ha in comune col gotico vero è, caso mai, la tensione del-l’astratto gioco di forze, ma non certo la sostanza, nonlo spirito. Sia che in questo gioco lineare si esprima unaparticolarità germanica o, come è piú verosimile, undecorativismo scitico e sarmatico di cui i Germani furo-

Storia dell’arte Einaudi 27

Page 28: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

no soltanto il tramite31, siamo di fronte a un fenomenoche significa la completa dissoluzione della visione clas-sica e forma «il piú stridente contrasto con ogni sensoartistico mediterraneo»32.

L’arte barbarica fu un’arte «popolare», come sostie-ne il Dehio? Fu un’arte rustica: l’arte delle stirpi conta-dine che inondarono l’Occidente, di un popolo ancoraal livello della produzione primitiva. Se si vuole consi-derare popolare ogni arte rustica, o se per arte popola-re s’intende un’arte relativamente semplice, destinata aun pubblico culturalmente indifferenziato, l’arte barba-rica fu un’arte popolare. Non lo fu, se si vuol designa-re, con questo termine, un’attività non professionale enon specializzata. La maggior parte degli oggetti che cisono pervenuti presuppongono un’abilità artistica assaisuperiore a ogni dilettantismo; non si può pensare chesiano frutto di attività saltuarie, ma anzi di profondapreparazione e di lunga pratica. È probabile che i Ger-mani non avessero ancora molti artigiani specializzati,e senza dubbio l’artigianato era ancora in gran parteun’attività casalinga; ma la produzione di ornamenticome quelli a noi pervenuti non può essere stata un’oc-cupazione marginale per i loro autori33.

Per lo piú i Germani erano liberi coltivatori che lavo-ravano personalmente i loro campi, ma erano anche –in parte – signori di terre che lasciavano condurre ai loroservi. Al tempo delle invasioni, in ogni caso, non sipoteva piú parlare di terre in comune34. Si possono tra-scurare le differenze sociali solo perché tutta la civiltàera ancora allo stadio dell’economia agricola. Anchequi, come dappertutto a partire dall’età neolitica, il geo-metrismo corrisponde a una società rurale, ma anchequi, come in tutti gli altri casi, non presuppone l’ideadi una proprietà collettiva. Di fronte all’arte rustica dialtri tempi e di altri popoli, l’arte barbarica non hanulla di particolare; è singolare tuttavia che il geome-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 28

Page 29: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

trismo dei contadini germanici non solo si perpetui, masi intensifichi – attraverso l’estensione dei propri prin-cipî formali alla figura umana – nella miniatura deimonaci irlandesi. Qui l’astrazione raggiunge, e talvoltasupera, quella del geometrismo protogreco. Non solo ilpuro fregio, non solo la pianta e l’animale, ma anche leforme umane vengon tradotte in segni calligrafici e per-dono ogni ricordo della loro sostanza corporea e dellaloro natura organica.

Perché mai un’arte cosí esperta e raffinata come quel-la dei dotti monaci, e destinata a un pubblico dotto,rimase allo stadio dell’arte barbarica? La ragione prin-cipale è forse che l’Irlanda non fu mai una provinciaromana e quindi non ebbe contatti diretti con l’arteclassica. Con ogni probabilità, la maggior parte deimonaci irlandesi non ebbe mai occasione di vedere scul-ture provenienti da Roma, e neppure codici miniatiromani o bizantini dovevano giungere troppo spesso inIrlanda: non abbastanza spesso, in ogni caso, per fon-dare una tradizione artistica. Cosí l’astratto formalismobarbarico non urtò contro resistenze cosí forti comequelle che sul continente provocava l’arte romana. Aspiegare il «rustico» geometrismo di quelle miniatureconcorre anche lo speciale carattere della vita monasti-ca irlandese, diversa dal monachesimo continentale especialmente da quello bizantino. I monasteri greci sitrovavano in vicinanza delle città e prendevano parteattiva alla vita urbana, agli scambi, alle correnti dellacultura internazionale, agli avvenimenti scientifici e arti-stici; i monaci si dedicavano solo a lavori fisici leggeri eil loro tenore di vita era ben diverso da quello del con-tadino. Mezzi contadini, invece, sono ancora i monaciirlandesi. Lo stesso Patrizio era figlio di un medio pro-prietario, dunque un rusticus, e nelle sue fondazionimonastiche seguiva alla lettera l’aspra regola benedetti-na. Cosa strana, la piú antica poesia irlandese, frutto

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 29

Page 30: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

della stessa civiltà che ci diede quelle antichissime minia-ture, rivela un vivacissimo senso della natura, per cui sipuò quasi parlare – piú che di una precisa osservazionenaturalistica – di un impressionismo nervoso e reattivo.Non è facile capire come possano appartenere a unamedesima civiltà due fenomeni cosí diversi come quel-le miniature, in cui ogni forma naturale diventa un ghi-rigoro, e descrizioni come questa: «Lieve sussurro, dolcesussurro, soave musica dell’universo, tenera voce di uncuculo in cima agli alberi; gioca il pulviscolo nel raggiodel sole, i giovenchi sono innamorati... del monte»35.Non si può spiegare questo contrasto se non con un dise-guale sviluppo delle varie arti, che è un fenomeno fre-quente; e anche qui siamo di fronte a uno di quei perio-di storici le cui diverse manifestazioni artistiche non sipossono ridurre a un comune denominatore stilistico. Ilnaturalismo di un’epoca, maggiore o minore a secondadelle varie arti, non dipende solo dal livello generaledella cultura (anche se la struttura sociale è uniforme),ma anche dal tipo, dall’età e dalle speciali tradizionidelle varie arti e dei vari generi. Tradurre un’esperien-za della natura in parole e ritmi, oppure in linee e colo-ri, non è per nulla la stessa cosa. Un’epoca può riuscirenell’un caso e fallire nell’altro; nel primo conserveràcon la natura un rapporto relativamente libero e fresco,mentre nell’altro lo stesso rapporto è ormai diventatoconvenzionale e schematico. Gli Irlandesi, che sapeva-no trovare immagini poetiche come questa: «L’uccel-letto dalla punta del becco giallo e lustro lancia unfischio; il merlo dal folto dell’albero giallo manda unrichiamo oltre Loch Laig»36, e parlare dei «calzari deicigni» e dei «mantelli invernali dei corvi»37, disegnava-no e dipingevano uccelli di cui sarebbe difficile dire sesiano pulcini o aquilotti. Il perfetto parallelismo stilisti-co in arti e generi diversi presuppone una civiltà in cuil’arte non deve piú lottare per i suoi mezzi espressivi,

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 30

Page 31: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

ma è relativamente libera di scegliere fra diverse formepossibili. È certo che, nell’età paleolitica, all’evolutonaturalismo pittorico non corrispose nulla di simile nellapoesia: se poesia ci fu. Nell’antica Irlanda, invece, lemetafore linguistiche hanno creato immagini di vitanaturale inaccessibili alla pittura, ancora inesperta, etutta rivolta al decorativismo dell’epoca barbarica. Perla poesia gli Irlandesi dipendevano da tutt’altra tradi-zione. Ai poeti dovevano essere ben noti idilli latini odi derivazione latina, mentre i pittori, per lo piú, cono-scevano solo il geometrismo delle rustiche stirpi celticheo germaniche. Poeti e pittori, del resto, dovevano appar-tenere a diversi ceti sociali e culturali, e questa diffe-renza si esprime anche nel loro atteggiamento di frontealla natura. Sappiamo che i miniatori erano semplicimonaci; mentre possiamo supporre che gli autori deipoemi epici o degli idilli fossero poeti di professione,appartenenti al ceto – tenuto in grande onore – deipoeti aulici, o a quello dei bardi, forse meno apprezza-ti, ma, per la loro dottrina, compresi anch’essi nell’altasocietà38. L’idea dell’origine popolare39 di quei poemirisale alla concezione romantica per cui «naturale» e«popolare» sono concetti intercambiabili, quando inrealtà sono piuttosto concetti opposti. La stessa visioneimmediata della natura, che troviamo nella lirica irlan-dese, appare nel passo seguente tratto dalla vita di unsanto, e cioè da un’opera letteraria che non ha certonulla a che fare con la poesia popolare. Il passo narra diun bambino che, giocando sulla costa, cade in acqua, maviene salvato dal santo, e passa a descriverlo mentregioca con le onde, su un banco di sabbia in mezzo almare: «Allora le onde giungevano fino a lui e gli ride-vano intorno, ed egli rideva alle onde e toccava con lamano la spuma delle loro creste, e leccava la spuma,come spuma di latte appena munto»40.

Dopo le invasioni dei barbari sorgerà – in Occiden-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 31

Page 32: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

te – una nuova società, con una nuova aristocrazia e unanuova classe colta. Ma, nel frattempo, la cultura scen-de a un livello ignoto all’antichità classica, e rimane ste-rile per secoli. L’antica civiltà non finisce con una frat-tura improvvisa; economia, società e arte romana deca-dono e muoiono solo a poco a poco, e il trapasso alMedioevo avviene per gradi, quasi insensibilmente. Lacontinuità si manifesta specialmente nella sopravviven-za delle forme economiche del basso Impero41; il fon-damento della produzione resta l’economia agricola conla grande proprietà e il colonato42. Si continua ad abi-tare nelle vecchie sedi, e si restaurano, in parte, anchele città devastate. Continua l’uso del latino, resta invigore il diritto romano e resiste soprattutto l’autoritàdella Chiesa cattolica, che, con la sua struttura, fungeda modello ad ogni governo. Scompaiono, peraltro, l’e-sercito romano e l’antica amministrazione. Il nuovostato cerca di salvare le istituzioni – gestione delle finan-ze, sistema giudiziario, polizia – ma le cariche, almenole piú importanti, sono occupate da gente nuova; e dallanuova burocrazia si sviluppa, in larga misura, la nuovaaristocrazia.

Le conquiste dei Germani affrettano il passaggio dal-l’antico stato tribale alla monarchia assoluta. La fonda-zione di nuovi stati determina mutamenti che permet-tono ai re vittoriosi di affrancarsi dall’assemblea degliuomini liberi, elevandosi sul popolo e sulla nobiltà,secondo l’esempio degli imperatori romani. Essi consi-derano i paesi conquistati come possedimenti personalie i loro seguaci come semplici sudditi, di cui dispongo-no a piacimento. Ma ciò non basta ad assicurare la loroautorità. Ognuno degli antichi capi-tribú poteva affer-marsi come un rivale, ogni membro della vecchia ari-stocrazia poteva diventar pericoloso. I re si liberaronodal pericolo sterminando quasi completamente la vecchianobiltà tribale, che aveva già subito perdite enormi nelle

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 32

Page 33: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

guerre di conquista. È forse eccessivo affermare che diessa non sia rimasto proprio nulla43, e che non ci fosse-ro piú famiglie nobili al di fuori dei Merovingi44; macerto i superstiti non erano piú pericolosi per il re. E tut-tavia, fin dal tempo dei Merovingi, la nobiltà torna aessere numerosa. Come si è formata? E di quali ele-menti? Oltre ai resti della nobiltà tribale germanica, nefacevano parte i membri della classe senatoria romana –certo non molto numerosi – che vivevano nelle regionioccupate. Comunque, molti degli antichi possidentigallo-romani conservarono beni e privilegi, benché ilfavore dei re andasse alla nuova nobiltà. Questa nobiltà,burocratica e militare, non era solo la parte piú influen-te, ma anche la parte piú numerosa dell’aristocraziafranca. Dopo la fondazione del nuovo stato, la sola viaper accedere a nuovi onori passava attraverso il serviziodel re; chi lo serviva contava piú degli altri, e apparte-neva di diritto all’aristocrazia. Ma questa non era anco-ra una vera nobiltà, perché i privilegi si potevano per-dere, non erano ereditari, e non si fondavano sulla nasci-ta e sull’origine, ma sull’ufficio e sulla proprietà45. Senzacontare che questa aristocrazia era ben lontana dal for-mare un coerente gruppo etnico; si componeva di ele-menti gallici, romani e germanici, e i Franchi, almeno difronte ai Romani, non godevano di alcun vantaggio.Per questo riguardo, la spregiudicatezza dei re andavafino al punto di permettere, e magari agevolare, a gentedi bassa estrazione, perfino a schiavi fuggiaschi, l’ac-cesso ai massimi onori46. Per l’autorità regia essi eranocerto meno pericolosi dei membri delle antiche stirpi, espesso piú idonei ai nuovi compiti.

Fin dal secolo vi alcuni funzionari, e soprattutto i piúalti impiegati, i «conti», ricevettero, oltre ai loro stipen-di, assegnazioni di terre dalla Corona. Inizialmente ilpossesso era assicurato solo per un certo numero d’anni,ma poi fu una concessione a vita, e infine proprietà ere-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 33

Page 34: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

ditaria. Gregorio di Tours – che è la nostra fonte per i rap-porti sociali nell’epoca merovingia – non menziona anco-ra concessioni in cambio di servigi militari, cioè, dona-zioni di carattere feudale47. Il beneficium merovingio èancora un dono e non un pegno. Ma alle concessioni diterre si unirono ben presto privilegi e immunità. Via viache lo stato si rivelava incapace di proteggere la vita e ibeni dei sudditi, i grandi proprietari assumevano le suefunzioni, e si arrogavano, nei loro territori, poteri sovra-ni. Cosí, moltiplicandosi le concessioni, diminuiva nonsolo la proprietà dei re, ma anche l’area in cui lo statoaveva effettiva autorità. Infine il re fu sovrano solo sulleproprie terre, spesso meno estese di quelle dei suoi piúpotenti sudditi. Questa forma politica corrispondeva delresto allo sviluppo generale, che spostava il baricentrodella vita sociale dalla città verso la campagna.

A differenza della città, la campagna non è un terre-no favorevole all’arte, specie a quella che non si limitaalla pura decorazione. Qui mancano le occasioni ade-guate, il pubblico e i mezzi necessari. La prima causa delristagno artistico sotto i re Merovingi è certo la deca-denza delle città e la mancanza di una stabile sede rega-le. Si conclude ora quella metamorfosi della civiltà urba-na in civiltà rurale che aveva avuto inizio nel tardoImpero. L’economia monetaria delle città antiche èregredita all’economia domestica e naturale dei latifon-di, che ora tendono ad affrancarsi dagli organismi estra-nei, come le città e i mercati. Ma non sarebbe giustoaffermare che l’autarchia feudale sia semplicemente laconseguenza del declino delle città; se queste, coi loromercati, decaddero, è anche proprio perché i proprieta-ri di terre, non riuscendo – per la scarsità del denaro –a vendere i loro prodotti, si accinsero, nei limiti del pos-sibile, a produrre ciò che occorreva loro e nulla di piú.La rovina delle città spopolate giunse a tal punto che ire dovettero ritirarsi nei loro domini, poiché nelle città

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 34

Page 35: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

non riuscivano a scovare i mezzi di sussistenza necessa-ri per sé e per il loro seguito, né a far fronte alle spese.Per lo piú le città superavano questa crisi solo quandoerano sedi vescovili; ma anche in questo caso solo astento, ed è sintomatico che in Occidente, durante tuttal’epoca franca, non sia nata neppure una città di rilie-vo, mentre gli Arabi fondavano metropoli come Bagdade Córdova48. Anche città che furono residenze reali tem-poranee, come Parigi, Orléans, Soissons, Reims, eranorelativamente piccole e scarsamente popolate. In nessu-na di esse si sviluppò una vita di corte. In nessun luogosi manifestò il bisogno di edifici e monumenti. Anche imonasteri erano ancora troppo poveri per surrogare –sotto questo rispetto – la corte e la città. Non c’era quin-di città, né corte, né monastero dove potesse esplicarsiuna regolare attività artistica.

Nel secolo v c’era ancora dappertutto un’aristocraziacolta, esperta di letteratura e d’arte; essa scompare quasidel tutto nel vi; la nuova nobiltà franca non si curaminimamente della cultura. E non solo la nobiltà, maanche la Chiesa attraversa un periodo d’incuria. Ci sonospesso alti dignitari ecclesiastici che non sanno leggere,e Gregorio di Tours, il nostro informatore, scrive in unlatino piuttosto incolto: segno che la lingua della Chie-sa nel secolo vii è già lingua morta49. Le scuole laichedecadono e si chiudono a poco a poco. Presto non resta-no che le scuole delle cattedrali, che i vescovi debbonomantenere per assicurare la continuità del clero. Cosí laChiesa si conquista quel monopolio sull’istruzione a cuideve il suo influsso preponderante nella società occi-dentale50. Lo stato è clericalizzato già per il semplicefatto che la Chiesa prepara ed educa i suoi funzionari;e i ceti colti laici si adeguano involontariamente al mododi pensare ecclesiastico, perché le scuole delle cattedra-li e, piú tardi, quelle dei conventi sono i soli istituti dovepossono mandare i loro figli.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 35

Page 36: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

La Chiesa resta, inoltre, la massima committente diopere d’arte. I vescovi continuano a far costruire chiese,dando lavoro a capimastri, carpentieri, falegnami, vetrai,decoratori e anche scultori e pittori. Poiché non ci èrimasto quasi nulla, non possiamo farci un’idea precisa diquesta attività artistica: ma se è lecito dalle poche minia-ture che ci sono state conservate, trarre conclusioni gene-rali, essa si limitava a continuare abbastanza pedissequa-mente l’arte del basso Impero e a ripetere l’arte barbari-ca. Non c’è piú nessuno, in Occidente, che sia capace dirappresentare plasticamente un corpo; tutto si riduce adecorazione piatta, gioco di linee, calligrafismo. I moti-vi di questa decorazione, conforme al generale carattererustico, sono le forme dell’arte contadina: circoli e spirali,intrecci di nastri e di lacci, pesci, uccelli e – sola innova-zione rispetto all’arte barbarica – foglie e viticci. Sonoanche i motivi dell’oreficeria, a cui appartiene la maggiorparte degli oggetti conservati. Il loro numero relativa-mente grande ci mostra quali sono gli interessi artisticidi questa società primitiva, per cui l’arte significa anzi-tutto ornamento, eleganza, suppellettile fastosa e ricchigioielli. Essa serve soltanto – ciò che, in forma sublima-ta, si verifica anche in civiltà molto piú evolute – all’o-stentazione della potenza e della ricchezza.

Con l’incoronazione imperiale di Carlo Magno, ilcarattere della monarchia franca muta radicalmente.L’autorità secolare dei Merovingi si trasforma in teo-crazia, e il re dei Franchi diventa il protettore della cri-stianità.

I Carolingi restaurano l’indebolita autorità del regnofranco, ma non possono fiaccare la forza dell’aristocra-zia, proprio perché le debbono parte del loro potere. Apartire dal secolo ix, i conti e i magnati diventano vas-salli del re, ma i loro interessi sono spesso cosí opposti aquelli della Corona che essi non possono mantenere alungo la fedeltà giurata al sovrano. La loro potenza e la

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 36

Page 37: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

loro ricchezza non crescono, ma diminuiscono col raffor-zamento dello stato. Affidando ai nobili l’amministra-zione del paese, il governo centrale chiede i servigi di unceto che prima o poi si trasformerà in suo rivale, e cheagisce con tanto maggiore libertà, in quanto manca quasidel tutto una gerarchia burocratica, con medi e piccoliimpiegati. Contro l’arbitrio dei conti, il re può fare benpoco; in primo luogo, non può dimetterli, perché nonsono funzionari comuni, ma individui a cui i contadinisi sentono in certo qual modo legati; da generazioni,sono i piú ricchi e cospicui del paese, e di fronte a loro inuovi funzionari parrebbero intrusi51. Re e stato nonpossono evitare che sempre piú spesso i contadini ceda-no la loro terra ai magnati, da cui, come da protettori,torneranno a riceverla in usufrutto. L’evoluzione stori-ca conduce irresistibilmente alla formazione dei grandilatifondi e dei principati territoriali; e, benché questameta sia ancor molto lontana, ai tempi di Carlo Magnol’autorità regia appare già cosí indebolita che il monarcadeve nuovamente mostrarsi piú potente di quel che inrealtà non sia. Egli deve presentarsi come il capo supre-mo del nuovo stato, sacro e profano insieme, e fare dellasua corte il centro della moda e della cultura del regno.

Della corte di Aquisgrana, che accoglie un’accademiadi poesia, un’officina artistica annessa al Palazzo e i piúinsigni dotti del tempo, Carlo Magno fa una casa delleMuse, prototipo delle corti principesche europee: cosadel tutto nuova, anche di fronte al mecenatismo dellecorti imperiali di Roma e di Bisanzio. Dopo Adriano eMarco Aurelio, accade ora per la prima volta che unprincipe dell’Occidente, non solo dimostri un vero inte-resse per la scienza, l’arte e la letteratura, ma segua unproprio programma culturale. In realtà l’imperatore,istituendo scuole di lettere, mira solo indirettamente alrinnovamento della cultura; il suo vero scopo è la for-mazione di un personale idoneo all’amministrazione. In

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 37

Page 38: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

quegli istituti la letteratura latina è considerata anzitut-to come una collezione di modelli di stile, e la si studiaper esercitarsi nell’uso della lingua ufficiale. Per quan-to riguarda gli istituti medesimi, oggi si dubita che ci siastata una vera e propria scuola di palazzo, in cui, comesi diceva un tempo, si educavano i figli delle grandifamiglie; opinione che deriverebbe da un’interpretazio-ne errata dei testi, che con scholares, secondo quanto orasi afferma, non indicano gli alunni di una schola palati-na, ma le guardie dell’imperatore, giovani aristocraticiche venivano addestrati a corte come futuri soldati efunzionari52. C’era invece senza dubbio, alla corte diCarlo Magno, un circolo letterario di poeti e di dotti,con sedute e concorsi regolari, che formavano una veraaccademia: e possiamo tenere per certo che alla cortefosse annessa un’officina palatina, da cui uscivano codi-ci miniati e oggetti d’arte.

Tutto il programma culturale di Carlo Magno si inse-riva in una generale aspirazione di risuscitare l’antichitàclassica. Egli dovette concepire quest’idea durante lacampagna d’Italia: e, pur dipendendo strettamente dallaconcezione politica di un rinnovamento dell’imperoromano, rappresenta la prima assimilazione, non soltan-to vasta, ma creativa, della civiltà antica. È insostenibi-le la tesi secondo cui il Medioevo non fu mai consape-vole della distanza che lo separava dalla classicità e se neconsiderò sempre il diretto continuatore53. Il Rinasci-mento carolingio si distingue dalla civiltà paleocristianaproprio perché non continua semplicemente la tradizio-ne romana, ma la riscopre. Per la prima volta l’antichitàclassica diventa un’esperienza culturale, cui s’accompa-gna la coscienza d’aver ritrovato, anzi riconquistato, unbene perduto. Solo da questa esperienza nasce l’uomooccidentale54, che non possiede la cultura antica, ma aspi-ra a possederla. L’età di Carlo Magno si accontenta diricevere di seconda mano l’eredità classica. L’arte roma-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 38

Page 39: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

na dei secoli iv e v, l’arte bizantina dei secoli seguentirappresentano il patrimonio di motivi e di forme da cuiessa attinge modelli e ispirazione. E sebbene, nel suobaldo spirito rinascimentale, cerchi soprattutto d’imita-re i modi grandiosi, vivaci, orgogliosi dei Romani, puòaccedere all’antichità classica solo attraverso la media-zione dell’arte cristiana. Il segno piú evidente di questafrattura è nel fatto che la scultura monumentale di Roma,incomprensibile ai primi cristiani, rimane chiusa ancheal Rinascimento carolingio. Perciò il Dehio ritiene chequesta assimilazione carolingia non sia un vero Rinasci-mento, ma soltanto la continuazione della tarda anti-chità55. Eppure l’arte carolingia rappresenta un’innova-zione decisiva, perché, come constata il Dehio stesso56,supera lo stile piatto e decorativo dei Barbari e rende allafigura umana la sua realtà tridimensionale. Già questotratto fa pensare all’arte classica piuttosto che all’artepaleocristiana. Non solo, nell’arte carolingia, riappare lafigura, ignota agli artigiani barbarici; ma si afferma unaconcezione parzialmente illusionistica, assai diversa daquella dell’arte paleocristiana. Essa non rinnova solo lasensibilità plastica e monumentale, ma anche l’impres-sionismo pittorico dell’antichità. Oltre alle immaginidedicatorie degli evangeliari imperiali, grandiose nel dise-gno e pompose nel colore, possediamo gli schizzi a pennadel salterio di Utrecht, raffinatissimi nel segno vibrantee nervoso, che, pur risalendo a modelli dell’Oriente cri-stiano57, non hanno pari, dall’ellenismo in poi, per deli-cata sensibilità e forza espressiva. Non solo stupisce l’e-sistenza di una maniera cosí vivace accanto al freddo,ampio, imponente stile aulico, ma anche la sua qualità digran lunga superiore a quella della miniatura aulica, tantopiú ambiziosa nella tecnica, nei mezzi e nel formato. Unmanoscritto come il salterio di Utrecht, coi suoi disegnisemplici, improvvisati e monocromi, non poteva soddi-sfare la corte avida di lusso e di splendidi codici; ed era

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 39

Page 40: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

evidentemente destinato a un ambiente piú modesto,che badava all’illustrazione piú che alla ricchezza orna-mentale. Qui, ancor piú che per l’arte bizantina, siamocostretti a distinguere, secondo le dimensioni e la tecni-ca delle miniature, i manoscritti miniati «aristocratici»con illustrazioni multicolori a piena pagina, dai mano-scritti «popolari», provvisti di semplici disegni in mar-gine58. Anche qui, come altrove, la diversa qualità delleopere non può essere dedotta dalle condizioni sociali dellavoro artistico, ma la maggior libertà d’azione dell’arti-sta nell’arte non ufficiale può aver molto contribuito allaspontaneità e all’immediatezza della rappresentazione.Come l’esecuzione minuziosa e complessa determina unacerta staticità, cosí la maniera volante, sommaria deidisegni a penna e «a buon mercato» favorisce il dinami-smo impressionistico.

Il largo stile pittorico delle miniature a piena paginae a stesure unite di colore era generalmente considera-to come l’indirizzo della scuola palatina di Aquisgrana,o di Ingelheim, o di altri centri, mentre si attribuiva ilmobile e sensitivo impressionismo del salterio di Utre-cht allo stile locale della scuola di Reims, soggetta ainflussi anglosassoni. Ma da quando si è potuto dimo-strare che dalle botteghe di Reims e dintorni uscironoanche numerosi manoscritti di lusso eseguiti con gran-de minuzia59, la delimitazione geografica degli stili nonappare piú cosí valida. La differenza degli stili, piutto-sto che con la nazionalità degli esecutori e le tradizionilocali delle officine, va spiegata con la diversa condi-zione sociale dei committenti. Prescindendo da certeanalogie stilistiche, è probabile che nella medesima offi-cina siano stati eseguiti manoscritti diversissimi, ora nelpretenzioso stile aulico e classicheggiante, ora nella sem-plice maniera monastica dello schizzo.

Il centro principale dell’attività artistica era senzadubbio l’officina palatina; di qui si diffuse il movimen-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 40

Page 41: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

to «rinascimentale», e di qui pare che siano stati orga-nizzati gli scriptoria dei conventi60. È vero che questi ulti-mi assumeranno solo piú tardi una funzione direttiva. Èperò probabile che molti monaci abbiano lavorato, aitempi di Carlo Magno, nell’officina palatina, come piútardi molti laici saranno attivi nei conventi. Numerosiscriptoria per altro dovevano già essere in attività nel-l’epoca carolingia: ciò che si può inferire non solo dalnumero relativamente grande dei manoscritti conserva-ti, ma anche dal loro livello artistico assai vario. Ci sor-prende, fra l’altro, la qualità media degli intagli in avo-rio ben superiore a quella delle miniature che ci sonorimaste. La maggiore difficoltà tecnica determina unaproduzione piú alta: evidentemente non si danno a lavo-rare materiali preziosi ai dilettanti che trovano impiegonegli scriptoria61. Ma i prodotti di tutte queste botteghe,siano essi dipinti, intagli o lavori in metallo, hanno uncarattere comune: il formato relativamente piccolo. È uncarattere a prima vista inconciliabile con la tendenza allasolennità e alla monumentalità antiche proprie dell’arteaulica, che tende alla grandiosità esteriore come allagrandiosità intrinseca. Si è pensato che la predilezionedell’arte carolingia per il formato ridotto sia dovuta alcarattere incerto e instabile della vita di allora, per moltiaspetti ancora nomade; e si è ricordato che i popolinomadi non hanno un’arte monumentale, ma creanooggetti d’ornamento quanto piú possibile piccoli e facil-mente trasportabili62. In verità, il carattere «nomade»della civiltà carolingia si limita all’importanza seconda-ria delle città e ai continui spostamenti della residenzaregale; ma tanto basta, se non a spiegare completamen-te, almeno a rendere piú comprensibile il piccolo for-mato degli oggetti d’arte.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 41

Page 42: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Capitolo quinto

Poeti e pubblico dell’epica

Come narra Eginardo, Carlo Magno fece raccoglieree trascrivere gli «antichi canti barbarici» di faide e diguerre. Evidentemente essi celebravano gli eroi dell’etàdelle invasioni, Teodorico, Ermanerico, Attila e i loroprodi, e in parte erano già stati elaborati in epopee piúo meno ampie. Ai tempi di Carlo Magno, il canto eroi-co non rispondeva piú al gusto della gente raffinata, cheormai amava poesie classiche e dotte. Anche il re dove-va nutrire per gli antichi canti eroici un interesse pura-mente storico; che li abbia fatti trascrivere prova soloche minacciavano di scomparire. Ma anche la raccoltadi Carlo è andata perduta. Gli uomini della generazio-ne successiva, Ludovico il Pio e i suoi contemporanei,non vollero piú saperne di quella poesia. La forma epicadovette adattarsi alla materia biblica ed esprimere laconcezione cristiana per non sparire del tutto dalla let-teratura. È probabile che anche la raccolta fatta perCarlo sia stata redatta da chierici, e anche prima, a giu-dicare dal Beowulf, furono chierici a redigere le storiedegli eroi. Ma la poesia eroica, oltre che nella letteratu-ra monastica, dev’essersi conservata in un’altra forma,piú vicina all’originaria, prima di risorgere nell’epicadelle corti cavalleresche. Essa dev’essersi rivolta a unpubblico piú vasto di quello della poesia libresca deichierici e forse anche di quello dell’originario canto eroi-co. Scacciata dalla corte e dalle case dei grandi, se inqualche luogo poté durare, e di fatto durò, fu solo pres-

Storia dell’arte Einaudi 42

Page 43: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

so i ceti piú modesti. È comunque certo che essa diven-ne popolare soltanto ora, nei secoli tra la fine dell’etàeroica e il principio dell’età cavalleresca. Ma neanche orasi trasformò in poesia popolare nel vero senso della paro-la; restò nelle mani di poeti di professione, che, nono-stante la loro popolarità, non avevano praticamentenulla in comune con lo spontaneo e impersonale poeta-re del popolo.

L’«epos popolare» della storiografia romantica nonebbe, in origine, alcun rapporto col popolo. Il cantoeroico e celebrativo, da cui proviene l’epos, era la piúschietta poesia di casta che una classe dominante abbiamai creato. Non erano creati, cantati o diffusi dal popo-lo, né a esso diretti, né intonati al suo modo di sentire.Erano in tutto e per tutto poesia d’arte, d’ispirazionenobiliare. Trattavano i fatti e le avventure di una clas-se dirigente guerriera, lusingando la sua smodata ambi-zione, rispecchiando la sua eroica coscienza di sé e la suamorale tragico-eroica; e non solo si rivolgevano a essacome al solo pubblico da prendere in considerazione, mada essa attingevano, almeno inizialmente, anche i poeti.Gli antichi Germani, è vero, avevano avuto prima, edebbero contemporaneamente a questa poesia nobiliare,una poesia ch’era di tutti: formule rituali, scongiuri,indovinelli, massime, canti accompagnatori per la danzae il lavoro e cori per banchetti e funerali. Queste formecostituivano il patrimonio comune, pressoché ancoraindifferenziato, di tutto il popolo, senza che perciò l’e-secuzione fosse necessariamente comune63. Sembra inve-ce che il canto eroico e celebrativo sia stato inventatosolo all’epoca delle migrazioni; il suo carattere aristo-cratico si spiega coi rivolgimenti sociali che furono pro-dotti dall’invasione vittoriosa e posero fine a una culturarelativamente uniforme. Con la stratificazione socialeche successe alle nuove conquiste, l’estensione dei pos-sessi e la fondazione di stati, si sviluppò, accanto alle

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 43

Page 44: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

forme poetiche comuni, una poesia di classe a cui die-dero probabilmente impulso i nuovi elementi dellanobiltà. Non solo essa fu il possesso esclusivo di un cetochiuso e privilegiato, che ostentava il suo carattere dicasta; ma fu anche, a differenza dell’antica poesia comu-ne, arte colta, esperta, individuale, opera di specialistia servizio della classe dominante.

I primi poeti che emersero individualmente all’epo-ca delle migrazioni e degli eroi furono anch’essi, conogni probabilità, guerrieri e appartennero al seguito delre64; almeno nel Beowulf principi e signori si dedicanoalla poesia. Ma presto quegli illustri dilettanti e poetioccasionali vengono sostituiti da poeti di professione,che d’ora in poi fanno parte del saldo complesso di unacorte principesca e per lo piú non sono guerrieri. Loskop, cioè il poeta aulico della Germania occidentale emeridionale, ci si presenta subito come poeta di profes-sione, uno specialista. Lo hofskald dei Germani setten-trionali è ancora guerriero, oltre che poeta, e, comeuomo di fiducia e consigliere dei principi, conserva trat-ti caratteristici del saggio e sapiente cantore dei tempipreistorici. Fatto tanto piú singolare, il concetto dellacreazione personale è, presso lo hofskald, assai piú evo-luto che non nel poeta aulico degli altri Germani, cherecita canti ora suoi, ora altrui, senza sottolineare la dif-ferenza e senza che il pubblico domandi chi sia l’auto-re. La lode degli ascoltatori riguarda sempre la recita-zione. Tra i Norvegesi, invece, poeta e declamatoresono nettamente distinti; si conosce, anzi si esalta ilvanto di essere autore, e si attribuisce gran pregio all’o-riginalità dell’invenzione. Insieme con le opere, si con-servano anche i nomi degli autori; fenomeno che altro-ve si verificherà solo con la comparsa del chierico scrit-tore, ed è forse in rapporto – nel Nord – col prestigiodi cui il poeta gode in quanto guerriero.

Poeti di professione dovevano esserci già presso gli

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 44

Page 45: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Ostrogoti. Cassiodoro dice che Teodorico nell’anno 507mandò un cantore e arpista a Clodoveo, re dei Franchi.Che cantori di questo genere fossero attivi alla corte diAttila, lo sappiamo dalla descrizione di Prisco. Se giàcoprissero l’ufficio di poeti, non risulta dal racconto. Eneppure ci è dato sapere con precisione in che stima litenessero i Germani dell’età eroica. Si afferma che poetie cantori appartenevano alla società di corte ed eranoamici del principe; ma nello stesso tempo si osserva chenel Beowulf, per esempio, non vengono citati per nomeneppure una volta, e quindi il loro prestigio non potevaessere troppo alto. Quel che sappiamo con certezza è chein Inghilterra, fin dal secolo viii, il poeta aulico ebbe unaposizione e un ufficio stabile65; e questa istituzione deveessersi diffusa, prima o poi, fra tutti i Germani. Ma nondurò a lungo, perché presto sentiamo parlare del canto-re girovago, che va di corte in corte, di castello in castel-lo, per intrattenere l’alta società. Questo mutamento,del resto, non ha conseguenze cosí profonde come sipotrebbe pensare; le poesie serbano il loro carattereaulico, anche se i principi e gli eroi a cui sono direttecambiano di volta in volta. Comunque, il carattere pro-fessionale e specialistico è piú accentuato nel cantoregirovago che nel poeta aulico a impiego fisso, il cui rap-porto con la società di corte resta sempre ambiguo. Manon dobbiamo confondere il poeta aulico girovago colcomune vagabondo e musicante, quale ci apparirà piútardi. La distanza fra i due diminuisce soltanto quandoil cantore profano perde il favore delle corti e deve cer-carsi il pubblico alle cantonate, nelle osterie e alle fiere.

Al banchetto serale di Attilla, secondo il racconto diPrisco, ai canti di guerra e di lode seguivano i lazzi deipagliacci, che per noi sono, da un lato, gli eredi degliantichi mimi, e dall’altro gli antenati dei giullari medie-vali. Forse da principio il genere serio e il genere gioco-so non erano cosí nettamente separati come piú tardi,

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 45

Page 46: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

quando il cantore, come funzionario di corte, si allon-tanò sempre piú dai mimi, per riavvicinarsi a loro quan-do diverrà poeta girovago. Fra le cause della crisi a cuisoccombono i poeti aulici dell’ottavo e del nono secolo– oltre all’ostilità del clero66 e al declino delle piccolecorti principesche67 – importantissima è la concorrenzadei mimi68. Il nobile poeta di canti eroici scompare coisentimenti eroici del suo pubblico, ma la poesia eroicasopravvive all’epoca e alla società che l’hanno prodotta.Dopo l’estinzione della cultura aristocratica e guerriera,quella ristretta poesia di classe si trasforma in arte ditutti. Che questo spostamento dall’alto in basso abbiapotuto verificarsi, e che la stessa poesia potesse, quasicontemporaneamente, essere intesa e goduta dall’ari-stocrazia e dal popolo, si può spiegare soltanto con undislivello culturale – fra i signori e il popolo – assai infe-riore a quello che sarà piú tardi. I signori vivevanobensí, fin dall’inizio, in una sfera diversa da quella delpopolo, ma questo distacco non era ancora al centrodella loro coscienza69.

La teoria romantica della poesia eroica come poesiapopolare non fu che un tentativo di spiegare l’elementostorico dell’epopea. Il romanticismo non si era ancorareso conto della funzione propagandistica dell’arte; emai avrebbe sospettato che la poesia potesse avere uninteresse pratico per la nobiltà guerriera dei tempi eroi-ci. Mai, nel suo «idealismo», avrebbe potuto ammette-re che quegli eroi, con la loro poesia, intendessero solocreare a se stessi un monumento o accrescere il presti-gio del loro clan, e che quindi il loro interesse per la tra-smissione poetica dei grandi avvenimenti non fossepuramente ideale. E poiché, d’altra parte, non potevasupporre che gli autori dei canti eroici e dell’epos attin-gessero dalle cronache – un’idea a cui si è addivenutisolo oggi – non gli restava che spiegare l’origine deimotivi storici dell’epos con una tradizione derivata

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 46

Page 47: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

immediatamente dai fatti e trasmessa oralmente pergenerazioni, fino a svilupparsi nella favola compiuta deipoemi epici. La sopravvivenza delle storie eroiche attra-verso la tradizione popolare era del resto la spiegazionepiú semplice della vita sotterranea dell’epos nell’inter-vallo fra le due epoche della sua fioritura letteraria, altempo delle invasioni barbariche e nell’età cavalleresca.Del resto, per i romantici, anche questi fenomeni – ipoemi elaborati e compiuti – non erano che tappe di unosviluppo continuo e omogeneo. Ciò che piú importavanella comprensione di tutto il processo, non erano i sin-goli momenti storici, ma la crescita ininterrotta, la tra-dizione vivente, la vita della saga.

Jakob Grimm, nel suo misticismo folcloristico, giun-se fino a ritenere impensabile che un’epopea popolarefosse «composta»; egli credeva che si facesse da sé, chegermogliasse e crescesse come una pianta. Tutto ilromanticismo era d’accordo nel ritenere che l’epos eroi-co non potesse avere nulla in comune con l’attività poe-tica individuale e riflessa, elaborata seguendo una tec-nica acquisita, ma fosse l’opera del popolo creatore,ingenuo, spontaneo e inconsapevole. Da un lato si spie-gava la poesia popolare come un’improvvisazione col-lettiva, dall’altro come un lento, costante processo orga-nico, con cui era affatto inconciliabile l’idea di salti bru-schi e intenzionali, attribuibili a singoli individui. L’e-pos popolare «cresceva» finché la saga eroica veniva tra-smessa da una generazione all’altra, e cessava di cre-scere solo quando entrava nella letteratura. Qui il ter-mine «saga eroica» indica la forma in cui l’epos è anco-ra interamente proprietà del popolo, e a cui il poetaepico deve la miglior parte dell’opera sua. Ma il pro-blema, anche nei casi in cui si può ammettere una tra-dizione orale dei fatti storici, non è di stabilire in qualemisura il poeta abbia utilizzato la materia tradizionale,ma quanto di essa possa ancora chiamarsi «saga». L’i-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 47

Page 48: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

dea di una tradizione che, senza l’intervento meditatoe cosciente di un poeta, sarebbe in grado di creare unalunga e coerente favola epica, e metterebbe chiunque incondizioni di narrare in modo esauriente e ordinato lafavola stessa, diventata comune possesso del popolo, èassurda da cima a fondo. Una favola finita, coerente econchiusa, per quanto rozza ne sia la forma, non è piúuna saga, ma un’opera di poesia, e chi la racconta perla prima volta ne è il poeta70. Come ha dimostratoAndreas Heusler, è un grave errore credere che le sto-rie degli eroi dapprima corrano di bocca in bocca comesaghe informi e anonime, finché un poeta di professio-ne se ne impadronisce e ne fa un poema. Una saga eroi-ca nasce subito come canto, come poema, che viene poisempre ripreso e rielaborato; l’epos è solo una formatarda, che in certi casi soppianta la piú breve versioneoriginaria, pur senza differirne essenzialmente71. Lasaga veramente ingenua, non letteraria, consta solo dimotivi sporadici, sconnessi, improvvisati, di episodistorici poco coerenti tra loro, di brevi leggende localinon ancora sviluppate. Ecco le pietre che possono rap-presentare il contributo del popolo, dell’impersonalepoeta popolare, ma che praticamente non contengononulla di quel che fa di un canto eroico un canto eroicoe di un’epopea un’epopea.

Joseph Bédier, per l’epopea francese, nega non solola presenza di una saga immediatamente connessa agliavvenimenti storici, ma anche l’esistenza dei canti eroi-ci o di versioni dell’epopea anteriori al secolo x. Ancheper lui, come per tutti gli studiosi della saga dal roman-ticismo in poi, il problema consiste nell’origine degli ele-menti storici dell’epopea. Se, com’egli afferma, non cifu niente di simile a uno sviluppo spontaneo della saga,quale ponte superò i secoli, fra le gesta di Carlo Magnoe l’epopea carolingia? Come passarono i motivi storicinelle chansons de geste? Come divennero note le perso-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 48

Page 49: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

ne e i fatti del secolo viii ai poeti del x e dell’xi? A que-ste domande, secondo Bédier, non si è mai data unarisposta soddisfacente; che le saghe abbiano cominciatoa formarsi già fra i contemporanei degli eroi, è unarisposta dettata dall’imbarazzo, che risolve con unacostruzione del tutto arbitraria il problema di spiegareperché i poeti abbiano scelto a eroi delle loro opere per-sonaggi storici morti da piú di cent’anni72.

Già Gaston Paris aveva contestato la tradizioneorale, ma non aveva potuto superare l’intervallo tra ifatti storici e l’epos, se non per mezzo dei canti eroicidella teoria di Wolf e Lachinann73. Bédier nega, comegià Pio Rajna74, che siano mai esistiti simili canti eroici,almeno in lingua francese, e riconduce l’elemento stori-co dell’epopea al dotto contributo dei chierici. Egli cercadi provare che le chansons de geste nacquero lungo le viedei pellegrinaggi e che i giullari, che le recitavano allefolle raccolte presso le abbazie, erano in certo qual modoi portavoce dei monaci. Questi cioè, per fare réclame ailoro conventi e alle loro chiese, si sforzavano di diffon-dere le storie dei santi e degli eroi che vi erano sepoltio di cui si conservavano le reliquie, e si servivano, a que-sto scopo, dell’arte dei giullari. Di quei personaggi ser-bavano notizie le cronache dei monasteri, unica fonte,secondo il Bédier, dei dati storici che sono alla base deipoemi. Cosí la Chanson de Roland, dove i monaci fannodi Carlo Magno il primo pellegrino a Compostella, sareb-be nata come una saga locale nei conventi sulla via diRoncisvalle, e dagli annali di quei conventi avrebbeattinto la sua materia75.

Alla teoria del Bédier si obbiettò che nella Chansonde Roland, fra tanti nomi di santi e di città spagnole, nonsi accenna a san Giacomo né alla sua tomba, celebremeta di pellegrinaggi. Dov’è dunque la pubblicità, se ilpoeta non nomina la meta del viaggio? L’obbiezione nonè molto fondata, perché può darsi che del poema, pre-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 49

Page 50: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

sto universalmente diffuso e prediletto, noi possediamouna redazione che non abbia piú alcun interesse a nomi-nare il santuario di Compostella. Comunque, nell’epicafrancese è evidente la mano del chierico, come è inne-gabile il tono del giullare. Qui vediamo all’opera, con-giunte, tutte le forze che nelle terre di lingua tedesca eanglosassone hanno contribuito allo scadere del cantoeroico dal livello dell’arte aulica a quello dell’arte popo-lare: i monaci e i mimi, il poeta e il pubblico degli umili,l’interesse religioso e il gusto del commovente e del pic-cante, che passano sempre piú in primo piano. Bédier sabenissimo che i pellegrinaggi non bastano a spiegareogni cosa, e sottolinea che per comprendere le chansonsde geste, le Crociate in Oriente e in Occidente, gli idea-li e i sentimenti della società feudale e cavalleresca sononecessari quanto il mondo ideale dei monaci e il mondosentimentale dei pellegrini. Senza il pellegrino e il frate,esse sono incomprensibili, ma lo sono anche senza ilcavaliere, il borghese o il contadino e, soprattutto, senzail giullare76.

Che cos’è propriamente il giullare? Chi è? Da chederiva? In che si distingue dai suoi predecessori? Lo sidefinisce come un incrocio fra il cantore aulico dell’al-to Medioevo e il mimo classico77. Dall’antichità, il mimoha sempre continuato a prosperare; scomparse anche leultime tracce della cultura classica, gli epigoni dei mimivagavano ancora nei territori dell’Impero e intrattene-vano le folle con la loro arte modesta, facile, incolta78. Ipaesi germanici nell’alto Medioevo sono affollati dimimi; ma fino al secolo ix poeti e cantori delle corti sene tengono rigorosamente lontani. Solo quando, inseguito al Rinascimento carolingio e al clericalismo dellagenerazione successiva, poeti e cantori perdono il loronobile uditorio e si urtano, nelle sfere inferiori, alla con-correnza dei mimi, sono costretti, in una certa misura,a diventare mimi essi stessi79. Ora si muovono entram-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 50

Page 51: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

bi – cantore e commediante – nello stesso ambiente, esi mescolano e influenzano reciprocamente, finché nonsi possono quasi piú distinguere. Cosí scompaiono ilmimo e lo skop, e resta solo il giullare, sorprendente perla sua versatilità. Al posto del nobile poeta aulico, alta-mente specializzato, ecco il volgare giocoliere, che nonè piú soltanto cantore e poeta, ma anche ballerino emusico, drammaturgo e attore, pagliaccio e acrobata,prestigiatore e domatore d’orsi; è, insomma, il buffonepubblico e maître de plaisir del tempo. È finita l’epocadello specialismo, della distinzione, della gravità digni-tosa: il poeta di corte è diventato il buffone da trivio, ela sua degradazione sociale ha su di lui un effetto cosíviolento che – da questo choc – non si riavrà mai deltutto. D’ora in poi egli appartiene al mondo degli spo-stati, vagabondi e prostitute, chierici fuggiaschi e stu-denti cacciati, ciarlatani e mendicanti. È stato chiama-to il «giornalista del tempo»80, ma egli coltiva tutti igeneri: la canzone da ballo e la satira, la favola e ilmimo, la leggenda e l’epopea. In questa compagnia, l’e-popea assume lineamenti affatto nuovi; e acquista a trat-ti un carattere pungente e pieno di effetto, che era deltutto estraneo all’antica poesia epica. Il giullare lascia iltono cupo e patetico, tragico ed eroico dello Hilde-brandslied; vuole divertire anche con l’epos, e cercaanche qui l’espressione drastica, l’effetto finale, l’argu-zia81. La Chanson de Roland, confrontata coi monumen-ti della piú antica poesia eroica, rivela a ogni passo ilgusto popolaresco e piccante del giullare.

Pio Rajna dice di essere giunto quasi alla fine dellasua indagine sull’epopea francese, senza sentire neppu-re una volta il bisogno di servirsi dell’espressione «cantoeroico». Karl Lachmann, invece, avrebbe potuto scri-vere che, senza quel concetto, non sarebbe stato ingrado di dire nulla di essenziale sull’argomento. I roman-tici avevano scomposto l’epopea in saga e canto, perché

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 51

Page 52: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

pensavano che nell’epica dei poeti di professione le forzeirrazionali della storia non apparissero in forma abba-stanza immediata. Ma il nostro tempo preferisce sotto-lineare nell’epopea, come nell’arte in generale, la capa-cità cosciente e la cultura, perché intende l’elementorazionale meglio di quello sentimentale e impulsivo. Ipoemi hanno la loro leggenda, la loro storia eroica: leopere di poesia non vivono solo nella forma che dànnoloro i poeti, ma anche in quella che dà loro la posterità.Ogni epoca si fa il suo Omero, il suo poema nibelungi-co, la sua Chanson de Roland; essa se li ricrea, in quan-to li interpreta secondo il suo modo di sentire. Ma leinterpretazioni girano, per cosí dire, a poco a poco intor-no all’opera, piuttosto che avvicinarsi a essa in linearetta. L’interpretazione piú tarda non è senz’altro la«piú giusta»; ma ogni serio tentativo di interpretazione,dettato dallo spirito vivo del presente, approfondisce edestende il senso dell’opera. È utile ogni teoria che cimostra l’epopea da un nuovo punto di vista storica-mente valido; perché ciò che piú importa non è la veritàstorica, «quel che realmente è accaduto», ma la con-quista di un nuovo, immediato accesso all’oggetto. L’in-terpretazione romantica della saga e della poesia eroicaha chiarito che i poeti dell’epos, anche quando eranoartisti originali, non disponevano della loro materia conassoluta libertà e si sentivano vincolati dalla formaacquisita e tradizionale molto piú strettamente dei poetidi epoche successive. La teoria dei canti eroici ha messodi nuovo in luce la composizione aperta, per addizionisuccessive, del poema epico, e ha aperto la via a inten-dere il suo carattere sociale, richiamando l’attenzionesulla sua origine dai canti guerreschi e celebrativi. Infi-ne la teoria del contributo dei chierici e dei giullari hamesso in luce, da un lato, il suo aspetto popolare e nonromantico, e dall’altro, quello ecclesiastico e dotto. Solodopo tutti questi tentativi di interpretazione era possi-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 52

Page 53: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

bile considerare l’epopea come «poesia ereditaria»82, chesta nel mezzo fra la libera poesia d’arte e la poesia popo-lare ligia alla tradizione.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 53

Page 54: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Capitolo sesto

L’organizzazione del lavoro nei conventi

Scomparso Carlo Magno, il centro culturale dell’Im-pero non è piú la corte. Scienza, arte, letteratura ven-gono ormai dai conventi; nelle loro biblioteche, nei loroscriptoria e nelle loro officine si compie la parte piúimportante della produzione intellettuale. Alla loro dili-genza e alla loro ricchezza l’arte dell’Occidente cristia-no deve la sua prima fioritura. Moltiplicatisi i centri cul-turali per lo sviluppo dei conventi, le tendenze artisti-che cominciano a differenziarsi nettamente. Non si devecredere che i monasteri fossero del tutto isolati; servi-vano a collegarli, se pur non molto strettamente, lacomune dipendenza da Roma, l’influsso generale delmonachesimo irlandese e anglosassone e, piú tardi, lecongregazioni di riforma degli ordini83. Già il Bédier haaccennato ai loro contatti col mondo laico e alla lorofunzione nei pellegrinaggi, in cui fungono da punti d’in-contro fra pellegrini, mercanti e giullari. Ma nonostan-te questi rapporti con l’esterno, i conventi restano unitàsostanzialmente autonome, raccolte in se stesse, e piútenacemente fedeli alle loro tradizioni di quel che nonfosse prima la corte, sensibile al variare delle mode, odi quel che sarà, piú tardi, la società borghese.

La regola benedettina prescriveva il lavoro manualecome quello intellettuale, e metteva l’accento soprat-tutto sul primo. Come il feudo, cosí il convento cerca-va di sviluppare per quanto possibile un’economia autar-

Storia dell’arte Einaudi 54

Page 55: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

chica, producendo tutto il necessario. L’attività deimonaci si estendeva dal lavoro nei campi e negli ortiall’artigianato. Fin dal principio i lavori piú pesantifurono sbrigati in gran parte dai contadini liberi e daiservi e, piú tardi, anche dai frati laici; ma l’artigianato,specie nei primi tempi, era esercitato soprattutto daimonaci; e proprio attraverso l’organizzazione del lavo-ro artigiano il monachesimo ha esercitato il piú profon-do influsso sullo sviluppo dell’arte e della cultura medie-vale. Se la produzione artistica procede in forma piúordinata, con una certa divisione del lavoro, con meto-di piú o meno razionali, e se anche elementi della clas-se superiore attendono al suo esercizio, è tutto meritodegli ordini monastici. È noto che nei conventi dell’al-to Medioevo prevalevano gli aristocratici; certi conven-ti eran quasi esclusivamente riservati a loro84. Cosí per-sone che altrimenti non avrebbero mai preso in mano unpennello sporco, uno scalpello o una cazzuola, entraro-no direttamente in contatto con le arti figurative. Certo,il disprezzo per il lavoro manuale è ancora molto diffu-so nel Medioevo, e l’idea del «signore» resta a lungoinscindibile da quella della vita oziosa; ma non c’è dub-bio che ora, contrariamente a quel che accadeva nel-l’antichità, accanto alla vita signorile, legata a un ozioillimitato, anche la vita laboriosa acquista un suo valo-re positivo, e questo nuovo atteggiamento verso il lavo-ro si ricollega, fra l’altro, alla popolarità della vita mona-stica. Ancora nel tardo Medioevo, nell’etica borghesedel lavoro, quale si esprime, ad esempio, negli statutidelle corporazioni, riecheggia lo spirito della regola con-ventuale. Non si può dimenticare, d’altronde, che neiconventi il lavoro viene ancora considerato, in parte,come penitenza e punizione85; e anche san Tommasoparla di viles artifices (Comm. in Polit., 3. 1. 4). Di unanobilitazione della vita ad opera del lavoro non è anco-ra possibile parlare.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 55

Page 56: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Dai monaci l’Occidente ha appreso a lavorare conmetodo; l’industria del Medioevo è in gran parte operaloro. Gli artigiani, ancora abbastanza numerosi nellecittà come eredi dell’antica industria romana86, lavora-rono – fino alla rinascita dell’economia urbana – in limi-ti molto modesti, e diedero uno scarso contributo allosviluppo delle tecniche industriali. Certo, artigiani spe-cializzati erano attivi anche presso i palazzi reali e neimaggiori feudi; ma essi appartenevano alla casa del re oalla servitú, e il loro lavoro conservava un carattere diattività domestica, ispirata alla tradizione piuttosto chea finalità razionali. Solo nei conventi l’artigianato sisvincola dall’ambito domestico. È nei conventi che siapprende a far economia di tempo, a dividere e utiliz-zare razionalmente la giornata, a misurare lo scorreredelle ore e ad annunciarle col tocco della campana87. Ladivisione del lavoro diventa il principio fondamentaledella produzione, mantenuto non soltanto entro la cintadel chiostro, ma in una certa misura anche nei rapportifra i diversi conventi.

Fuori dei monasteri, l’attività artistica era coltivatasoltanto nei domini del re e presso le maggiori corti feu-dali, e anche là solo nelle forme piú semplici. Ed è pro-prio in questa attività che i conventi si segnalarono inmodo particolare. Fra i loro piú antichi titoli di gloriac’era la copia e l’illustrazione dei manoscritti88. L’isti-tuzione delle biblioteche e degli scriptoria, che Cassio-doro aveva introdotto a Vivarium, fu imitata dalla mag-gior parte dei conventi benedettini. Gli amanuensi e iminiatori di Tours, Fleury, Corbie, Treviri, Colonia,Ratisbona, Reichenau, Sant’Albans, Winchester, eranocelebri fin dall’alto Medioevo. Presso i benedettini, gliscriptoria erano grandi laboratori comuni; presso altriordini, come i cistercensi e i certosini, piccole celle. Laproduzione di tipo industriale e l’attività del singolopotevano quindi sussistere l’una accanto all’altra. Sem-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 56

Page 57: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

bra inoltre che il lavoro dei copisti e degli alluminatorifosse ovunque specializzato secondo i vari compiti. Sidistinguevano, oltre i pittori (miniatores), i maestri esper-ti in calligrafia (antiquarii), gli aiutanti (scriptores) e i pit-tori d’iniziali (rubricatores). Oltre ai monaci, gli scripto-ria impiegavano amanuensi salariati, cioè laici che lavo-ravano un po’ a casa propria, un po’ in convento. L’il-lustrazione dei libri era arte monastica per eccellenza;ma i frati si occupavano anche d’architettura, sculturae pittura, erano orefici e smaltisti, tessevano sete e araz-zi, istituivano fonderie di campane e legatorie, fabbri-che di vetri e di ceramiche. Alcuni monasteri divenne-ro veri e propri centri industriali; e se inizialmente Cor-bie aveva soltanto quattro officine principali con ven-totto operai, già nel secolo ix troviamo a St-Riquier vieintere riservate alle officine degli armaioli, altre ai sel-lai, ai rilegatori, ai calzolai, e cosí via89.

Non solo nell’agricoltura, lavoro fisicamente gravo-so, in cui i monaci, crescendo le loro ricchezze, agivanosempre piú come proprietari e amministratori e sempremeno come contadini; ma anche negli altri rami dellaproduzione essi sbrigavano solo una parte del lavoromanuale e si dedicavano piuttosto all’organizzazionedelle aziende. Si è potuto constatare che, anche dellacopia dei manoscritti, si occupavano assai meno di quelche si pensasse; e, a giudicare dall’aumento delle biblio-teche, non piú di un cinquantesimo del tempo comples-sivo di lavoro di tutti i monaci di un convento era impie-gato nella trascrizione dei manoscritti90. Frati laici elavoratori esterni furono certamente impiegati neimestieri fisicamente faticosi, soprattutto nell’edilizia;in minor misura, nell’artigianato industriale. Ma poichéc’era una continua richiesta da parte delle chiese e dellecorti, bisogna ritenere che anche in questo ramo i con-venti fossero pronti a impiegare operai e artisti esperti.Oltre i monaci, gli operai liberi e i servi delle corti feu-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 57

Page 58: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

dali, ci furono sempre artigiani e artisti che costituiva-no gli elementi di un mercato libero, benché limitato,del lavoro. Erano girovaghi, che trovavano impiego oranei conventi, ora nelle sedi vescovili e alle corti feuda-li, ed è certo che i frati li impiegavano regolarmente. Èattestato che l’abbazia di San Gallo e il convento diSaint Emmeran a Ratisbona chiamarono molti artigianiambulanti per costruire i loro reliquiari. Nei grandi can-tieri delle chiese era uso generale chiamare architetti,lapicidi, maestri del legno e del metallo, da paesi vicinie lontani, specialmente da Bisanzio e dall’Italia91. Mal’impiego di lavoranti forestieri, se è vera la notizia delle«ricette segrete» gelosamente custodite nei conventi,deve aver suscitato, talvolta, qualche difficoltà. Chequesti segreti esistessero o meno, le officine dei conventinon erano soltanto aziende industriali, ma spesso anchesedi di esperimenti e di ricerche tecniche. Alla fine delsecolo xi il benedettino Teofilo, nelle sue note (Schedu-la diversarum artium), poteva descrivere tutta una seriedi invenzioni fatte nei conventi, come la produzione delvetro, le vetrate dipinte a fuoco, le misture dei colori aolio e cosí via92.

Del resto, anche gli artisti e gli artigiani ambulantiuscivano in gran parte dalle officine dei monasteri, cheerano le «scuole d’arte» di allora e curavano special-mente l’addestramento dei giovani93. In molti conventi,come Fulda e Hildesheim, si istituirono laboratori arti-giani, destinati a istruire la mano d’opera necessariatanto ai conventi e ai vescovadi, quanto ai feudi e allecorti94. Ottima scuola d’arte fu il convento di Solignac,fondato da sant’Eligio, il piú celebre orafo del secolo vii.Un altro alto ecclesiastico che, a quanto si dice, si resebenemerito anche come educatore di artefici, fu il vesco-vo Bernward: illuminato patrono dell’architettura e dellalavorazione del bronzo, ideò le porte di bronzo per lacattedrale di Hildesheim. Di altri ecclesiastici, meno

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 58

Page 59: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

altolocati, che furono artisti, spesso non sappiamo chei nomi, ignorando completamente il loro contributo per-sonale all’arte del Medioevo. Nel caso del monaco Tuo-tilo le notizie si sono condensate nella leggenda di unartista, ma è stato osservato che si tratta di una pura esemplice personificazione della vita artistica del con-vento di San Gallo, e di un pendant medievale del mitogreco di Dedalo95.

Importantissimo è il contributo dei monaci allo svi-luppo dell’architettura sacra. Fino alla fioritura dellecittà, quando sorgono i cantieri delle cattedrali, essa èquasi interamente in mano di ecclesiastici, anche se sipuò supporre che gli artisti e gli operai addetti allacostruzione delle chiese non fossero tutti frati. Comun-que, a capo delle maggiori imprese architettoniche tro-viamo quasi sempre ecclesiastici; anche se, con ogni pro-babilità, essi furono i fabbricieri piuttosto che gli archi-tetti96. L’attività edilizia dei singoli conventi era troppodiscontinua, perché i monaci, legati a determinati chio-stri, potessero scegliere la professione di architetto. Essaera aperta solo ai laici, liberi nei loro movimenti. Maanche qui vi sono eccezioni. È noto, per esempio, che ilmonaco Hilduard fu architetto della chiesa abbaziale delSaint-Père a Chartres. Sappiamo pure che san Bernar-do di Clairvaux mise a disposizione di altri conventi unfrate del suo ordine, l’architetto Achard; e Isembert, ilcostruttore della cattedrale di Saintes, gettò ponti, oltreche in quella città, a La Rochelle e in Inghilterra97. Masiano stati questi casi piú o meno frequenti, le arti mino-ri, meno gravose, rispondevano assai meglio dell’archi-tettura allo spirito del lavoro monastico.

La sopravvalutazione del contributo monastico allastoria dell’arte risale al romanticismo, e fa parte di quel-la leggenda del Medioevo che sopravvive ancora oggi, eche rende difficile accostarsi spregiudicatamente allarealtà storica. La formazione delle grandi chiese medie-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 59

Page 60: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

vali fu interpretata romanticamente, come quella deipoemi eroici. Si volle applicare anche qui il principio diquell’accrescimento organico, quasi vegetale, che si cre-deva di riconoscere nella poesia popolare; anche in que-sto campo si contestò ogni progetto specifico e ognilinea direttiva; e si negò l’esistenza di architetti a cui sipotessero attribuire quelle fabbriche, cosí come si nega-va, per i poemi epici, l’esistenza di un poeta individua-le. In altre parole, si voleva considerare decisiva nel-l’arte, non la sapienza e la meditazione dell’artista, mal’opera ingenua e puramente tradizionale dell’artigiano.Alla leggenda romantica del Medioevo appartiene anchel’anonimato dell’artista. Nel suo ambiguo atteggiamen-to di fronte all’individualismo moderno, il romanticismopresentava la creazione anonima come il segno dellavera grandezza, e indugiava con speciale amore sull’im-magine dell’ignoto frate che creava l’opera sua unica-mente a gloria di Dio, nell’ombra della sua cella e senzaminimamente curarsi della propria personalità. Ma, conbuona pace dei romantici, quando ci è noto qualchenome d’artista medievale, si tratta quasi esclusivamen-te di monaci, e i nomi scompaiono proprio quando l’e-sercizio dell’arte passa dalle mani dei chierici in quelledei laici. La spiegazione è semplice: erano i chierici adecidere se il nome di un artista dovesse comparire suun monumento d’arte sacra, e naturalmente davano lapreferenza ai religiosi. Ma anche i cronisti che solevanoannotare quei nomi, e che eran tutti monaci, si curava-no di menzionare un artista solo quando si trattava diun confratello. Certo se si pensa all’antichità classica oal Rinascimento, salta all’occhio il carattere impersona-le dell’opera d’arte e la discrezione dell’artista medie-vale. Perché, anche quando si fa il nome d’un artista equesti collega alla propria opera un’ambizione persona-le, è estraneo, a lui come al suo tempo, il concetto del-l’originalità. Ma il romanticismo esagera quando parla

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 60

Page 61: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

di un’arte medievale essenzialmente anonima. La minia-tura, in tutto il corso del suo sviluppo, fornisce innu-merevoli esempi di opere firmate98. Per i monumentiarchitettonici medievali, nonostante il gran numero diopere distrutte e di documenti smarriti, si sono potutiaccertare venticinquemila nomi99. Ma non si devedimenticare che, dove le iscrizioni fanno seguire al nomeil predicato fecit, molto spesso s’intende, secondo lostile medievale, il fabbriciere o il committente, e non giàl’architetto; vescovi, abati e altri dignitari ecclesiastici,a cui si attribuiscono queste costruzioni, non sono perlo piú che i «presidenti del comitato», e non gli archi-tetti, né i dirigenti del cantiere100.

Ma quale che fosse la parte dei religiosi nella costru-zione delle loro chiese, e comunque fosse distribuito illavoro tra monaci e laici, le varie funzioni potevano divi-dersi fino a un certo limite. Può darsi che il capitolo delduomo o la fabbriceria del convento decidesse collegial-mente sulla sorte dei progetti, e forse i lavori artigiani nelloro complesso erano compiuti dai membri di un gruppoche operava collettivamente; ma i singoli atti del processocreativo potevano essere compiuti soltanto da pochi arti-sti consapevoli dei loro fini. Una struttura cosí compli-cata come una chiesa medievale non poteva sorgere almodo di una canzone popolare, che, in ultima analisi,proviene anch’essa da un individuo, anche se ignoto, manasce senza un disegno e si accresce, come un cristallo,per addizioni esterne. Non è tanto l’idea dell’opera d’ar-te come creazione collettiva che è romantica e scientifi-camente incontrollabile: anche l’opera del singolo artistarisulta dai contributi di piú facoltà intellettuali, in parteindipendenti, la cui fusione è spesso fittizia ed esterio-re. Ingenua e romantica è l’idea che un’opera d’arte, finnei suoi ultimi elementi, sia la creazione indifferenziatadi un gruppo, e non abbia bisogno di un piano unitarioe consapevole, per quanto soggetto a mutamenti.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 61

Page 62: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Capitolo settimo

Feudalesimo e arte romanica

L’arte romanica fu monastica, ma anche aristocra-tica. È forse qui che si rispecchia nel modo piú evi-dente la solidarietà spirituale fra clero e nobiltà. Comele cariche sacerdotali nell’antica Roma, cosí nella Chie-sa medievale i posti piú importanti erano riservati aimembri dell’aristocrazia101; ma se abati e vescovi eranointimamente legati alla nobiltà feudale, non era tantoper la loro origine aristocratica, quanto per i loro inte-ressi economici e politici. Essi dovevano i loro beni ela loro potenza allo stesso ordine sociale su cui pog-giavano le prerogative dei laici. Fra le due aristocrazieesisteva, se pur non sempre esplicita, una costantealleanza. Gli ordini monastici, i cui abati disponevanodi enormi ricchezze e di legioni di sottoposti, e dallecui file uscirono i papi piú energici, i consiglieri piúautorevoli e i piú pericolosi rivali degli imperatori e deire, non erano meno estranei e distanti dalle masse diquel che non fosse la nobiltà laica. Il loro costume feu-dale mutò soltanto per l’influsso ascetico della riformacluniacense; ma di un orientamento piú democraticonon si può parlare che dopo la fondazione degli ordi-ni mendicanti. I conventi, in mezzo alle loro vasteterre, sui declivi dei monti che dominano il paese, conle loro muraglie scoscese, massicce, a guisa di baluar-di, sono inaccessibili come le fortezze e i castelli deiprincipi e dei baroni: nulla di piú naturale che anche

Storia dell’arte Einaudi 62

Page 63: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

l’arte prodotta nei conventi corrisponda allo spiritodella nobiltà secolare.

La nuova nobiltà, che si è sviluppata dall’aristocra-zia dei guerrieri e funzionari franchi, e che alla fine delsecolo ix, è già completamente feudalizzata, si pone oraalla testa della società e diventa l’unico potere effetti-vo. Gli antichi funzionari del re sono diventati unapotente, superba, riottosa nobiltà ereditaria, ormaidimentica della sua origine burocratica, con privilegiche sembrano risalire a tempi immemorabili. Nel corsodegli anni, il rapporto col re si è completamente inver-tito; in origine la corona era ereditaria e ogni sovranopoteva scegliere a suo talento consiglieri e funzionari;ora invece è ereditario il privilegio della nobiltà, e sonoi re a essere eletti102. Gli stati romano-germanici del-l’alto Medioevo si trovavano di fronte a difficoltà inparte già sensibili nella tarda antichità, e che fin d’al-lora si era cercato di superare con misure tendenzial-mente feudali, quali il colonato, i tributi in natura, lefunzioni fiscali affidate dallo stato ai proprietari diterre. La mancanza del denaro necessario a mantenereun conveniente apparato amministrativo e un esercitoefficiente, il pericolo delle invasioni e la difficoltà didifendere regioni molto estese esistevano fin dagli ulti-mi tempi di Roma; nuove difficoltà si aggiunsero nelMedioevo per la mancanza di funzionari esperti, per ilmaggiore e costante pericolo di attacchi e la necessità,soprattutto contro gli Arabi, di una nuova arma, lacavalleria corazzata; corpo che, per l’armamento costo-so e per l’addestramento piuttosto lento dei nuovi con-tingenti, imponeva allo stato gravami insopportabili. Ilfeudalesimo è l’istituzione con cui il secolo ix cercò dirisolvere queste difficoltà, soprattutto quella di creareun esercito di cavalieri pesantemente armati. In man-canza di altri mezzi, il servizio militare venne pagatocon la concessione di terre, immunità e diritti sovrani,

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 63

Page 64: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

come i poteri fiscali e giudiziari; tali privilegi formaro-no la base del nuovo sistema. Il beneficium, cioè il donooccasionale di terre del dominio regale in compenso diservigi resi, o la loro concessione in usufrutto come sti-pendio per regolari prestazioni burocratiche o militari,esisteva fin dal tempo dei Merovingi. Nuovo è il carat-tere feudale delle concessioni e il vassallaggio, cioè ilrapporto contrattuale e il vincolo di fedeltà, il sistemadi servigi e impegni reciproci, il principio della mutuafede e della lealtà personale che subentra ormai all’an-tica sudditanza. Il feudo, che in origine era solo un pos-sesso in usufrutto per un tempo limitato, nel corso delsecolo ix diventa ereditario.

La creazione della cavalleria feudale, con l’investitu-ra ereditaria come base su cui si fonda il servigio, rap-presenta una delle innovazioni piú rivoluzionarie dellastoria occidentale; essa trasforma un organo dell’autoritàcentrale in una potenza a sé, quasi illimitata, entro lostato. Cosí finisce la monarchia assoluta del Medioevo.D’ora in poi, il re ha tanto potere quanto gliene dànnole sue terre private, e un’autorità di cui potrebbe dispor-re anche se le avesse in feudo. L’epoca immediatamen-te successiva ignora lo stato nel senso moderno; ignoral’unità amministrativa, la solidarietà civile, il vincologiuridico dei sudditi103. Il feudalesimo è una piramidesociale che culmina in un punto astratto. Il re guerreg-gia, ma non governa; governano i grandi proprietari diterre, e non come funzionari e stipendiati, favoriti e par-venus, beneficiari e prebendari, ma come signori indi-pendenti, che fondano i loro privilegi, non sull’autoritàche ha dal principe la sua legittima origine, ma unica-mente sulla loro effettiva e diretta potenza personale. Lacasta dominante avoca a sé tutte le prerogative di gover-no, l’intero apparato amministrativo, tutti i posti dicomando nell’esercito, i piú alti gradi della gerarchiaecclesiastica, e acquista nello stato un influsso quale

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 64

Page 65: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

forse nessun’altra classe aveva mai posseduto. Neppurel’aristocrazia greca nel suo massimo fiore assicurava aisuoi membri tanta libertà personale quanta ne offrí aisignori feudali l’indebolita monarchia dell’alto Medioe-vo. A ragione i secoli dominati da questa nobiltà sonostati chiamati l’epoca aristocratica della storia euro-pea104; in nessun altro periodo le forme della civiltà occi-dentale dipesero cosí esclusivamente dalle concezioni,dagli ideali sociali e dall’orientamento economico di unsolo ceto relativamente ristretto.

Nell’alto Medioevo, nella generale scarsità di denaroe di traffici, quando la proprietà fondiaria costituisce l’u-nica fonte di reddito e l’unica forma di ricchezza, il feu-dalesimo è la naturale soluzione dei problemi connessial governo e alla difesa del paese. Il ritorno alla civiltàrurale, già avviato alla fine dell’antichità, è ormai unfatto compiuto; l’economia è un’economia agricola, lavita è vita di campagna. Le città hanno perso la loroimportanza e la loro forza di attrazione; la stragrandemaggioranza della popolazione è ridotta a vivere in pic-cole sedi sparse, isolate l’una dall’altra. Socievolezzaurbana, commercio e scambi sono scomparsi; la vita haassunto forme piú semplici, provinciali. L’unità socialeed economica in cui tutto s’inquadra è la corte feudale;si è disappreso a muoversi entro confini piú vasti, apensare in categorie piú comprensive. Poiché mancanoper lo piú denaro e traffici, città e mercati, non resta cherendersi indipendenti dall’esterno e rinunciare tantoall’acquisto di prodotti forestieri quanto alla venditadei propri. Si determina cosí una situazione in cui si puòdire che manchi ogni stimolo a produrre piú di quantorichiedano i propri bisogni. È noto che Karl Bücher hachiamato questo sistema «economia domestica chiusa»e l’ha caratterizzata come un’autarchia del tutto privadi denaro e di scambi105. Come sappiamo, un quadro cosírigido non corrisponde interamente alla realtà; la tesi di

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 65

Page 66: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

un’economia puramente domestica e autosufficiente siè dimostrata, per il Medioevo, insostenibile106, e a ragio-ne si è proposta la formula di «economia senza merca-ti» piuttosto che di «economia senza scambi»107. Ma ilBücher non ha fatto che accentuare i caratteri dell’eco-nomia medievale, senza peraltro inventarli; perché nes-suno può contestare nell’epoca feudale la tendenzaall’autarchia. È di regola consumare i beni là dove sonostati prodotti, benché sussistano molte eccezioni e gliscambi non cessino mai del tutto. In ogni caso, è per-fettamente legittimo distinguere, secondo l’indicazionedi Marx, la produzione dell’alto Medioevo, limitata alconsumo, dalla piú tarda produzione di merci; e la cate-goria dell’«economia domestica chiusa», concepita cometipo ideale e non come realtà concreta, si rivela indi-spensabile alla caratterizzazione dell’economia feudale.

Il tratto piú caratteristico di questa economia, e quel-lo per cui essa può culturalmente orientare lo spirito deltempo, è senza dubbio la mancanza di ogni stimolo allasovrapproduzione, e quindi la fedeltà ai metodi tradi-zionali e al ritmo consueto della produzione, senza inven-zioni tecniche o innovazioni organizzative. È stato osser-vato108 – che essa è una pura «economia di spesa», chetanto produce quanto consuma e come tale non ha ideadel risparmio e del lucro, non sa di calcoli né di specula-zioni, e ignora il metodico impiego delle forze disponi-bili. Al tradizionalismo e all’irrazionalismo di questa eco-nomia corrisponde la staticità delle forme sociali e l’ir-removibilità delle barriere fra i diversi ceti. Gli «stati»in cui la società è divisa appaiono non solo ragionevoli,ma anche voluti da Dio, e non c’è praticamente nessunapossibilità di elevarsi da uno «stato» all’altro; ogni ten-tativo di superare i confini fra le classi equivale alla ribel-lione contro una legge divina. Il principio della concor-renza intellettuale, l’ambizione di sviluppare e afferma-re la propria individualità, non potrebbe sorgere in una

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 66

Page 67: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

società irrigidita nelle sue caste, come il principio dellaconcorrenza commerciale in un’economia senza mercati,senza premi di produzione, senza prospettive di guada-gno. Alla staticità economica e sociale corrisponde anchenella scienza, nell’arte, nella letteratura, un rigido, immo-bile conservatorismo, fermo ai valori riconosciuti. Lostesso principio di immobilità che fissa l’economia e lasocietà alle loro tradizioni, rallenta anche lo sviluppo delpensiero scientifico e dell’esperienza artistica, e imprimealla storia dell’arte romanica quell’andamento calmo,quasi pesante, che per quasi due secoli impedirà ogni veromutamento stilistico. E come nell’economia è affattoassente lo spirito del razionalismo, l’idea di una produ-zione metodica e l’attitudine al calcolo e alla speculazio-ne, come nella vita pratica si trascura generalmente l’e-sattezza delle cifre e delle date, la precisazione dellequantità, cosí il pensiero ignora totalmente le categorieche si fondano sui concetti di merce, moneta e profitto.All’economia precapitalistica e prerazionalistica corri-sponde uno spirito preindividualistico, tanto piú facile daspiegare, in quanto l’individualismo implica il principiodella concorrenza.

Il concetto di progresso è del tutto ignoto all’altoMedioevo, che, insensibile al valore del nuovo, cerca diconservare fedelmente l’antica tradizione. E non solo gliè estraneo il concetto di progresso proprio della scienzamoderna109, ma anche nell’interpretazione di verità notee garantite dall’autorità, quel che piú importa non è l’o-riginalità dell’interpretazione, ma la conferma e il con-solidamento delle verità stesse. Senza scopo e senzasenso appare lo sforzo di riscoprire quel che è già statotrovato, di dare una nuova forma a ciò che già ne ha una,di interpretare diversamente la verità. I valori supremisono fissi e chiusi in forme definitive: sarebbe traco-tanza volerle mutare. Lo scopo è il possesso dei valori,non la fecondità dello spirito. È un’epoca ferma, sicura

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 67

Page 68: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

in se stessa, di robusta fede, che non dubita delle sueverità e delle sue leggi morali, non conosce dissidi spi-rituali né conflitti di coscienza, non sente desiderio delnuovo, né sazietà del vecchio. In ogni caso essa nonfavorisce né sollecita pensieri e inclinazioni del genere.

La Chiesa dell’alto Medioevo, plenipotenziaria emandataria della classe dominante in tutti i problemi spi-rituali, soffocò in germe ogni dubbio sull’assoluta vali-dità dei comandamenti e dei precetti che scaturivanodall’idea che questo mondo è voluto da Dio e garanti-vano l’ordine esistente. La cultura, in cui ogni aspettodell’esistenza era in diretto rapporto con la fede e leverità soteriologiche, era caratterizzata dalla dipenden-za di tutta la vita spirituale – dell’arte e della scienza,del pensiero e della volontà – dall’autorità della Chiesa.La concezione metafisica e religiosa del mondo, in cuiogni cosa terrena è in rapporto con l’ultraterreno, e ognicosa umana col divino, dove tutto ha un senso trascen-dente ed esprime la volontà divina, è utilizzata dallaChiesa per conferire validità assoluta alla teocraziagerarchica che si attua nel sacerdozio sacramentale. Dalprimato della fede sulla scienza essa derivò il diritto distabilire d’autorità e inappellabilmente le direttrici e ilimiti della cultura. Solo come «cultura autoritaria ecoatta»110, solo sotto la minaccia di sanzioni, quali pote-va infliggere la Chiesa, in possesso di tutti gli strumen-ti di salvazione, poteva svilupparsi e affermarsi unavisione del mondo cosí conchiusa e omogenea comequella dell’alto Medioevo. Gli angusti limiti posti dalfeudalesimo, con l’aiuto della Chiesa, al pensiero e allavolontà del tempo, spiegano l’assolutismo del sistemametafisico, che si opponeva brutalmente a ogni manife-stazione filosofica originale, come il sistema sociale aogni libertà; e imponeva al mondo dello spirito gli stes-si principî d’autorità e di gerarchia che si esprimevanonelle forme dell’assetto sociale.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 68

Page 69: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Il programma culturale assolutistico della Chiesa sirealizza pienamente solo dopo la fine del secolo x, quan-do si affermano, col movimento cluniacense, un nuovospiritualismo e una nuova intransigenza intellettuale.Ora il clero, perseguendo i propri fini totalitari, ali-menta uno stato d’animo apocalittico di fuga dal mondoe desiderio di morte, mantiene gli animi in un’esalta-zione religiosa, predica la fine del mondo e il Giudiziouniversale, organizza pellegrinaggi e crociate, scomuni-ca re e imperatori. In questo spirito autoritario e mili-tante la Chiesa conduce a termine l’edificazione dellaciviltà medievale, che solo ora, sullo scorcio del secolo,appare in tutta la sua coerenza e singolarità111. Ora sor-gono le prime grandi chiese romaniche, le prime grandicreazioni dell’arte medievale in senso stretto. Il secoloxi è un’epoca d’oro per l’architettura sacra, mentre fio-risce la filosofia scolastica, e, in Francia, l’epopea d’i-spirazione ecclesiastica. Questo rigoglio intellettuale, especialmente il fiorire dell’architettura, sarebbe incon-cepibile senza l’enorme incremento del patrimonio eccle-siastico. L’epoca delle riforme monastiche è anche iltempo delle grandi donazioni e fondazioni a favore deiconventi112. Non solo cresce la ricchezza dei monasteri,ma anche quella dei vescovati, specialmente in Germa-nia, dove i re cercano di ottenere l’alleanza dei principidella Chiesa contro i vassalli ribelli. Grazie ai loro doni,accanto alle grandi abbazie sorgono le prime cattedrali.In questo periodo, come già sappiamo, i re non hannoresidenza stabile, e alloggiano con la loro corte ora pres-so un vescovo, ora in un’abbazia del regno113. In man-canza di una capitale, essi non esplicano direttamentealcuna attività edilizia, ma soddisfano la loro passionedi costruttori favorendo le iniziative dei vescovi. Aragione, in Germania, si considerano e si chiamano «cat-tedrali imperiali» le grandi chiese episcopali di queltempo.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 69

Page 70: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

Queste chiese romaniche, in armonia con lo spiritodei fondatori, sono costruzioni imponenti e massicce,espressione di potenza e di mezzi illimitati. Sono statechiamate «fortezze di Dio», e difatti sono grandi, saldee massicce come le fortezze e i castelli di allora: troppograndi per le comunità dei fedeli. Ma non vengonoinnalzate per i credenti, bensí a gloria di Dio, e, comele costruzioni sacre dell’antico Oriente, e nessun’altraarchitettura nella stessa misura, assolvono una funzionerappresentativa. Anche Santa Sofia era immensa, ma lasua grandezza aveva un certo qual fondamento pratico,poiché essa era la primaziale di una metropoli; mentrele chiese romaniche sorgono tutt’al piú in cittadine pic-cole e tranquille, dato che non ci sono piú grandi cittàin Occidente.

Sarebbe facile ricondurre, non solo le proporzioni, maanche le forme grevi, ampie e possenti dell’architetturaromanica, alla potenza politica dei loro costruttori, econsiderarle come l’espressione di un aspro dominio diclasse e di un inflessibile spirito di casta. Ma ciò signifi-cherebbe confondere le cose anziché spiegarle. Se si vuolcomprendere la solennità dell’arte romanica, il suo volu-me opprimente, la sua calma severità, bisognerà pensareal suo «arcaismo», al suo ritorno alle forme semplici, sti-lizzate, geometriche: fenomeno che è in rapporto con cir-costanze molto piú concrete e tangibili del generale orien-tamento autoritario del tempo. L’arte del periodo roma-nico è piú semplice e omogenea, meno eclettica e diffe-renziata di quella dell’epoca bizantina o carolingia, siaperché non è piú arte aulica, sia perché, fin dal tempo diCarlo Magno, le città dell’Occidente, soprattutto inseguito alla penetrazione degli Arabi nel Mediterraneo ealla interruzione del commercio fra Oriente e Occiden-te, hanno subìto un ulteriore regresso.

Ciò significa, in altre parole, che la produzione arti-stica non dipende piú dal gusto raffinato, e mutevole

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 70

Page 71: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

della corte, né dallo spirito inquieto della città. Permolti aspetti essa è forse piú rozza e primitiva della pro-duzione artistica dell’epoca immediatamente preceden-te, ma contiene un numero molto minore di elementiinassimilati, o non sufficientemente elaborati, dell’artebizantina e, soprattutto, dell’arte carolingia. Non parlapiú il linguaggio della passiva imitazione, ma quello diun rinnovamento religioso.

Abbiamo di nuovo a che fare con un’arte dove ilsacro e il profano quasi si confondono, e di fronte allaquale i contemporanei non potevano sempre rendersiconto della differenza tra il fine ecclesiastico e il finemondano. In ogni caso, essi sentivano molto meno net-tamente di noi la frattura tra le due sfere, anche se, inquest’epoca relativamente tarda, non si può piú parlaredi una perfetta sintesi di arte, vita e religione, comevoleva il romanticismo. Perché, sebbene il Medioevo cri-stiano fosse molto piú profondamente e ingenuamentereligioso dell’antichità classica, tuttavia il rapporto fravita religiosa e vita sociale era piú stretto presso i Grecie i Romani che presso i popoli cristiani del Medioevo.L’antichità era piú vicina ai tempi preistorici almeno inquesto, che per essa stato, stirpe e famiglia non signifi-cavano soltanto gruppi sociali, ma unità culturali ed entireligiosi. I cristiani del Medioevo invece distinguevanogià le forme naturali della vita associata dai rapporti tra-scendenti della religione114. L’unificazione a posterioridei due ordini nell’idea dello stato voluto da Dio non fumai cosí intima da far sí che i gruppi politici e i vincolidel sangue acquistassero un carattere religioso nellacoscienza del popolo.

La natura sacrale dell’arte romanica non significa chela vita del tempo fosse penetrata di religiosità in tuttele sue manifestazioni (ciò che non corrisponderebbeaffatto alla realtà); essa si spiega piuttosto con la situa-zione prodottasi in seguito al disgregamento della società

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 71

Page 72: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

di corte, delle amministrazioni municipali e del poterecentrale: disgregamento che ha fatto della Chiesa pres-soché la sola committente di opere d’arte. A ciò siaggiunga che, in seguito alla totale clericalizzazione dellacultura, l’arte era considerata non piú come un oggettodi godimento estetico, ma anch’essa come «servizio diDio, offerta, sacrificio»115. Qui il Medioevo è piú vici-no dell’antichità classica alla mentalità primitiva. Ma ciònon vuol dire che il linguaggio dell’arte romanica fossepiú comprensibile alle masse di quello dell’antichità odell’alto Medioevo. Se l’arte carolingia, dipendendo dalgusto raffinato della corte, era estranea al popolo, oral’arte è il patrimonio di una aristocrazia ecclesiastica,che, per quanto piú vasta della cerchia dei letterati pala-tini intorno a Carlo Magno, non comprende neppuretutto il clero. Come strumento della propaganda eccle-siastica suo compito è quello di ispirare alle folle unareligiosità solenne ma tutto sommato indeterminata. Gliingenui fedeli non potevano certo comprendere oapprezzare il simbolismo spesso difficile o la raffinatez-za formale delle scene sacre. Benché piú sobrie e sugge-stive, le forme romaniche non erano piú popolari o piúingenue di quelle della piú antica arte cristiana. La sem-plificazione delle forme non implicava nessuna conces-sione al gusto e alla possibilità di comprensione dellemasse, ma si ricollegava all’orientamento estetico di unaclasse dominante piú fiera della propria autorità chedella propria cultura.

Conforme al ritmico avvicendarsi degli stili, dopo ilgeometrismo delle origini e il naturalismo della tardaantichità, l’astrazione paleocristiana e l’eclettismo caro-lingio, l’arte romanica torna a un formalismo lontanodalle apparenze naturalistiche. La civiltà feudale, essen-zialmente antiindividualistica, predilige anche nell’arteciò che è generale e uniforme; e tende a un’immagine delmondo in cui tutto è tipico: le fisionomie come i pan-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 72

Page 73: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

neggi, le grandi mani gesticolanti come gli alberelli aforma di palma e le rocce che paiono di latta. Questatipicità e monumentalità dell’arte romanica si afferma-no nell’esaltazione della forma cubica e nell’inserimen-to della plastica nell’architettura. Le sculture delle chie-se romaniche sono membri dell’edificio, pilastri e colon-ne, parti integranti dei muri o del portale. La cornicearchitettonica è essenziale per le figure. Non solo ani-mali e fogliami, ma anche la forma umana adempie a unafunzione ornamentale nel complesso dell’opera; si piegae si torce, si stende e si contrae, secondo il posto asse-gnatole. La subordinazione di ogni particolare è cosírilevante, che è difficile distinguere fra arte pura e arteapplicata, fra l’opera dello scultore e quella dell’artigia-no116. Anche qui è facile istituire un parallelo con leforme politiche. E sarebbe semplicissimo riferire allo spi-rito autoritario del tempo la funzionale coerenza deglielementi di un edificio romanico e la loro subordina-zione all’unità architettonica, e ricondurre l’una e l’al-tra a quel principio unitario che domina la società es’incarna in organismi collettivi come la Chiesa univer-sale e gli ordini monastici, il feudalesimo e l’economiacurtense. Ma una simile interpretazione cadrebbe facil-mente in un equivoco. Le sculture di una chiesa roma-nica «dipendono» dall’architettura in tutt’altro sensoche i contadini e i vassalli dal feudatario.

Senza dubbio il rigorismo formale e l’astrazione dallarealtà sono le caratteristiche principali dello stile roma-nico: ma non sono le sole. Come in filosofia c’è una ten-denza mistica operante accanto alla scolastica, come frai monaci lo spirito militante non esclude l’inclinazionealla vita contemplativa e, nella riforma degli ordini,accanto al rigido dogmatismo si esprime una religiositàimpetuosa, indomabile, portata all’estasi; cosí nell’arte,accanto al formalismo e alla tipologia astratta si affermauna corrente di veemente espressionismo. Ma questa

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 73

Page 74: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

maggiore libertà nello stile romanico si manifesta sol-tanto nella seconda metà dell’epoca, quando, nel secoloxi, l’economia rinasce e si rinnova la vita delle città117.Per quanto sostanzialmente modesti, questi inizi prean-nunziano un mutamento che apre la via all’individuali-smo e al liberalismo moderno. Da principio, esterior-mente, non muta gran che: la tendenza fondamentaledell’arte resta antinaturalistica e ieratica. Eppure unprimo passo verso la dissoluzione dei vincoli medievalisi compie proprio in questo secolo xi cosí straordinaria-mente fecondo, con le sue nuove città e mercati, i suoinuovi ordini e scuole, le prime crociate e i primi statinormanni, gli inizi della scultura monumentale cristia-na e i prodromi dell’architettura gotica. Non a caso que-sto fervore di vita coincide proprio con l’epoca in cuil’autarchia economica dell’alto Medioevo, dopo una sta-bilità plurisecolare, comincia a cedere il passo a un’eco-nomia di traffici.

Nell’arte il mutamento è lentissimo. La statuaria èbensí cosa nuova, dimenticata dopo il tramonto dellaciviltà antica; ma il suo linguaggio formale rimane essen-zialmente legato alle convenzioni della piú antica pittu-ra romanica; e quanto al protogotico normanno del seco-lo xi, è giustamente considerato come una varietà delromanico. Ma il verticalismo architettonico e il vigoreespressivo delle figure non lasciano dubbi circa la ten-denza a un’arte piú dinamica. Nelle deformazioni concui si cerca di raggiungere l’effetto – alterazione delleproporzioni naturali, ingrandimento eccessivo delle partiespressive del volto e del corpo, soprattutto degli occhie delle mani, esagerazione dei gesti, profondità ostentatadegli inchini, braccia scagliate in alto e gambe incrocia-te come in una danza – non si tratta piú semplicemen-te del fenomeno che, come è stato affermato, sarebbepresente in ogni arte primitiva, e per cui «le parti delcorpo in cui piú si manifestano la volontà e il sentimento

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 74

Page 75: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

sono rappresentate come piú grandi e piú forti dellealtre»118. Siamo piuttosto di fronte a un aperto espres-sionismo dinamico119. L’arte che si getta impetuosa-mente in questa nuova maniera deriva il suo ardoredallo spiritualismo e dall’attivismo cluniacense. La dina-mica del «barocco tardo-romanico» si ricollega a Clunye alla riforma monastica, come il pathos secentesco aigesuiti e alla reazione cattolica. Nella plastica e nella pit-tura, nelle sculture di Autun e Vézelay, Moissac e Souil-lac, come nelle figure degli evangelisti nell’evangeliariodi Amiens e in quello di Ottone, si esprime lo stesso spi-rito di ascetica riforma, lo stesso stato d’animo apoca-littico. Gli apostoli e i profeti che si raccolgono intornoa Cristo sui timpani delle chiese, figure snelle, fragili,consunte dall’ardore della fede, gli eletti e i beati, gliangeli e i santi dei Giudizi e delle Ascensioni, sono gliasceti spiritualizzati che i creatori di quest’arte, i piimonaci dei chiostri, si propongono a modello.

Già le grandi composizioni figurate dell’arte tardo-romanica nascono spesso da una sfrenata fantasia visio-naria; ma nelle composizioni ornamentali, come nel pila-stro zoomorfo dell’abbazia di Souillac, questa fantasiatocca l’astrusità del delirio. Uomini, bestie, chimere,mostri si confondono in un unico fiotto di vita pullu-lante, in un caotico brulichio di corpi umani e ferini, cheper molti aspetti ricorda i viluppi lineari della miniatu-ra irlandese e dimostra che la tradizione di quest’artenon si è ancora spenta; ma dimostra anche come siamutata dai tempi del suo fiore, e come il rigore geome-trico dell’alto Medioevo sia stato travolto dal dinamismodel secolo xi.

Ora soltanto si realizza pienamente ciò che noi inten-diamo per arte cristiana e medievale. Ora soltanto è deltutto manifesto il senso trascendente delle immagini.Fenomeni come l’eccessiva lunghezza dei corpi o i gestispasmodici non possono piú spiegarsi razionalmente,

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 75

Page 76: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

come l’alterazione paleocristiana dei canoni naturali,logico risultato della gerarchia spirituale delle figure.Allora l’affiorare di un mondo trascendente induceva adeformare il vero, ma le leggi naturali restavano sostan-zialmente valide; ora invece esse hanno perso ogni valo-re e con esse decadono gli antichi ideali di bellezza.Nell’arte paleocristiana le deviazioni dalla realtà sensi-bile non superavano mai i limiti della possibilità biolo-gica e della correttezza formale; ora queste deviazionisono del tutto inconciliabili coi criteri classici di veritàe di bellezza, e vien meno «ogni specifico valore plasti-co delle figure»120. Il richiamo al trascendente dominaormai al punto che le singole forme non hanno piú in séalcun valore; non sono che simboli e segni. Ed esse nonsi limitano piú a esprimere il mondo trascendente conmezzi negativi, accennando alla realtà soprannaturaledagli squarci aperti nella realtà naturale e negando l’or-dinamento di quest’ultima; ma rappresentano l’irrazio-nale e l’oltremondano in modo positivo e diretto. Se siconfrontano queste figure senza peso, nello spasimo del-l’estasi, con le robuste, equilibrate, eroiche figure del-l’antichità classica – come si è confrontato, ad esempio,il San Pietro di Moissac col Doriforo121 – appare evi-dente la peculiarità dell’arte medievale. Di fronte all’ar-te classica, che si limita esclusivamente alla bellezza fisi-ca, alla realtà sensibile, alla regolarità formale, ed evitaogni accenno agli elementi psichici e intellettuali, l’arteromanica appare unicamente intenta all’espressione del-l’anima, e le sue leggi non seguono la logica dell’espe-rienza sensibile, ma quella della visione interiore. Inquesto elemento visionario è l’essenza del tardo roma-nico, e si spiegano cosí la spettrale lunghezza delle figu-re, il loro atteggiamento contratto, i loro movimenti damarionette.

Il gusto dell’arte romanica per l’illustrazione crescecontinuamente; e alla fine non è meno intenso del suo

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 76

Page 77: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

interesse decorativo. L’inquietudine spirituale si mani-festa anche nella progressiva estensione del repertoriofigurativo e conduce al saccheggio dell’intero contenu-to delle Sacre Scritture. I nuovi soggetti, specie il Giu-dizio finale e la Passione, caratterizzano, non menodello stile, lo spirito del tempo. Il tema principe dellascultura tardoromanica è il Giudizio universale: il sog-getto che essa predilige per le lunette dei portali. Pro-dotto della psicosi millenaristica, è insieme la piú forteespressione dell’autorità della Chiesa. Qui si giudica l’u-manità, che, secondo l’accusa o l’intercessione dellaChiesa, viene condannata o assolta. Per intimidire lementi, l’arte non poteva immaginare mezzo piú effica-ce di questo quadro d’infinito orrore e di eterna beati-tudine. La popolarità dell’altro grande soggetto roma-nico, la Passione, segna una svolta verso l’emozionali-smo, anche se la trattazione si mantiene ancora, per lopiú, nei limiti del vecchio stile, impassibile e solenne-mente rappresentativo. Le «Passioni» romaniche sonoa metà strada fra l’antica ripugnanza a rappresentare lasofferenza e l’umiliazione di Dio e la curiosità morbosache insisterà – piú tardi – sulle piaghe del Salvatore. Peri primi cristiani, educati nello spirito dell’antichità clas-sica, l’immagine del Salvatore morente sulla croce deidelinquenti presentava qualcosa di ostico. L’arte caro-lingia accetta, sí, la Crocifissione dall’Oriente, ma sirifiuta di mostrare un Cristo tormentato e umiliato; lospirito feudale non sa conciliare l’altezza divina con lasofferenza fisica. Nelle scene romaniche della Passione,il Crocifisso non pende quasi mai dalla croce, ma vi staritto; e di regola è rappresentato con gli occhi aperti, nondi rado incoronato, e spesso anche vestito122. Quellasocietà aristocratica doveva vincere la propria ripu-gnanza, non solo religiosa, ma anche sociale, per la rap-presentazione del nudo, prima di potersi abituare allavista del Cristo svestito. Anche piú tardi, l’arte medie-

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 77

Page 78: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

vale evita di mostrare corpi nudi, se il tema non lo esigeespressamente123. Al Cristo eroico e regale, che appare– anche sulla croce – vincitore di ogni cosa transeuntee terrestre, corrisponde l’immagine della Madonna: nonè la Madre di Dio col suo amore e col suo dolore, a cuici abituerà il gotico, ma una celeste regina superiore aogni cosa umana.

La gioia con cui l’arte romanica piú tarda può immer-gersi nell’illustrazione di una materia epica, si manife-sta nel modo piú immediato nell’Arazzo di Bayeux,opera che, per quanto destinata a una chiesa, esprimeuna concezione dell’arte ben diversa da quella ecclesia-stica. Esso narra la conquista dell’Inghilterra ad operadei Normanni, in uno stile mirabilmente fluido, convarietà di episodi e con un sorprendente amore per ilparticolare aneddotico. Vi si afferma una manieradescrittiva, che, in certo qual modo, precorre la com-posizione ciclica dell’arte gotica, e che è in netto con-trasto con la concezione sintetica del romanico. È chia-ro che non si tratta di un prodotto dell’arte monastica,ma di un’opera che esce da una bottega piú o meno indi-pendente dalla Chiesa. La tradizione che attribuisce ilricamo alla regina Matilde riposa senza dubbio su unaleggenda, perché l’opera è stata certamente eseguita daartefici esperti e specializzati; ma la leggenda ci ripor-ta, se non altro, all’origine profana del lavoro. Nessunaltro prodotto romanico ci dà un’idea cosí completa deimezzi di cui poteva disporre l’arte profana del tempo.Tanto piú deplorevole ci appare la perdita di opere ana-loghe, che non erano evidentemente conservate con lacura con cui erano conservati i prodotti dell’arte sacra.Non sappiamo quale ampiezza abbia raggiunto la pro-duzione artistica profana; non sarà stata neppure para-gonabile a quella ecclesiastica, ma, almeno nell’epocatardoromanica, a cui appartiene anche l’arazzo diBayeux, era senza dubbio piú notevole di quel che si

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 78

Page 79: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

potrebbe supporre a giudicare dai pochi monumentisuperstiti.

Quanto sia difficile, sulla base di ciò che possediamo,parlare dell’arte profana di quest’epoca, appare piú chemai dal ritratto, che oscilla, per cosí dire, in una zonaincerta fra l’arte sacra e profana. Si ignora ancora ilritratto individualizzante, che sottolinea i tratti perso-nali del modello. Il ritratto romanico non è che unaparte di una composizione rituale o di un monumento;lo troviamo nelle immagini dedicatorie delle Bibbiemanoscritte, o nei sepolcri delle chiese. Ma l’immaginededicatoria, che, oltre al committente o al promotore delmanoscritto, rappresenta spesso anche l’amanuense e ilpittore124, apre la via, pur nella sua solennità, a un gene-re molto personale, benché, per ora, trattato schemati-camente: l’autoritratto. Ancor piú evidente è l’intimocontrasto nei ritratti scolpiti dei monumenti funebri.Nell’arte cimiteriale dei primi cristiani la persona deldefunto, o non compariva affatto, o solo con estremadiscrezione; nei sepolcri romanici è l’oggetto principaledella rappresentazione125. Lo spirito di casta della societàfeudale si oppone ancora all’accentuazione dei caratte-ri individuali, pur cominciando ad accettare l’idea delmonumento personale.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 79

Page 80: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

1 m. dvo¤ák, Katakombenmalereien. Die Anfänge der christlichenKunst, in Kunstgeschichte als Geistesgeschichte, 1924.

2 oskar wulff, Die umgekehrte Perspektive und die Niedersicht, inKunstwissenschaftliche Beiträge A. Schmarsow gewidmet, 1907; id., DieKunst des Kindes, 1927.

3 wilhelm neuss, Die Kunst der alten Christen, 1926, pp. 117-118.Riproduzione in h. pierce - r. tyler, L’Art byzantin, II, 1934, tav.143.

4 Cfr. e. von garger, Über Wertungsschwierigkeiten bei mittelalter-licher Kunst. Kritische Berichte zur kanstgeschichtlichen Literatur,1932-33, p. 104.

5 m. dvo¤ák, Idealismus und Naturalismus in der gotischen Skulptur undMalerei, 1918, p. 32 (qui in connessione con la tarda arte carolingia).

6 rudolf koemstedt, Vormittelalterliche Malerei, 1929, passim. Cfr.per quanto segue, pp. 14-18 e 20-23.

7Ibid., p. 40.8 henri pirenne, Le mouvement économique et social, in Histoire du

Moyen Age, ed. da g. glotz, VIII, 1933, p. 20.9 steven runciman, Byzantine Civilisation, 1933, p. 204.10 lujo brentano, Die byzantinische Volkswirtschaft, «Schmollers

Jahrbuch», XLI, 1917, fasc. 2, p. 29.11 georg ostrogorsky, Die wirtschaftlichen und sozialen Entwick-

lungsgrundlagen des byzantinischen Reiches, «Vierteljahrsschrift fürSozial- und Wirtschaftsgeschichte», xxii, 1929, p. 134.

12 richard laqueur, Das Kaisertum und die Gesellschaft des Reiches,in Probleme der Spätantike. 17. Deutscher Historikertag, 1930, p. 10.

13 j. b. bury, History of the Later Roman Empire, I, 1889, pp.186-87.

14 georg grupp, Kulturgeschichte des Mittelatters, III, 1924, p. 185.15 Solo a partire dal sesto secolo si può notare un «indebolimento

dell’autorità statale ad opera della nobiltà». h. sieveking, MittlereWirtschaftgeschichte, 1921, p. 19.

16 g. ostrogorsky, Die wirtschaftlichen ecc. cit., p. 136.17 charles diehl, La Peinture byzantine, 1933, p. 41. Cfr. anche

emile mâle, Art et artistes du moyen âge, 1927, p. 9.18 c. diehl, Manuel d’art byzantin, I, 1925, p. 231.19 n. kondakoff, Histoire de l’art byzantin considéré principalement

dans les miniatures, I, 1886, p. 34.20 r. koemstedt, Vormittelalterliche Malerei cit., p. 28.21 l. brentano, Die byzantinische Volkswirtschaft cit., pagine 41-42.22 Cfr. e. j. martin, A History of Iconoclastic Controversy, 1930, pp.

18-21.23 Citato da karl schwarzlose, Der Bilderstreit, ein Kampf der grie-

chischen Kirche um ihre Eigenart und ihre Freiheit, 1890, p. 7.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 80

Page 81: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

24 g. grupp, Kulturgeschichte des Mittelalters cit., I, 1921, p. 352.25 carl brinkmann, Wirtschafts- und Sozialgeschichte, 1927, p. 24.26 o. m. dalton, Byzantine Art and Archaeology, 1911, p. 13; carl

neumann, Byzantinische Kultur und Renaissancekultur, «HistorischeZeitschrift», 1903, p. 222.

27 k. schwarzlose, Der Bilderstreit ecc. cit., p. 241.28 louis bréhier, La Querelle des images, 1904, pp. 41-42; e. j. mar-

tin, A History of Iconoclastic Controversy cit., pp. 28, 54.29 Cfr. o. m. dalton, Byzantine Art and Archaeology cit., pp. 14-15;

o. wulff, Altchristliche und byzantinische Kunst, II, 1918, p. 363.30 c. diehl, La Peinture byzantine cit., p. 21.31 schuchhardt, Alteuropa cit., pp. 265 sgg.32 vitzthum-volbach, Die Malerei und Plastik des Mittelalters in Ita-

lien, 1924, pp. 15-16.33 georg dehio, Geschichte der deutschen Kunst, I, 4a ed., 1930,

p. 15.34 alfons dopsoh, Die Wirtschaftsentwicklung der Karolingerzeit,

1912-13. id., Wirtschaftliche und sozialische Grundlagen der europäi-schen Kulturentwicklung, 1918-24.

35 kuno meyer, Bruchstücke der älteren Lyrik Irlands, «Abhandlun-gen der Preussischen Akademie der Wissenschaft, Philosophisch-Histo-rische Klasse», 1919, n. 7, p. 65.

36 Ibid., p. 66.37 Ibid., p. 68.38 Ibid., p. 4.39 eleanor hull, A Text Book of Irish Literature, I, 1906, pp.

219-20.40 Citato da p. w. joice, A Social History of Ancient Ireland, II, 1913,

p. 503.41 a. dopsch, Wirtschaftliche und soziale Grundlagen cit., I, pp. 103,

185-87.42 ferdinand lot, La Fin du monde antique et le début du moyen âge,

1927, p. 421.43 Ibid., p. 411.44 a. dopsch, Wirtschaftliche und soziale Grundlagen cit., II, p. 98.45 henri pirenne, A History of Europe from the Invasion to the XVI

Cent., 1939, p. 69.46 samuel dill, Roman Society in Gaul in the Merovingian Age,

1926, p. 215.47 Ibid., p. 224.48 f. lot, La Civilisation mérovingienne, in Histoire du Moyen Age,

ed. da g. glotz, I, 1928, p. 362.49 Ibid., p. 380.50 h. pirenne, A History of Europe cit., p. 58.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 81

Page 82: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

51 Ibid., pp. 111-12.52 f. lot, La Fin du monde antique ecc. cit., p. 438.53 gaston paris, Esquisse historique de la littérature française au

moyen âge, 1907, p. 75.54 c. h. becker, Vom Werden und Wesen der islamischen Welt,

«Islamstudien», i, 1924, p. 34.55 georg dehio, Geschichte der deutschen Kunst cit., p. 63.56 Ibid., p. 6o.57 h. gräven, Die Vorlage des Utrechtspsalters, «Repertorium für

Kunstwissenschaft», xxi, 1898, pp. 28 sgg.58 roger hinks, Carolingian Art, 1935, p. 117.59 georg swarzenski, Die karolingische Malerei und Plastik in Reims,

«Jahrbuch der königlichen Preussischen Kunstsammlungen», xxiii, 1902.60 louis réau - gustave cohen, L’Art du moyen âge et la civilisa-

tion française, 1935, pp. 264-65; r. hinks, Carolingian Art cit., p. 109.61 georg dehio, Geschichte der deutschen Kunst cit., p. 63.62 r. hinks, Carolingian Art cit., pp. 105, 209.63 andreas heusler, Die altgermanische Dichtung, 1929, p. 107; id.,

in j. hoops, Reallexikon der germanischen Altertumskunde, I, 1911-13,p. 459.

64 hermann-schneider, Germanische Heldensage, I, 1928, pp. 11, 32.65 h. m. chadwick, The Heroic Age cit., p. 93.66 koberstein-bartsch, Geschichte der deutschen National-Literatur,

I, 1872, 5a ed., pp. 17, 41-42.67 rudolf koegel, Geschichte der deutschen Literatur, I, i, 1894, p.

146.68 a. heusler, Die altgermanische Dichtung cit., in hoops, Real-

lexikon, I, p. 462.69 w. p. ker, Epic and Romance, 2a ed., 1908, p. 7.70 h. schneider, Germanische Heldensage cit., p. 10.71 a. heusler, Die altgermanische Dichtung, p. 153.72 joseph bédier, Les Légendes épiques, I, 1914, p. 152.73 Cfr. «Romania», xiii, p. 602.74 pio rajna, Le origini dell’epopea francese, 1884, pp. 469-85.75 j. bédiér, Les Légendes épiques cit., III, 1921, pp. 382, 390.76 Ibid., IV, 1921, p. 432.77 wilhelm hertz, Spielmannsbuch, 1886, p. iv.78 hermann reich, Der Mimus, 1903, passim.79 edmond faral, Les Jongleurs en France au moyen âge, 1910, p. 5.80 wilhelm scherer, Geschichte der deutschen Literatur, 1902, 9a

ed., p. 6o.81 Ibid., p. 61.82 h. schneider, Germanische Heldensage cit., p. 36.83 c. h. haskins, The Renaissance of the 12th Century, 1927, p. 33.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 82

Page 83: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

84 alois schulte, Der Adel und die deutsche Kirche im Mittelalter,1910.

85 ernst troeltsch, Die Soziallehren der christlichen Kirchen undGruppen, 1912, p. 118; g. grupp, Kulturgeschichte des Mittelalters cit.,I, p. 109.

86 a. dopsch, Wirtschaftlichen und sozialen Grundlagen, II, p. 427.87 lewis mumford, Technics and Civilization, 1934, p. 13; cfr. wer-

ner sombart, Der moderne Kapitalismus, II, i, 1924, 6a ed., p. 127; h.sieveking, Wirtschaftsgeschichte, II, 1921, p. 98.

88 Cfr. per quanto segue j. w. thompson, The Medieval Library,1939, pp. 594-99, 612.

89 p. boissonade, Le Travail dans l’Europe chrétienne au moyen âge,1921, p. 129.

90 g. g. coulton, Medieval Panorama, 1938, p. 267.91 j. kulischer, Allgemeine Wirtschaftsgeschichte, I, 1928, p. 75.92 Ibid., pp. 70-71.93 viollet-le-duc, Dictionnaire raisonné, I, 1865, p. 128.94 k. t. von inama - sternegg, Deutsche Wirtschaftgeschichte, I,

1909, 2a ed., p. 571.95 julius von schlosser, Quellenbuch zur Kunstgeschichte des

abendländischen Mittelalters, 1896, p. xix.96 wilhelm vöge, Die Anfänge des monumentalen Stiles im Mittelal-

ter, 1894, p. 289.97 Recueil de textes relatif à l’histoire de l’architecture et à la condition

des architectes en France au moyen âge. XIIe-XIIIe siècles, publ. par V. Mor-tet - P. Deschamps, 1929, p. xxx.

98 f. de mély, Les Primitifs et leurs signatures, 1913.99 id., Nos vieilles cathédrales et leurs maîtres d’oeuvres, «Revue

Archéologique», xi, 1920, p. 291; xii, p. 95.100 martin s. briggs, The Architect in History, 1927, p. 55.101 a. schulte, Der Adel und die deutsche Kirche im Mittelalter cit.,

p. 221.102 heinrich von eicken, Geschichte und System der mittelalterlichen

Weltanschauung, 1887, 224.103 e. troeltsch, Die Soziallehren ecc. cit., p. 242.104 johannes bühler, Die Kultur des Mittelalters, 1931, p. 95.105 karl bücher, Die Entstehung der Volkswirtschaft, I, 1919, pp.

92 sgg.106 georg von below, Probleme der Wirtschaftsgeschichte, 192o, pp.

178-79, 194 sgg.; a. dopsch, Wirtschaftliche und soziale Grundlagen cit.,II, pp. 405-6.

107 h. pirenne, Le mouvement économique cit., p. 13.108 werner sombart, Der moderne Kapitalismus, I, 1916, 2a ed., p. 31.109 j. bühler, Die Kultur des Mittelalters cit., pp. 261-62.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 83

Page 84: Arnold Hauser - Storia Sociale Dell'arte - Vol 1b

110 e. troeltsch, Die Soziallehren ecc. cit., p. 223.111 Cfr. oswald spengler, Der Untergang des Abendlandes, I, 1918,

p. 262.112 h. pirenne, A History of Europe cit., p. 171.113 g. dehio, Geschichte der deutschen Kunst cit., p. 73.114 e. troeltsch, Die Soziallehren ecc. cit., p. 215.115 g. dehio, Geschichte der deutschen Kunst cit., p. 73.116 Ibid., p. 144.117 a. fliche, La Civilisation occidentale aux Xe et XIe siècles, in

Histoire du Moyen Age. Ed. da g. glotz, II, 1930, pp. 597-6o9.118 anton springer, Die Psalterillustrationen im frühen Mittelalter,

«Abhandlungen der königlichen Sächsischen Gesellschaft der Wis-senschaft», viii, 1883, p. 195.

119 h. beenken, Romanische Skulptur in Deutschland, 1924, p. 17.120 g. von luecken, Burgundische Skulpturen des 11. und 12. Jahrhun-

derts, «Jahrbuch der Kunstwissenschaft», 1923, p. 108.121 g. kaschnitz - weinberg, Spätrömische Porträts, «Die Antike»,

II, 1926, p. 37.122 g. dehio, Geschichte der deutschen Kunst cit., pp. 193-94.123 julius baum, Die Malerei und Plastik des Mittelalters in Deutsch-

land, Frankreich und Britannien, 1930, p. 76.124 j. prochno, Das Schreiber- und Dedikationsbild in der deutschen

Buchmalerei, I, 1929, passim.125 g. dehio, Geschichte der deutschen Kunst cit., p. 183.

Arnold Hauser Storia sociale dell’arte

Storia dell’arte Einaudi 84