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32 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 29 NOVEMBRE 2015 CAN TIERI di ZANBAGH LOTFI A ccendo la luce, scendo in cantina, dove trovo il silenzio e la concentrazione. Ho bisogno di spazio intorno a me, per riempirlo da zero, come una scatola vuota da animare. Sto davanti alla tela e la guardo, torno indietro negli anni e comincio a rivivere dei momenti, un po’ netti un po’ sfocati. Alziamo tutte le mani e cominciamo a scuotere i salvadanai pieni di spiccioli dalla forma di bombe a mano, riempiti da noi, le bambine di una scuola elementare di Teheran, che facevano la colletta per sostenere la frontiera. Siamo in piena guerra contro l’Iraq. Più che un ricordo sono le sensazioni, le date, le domande verso la Storia. Sto cercando di creare un ambiente che trasmetta la complessità di quei periodi, fatti di elementi apparentemente estranei l’uno all’altro, che in realtà sono come i pezzi del puzzle che compone un’immagine. Ogni pezzo rappresenta una possibile chiave di lettura per accedere al mio archivio. Mi interessa la potenza comunicativa degli elementi visivi, cerco di trovarne un nuovo potenziale visivo nel quadro, attraverso un processo di deformazione o destrutturazione della forma. Credo che una volta catturato questo aspetto, l’opera abbia il potere di comunicare indipendentemente dalla sua oggettività. Affiancare la pittura ad altri linguaggi visuali, come l’installazione e la fotografia, mi aiuta a creare un’atmosfera ancora più palpabile, in grado di raccontare e comunicare meglio la mia idea. È in questo modo che procede il lavoro nel mio cantiere. I quadri e le installazioni a cui sto lavorando si intrecciano, diventando un unico progetto che poi procederà per la sua strada. © RIPRODUZIONE RISERVATA Una scatola vuota da riempire in silenzio (e sullo sfondo la Teheran di me bambina) Sguardi Pittura, scultura, fotografia, design Passato remoto /1 La tomba con urne e sarcofagi scoperta a Città della Pieve, in Umbria, illustra lo spirito di una civiltà Etruschi , il viaggio nell’aldilà di MARISA SCARPIGNATO I ncombenze autunnali e un trattore nel campo, poi il terreno che cede. Consueta cronaca di una sco- perta archeologica che ha messo in subbuglio Città della Pieve, piccolo centro della provincia di Peru- gia, noto principalmente per essere la città natale di Pietro Vannucci, meglio conosciuto come il Perugino. Si tratta di una tomba etrusca, di cui è in corso lo scavo, contenente sarcofagi e urne cinerarie. Indubbiamente un fatto insolito, dato che il luogo non aveva mai restitu- ito testimonianze analoghe. La continuità di vita dal Me- dioevo all’età moderna è infatti leggibile nel tessuto ur- bano della città, mentre non rimangono tracce tangibili del passato etrusco, fortemente legato alla vicina Chiusi, al cui ambiente culturale deve nel complesso riferirsi. Sono noti rinvenimenti prevalentemente ottocente- schi di tombe con urne funerarie, però disperse in vari musei, e reperti di particolare pregio come l’urna in ala- bastro dipinto con coppia maritale banchettante da Bu- tarone, collina a nordovest del centro abitato, databile all’inizio del IV sec. a.C., ora al Museo archeologico na- zionale di Firenze. Un altro singolare monumento etru- sco, conservato proprio a Città della Pieve, all’interno di Palazzo della Corgna, è l’obelisco in arenaria del V sec. a.C., da riferire ad ambiente sacro come la mezzaluna in bronzo, ora al Museo Gre- goriano Etrusco, con ele- gante iscrizione incisa in caratteri chiusini della fine del VI sec. a.C. La natura etrusca di que- sto piccolo centro è dun- que riemersa, grazie a un importante rinvenimento del tutto casuale e simile nella dinamica a tante scoperte fortuite più o meno vici- ne. Così era accaduto a Perugia nel 1983, in località Mon- teluce, in occasione della scoperta della tomba dei Cutu, che ha restituito un sarcofago in arenaria e 50 urne in travertino. Con le stesse modalità si è dunque verificato il rinve- nimento della tomba in località San Donnino, poco lon- tano dal torrente Chiani, l’antico Clanis che aveva costi- tuito il limite territoriale, già in età arcaica, tra le sfere di influenza delle città etrusche del nord (Arezzo, Cortona) e Chiusi a sud. La sepoltura di Città della Pieve mostra un lungo dromos (corridoio) di accesso e una chiusura co- stituita da una porta in travertino a due battenti. All’in- terno è visibile un sarcofago in pietra, appoggiato alla parete di fondo, un altro con resti di stucco, lungo la pa- rete destra, oltre a urne di marmo con personaggi ma- schili semisdraiati, ornati di collane conviviali, che pog- giano con il braccio sinistro su due cuscini e tengono nella mano destra una patera (sorta di piattello per liba- gioni) ombelicata. I due sarcofagi sono lisci: il primo, in arenaria, reca un’iscrizione sulla cassa che lo individua come apparte- nente a una famiglia chiusina, ed è con ogni probabilità riferibile al fondatore della tomba, secondo un uso ben documentato non solo a Chiusi, ma anche nella non lon- tana Perugia. Anche l’altro sarcofago, dalla superficie stuccata, come già attestato nella Tomba della Pellegri- na, reca tracce di caratteri etruschi, che una volta letti potranno fornire ulteriori informazioni sulla genealogia della famiglia di appartenenza. Nella tomba coesistono quindi due riti funerari: l’inu- mazione, che in ambiente chiusino riprende alla fine del IV sec. a.C. e che, entro sarcofago liscio, in molti casi ac- coglie le prime generazioni di inumati in tombe di livel- lo gentilizio; e la cremazione, che interessa le urne riferi- bili a personaggi maschili, che nel caso del ritratto sul ci- nerario deposto lungo la parete sinistra è ben inquadra- bile nella più antica produzione chiusina del III sec. a.C. «Un pasticciaccio politico-teologico- simbolico-galattico catastrofico». Così è definita la saga de «l’Incal», nelle pagine che nel 2000 Alejandro Jodorowsky scrive per Moebius. Ma il francese si stanca presto: sarà José Ladrönn a ridisegnare tutto daccapo e a chiudere la serie. Oggi riecco i due lavori ne L’Incal finale: l’integrale (traduzione di Marco Cedric Farinelli, Magic Press, pp. 216, 22), con i colori di Fred Beltran a impreziosire il tutto. Jodorowsky s’è stancato { Segnali di fumo di Alessandro Trevisani L’antico popolo italico credeva nella sopravvivenza dei defunti Che i cadaveri fossero inumati o ridotti in cenere, la funzione dei riti era sempre quella di avvicinare la casa dei morti alla casa dei vivi Chi erano Per anni si è parlato di un «mistero etrusco», alimentato anche da fonti antiche. Dionigi di Alicarnasso definisce gli Etruschi un popolo «a nessun’altra stirpe simile». Ma oggi, se è vero che la loro lingua presenta lati ancora oscuri, non può certo definirsi misteriosa. Il processo formativo degli Etruschi si consolida dal X al IX secolo a.C., quando nascono i primi aggregati, specie sulla fascia costiera tirrenica, dove sorgeranno Tarquinia, Vulci, Cerveteri, Veio, Vetulonia, Populonia. Dalla seconda metà dell’VIII e per tutto il VII secolo a.C. gli scambi con l’Egitto, la Siria, la Fenicia, l’Anatolia fanno giungere in Etruria oggetti preziosi per la classe dominante; nello stesso tempo dalla Grecia l’uso della scrittura si diffonde in Etruria, adattando l’alfabeto di tipo greco occidentale alle esigenze locali. L’espansione etrusca dura fino al 474 a.C., quando Siracusa diventa padrona del Tirreno. I centri della costa iniziano così un lento declino, mentre si assiste a una fioritura delle città interne (Chiusi, Cortona, Volsinii-Orvieto, Perugia, Arezzo). In seguito, la romanizzazione è graduale e interessa le singole città etrusche, incapaci di organizzarsi in coalizioni di fronte al pericolo comune. Veio cade nel 396 a.C., nel 264 a.C. viene distrutta Volsinii, sede del Fanum Voltumnae, il santuario federale politico e religioso. La cultura romana si diffonde quindi in Etruria, tanto che nel I sec. d.C. il latino è dominante e l’etrusco, ormai «lingua morta», diviene materia di studio per i giovani romani di rango elevato L’autrice Marisa Scarpignato lavora come archeologa presso la Soprintendenza Archeologia dell’Umbria i Un’urna con le ceneri di un defunto ritrovata a Città della Pieve dopo lo scavo. In alto a destra, sopra la cartina: il recupero di un’anfora che si trovava davanti a un sarcofago nella tomba di Città della Pieve Codice cliente: 168205

Etruschi

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Page 1: Etruschi

32 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 29 NOVEMBRE 2015

CANTIERI

di ZANBAGH LOTFI Accendo la luce, scendo in cantina, dove trovo il silenzioe la concentrazione. Ho bisogno di spazio intorno a me,per riempirlo da zero, come una scatola vuota da

animare. Sto davanti alla tela e la guardo, torno indietro negli anni e comincio a rivivere dei momenti, un po’ netti un po’ sfocati. Alziamo tutte le mani e cominciamo a scuotere i salvadanai pieni di spiccioli dalla forma di bombe a mano, riempiti da noi, le bambine di una scuola elementare di Teheran, che facevano la colletta per sostenere la frontiera. Siamo in piena guerra contro l’Iraq. Più che un ricordo sono le sensazioni, le date, le domande verso la Storia. Sto

cercando di creare un ambiente che trasmetta la complessità di quei periodi, fatti di elementi apparentementeestranei l’uno all’altro, che in realtà sono come i pezzi del puzzle che compone un’immagine. Ogni pezzo rappresenta una possibile chiave di lettura per accedere al mio archivio. Mi interessa la potenza comunicativa degli elementi visivi, cerco di trovarne un nuovo potenziale visivo nel quadro, attraverso un processo di deformazione o destrutturazione della forma. Credo che una volta catturato questo aspetto, l’opera abbia il potere di comunicare indipendentemente dalla sua oggettività. Affiancare la pittura ad altri linguaggi visuali, come l’installazione e la fotografia, mi aiuta a creare un’atmosfera ancora più palpabile, in grado di raccontare e comunicare meglio la mia idea. È in questo modo che procede il lavoro nel mio cantiere. I quadri e le installazioni a cui sto lavorando si intrecciano, diventando un unico progetto che poi procederà per la sua strada.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Una scatola vuota da riempire in silenzio(e sullo sfondo la Teheran di me bambina)

Sguardi.

Pittura, scultura, fotografia, design

Passato remoto /1 La tomba con urne e sarcofagi scoperta a Città della Pieve, in Umbria, illustra lo spirito di una civiltà

Etruschi, il viaggio nell’aldilà

di MARISA SCARPIGNATO

Incombenze autunnali e un trattore nel campo, poiil terreno che cede. Consueta cronaca di una sco-perta archeologica che ha messo in subbuglio Cittàdella Pieve, piccolo centro della provincia di Peru-gia, noto principalmente per essere la città natale

di Pietro Vannucci, meglio conosciuto come il Perugino.Si tratta di una tomba etrusca, di cui è in corso lo scavo,contenente sarcofagi e urne cinerarie. Indubbiamente un fatto insolito, dato che il luogo non aveva mai restitu-ito testimonianze analoghe. La continuità di vita dal Me-dioevo all’età moderna è infatti leggibile nel tessuto ur-bano della città, mentre non rimangono tracce tangibilidel passato etrusco, fortemente legato alla vicina Chiusi,al cui ambiente culturale deve nel complesso riferirsi.

Sono noti rinvenimenti prevalentemente ottocente-schi di tombe con urne funerarie, però disperse in varimusei, e reperti di particolare pregio come l’urna in ala-bastro dipinto con coppia maritale banchettante da Bu-tarone, collina a nordovest del centro abitato, databileall’inizio del IV sec. a.C., ora al Museo archeologico na-zionale di Firenze. Un altro singolare monumento etru-sco, conservato proprio a Città della Pieve, all’interno diPalazzo della Corgna, è l’obelisco in arenaria del V sec.a.C., da riferire ad ambiente sacro come la mezzaluna in

bronzo, ora al Museo Gre-goriano Etrusco, con ele-gante iscrizione incisa incaratteri chiusini della finedel VI sec. a.C.

La natura etrusca di que-sto piccolo centro è dun-que riemersa, grazie a unimportante rinvenimentodel tutto casuale e simile

nella dinamica a tante scoperte fortuite più o meno vici-ne. Così era accaduto a Perugia nel 1983, in località Mon-teluce, in occasione della scoperta della tomba dei Cutu,che ha restituito un sarcofago in arenaria e 50 urne intravertino.

Con le stesse modalità si è dunque verificato il rinve-nimento della tomba in località San Donnino, poco lon-tano dal torrente Chiani, l’antico Clanis che aveva costi-tuito il limite territoriale, già in età arcaica, tra le sfere diinfluenza delle città etrusche del nord (Arezzo, Cortona)e Chiusi a sud. La sepoltura di Città della Pieve mostra unlungo dromos (corridoio) di accesso e una chiusura co-stituita da una porta in travertino a due battenti. All’in-terno è visibile un sarcofago in pietra, appoggiato alla

parete di fondo, un altro con resti di stucco, lungo la pa-rete destra, oltre a urne di marmo con personaggi ma-schili semisdraiati, ornati di collane conviviali, che pog-giano con il braccio sinistro su due cuscini e tengono nella mano destra una patera (sorta di piattello per liba-gioni) ombelicata.

I due sarcofagi sono lisci: il primo, in arenaria, recaun’iscrizione sulla cassa che lo individua come apparte-nente a una famiglia chiusina, ed è con ogni probabilitàriferibile al fondatore della tomba, secondo un uso bendocumentato non solo a Chiusi, ma anche nella non lon-tana Perugia. Anche l’altro sarcofago, dalla superficiestuccata, come già attestato nella Tomba della Pellegri-na, reca tracce di caratteri etruschi, che una volta letti potranno fornire ulteriori informazioni sulla genealogiadella famiglia di appartenenza.

Nella tomba coesistono quindi due riti funerari: l’inu-mazione, che in ambiente chiusino riprende alla fine delIV sec. a.C. e che, entro sarcofago liscio, in molti casi ac-coglie le prime generazioni di inumati in tombe di livel-lo gentilizio; e la cremazione, che interessa le urne riferi-bili a personaggi maschili, che nel caso del ritratto sul ci-nerario deposto lungo la parete sinistra è ben inquadra-bile nella più antica produzione chiusina del III sec. a.C.

«Un pasticciaccio politico-teologico-simbolico-galattico catastrofico». Così è definita la saga de «l’Incal», nelle pagine che nel 2000 Alejandro Jodorowsky scrive per Moebius. Ma il francese si stanca presto: sarà José Ladrönn a ridisegnare tutto daccapo e a chiudere la serie. Oggi riecco i due lavori ne L’Incal finale: l’integrale (traduzione di Marco Cedric Farinelli, Magic Press, pp. 216, € 22), coni colori di Fred Beltran a impreziosire il tutto.

Jodorowsky s’è stancato

{Segnali di fumodi Alessandro Trevisani

L’antico popolo italico credeva nella sopravvivenza dei defuntiChe i cadaveri fossero inumati o ridotti in cenere, la funzione dei riti era sempre quella di avvicinare la casa dei morti alla casa dei viviChi erano

Per anni si è parlato di un«mistero etrusco»,

alimentato anche da fontiantiche. Dionigi di

Alicarnasso definisce gliEtruschi un popolo «a

nessun’altra stirpe simile».Ma oggi, se è vero che la loro

lingua presenta lati ancoraoscuri, non può certo

definirsi misteriosa. Ilprocesso formativo degli

Etruschi si consolida dal X alIX secolo a.C., quando

nascono i primi aggregati,specie sulla fascia costieratirrenica, dove sorgerannoTarquinia, Vulci, Cerveteri,

Veio, Vetulonia, Populonia.Dalla seconda metà dell’VIII

e per tutto il VII secolo a.C.gli scambi con l’Egitto, la

Siria, la Fenicia, l’Anatoliafanno giungere in Etruria

oggetti preziosi per la classedominante; nello stessotempo dalla Grecia l’uso

della scrittura si diffonde inEtruria, adattando l’alfabetodi tipo greco occidentale alleesigenze locali. L’espansioneetrusca dura fino al 474 a.C.,

quando Siracusa diventapadrona del Tirreno. I centri

della costa iniziano così unlento declino, mentre si

assiste a una fioritura dellecittà interne (Chiusi,

Cortona, Volsinii-Orvieto,Perugia, Arezzo). In seguito,

la romanizzazione ègraduale e interessa lesingole città etrusche,

incapaci di organizzarsi incoalizioni di fronte al

pericolo comune. Veio cadenel 396 a.C., nel 264 a.C.

viene distrutta Volsinii, sededel Fanum Voltumnae, il

santuario federale politico ereligioso. La cultura romanasi diffonde quindi in Etruria,

tanto che nel I sec. d.C. illatino è dominante e

l’etrusco, ormai «linguamorta», diviene materia distudio per i giovani romani

di rango elevatoL’autrice

Marisa Scarpignato lavoracome archeologa presso la

Soprintendenza Archeologiadell’Umbria

i

Un’urna con le ceneridi un defunto ritrovataa Città della Pievedopo lo scavo. In altoa destra, sopra la cartina: il recupero di un’anforache si trovava davantia un sarcofago nella tomba di Città della Pieve

Codice cliente: 168205

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DOMENICA 29 NOVEMBRE 2015 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 33

Passato remoto/2 Strumenti ricostruiti, le loro note in concerto. Un’ipotesi, ma emozionante

Il jazzista suona l’aulòs:la musica di 2500 anni fadi IACOPO GORI

Riascoltare la musica perduta degliEtruschi è la sfida affascinante quan-to folle di un’archeologa e di un jazzi-sta. Partendo da due strade moltolontane l’etruscologa Simona Rafa-

nelli, direttrice del museo archeologico IsidoroFalchi di Vetulonia, nella maremma toscana, e ilsassofonista Stefano Cocco Cantini hanno com-piuto insieme un viaggio alla ricerca di un suo-no immaginario che alla fine è diventato reale.

Insieme hanno osservato e studiato, nel mu-seo di Archeologia subacquea di Porto SantoStefano, gli strumenti a fiato in legno di bosso eavorio attribuiti agli Etruschi e ritrovati pochianni fa incredibilmente intatti — grazie alla pe-ce che li ha protetti — nella stiva della nave af-fondata 2600 anni fa all’isola del Giglio. Li han-no confrontati con quelli dipinti nelle tombeetrusche di Tarquinia, comparati con quelli suirilievi delle urne di Chiusi e paragonati con glistrumenti reali esposti a Paestum: fori e dimen-sioni combaciavano. Cantini, carte e numeri allamano, ha recuperato legno di bosso stagionato(in Ucraina), ha contattato un artigiano (sardo)e si è fatto ricostruire tre strumenti uguali per forma, dimensioni e materia a quelli rinvenutinel relitto etrusco del Giglio. Su «la Lettura» neaveva dato notizia Valerio Cappelli lo scorso 19luglio.

«Perfettamente cilindrici, non conici comequelli greci. Una copia esatta e fedele di quellireali» dicono a «la Lettura» Rafanelli e Cantini.Il problema, una volta ricreati, era farli suonare.«Sappiamo per certo quali note non potevanoprodurre questi miei colleghi di oltre 2700 annifa», sostiene Cantini che gira il mondo con ilsuo quartetto suonando arrangiamenti di JohnColtrane, uno dei miti del jazz. «Mi svegliavo lanotte per cercare di capire come avrebbero po-tuto funzionare finché non ho scoperto il segre-to». «E il segreto ce l’hanno rivelato loro, gliEtruschi», prosegue Rafanelli, una vita dedicataallo studio di questa popolazione dell’Italia an-tica.

«Gli Etruschi erano il popolo musicale pereccellenza. In tanti dipinti si vedono musicistisuonare in ogni occasione: funerali, matrimoni,banchetti, negli incontri di lotta. Tutta la vitadegli Etruschi era permeata di musica. Gli stru-menti più raffigurati sono quelli a fiato a cannasemplice o doppia, aulòi e tibiae come li chia-mavano i greci e i romani. Una volta ricreata lacopia esatta dello strumento reale ci mancava l’ultimo pezzo». «Gli strumenti a fiato degliEtruschi — prosegue Cantini — non sono flau-ti: per emettere suono hanno bisogno dell’an-cia, il pezzettino di canna che vibra, come glistrumenti ad ancia di oggi per intendersi (oboe,fagotto, clarinetto, sax). Ma ci sono vari tipi di

ance. Guardando i dipinti ci siamo imbattuti inuno solo in cui il musicista è riprodotto con lostrumento fuori dalla bocca nell’attimo prima diiniziare a suonarlo: si tratta della Tomba Giusti-niani di Tarquinia, del 450 a.C, nella Necropolidi Monterozzi. Non sono un musicologo manon ho avuto dubbi: quella è un’ancia semplicebattente. Oggi dalle nostre parti viene usata soloper le launeddas, antichissimi strumenti sardi.Ho recuperato quelle ance dalla Sardegna e leho messe sui tre aulòi ricostruiti. Ho ancora i brividi se ricordo la prima volta che ho sentitoquei suoni». Gli stessi brividi che hanno provatonel Salone dei 500 di Palazzo Vecchio a Firenzedue anni fa gli archeologi e gli etruscologi chehanno ascoltato le note di Cocco Cantini usciredal silenzio dopo 2500 anni.

«Li ho presentati io — dice a “la Lettura” Gio-vannangelo Camporeale, professore emeritodell’Università degli studi di Firenze, una dellemassime autorità nel campo dell’etruscologia— però bisogna saper distinguere quello che ècertezza dalle ipotesi. Il lavoro di Rafanelli eCantini (che hanno pubblicato un opuscolo daltitolo La musica perduta degli etruschi, edizioniEffigi, 2013, ndr) è molto interessante ma nessu-no di noi ha sentito strumenti antichi suonare.Nel nostro lavoro bisogna andare avanti per ipo-tesi, ogni scoperta apre nuove strade che posso-no confermarle o smentirle. Una cosa dico sem-pre però: guai a innamorarsi delle ipotesi. Que-sto è uno degli esperimenti più affascinanti».

«Abbiamo ridato un suono al popolo senzavoce — dice convinta l’etruscologa Rafanelli cheora con il jazzista Cantini gira l’Italia tra eventi econvegni presentando la conferenza-concerto— facciamo ascoltare suoni antichi, tonalitàsconosciute che fanno vibrare il corpo creandouna magia incredibile». «Le frequenze di questenote — prosegue Cantini — sono pazzesche,questi strumenti producono un suono accorda-to a 432 hertz, come Mozart e Verdi, che mette indiscussione ogni ipotesi sulla musica etrusca».

Da questo studio è nato anche un documen-tario Sulle note del mistero. La musica perdutadegli Etruschi del regista Riccardo Bicicchi pro-iettato alla Borsa del Turismo archeologico diPaestum il 30 ottobre (un estratto è visibile su www.corriere.it/la-lettura) e che sarà presenta-to, insieme al progetto completo, ai musei ita-liani, francesi e britannici. Ma Cocco Cantini, dajazzista e sperimentatore, va oltre: il 6 dicembresarà a Berchidda, in Sardegna, a suonare i suoiaulòi etruschi insieme al virtuoso della fisarmo-nica Antonello Salis. Melodie inimmaginabili:improvvisazioni con strumenti di 2500 anni fa.Suoni ancestrali, nascosti dentro di noi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

In alto: Tarquinia, la Tomba dei Leopardi. Qui sopra, dall’alto: l’affresco della Tomba Giustiniani, sempre a Tarquinia, che ha ispirato la ricostruzione dell’ancia dell’aulòs; il sassofonista jazz Stefano Cocco Cantini, 59 anni;sotto: gli strumenti ricostruiti in bosso ucraino

In Etruria il culto dei morti ha sempre assunto un ri-lievo particolare e una precisa ritualità, che si manifestaa seconda dei luoghi e dell’ambito culturale. Il significa-to ideologico fondamentale è però sempre il medesimo:la sopravvivenza del defunto nell’aldilà accompagnatodai beni che da vivo definivano il suo stato sociale. Tragli Etruschi i riti dell’incinerazione e dell’inumazionecoesistono, rispettivamente con deposizioni entro urnedi travertino, marmo, terracotta (Perugia, Volterra, Chiu-si) e in sarcofagi (Tarquinia, Tuscanica, Chiusi) con il co-perchio che spesso riproduce le sembianze del defuntoo su letti funebri all’interno delle tombe.

Spesso epigrafi contenenti il nome del defunto e delsuo nucleo familiare sono incise o dipinte sul coperchioo sulla cassa di urnette cinerarie, analogamente su alcu-ni sarcofagi di personaggi di rango elevato troviamo iscrizioni che ne ricordano la funzione sociale, come nelcaso di Laris Pulena, personaggio di rango nella Tarqui-nia del III sec. a.C. e scrittore di aruspicina. Le necropolietrusche sono tra le più estese del mondo antico e l’ar-chitettura funeraria, nonostante le varietà regionali ecronologiche, mantiene vivo il concetto di avvicinare lacasa dei morti alla casa dei vivi.

Cerveteri documenta in modo chiaro lo sviluppo del-l’architettura funeraria etrusca dall’inizio del VII sec. a.C.Le tombe più antiche sono di tipo articolato, con ele-menti decorativi e letti funebri scavati nel tufo. Dalla me-tà del VI sec. a.C. il numero degli ambienti pian piano di-minuisce, fino a diventare un’unica stanza e ai letti si so-stituiscono le panchine lungo le pareti. Caratteristica in-vece della città di Tarquinia è la costante presenza ditombe dipinte dall’età più antica fino all’ellenismo, defi-nite da Massimo Pallottino, primo docente di Etroscolo-gia alla Sapienza di Roma, «il primo capitolo della storiadella pittura italiana».

Particolare è poi il caso di Volsinii con la necropoli diCrocefisso del Tufo, cronologicamente omogenea, orga-nizzata secondo spazi uniformi dettati dall’autorità citta-dina a dimostrazione della presenza di una classe socia-le compatta che ha nel commercio e nell’artigianato leprincipali fonti di ricchezza.

Nel periodo ellenistico sono due le concezioni di tom-ba che prevalgono: una che riproduce la casa signorile,secondo l’orientamento delle aristocrazie delle grandicittà, e di cui l’ipogeo dei Volumni di Perugia è l’esempiopiù chiaro, l’altra che privilegia l’aspetto esterno del mo-numento, come è evidente nei centri della cosiddettaEtruria rupestre (Blera, Norchia, Sovana).

La tomba di Città della Pieve, che ben si inserisce al-l’interno delle necropoli rinvenute nell’agro chiusino,non è però, allo stato attuale delle indagini, riferibile auna specifica tipologia. Solo a scavo concluso e dopoaver esaminato gli eventuali elementi di corredo sarà in-fatti possibile avanzare ipotesi precise anche sull’interocontesto e sulla famiglia di appartenenza.

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