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I, I Plantageneti e i Tudor

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II PPllaannttaaggeenneettii ee ii TTuuddoorr ((11331122 -- 11660033))

L’avvento della Dinastia dei Tudor rappresenta uno snodo fondamentale per la Storia

inglese poiché con essa si chiude un periodo pluridecennale di lotte e scontri sanguinosi e, nel

contempo, si annuncia l’Inghilterra moderna ed europea, quale sarà quella lasciata in eredità

dall’ultimo dei suoi rappresentanti: la grande Elisabetta I. Per capire in che modo e per quali strade

Enrico VII, capostipite dei Tudor regnanti, sia riuscito a fondare la sua dinastia occorre narrare

eventi precedenti che vanno sotto il nome de “La Guerra delle Due Rose”.

La nostra storia inizia con Edoardo III, Re d'Inghilterra (1312-1377) sovrano energico ed

intelligente, fondatore dell’Ordine della Giarrettiera, particolarmente longevo (il suo regno durò

circa cinquant’anni) e molto prolifico, avendo generato una decina di figli, tra cui numerosi maschi:

una discendenza che avrebbe fatto davvero gola ai Tudor che, come vedremo, ebbero grandi

difficoltà a procreare eredi di sesso maschile. Con una tale figliolanza, Edoardo si preoccupò di

piazzare convenientemente i suoi pupilli, ai quali furono date in sposa fanciulle di famiglie di rango

elevato; una politica che ebbe come conseguenza un rafforzamento dell’influenza di Edoardo sullo

scacchiere europeo, ma che favorì le brame dei potenti casati che inevitabilmente si vennero a

costituire intorno a ciascun figlio, poiché ognuno di essi, in virtù del proprio lignaggio, si sentirà

autorizzato a rivendicare la corona.

Figura 1 Edoardo III, ritratto immaginario realizzato nel 1620

I sovrani del periodo infatti sono molto diversi da quei monarchi europei che conosceremo nel

XVIII secolo, quando l’assolutismo dei medesimi sarà riconosciuto istituzionalmente; e ciò

indipendentemente dal carattere delle singole figure. La grande nobiltà cioè era svincolata dal

potere regio, avendo essa a disposizione ricchezze ed armate, in qualche caso anche in quantità

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superiore allo stesso re, che la rendeva di fatto autonoma dal potere centrale. Si consideri poi che

l’Inghilterra uscirà sconfitta dalla Guerra dei Cent’Anni (1337 – 1453) iniziata proprio da Edoardo

III che, per motivi dinastici, pretendeva di regnare anche sulla Francia (gli inglesi saranno costretti

ad abbandonare tutti i loro possedimenti oltremanica, esclusa Calais, che sarà ripresa dai francesi

soltanto nel 1558); e ciò sarà vissuto come un vero e proprio trauma dal quale l’Inghilterra faticherà

non poco a riprendersi. Soltanto dopo la morte di Enrico VIII (cioè nella seconda metà del

Cinquecento) i sovrani inglesi incominciarono ad abbandonare il titolo – da tempo ormai formale –

di re di Francia, poiché era ormai chiaro che quest’ultima aveva definitivamente conquistato la

propria indipendenza. Il rimpatrio di una moltitudine di soldati, determinato dall’esaurirsi del

conflitto, andrà ad ingrossare le schiere dei pretendenti alla corona, aumentando così i contrasti e gli

scontri. Alla morte di Edoardo III (1377) sale al trono Riccardo II (1367-1400) di cui Edoardo III

era nonno: Riccardo è considerato l’ultimo re dei Plantageneti propriamente detti; tuttavia, il

terzogenito di Edoardo, Giovanni di Gand, Duca di Lancaster diede vita ad un ramo della

famiglia, denominato appunto Lancaster, così come il quartogenito, Edmondo di Langley, Duca di

York originò il ramo degli York. Nel 1399 Giovanni di Gand muore e suo figlio Enrico

Bolingbroke detronizza (1399) il cugino Riccardo II, diventando re con il nome di Enrico IV (1367

– 1413) in ciò aiutato dall’aristocrazia feudale che mal sopportava l’atteggiamento autoritario (e

moralmente discutibile) del sovrano.

Figura 2 Ritratto di Riccardo II, conservato

nell’Abbazia di Westminster

Enrico è il primo sovrano di casa Lancaster, a cui successe il grande Enrico V (1387 - 1422)

celebre per la mitica vittoria sui francesi ad Azincourt (1415) ma soprattutto per essere stato un

sovrano di grande capacità, decisionista, sicuro di sé, dalla personalità magnetica, nonostante in

giovane età fosse famoso per la sua vita scapestrata. In questa fase, caratterizzata dalla prevalenza

del ramo dei Lancaster, la situazione appare relativamente tranquilla, almeno rispetto agli eventi

successivi. Con l’avvento del figlio Enrico VI (1421 – 1471) le cose però cominciarono a

cambiare: Riccardo, Duca di York infatti, nipote del citato Edmondo di Langley, approfittando

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della debolezza di Enrico, persona fragile e facilmente condizionabile, avanzò delle pretese sulla

corona, non solo perché anch’egli discendente dal quell’Edoardo III citato all’inizio della nostra

storia, ma anche in virtù del fatto che il re in carica era privo di figli; ciò ovviamente provocò la

reazione dei Lancaster e l’innalzamento del livello dello scontro. Riccardo era intenzionato più che

a spodestare il fragile Enrico VI, a farsi riconoscere come suo erede; ma se ciò fosse avvenuto la

conseguenza sarebbe stata uno spostamento del baricentro dinastico dalla casa dei Lancaster a

quella degli York. Nel 1454 Riccardo riesce ad ottenere la carica di Lord Protettore d'Inghilterra

che, di fatto, significava il controllo del trono; carica che però riuscì a mantenere per poco tempo

(anche se la ricoprì più volte) a causa della politica aggressiva e reattiva dei Lancaster, che

contavano tra le loro file la Regina Margherita d’Angiò, moglie di Enrico VI, figura femminile

centrale non solo perché seppe in più occasioni sostenere l’azione politica del marito Enrico -

soggetto a fasi alterne di demenza che lo rendevano inadatto a governare - ma anche per gli impegni

che Margherita si dimostrò capace di onorare dal punto di vista militare. Riccardo perse ben presto

la propria carica con l'accusa di tradimento e malversazione e, ovviamente, ciò non fece che

esacerbare le ostilità che descrivo qui nei suoi aspetti essenziali, limitandomi a ricordare che esse

ebbero fasi alterne, in cui la vittoria di una delle parti, nel momento in cui appariva come definitiva,

lasciava ben presto il posto a quella dell’altra; il tutto naturalmente contraddistinto da

ammazzamenti, intrighi e scontri sanguinosi.

Figura 3 Enrico IV, ritratto immaginario realizzato nel 1620

Un punto di svolta si ha con la sconfitta degli York nella battaglia di Wakefield (30 dicembre 1460)

dove le forze di Riccardo furono distrutte ed egli stesso ucciso, insieme al proprio figlio

diciassettenne Edmondo. Erede dei diritti di Riccardo e capo degli York divenne il suo primogenito,

Edoardo, Conte di March, che con l'aiuto dei fratelli, Giorgio di Clarence e Riccardo di

Gloucester (il futuro Riccardo III) reclutò un esercito da contrapporre ai Lancaster comandati da

Owen Tudor, un nobile gallese sposato alla madre di Enrico VI, Caterina di Valois (alle sue

seconde nozze) e da suo figlio Jasper Tudor, Conte di Pembroke, fratellastro del re. Nella

battaglia di Mortimer's Cross (2 febbraio 1461) Edoardo ebbe la meglio, i Lancaster sconfitti, Lord

Owen decapitato. Edoardo fece il suo ingresso nella capitale il 26 febbraio 1461 e, dichiarando

Enrico VI decaduto, si fece incoronare re col nome di Edoardo IV (1442 – 1483) primo sovrano

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del casato degli York, mentre Enrico e Margherita cercarono rifugio prima in Scozia e poi in

Francia. La partita però si concluse definitivamente nei pressi di Tewkesbury (battaglia del 4

maggio 1471) dove Enrico, il sovrano spodestato, fu fatto prigioniero e poi ucciso insieme a suo

figlio, mentre Margherita morirà in Francia, nel 1482, sola e dimenticata. Una delle conseguenze

della caduta dei Lancaster fu la fuga in Bretagna del Conte di Pembroke, Jasper Tudor e del nipote

Enrico Tudor, Conte di Richmond, di cui Jasper aveva la tutela. Enrico Tudor doveva essere

protetto da Edoardo IV poiché questo quattordicenne era una minaccia per gli York, in quanto

anch’egli vantava diritti sul trono per via della madre, Margaret Beaufort discendente di Edoardo

III. Fondamentale fu quindi per Enrico il ruolo svolto dallo zio Jasper, non solo in termini di

protezione fisica, ma anche perché quest’ultimo preparò il ragazzo ad essere cosciente dei suoi

diritti dinastici.

Figura 4 Ritratto di Enrico V e di Enrico VI

Edoardo IV intanto regnava in una situazione apparentemente pacificata, anche se le prospettive

future erano poco tranquillizzanti, a causa dell’alta probabilità che il sovrano sarebbe morto

lasciando i suoi figli, il futuro re bambino Edoardo V ed il fratello Riccardo, ancora in tenera età.

Così in effetti fu, poiché quando Edoardo morì, i ragazzi avevano rispettivamente dodici e dieci

anni. Si richiedeva quindi la nomina di un tutore, in attesa che il primogenito omonimo di Edoardo

crescesse per assumere direttamente le redini del regno; e questo fu trovato nel fratello del re

defunto, Riccardo, personaggio crudele ed efferato.

Figura 5 Ritratto di Edoardo IV

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Tale giudizio - storicamente rilevante e supportato dalla caratterizzazione voluta da Shakespeare

nell’opera omonima - lascia qualche dubbio negli storici poiché essendo Riccardo l’ultimo erede

della casa York (sconfitto, come adesso vedremo, da quell’Enrico con il quale avrà inizio la nuova

dinastia dei Tudor) si è portati a pensare che di lui sia stata tramandata un’immagine

esageratamente negativa, allo scopo di celebrare la grandezza dei nuovi padroni. Comunque sia,

Riccardo – persona certamente non mite - nella sua qualità di membro del Consiglio del regno, si

fece nominare Lord Protettore e, servendosi di tale carica, fece sterminare buona parte della

famiglia della regina vedova Elisabetta Woodville – i cui membri non godevano dell’affetto della

corte, poiché per la loro bramosia di ricchezze ed onori erano considerati dei parvenu – ed inoltre

fece dichiarare invalido il matrimonio della cognata con il re suo fratello e, conseguentemente,

illegittimi i due suoi nipoti che, pare per mano sua, trovarono la morte. Eliminati i nipoti,

massacrata la famiglia della regina vedova (che riuscì comunque a salvarsi) nulla più a quel punto

sbarrava la strada a Riccardo che nel 1483 salì al trono con il nome di Riccardo III (1452 – 1484).

Gli eventi tragici determinati dagli assassinii di Riccardo non furono privi di conseguenze su Enrico

Tudor, ormai adulto, che vide in essi l’occasione per intervenire. Attraverso una sapiente azione

diplomatica volta a denunciare l’indegnità di Riccardo, il nostro Enrico riuscì a portare dalla sua

parte i maggiori baroni di Inghilterra tra cui Thomas Stanley, Conte di Derby ed Henry Percy Conte

di Northumberland cosicché Riccardo fu sconfitto e ucciso a Bosworth il 22 agosto 1485. Giunto a

Londra, Enrico dichiarò chiuse le ostilità e si fece incoronare col nome di Enrico VII (1457 – 1509)

i cui diritti, nonostante il colpo militare, poggiavano su solide basi in quanto erede dei Lancaster e

futuro marito di Elisabetta di York, primogenita di Edoardo IV ed Elisabetta Woodville. Enrico cioè

con questo matrimonio unifica le due casate nemiche e pone le basi per la nascita di eredi

dall’indiscussa legittimità; inoltre pone termine alla lotta fratricida dei due rami dei Plantageneti dai

quali nasce la dinastia dei Tudor simboleggiata dalla Rosa che unisce il bianco degli York con il

rosso dei Lancaster. La guerra civile, tra le più lunghe e terribili, aveva avuto come effetto quello di

annientare non solo fisicamente ma anche economicamente il grosso dell’antica aristocrazia, che da

sempre ostacolava il consolidamento del potere centrale. La scomparsa dell’antica classe feudale

comportò il ritorno alla corona di molti feudi e ciò rese Enrico enormemente ricco e potente al

punto di consentirgli di creare un esercito che non avevi pari in nessuno dei nobili del regno.

Figura 6 Edoardo V e Riccardo III

Potere, ricchezza ed indipendenza sono quindi la cifra caratterizzante il primo rappresentante della

dinastia Tudor, che in questa nuova situazione ebbe modo di dar vita ad una nuova nobiltà

finalmente dipendente dal re e costituita allo scopo di fungere da appoggio nei momenti critici e non

più avversaria da blandire o da minacciare a seconda dei casi. Restava ancora un problema: vi erano

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in circolazione personaggi legati per sangue alla famiglia reale che avrebbero potuto insidiare o

comunque contestare il diritto dei Tudor a regnare, ma la questione fu risolta prima da Enrico e poi

dall’Enrico suo figlio: tutti coloro che per sangue potevano vantare diritti al trono - come i De la

Pole, i Beaufort e gli Hastings – furono, in fasi diverse, sterminati senza pietà.

Figura 7 Enrico VII Tudor

I Tudor sono una dinastia dagli aspetti contraddittori e non semplici da indagare; non vi è

dubbio infatti che è ad essa che ci dobbiamo rivolgere se vogliamo trovare alcune delle personalità

più significative della Storia d’Inghilterra, relativamente a quel periodo che dall’età chiamata per

convenzione tardo medioevale, ci conduce a quella moderna. Potremmo dire che i Tudor furono

capaci di cose grandissime, anche se non mancarono le ombre e in qualche caso queste ultime

sovrastarono le luci. Si potrebbe anche aggiungere che i Tudor furono una dinastia prevalentemente

“femminile” e questo perché il ruolo svolto dalle donne, nel bene e nel male, fu preponderante e

condizionò non solo la politica inglese, ma anche quella europea; inoltre questa caratteristica si

rivelerà una delle cause dell’estinzione di una famiglia che regnò per un periodo relativamente

breve; in particolare: dal 1485 al 1603; quindi solo centodiciotto anni; un lasso di tempo non certo

ragguardevole per una casa reale. Definire i Tudor una dinastia “femminile” non significa certo

alludere ad un difetto, anche se nell’immaginario collettivo del tempo la donna era considerata

inferiore all’uomo e quindi, a maggior ragione, del tutto inadatta a governare; tuttavia questa

caratteristica diventa un problema nel momento in cui, come nel nostro caso, si sta parlando di una

casa regnante; e ciò non per valutazioni morali o sociologiche, ma per ragioni molto precise dal

punto di vista giuridico. Vediamo perché.

La Lex Salica è una delle prime raccolte normative dei regni latino-germanici; essa era

chiamata così perché vigeva tra i Franchi Salii, cioè gli abitanti della regione prossima alla riva del

fiume Sala, che attraversa l'odierna Olanda (dove il fiume si chiama IJssel). Di tale legge però ci

interessa una sua applicazione tardiva, in occasione di una disputa successoria che vide contrapposti

i Valois – la casa reale di Francia – ed i Plantageneti – la casa reale d’Inghilterra, riguardo alla

successione del trono di Francia. In particolare Filippo VI, Re di Francia (siamo nella prima metà

del Trecento) negava la pretesa di Edoardo III d’Inghilterra di regnare al suo posto – diatriba che

darà l’avvio alla Guerra dei Cent’Anni - in quanto Edoardo sarebbe stato sovrano di Francia per

discendenza femminile, poiché figlio della figlia di Filippo IV e ciò contrastava con la legge Salica

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che così recita: “De terra vero nulla (salica) in muliere hereditas non pertinebit, sed ad virilem

sexum qui fratres fuerint tota terra pertineat” ovvero: “ Nessuna terra (salica) può essere ereditata

da una donna, ma tutta la terra spetta ai figli maschi”. Questa norma diventerà per secoli argomento

giuridico al quale ci si richiamerà in molte occasioni per negare la successione al trono a chi vi era

giunto per linea femminile, come Edoardo III relativamente alla Francia, e più in generale alle

donne, anche se tale legge fu variamente interpretata; per esempio: le donne possono salire al trono,

tuttavia in presenza di fratelli maschi, anche minori, questi ultimi prevalgono sulle sorelle. Il caso

del Regno Unito è invece del tutto particolare. In Inghilterra infatti la Lex Salica non trovò

applicazione a causa della situazione che si determinò durante il regno di Enrico VIII, secondo

sovrano di casa Tudor. Enrico infatti ben sapeva che a succedergli sarebbero state le due figlie

femmine (almeno fino alla nascita di Edoardo, avvenuta nel 1537) e quindi non poteva consentire di

farsi condizionare da una Lex che se applicata avrebbe posto fine alla giovane dinastia. Enrico cioè

tenta in ogni modo di avere il tanto sospirato figlio maschio – questa fu una delle ragioni per cui

ruppe il suo matrimonio con Caterina d’Aragona per sposare Anna Bolena – ma, non riuscendo

nemmeno da quest’ultima ad ottenere il sospirato erede, “bypassa” per necessità la Lex Salica

aprendo di fatto la strada ad un lungo dominio muliebre, durato ininterrottamente dal 1553 al 1603.

D’altra parte la nascita di Edoardo, unico figlio legittimo, non rassicurava sufficientemente Enrico

perché in un’epoca in cui riuscire a diventare adulti era una vera e propria scommessa sarebbe stato

troppo rischioso per i destini della dinastia escludere dalla successione le due ragazze, solo perché

donne. Mezzo secolo di regni femminili abrogarono di fatto la Lex Salica che ancora oggi non vige

in Inghilterra, come dimostra l’attuale sovrana in carica; o meglio: nel Regno Unito la Lex Salica

vige, ma nella sua accezione ristretta sopra citata: “Le donne possono salire al trono, tuttavia in

presenza di fratelli maschi, anche minori, questi ultimi prevalgono sulle sorelle nella linea di

successione”. Ciò che in effetti avvenne proprio con Edoardo VI, figlio di Enrico VIII che

nonostante fosse minore di età rispetto alle sorellastre Maria la Cattolica ed Elisabetta, le precedette

entrambe sul trono.

Ma perché è problematica la questione della discendenza femminile nelle case regnanti? La

salita al trono di una regina titolare (cioè non moglie di re, ma erede diretta, come lo è per esempio

l’attuale Regina d’Inghilterra Elisabetta II) comportava due possibili conseguenze, la peggiore delle

quali faceva sì che i possedimenti territoriali ereditati dalla regina titolare entrassero a far parte del

proprio consorte. Per esempio: se Elisabetta I regina d’Inghilterra, figlia di Enrico VIII ed Anna

Bolena avesse accettato di sposare Don Carlos, figlio ed erede al trono di Filippo II di Spagna,

l’Inghilterra – oltre alle problematiche relative alle questioni religiose che adesso non ci interessano

- sarebbe diventata parte del Regno di Spagna ed un loro eventuale erede avrebbe avuto il cognome

degli Asburgo e la dinastia Tudor si sarebbe estinta. C’è da dire che le case regnanti possono

stabilire regole diverse sulla trasmissibilità dei cognomi rispetto a quelle a cui sono soggetti i

comuni mortali, così come è avvenuto con l’attuale dinastia dei Windsor che, in seguito al

matrimonio di Elisabetta II con il Principe Filippo d’Edimburgo Mountbatten, ha assunto dal 1960

accanto al cognome Windsor anche quello del principe consorte: quindi Windsor - Mountbatten;

tuttavia, questa dicitura non si applica ad Elisabetta, a Filippo e ai loro figli (e ad altri membri).

Come si vede da un lato si è voluto salvaguardare il principio della trasmissibilità del cognome

dell’uomo, ma dall’altro, a tutela della denominazione Windsor, tale trasmissibilità non riguarda

coloro che sono “in graduatoria” per salire al trono. La seconda conseguenza non meno importante

della prima deriva dal fatto che per quanto si riconoscessero i diritti ereditari di una regina,

quest’ultima sposandosi sarebbe comunque dovuta sottostare al volere del marito, in virtù del

principio di sottomissione all’uomo; e quindi di fatto la donna avrebbe comunque perduto la potestà

sulle sue terre. Considerate che ai tempi dei Tudor (ma non solo) esistevano veri e propri trattati in

cui si pretendeva di dimostrare quanto la donna fosse un soggetto instabile; una specie di “maschio

mancato”. Ovviamente si trattava di pregiudizi privi di una qualsiasi base scientifica. Lo stesso

Enrico VIII in occasione di una delle sue guerre contro i Francesi, aveva affidato la reggenza a

Caterina d'Aragona (che lo aveva assolto assai egregiamente) e, più tardi, la temette quando aveva

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creduto, ripudiandola, di aver fatto di lei la sua peggiore nemica, immaginandola a capo di

numerose truppe e pronta a scatenargli contro una rivolta armata. Tuttavia l’idea di una donna alla

testa dello Stato appariva esecrabile per principio. Gli uomini erano forti e prudenti, avevano

l’acume e la magnanimità necessarie per governare gli altri; le donne deboli fisicamente,

psicologicamente e prive di logica. Non solo, le donne erano soggette agli influssi lunari che le

rendeva instabili e capricciose; difetti a cui nessuna donna, per quanto caratterialmente dotata,

poteva sottrarsi. Inoltre il concetto di “dignità regale” s’identificava con la figura maschile, anche in

virtù del principio che il Re rappresenta Dio di fronte ai suoi sudditi e quindi era cosa impossibile

che tale ruolo potesse essere svolto da una femmina. Un caso interessante, risolto egregiamente, fu

quello di Isabella di Castiglia, moglie di Ferdinando d’Aragona (i due sovrani che dettero le

caravelle a Colombo) che salì al trono nel 1474. Isabella infatti riuscì con il Concordato di Segovia

ad ottenere di continuare ad esercitare la sua potestà regale nella sua Castiglia. Ebbene, in questo

caso si stabilì che, nonostante Ferdinando per diritto di matrimonio potesse amministrare la giustizia

congiuntamente o separatamente anche in Castiglia, le ordinanze reali per essere valide dovevano

essere firmate da entrambi i sovrani, le monete recare entrambi le effigi ed i sigilli reali riportare le

armi delle due casate. Un buon compromesso quindi, che però fu ottenuto in virtù del carattere

combattivo di Isabella che non era persona da farsi sottomettere facilmente e non quindi per un

diritto riconosciuto giuridicamente a priori. Insomma, una donna come regina era un problema da

evitare; e a tutti i costi dovevano evitarlo i Tudor che, non dimentichiamolo, erano una dinastia

appena insediata, impostasi con le armi e priva della “forza della tradizione”, concetto assai in auge

ai tempi. Vedremo comunque che gli uomini vissuti all’epoca dei Tudor non potranno far altro che

accettare il dominio muliebre di Maria la Cattolica e di Elisabetta ma – è necessario ricordarlo – se

questo avvenne non fu per un’improvvisa quanto improbabile conversione ante litteram all’idea

della parità uomo-donna, ma perché tale riconoscimento discendeva dal principio superiore -

profondamente radicato negli ambienti nobiliari, ma anche nel popolo - secondo cui i sovrani,

uomini o donne che fossero, erano essere umani consacrati ed unti dal Signore e quindi intoccabili;

o, per meglio dire: si poteva anche “toccarli”, magari assassinandoli, ma chiunque lo facesse, in

qualche modo era consapevole – o se preferite era condizionato dalla mentalità del tempo – di

compiere un sacrilegio. Vi è poi una questione che riguarda più in generale la classe nobiliare. Non

si è mai sufficientemente coscienti della distanza siderale che divide la nobiltà dalla borghesia.

Anzi, ancor prima di ciò: che cos’è che differenzia un “borghese” da un “proletario”? Il fatto che il

primo vive, di norma, una condizione più agiata rispetto al secondo; tuttavia il secondo può aspirare

a diventare un borghese così come quest’ultimo può rischiare di decadere nella condizione

economica tipica del proletario. Del tutto diverso invece il rapporto che divide un nobile da un

borghese perchè ciò che li differenzia non è il denaro ma, a favore del primo, i natali illustri, il

sangue, il rango, le tradizioni cosicchè un borghese per quanto possidente non potrà mai aspirare ad

entrare a far parte della classe nobiliare, se non – per le donne – in seguito a matrimonio. In questo

senso possiamo dire che la nobiltà è una classe blindata ed inaccessibile. Questa modalità di

rapporti deve essere sempre tenuta presente quando narriamo vicende che riguardano epoche

almeno precedenti alla Rivoluzione francese, anche perché si tratta di una differenziazione di classe

non solo riconosciuta come vera dal nobile (il che è comprensibile in quanto filosofia funzionale

all’esercizio del suo potere sui sottoposti) non solo sopportata e subita perché imposta con la forza –

cosa certamente vera - ma anche perché l’uomo di estrazione ordinaria era culturalmente abituato a

riconoscere nel “signore” un soggetto titolare di diritti derivati da Dio, poiché Dio aveva collocato

ciascuno nella propria condizione sociale e tale condizione non poteva essere violata senza

infrangere contemporaneamente il volere di Dio. Oggi, le cose per fortuna sono molto diverse in

virtù della quasi totale scomparsa della classe nobiliare o comunque della sua “diminuzione” a

soggetto storico secondario, ma per secoli non fu così e tali considerazioni devono quindi essere

tenute presenti se vogliamo capire le scelte ed i comportamenti degli uomini vissuti in epoche

precedenti.

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Vediamo ora, come prima annunciato, la dinastia dei Tudor iniziando da quell’Enrico che,

dopo aver detronizzato Riccardo III s’insediò sul trono con il nome di Enrico VII (1457-1509).

Questo primo rappresentante dei Tudor diventa re a ventotto anni (1485) dopo una serie di vicende

avventurose che abbiamo descritto nella prima parte di questo capitolo. Il suo regno fu ricco di

soddisfazioni, ma anche di grandi dolori e paure. Vi furono almeno tre aspetti negativi che

dobbiamo ricordare. In primo luogo i costanti e seri tentativi attuati da presunti o reali pretendenti al

trono di rovesciare Enrico: nel 1487 gli Yorkisti superstiti si ribellarono al sovrano, il quale però

riuscì a sconfiggerli. Nel 1490 un millantatore di nome Perkin Warbeck si mise a capo di una

rivolta, ma anche questa fu sedata; si trattò di un pericolo notevole perché Warebek provò ad

invadere l'Irlanda nel 1491 e l'Inghilterra nel 1495, ma senza risultati. Warbeck sarà poi giustiziato

ed altri lo seguirono. Questi che ho appena citato sono però soltanto i tentativi più importanti che

con trame ed intrighi di vario genere fecero da sottofondo al regno di Enrico. Il secondo evento

negativo fu la morte prematura del principe di Galles, Arturo, al quale era stata data in sposa

Caterina D’Aragona; oltre infatti al dolore della perdita del figlio (sul quale Enrico puntava molto

poiché non stimava affatto il suo secondogenito che poi diventerà il grande Enrico VIII) questa

disgrazia determinò una serie di problemi poiché il matrimonio con Caterina faceva parte di un

preciso disegno politico volto a stabilire un’alleanza con i sovrani spagnoli; questione alla quale si

pose rimedio sette anni dopo facendo sposare Caterina con il fratello Enrico. Infine il terzo aspetto

da non trascurare fu la salute malferma sia dal punto di vista fisico che psicologico; non si vuole

dire che Enrico fosse mentalmente instabile, ma lo colpì una sorta, diremmo oggi, di depressione

determinata molto probabilmente dall’aver visto infrangere il sogno di trasmettere in mani, da lui

giudicate più sicure, tutto ciò che aveva costruito. Tuttavia quando Enrico morì, all’età di

cinquantadue anni, lasciò un’ottima eredità al figlio, sia in termini di sicurezza interna (i tentativi

degli avversari erano stati, almeno per il momento, debellati) sia sotto l’aspetto economico essendo

riuscito a confiscare e ad incamerare per sé tutte le proprietà che erano appartenute al precedente

sovrano (Riccardo III) consentendo così a suo figlio di avere a disposizione una fortuna immensa

per le sue guerre e per i suoi capricci; mancò però ad Enrico VII quella regalità, quel riuscire ad

essere un punto di riferimento carismatico per i suoi sudditi; un limite di immagine al quale porrà

rimedio proprio quel figlio così poco amato che nel 1509 salì al trono d’Inghilterra con il nome di

Enrico VIII (1491-1547). Descrivere la personalità di questo sovrano richiederebbe un volume a

parte. Enrico assume in sé tutto e il contrario di tutto: uomo di cultura musicale, filosofica, teologica

e amante delle arti, ma anche grossolano, spaccone e prepotente; profondamente religioso al punto

di essere nominato dal Papa Leone X Defensor Fidei, ma responsabile di una delle fratture più

clamorose con la Chiesa di Roma (tra l’altro per motivi privati); magnanimo e disponibile al

perdono, ma spietato fino ad essere capace di crudeltà inaudite e talvolta inutili; finissimo

psicologo, in grado di leggere nei cuori come pochi (molti temevano il suo sguardo penetrante) ma

anche ingenuo, superficiale e privo di sensibilità; genitore affettuoso, ma troppo spesso dimentico

dei suoi doveri nei confronti dei figli, così da trascurarli per anni (come nel caso della primogenita

Maria); deciso nelle sue scelte politiche, ma pronto a smentirle e a rovesciarle; uomo bello e

prestante in giovane età, quanto ripugnante ed obeso in età matura; amante eccezionale capace di

coinvolgere emotivamente le sue donne, ma incostante e pronto a tradire anche le compagne a lui

più fedeli. Una cosa su tutto però prevaleva: la convinzione assoluta ed incrollabile di essere un

superior, capace addirittura di virtù taumaturgiche con la semplice imposizione delle mani; una

predominanza indiscussa e soprattutto indiscutibile, che gli derivava dall’etica del tempo, da lui

portata all’esasperazione. Tutti dovevano ubbidirgli; non si sentiva sottomesso a nessuna autorità

terrena, tanto meno a quella del Papa. Come è noto si sposò per ben sei volte ed ognuna delle sei

mogli ebbe un ruolo ed un destino diverso, ma tutte furono profondamente condizionate dalla

volontà imperiosa ed imprevedibile di quest’uomo. La prima moglie fu Caterina d’Aragona che

Enrico VIII sposò nel 1509. Donna dai nobilissimi natali (Caterina era figlia dei sovrani di Spagna,

Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, nonché zia dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo) fra

tutte fu la moglie che maggiormente soffrì, a causa dello scandalo determinato dal divorzio. Dopo

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I, I Plantageneti e i Tudor

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Caterina fu la volta di Anna Bolena (sposata in segreto nel 1533) che, a causa della sua incapacità

di generare il figlio maschio, tanto desiderato da Enrico (e a causa del suo terribile carattere) fu

mandata a morte insieme al fratello, mentre la famiglia Bolena, fino a quel momento in auge a

corte, cadde in disgrazia. Poi la terza, Jane Seymour, sposata nel 1536, la più amata; donna assai

sensibile ed intelligente che mori di parto, dando alla luce l’unico erede maschio legittimo di

Enrico, il futuro Edoardo VI. La quarta, Anna di Clèves (sposata nel 1540) senz’altro la moglie più

abile nello sfruttare la sua posizione. Ripudiata da Enrico per la sua scarsa avvenenza, accettò di

farsi da parte in cambio di una lauta rendita, diventando nel tempo una carissima amica del sovrano.

Caterina Howard (1540) donna dal passato sentimentalmente confuso ed inconsapevole del luogo

in cui la sorte l’aveva collocata. Non sapendo muoversi nei meandri della corte inglese – vero e

proprio nido di vipere – Caterina ne rimase vittima, pagandone il prezzo con la decapitazione; ed

infine Caterina Parr, raffinata, fine intellettuale, assai appassionata alla Riforma che divenne

moglie di Enrico nel 1543 e a lui, fortunosamente, sopravvisse. Quando nel 1547 Enrico muore,

l’Inghilterra è in condizioni problematiche, con una dinastia dal destino incerto per la questione

della successione ed un Paese profondamente lacerato dalla disputa religiosa, che condizionerà il

regno per parecchi decenni. Dopo Enrico VIII sale al trono il suo unico erede maschio legittimo

Edoardo VI (1537-1553). Per la verità Enrico aveva avuto un altro figlio: Enrico Fitzroy, primo

Duca di Richmond e Somerset, ma questi, nonostante per un certo periodo sembrasse avere

possibilità di diventare davvero l’erede di Enrico, era un illegittimo avuto da una sua amante,

Elisabetta Blount, e comunque morì prima di suo padre. Fin dalla sua nascita Edoardo venne fatto

oggetto di attenzioni parossistiche, tale era il timore che egli potesse morire: la sua stanza - una

specie di camera iperbarica ante litteram - veniva disinfettata in continuazione Nel periodo

precedente alla sua ascesa al trono Edoardo visse davvero poco nel castello di Windsor e nella

stessa Londra, poiché la città era frequentemente esposta ad epidemie di terribili malattie come la

peste e il vaiolo; inoltre, per quanto complessivamente sano, il ragazzo era di salute cagionevole. Il

20 febbraio 1547, ad appena dieci anni, diventa Re d'Inghilterra e d’Irlanda. Di bell’aspetto, con un

buon carattere e dotato di una certa intelligenza, Edoardo non sapendo o non potendo imporsi fu

facilmente condizionabile; tuttavia è proprio durante il regno di questo sovrano ragazzino che la

Chiesa protestante d’Inghilterra compie notevoli passi avanti, anche in virtù delle scelte attuate sia

dallo zio Edward Seymour, Duca di Somerset, Lord Protettore nonché fratello della terza moglie di

Enrico VIIII, Jane Seymour, sia dall'Arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer, entrambi

convinti luterani. Come spesso accadeva in quell’epoca, religione e politica si mescolavano con

risultati non propriamente positivi; e così sotto la pressione degli uomini che circondavano Edoardo,

questi ultimi lo convinsero a promulgare nel 1549 il Book of Common Prayer, testo di riferimento

fondamentale per la confessione anglicana, nel quale si ridefinivano sia le liturgie che le modalità

relative ai sacramenti. La piega, dichiaratamente protestante, assunta dagli eventi fu alla base

dell’azione di John Dudley, Duca di Northumberland, il vero governante d'Inghilterra nell'ultimo

periodo di regno di Edoardo VI. Egli infatti tramò a tal punto da vanificare quanto aveva stabilito

l'Act of Succession, promulgato a suo tempo da Enrico, documento con il quale si stabiliva che, alla

morte di Edoardo, sua figlia Maria prima ed Elisabetta dopo, sarebbero dovute salire al trono; ma se

questo fosse avvenuto, dato il carattere rigorosamente cattolico della formazione di Maria, figlia,

non dimentichiamolo, di Caterina d’Aragona, l’Inghilterra sarebbe tornata papista; un evento

vissuto dagli uomini della corte inglese come una vera e propria catastrofe. Dudley passò quindi

all’azione riuscendo ad estorcere la firma di Edoardo su un documento con il quale si stabiliva che

la sua erede sarebbe stata non Maria bensì Lady Jane Grey, pronipote di Enrico VII che, essendo

stata educata alla fede protestante da Caterina Parr, l’ultima moglie di Enrico VIII, avrebbe

garantito continuità alla religione riformata. Un atto dal corto respiro e assolutamente illegittimo dal

quale derivarono solo disgrazie. Nel 1553 Edoardo muore, senza che si sappia con precisione se il

suo decesso sia per malattia o per avvelenamento; fatto è che, come previsto, Jane Grey (1537 -

1554) sale al trono. La sua legittimità si basava sul fatto che la madre della Grey era figlia di

Frances Brandon, a sua volta figlia del grande amico di Enrico VIII, Charles Brandon e della

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I, I Plantageneti e i Tudor

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principessa Maria Tudor, sorella minore di Enrico; il padre invece era Henry Grey, Duca di Suffolk:

Jane cioè era una pronipote di Enrico VIII e quarta nella linea di successione al trono inglese. Altra

regina ragazzina dunque, visto che diventò tale a diciassette anni (fatto relativamente non raro,

appena accaduto con il cugino che la precedette Edoardo VI); ma l’evento davvero clamoroso che la

riguardò non fu il fatto di salire al trono in giovane età bensì la durata del suo regno: nove giorni

appena, trascorsi i quali venne giustiziata. Dopo la morte della Grey nulla a quel punto poteva

impedire l’ascesa al trono di Maria la Cattolica (1516-1558) o Maria la Sanguinaria (a seconda dei

punti di vista). Finalmente, dopo lunghe sofferenze ed interminabili attese era giunto il momento

tanto agognato. In gioventù Maria aveva patito privazioni, vere e proprie cattiverie e, in più di

un’occasione – soprattutto al tempo del divorzio della madre – aveva anche rischiato la vita; ma ora,

assumendo il potere, Maria avrebbe potuto non soltanto riportare l’Inghilterra nel cattolicesimo, ma

anche consolidare la propria linea di successione, escludendo così definitivamente la sorella

Elisabetta, di fede protestante. Tuttavia, nonostante la sua politica, per certi aspetti implacabile, fatta

di condanne a morte e di roghi nei quali perirono non pochi protestanti, non riuscì né nella prima né

nella seconda delle imprese. Sterile e quindi incapace di generare figli, Maria morì senza eredi,

trovandosi così costretta a lasciare il campo ad Elisabetta I (1533-1603) figlia dell’odiata Anna

Bolena, la cui ascesa al trono ed il lungo regno, collocò definitivamente l’Inghilterra nell’alveo dei

paesi protestanti, anche se nemmeno Elisabetta riuscì a sfuggire alla sventura dell’incapacità di

generare figli, maschi o femmine che fossero. Privo di eredi, nel 1603 lo scettro della corona inglese

passò nelle mani di Giacomo VI, Re di Scozia, figlio di quella Maria Stuarda che Elisabetta, sua

cugina, aveva fatto uccidere. Le due corone – Scozia ed Inghilterra (e Irlanda) – furono così

unificate a favore della dinastia degli Stuart. Giacomo volendo sottolineare la novità del nuovo

regno, assunse il nome di Giacomo I, dando così inizio ad un periodo dalle caratteristiche diverse

rispetto a quelle fin qui raccontate; ma questa è tutta un’altra storia che non riguarda più la famiglia

dei Tudor che, a dispetto dei ripetuti tentativi di Enrico VIII di sostituire le proprie mogli perché

generassero un maschio, a causa della sterilità di Maria e dei rifiuti di Elisabetta di sposarsi,

sacrificò se stessa sull’altare dell’estinzione.