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1 La civiltà minoico-cretese Dispensa 1: Lezioni dell’autunno 2010 Miscellanea a cura di Sandro Caranzano , riservati ai fruitori del corso di archeologia presso l'Università Popolare di Torino 2010-2011 1.1 – Carattere e cronologia della civiltà minoica. Secondo la datazione di Eratostene, la guerra di Troia ebbe luogo nel 1183 a.C. e re Minosse visse tre generazioni prima. Quindi, per i Greci, il regno di Minosse conobbe il suo apice intorno al 1260 a.C., circa cento anni dopo la data in cui, come sostengono la maggior parte degli archeologi, fu abbandonata la presunta reggia di Cnosso. Come dice Thomson, forse è meglio accettare il contenuto generale delle storie greche, o comunque averle a mente, e lasciar perdere le date. Sicuramente i Greci accorciarono la durata cronologica dei primi eventi della preistoria egea. L'età cretese del bronzo fu un lungo periodo di crescita culturale che ebbe inizio intorno a 3.000 a.C. e terminò verso il 1000 a.C. Nel corso di quel lungo periodo si verificarono molti cambiamenti. In genere, quando identifichiamo determinati tratti come «minoici», pensiamo alla cultura al suo apice, nei tre secoli precedenti l'abbandono del Labirinto di Cnosso, avvenuto nel 1380 a.C., senza renderci conto che quell'apice fu frutto di un millennio di evoluzione. All'inizio si era formata una ricca rete di commerci terrestri e marittimi, e gli intensi scambi con i numerosi vicini stranieri si spingevano fino in Egitto. In quella fase la civiltà egizia era più avanzata di quella cretese e può darsi che i rapporti con una cultura più progredita abbiano stimolato i Cretesi. I contatti con l'Anatolia fecero loro conoscere mestieri, manufatti, materiali e idee provenienti dalla Mesopotamia, che contribuirono a stimolarne lo sviluppo; ad esempio, sembra che l'idea di far uso di sigilli sia nata da alcuni esemplari importati dall'oriente. Tra il 3000 e il 2200 a.C., durante il periodo Minoico Antico, i Cretesi svilupparono tutte le caratteristiche tipicamente minoiche, senza costruire però i «palazzi». La società «palaziale», affermatasi tra il 2000 e il 1380 a.C. circa e assai avanzata nell'organizzazione gerarchica e burocratica, mostrava un lato estremamente pratico e razionale ricco di tec- nologie artigianali molto evolute, ma possedeva allo stesso tempo tutta la forza di immaginazione e la freschezza giovanile di una cultura nuova. II commercio si sviluppò su vasta scala, esclusivamente attraverso il baratto. Ad Amarna, in Egitto, è stata rinvenuta una corrispondenza concernente il baratto che risale al quattordicesimo secolo a.C., da cui risulta che il Faraone mandò «doni» d'oro al re di Babilonia e in cambio ricevette in regalo cavalli e lapislazzuli. Il re di Alasia, ovvero il re di Cipro, offrì 500 talenti di bronzo in cambio di argento, tessuti, letti e carri da guerra. Sono riportati persino scambi commerciali con i Minoici, «doni da parte dei principi (o condottieri) della Terra di Keftiù e delle

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La civiltà minoico-cretese Dispensa 1: Lezioni dell’autunno 2010

Miscellanea a cura di Sandro Caranzano , riservati ai fruitori del corso di archeologia presso l'Università Popolare di Torino 2010-2011 1.1 – Carattere e cronologia della civiltà minoica. Secondo la datazione di Eratostene, la guerra di Troia ebbe luogo nel 1183 a.C. e re Minosse visse tre generazioni prima. Quindi, per i Greci, il regno di Minosse conobbe il suo apice intorno al 1260 a.C., circa cento anni dopo la data in cui, come sostengono la maggior parte degli archeologi, fu abbandonata la presunta reggia di Cnosso. Come dice Thomson, forse è meglio accettare il contenuto generale delle storie greche, o comunque averle a mente, e lasciar perdere le date. Sicuramente i Greci accorciarono la durata cronologica dei primi eventi della preistoria egea. L'età cretese del bronzo fu un lungo periodo di crescita culturale che ebbe inizio

intorno a 3.000 a.C. e terminò verso il 1000 a.C. Nel corso di quel lungo periodo si verificarono molti cambiamenti. In genere, quando identifichiamo determinati tratti come «minoici», pensiamo alla cultura al suo apice, nei tre secoli precedenti l'abbandono del Labirinto di Cnosso, avvenuto nel 1380 a.C., senza renderci conto che quell'apice fu frutto di un millennio di evoluzione. All'inizio si era formata una ricca rete di commerci terrestri e marittimi, e gli intensi scambi con i numerosi vicini stranieri si spingevano fino in Egitto. In quella fase la civiltà egizia era più avanzata di quella cretese e può darsi che i rapporti con una cultura più progredita abbiano stimolato i Cretesi. I contatti con l'Anatolia fecero loro conoscere mestieri, manufatti, materiali e idee provenienti dalla Mesopotamia, che contribuirono a stimolarne lo sviluppo; ad esempio, sembra che l'idea di far uso di sigilli sia nata da alcuni esemplari importati dall'oriente. Tra il 3000 e il 2200 a.C., durante il periodo Minoico Antico, i Cretesi svilupparono tutte le caratteristiche tipicamente minoiche, senza costruire però i «palazzi». La società «palaziale», affermatasi tra il 2000 e il 1380 a.C. circa e assai avanzata nell'organizzazione gerarchica e burocratica, mostrava un lato estremamente pratico e razionale ricco di tec-nologie artigianali molto evolute, ma possedeva allo stesso tempo tutta la forza di immaginazione e la freschezza giovanile di una cultura nuova.

II commercio si sviluppò su vasta scala, esclusivamente attraverso il baratto. Ad Amarna, in Egitto, è stata rinvenuta una corrispondenza concernente il baratto che risale al quattordicesimo secolo a.C., da cui risulta che il Faraone mandò «doni» d'oro al re di Babilonia e in cambio ricevette in regalo cavalli e lapislazzuli. Il re di Alasia, ovvero il re di Cipro, offrì 500 talenti di bronzo in cambio di argento, tessuti, letti e carri da guerra. Sono riportati persino scambi commerciali con i Minoici, «doni da parte dei principi (o condottieri) della Terra di Keftiù e delle

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isole che sono in mezzo al mare». Si trattava probabilmente di esportazioni in Egitto di manufatti provenienti dai templi cretesi. In cambio gli Egizi mandarono oro, avorio, tessuti, recipienti in pietra contenenti profumo, carri e forse scimmie e schiavi nubiani. 1.2 – Ceramica ed evoluzione culturale. I vasai minoici producevano una stupefacente varietà di articoli. Uno degli stili più antichi di ceramica minoica risale al2700 a.C. ed è detto di Pirgos, dal nome di un sito sulla costa a nord-est di Cnosso. In genere, questo tipo di ceramica aveva una lucidatura a disegni geometrici su uno sfondo rosso, grigio o marrone chiaro, e veniva usata per calici con gambi stretti e lunghi o per piedistalli conici. Le ceramiche di Pirgos hanno una maggiore affinità con le ceramiche neolitiche greche e cicladiche piuttosto che con le loro progenitrici cretesi, e forse il loro stile fu importato. Subito dopo vennero prodotti vasi che su uno sfondo giallo pallido avevano semplici motivi lineari, néri, marroni o rossi. Questi recipienti del Minoico Antico II risalgono al 2500 a.C. circa e sono noti come ceramiche di Haghios Onoufrios, dal nome di un sito nei pressi di Festo. Nello stesso periodo apparvero altri due stili: quello dei vasi dalle forme insolite, di uccelli o animali, in cui potremmo includere il vaso della Dea di Myrtos, e quello delle ceramiche di Vasiliki, con cui si concluse la tecnica della lucidatura a disegni geometrici ed ebbe inizio un nuovo tipo di finitura, che consisteva nell'applicazione irregolare di una vernice marrone-rossiccia il cui scopo era simulare la superficie screziata dei vasi di pietra, a quel tempo molto di moda nella zona orientale di Creta. Fanno parte di questo stile singolari brocche e «teiere» con beccucci lunghi, dotati di caratteristici bordi rialzati e uniti al corpo principale del recipiente da una strana giuntura o articolazione.

Fig. 2 - Ceramica tipo "Pyrgos" (AM I) 2700 a.C. / Fig. 3 - Ceramica "Aghios Onouphrios" (AM I, AM II) 2500 a.C. ca. / Fig. 4 - Ceramica tipo "Vassiliki" (AM II) Nella fase appena precedente alla costruzione dei grandi templi, contemporaneamente al rapido sviluppo delle città, anche l'arte dei vasai ebbe una decisiva evoluzione. Infatti essi iniziarono a utilizzare torni veloci, che permisero loro di creare forme nuove e ricercate, e di assottigliare lo spessore delle pareti dei vasi. Presero anche a cuocere i vasi in forni costruiti appositamente anziché in fuochi all'aperto, ottenendo una cottura più costante e uniforme, e quindi risultati più sicuri. Molte forme sviluppate durante il Minoico Antico continuarono a essere utilizzate. Le decorazioni policrome probabilmente furono inventate a Cnosso, dove ebbero un duraturo successo, prima di diffondersi in tutta la zona orientale di Creta. Le ceramiche di Kamares erano vasi di spessore sottile con decorazioni policrome. Le bellissime coppe dalla fragile struttura a guscio d'uovo erano fatte a imitazione di modelli originali in metallo. Stupendi per la fattura e per le decorazioni, i vasi di Kamares raggiunsero un livello qualitativo mai uguagliato nel

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mondo egeo. Tuttavia questo stile ebbe una vita relativamente breve, poiché nel Minoico Medio III, che iniziò nel 1700 a.C., era già in disuso tra i vasai. Dato che quello fu un periodo di grande opulenza, si presume che i ricchi clienti che commissionavano le coppe di Kamares, tra cui c'erano aristocratici e sacerdotesse, preferissero acquistare coppe di metallo prezioso. Alcuni vasi rinvenuti a Cnosso e Festo testimoniano che intorno al 1600 a.C. si verificò un nuovo e sorprendente sviluppo nello stile dei vasi, con disegni marini a rilievo che raffiguravano conchiglie, granchi, alghe, rocce e delfini. Verso il 1500 a.C. apparve un altro stile ancora, con increspature a guscio di tartaruga. I templi furono distrutti e poi ricostruiti dopo il 1470 a.C. I vasai dei nuovi templi crearono altri stili ancora, le cui decorazioni traevano ispirazione dalla natura, ma erano stilizzate in modo da formare arditi motivi decorativi. Lo stile Floreale e lo stile Marino produssero esemplari davvero notevoli. Ciò nonostante, le decorazioni dei vasi fabbricati in questo periodo in tutta Creta, Cnosso compresa, erano eseguite con trascuratezza.

Fig. 5/6 - Lo stile detto di “Kamares” si riferisce alla località di una grotta che si trova sul monte Ida, all’interno della quale furono effettuati i principali ritrovamenti. Dal punto di vista stilistico, sono caratterizzate da motivi geometrici e da sinuose figure stilizzate, riprendenti perlopiù motivi del mondo vegetale. Durante il Tardo Periodo Templare, quando si affermò il predominio di Cnosso su quasi tutta Creta, i vasai del tempio lavoravano con uno spirito diverso, e la produzione era più formale, simmetrica e pomposa. Al principio, le anfore nel cosiddetto «Stile Palaziale» furono prodotte e utilizzate soltanto a Cnosso, e quindi è probabile che fossero fabbricate solo per la classe dominante. Sinclair Hood ha notato che in quel periodo ci furono molti segni di un'influenza proveniente dalla terraferma. Dalla Grecia furono introdotte a Creta nuove forme, tra cui calici con gambo alto decorati secondo lo stile efireo. In quel periodo, alcuni motivi decorativi tradizionali dell'artigianato minoico divennero simmetrici, formali e convenzionali. I papiri e persino i polpi furono ridotti a forme simmetriche. I soggetti si ispiravano al mondo marino e vegetale, a elmi, scudi, doppie asce e, per la prima volta, a uccelli. La vitalità e il forte senso di movimento scomparvero dalle ceramiche minoiche, per essere sostituiti da forme rigide e controllate estranee allo spirito minoico. Nel XIV secolo a.C., i motivi decorativi divennero più schematici. I tentacoli dei polpi, talvolta ridotti da sei a quattro, divennero lunghi in modo sproporzionato, i fiori di papiro persero ogni grazia, e per la prima volta si diffusero motivi decorativi con uccelli. Nel tredicesimo secolo, la qualità tecnica dei vasi mantenne un livello generale buono, sia per quanto riguarda la cottura che per il fondo marrone-rossiccio, ma continuò il graduale impoverimento delle decorazioni, con i polpi ormai divenuti semplici linee ondulate che cingevano il vaso. Fu in quel periodo che l'influenza micenea sul mondo egeo raggiunse l'apice. Infine, nel dodicesimo secolo a.C., le decorazioni si ridussero a sterili fasce orizzontali o a di-

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segni orlati da margini compatti, fasce e bordi multipli. L'eccessivo affollamento di decorazioni rende difficile l'interpretazione dei disegni. Su un vaso ritrovato nella Caverna Dittea, a stento si riesce a riconoscere un polpo con dodici tentacoli. I segni della decadenza sono evidenti in queste figurine più che in qualsiasi altro manufatto. Sul rifugio montano di Karfi, un manipolo di sopravvissuti cercava di tener vivo lo stile di vita minoico, riuscendo però a creare solo inerti stereotipi. La civiltà minoica era giunta al termine. 1.3 – Il palazzo di Cnosso. I primi insediamenti neolitici nel sito di Cnosso forse erano costituiti da capanne di legno, che hanno lasciato come uniche tracce archeologiche le buche per i pali. Allo strato 9, cioè verso il 6000 a.C., le case di Cnosso erano fatte di fango; in esso infatti si trovano mattoni che sembrano essere stati induriti col fuoco, secondo una pratica mai più utilizzata nella Creta neolitica o dell'età del bronzo. Queste case, che alloggiavano i primi vasai cretesi, avevano stanze rettangolari ed erano costruite senza basamenti in pietra. In seguito, le case neolitiche cominciarono a essere costruite su basamenti di pietra, e questo sistema di costruire in pietra la parte inferiore dei muri e in mattoni di fango quella superiore, divenne la regola durante l'età del bronzo. Intorno al neolitico tardo, le case di Cnosso erano divenute assai sofisticate, con caminetti quadrati posti contro una parete o al centro della stanza, ed erano collocate l'una accanto all'altra secondo una

disposizione cellulare tipica dei villaggi del Minoico Antico come Fornou Korifi (Myrtos) e dei templi del Minoico Medio Cnosso, divenne un florido centro della civiltà minoica verso il 2000 a.C., epoca della costruzione del grande palazzo che, privo di mura difensive, era sintomo dell'egemonia cretese sul mar Egeo. Verso il 1700 a.C. un cataclisma, forse un terremoto provocato dall'eruzione del vulcano dell'isola di Thera (l'odierna Santorini), distrusse tutti i palazzi dell'isola, incluso quello di Cnosso. Durante il pe riodo neopalaziale (1700 a.C.-1500 a.C.) il palazzo venne ricostruito ancora più sontuoso di quello di epoca palaziale, ancora una volta privo di mura difensive. Verso il 1450 a.C. Cnosso fu devastata dai micenei, popolazione proveniente dal Peloponneso, come testimoniano i testi in lineare B rinvenuti nel palazzo, finché verso la metà del XIV secolo a.C. la città iniziò a decadere. Il primo ad intraprendere gli scavi a Cnosso fu Minos Kalokairinos, un amatore, commerciante di Iraklion, che nel 1878 scoprì due dei magazzini del palazzo. I turchi, padroni del terreno, lo costrinsero a fermare le ricerche. Fallirono pure i tentativi di Heinrich Schliemann nel comprare la collina di "Kefala" a causa delle eccessive pretese dei turchi. Infatti volevano vendere al ricercatore molti più ulivi di quanti non ce ne fossero sulla collina costringendolo a pagare un ingente somma che il tedesco rifiutò indignato. La fortuna aiutò invece Sir Arthur

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Evans, archeologo e in quel periodo direttore dell'Ashmolean Museum di Oxford, che incominciò scavi sistematici nel 1900, seguito dal suo assistente, l'archeologo inglese D. Mackenzie, che teneva anche il diario di scavo, dopo la proclamazione dell'autonomia dell'isola. Verso la fine del 1903 quasi tutto il palazzo era scoperto e la ricerca procedette nei dintorni. Evans continuò così fino al 1931, con un'interruzione durante la prima guerra mondiale. Più tardi pubblicò la sua opera The Palace of Minos at Knossos, in quattro volumi. Fin dall'inizio i monumenti scoperti avevano bisogno di restauro. Così certe parti del palazzo sono state restaurate e in questi lavori fu usato il cemento armato in abbondanza. Le parti che corrispondevano a costruzioni in legno furono all'inizio dipinte in giallo (oggi il colore giallo è sostituito). Inoltre, copie dei meravigliosi

affreschi trovati durante gli scavi sono state collocate ai posti originali. Questo metodo di restauro è stato criticato da molti a causa dell'utilizzo di materiali estranei all'architettura minoica. Altri scienziati hanno contestato certi risultati di Evans. A parte tutto ciò, la intuizione, l'immaginazione creativa e la profonda conoscenza scientifica di Evans sono sempre state ammirate. In grandissima parte si deve a lui la scoperta dello splendore del mondo minoico, che fino alla sua epoca si rifletteva solo nella mitologia greca. Dopo la sua morte, gli scavi di Cnosso, che continuano fino a oggi, sono stati intrapresi dalla Scuola Archeologica Inglese. Come gli altri palazzi di Creta, anche quello di Cnosso costituiva il centro politico, religioso ed economico dell'impero marittimo minoico e possedeva inoltre un carattere sacro. Il palazzo ricopriva una superficie di 22.000 m2, era a più piani e a pianta molto complessa ed intricata. Fig. 8/9 – Ricostruzione della cosiddetta sala del Trono del palazzo di Cnosso come si presentava nella fase micenea; Affresco dal palazzo di Cnosso con taurocapsia.

Il "secondo palazzo" fu costruito all'inizio del XVI secolo a.C. Il palazzo di Cnosso era costruito intorno ad un cortile in terra battuta dove si esibivano dei gin nasti che volteggiavano sui tori, animale sacro per i cretesi, sfidando la morte come i gladiatori del Colosseo. Il palazzo era così grande e la trama era così complessa che viene menzionato come labirinto nel mito del filo di Arianna. La zona più famosa della città è la cosiddetta «Strada Reale», che va dall'Area del Teatro, nell'angolo nord-occidentale del tempio, al Santuario della Testa Taurina (o «Piccolo Palazzo»), che si trova a 200 metri di distanza in direzione ovest nord-ovest. E una tipica strada minoica di Cnosso, con una corsia centrale, larga 1,4 metri, composta da due file di grandi lastre rettangolari di pietra. Ai lati ci sono due corsie di livello leggermente inferiore, più strette e fatte di pietre di minori di-mensioni prive di una forma definita. Non sappiamo come venissero utilizzate le tre corsie durante il periodo minoico, ma la differenza di livello potrebbe indicare che la corsia centrale era mantenuta asciutta quando pioveva, facendo defluire l'acqua verso le corsie laterali.

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Il Palazzo di Cnosso (come tutti i grandi palazzi scoperti sino ad oggi a Creta) disponeva di una grande Corte Centrale rettangolare, orientata grossomodo da nord a sud e lunga 45 metri per 25. Le testimonianze spingono a ritenere che la Corte Centrale fosse il luogo destinato alla taurocatapsia, Doveva esistere un gruppo di atleti-danzatori che eseguiva una serie di esercizi spettacolari e pericolosi a beneficio di un vasto pubblico. La folla di spettatori raffigurata nell'affresco della Tribuna sta quasi sicuramente assistendo a una rappresenta-zione di taurocatapsia, e nel Santuario Tripartito ci sono testimonianze inequivocabili sul fatto che era la Corte Centrale il luogo deputato a tali cerimonie. Alcuni atleti distraevano il toro facendo salti mortali nella corte lastricata. Mentre l'attenzione dell'animale era sviata, un acrobata poteva accostarsi a un fianco del toro e saltare dall'altra parte. Altri membri del gruppo, si precipitavano sulle corna del toro, coprendole con il proprio corpo e facendo abbassare il capo all'animale. A quel punto un altro atleta, il saltatore, poteva tuffarsi tra le corna atterrando con le mani e la testa sulla schiena del toro, la spinta del salto gli faceva poi compiere l'ultimo movimento della giravolta, e l'acrobata atterrava in piedi alle spalle del toro. Non sappiamo se anche le gare di lotta e di pugilato raffigurate sul rhyton di Haghia Triada, in un affresco in miniatura di Tilisso e su alcuni sigilli, facessero parte o meno dello stesso tipo di festa. A giudicare dal contesto in cui appaiono, hanno tutte le caratteristiche di lotte rituali. Le taurocatapsie minoiche sono sempre state oggetto di controversia, e secondo molti studiosi non ebbero mai realmente luogo. Tuttavia, se interpretate in un certo modo, le opere d'arte ci permettono di ricostruire una serie di esercizi acrobatici credibili. Piuttosto significative sono poi le sale a pilastri; sotto il pavimento delle cripte a pilastri dell'Ala Occidentale di Cnosso erano depositate le ceneri di animali sacrificati, mentre sui pilastri stessi era inciso varie volte il simbolo della doppia ascia. Le cripte erano troppo piccole per richiedere un pilastro centrale a sostegno del soffitto, perciò l'unica ipotesi possibile per giustificare la sua presenza è il

significato simbolico. Secondo Ferguson il pilastro era una rappresentazione stilizzata dell'albero sacro. Le pietre erano oggetto di culto in antichità, e forse in esse echeggia il ricordo di credenze ancora più antiche di quelle dei costruttori di megaliti. L'Antico Testamento racconta che Giacobbe innalzò una pietra nel punto dove aveva avuto una visione mistica, poi la venerò e la unse d'olio. I pavimenti sottostanti molti pilastri presentano incavature rettangolari, segni di una probabile offerta di liquidi per libagioni. Una vasta area del palazzo era occupata da un complesso di magazzini, utilizzati per contenere l'enorme volume di offerte e tributi donati dai cittadini e dagli abitanti delle campagne circostanti. Infatti, una delle funzioni principali dei templi minoici era l'amministrazione e la ridistribuzione di tali tributi. Nei palazzi vi erano inoltre piccole sagrestie e camere di si-curezza dove venivano conservati gli articoli di culto preziosi; vestiboli dove le sacerdotesse si preparavano alle cerimonie indossando le vesti rituali; refettori per sacerdoti, sacerdotesse, iniziandi e inservienti del tempio; aree dove veniva servito il cibo; e cucine. Di fronte alla Corte Occidentale, e davanti alla quale avevano luogo grandi feste religiose pubbliche che univano

il tempio alla città. Come ha intuito con perspicacia Nanno Marinatos, le caratteristiche architettoniche comuni delle Corti Occidentali di Cnosso, Festo e Mallia evidenziano un

utilizzo di tali aree per le feste agricole. Ciascuna Corte Occidentale era dotata di grossi granai cilindrici e, a giudicare dal singolare schema di strade rialzate e lastricate, i granai e l'ingresso del tempio erano molto importanti. Le entrate dei palazzi non davano molto nell'occhio. Cnosso aveva setto o otto ingressi, tutti diversi tra loro, e tutti poco appariscenti. Gli ingressi portavano a

Fig. 10 – Il famoso rython a testa taurino scoperto nel palazzo di Cnosso

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corridoi che, seguendo percorsi più o meno tortuosi, arrivavano alla Corte Centrale. Forse nelle svolte e nelle deviazioni di questi corridoi era celato un senso magico-religioso. Gli architetti minoici intendevano produrre un effetto di sconcerto, solennità e disorientamento. La loro intenzione era creare un'esperienza narrativa in cui il pellegrino 0 l'iniziando si ritrovava a percorrere un cammino ricco di sorprese e incontri inquietanti. L'approvvigionamento idrico durante le torride estati cretesi deve essere sempre stato un problema per le città. I Minoici costruivano cisterne o vasche per l'acqua, che ricoprivano di stucco impermeabile. La loro forma era spesso circolare e avevano, come a Zakro e a Tilisso, rampe di scale per accedere all'interno. Non sappiamo se oltre a servire per il rifornimento idrico, avessero anche una funzione rituale. Le città minoiche erano dotate di complessi impianti idraulici. A Cnosso c'erano fognature coperte per trasportare via i liquami, costruite con lastre di pietra. Le acque piovane venivano portate giù dal tetto attraverso i pozzi di luce in modo da spazzare via i liquami dai tre gabinetti dell'Ala Orientale. Il manufatto della sala per le vestizioni era probabilmente un supporto per caraffe d'acqua. L'acqua veniva versata attraverso il foro nel pavimento vicino alla porta d'ingresso del gabinetto. Un canale sotterraneo collegava il foro al tubo di scarico verticale

che si trovava sotto il sedile del gabinetto. In questo modo chi utilizzava il gabinetto o un servo fuori della porta potevano far sì che i liquami fossero spazzati via persino d'estate in assenza di piogge. C'erano anche tubature d'argilla, formate da singoli tubi conici con sporgenze laterali che potevano essere collegati l'uno all'altro. Era un sistema molto ingegnoso che permetteva di posare le tubature in linea retta o formando curve, in modo non dissimile dagli scivoli per i detriti dell'edilizia moderna. Secondo Evans i tubi d'argilla venivano utilizzati per portare l'acqua all'interno del palazzo di Cnosso. Tuttavia è molto improbabile che sia così, poiché il sito si trova su una collinetta ed era necessario superare una pendenza contraria. Si è ipotizzata anche la presenza di un effetto sifone, ma in tal caso tutte le tubature avrebbero dovuto essere a tenuta d'aria, cosa estremamente improbabile. In alternativa, forse le tubature attraversavano le valli provenendo da zone più elevate e lontane per mezzo di acquedotti alti, di cui non è rimasta traccia. Evans ricostruì nell’entrata Est un complesso sistema di scarico delle acque pluviali. Un canale scoperto di argilla scendeva da un lato della scalinata del labirinto. Su ciascun pianerottolo una piccola vasca di decantazione rettangolare fungeva da pozzetto. Canali di scolo più consistenti erano installati in pozzi di luce, cantine o cortili, noti come la Stanza dello Scolo di Pietra e la Corte della Grondaia di Pietra. L'acqua attraversava scoli in pietra scoperti per una

lunghezza totale di 25 metri, e da lì defluiva in uno scarico verticale In molti punti del Labirinto di Cnosso l'ossatura di rinforzo in legno era adottata sia nei muri in pietra che in quelli in pietrisco, perciò probabilmente davvero serviva ad aumentare la resistenza ai terremoti. Negli edifici più importanti, come i templi, venivano utilizzati pezzi di pietra levigata, tagliati con lunghe seghe di bronzo, soprattutto per le sezioni di muro a vista. Sulla Facciata Occidentale di Cnosso e Festo vi era un'ulteriore rifinitura muraria, costituita da una fila di grossi blocchi alla base. Il resto del muro rientrava di uno o due centimetri in modo da mettere in evidenza la rifinitura. A Mallia, la fila inferiore sporgeva a tal punto dal resto del muro da formare un gradino che poteva essere usato come panca. La struttura muraria arrivava fino alla sommità del piano terra, mentre i piani superiori, qualunque fosse il loro numero, probabilmente erano costruiti con mattoni di fango. Talvolta i mattoni di fango misuravano 50 x 40 x 12 centimetri e venivano utilizzati per costruire intere case, ma di solito il piano terra era in pietra e con i mattoni si facevano i piani superiori e le pareti divisorie (tav. 8) .

Fig. 11 – Riproduzione di rilievo su sigillo minoico con rappresentazione di sacra

processione in prossimità di un corridoio di palazzo con merlatura a corno taurino.

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Le colonne sostenevano pesanti soffitti o travi di legno, che talvolta arrivavano a 5 metri di lunghezza, ma in genere erano più corte. Ad esempio, alcune travi della Tomba dèl Tempio avevano una sezione di 50 centimetri quadrati. Creta era ricca di legname, che veniva utilizzato in abbondanza nelle case e nei templi. I Minoici costruivano i tetti piatti stendendo rami e arbusti trasversalmente alle travi e aggiungendovi strati di terra e di argilla pressata. I tetti degli edifici più prestigiosi in-vece venivano rivestiti col cemento. I pavimenti potevano essere anche in terra battuta, oppure fatti con assi di legno o con lastre di pietra. C'erano anche camere i cui pavimenti erano rivestiti con tecniche miste, con un bordo in pietra, pannelli di stucco dipinto e un affresco al centro. A Cnosso anche le pareti e il soffitto di alcune stanze erano stuccati con forme in rilievo,

talvolta astratte, come le spirali del Settore Nord, talvolta figurative, come quelle della Liberazione del Toro nel Corridoio di Ingresso Nord o dell'affresco della Tauromachia nell'Ala Orientale. 1.4 - Il palazzo di Màllia. Il primo palazzo di Malia fu costruito tra il 2000 a.C. e il 1900 a.C. Questo fu distrutto nel 1700 a.C. e ricostruito nel 1650 a.C. nello stesso luogo del precedente e seguendone fedelmente il piano. Nel 1450 a.C. anche il nuovo palazzo fu distrutto insieme agli altri centri minoici di Creta forse in occasione di una penetrazione micenea. Il sito fu occupato per un breve periodo nel XIII secolo a.C. Gli scavi furono intrapresi dall'archeologo Chatzidakis nel 1915 sulla collina Azymo ed ebbero il merito di portare alla luce l'ala occidentale del palazzo e tombe lungo la costa. Più tardi fu la scuola archeologica francese di Atene ad iniziare ricerche accentrate nella zona del palazzo, del villaggio circostante e nelle necropoli della costa. I reperti sono esposti al museo archeologico di Iraklion ma una piccola parte di essi si trova al museo archeologico di Aghios Nikolaos. Le rovine del Nuovo palazzo, cui si accede attraverso una strada pavimentata intersecata da numerosi sentieri, le cosiddette vie processionali, sono oggi le meglio conservate. Ogni fianco del palazzo aveva un'entrata. Il cortile centrale del palazzo aveva un altare al centro e portici ai lati. L'ala occidentale del palazzo era dedicata al culto e vi si trovavano gli appartamenti dei dignitari e i magazzini. Il cortile era dominato da una loggia. A sud e a sud ovest si trovavano i diversi ambienti del tesoro reale. Ad est le cucine e

i magazzini dove venivano riposte le giare dell'olio e del vino. Al lato nord che era quello più corto del cortile c'era la sala ipostila a due fila di tre colonne preceduta da un'anticamera. Sopra vi era una sala di uguali dimensioni che forse era adibita a banchetti. Ad est vi era un corridoio che connetteva il cortile centrale con quello nord circondato da laboratori e magazzini. Il cimitero del palazzo era dislocato in grotte della costa a nord est. La più importante di queste grotte era quella di Chrysolakko che ha restituito il famoso gioiello delle api sulla goccia di miele, oggi esposto al museo archeologico di Iraklio. I Minoici facevano sempre offerte

Fig. 12 – Il famoso disco di Kernos venuto in luce presso il cortile del Palazzo di Festo

Fig. 12 – Il famoso disco di Kernos venuto in luce presso il cortile del Palazzo di Festo

Fig. 13 – Ricostruzione grafica della rampa di scale che dava accesso al Palazzo di Màllia. Si notino i basamenti lapidei delle mura in mattoni con traverse lignee e la presenza di un propileo colonnato all’accesso.

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alle loro divinità, poiché l'offerta era parte integrante del loro sistema di credenze. Talvolta i tavoli delle offerte avevano diversi tipi di incavi sulla superficie. Tra questi kernoi, il più famoso è quello rotondo di pietra rinvenuto proprio nel tempio di Mallia, che veniva utilizzato per la panspermia, cioè la mescolanza di semi di vario tipo offerti alla divinità insieme ad altri prodotti agricoli. Anche durante il periodo classico vigeva una pratica simile: minime quantità di grano, orzo, avena, lenticchie, fagioli, olio, latte, vino, miele, semi di papavero e lana di pecora erano offerte all'interno di piccole tazze. Probabilmente nella cavità cen-trale del kernos di Mallia veniva posto un dolce fatto con vari tipi di frutta. Talvolta nei vecchi monasteri cretesi si trova ancora un oggetto di concezione simile a quella del kernos minoico, costituito da un candeliere e da boccette in cui si mettono grano, vino e olio. Alcune pratiche minoiche sono sopravvissute fino in tempi moderni, ma l'uso del kernos era già antico quando fu adottato dai Minoici, che lo ereditarono dai loro avi neolitici. 1.5 - Abitazioni comuni. Conosciamo la forma e l'altezza delle case delle città minoiche grazie a svariate piastre in avorio e in ceramica. Forse in origine le placche di ceramica scoperte da Evans nell'Ala Orientale del Labirinto di Cnosso erano unite a incastro, in modo da raffigurare una città attaccata dagli invasori, come quella del rhyton dell'assedio ritrovato a Micene. Grazie a esse possiamo farci un'idea dell'aspetto delle case di Cnosso nel diciassettesimo secolo a.C. Sul tetto piatto avevano una stanza, che forse fungeva da camera da letto nelle calde notti d'estate e ricorda quelle simili presenti in alcune case egizie. II primo piano era dotato di finestre, mentre il piano terra ne era sprovvisto. Partendo dall'ipotesi che l'immagine nel suo insieme rappresenti un attacco nemico, secondo Evans le case raffigurate facevano parte di mura difensive esterne, e per questo erano

sprovviste di porte o finestre al piano terra. In effetti, in varie piastre le case hanno porte ma non finestre al piano terra. Forse l'assenza di finestre era una semplice misura di sicurezza, una precauzione contro i furti. Su una piastra di avorio di periodo posteriore è raffigurata una casa con strette finestre a feritoia ai lati della porta. Le pareti delle case e dei templi avevano un'ossatura di travi orizzontali, collegate a intervalli regolari da piedritti e traversine, e fissate alle pareti e probabilmente tra loro per mezzo di paletti di legno. Questa era una tecnica comune nella Creta minoica, come si vede nelle piastre in ceramica e nelle rovine degli edifici stessi, ad esempio sul muro settentrionale del cosiddetto «Atrio del Seggio di Pietra» nel Labirinto di Cnosso e nella Stanza 11 della Casa A, a Tilisso. Secondo alcuni, grazie a questa ossatura di legno, di cui non conosciamo lo scopo esatto, le mura acquisivano quella com-binazione di forza e flessibilità necessaria per sopportare i terremoti.

1.6 - Il Pantheon minoico-miceneo. Potnia Thèron (Athena): Nelle tavolette degli archivi, la Magna Mater viene chiamata Potnia, cioè la Signora. A Cnosso ci sono offerte dedicate alla Signora del Labirinto. In seguito, durante il periodo classico, il nome divenne un titolo onorifico attribuito a donne di alto rango, ma in origine era il nome proprio della principale dea minoica. Potnia sopravvisse nel suo aspetto di dea domestica, protettrice di famiglie e città, trasformandosi in Atena, Rea ed Era. A Cnosso, c'è addirittura un caso in cui il nome Potnia è connesso all'epiteto a-ta-na. Nella tavoletta incompleta V52+52b+8285, che è stata riassemblata unendo tre frammenti, vi è una serie di dediche, tra cui quelle di offerta agli dei Posidone e Paiawon, che era un antesignano di Apollo. Non sappiamo quale fosse il significato dell'epiteto a-ta-na,

Fig. 14 – Ricostruzione grafica del tipico ambiente abitativo regale di età micenea, il

“megaron”. Ambienti di questo tipo sono stati identificati nelle fasi di ristrutturazione del

Palazzo di Festo e di Mallia.

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ma è probabile che uno degli appellativi della dea minoica fosse appunto Atena. Secondo John Chadwick, la forma della parola Atena fa pensare a un nome geografico pregreco, perciò può darsi che Atena fosse la dea Potnia adorata in un luogo chiamato Atene, o con un altro nome simile. Durante il periodo classico, Atena divenne la dea guerriera, protettrice della città greca che portava il suo nome. E presumibile che un millennio prima la sua personalità e il suo ruolo fossero meno definiti. Probabilmente il simbolo di Potnia era la doppia ascia, mentre altri suoi simboli forse erano il pilastro e il serpente, che ha la propria tana nelle crepe del terreno e quindi era un simbolo naturale della madre Terra. Zeus: Dato che la dea non poteva morire, chi rappresentava la morte annuale e la rinascita era un giovane spirito simbolo, una divinità minore che assumeva il ruolo di figlio e consorte della dea, e incarnava l'importante principio di discontinuità presente nella natura. In epoca minoica, questo dio rimase subordinato alla sua dea, ma alla fine divenne molto più importante con il nome di Zeus. Sembra che il suo nome minoico originario, Velcanos, si sia preservato fino al periodo classico come uno dei titoli attribuiti a Zeus sull'isola di Creta, dove Zeus Velcanos era conosciuto anche come Curos, il Fanciullo. Velcanos era soggetto alla dea e veniva sempre raffigurato in atteggiamento di venerazione. Dea del mare: Un anello aureo ritrovato nel Porto di Mochlos mostra una dea che naviga su una barca, con un altare sul ponte di poppa alle sue spalle, ma potrebbe anche trattarsi di una sacerdotessa che portava un santuario trasportabile da una località costiera a un'altra. L’anello di Minosse offre un'ulteriore testimonianza a sostegno della tesi secondo cui esisteva un culto costiero, per il quale erano necessari santuari fissi e santuari trasportabili, traghettati lungo la costa dalle sacerdotesse. Forse le divinità venivano trasportate da navi che circumnavigavano l'isola, in modo da descrivere un cerchio magico di protezione divina attorno ad essa. Può darsi che l'idea di queste dee che navigavano per i mari abbia dato origine alla più antica versione conosciuta della leggenda di Arianna, secondo la quale ella fu rapita e portata nella lontana isola di Dia, dove poi morì.

Signora degli animali o Artemide: La Signora degli Animali Selvatici o Regina delle Belve Feroci era una dea cacciatrice libera e casta, un'antesignana preclassica di Artemide e Diana. Il suo dominio era terrestre ed era costituito dalle colline e dalle montagne dove gli animali selvatici per sfamarsi dipendevano dalla sua protezione. Forse la dea era adorata nei santuari di montagna, in cui, come sappiamo, venivano accese delle pire. In periodo posteriore anche per il culto di Artemide sulle montagne si accendevano falò. Nel panteon classico, questa dea sopravvisse con pochi cambiamenti. Persino il suo nome minoico, Britomarti, ossia «Dolce Vergine», sembra risuonare in forma leggermente semplificata nel nome greco di Artemide. Britomarti aveva un compagno maschio chiamato il Signore degli Animali, che non sappiamo se fosse il figlio, il fratello 0 il consorte. Nell'iconografia, sia il Signore che la Signora degli Animali sono serviti da una coppia di animali, oppure camminano accompagnati da un leone o da una leonessa.

La Dea delle Caverne minoica era associata alla nascita dei bambini e agli inferi. Forse nel suo ruolo di madre Terra era il prototipo di Rea, ma nel quattordicesimo secolo a.C., i Minoici la chiamavano Ilitia. Negli archivi del tempio di Cnosso si fa riferimento a lei, ma, per quanto ne sappiamo, il suo santuario più vicino era la Caverna di Eileithyia ad Amnisos. Secondo Nilsson, doveva esserci anche una Dea degli Alberi. Probabilmente erano considerate sacre varie specie di alberi. Alexis ritiene che l'albero sacro del Sarcofago di Haghia Triada fosse un ulivo. L'ulivo è un albero che vive a lungo e sembra indistruttibile, poiché germoglia su un tronco secco, contorto e in apparenza inerte, che riprende vita ogni anno per la fruttificazione. Forse i Minoici consideravano sacri determinati alberi sui cui rami si posavano gli uccelli, che

Fig. 15 – Gemma minoica rappresentante la “Signora del Animali”

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ritenevano manifestazioni delle divinità. Vi era probabilmente un legame tra il culto degli alberi e il carattere sacro dei pilastri. Sovente, i fedeli minoici tagliavano rami dagli alberi sacri e li veneravano sugli altari, oppure li piantavano nell'incavo interposto tra le corna di consacrazione. Talvolta attorno agli alberi sacri costruivano dei santuari, salvaguardati da steccati di legno o da un muro di pietra, e ai quali si accedeva per mezzo di porte doppie. Durante alcune cerimonie, un servo, sovente di sesso maschile, tagliava un ramo dall'albero sacro, accompagnato dai lamenti della sacerdotessa e delle altre persone presenti. Questa scena di lamentazione è raffigurata su svariati anelli e forse simboleggiava la morte del giovane dio, pertanto poteva essere seguita dal sacrificio del giovane servo, che rappresentava il dio. L'anello di Mochlos mostra un albero sacro che fuoriesce dal santuario traghettato sulla nave della sacerdotessa.

Un'altra divinità degli inferi minoici era la Dea dei Serpenti. I serpenti vivono nelle crepe del terreno, perciò simboleggiano in modo semplice e intuitivo la vita sotterranea. Due figurine ritrovate a Cnosso rappresentano la dea che brandisce i suoi serpenti. Le figurine della Dea dei Serpenti, ritrovate in un santuario a Kannia, avevano serpenti attorcigliati attorno alla corona; in una di esse la dea aveva i serpenti anche sulle braccia, oltre ad avere una colomba sulla guancia. Se, come suggerisce questa testimonianza, le divinità minoiche tendevano a fondersi tra loro, identificarle con sicurezza è ancora più difficile. Poteidon (Poseidone): Durante il periodo miceneo, in Grecia il dio principale era Posidone, un nome derivato da una forma più antica, forse di origine minoica: Poteidan o Potidas. In quel periodo, il potere di Posidone era di gran lunga maggiore rispetto a quello di Velcanos: il dio riceveva offerte sacrificali su vasta scala a Pilo, e forse anche nella Creta minoica era una delle divinità principali. In una tavoletta di Cnosso sono elencate varie divinità tra cui Potnia ed Enialio, nome che in seguito venne utilizzato come epiteto di Ares, il dio della guerra greco. E presente anche la prima parte del nome di Posidone, po-se-da, ma purtroppo ne manca la fine, poiché la tavoletta è rotta. La manifestazione sotterranea di Posidone prendeva la forma di terremoti e maremoti; l'aspetto terrestre aveva la forma di un toro; quello celeste erano il sole e la luna. Di tanto in tanto si trovano riuniti gli ultimi due aspetti. A Micene è stato rinvenuto un rhyton a forma di testa taurina, con sulla fronte una borchia aurea o un sole raggiato. Il rhyton a testa taurina ritrovato a Cnosso aveva intagliato sulla fronte, nella pietra nera, un disco di minori dimensioni, che forse simboleggiava anch'esso il disco solare. Il Dio Toro era il Dio del Sole, ed era anche colui che scuoteva la Terra. Nelle tavolette era chiamato Poteidan, e talvolta re Posidone, Signore della Terra. Poteva assumere forme differenti e aveva svariate identità diverse Dioniso: Come abbiamo già visto, le danze erano parte integrante di cerimonie che portavano alla manifestazione delle divinità. Su alcuni anelli è raffigurato il completo abbandono delle sacerdotesse alla danza, che quindi veniva utilizzata per indurre uno stato di estasi mistica, proprio come le danze dei dervisci. Sappiamo

Fig. 16 – Sigillo aureo di età minoica rappresentante le sacerdote del tempio presso un

virgulto vegetale (a sinistra) e in compianto presso un altare (A destra).

Fig. 17 – Statua in terracotta restaurata scoperta nel santuario della dea dei Serpenti di Cnosso

(oggi al Museo di Iraklion)

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che poco dopo la fine del periodo minoico cretese, a Pilo vigeva il culto di Dioniso, perciò è possibile che questo culto orgiastico sia stato preceduto a Creta da un culto protodionisiaco. Forse lo stato euforico veniva indotto dall'uso di birra, vino o droghe. Sin da tempi molto antichi in Anatolia si coltivava il papavero, che fu senza dubbio introdotto anche a Creta in epoca minoica. Su un sigillo minoico è raffigurata una dea con in mano tre capsule di papavero. La famosa figurina di dea ritrovata in un piccolo santuario rurale a Gazi porta un diadema decorato con tre capsule di papavero rese con grande precisione, e tagliate proprio come si fa per l'estrazione dell'oppio. Questa figurina, opportunamente soprannominata «La Dea dei Papaveri», risale al 1350 a.C. L'alcol doveva essere usato per stimolare le danze orgiastiche, mentre l'oppio serviva a intensificare gli stati meditativi ottenenti nei lunghi periodi di veglia e di preghiera che gli antichi chiamavano «incubazione». Forse queste trance indotte dall'oppio portavano a stati di coscienza ispirati, che in parte possono spiegare il linguaggio visionario dell'arte religiosa minoica, oltre a chiarire fino a un certo punto le incredibili realizzazioni architettoniche dei costruttori dei templi. 1.7 - Simboli sacri. Corna di toro: Grazie al grado di stilizzazione raggiunto, le corna di consacrazione potevano essere poste da sole su un altare e fungere da fulcro rituale del luogo, oppure essere disposte in fila sul cornicione del tetto di un tempio, formando un parapetto ornamentale di guglie. I rhyton di periodo successivo, a forma di testa taurina, probabilmente erano usati per le libagioni del sangue di tori sacrificati. Ed è l'attenzione rivolta al sangue, allo spargimento di sangue, la caratteristica più inquietante della personalità minoica. Bipenne: Il simbolo religioso che si associa maggiormente alla cultura minoica è

probabilmente la doppia ascia. Alcune erano costruite con una lamina bronzea molto sottile, altre in piombo o in pietra morbida, talvolta avevano dimensioni molto grandi, talvolta molto piccole. Le lame potevano essere decorate in modo elaborato, e in alcuni casi avevano un filo doppio che le trasformava in asce quadruple. Esse fecero per la prima volta la loro apparizione a Mochlos durante il Minoico Antico II, intorno al 2500 a.C. Può sembrare strano che né a Cnosso né a Festo siano state ritrovate doppie asce bronzee di grande dimensioni, ma ciò probabilmente è dovuto ai saccheggi subiti da queste città in tempi antichi. Tuttavia, nel Labirinto sono state ritrovate basi in pietra di forma piramidale che venivano utilizzate per doppie asce di medie dimensioni, e ciò dimostra che erano disposte in ogni parte dell'edificio, proprio come i crocifissi in una

chiesa. Un affresco rinvenuto nell'angolo nord-occidentale del Labirinto di Cnosso ci offre la testimonianza di una pratica votiva in cui piccole doppie asce venivano infisse ai lati di colonne lignee. Secondo Evans era una pratica analoga a quella compiuta nella caverna inferiore di Psychrò, dove le doppie asce venivano infisse nelle fenditure delle stalattiti. Questa tesi ha dei risvolti interessanti. Infatti gli affreschi e gli arredi del Santuario del Trono servivano a creare un'atmosfera e un ambiente simili a quelli del santuario di montagna del Monte Iouktas, e forse anche i pilastri che sostenevano il soffitto volevano imitare le stalattiti della caverna sacra di Skotino . E come se le sacerdotesse avessero voluto accogliere nel labirinto l'intero panteon minoico, attraendovi anche le divinità che dimoravano in santuari di zone remote.

Fig. 18 – Sigillo minoico rappresentante sacerdotesse presso un albero sacro (una porta un virgulto) in

corrispondenza di un altare c on ascia bipenne. In alto si riconoscono il disco del sole e della luna, simboli di Potedon.

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Non sappiamo quale fosse il significato della doppia ascia. Talvolta sulle ceramiche minoiche, la doppia ascia è dipinta sopra la testa di un toro, perciò è possibile che venissero utilizzate per il sacrificio dei tori. Pilastri: Evans fu uno dei primi a comprendere che i pilastri isolati venivano ritenuti idoli. Esistono varie immagini, che sono senza alcun dubbio icone, nelle quali è raffigurato un pilastro isolato protetto da una coppia di animali araldici. A Micene, accanto al pilastro ci sono i grifoni, che nella Creta minoica erano i servi della dea Potnia. Sempre a Micene si trova il famoso Cancello dei Leoni, su cui è

raffigurato un pilastro ai cui lati stanno i leoni, installato su un altare in stile minoico. A Creta, i servi di Potnia erano leoni o grifoni, perciò il pilastro rappresenta la dea Potnia, la Signora degli Animali. Nodo sacro: Un altro importante simbolo religioso era il nodo sacro, costituito da una striscia di tessuto decorato, con un vistoso nodo al centro, e due estremità sfrangiate che pendevano in modo simile alle moderne cravatte. Ne sono stati ritrovati modelli in avorio o in faenza a Cnosso, Zakro e Micene. Il nodo sacro è raffigurato pure in un affresco del tempio di Niru Khani, oltre che sulla cosiddetta «Parigina», un fram-mento di affresco ritrovato a Cnosso. La sacerdotessa, probabilmente una delle officianti di un rito di sacra comu-nione, porta il nodo dietro la nuca. Altri frammenti di questo affresco mostrano alcune officianti in piedi, che offrono il calice della comunione ad altre sedute. Secondo Mark Cameron, il nodo sacro indicava l'appartenenza della donna a un uomo, era un simbolo del matrimonio sacro collettivo cui dovevano sottoporsi tutti i giovani per concludere la propria iniziazione. Forse era così, ma l'iconografia di cui disponiamo non ci fornisce un numero sufficiente di te-stimonianze a sostegno di questa tesi. Più probabilmente il nodo simboleggiava il legame tra la sacerdotessa evocatrice e la divinità o era un mezzo magico per legare a sé gli dèi. Scudi: Talvolta le divinità portano la spada, la lancia o lo scudo. Altre volte questi oggetti appaiono da soli, come a indicare la presenza simbolica della divinità. Sulle pareti dell'Ala Orientale del Labirinto erano raffigurati grossi scudi a forma di otto, forse per indicare la protezione divina che avvolgeva l'edificio. Le pelli chiazzate degli scudi erano con tutta probabilità pelli di toro, l'animale sacro, e tale origine ne

accresceva il potere protettivo. Su alcuni vasi rituali erano infatti dipinti scudi. Un simbolo meno importante era la croce, con le sue varianti, come la stella, la ruota e la svastica. Uccelli: Sembra che anche altre divinità avessero lo stesso potere, e tra esse ce n'era almeno una che si manifestava con la forma di un uccello. Sul sarcofago di Haghia Triada sono raffigurati uccelli posati su una doppia ascia, segno della presenza di una divinità. Anche il modello in argilla della sacerdotessa sull'altalena, sempre proveniente da Haghia Triada, mostra degli uccelli sui pali dell'altalena, come se l'atto stesso del dondolio meditativo avesse portato alla manifestazione della divinità. In un santuario di Haghia Triada, insieme a gli idoli della dea furono rinvenuti svariati uccellini di terracotta. La figurina ritrovata nel Santuario della Dea delle Colombe, a Cnosso, mostra un uccello posato sulla testa della dea. Forse c'era un collegamento tra l'idea dell'apparizione divina in forma di uccello e il culto degli alberi sacri: gli uccelli discendevano dal cielo come manifestazioni o messaggeri degli dèi e si posavano sugli alberi, rendendoli sacri, poiché l'atto implicava che gli dèi stessi avevano scelto l'albero come proprio santuario. 1.8 – Templi. Piccoli templi attorno agli alberi: È probabile che i luoghi sacri di minor importanza avessero contorni piuttosto indistinti: si trattava di pretino santificati da un'antica apparizione divina, ormai persa nella memoria, che non erano separati in modo visibile dal paesaggio circostante. Possiamo immaginare che

Fig. 19 – affresco dal Palazzo di Cnosso rappresentate una

fanciulla con il caratteristico nodo in stoffa sulla schiena Per la sua

bellezza, l’immagine è stata battezzata “la parigina”.

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talvolta il bordo del precinto fosse segnato da bassi e rozzi muretti a secco, oppure da cippi confinari o da mucchietti di pietre di delimitazione. I precinti sacri più importanti, invece, dovevano essere delimitati da mura più imponenti. Probabilmente è uno di questi ad essere raffigurato sul rhyton di Gypsades. Il culto degli alberi sacri, di cui abbiamo parlato prima, portò alla costruzione di mura di recinzione attorno a singoli alberi o a gruppi di alberi che si riteneva fossero stati visitati dalle divinità. Ci sono vari anelli e impronte di sigilli su cui è raffigurato un muro alto con doppio cornicione sormontato da corna di consacrazione, oppure uno steccato alto che circonda un albero. Talvolta all'interno dei recinti, che potevano essere di dimensioni molto piccole, sorgevano edifici adibiti al culto. I Minoici volevano soprattutto vedere i loro dèi. In qualche modo si doveva riuscire a far apparire le divinità davanti ai fedeli, e tale apparizione poteva assumere molte forme diverse. Gli dèi e le dee potevano apparire in forma di massi, alberi, uccelli, serpenti o pilastri, ma di sicuro l'apparizione di maggior impatto emotivo

era quella in forma umana. In epoca poste-riore, i fedeli attendevano fiduciosi che Artemide di Efeso apparisse all'interno di finestre costruite a questo scopo nella parte alta del frontone del tempio. Probabilmente una sacerdotessa assumeva il ruolo di Artemide, divenendo una manifestazione della dea. All'epoca in cui fu costruito il famoso Tempio di Artemide, intorno al 600 a.C., questo rito era già in uso da molto tempo, essendo stato pratica corrente in Anatolia, Siria, Mesopotamia ed Egitto. Secondo la persuasiva ipotesi di Nanno Marinatos, le finestre per le apparizioni venivano utilizzate durante i riti minoici ad Akrotiri, sull'isola di Tera, perciò è molto probabile che fossero in uso anche nella stessa Creta. Inoltre, gli architetti che progettarono il tempio di Artemide ad Efeso erano originari di Cnosso. Chersifrone e suo figlio Metagene erano cresciuti con le mura cadenti del Labirinto di Cnosso davanti agli occhi. Al primo piano dei templi minoici probabilmente c'erano finestre per le apparizioni, che si aprivano sulla Corte Centrale e sulla Corte Occidentale.

1.8.2 - Il tempietto di Anemospilia e i sacrifici umani. Il tempietto di Anemospilia sorgeva sulle pendici settentrionali del Monte Iouktas, sulla punta della cresta che sovrasta l'area di Cnosso. I suoi tre santuari rettangolari erano disposti sul lato a monte di una sala lunga 10 metri, in cui venivano preparati i sacrifici e dove si trovavano altri altari. Nel santuario centrale, su un piccolo altare era installato un idolo ligneo a grandezza naturale. Ai suoi piedi, una bassa protuberanza rocciosa usciva dal pavimento. Probabilmente era una roccia sacra su cui veniva versato il sangue delle libagioni. Nel santuario a nord, su un altare cubico che fungeva da tavolo sacrificale sono stati ritrovati i resti di un ragazzo diciassettenne con le gambe tirate su. L'analisi delle ossa ha dimostrato che dalla parte superiore del corpo era stato fatto defluire il sangue. Accanto a lui è stato rinvenuto un lungo pugnale bronzeo con incisa una testa di cinghiale, adesso esposto nel museo di Iraklion, con cui probabilmente gli era stata tagliata la gola. Nei pressi sono stati trovati gli scheletri di tre persone coinvolte nell'omicidio rituale del ragazzo. Una di loro forse stava trasportando un recipiente con dipinto sul lato un toro chiazzato di giallo. I resti di questo scheletro, maschile o femminile, erano nella sala, all'esterno della porta del santuario centrale dove stavano l'idolo e la roccia sacra. Forse si trattava di un inserviente del tempio, che recava nel santuario centrale un vaso col sangue del ragazzo appena sacrificato, in modo da fare una libagione di sangue. Tuttavia proprio in quell'attimo l'edificio

Fig. 20 – Sarcofago in calcare stuccato e dipinto dal sito di Haghia Triada. Tre sacerdotesse (una forse un eunuco)

portano offerte a sinistra presso due piloni sormontati dal labrys presso un cratere; a destra ulteriori offerte sono condotte verso un tempio davanti a cui sembra di poter

riconoscere l’epifania di una divinità avvolta in un pesante mantello di lana.

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crollò, seppellendo la vittima e i suoi assassini. Un altro uomo, di costituzione robusta, sui trent'anni, era steso supino accanto al ragazzo, sul pavimento. Era un uomo d'alto rango, a giudicare dall'anello d'oro e d'argento, forse un sacerdote, che aveva appena sacrificato il ragazzo, pochi minuti prima che crollasse l'edificio. Nelle vicinanze c'era anche il corpo di una donna anemica, probabilmente una sacerdotessa.

Fig. 21/22 – Ricostruzione proposta dagli archeologi dell’ultima fase di abbandono del tempio di Anemospilia distrutto da un potente evento sismico / vduta delle rovine archeologiche. Gli autori del ritrovamento, Yannis ed Efi Sakellarakis, hanno tratto l'inevitabile deduzione che una catastrofe imminente avesse spinto sacerdoti e sacerdotesse del Santuario di Anemospilia a offrire un sacrificio umano. Stavano cercando di propiziare le divinità degli inferi, forse lo stesso Poteidan, quando un forte terremoto fece crollare il tetto del santuario. A giudicare dalla data, il 1700 a.C. circa, si doveva trattare dello stesso terremoto che causò la distruzione del Primo Tempio di Cnosso. Le gambe della vittima sono piegate, con i piedi attaccati alle natiche, e dovevano essere state legate in questa posizione. Non sappiamo in che modo il ragazzo abbia affrontato il proprio destino. Forse, come sostiene l'etnologo dr. Kostantinos Romaios, era figlio del sacerdote o della sacerdotessa e accettò il proprio fato per obbedienza filiale. Oppure era un fanatico religioso che si offrì volontario per il sacrificio, o era stato drogato, sopraffatto e sacrificato con la forza. Sacrifici umani probabilmente erano parte integrante dei riti religiosi minoici, anche se finora la scoperta di Anesmopilia è l'unica testimonianza archeologica a riguardo. Forse persino negli archivi del tempio sono registrati esseri umani offerti in sacrificio alle divinità. Sulla tavoletta di Cnosso Gg 713 c'è una dedica al dio seguita da un'offerta umana: «A Marineus, una serva». Altrove si trova un elenco di nomi di uomini, seguito dalla dedica: «Alla Casa (cioè al santuario) di Marineus, dieci uomini». Forse ricchi proprietari di schiavi offrivano come tributi uomini affinché servissero il tempio, ma è altrettanto possibile che offrissero persone da sacrificare su altari come quello di Anemospilia. 1.9 – Struttura giuridica del mondo micoico-miceneo Le tavolette in scrittura lineare B offrono visioni fugaci di divinità, funzionari e burocrati del XIV secolo a.C. Dato che alcuni titoli di funzionari sono stati ritrovati sia a Pilo, in Grecia, sia a Cnosso, si può ipotizzare che la società minoica avesse una struttura abbastanza simile a quella di Pilo. L'esistenza a Pilo e a Cnosso di un re o wauax è riscontrabile per via di alcuni accenni sulle tavolette, ma al di là di questo si può dire ben poco. L'aggettivo «reale» viene utilizzato riferendosi a certi artigiani, quali un follature reale e un vasaio reale a Pilo, e persino a ceramiche e tessuti di Cnosso. A Micene non vi è alcun riferimento a un re o all'aggettivo «reale». Tuttavia, per quanto di rado, la parola «reale» era comunque in uso a Cnosso, il che ci porterebbe a presumere l'esistenza di un re, anche se forse si trattava di una figura in ombra, di una figura di secondo piano dominata dalla classe sacerdotale e da altri funzionari. I grandi complessi templari di Cnosso, Festo, Mallia e Zakro erano senza dubbio importanti centri amministrativi,

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economici e politici ed è probabile che ciascuno di essi avesse il proprio sovrano. Secondo la tradizione greca classica Minosse governava Creta insieme ai suoi fratelli Radamanto e Sarpedonte; re Minosse veniva associato a Cnosso, re Radamanto a Festo e re Sarpedonte a Mallia. E probabile che la Creta medio-minoica fosse una libera confederazione di città-stato, ciascuna con il proprio sovrano e spesso con il proprio grande complesso templare. Dopo la distruzione del 1470 a.C., fu ricostruito solo il tempio di Cnosso, e ciò implica una concentrazione politica oltre che religiosa nel Nuovo Periodo Templare; sembra che il potere di Cnosso in quell'epoca si estendesse in tutta la parte centrale di Creta, lasciando indipendenti solo l'estremità occidentale e quella orientale. Una tavoletta rinvenuta a Cnosso elenca i nomi di uomini assegnati a due funzionari cui viene dato il titolo di ga-si-re-wija. Potrebbe trattarsi della parola guasileus, che in seguito sarebbe divenuta la parola omerica basileus, un altro nome per indicare il re. Ai tempi minoico-micenei, il guasileus doveva essere una figura meno elevata del re, ma comunque importante, forse un capo locale. Non è chiaro se questi capi fossero funzionari agli ordini di un re oppure re a loro volta. Nell'insieme viene da pensare che si trattasse di comandanti locali, meno importanti di un sovrano: probabilmente ogni centro minore, come Haghii Teodori, Kanli Kastelli, Arkhanes e Pyrgos-Myrtos aveva il proprio guasileus.

Tuttavia, il leader di maggior rilievo, il lawagetas, letteralmente «il capo del popolo», apparteneva a una classe superiore a quella del guasileus. Come risulta dall'Iliade, la parola equivalente a «popolo» si riferisce spesso al «popolo schierato per la battaglia» o alla «milizia guerriera», quindi c'è chi ha dedotto che il titolo minoico-miceneo designasse il comandante dell'esercito. Tuttavia le tavolette non confermano questa interpretazione: non vi è nulla, eccetto la connotazione acquisita posteriormente dalla parola «popolo», che metta in relazione il lawagetas con il comandante dell'esercito. Egli potrebbe essere stato il comandante del popolo in senso politico anziché militare, una specie di primo ministro agli ordini del wanax o forse persino un presidente, nel caso in cui il wanax fosse un personaggio solo rappresentativo che appariva durante le cerimonie. A Pilo le proprietà del lawagetas erano considerevolmente più piccole di quelle del re, sebbene gli fossero assegnati o at tribuni dei

fornitori. Per quanto riguarda le proprietà terriere, i telestai, dei quali sembra vi fosse un cospicuo numero, avevano la stessa importanza del lawagetas. Dapprincipio Ghadwick riteneva che il loro ruolo fosse cultuale, ma poi giunse alla conclusione che si trattava semplicemente di uomini in possesso di vaste estensioni di terra, e per questo motivo divenuti potenti politicamente. Ma nella Grecia di epoca più tarda, il telestes aveva a che fare con il culto e i riti, quindi si può supporre che anche i telestai minoici e micenei fossero importanti autorità religiose. Un altro funzionario che aveva un ruolo religioso di qualche tipo era il klawiphoros. Questo «portatore di chiavi», di cui abbiamo notizia da Pilo, era spesso o forse sempre una donna. Nella Grecia classica «reggitrice di chiavi» era sinonimo di sacerdotessa, quindi può darsi che anche i portatori di chiavi minoici e micenei fossero sacerdotesse. Data la dimensione e la complessità dei templi minoici e la grande quantità di oggetti di culto, c'è da pensare che i sacerdoti, le sacerdotesse e le altre autorità religiose avessero un ruolo preminente nella gerarchia sociale. Attorno al wanax di Pilo vi era un importante gruppo di cortigiani conosciuti come equetai (e-qe-to nelle tavolette) o «seguaci». Presumibilmente erano la cerchia di nobili prossimi al sovrano, cui fornivano sostegno, protezione e compagnia, ed è probabile che operassero anche a capo dell'amministrazione e come comandanti militari. Secondo le tavolette, i “seguaci” di Pilo avevano schiavi, abiti particolari e ruote, cioè carri, il che implica un rango elevato o un ruolo militare, o entrambi. I Seguaci di Cnosso, secondo J.T. Hooker, avevano un ruolo di supervisori, ad

Fig. 23 – Sigillo aureo minoico rappresentante una scena di Taurocapsia.

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esempio nella produzione tessile, cosa che sicuramente implica un rango meno elevato. D'altra parte, la distinzione fatta nelle tavolette tra il «tessuto per l'esportazione» e il «tessuto per i seguaci» potrebbe essere interpretata ,in modo differente: può darsi che per via della loro alta qualità alcuni tessuti fossero riservati alla produzione di abiti per l'aristocrazia. In ogni caso le nostre conclusioni devono essere caute e provvisorie. A Pilo, e forse anche a Creta, c'era un altro gruppo di funzionari rurali: i coreteri o governatori. Non è chiaro in che cosa il ruolo del coretere differisse da quello del guasileus, ma forse il coretere era un funzionario nominato dall'amministrazione centrale e assegnato a un determinato distretto, laddove è dato pensare che il guasileus fosse emanazione del sistema dinastico del clan di un determinato distretto. Su alcune ceramiche ritrovate a Cnosso compare l'appellativo «reale», che forse aveva la semplice accezione di «statale», o addirittura indicava che la fabbricazione era stata effettuata da vasai alle dipendenze dello Stato. Il re è citato solo di rado nelle tavolette dell'archivio, che si preoccupano di segnare soprattutto il tipo di offerte e il santuario o la divinità a cui erano dedicate. Quindi la dimora del re era situata altrove. Senz'altro esisteva un delicato equilibrio di relazioni tra la famiglia e l'amministrazione reale da una parte, e i sacerdoti e l'amministrazione del tempio dall'altra. Forse parte delle derrate offerte al tempio venivano dirottate con discrezione verso la casa reale. È anche possibile che l'autorità reale dovesse essere convalidata da quella religiosa, come è accaduto in seguito a molte monarchie.

1.10 - Scrittura lineare A e lineare B; decifrazione delle tavolette monoiche. Le cosiddette tavolette in lineare B - il solo tipo rinvenuto nella Grecia continentale - sono pezzi d'argilla di forma grosso modo rettangolare, lunghi circa 8 cm. Alcuni sono molto più larghi, quasi quadrati; altri sono lunghi, stretti e affusolati come una foglia di palma. Nella polvere e nel fango dello scavo essi possono essere scambiati per frammenti di rozza ceramica, a parte il fatto che a chi le osservi con attenzione esse rivelano sopra una faccia alcuni segni incisi. Sir Arthur Evans fu pioniere che pose le basi per le ricerche sulla scrittura minoica, riuscendo a dimostrare le varie fasi di sviluppo della scrittura, dai segni geroglifici scoperti soprattutto sulle gemme e sulle pietre-sigillo cretesi della prima metà del II millennio (e anche su alcune tavolette), alla versione corsiva e semplificata degli stessi segni. A questa versione corsiva Evans diede il nome di lineare A: la si trova iscritta su tavolette, vasi, pietre e oggetti di bronzo. Vi era quindi una scrittura più recente e progredita, connessa strettamente alla lineare A, che Evans chiamò lineare B. Non si possono fissare termini cronologici precisi per i periodi in cui furono in uso queste scritture, ma si può dire che la lineare A fu contemporanea alla scrittura gero-glifica ed iniziò ad essere usata probabilmente dal XVIII secolo, per poi cadere in disuso, come sembra, all'inizio del XV secolo. La lineare B, che è documentata quasi

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esclusivamente su tavolette, inizia nei primissimi anni del XIV secolo; le tavolette più recenti si possono datare intorno al 1200 a. C. Evans accertò alcuni punti fondamentali: che le tavolette erano elenchi o registri di conti; che si riconosceva chiaramente un sistema numerico; che alcuni segni erano ideogrammi (cioè raffigurazioni di oggetti), e che gli altri segni erano molto probabilmente sillabici. Questa affermazione si fondava sul fatto che alcuni gruppi di segni erano separati da altri con tratti verticali, per cui probabilmente ogni gruppo rappresentava una parola di altrettante sillabe. Evans non osò spingersi oltre a queste conclusioni generali.

Fig. 25 – Una tavoletta di lineare B in cui si parla di tripodi e vasi Uno dei pochi studiosi che si affidò ad un rigoroso metodo di ricerca fu l'americana Alice E. Kober: Dopo aver accuratamente analizzato i segni della lineare B, la studiosa fu in grado di dimostrare che si trattava di una lingua flessiva, in cui cioè si aggiungevano alle parole vari suffissi per indicarne il genere, il numero, ecc. (come nel latina). La Kober noto, ad esempio, che la forma del collettivo per indicare persone di sesso maschile e una certa serie di articoli era differente da quella usata per le donne e per un'altra serie di articoli, e che ciò faceva supporre la distinzione di generi. Ma il suo maggiore contributo alla decifrazione della lineare B fu la dimostrazione che alcune parole formate da due, tre o più segni sillabici potevano avere due varianti per l'aggiunta di un segno diverso o la trasformazione del segno finale (come ad esempio nel latino orator, oratoris, oratori…Fra i linguisti queste variazioni sono conosciute come "Triadi della Kober”. Tra i pochi che seguirono un metodo rigoroso d'indagine vi fu anche Emntett L. Bennett. II suo maggior contributo, oltre che nel chiarimento del sistema di pesi e misure usato nella scrittura, consiste nella classificazione ordinata di tutti i segni della lineare B. La divisione dei segni in due gruppi, ideografici e sillabici, fu perfezionata suc-cessivamente, dopo uno studio minuzioso delle varianti ortografiche (ben sappiamo che anche gli scribi commettevano errori), egli fu in grado di ridurre il numero dei segni sillabici a 90. C'era una traccia preziosa, ma anche il pericolo di commettere errori, nell'affrontare il problema della decifrazione. A Cipro si era trovata una scrittura simile che fu chiamata ciprominoica. Le tavolette ivi rinvenute sono poche e di esse la più antica si dice che risalga all'XI secolo e che riveli certe affinità con la lineare A. Di queste tavolette sono da notare soprattutto due caratteristiche: che erano state cotte in forno e che si era usato per la scrittura uno stilo non appuntito. La tecnica è perciò diversa da quella delle altre tavolette e più strettamente legata a quella delle civiltà orientali. Ciò non sorprende se si considera la posizione geografica di Cipro. Dall'VIII al III-lI secolo a.C. fu usata nell'isola un'altra scrittura, la cipriota classica, che è chiaramente in rapporto con la lineare B. Nella maggior parte dei casi, se non in tutti, la lingua era greca. Questo rendeva possibile la decifrazione. Sette dei detti segni sono simili o assimilabili alla lineare B; i valori fonetici del sillabario cipriota sono noti. I segni rappresentano una vocale o una consonante più vocale. Ma essendo questa una scrittura sillabica e non alfabetica, presentano delle difficoltà delle parole con due o più consonanti consecutive o una parola che termina per consonante. Secondo questa scrittura, "condor" si dovrebbe sillabare co-no-do-re. Procedendo nella lettura, la vocale finale di -re non si dovrebbe pronunciare, come anche la o di -no-; esse si dovrebbero infatti considerare come vocali "morte". Ma la scelta del segno sillabico -no (fra i cinque segni sillabici inizianti per n, e cioè: -na -no, -ni, -no, -nu) è dovuta - e si deve adattare - alla vocale del segno sillabico successivo: il questo caso la “o” di -do. Così la parola "stella" si dovrebbe sillabare. se-te-la-la. Un'altra complicazione del sillabario cipriota è che la N davanti a consonante non si scrive. "(Contralto" risulterebbe co-ta-ra-lo-do. Da questi esempi

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risulta chiaro che questo sillabario, che costituirebbe un sistema goffo di scrivere l'italiano, non è da meno per il greco. La parola anthropos (uomo) si scrive infatti a-ta-ro-po-se. Poiché in greco un gran numero di parole termina in s, e poiché il segno sillabico cipriota -co è identico ad uno dei segni della lineare B, si dimostra facilmente se quest' ultima poteva considerarsi o meno una lingua greca. Si vede però che nella scrittura lineare B il segno -se risultava di rado in fine di parola. La conclusione naturale fu perciò che questa lingua non era il greco.

L'essenziale lavoro già svolto dalla Kober e da Bennett fu di grandissimo aiuto a Ventris. A questo punto egli portò un nuovo elemento per affrontare il problema della decifrazione: una certa conoscenza della crittografia. In teoria si può penetrare il segreto di qualsiasi codice se si ha sufficiente materiale per lavorarvi. Un'analisi accurata dei dati rivelò una serie di motivi ricorrenti e di schemi dissimulati. Abbiamo già visto quelli rilevati dalla dottoressa Kober. Ventris riuscì ad aggiungere nuove preziose osservazioni. Sulla base del materiale a sua disposizione, notevolmente accresciuto in seguito alla pubblicazione (nel 1951) della trascrizione di Bennett delle tavolette rinvenute a Pilo nel 1939, lo studioso compilò una serie di tavole statistiche che segnalavano la frequenza assoluta di ciascun segno e quella relativa alla sua posizione. Poté dedurre - con la collaborazione, in usato caso, di Bennett e dello studioso greco Kristopoulos - che tre segni erano probabilmente vocali poiché ricorrevano soprattutto all'inizio di gruppi di segni. Un suffisso fu identificato (in via provvisoria) con la congiunzione "e" usato come il -que latino. Altre variazioni di flessione furono rilevate in parole identificabili come sostantivi. Poiché alcune di queste ricorrevano insieme con gli ideogrammi che indicavano uomo e donna, se ne concluse che in questi casi la flessione riguardava il genere anziché il caso. I dati relativi, messi insieme, furono sistemati da Ventris in una tavola, da lui chiamata "griglia" costantemente riveduta e modificata, che in una delle ultime stesure consisteva, in linea generale, in 15 righe di consonanti e in 5 colonne di vo-cali. Poiché non si conosceva né il valore delle consonanti né quello delle vocali, queste furono indicate semplicemente con numeri. Nelle 75 caselle che ne risultavano furono collocati i segni sillabici più frequenti della lineare B (51 su un totale di circa 90), secondo i dati statistici rilevati. Se il sistemi era corretto e i dati giustamente interpretati, i segni compresi nella stessa colonna dovevano avere la medesima vocale e quelli sulla stessa riga dovevano cominciare con la stessa consonante. Una volta stabiliti i valori fonetici, anche di pochi segni sillabici, la griglia avrebbe automaticamente rivelato anche il valore degli altri. Abbiamo già detto che sette segni del sillabario cipriota si possono paragonare a segni della lineare B; era lecito quindi fare una prova con il valore fonetico cipriota di questi segni. In una fase avanzata della ricerca, quando la decifrazione sembrava avvicinarsi a una soluzione, Ventris decise di provare le sue proposte sulla base del valore fonetico dei segni ciprioti. Da ciò concluse, in base alla posizione costante di alcuni gruppi di segni nelle tavolette, che tali gruppi rappresentavano nomi di località. Effettuo allora alcune prove con alcuni nomi di antichi centri. Per le tavolette di Crosso, scelse taluni nomi cretesi conosciuti in età classica o ricordati da

Fig. 26 - Confronto tra l’alfabeto cipriota classico

e quello della scrittura lineare B cretese.

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Omero, ossia Cnosso stessa, Amniso (una vicina città portuale) e Tilisso, che furono riconosciuti nelle seguenti ortografìe sillabiche: ko-no-so, a-mi-mi-so, tu-ri-so. Ventris si era già reso conto che r e l erano intercambiabili, come avviene in molte lingue, fra cui l'antico egizio. Rispetto al cipriota una sensibile differenza è rappresentata dalla .s finale, che qui non si scrive. Allo stesso modo l,m,n,r,s sono tralasciate in fine di parola o quando precedono un'altra consonante. Altre regole di ortografia, rilevate con la decifrazione, non corrispondono a cipriote.

Fig. 27– la famose triplette della Kober Benché promettenti, i risultati di tali indagini non fornivano ancora nessun indizio circa la lingua che si celava dietro questa scrittura. Ventris ipotizzò che si trattasse dell'etrusco e sino alla fine tentò di risolvere il problema in questo senso. Fu soltanto per una frivola digressione (sono parole sue) che nella fase finale del processo di decifrazione provò con il greco. Con sua grande sorpresa tutte le tavolette interpretate con l'aiuto del greco acquistarono un senso. Quella attestata nello lineare B doveva esserne una forma molto arcaica perché in uso ben cinque secoli prima di Omero (e il greco di Omero è anch'esso arcaico). Se dunque la lingua era greca, quei testi in lineare B si dovevano cogliere molti di questi arcaismi omerici. Pressappoco nello stesso periodo in cui Ventris era giunto alla soluzione del problema della lineare B, a Pilo si era dissotterrata una tavoletta che avrebbe confermato in pieno la validità del suo sistema. Si trattava di una delle 400 tavolette scoperte durante gli scavi del 1952 da Blegen, e da lui ripulite ed esaminate ad Atene all'inizio dell'anno successivo. Egli provò il sillabario di Ventris su molte di queste tavolette, e ottenne, su una in particolare, risultati sorprendenti. Si trattava di una tavoletta contenente un inventario di tripodi e di vari tipi di vasi, alcuni con quattro anse, altri con tre, altri senza; i diversi ideogrammi usati nei vari casi ne rendevano evidente il significato. Ogni ideogramma era preceduto da una descrizione e, sebbe-ne il significato di ogni parola non fosse di per sé evidente, ad alcuni, e non ad altri, si potevano dare, sulla base del sillabario di Ventris, i seguenti valori fonetici: ti-ri-po, qu-to-ro-ve, ti-ri-o-ve. Soltanto la parola ti-ri-po appare con il segno del tripode. Secondo la regola ortografica già indicata, è chiaro che si tratta della parola greca tripo(tripode). O-ve che compare nelle altre parole citate, significa "fornito di orecchie" e la parola "orecchio", usata comunemente in greco per indicare l'ansa di un vaso, si trova più sopra associata con quetro (in greco tetra, in latino quattuor), tri (come in tripos), e an- , il prefisso negativo greco (cioè senza anse). Non poteva trattarsi di una semplice coincidenza se queste parole erano associate soltanto con gli ideogrammi a cui si riferivano. Con ciò si stabilì la fondamentale validità della decifrazione della lineare B come una forma arcaica del greco. Se oggi è comunemente accettato che la lingua della lineare B sia quella greca, dobbiamo peraltro ammettere che i documenti scritti fin qui disponibili sono limitati tanto nel numero come nel contenuto. Essi consistono per lo più di inventari ed elenchi: inventari di provvigioni, di bestiame e di prodotti agricoli; elenchi di uomini, donne e bambini. Per questi ultimi gruppi, gran parte del testo è colmo di nomi propri e di professioni. Almeno il 65% dei vari gruppi di segni è costituito da nomi propri, che si possono in parte confrontare con quelli noti nell'antichità classica. Circa 200 sono quasi certamente nomi di località, anche se molte di queste non sono più identificabili. Le tavolette fin qui studiate, circa 3500, ci hanno fornito complessivamente un vocabolario di 630 parole, di cui circa il 40% con una buona dose di sicurezza. Il numero di testi contenenti frasi abbastanza lunghe è limitato, e di conseguenza è limitata anche la nostra conoscenza della grammatica e della sintassi. Si tratta in genere di tavolette relative a carri, possedimenti terrieri e mo-bilio. Grazie alla loro interpretazione possiamo dire che, sebbene alcuni dettagli siano ancora oggetto di discussione, le linee generali dell'economia micenea sono abbastanza chiare.

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Letture consigliate:

- Alexiou S., Minoan Civilization, (sesta edizione) - Gordon Childe V., Il progresso nel mondo antico, (1949) - Logiadou Platonos S., Cnosso. La civiltà minoica, (senza indicazione di data) - Vassilakis A., Creta minoica. Dal mito alla storia, (2001) - Sakellaraki Eve, Creta minoica, Vision - Castleden Rodney, I giorni di Creta. Vita quotidiana nell'età minoica, ECIG - Facchetti Giulio M.; Negri Mario, Creta minoica. Sulle tracce delle più antiche scritture

d'Europa, Olschki - Iozzo Mario, Il palazzo di Cnosso a Creta, Bonechi - Farnoux Alexandre, Cnosso e l'arte minoica, Electa Gallimard - Castleden Rodney, Il mistero di Cnosso, ECIG - Damiani Indelicato Silvia, Piazza pubblica e palazzo nella Creta minoica, Jouvence