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bero sottoscritto idealmente le parole di Rémy de Gourmont, uno degli intellettuali più precoci nella passione per il nuovo medium: «J’aime le cinémato- graphe. Il satisfait ma curiosité. Par lui je fais le tour du monde, et je m’arrête, à mon gré, à Tokyo, à Singapour. Je suis les itinéraires les plus fous. Je vais à New York, qui n’est pas beau, par Suez, qui ne l’est guère plus, et je parcours dans la même heure les forêts du Canada et les montagnes de l’Escosse» (De Gourmont 1907, tr. it. 1993). Parole di conferma alla constatazione che «uno stretto intreccio tra sviluppo dei sistemi di traspor- to e dei media riproduttivi (fotografia, cinema) sta alla base della nascita di una nuova concezione di spazio, tempo e distanza, con enormi conseguenze nei sistemi di rappresentazione del paesaggio, del- lo spazio sociale, dei fenomeni geografico-antro- pologici» (Costa 2006; si veda anche Kern 1988). Infatti il cinema, fin dalle sue prime fasi, docu- menta (e nasce da) imprese di viaggio. I suoi princi- pali operatori sono viaggiatori-avventurieri. Tutti i cataloghi delle case di produzione offrono vedute di treni in arrivo nelle più disparate stazioni d’Eu- ropa. Le concessionarie Lumière in Italia spedisco- no i loro operatori a riprendere il terremoto in Ca- labria nel 1905. Giovanni Vitrotti, fotografo e ope- ratore al servizio della casa di produzione di Arturo Ambrosio (una delle più attive del muto italiano) si impegna in anni di viaggi e documentari. Lo stesso fa Luca Comerio, il quale filma per primo il Giro d’Italia, ma anche disastri ferroviari, gare automo- bilistiche e quant’altro in titoli come Il re in dirigibi- le, Ferrovia aerea, Crociera Torino-Roma del Touring Club Italiano. Negli anni Venti si dedicherà a film di montaggio come Dal Polo all’Equatore, opera dove si accumulano tutte le esperienze della cultura ci- ne-operatoristica italiana accanto a immagini che spaziano dalla riviera ligure a Venezia, dall’Uganda al Caucaso, dall’India al Giappone nel tentativo di compendiare tutte le esperienze di viaggio del mondo. In anni recenti l’archivio di Comerio sarà acquistato da Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, due cineasti d’avanguardia italiani, che ri- visiteranno con sguardo teorico e storico proprio Dal polo all’Equatore, proponendone una sorta di creativo remake-restauro (Farassino 2000). Già verso la fine degli anni Dieci si assiste nella cultura cinematografica europea a uno sposta- mento di interesse dall’esplorazione a pratiche più codificate in senso turistico: la ricerca di nuovi iti- nerari più che di nuove mete, di pratiche specifi- che come la caccia e il safari (Hic sunt leones, 1923; Il rifugio delle Pleiadi, 1926), di atmosfere legate al- la cultura dell’esotico-meraviglioso. In Italia, il luo- go che sembra rappresentare al meglio la spinta verso usanze e culture lontane è l’Africa. Tra i film italiani girati negli anni Venti nel continente africa- no il più noto è Silvia Zulu di Attilio Gatti (1928). Ma anche il cinema più apertamente di finzione, sulla scorta dei viaggi immaginari filmati dal pio- niere Georges Méliès (Le voyage dans la Lune, 1902; Le voyage à travers l’impossible, 1904) aveva provato in vari modi a descrivere luoghi lontani e fantastici in titoli come Maciste in vacanza e soprattutto Ma- ciste all’inferno di Guido Brignone, del 1926, in cui le riprese della natura tenebrosa in Valle Stura, nel- le Alpi piemontesi, si armonizzano perfettamente con le scenografie ricostruite e gli effetti speciali di Segundo de Chomón, e anche, con qualche diffi- coltà di verosimiglianza in più, in Le avventure straordinarissime di Saturnino Farandola (1914, dal popolare libro di avventure di Albert Robida). Cinema e città | Il cinematografo, tra gli anni Dieci e Venti, contribuisce non poco a diffondere, am- plificare e modificare l’immaginario urbano di al- cune grandi città. Sopra tutte Roma e Napoli, che si trovano rappresentate al cinema secondo strategie differenti. Napoli sembra costruirsi in prospettiva di visione, come se fosse una emanazione (più che il referente stesso) del vedutismo pittorico e della cultura del viaggio ottocentesca a esso connessa. Come per Venezia, il paesaggio è così noto da de- stare subito sospetto (Thomas Bernard considera- va la vista del Vesuvio una sorta di catastrofe, per- ché già esperita da milioni di sguardi). La città alle origini del cinema è un centro di produzione assai vivace e la cinematografia napoletana si rivolge al pubblico locale anche con intento promozionale. Alla Dora film si dirigono pellicole che contengono vedute con l’intento di insistere su concetti come «la città vista nei suoi ambienti naturali» (una sorta di equivalente della pittura «dal vero»: si veda G. Bruno, in Jousse e Paquot 2005). Ma anche opere che si inseriscono a pieno titolo nella tradizione del dramma verista, capaci di rappresentare antici- pazioni autorevoli delle correnti più realiste del ci- nema nazionale. Nei film di Elvira Notari (una del- le prime e più prolifiche registe donne) la città è usata a tutto campo, nella ricerca di squarci inedi- ti, nel gusto per la gestualità e le caratteristiche più peculiari della popolazione locale. Titoli come A’ legge (1920), La Medea di Portamedina, Chiarina la modista ottengono successi enormi in regione co- me in America, presso le comunità di immigrati a Brooklyn e Little Italy. Il turismo 461 degli operatori cinematografici producono nel pubblico – ne abbiamo varie attestazioni – sorpre- sa e sconcerto in termini di “effetti di realtà”. Ciò che colpisce in queste visioni, e che le differenzia dalla serie di visioni coeve, è il fatto che esse rie- scono in modo meccanico e naturale dove la tra- dizione pittorica accademica (quella più capace di stimolare il gusto borghese) si era prodotta con il massimo di artificio, cioè nel perfezionismo de- scrittivo, nella riproduzione dell’infinitamente piccolo, del dettaglio. Soprattutto la macchina da presa coglie il cambiare della luce sui monumen- ti, il soffio del vento tra gli alberi, il gioco degli ele- menti naturali, come se l’acqua, l’aria e la luce di- ventassero palpabili, realizzando un effetto che era stato al centro dell’indagine pittorica interes- sata al problema della mobilità del paesaggio, de- gli effetti d’atmosfera: in tal senso bisogna legge- re la provocatoria frase di Jean Luc Godard che propone di considerare Lumière «l’ultimo pittore impressionista» (Aumont 1991). Ri-conoscere i luoghi | E non è forse un caso che i momenti in cui meglio il cinema rivela il suo pote- re di riconfigurare la visibilità del paesaggio, della realtà fisica in generale, siano quelli in cui davanti alla macchina da presa ci sono cose, eventi, monu- menti che nel corso del secolo hanno saputo attira- re-generare un tipo di attenzione specificamente turistica. Se quindi è vero che la storia del turismo è fatta da diverse figure di viaggiatore, se è vero che il viaggiatore, attraverso la sua lunga storia, ha at- tribuito diversi significati al viaggio stesso, al pote- re del proprio sguardo, al concetto di “veduta”, alle sfumature e ai cambiamenti del paesaggio (Bona- dei 2007), il cinema allora sembra una sorta di an- tologia di queste modalità di visione e al contempo un netto superamento, un crocevia tra un certo modo panoramico di guardare, tipicamente otto- centesco, e un’economia dell’attenzione percettiva novecentesca. Il cinema inoltre sviluppa un modo nuovo di rappresentare e sostituire il movimento fisico che accompagna lo sguardo stesso. E lo fa al- meno in due sensi. In primo luogo – si tratta vera- mente dell’aspetto più banale, per quanto ricco di conseguenze per il nostro discorso – il cinema, co- me l’aereo e il treno, accorcia gli spazi: è il primo passo verso la creazione di quell’iconosfera media- le in cui le nozioni di lontano e vicino vengono ride- finite continuamente nel corso del Novecento. Al- l’inizio del secolo il potere di protesi, di estensione della vista, del cinema è determinante. Il cinema riesce a documentare eventi storici e naturali ren- dendoli presenti e diffondendone le immagini ca- pillarmente di paese in paese, facendo vivere espe- rienze di visita ed esplorazione inaccessibili a indi- vidui economicamente indigenti: si tratta appunto di cartoline postali in movimento che riproducono i monumenti veneziani e romani, le bellezze natu- rali, montagne, vulcani, fiumi ecc. L’effetto è dop- pio: da un lato luoghi e monumenti si costituisco- no in un catalogo di immagini comuni e note a tut- ti (in una memoria sociale condivisa), dall’altro si crea una stretta relazione tra evento del viaggio e sua documentabilità: le modalità nascenti del turi- smo di massa e dei reportage visivi di viaggio sono connesse a un’idea di mondo come repertorio co- noscibile e fermabile sulla pellicola, un’idea di mondo come quella resa possibile dalla fotografia prima, dal cinema poi e, nello scorrere del secolo, dagli altri media. In secondo luogo, il cinema, accanto alle forme di viaggio vicario, grossomodo dai primi anni Die- ci in avanti, comincia a far muovere lo spettatore in termini cognitivi. Con la rapida evoluzione del lin- guaggio cinematografico le immagini cominciano a concatenarsi le une alle altre secondo precise re- gole di continuità e di montaggio; l’attenzione del- lo spettatore è modulata attraverso la scala dei campi e dei piani. Il mondo del film pone il suo os- servatore in una posizione centrale e privilegiata, o, come dicono alcuni storici del cinema, gli fa com- piere un «viaggio immobile» (Burch 1994). Questa seconda tipologia di viaggio (viaggiare nel film), as- sieme alla funzione di esplorazione vicaria (viag- giare con il film) costituisce uno dei paradossi del cinema in relazione al tema dello spostamento fisi- co: apparentemente il cinema si costituisce contro il movimento del corpo che caratterizza l’attività del flâneur. Esso sottrae il corpo del soggetto al mo- vimento, all’erranza urbana di inizio secolo (ben descritta da Benjamin) per consegnarla all’immo- bilità della sala. Lo spettatore passa da un regime di mobilità fisica a un regime di mobilità mentale (ascolto, visione, immedesimazione ecc.). Eppure uno dei primi travelling (inteso come tipologia di spostamento della macchina da presa) della storia del cinema per mano dell’operatore Alexandre Pro- mio sul Canal Grande (Panorama du Grand Canal), è già un movimento turistico con un contrasto tra l’immobilità del corpo dello spettatore e la mobi- lità percettiva della macchina da presa. Tant’è che il tema del “giro del mondo”, già ben presente nel- l’immaginario culturale europeo, comincia a esse- re anche un’esperienza con una dimensione di massa. Nei primi del Novecento non pochi avreb- la Cultura Italiana 460

la Cultura Italiana 461 Il turismo -  · passione per il nuovo medium: «J’aime le cinémato-graphe. Il satisfait ma curiosité. Par lui je fais le tour du monde, et je m’arrête,

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bero sottoscritto idealmente le parole di Rémy deGourmont, uno degli intellettuali più precoci nellapassione per il nuovo medium: «J’aime le cinémato-graphe. Il satisfait ma curiosité. Par lui je fais letour du monde, et je m’arrête, à mon gré, à Tokyo,à Singapour. Je suis les itinéraires les plus fous. Jevais à New York, qui n’est pas beau, par Suez, qui nel’est guère plus, et je parcours dans la même heureles forêts du Canada et les montagnes de l’Escosse»(De Gourmont 1907, tr. it. 1993).

Parole di conferma alla constatazione che «unostretto intreccio tra sviluppo dei sistemi di traspor-to e dei media riproduttivi (fotografia, cinema) staalla base della nascita di una nuova concezione dispazio, tempo e distanza, con enormi conseguenzenei sistemi di rappresentazione del paesaggio, del-lo spazio sociale, dei fenomeni geografico-antro-pologici» (Costa 2006; si veda anche Kern 1988).

Infatti il cinema, fin dalle sue prime fasi, docu-menta (e nasce da) imprese di viaggio. I suoi princi-pali operatori sono viaggiatori-avventurieri. Tutti icataloghi delle case di produzione offrono vedutedi treni in arrivo nelle più disparate stazioni d’Eu-ropa. Le concessionarie Lumière in Italia spedisco-no i loro operatori a riprendere il terremoto in Ca-labria nel 1905. Giovanni Vitrotti, fotografo e ope-ratore al servizio della casa di produzione di ArturoAmbrosio (una delle più attive del muto italiano) siimpegna in anni di viaggi e documentari. Lo stessofa Luca Comerio, il quale filma per primo il Girod’Italia, ma anche disastri ferroviari, gare automo-bilistiche e quant’altro in titoli come Il re in dirigibi-le, Ferrovia aerea, Crociera Torino-Roma del TouringClub Italiano. Negli anni Venti si dedicherà a film dimontaggio come Dal Polo all’Equatore, opera dovesi accumulano tutte le esperienze della cultura ci-ne-operatoristica italiana accanto a immagini chespaziano dalla riviera ligure a Venezia, dall’Ugandaal Caucaso, dall’India al Giappone nel tentativo dicompendiare tutte le esperienze di viaggio delmondo. In anni recenti l’archivio di Comerio saràacquistato da Yervant Gianikian e Angela RicciLucchi, due cineasti d’avanguardia italiani, che ri-visiteranno con sguardo teorico e storico proprioDal polo all’Equatore, proponendone una sorta dicreativo remake-restauro (Farassino 2000).

Già verso la fine degli anni Dieci si assiste nellacultura cinematografica europea a uno sposta-mento di interesse dall’esplorazione a pratiche piùcodificate in senso turistico: la ricerca di nuovi iti-nerari più che di nuove mete, di pratiche specifi-che come la caccia e il safari (Hic sunt leones, 1923;Il rifugio delle Pleiadi, 1926), di atmosfere legate al-

la cultura dell’esotico-meraviglioso. In Italia, il luo-go che sembra rappresentare al meglio la spintaverso usanze e culture lontane è l’Africa. Tra i filmitaliani girati negli anni Venti nel continente africa-no il più noto è Silvia Zulu di Attilio Gatti (1928).Ma anche il cinema più apertamente di finzione,sulla scorta dei viaggi immaginari filmati dal pio-niere Georges Méliès (Le voyage dans la Lune, 1902;Le voyage à travers l’impossible, 1904) aveva provatoin vari modi a descrivere luoghi lontani e fantasticiin titoli come Maciste in vacanza e soprattutto Ma-ciste all’inferno di Guido Brignone, del 1926, in cuile riprese della natura tenebrosa in Valle Stura, nel-le Alpi piemontesi, si armonizzano perfettamentecon le scenografie ricostruite e gli effetti specialidi Segundo de Chomón, e anche, con qualche diffi-coltà di verosimiglianza in più, in Le avventurestraordinarissime di Saturnino Farandola (1914, dalpopolare libro di avventure di Albert Robida).

Cinema e città | Il cinematografo, tra gli anni Diecie Venti, contribuisce non poco a diffondere, am-plificare e modificare l’immaginario urbano di al-cune grandi città. Sopra tutte Roma e Napoli, che sitrovano rappresentate al cinema secondo strategiedifferenti. Napoli sembra costruirsi in prospettivadi visione, come se fosse una emanazione (più cheil referente stesso) del vedutismo pittorico e dellacultura del viaggio ottocentesca a esso connessa.Come per Venezia, il paesaggio è così noto da de-stare subito sospetto (Thomas Bernard considera-va la vista del Vesuvio una sorta di catastrofe, per-ché già esperita da milioni di sguardi). La città alleorigini del cinema è un centro di produzione assaivivace e la cinematografia napoletana si rivolge alpubblico locale anche con intento promozionale.Alla Dora film si dirigono pellicole che contengonovedute con l’intento di insistere su concetti come«la città vista nei suoi ambienti naturali» (una sortadi equivalente della pittura «dal vero»: si veda G.Bruno, in Jousse e Paquot 2005). Ma anche opereche si inseriscono a pieno titolo nella tradizionedel dramma verista, capaci di rappresentare antici-pazioni autorevoli delle correnti più realiste del ci-nema nazionale. Nei film di Elvira Notari (una del-le prime e più prolifiche registe donne) la città èusata a tutto campo, nella ricerca di squarci inedi-ti, nel gusto per la gestualità e le caratteristiche piùpeculiari della popolazione locale. Titoli come A’legge (1920), La Medea di Portamedina, Chiarina lamodista ottengono successi enormi in regione co-me in America, presso le comunità di immigrati aBrooklyn e Little Italy.

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degli operatori cinematografici producono nelpubblico – ne abbiamo varie attestazioni – sorpre-sa e sconcerto in termini di “effetti di realtà”. Ciòche colpisce in queste visioni, e che le differenziadalla serie di visioni coeve, è il fatto che esse rie-scono in modo meccanico e naturale dove la tra-dizione pittorica accademica (quella più capacedi stimolare il gusto borghese) si era prodotta conil massimo di artificio, cioè nel perfezionismo de-scrittivo, nella riproduzione dell’infinitamentepiccolo, del dettaglio. Soprattutto la macchina dapresa coglie il cambiare della luce sui monumen-ti, il soffio del vento tra gli alberi, il gioco degli ele-menti naturali, come se l’acqua, l’aria e la luce di-ventassero palpabili, realizzando un effetto cheera stato al centro dell’indagine pittorica interes-sata al problema della mobilità del paesaggio, de-gli effetti d’atmosfera: in tal senso bisogna legge-re la provocatoria frase di Jean Luc Godard chepropone di considerare Lumière «l’ultimo pittoreimpressionista» (Aumont 1991).

Ri-conoscere i luoghi | E non è forse un caso che imomenti in cui meglio il cinema rivela il suo pote-re di riconfigurare la visibilità del paesaggio, dellarealtà fisica in generale, siano quelli in cui davantialla macchina da presa ci sono cose, eventi, monu-menti che nel corso del secolo hanno saputo attira-re-generare un tipo di attenzione specificamenteturistica. Se quindi è vero che la storia del turismoè fatta da diverse figure di viaggiatore, se è vero cheil viaggiatore, attraverso la sua lunga storia, ha at-tribuito diversi significati al viaggio stesso, al pote-re del proprio sguardo, al concetto di “veduta”, allesfumature e ai cambiamenti del paesaggio (Bona-dei 2007), il cinema allora sembra una sorta di an-tologia di queste modalità di visione e al contempoun netto superamento, un crocevia tra un certomodo panoramico di guardare, tipicamente otto-centesco, e un’economia dell’attenzione percettivanovecentesca. Il cinema inoltre sviluppa un modonuovo di rappresentare e sostituire il movimentofisico che accompagna lo sguardo stesso. E lo fa al-meno in due sensi. In primo luogo – si tratta vera-mente dell’aspetto più banale, per quanto ricco diconseguenze per il nostro discorso – il cinema, co-me l’aereo e il treno, accorcia gli spazi: è il primopasso verso la creazione di quell’iconosfera media-le in cui le nozioni di lontano e vicino vengono ride-finite continuamente nel corso del Novecento. Al-l’inizio del secolo il potere di protesi, di estensionedella vista, del cinema è determinante. Il cinemariesce a documentare eventi storici e naturali ren-

dendoli presenti e diffondendone le immagini ca-pillarmente di paese in paese, facendo vivere espe-rienze di visita ed esplorazione inaccessibili a indi-vidui economicamente indigenti: si tratta appuntodi cartoline postali in movimento che riproduconoi monumenti veneziani e romani, le bellezze natu-rali, montagne, vulcani, fiumi ecc. L’effetto è dop-pio: da un lato luoghi e monumenti si costituisco-no in un catalogo di immagini comuni e note a tut-ti (in una memoria sociale condivisa), dall’altro sicrea una stretta relazione tra evento del viaggio esua documentabilità: le modalità nascenti del turi-smo di massa e dei reportage visivi di viaggio sonoconnesse a un’idea di mondo come repertorio co-noscibile e fermabile sulla pellicola, un’idea dimondo come quella resa possibile dalla fotografiaprima, dal cinema poi e, nello scorrere del secolo,dagli altri media.

In secondo luogo, il cinema, accanto alle formedi viaggio vicario, grossomodo dai primi anni Die-ci in avanti, comincia a far muovere lo spettatore intermini cognitivi. Con la rapida evoluzione del lin-guaggio cinematografico le immagini comincianoa concatenarsi le une alle altre secondo precise re-gole di continuità e di montaggio; l’attenzione del-lo spettatore è modulata attraverso la scala deicampi e dei piani. Il mondo del film pone il suo os-servatore in una posizione centrale e privilegiata, o,come dicono alcuni storici del cinema, gli fa com-piere un «viaggio immobile» (Burch 1994). Questaseconda tipologia di viaggio (viaggiare nel film), as-sieme alla funzione di esplorazione vicaria (viag-giare con il film) costituisce uno dei paradossi delcinema in relazione al tema dello spostamento fisi-co: apparentemente il cinema si costituisce controil movimento del corpo che caratterizza l’attivitàdel flâneur. Esso sottrae il corpo del soggetto al mo-vimento, all’erranza urbana di inizio secolo (bendescritta da Benjamin) per consegnarla all’immo-bilità della sala. Lo spettatore passa da un regimedi mobilità fisica a un regime di mobilità mentale(ascolto, visione, immedesimazione ecc.). Eppureuno dei primi travelling (inteso come tipologia dispostamento della macchina da presa) della storiadel cinema per mano dell’operatore Alexandre Pro-mio sul Canal Grande (Panorama du Grand Canal),è già un movimento turistico con un contrasto tral’immobilità del corpo dello spettatore e la mobi-lità percettiva della macchina da presa. Tant’è cheil tema del “giro del mondo”, già ben presente nel-l’immaginario culturale europeo, comincia a esse-re anche un’esperienza con una dimensione dimassa. Nei primi del Novecento non pochi avreb-

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locità entrano come elementi primari nella costru-zione dell’italiano «nuovo», vagheggiato dal regi-me mussoliniano nel tentativo di forgiare una nuo-va antropologia per gli italiani. Biciclette, motoci-cli, autovetture e aerei si moltiplicano dunque. E,soprattutto, aumentano la loro velocità solcandostrade più moderne e attrezzate, agevolando così ilviaggio degli italiani all’interno della nostra peni-sola. Fra gli anni Venti e Trenta gli indici statisticiconfermano la scarsa propensione degli italiani arecarsi all’estero. Ma rivelano altresì che l’italianoha iniziato a percorrere la penisola come mai inprecedenza.

Nel 1905 sulle ferrovie italiane transitano circa20 milioni di viaggiatori; nel 1929 salgono a 139milioni per arrivare a 167 milioni nel 1939.

La diminuzione degli impegni che nei decenniprecedenti avevano assorbito la costruzione delleferrovie, ormai completate, conduce, a partire dal-l’inizio degli anni Venti, a un crescente interesseper la politica stradale. Fra il 1923 e il 1933 vengonorealizzati sette tronchi autostradali più la «camiona-bile» Genova-Serravalle, terminata nel 1935. Nel1928 si costituisce l’Aass, l’Azienda autonoma stata-le della strada, proprio per provvedere alla manu-tenzione e all’ammodernamento della rete strada-le. Gradualmente pavimentazioni più solide sosti-tuiscono via via le vecchie massicciate, per consen-tire la circolazione automobilistica in aumento.

Fra il 1923 e il 1941 l’incremento complessivodella rete stradale italiana ammonta a poco menodi 4000 chilometri. Un aumento modesto se para-

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Per quanto riguarda la capitale sono soprattut-to le prime grandi produzioni storico-mitologiche,assieme ai documentari sulla civiltà romana ( Ro-ma antica , Pathè, 1908), a produrre un aggiorna-mento della tradizione mitologico-letteraria e pae-saggistico-architettonica del passato. Roma intesacome caput mundi viene messa in scena in grandiricostruzioni come Nerone (Luigi Maggi, 1909), Quovadis (Enrico Guazzoni, 1912). Per mezzo di unaespansione scenogra�ca, che è già di per sé motivodi attrazione e di potere mitopoietico anche all’e-stero, si rilancia l’idea della città-mito, patrimoniodi storia secolare. Il tutto presenta uno slanciospettacolare che richiede l’abbandono degli sche-mi positivisti di distinzione tra realtà e ricostruzio-ne in studio: Marcantonio e Cleopatra (Guazzoni,1913) e Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914) fannoparte di una linea di produzione di immaginariodestinata a estinguersi con la crisi produttiva deglianni Venti e con il passaggio al sonoro, ma che rivi-vrà negli anni del secondo dopoguerra, all’epocadella cosiddetta “Hollywood sul Tevere”, in ripresedel genere storico come Giulio Cesare (J.Mankiewicz, 1953), Ben Hur (W. Wyler, 1959), perrisalire �no a oggi con Gladiator (Ridley Scott,2000) e Rome(serie televisiva di grande successo incui le scenogra�e di carta pesta sono sostituite dal-la simulazione digitale: si veda M. Bertozzi, Rome,in Jousse e Paquot 2005).

In seguito sarà soprattutto la retorica fascista ariscoprire la mitologia della romanità già esplo-rata nel muto italiano e a rilanciarla attraverso unsistema complesso di interazione tra i vari media(cinema, cinegiornali, radio stampa popolare).

Turismo e fascismo. Dagli anni Trenta alla guerra

Il viaggio materiale: velocità e modernizzazione

Macchine del viaggio| Con gli anni Trenta l’Italiafascista diventa motore di una colossale propa-ganda turistica. Presso i viaggiatori stranieri il re-gime fascista promuove soprattutto in grande sti-le una propaganda volta a dimostrare la percorri-bilità della rete ferroviaria e la puntualità dei tre-ni. In realtà alle ferrovie italiane, vera e propria os-sessione propagandistica del regime, è a�dato ilcompito di costituire una grande vetrina espostaallo sguardo dell’opinione pubblica mondiale. Diqui anche l’impegno profuso nell’allestimento dicarrozze riservate al turismo straniero e alle élites.

Il regime fascista promuove in grande stile an-che la politica della navigazione commerciale e tu-ristica. Fra gli anni Venti e Trenta, grazie a sovven-zioni e leggi speciali approvate per fronteggiare lacrisi produttiva, vengono varati transatlantici chepongono l’Italia fra le nazioni più avanzate nel set-tore. Fra il 1926 e il 1927 entrano in servizio il Romae l’Augustus. All’inizio degli anni Trenta è la voltadel Conte di Savoia. Ma, soprattutto, nel 1932 vienevarato il Rex che con le sue 50.000 tonnellate distazza è, per quei tempi, «una delle più grandi almondo» coma la de�nisce la rivista del Touring. IlRex è una nave concettualmente nuova e pensataper chi viaggia non per necessità, ma per piacere:per fare turismo per l’appunto.

Ai viaggiatori più facoltosi il Rex o�re due pisci-ne, due campi di volano e uno da tennis, tre palestree un impianto termale. Nelle zone destinate a chisolca l’Oceano in cerca di fortuna e lavoro, il transa-tlantico nulla conserva di quelle caratteristiche deibastimenti di �ne Ottocento e di inizio Novecentodestinati al trasporto degli emigranti: agli alloggidi fortuna e agli a�ollati dormitori promiscui si so-no sostituiti posti in cabina, sale di soggiorno e dapranzo; sul Rex anche il viaggio dell’emigrante è di-ventato meno disagevole. Nell’agosto del 1933 il Rexstabilisce un record leggendario allorché compie latraversata atlantica da Gibilterra a New York in 4giorni, 13 ore e 58 minuti alla velocità media di28,92 nodi. Di qui il soprannome, destinato ad ali-mentarne la leggenda, di «levriero dei mari».

Quanto il Rex sia entrato nell’immaginario de-gli italiani lo avrebbe testimoniato anni più tardiFederico Fellini in una delle più suggestive scene diAmarcord, rappresentando sullo schermo il sensodi orgoglio che quel transatlantico aveva suscitatonelle fantasie e nei sogni degli italiani.

Il mito della velocità è in quegli anni alimenta-to anche dagli spettacolari raid aviatori dei pilotiitaliani. Basti qui ricordare le imprese di De Pine-do, che nel 1925 compie il giro del mondo su unidrovolante; e quelle di Italo Balbo, uno dei «ras»del regime, che nel 1932 guida una spedizione di25 idrovolanti in una trasvolata atlantica da Romaa Chicago e a New York e ritorno. Le imprese e i re-cord stabiliti da apparecchi italiani sono propagan-dati come manifestazioni di «audacia fascista», maanche come esibizioni della perfezione della indu-stria aviatoria nazionale.

Automobili, motociclette, navi: fra gli anni Ven-ti e Trenta sembra realizzarsi quel binomio moder-nismo-macchinismo che aveva rappresentato unodei miti delle origini del fascismo. Modernità e ve-

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Passeggeri a bordo del Conte di Savoia salutano ilpassaggio del transatlanticoRex, 1938. Questa naverappresenta un punto fermonell'immaginario degli italiani diquegli anni.

gonato al parallelo sviluppo della rete stradale deipaesi del Nord Europa, ma che comunque segnaun notevole passo in avanti rispetto ai primi annidel Novecento. L’incremento della rete stradale fa-vorisce anche lo sviluppo dei servizi automobilisti-ci pubblici. Nel 1910 le linee ammontano a 62 peruno sviluppo di circa 3000 chilometri; salgono a1636 nel 1924 con 53.000 chilometri per arrivare a121.000 nel 1939.

Negli anni Trenta, appaiono ormai lontanequelle immagini di ciclisti di inizio Novecento chearrancano sui velocipedi per strade polverose e dis-sestate. Anche la «vecchia» bicicletta diventa unostrumento sempre più veloce. Se nei Giri d’Italiad’anteguerra la media oraria si aggira attorno ai 26km, negli anni Trenta supera i 30 km. Eroi del pe-dale come Bottecchia, Girardengo, Binda e Guerraelevano la bicicletta a de�nitivo simbolo della mo-dernità.

E sbiadite appaiono anche quelle fotogra�eche, nel 1904, ritraevano il viaggio in automobile diFederico Johnson in Sardegna di fronte allo stupo-re e allo sconcerto dei pastori. Miti dell’automobi-le come Varzi e Nuvolari portano la velocità nell’im-maginario degli italiani, ma portano anche – in unmeccanismo analogo a quello suscitato dal Girod’Italia per la bicicletta negli anni precedenti la pri-ma guerra mondiale – l’industria automobilisticaitaliana a produrre le prime vetture economiche:«l’utilitaria». Nel 1932 dagli stabilimenti della FIATesce la Balilla, il primo modello di vettura popolareitaliana. Nel 1936 è la volta della Cinquecento tipoA e, successivamente, quella di Tipo B, la «Topoli-no». Si tratta dei primi tentativi di espandere versoil basso il mercato dell’automobile e di renderloaccessibile al ceto medio. La Balilla viene posta invendita a un prezzo di 10.800 lire, successivamentescende a 9800. La Topolino è promossa con unprezzo di 8900 lire. Si tratta di cifre certamente an-cora elevate e che equivalgono a circa dieci stipen-di medi di un impiegato, ma che comunque ridu-cono di quattro o cinque volte il prezzo medio del-le autovetture allora in circolazione.

Nel corso degli anni Trenta anche l’aereo si tra-sforma da strumento stravagante e in grado di incu-tere timori e paure a veicolo di fantasie grazie a ro-manzi come quelli di Liala ( Signorsì, 1931), o �lmcome Luciano Serra pilota (1938). Iniziano altresì iprimi esperimenti di linee aeree civili: la Trieste-To-rino viene inaugurata nell’aprile del 1926, e nellostesso anno prende il via la Brindisi-Atene-Istanbul.

È, quello dell’italiano degli anni Trenta, un im-maginario che viaggia a velocità sempre più eleva-

te, su distanze sempre più accorciate e, soprattut-to, oltre il limite di ogni con�ne. Come nelle im-prese di Umberto Nobile e dei suoi dirigibili che,per quanto sfortunate, mostrano le in�nite possi-bilità del viaggio.

Sulle strade rotabili o su quelle ferrate, in auto-mobile o col ciclomotore, spingendo a forza sui pe-dali o facendo fantasticare l’immaginazione, l’ita-liano degli anni Venti e Trenta viaggia come nonmai in precedenza.

La “politica” del turismo

La nazionalizzazione del tempo libero | Nell’ambitodella politica del tempo libero il fascismo materia-lizza in de�nitiva il sogno della «vacanza per tutti».Nel suo disegno di stato sociale, Mussolini avviauna sorta di «democratizzazione» del tempo libero,riservando ai ceti popolari la possibilità di accede-re a svaghi e divertimenti prima riservati solo a ri-strette élites. Un’invenzione come quella dei «trenipopolari», un mezzo di locomozione che permette-va spostamenti a prezzi accessibili anche a chi eracostretto a bassi salari, è funzionale alla propagan-da fascista che insiste sull’uguaglianza dei cittadi-ni di fronte a uno stato che a tutto provvede. Ancheallo svago e al divertimento. Del resto l’idea di eva-sione è utilizzata dal fascismo sia come mezzo dicoesione sia come pretesto per distogliere pensie-ri e azioni dai problemi reali. Fornendo alle massepopolari la lusinga di essere protagoniste di riti col-lettivi, si �niva per aggregarle attorno a un idealecomune che mirava proprio a usare le occasioni lu-diche come segno di partecipazione a un regimepronto a soddisfare ogni esigenza del cittadino.Una politica che legittima il diritto al tempo liberodel lavoratore che si vede ricompensato dopo le du-re ore passate in fabbrica o in bottega. Gli operai egli artigiani che si svagano nelle ore dedicate ai pas-satempi, evitano così di far esplodere le tensioniaccumulate in un possibile impegno politico in unaltro movimento ritenuto in grado di interpretarele loro insoddisfazioni.

In questo modo la politica ricreativa fascistafunziona anche come aiuto alla paci�cazione so-ciale e, indirettamente, all’obiettivo della massi-ma produttività. Avere a che fare con lavoratori im-piegati 24 ore su 24 e soddisfatti di far parte di ini-ziative ricreative, signi�ca far diminuire le possi-bilità di con�itti sociali e aumentare, viceversa, ilgrado di sostegno al fascismo. In questo senso ilregime, avviando la prima forma di nazionalizza-zione del tempo libero, rappresenta l’esempio più

Il turismo465la Cultura Italiana464

Manifesto pubblicitario dellaBalilla nel 1934. La produzionedi questa automobile da partedella FIAT dà il via in Italiaalla motorizzazione di massa.

inglesi conquistano alla �ne del Settecento ilMonte Bianco, violando per la prima volta la piùalta cima europea. È l’inizio di un’epoca, quellaalpinistica, destinata nel volgere di qualche de-cennio a mutare l’ancestrale rapporto di di�den-za e paura nei confronti della montagna. Fra glianni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento alpini-sti austriaci e inglesi scalano per primi le vette del-le Dolomiti.

Per oltre un secolo tuttavia le cime alpine ri-mangono dominio incontrastato di pochi ardi-mentosi. È solo nell’ultimo ventennio dell’Otto-cento, grazie al perfezionamento delle vie di co-municazione, che la montagna inizia a essere sco-perta dai primi turisti. Le origini della sua fortu-na, come per il mare, sono legate alla climatotera-pia. A partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocentol’apertura di vie di comunicazione consente di rag-giungere più agevolmente rispetto al passato luo-

ghi come Courmayeur o Cortina, che iniziano il lo-ro decollo turistico. La frequentazione delle primestazioni di villeggiatura montana è esclusivamen-te legata alla stagione estiva come alternativa al-l’afa e alla calura dei mesi più caldi. Solo verso la �-ne dell’Ottocento la montagna comincia a esserefrequentata anche nella stagione invernale.

Fra gli anni Venti e Trenta, grazie alla di�usionedella pratica dello sci, inizia la fortuna di stazionicome Cortina o Sestrière. È l’edizione delle primeOlimpiadi invernali a Chamonix, nel 1924, a lan-ciare la moda degli sport invernali. Certo, si trattadi mode elitarie ma che comunque segnano unrapporto nuovo con la montagna.

A fare la di�erenza fra la vacanza al mare e quel-la in montagna non è tanto il censo ma la ricerca disensazioni diverse. Di carattere più mondano ededonistico il soggiorno marino, più appartato e di-screto quello montano.

Il turismo467

e�cace e moderno di un sistema che sa utilizzare iltempo libero come strumento di consenso e dicontrollo. Non solo: il fascismo costruisce una ca-pacità di persuasione che a�onda le radici nelcoinvolgimento di masse �nora lasciate in dispar-te dai precedenti governi liberali.

La vacanza dunque, durante il ventennio fasci-sta, perde il valore elitario per diventare consuetu-dine di larghi strati sociali. L’istituzionalizzazionedel «sabato fascista» dedicato alle gite al mare o inmontagna, la creazione delle colonie marine desti-nate ai �gli degli operai e degli impiegati, gli invitia una vita salutare e movimentata, spingono l’Italia«gaia e spensierata» a cercare nuovi luoghi di santi-�cazione del piacere. Una trasformazione del mo-do di considerare la vacanza che comporta pro-gressive modi�cazioni anche del costume. La pub-blicità delle località turistiche e dei prodotti legatialle vacanze (signi�cativa è la prima comparsa, nel1936 sui giornali italiani, della réclame dell’ab-bronzante Ambra solare), costituiscono dei segnitangibili della mutazione sociale che interessa set-tori diversi quali l’architettura, la moda, l’industriadel divertimento, e anche, in senso più generale,la mentalità e i comportamenti.

Mode e ideologie| Per capire l’importanza di questointreccio, un esempio fra tutti è rappresentato dalnuovo abbigliamento balneare che, sempre menocasto e incline a mostrare parti del corpo scoperte,provoca da una parte la reazione indignata dei mo-ralisti cattolici che denunciano «l’esibizione dellacarne», ma dall’altra il compiacimento di sportivi esalutisti che esaltano costumi da bagno e abitiadatti alla libertà dei movimenti e «al bacio del so-le rigenerante».

«Le donne stanno proprio perdendo la testa»,tuona il francescano Agostino Gemelli dalle colon-ne della «Rivista del clero italiano», promuovendoun’inchiesta «per combattere la sconcia moda fem-minile» che riguarda abiti e costumi da bagno. Ma,pur cercando di non cancellare totalmente il sensodel pudore, giornali e immagini pubblicitarie nonesitano a mostrare giovani con abbigliamenti bal-neari pratici e disinibiti, contro «gli impacci dei ve-stimenti eccessivi». Un look adeguato alle nuoveesigenze di benessere �sico, ma pure a una moralenon più improntata a rigidi codici.

Alla scoperta del mare e della spiaggia si af-�anca quella della montagna, inizialmente legataalla pratica dell’alpinismo. Aristocratici francesi e

la Cultura Italiana466

Giovani Figli della Lupaprendono con�denza sugli sci a metà anni Trenta. Lo sviluppo degli sport invernalicresce anche grazie alleorganizzazioni del tempo liberocreate dal fascismo.

Un gruppo di ragazze gioca in acqua a Viareggio all'iniziodegli anni Trenta.I nuovi costumi da bagnoadottati in quegli anni suscitano la reazionescandalizzata soprattutto degli ambienti cattolici.

Trenta. E in queste sequenze «è un continuo succe-dersi di bagnanti, grandi e piccini… che in acqua,sul mare e sulla rena passano dolcemente le vacan-ze estive». È insomma anche il ritratto dell’italia-no che scopre il turismo familiare e che anzi tra-sforma in consumo sociale le origini terapeutichedei bagni marini.

La vita balneare dunque come simbolo di una«Italietta» spensierata e gaia che, mentre le potenzemondiali si apprestavano a dare vita al secondoconflitto mondiale, guarda ancora nei cinemato-grafi le inquadrature di spiagge nelle quali «la sta-gione balneare è nel suo pieno splendore» e dove«si susseguono le manifestazioni destinate a ren-dere sempre più piacevole il soggiorno ai bagnanti».

La vacanza al mare è, nella pedagogia del fasci-smo, sinonimo di salutismo. Ma, al tempo stesso,indica una meta: il «premio» di un regime che a tut-to provvede, anche alla vacanza.

Il turismo sociale | Del resto è proprio il regime fa-scista a promuovere, fin dalla seconda metà deglianni Venti, una mobilitazione in massa degli italia-ni proprio attraverso il viaggio. Anzi, l’andata «ver-so il popolo» promossa dal regime trova proprionel turismo popolare una delle sue più riuscite rea-lizzazioni, soprattutto dopo l’istituzione del sabatofascista e la maggiore disponibilità di tempo liberoda parte degli italiani.

Già la costituzione dell’Opera Nazione Dopola-voro (1925), volta alla diffusione di una cultura dimassa fra gli strati popolari, individuava proprionelle escursioni uno degli strumenti più efficacidella mobilitazione dei propri soci. In bicicletta, inautobus, in treno o a piedi il Dopolavoro mobilitamilioni di iscritti alla scoperta della «nuova Italia».Non si tratta solo di far trascorrere agli strati popo-lari una parte del loro tempo libero ma, soprattutto,di educare l’italiano «nuovo» attraverso itinerari emete che devono familiarizzare i partecipanti allaconoscenza della nazione e alle opere del regime.

Per enfatizzare il significato nazionale e patriot-tico quelle escursioni si svolgono in occasione del-le grandi festività nazionali instaurate dal fasci-smo: il 4 novembre, il giorno dell’armistizio dellaGrande Guerra, o il 21 aprile, Natale di Roma.

Cambiano anche mete e scenari degli escursio-nisti. Non più – o non solo – i campi delle sacre bat-taglie del Risorgimento ma, soprattutto, i luoghiche celebrano i fasti del regime: dalle paludi ponti-ne alle centrali elettriche e ai cantieri navali del Rex.

Il bilancio che Achille Starace traccia sull’atti-vità svolta dall’Opera Nazionale Dopolavoro rende

un’idea delle folle che erano state coinvolte attra-verso «un inquadramento totalitario delle forzeescursionistiche italiane». Nel corso del 1936, se-condo i dati esibiti da Starace, le manifestazioniescursionistiche avevano raggiunto la cifra di35.000 coinvolgendo migliaia di italiani attraversoi più vari mezzi di locomozione: «dal piroscafo allaferrovia, dagli autoveicoli agli aeroplani (per i volituristici di propaganda), dalla bicicletta allo sci».

Strumento non secondario dell’accesso al viag-gio per le classi meno abbienti è l’istituzione deitreni popolari che, sperimentati in via provvisoria apartire dal 1931, offrono biglietti a prezzo ridottoper agevolare gli spostamenti verso le mete turisti-che più significative. Grazie a quella iniziativa mi-gliaia di italiani raggiungono per la prima volta lecittà d’arte e le stazioni balneari. E quel mezzo dilocomozione così economico entra anche nel ci-nema attraverso una pellicola di Raffaello Mataraz-zo come Treno popolare (1933). La colonna sonoradi quel film era cantata da Aldo Fabrizi e compostada un giovanissimo Nino Rota. O’ treno popolare èanche una canzonetta composta da A. E. Mario, giàautore della più epica La leggenda del Piave. Insom-ma durante gli anni Trenta si viaggia anche sullenote della canzone.

Di fronte a quelle migliaia di italiani che sco-prono il viaggio ci si preoccupa di insegnare loroanche norme di comportamento. Nei manuali dibuone maniere abbondano i suggerimenti su co-me ci si debba comportare sui treni popolari. Lenorme prescrivono che ci si deve comportare «sen-za sguaiatezze ed eccessi» con la consapevolezzache si stava certamente compiendo un viaggio ma,soprattutto, che si stava partecipando a un’occa-sione sociale favorita dal regime. Dunque venivaraccomandata la massima compostezza.

Tuttavia i viaggiatori dei treni popolari non do-vevano tenere troppo in conto i suggerimenti deigalatei. In realtà l’atmosfera doveva essere alquan-to chiassosa se si presta fede alla testimonianza diAchille Campanile che ci restituisce il clima di sagrapopolaresca e l’affollamento degli scompartimentidei treni in una scena che rievoca il ritorno di frottedi bagnanti dopo una domenica passata al mare.

Per trovar posto nel treno di ritorno si sono avviati alla sta-zione un paio d’ore prima della partenza… Ma alla stazio-ne han trovato i marciapiedi e i binari gremiti di gente che– pure per trovar posto – vi s’era recata con un anticipo ditre o quattr’ore.

Qui è avvenuta l’ultima e la più grave fatica della giorna-ta: l’assalto al treno. Ma il trovar posto è stato privilegio dipochi ragazzacci in gamba e decisi a tutto. Così il viaggio

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Le immagini della spiaggia degli anni Trentarappresentano la profonda metamorfosi che du-rante il Ventennio attraversa il turismo nostrano e,soprattutto, la definitiva scoperta del mare da par-te degli italiani. Il mare e la vacanza entrano anchenell’immaginario degli italiani attraverso una pub-blicità sempre più sofisticata grazie alle illustrazio-ni di famosi illustratori.

Réclame | Negli anni Trenta l’immagine della va-canza balneare migliora grazie anche ai progressidella pubblicità o della réclame, come si diceva pri-ma dell’introduzione dell’autarchia linguistica.Non solo si perfezionano le tecniche ma si speri-mentano le prime strategie «psico-mercantili», ter-mine molti anni più tardi sostituito da «marke-ting», volte a creare suggestioni e ad alterare i biso-gni attraverso la creazione di nuovi desideri nelpubblico. Nascono anche le prime agenzie pubbli-citarie «all’americana» sull’esempio dell’Acme Dal-monte che in quegli anni gestisce campagne perimportanti committenti come la Rinascente o laCirio e sorgono vere e proprie industrie specializza-te nella produzioni di manifesti come la IGAP (In-dustria generale affissioni pubblicitarie).

Se l’immagine della spiaggia inizia a circolareall’inizio del Novecento attraverso la cartolina, ilmanifesto pubblicitario accentua suggestioni diun nuovo mondo che si apre all’immaginario degliitaliani. Sui treni, nelle stazioni e negli spazi pub-blicitari delle città le silhouette femminili di Mar-cello Dudovich, di Gogliardo Ossani o di FilippoRomoli creano un nuovo immaginario in una Italiaancora pervasa da un antico moralismo.

Ma negli anni Trenta non sono solo le immagi-ni fisse dei manifesti a introdurre gli italiani allacultura balneare, sono anche quelle mobili del ci-nema a familiarizzare un pubblico sempre più va-sto ai ritratti della vacanza. Se attraverso le carto-line è la giovane e dinamica imprenditoria turisti-ca locale (proprietari di villini, di locande e pen-sioni e alberghi) a promuovere «l’immagine» bal-neare, attraverso i filmati Luce sono gli organi delregime che impongono al grande pubblico unaprecisa fisionomia della vacanza balneare i cui ef-fetti andranno per certi versi ben oltre la cadutastessa del fascismo e del suo apparato propagan-distico.

La vacanza balneare appare in quei filmati co-me il contenitore di gran parte di quell’insieme dimiti /credenze/ valori/ simboli che affollano l’uni-verso della propaganda del regime. O, meglio, diquell’universo che i Film Luce cercano di trasmet-

tere in quella ossessiva e martellante ricerca perl’educazione del «nuovo italiano».

I messaggi dei filmati Luce non paiono disco-starsi da quegli stereotipi, non solo filmici, cheaffollano la propaganda dell’Italia fascista in quel-la tipica commistione camaleontica fra tradizionee innovazione, passatismo e modernità, ruralismoe tecnologismo. È dunque il profilo di un’Italia pro-vinciale, tranquilla, operosa, latina e romana. E so-prattutto fedele al capo e al suo regime.

Nella propaganda, scritta, parlata e filmata, de-gli anni Trenta, ciascuna regione o entità geografi-ca offriva punti di riferimento o monumenti cherievocavano o celebravano il progresso della «nuo-va Italia» e che, per associazione, venivano trasfor-mati in simboli materiali dell’Italia fascista. NelLazio c’erano le vaste bonifiche delle paludi ponti-ne, in Piemonte i grandi progetti idroelettrici e lenuove autostrade; in Liguria i cantieri navali di Ge-nova e La Spezia dove far ammirare i progressi del-la tecnologia fascista. E nella riviera adriatica daCattolica a Cervia?

Di questa zona i filmati sulla vita balneare veni-vano a materializzare sullo schermo una delle con-quiste «più ragguardevoli» del regime fascista: quel-la del tempo libero. L’illusione, da parte degli stra-ti popolari e piccolo borghesi, di contare come i ric-chi, o comunque di partecipare a svaghi e passa-tempi un tempo riservati a ristrette élites, è uno diquegli elementi su cui si basa il consenso popolareal regime fascista. È, ancora, uno di quegli aspetti diquella nazionalizzazione del tempo libero che il re-gime esperisce – soprattutto attraverso il dopolavo-ro – a partire dall’inizio degli anni Trenta, in coinci-denza con l’aggravarsi della recessione economica.

In un regime che veniva elevando la produttivitàa virtù nazionale, il tempo libero, lo svago e la ri-creazione configuravano non solo un nuovo model-lo sociale dell’italiano medio ma stavano anche adimostrare la «giusta ricompensa» di un regime pa-ternalista che a tutto provvede. E questo effetto di-viene palpabile quando sullo schermo scorrono leimmagini, rese ancor più suggestive – per quei tem-pi – dall’enfasi commentatoria che sottolinea co-me nelle colonie marine i bambini degli operai «tra-scorrano in sana, gioconda vita balneare le ore lietee serene nell’esercizio dello spirito e del fisico». Op-pure in quelle sequenze che ci mostrano la «vita sa-na, disciplinata e gioconda alla colonia marina 28Ottobre che ospita duemila figli del popolo».

I filmati ci mostrano in effetti anche la dimen-sione di quel turismo di massa che diviene costu-me sociale sempre più diffuso proprio negli anni

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La rampa di accesso ai pianisuperiori della colonia per ferieFIAT a Marina di Massa.Costruita nel 1932, la coloniaha la stessa strutturaarchitettonica dell'albergo perturisti benestanti di Sestrière.

da corona all’edificio centrale strutturato comeuna nave ammiraglia.

Vere e proprie «città delle colonie» nascono inquegli anni collocate in zone periferiche accanto astazioni turistiche già affermate.

La vacanza si snoda secondo ritmi e rituali pre-stabiliti: dall’alzabandiera all’ammainabandiera,dalla preghiera mattutina agli esercizi ginnici, allaimmersione quotidiana nelle acque marine tutto sisvolge all’insegna di una pedagogia volta a infon-dere orgoglio di patria e senso di appartenenzaaziendale. Anche le divise (uguali per tutti) rispon-dono allo stesso disegno e si rivelano come un ulte-riore «premio» per quei fanciulli di famiglie menoabbienti per le quali il vestiario costituiva un vero eproprio «lusso».

Durante il conflitto mondiale la realtà delle co-lonie, proseguita con difficoltà fino al 1942, subi-sce una pausa forzata.

Territorio e immaginario. L’Italia che si fa, l’Italia che si descrive

La ricerca del paesaggio italico | L’Italia da scoprire èanche un’Italia “da fare”. Il viaggio diventa così oc-casione di incontro e di conoscenza con un territo-rio nazionale ancora tutto sommato frammentato edisperso nella costellazione variegata delle cultureregionali. La macrodivisione generatrice dei più ra-dicati cortocircuiti è naturalmente quella tra il Norde il Sud del paese, ed è anche nel tentativo di spiega-re agli italiani le proprie specificità territoriali chealcuni scrittori degli anni Trenta agiscono nella di-rezione di una valorizzazione delle peculiarità geo-grafiche. Sarebbe quindi scorretto intendere i movi-menti letterari provinciali del tempo come unasemplice affermazione d’autarchia culturale (co-munque presente) in reazione all’esterofilia di chivolgeva lo sguardo alle letterature straniere, soprat-tutto di lingua inglese e francese, per determinar-ne una subalternità culturale del Belpaese. Biso-gna invece considerare il genuino desiderio di farcomprendere agli italiani il proprio tassello d’Ita-lia, nella prospettiva di ricostruire il quadro d’insie-me anche dal punto di vista letterario.

È senz’altro questa la motivazione alla base delViaggio nel Mezzogiorno che Giuseppe Ungaretti re-dige nel 1932 quando accetta l’incarico della «Gaz-zetta del Popolo» di Torino di visitare la Campaniae di rendere conto del suo percorso con una serie direportage (che verranno poi raccolti in volume so-lo trent’anni dopo ne Il deserto e dopo). La sceltadell’inviato speciale da parte della «Gazzetta del Po-

polo» non si spiega esclusivamente con l’indiscuti-bile prestigio del poeta, ma va in qualche manierailluminata da almeno un’altra considerazione: ilviaggiatore Ungaretti promette una capacità di pe-netrazione nella storia dei luoghi che sarebbe bendifficile da raggiungere per un osservatore dei co-stumi o un giornalista dalla penna eminentemen-te sociologica. È la storia, infatti, il territorio cultu-rale in cui va riscoperta un’unitarietà nazionale, ein particolare quella delle sue espressioni artisti-che. L’Ungaretti turista in Campania sceglie di rac-contare non tanto uno spaccato del presente,quanto un percorso dell’anima attraverso le rovinee i miti sopravvissuti ai secoli, tracciando un filorosso tra leggende, rappresentazioni e paesaggi an-tichi e moderni, che diventa una vera e propria li-nea guida con cui seguire l’altrimenti incompren-sibile passaggio dalla solennità classica alle accele-razioni vibranti della modernità. Evitando di im-provvisarsi reporter e conservando invece l’atteg-giamento di chi posa sul mondo uno sguardo poe-tico, Ungaretti tralascia quasi del tutto (o attraversavelocemente per poi smentire) le più scontate con-siderazioni sul folclore locale e si concentra suun’interpretazione dell’antico – quell’antico chein Campania è generatore attuale di cultura – comefonte pulsante di poesia. Ecco che assistiamo a uncaso di “turismo letterario” in cui bisognerà inver-tire il vettore interpretativo che viene applicato diconsueto all’espressione: non è il turista a seguirele tracce di uno o più autori o dei loro personaggi,ma l’esperienza del turismo a marcare profonda-mente la scrittura del poeta in viaggio. Un caso,quindi, in cui lo scrittore turista, riversando sullapagina la propria esperienza di viaggio, opera unpassaggio decisivo all’interno della propria para-bola artistica, al punto da indurre la critica, nel ca-so in questione, a vedere nelle prose ungarettianedi Viaggio nel Mezzogiorno una sorta di cerniera trail barocco del Sentimento del tempo e gli acuti squil-li del Dolore.

Sul finire degli anni Trenta un altro scrittore-turista di indiscutibile prestigio dedicherà un’o-pera alle città italiane nel loro complesso. Si trat-ta di Le meraviglie d’Italia che Carlo Emilio Gaddapubblicò presso Parenti nel 1939, dedicando i piùampi stralci a Milano, ma intendendo anche ab-bozzare un affresco d’insieme della disomogenearealtà dei costumi e dei paesaggi italici. La descri-zione gaddiana, antiretorica e disincantata, si col-loca agli antipodi delle ansie celebrative della pro-paganda di regime, ponendosi piuttosto, consguardo retrospettivo, come antesignana delle

Il turismo473

l’hanno fatto quasi tutti in piedi, senza potersi muovere, acausa del pigia pigia, e avendo perduto di vista parenti, ami-ci e consapevoli.

Escono dalla stazione carichi di fagotti, cestini, bambi-ni e fiaschi; sono storditi dalla luce elettrica dei tram, sisbandano come allucinati per i quartieri popolari.

Certo, larghe fasce sociali e intere zone geografi-che della nostra penisola rimangono ancora esclu-se dai benefìci del viaggio e della conoscenza dell’I-talia. Come nella borgata abruzzese, pervasa da unsenso di estraneità e di isolamento, che Ignazio Si-lone descrive in Fontamara. Ma non c’è dubbio che«fatta l’Italia», il fascismo inizi a farla conoscere amolti italiani.

Fra gli anni Trenta e Quaranta muta dunqueprofondamente il turismo italiano. Ma muta an-che la sua organizzazione. Se nel corso del primoventennio erano stati enti di carattere privato a pro-muovere la vacanza e il viaggio degli italiani, il regi-me fascista viene gradualmente ad avocare allo sta-to una serie di competenze che finiscono per emar-ginare o quantomeno a ridurre l’iniziativa privata.A cominciare da quella del Touring Club Italianoche a partire dalla fine dell’Ottocento aveva svoltoun ruolo fondamentale nella diffusione della cul-tura e dalla pratica del turismo.

L’istituzione, nel 1931, del Commissariato peril turismo alle dipendenze del Capo del Governo ela creazione, nel 1935, della Direzione generaleper il turismo alle dirette dipendenze del Sottose-gretariato per la Stampa e Propaganda, rappresen-tano due tappe fondamentali verso quel processodi statalizzazione dell’organizzazione turistica delventennio.

Vacanze in colonia | Tuttavia laddove l’azione dellostato fascista in materia di turismo si dispiega ap-pieno è nel settore della gestione della «vacanza deifanciulli» che rappresentò una delle più ragguar-devoli «conquiste» del regime mussoliniano.

Le prime colonie marine sorgono nella secondametà dell’Ottocento nell’alveo di quella cultura po-sitivistica tesa a curare il corpo dell’italiano malato.Nascono così i primi «ospizi marini» destinati adaccogliere bambini rachitici, affetti da scrofola, tisie altre malattie sociali dell’Italia di fine Ottocento.

Nel 1885 esistevano già diciannove ospizi dislo-cati lungo le coste dell’Adriatico e del Tirreno. Nel1913 il loro numero era asceso a 43. Tuttavia il lorosviluppo data agli anni fra le due guerre e va fatto ri-salire alla politica sociale del regime fascista neiconfronti dell’infanzia.

A partire dal 1926 la gestione delle colonie vieneaffidata localmente alle federazioni provinciali delpartito nazionale fascista per essere definitivamen-te assegnata, nel 1937, alla Gioventù Italiana delLittorio. Le colonie, da circa un centinaio nel 1926,salgono a oltre tremila nel 1937: attorno alla metàdegli anni Trenta il numero dei fanciulli assistitisupera le 500 mila unità.

Nel 1937 la mostra nazionale delle colonie esti-ve e assistenza per l’infanzia, allestita a Roma nel-l’area del Circo Massimo, dava conto e riconosci-mento di un fenomeno alla cui consistenza aveva-no contribuito non solo organismi dipendenti dalPartito nazionale fascista (Ferrovieri, Postelegrafo-nici, Associazione nazionale combattenti e redu-ci) ma anche industriali (FIAT in primo luogo), i co-muni e le opere religiose.

Certo, lo sforzo più consistente è esercitato dal-lo stato. Ma non mancano gruppi industriali. A co-minciare appunto dalla FIAT. Il marchio automo-bilistico torinese promuove la prima colonia estivanel 1924. Dalle poche decine di bambini in queiprimi anni di attività le statistiche rivelano che ilgruppo torinese invia, nel 1939, 2862 fanciulli invacanza. Nel 1932 la FIAT dava avvio alla costruzio-ne di un grande complesso architettonico affidan-done il progetto a Vittorio Bonadé Bottino, lo stes-so architetto del complesso alberghiero del Sestriè-re intitolato ai Duchi d’Aosta.

E, quasi a voler simbolicamente assimilare lavacanza dei ricchi a quella dei poveri, Bonadè Bot-tino replicava, nella colonia sul mare di Marina diMassa lo stesso modello architettonico del com-plesso alberghiero montano con le caratteristichetorri cilindriche.

Ma il gruppo torinese non è l’unica realtàaziendale a praticare questa particolare forma diassistenza. Ilva, Montecatini, Edison, Pirelli, Alfa,Agip sono solo alcune delle aziende italiane cheprocedono alla costruzione di edifici destinati aospitare i figli di operai e impiegati delle proprieaziende.

Negli anni Trenta alcune strutture rivelano lin-guaggi architettonici per nulla convenzionali di-venendo oggetto di sperimentazione sia attraversoil rigore funzionalista e igienista del razionalismosia attraverso allegorie dense di riferimenti neo-futuristi.

Una colonia come la “XXVIII Ottobre”, meglioconosciuta come “Le Navi”, inaugurata di fronte almare di Cattolica nell’estate del 1934, rappresenta-va un originale caso di architettura neofuturista al-lestita con quattro dormitori a forma di nave a far

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scista in campo cinematogra�co, soprattutto a se-guito della nomina ai vertici della Direzione gene-rale della Cinematogra�a di Luigi Freddi nel1934, si orienta verso una fascistizzazione dell’of-ferta cinematogra�ca che rispecchia il progettodi Bottai per un «interventismo nella cultura». Perquanto riguarda il rapporto tra cinema, turismoe immaginario di viaggio si può strutturare l’os-servazione intorno a due punti principali: la pro-duzione di propaganda e l’immaginario cinema-togra�co fascista vero e proprio.

Per quanto Mussolini considerasse a parole ilcinema l’«arma più forte», non voleva un cinemain camicia nera. L’idea di fondo era di favorire at-traverso incentivi statali, e coordinare mediantegli istituti censori o di altro tipo (Cinecittà, Il Cen-tro sperimentale di cinematogra�a ecc.) una ci-nematogra�a media, di presa commerciale, lon-tana dalla sperimentazione, attraverso cui fossepossibile promuovere un’immagine dell’italia-nità peculiarmente fascista (caratterizzata da po-pulismo, nazionalismo, ordine ecc.). L’elogio del-

la terra, il progetto ruralista del regime sono benespressi in Terra madre di Alessandro Blasetti(1931). Ma pochi sono i �lm a soggetto di propa-ganda stretta. Tra questi si ricordano Vecchiaguardia (Blasetti, 1935) e Camicia nera (Giovacchi-no Forzano, 1933). In Camicia nera , accanto allacelebrazione ordinata di tutti i progressi del regi-me in campo politico, sociale e urbanistico, si tro-va la descrizione entusiastica della nuova politicadel tempo libero voluta dal regime. Il �lm contie-ne tra l’altro immagini signi�cative di rituali va-canzieri di massa consistenti in alcune inquadra-ture a�ollatissime della corsa verso la spiaggiadella gioventù fascista nel contesto delle colonieestive giovanili.

L’Istituto Luce | Il progetto di indottrinamentoideologico è a�dato dal regime al cinema docu-mentario, e, in particolar modo, alla produzionedell’Istituto Luce. I cinegiornali del Luce vengo-no editati con una media di 3 o 4 alla settimanaper tutti gli anni Trenta e distribuiti capillarmen-

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guide d’autore che negli ultimi decenni si stannoimponendo tanto a livello editoriale quanto a li-vello più schiettamente turistico.

Per quanto riguarda la diretta rappresentazio-ne letteraria del fenomeno del turismo, nel ven-tennio fascista resiste e anzi trova nuove voci dispicco il �lone parodistico che abbiamo visto es-sere inaugurato da Gandolin con la famiglia de-Tappetti. L’esempio forse più clamoroso, e di cer-to quello pregno del maggior numero di caratteri-stiche esemplari, è dato da Achille Campanileche, appena trentenne, nell’atmosfera retorica al-tisonante del cosiddetto fascismo del consenso

propone un libro dissacrante come Agosto, mogliemia non ti conosco. Dal punto di vista letterario iltesto risulta s�lacciato se non addirittura caotico,ma si propone – riuscendoci – di tracciare il pro�-lo dei nuovi italiani mussoliniani attraverso lalente deformante del microcosmo di una piccolapensione del golfo di Napoli, studiando i perso-naggi con feroce eppur a�ettuosa meticolosità,mettendone a nudo le manie, i vezzi e, ancora unavolta, le velleità.

Sembra quasi che ciò che più interessa le rap-presentazioni letterarie del turismo prima dell’av-vento della società di massa sia scoprire le carte af-fermando che l’Italia in vacanza è ancora tuttosommato ridicola. Non si tratta, si badi bene, diestendere questo giudizio a ogni villeggiante, madi a�ermare che gli italiani, come popolo o comesocietà, non sono pronti – vuoi per e�ettive dispo-nibilità economiche, vuoi per un’atavica mentalitàancora provinciale se non addirittura contadina,in ogni caso tutt’altro che cosmopolita – a viverecon naturalezza e come cosa loro lo stato d’eccezio-ne – percepito ancora come fondamentalmenteelitario – rappresentato dalle ferie pagate.

Nel testo di Campanile ne succedono, letteral-mente, di tutti i colori: i personaggi che interagi-scono (e i risultati delle cui azioni sono quasi sem-pre involontari e ben lontani dallo sperato) ven-gono tratteggiati forzando allo spasimo alcuni cli-chènel tentativo – parallelo a quello più esplicita-mente parodistico – di mostrarne la stanchezzadi rappresentazione, come a dire che i più vietiluoghi comuni sui villeggianti erano già percepitinel 1930 come �gure logore e vuote da sostituireal più presto. Ma in questo senso gli anni Trenta,con l’inasprirsi del totalitarismo e della censuracostituirono una grave battuta d’arresto a un’in-dagine socioletteraria così promettente. Biso-gnerà aspettare la �ne della guerra e il boom eco-nomico perché vengano riallacciati i �li di questoprimo tentativo di antropologia satirica. Ma allo-ra si sarà già entrati nella società dei consumi, e ivizi privati e le pubbliche virtù si saranno fatte, nelfrattempo, quasi irriconoscibili.

Lo sguardo �lmico: dalla propaganda al Grand Ho-tel | Gli anni Venti segnano la fase dell’avvento delfascismo ma anche della profonda crisi e contra-zione del mercato cinematogra�co italiano. Il ca-lo evidente della produzione – che s�ora il collas-so a cavallo tra anni Venti e Trenta – è seguito, unavolta e�ettuato il passaggio al sonoro, da qualchesegno di ripresa. Negli anni Trenta la politica fa-

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Il saluto romano di tre bambinesull'arco d'ingresso della colonia di Marina di Pietrasanta,anni Trenta. La fotogra�a come il cinema esaltano le attività di tempo libero del regime e, in particolare, le colonie estive giovanili.

Cartolina d'epoca che ritraeMussolini con il �glio al ritornodi una gita in barca. Riccione,1935 circa. Le vacanze estive diMussolini, all'insegna dello sporte della famiglia, diventano un modello per tutti gli italiani.

tutti negli anni Cinquanta, svolgono spesso unafunzione promozionale simile a quella del docu-mentario turistico, incorporando nella maggiorparte dei casi valori assai simili a quelli che, all’e-splosione delle mitologie di massa, RolandBarthes saprà descrivere analiticamente come pro-pri del gusto borghese: miscuglio di naturismo epuritanesimo, morale dello sforzo e della solitudi-ne, l’ascensione come forma di rigenerazione spi-rituale all’aria pura e così via (Barthes 1957).

Se ci si sposta sul piano dell’immaginario cine-matografico del fascismo si nota che, a discapitodei propositi isolazionisti di autarchia e suprema-zia culturale, il cinema fascista degli anni Trenta èin realtà molto meno provinciale di quel che si è alungo pensato. In questo decennio si hanno i primiesperimenti seri verso uno stile internazionale (untitolo per tutti: Prix de Beauté, 1930, di Augusto Ge-nina, film che si apre su riti di seduzione compiutiin un luogo di balneazione turistica). I soggetti deifilm riflettono i caratteri internazionali della pro-duzione e del cast raccontando viaggi, fughe, in-contri all’estero in paesi imprecisati o sono am-bientati in luoghi tipici del cosmopolitismo euro-peo, come i wagon-lit o i piroscafi delle crociere edelle grandi attraversate. Prende il via quella “ame-ricanizzazione” del cinema nazionale che andrà acostituire uno dei tratti di maggiore continuità del-la produzione filmica del dopoguerra. Negli anniTrenta si formano generi come il melodramma, lacommedia, il film di guerra che rappresenterannogran parte dei codici testuali del cinema postbelli-co. I miti e i luoghi cinematografici di questi annisono indicativi di un ampio processo di moderniz-zazione, sviluppo dei consumi e dei desideri chescavalca le strette coordinate dell’ideologia fasci-sta. Oltre ai miti rurali più organici e interni allaprecettistica di regime si trovano infatti il mito delGrand Hotel, delle sue porte girevoli sul bel mondoe sulla vecchia aristocrazia in film come Una donnatra due mondi (Camerini, 1938), Ai vostri ordini si-gnora (Mattoli, 1938-39), il mito dell’America, pre-sente in un tripudio di immagini americane inseri-te nel panorama dei sogni dell’Italia fascista, co-me si vede in Cose dell’altro mondo (Malasomma,1939), nonché il mito dei grandi viaggi sui treni dilusso (Freccia d’oro, 1935, D’Errico), nei quali è ilGrand Hotel a spostarsi, è il mezzo stesso di loco-mozione a diventare status symbol e oggetto di at-trattiva turistica in sé, secondo una linea che an-che le cinematografie internazionali non manche-ranno di sfruttare (si pensi ad Assassinio sull’OrientExpress, 1974, di Sidney Lumet).

Il dopoguerra e il boom economico

Mondo turista

Viaggiare non è un’arte e la vacanza è un diritto | Lafisionomia del turismo novecentesco è diretta-mente correlata a molte delle vicende e degli svi-luppi della storia della società moderna, con isuoi valori, i suoi stereotipi e le sue contraddizio-ni: l’ affermazione della borghesia e dell’etica dellavoro, i valori liberali e le conquiste democrati-che, le ferie pagate e le rivendicazioni sociali. Le“vacanze per tutti” – e il turismo di massa che se-gue – non avrebbero mai potuto essere realizzatesenza una cultura del lavoro già propensa dalla fi-ne dell’Ottocento a riconoscere il beneficio e il di-ritto al riposo e alla vacanza (per quanto breve enon sempre retribuita) e senza una rivendicazio-ne dei diritti che dalla fine degli anni Trenta in-cludeva l’istituto delle ferie retribuite. In Inghil-terra, l’Holiday Act (votato nel 1871) aveva fatto daapristrada in Europa alla tutela legislativa del ri-poso garantito (favorendo lo sviluppo di unworking class tourism balneare); intorno al 1925 lamaggioranza degli stipendiati dei paesi industria-lizzati gode del diritto di ferie e la Francia alla ca-mera dei deputati vota un progetto di legge chegarantisce 15 giorni di ferie pagate: la legge, cherimane lettera morta fino al 1936, sarà promulga-ta dal Front Populaire all’interno di una più gene-rale riforma del contratto di lavoro. L’unica altracostituzione a sancire questo diritto – sempre nel1936 – è quella sovietica (che esclude tuttavia dalbeneficio le cooperative contadine). Alla vigiliadella seconda guerra mondiale nessun altro pae-se promuove una legge in merito, anche se nelNord Europa le ferie spettano per contratto all’80-90% dei lavoratori dipendenti. Nel dopoguerra intutta Europa si rimette mano ai contratti di lavoroed è ancora la Francia la più determinata a legife-rare in materia di ferie retribuite: nel 1956, e poinel 1969, il diritto alle ferie verrà aggiornato a tree a quattro settimane, per arrivare nel 1982 a cin-que settimane, con l’introduzione dello scaglio-namento. La vacanze non sono per tutti, e per tut-te le classi sociali, necessariamente associate alturismo, e come ricordava Simone Weil (filosofa egià operaia alla Rénault) «non basta una legge percambiare i comportamenti»: nel ceto operaio i piùtrascorrono le ferie a casa propria dedicandosi aqualche sport (la pesca prioritariamente) e alle vi-site familiari, molti abitanti di città si mettono inviaggio, ma per tornare al proprio paese d’origi-

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te nelle sale del paese. I soggetti riguardano prin-cipalmente due ambiti tematici: l’illustrazionedella cronaca nera (all’estero, come le catastrofi,le eccentricità, le “americanate”), la costruzioneminuziosa e sfaccettata dell’immagine del duce.Non mancano però precisi riferimenti al mondodel tempo libero e alla creazione di una nuova im-magine del territorio nazionale, anche in sensoturistico. La retorica fascista propone un’imma-gine del paesaggio nazionale basata su un proces-so continuo di scambio tra le dinamiche regiona-li e una visione unitaria, centralizzata dello stato:le culture locali (la cui esaltazione era ben presen-te in alcuni settori del fascismo più movimenti-sta: si pensi a Strapaese) si fondono in un unicopatriottismo nazionale, come si vede anche in Ilgrido dell’Aquila (Mario Volpi, 1923). I cinegiorna-li contengono una sorta di programma educativodi urbanesimo fascista, in virtù del quale, accantoal monumento del passato, si celebra la nuova co-struzione volta al futuro grandioso dell’Italia im-periale.

Simile il discorso per quanto riguarda l’imma-gine balneare legata alla riviera adriatica. L’imma-gine di Rimini circola già grazie alla cartolina po-stale agli inizi del secolo. L’idea della “ridentespiaggia romagnola” viene da lì. Negli anni Venti eTrenta si gira a Rimini poco in termini quantitati-vi. Bisogna però tenere conto del fatto che molteimmagini della stampa popolare vengono ricavateda negativi di film Luce. Quindi l’effetto-Luce nel-la costruzione dell’immagine di Rimini è statosenz’altro maggiore di quello effettivamente lega-to ai metri di pellicola girata. Sono gli organi Lucedel regime fascista a imporre in modo sistematicoal grande pubblico quel tipo di immaginario turi-stico i cui effetti saranno colti in modo plateale so-lo dagli anni Cinquanta in avanti. La Rimini cheemerge dai film Luce non riflette solo la vocazioneturistica ma anche un modello di immagine pro-prio del fascismo, funziona come terreno per edi-ficare ed esemplificare l’Italia nuova: esaltazionedella ruralità nei fotogrammi dedicati al mercatodi S. Gregorio a Marciano, l’inaugurazione dellanuova linea ferroviaria Rimini-San Marino.

Nei Film Luce dunque la vacanza viene a rap-presentare una sorta di metafora dopolavoristicadietro la quale leggere l’Italia del sabato fascista,l’Italia dei treni popolari, l’Italia degli operai chemandano i propri figli al mare, l’Italia, in definiti-va, che scopre il turismo di massa. Il fatto poi cheMussolini trascorra le sue vacanze estive a Riccio-ne – e non su più esclusive località balneari – è co-

munque funzionale a quell’immagine populisticadi cui si circonda la figura del duce.

Non c’è alcun dubbio che proprio la presenza diMussolini e della sua famiglia nella residenza esti-va di Riccione contribuiscano a lanciare definiti-vamente la località balneare romagnola nel noverodelle mete più sognate dagli italiani. Primi mini-stri, mondo aristocratico, diplomatici stranieri eamanti fanno a gara, in estate, a farsi ritrarre ac-canto al Mussolini «balneare» in immagini che fan-no, grazie ai filmati Luce, il giro delle sale cinema-tografiche italiane. Al tempo stesso i fotogrammidi un Mussolini solitario che nuota a vigorose brac-ciate, che va in barca a vela o in pattino trasmetto-no un’immagine vigorosa e salutare della vacanzabalneare. Insomma, un modello da imitare. Ancheperché Mussolini non pratica solo gli sport marini:va a cavallo, in automobile, sullo slittino, in moto-cicletta. Diviene l’icona stessa di un’Italia semprepiù in movimento. E, soprattutto, nei fotogrammibalneari dimostra che, ormai, la vacanza marinaha infranto ogni pregiudizio sociale e morale ed èentrata nell’immaginario degli italiani.

Nei filmati Luce Riccione è descritta come laspiaggia «particolarmente cara al cuore degli ita-liani perché da anni villeggiatura preferita dal Du-ce e dalla sua famiglia». Riccione è dunque la sededi modelli vacanzieri formato famiglia come quel-li che compaiono in un filmato del 1935 che ritrag-gono la «contessa Ciano Mussolini e i due primoge-niti del Duce» mentre presenziano ad alcune garesportive, contrapposta ad altre località tradizional-mente sedi di villeggiature per personaggi di spic-co del regime (come, per esempio, Forte dei Mar-mi, dove hanno casa Ciano e Curzio Malaparte).

Il commento vocale delle immagini balnearisottolinea come nelle colonie di vacanze, a bordodel mare, anche i figli degli operai possono con-durre una vita sana, gioiosa, e si impegnano nell’e-sercizio del corpo e dello spirito. Gioia, tranquil-lità, disciplina. E non è tutto: le immagini dei primistabilimenti idro-terapeutici convertiti in fenome-ni sempre meno esclusivi, o quelle delle colonie divacanze, testimoniano l’ampiezza sociale dei pri-mo turismo familiare già negli anni Trenta.

Non solo cinegiornali | Perfettamente integrabili al-le coordinate di un’ideologia di destra sono anchei film di montagna legati all’immagine del Trenti-no Alto Adige e in particolar modo le pellicole diLuis Trenker (ricche di imprese eroiche che esalta-no il coraggio, la virilità, lo spirito popolare). I filmdi montagna, fino all’esplosione del turismo per

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attività “terapeutiche”: terme e sabbiature, escur-sioni ma anche soggiorni orientati alla �tness (co-me accade nei numerosi resort e villaggi turistici ingiro per il mondo) o vacanze “dietetiche” svolte inappositi centri e con assistenza specializzata.

L’esotismo, nelle sue nuove valenze e sfumatu-re, è il fantasma su cui pare regolarsi la bussola delviaggiatore/turista �glio del boom economico. Unesotismo probabilmente alimentato da quel «disa-gio della civiltà» che ha assunto i tratti di un ma-lessere riconosciuto, e per quanto possibile conte-nuto ed esorcizzato con rituali suggeriti dal siste-ma medesimo. Nei piani alti del laboratorio cultu-rale ed estetico, sotto l’in�usso di certe derive ro-mantiche e moderniste, quel nuovo esotismo si eratradotto in fascinazione e nostalgia del selvaggio edel primitivo, ritrovato appunto con viaggi versoluoghi dove l’uomo occidentale è lo “spaesato”: ol-tre i con�ni dell’addomesticato e dell’omologato,alla ricerca e alla scoperta di «nuove rivelazioni del-l’essere» (come dice Artaud: il riferimento è alleesperienze di viaggio e di permanenza in Messico,presso alcune comunità sciamaniche – i Tarahu-mara – di cui Artaud ha lasciato traccia in docu-menti e testimonianze pubblicate nel 1956), diesperienze del “con�ne estremo” o del “fuori” neisuoi diversi gradi di riconoscibilità. In quella corni-ce, nella prima metà del Novecento, si maturava lanuova fortuna del viaggio nel deserto e nelle so-pravvissute foreste del mondo, o il soggiorno pres-so comunità primitive – soprattutto quelle a cultu-ra sciamanica.

Legata al �lone intellettuale dei nuovi esotismiè la voga del viaggio “avventuroso”, permeato dauna forte vena antituristica: l’esotismo si ricono-sce anzi qui come antiturismo per eccellenza, dun-que non l’approssimazione del turista e del medio-cre spettatore, ma la reazione viva allo «shock diun’individualità forte» di cui percepisce la distanza(Segalen 1983). In questa prospettiva il turista è an-zi un fantasma insopportabile, incarnazione diquell’uomo della folla e della omologazione da cuisi vorrebbe fuggire. Inutile osservare che il viaggia-tore-antiturista è emblema di eurocentrismo nonmeno del turista qualunque: a voler ben guardare,infatti, ogni viaggio inimitabile si è trasformato nelvolgere di poco tempo in un sicuro richiamo turi-stico, per cui il viaggiatore sedicente non-turistanon sarà altro che un apristrada, seppure privile-giato, un modello destinato a essere imitato, quan-do non addirittura massi�cato. È insomma il nuo-vo esotismo, e la moda del viaggio esotico che ne èconseguito (dall’India alla Thailandia, dal Kenia al

Madagascar), a suggerire sogni, stili, percorsi, at-teggiamenti, che da elitari diventano popolari, resivia via fattibili e accessibili da un sistema turisticoche usa miti e sogni per la propria fabbrica del viag-gio (si pensi al fenomeno Club Mediterranée, e al-la fortuna del “viaggio d’avventura”, ormai imman-cabile vanto di ogni tour operator internazionale).

Fors’anche a fronte di questa sua predisposi-zione alla merci�cazione, il turismo è diventatonella percezione di molti critici e studiosi, comel’emblema e la trappola del sistema capitalista. Cit-tadino borghese e lavoratore “in vacanza”, il turistaè di fatto colui che si è comprato col lavoro uno spa-zio di libertà, e soprattutto e paradossalmente lalibertà di non lavorare. Si tratterebbe dunque diuno scambio simbolico: con il lavoro si accede auna libertà “limitata” che mette in atto una mode-rata dissidenza sociale, in qualche modo pattuitacol sistema, una dissidenza – osserva Foucault,parlando di “spazi eterotopici” – a sua volta scam-biata con dissidenze più radicali e minacciose, ein ciò funzionale al sistema.

Loisir | La critica marxista, improntata non menodella società capitalista al modello dell’ homo eco-nomicus e dell’istanza produttiva, ha per moltotempo trascurato, o banalizzato, l’insieme dei fe-nomeni di un loisir apertamente connesso al con-sumo; come la musica e la moda, le vacanze e il tu-rismo tendono a essere percepiti come un segnodel trionfo del liberalismo borghese piuttosto cheun orizzonte possibile per una maggioranza di in-dividui, a cui si chiederebbe di essere “lavoratori” enon consumatori di merci o di piacere.

Attività improduttiva per eccellenza, seppurea suo modo assorbita in un’economia sociale chene è precondizione, il turismo si spiegherebbe as-sai bene alla luce di quelle ri�essioni della dépen-se (il dispendio, teorizzato da Bataille, che rilegge-va Mauss) che a metà del secolo si erano sviluppa-te su un fragile crinale di pensiero che si collocavatra antropologia, psicoanalisi e pensiero politico.Bataille associava la dépenseagli spazi di espres-sione spontanea, potremmo dire anarchica, deldesiderio individuale. Tra questi spazi non è in-cluso il viaggio, per lo meno non esplicitamente:forse perché il viaggio comportava ormai una di-mensione turistica, incorporato dentro al sistemadei “servizi” che ne in�ciava la spontaneità. Eppu-re, al di là delle radicalizzazioni batailliane, la no-zione di dépensesi attaglia bene alla pratica turisti-ca, che mettiamo in qualche modo in relazionecon il «potere di perdere» piuttosto che di accumu-

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ne, una minoranza pensa a villeggiare altrove. Lacultura del viaggio è – un decennio dopo – �gliadi un welfare più avanzato, e di una nuova mobi-lità, anche mentale.

Con l’avanzare del secolo, gli intrecci tra societàe fenomeno turistico riguardano l’emancipazionefemminile, le culture giovanili e l’evolversi di unasocietà di massa incardinata dentro alle maglie del“quinto potere”, dove sono i giornali e la televisio-ne (più che le élites o i poteri costituiti) a creare opi-nione, consenso, comportamento. A voler parlaredi miti e icone del turismo, è ancora la grande tra-dizione del viaggio a fare da traino, dove a crearetendenza sono gli intellettuali alla scoperta delmondo extraeuropeo e gli artisti in cerca di radica-li esperienze della solitudine e dell’alterità (dopo i

Bowles e gli Artaud, sarà la volta dei Chatwin e deiTheroux); ma la svolta davvero signi�cativa, quellache induce a parlare di boom turistico e che muoveinvestimenti miliardari, riguarda la nuova frontie-ra del consumo sociale, quella che fa del consumoturistico un diritto collettivo, eleggendo a bisognoil desiderio di “partire”, di poter saltuariamente“andare altrove” rispetto ai luoghi della vita quoti-diana e della cultura di appartenenza. Un bisognodi tutti, riconosciuto e tutelato per tutti, che noncompare u�cialmente nelle politiche del welfare,ma è presente sottotraccia nelle varie dichiarazionie sovvenzioni con cui si riconosce l’importanza delriposo – e non solo del lavoro – e del tempo dedica-to alla rigenerazione �sica e spirituale, da trascor-rersi lontano da casa in ambienti salubri, adatti ad

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Una famiglia mangia l'anguriain spiaggia sulla rivieraromagnola a �ne anni Sessanta.Tra anni Cinquanta e Sessanta la vacanza diventaun diritto sancito dai contratti di lavoro e concretamentegoduto da un numero sempremaggiore di persone.

stione energetica: nel 1973, la crisi petrolifera im-pone limiti e risparmi che hanno signi�cative con-seguenze sulla mobilità e in generale sulle attivitàche consumano petrolio. Per la prima volta un fat-tore esterno, diverso da un con�itto bellico, ridi-mensiona la macchina turistica. La nozione stessadi sviluppo economico viene messa in discussio-ne, e anche dello sviluppo turistico si comincianoa vedere le ambiguità: qualcuno, anzi, cominciain quegli anni a parlare di «maledetto turismo», di«scempi paesaggistici», di «grottesca omologazio-ne». E anche se qualche sparuto intellettuale la-menta la miopia politica di chi non gestisce que-sto fenomeno epocale, lasciando il turista alla

mercé «degli albergatori e dei costruttori di auto-mobili» (M. Enzensberger), è d’altronde la culturadel tutto compreso, dell’esotico addomesticato,del comfort esportato in ogni angolo del mondo, amodellare i gusti e i comportamenti di massa, inun’illusione “distintiva” sostenuta da media sem-pre più collusi con l’industria turistica. Una rin-corsa che non può più dirsi elitaria: le élites, infat-ti, volgono il proprio sguardo altrove. Fanno – ocredono di fare – i viaggiatori e non i turisti, sem-pre più lontano (dove non ci sono turisti ma soloviaggiatori…) o di nuovo molto vicino, nelle caseavite in antiche località turistiche alla moda, traForte dei Marmi e St. Moritz.

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lare e far crescere, che si manifesta nella dispersio-ne, il sacri�cio, il dono, lo spreco, la passione, ladissipazione di sé.

In anticipo sul pensiero europeo di quasi mez-zo secolo, ricongiungendosi ad alcuni �loni delriformismo inglese e tedesco della �ne dell’Otto-cento, un sociologo americano aveva aperto la ri-�essione sul tempo libero, attribuendo un valoresociale alle pratiche “improduttive”, ma positivein quanto possibili rimedi atti a garantire equili-brio, serenità, “felicità” (una parola chiave nel det-tato costituzionale americano). Secondo Veblenuna leisure class estesa si stava a�ermando sullascena sociale occidentale, rivendicando per sé spa-zi vitali di tempo non produttivo, fatto di vacanza,di sport e di hobby , di viaggi e di turismo. Dopo leparentesi belliche e in particolare a partire dal se-condo dopoguerra, in clima di ricostruzione e diboom economico, la ri�essione sul tempo libero ele sue pratiche riprende vigore anche in Europa, inFrancia e in Germania soprattutto, dove la sociolo-gia del quotidiano diventa materia accademica.

Guardare, essere guardati | A�ascinati dallo statu-to del viaggio, per le sue radici secolari, e attrattidall’ambiguità delle sue varianti moderne, alcunistudiosi si sono interessati al mondo turista, in-contrando uno «sguardo turista» in cui pare di�ci-le non identi�carsi, per lo meno in termini di fra-tellanza storica. In particolare con gli anni Sessan-ta del Novecento, con l’a�ermarsi di una nuova af-�uence estesa a più larghe fasce di popolazione esull’onda di una rivoluzione culturale che investeprofondamente – e in modo trasversale alle classisociali – gli stili di vita, viaggi e turismo diventanopratiche di�use, oggetto di rappresentazione me-diatica e di osservazione critica, nonché di una au-tosservazione che consente di rileggere e stigma-tizzare vizi e virtù del mondo occidentale borghe-se. Il turismo moderno, sostenuto da una potente«industria della coscienza» (M. Enzensberger), siconferma di fatto come uno specchio conturbantee sintomatico, attraverso cui tastare mitologie delquotidiano e stereotipi culturali consustanziali alsistema e alle sue dinamiche: dalla “mania” delpittoresco, che la Guida Michelin elegge a unicamarca del paesaggio europeo (R. Barthes), al “con-sumo” dell’esotico (che si lega alla massiccia turi-sticizzazione dei paesi e dei mari caldi), al ria�o-rare di antichi e nuovi razzismi verso le popolazio-ni autoctone accessibili ed esposte a sguardi so-vente irriguardosi e spocchiosi, �no all’assurdo diviaggi sempre più inclusive , quanto mai indi�e-

renziati (dove è il colore del dépliant a fare la di�e-renza) a cui corrisponde una crescente fascinazio-ne per l’iperrealtà omogeneizzata (U. Eco), che �-nisce con l’assecondare esperienze banalizzate eregressioni ludiche.

Uno sguardo ai numeri è certo utile a darci lamisura di una mobilità turistica in crescita decisi-va, che interessa tutto il mondo occidentale, in-clusa un’Italia “fotografata” a partire dal 1959 dal-l’Istat che, in modo del tutto innovativo per allora,decideva di includere il turismo all’interno deiconsumi nazionali signi�cativi, da sottoporre a co-stante monitoraggio. Tutto questo secondo assi dimetodo di impianto statunitense, «partendo dallaconsiderazione che il turismo di vacanza, oltre cheun’occasione di attività economica era anche unbene�cio per la popolazione che poteva praticar-lo» (G. Vaccaro). Legando il dato socio-demogra�-co della popolazione al consumo turistico, l’Istatavviava così un’indagine – diretta verso un vastocampione di famiglie – di grande portata sociolo-gica ed economica, per capire in quale misuraquesto bene�cio era goduto: veri�cando tempi emodalità della vacanza, mezzi di trasporto e allog-gio utilizzati, destinazione nazionale o estera, mo-tivazioni della scelta, ma anche ragioni (ove eranointervenute) della mancata vacanza o della rinun-cia a partire. Alla prima indagine del 1959, la foto-gra�a dell’italiano in vacanza ci dice che solo153.000 italiani erano andati a fare vacanza all’e-stero (contro oltre 8 milioni di stranieri venuti inItalia), e che l’11,3% della popolazione italiana (ol-tre 5 milioni di persone) – il 12% operai – era statain vacanza per almeno 4 giorni consecutivi. Dopovent’anni (indagine del 1979), le cifre parlano dioltre 27 milioni di stranieri in viaggio o in vacanzain Italia, e oltre 20 milioni di italiani in vacanza (il27,8% della popolazione), di cui oltre un milioneall’estero.

Fenomeno avviato a essere un segno culturalee sociale distintivo della società moderna, il turi-smo diventa per molti investitori pubblici e priva-ti un settore strategico, capace di garantire grandipro�tti: tra gli anni Cinquanta e Settanta, il turi-smo e lo sviluppo che lo accompagna, dal punto divista degli impegni �nanziari, delle scelte econo-miche, delle realizzazioni urbanistiche, saranno“di massa”. Grandi alberghi, villaggi turistici, ce-menti�cazione, deforestazione, impianti e caro-selli sciistici: il turismo è di massa e diventa presto“insostenibile”. Così come insostenibili diventa-no presto i consumi – inclusi quelli turistici – diuna società che comincia a ingolfarsi sulla que-

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Una gita del dopolavoro FIAT in Valle Varaita, Giugno 1962.Nel secondo dopoguerra le istituzioni dopolavoristichesono ancora un punto diriferimento per l'organizzazionecollettiva di viaggi e vacanze.

canza, inclusi alcuni aspetti di massificazione, puòdirsi uno dei luoghi culturali e sociali ove più chia-ri sono gli elementi di continuità tra l’Italia fascistae quella democratica, è altresì vero che la cesurastorica porta con sé una netta volontà di affranca-mento del tempo libero da contesti di controllo so-ciale e pubblico.

Dopo l’esperienza fascista la maggioranza dei partiti poli-tici e dell’opinione pubblica italiana del primo dopoguer-ra teme una gestione diretta del tempo libero da parte del-lo Stato; per questo motivo nel 1956 una prima propostadi istituzione del Ministero del Turismo viene rifiutata peressere poi approvata nel 1959. Proprio riflettendo sull’e-sperienza del Dopolavoro, il governo repubblicano, per de-liberato consapevole, non entra nella gestione del tempolibero della popolazione, ma si limita a coordinare, tutela-re e finanziare le attività e gli enti ad esso preposti (Berrino2001, p. 771).

In un clima culturale di ritrovata liberalizzazione,anche il turismo e la vacanza si avviano a ridiventa-re espressioni del libero mercato: con soggetti, so-prattutto privati, che costruiscono e gestisconol’offerta e cittadini che formulano – più o meno li-beramente – domande, e comprano prodotti.

Se le cifre del nuovo corso danno la dimensionequantitativa dell’entità del fenomeno, i mutamen-ti di costumi, e persino di luoghi, sono forse anco-ra più indicativi. Da quel momento, sulla spinta diun nuovo consumo dei luoghi e dei servizi legatialle pratiche della vacanza, lo stesso paesaggio ita-liano comincia a cambiare radicalmente: la “turi-sticizzazione”, effetto e volano di espansione urba-nistica, cementificazione, rafforzamento delle retistradali (si costruisce l’Autostrada del Sole) e di cre-scita esponenziale del traffico automobilistico(con la Fiat intenta a produrre «una Seicento pertutti»), è sotto gli occhi di tutti, ed è – in qualchemodo – percepita e vissuta come inevitabile.

Le coste italiane iniziano quel processo di me-tamorfosi che le porterà a risultare irriconoscibiliper un ipotetico viaggiatore temporale d’inizio se-colo. Le vacanze balneari sono diventate una realtàconsolidata e irrinunciabile per famiglie di ogniceto, che si ritrovano unite come forse mai duran-te il resto dell’anno: anche i figli più piccoli, infatti,cessano di frequentare le colonie e seguono i geni-tori nel turbinio sempre più affollato delle riviere.Seppure con intensità e velocità minore, anche lamontagna viene interessata dal cambiamento, conalberghi e baite attrezzate per vacanze non solo persportivi, presto contornate dalle suppellettili artifi-ciali della nascente industria dello sci.

La consacrazione delle riviere | Storicamente, era sta-ta la scienza medica a fare delle località balneari unprivilegiato luogo di villeggiatura. Sin dai primi de-cenni del Settecento, infatti, aveva cominciato a ve-nir meno il pregiudizio secondo il quale bagnarsinelle acque di mare o di fiume fosse un atto pococonsono agli appartenenti ai ranghi superiori dellasocietà. Al contrario, cominciarono a essere esalta-te le funzioni curative della salinità dell’acqua ma-rina, facendo delle spiagge luoghi terapeutici pro-prio per gli aristocratici. Nell’Ottocento, la frequen-za di varie forme di malattie polmonari, prima fratutte la tubercolosi, aveva portato molti dei malatiche potevano permettersi lunghi periodi di cura afrequentare le coste per godere degli effetti benefi-ci dell’aria e dell’acqua di mare (la quale, a detta dialcuni autorevoli medici del tempo come il dottorRussel, se bevuta poteva addirittura contribuire aguarire la sterilità femminile). Erano così sorti nu-merosi centri balneari che per lungo tempo rimase-ro però confinati sulle sole coste del Mare del Nord,del Baltico e dell’Atlantico inglese. La richiesta turi-stica esigeva un mare freddo e medicamentoso,non certo ludico e assolato. Ed è infatti su quel mo-dello che videro la luce anche i primi centri balnea-ri del Mediterraneo. Si vede quindi come il cambia-mento dei costumi sia stato tale da portare a uncompleto ribaltamento dei sistemi di fruizione deiluoghi; basti pensare che i primi stabilimenti bal-neari del Sud d’Europa erano attivi da ottobre adaprile e che quindi chiudevano i battenti proprioall’inizio di quella che, nella seconda metà del No-vecento, diventerà la cosiddetta alta stagione, il pe-riodo turisticamente più popolato.

Con l’andare del tempo, le richieste fatte allestrutture di accoglienza dei centri balneari delNord e del Sud Europa si differenziarono. Nei lun-ghi inverni di fine Ottocento, le città della costa az-zurra e della riviera ligure, che della prima costi-tuiva il naturale prolungamento, erano popolatedell’aristocrazia di tutto il continente, una popola-zione colta e con molto tempo libero a disposizio-ne, in cerca, oltre che di aria salubre e di una vitatemprante, anche di svaghi e divertimenti. È inquel periodo che si assiste alla trasformazione dicittà come Nizza, Mentone, Cannes e Sanremo.Particolare in questo senso è la vicenda di Monte-carlo, fino ad allora un piccolo stato assai povero lacui economia era basata fondamentalmente sullapesca e su una selezionata serie di prodotti dellaterra; grazie al fiuto dell’imprenditore FrançoisBlanc si trasformò abbastanza in fretta nella realtàmondana e prestigiosa che sarà lungo il corso del

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Impresa turistica e industria della ricettività all’in-domani del conflitto | All’indomani del secondoconflitto mondiale l’Italia deve essere interamentericostruita. Le infrastrutture necessarie al turismohanno subìto gravi danni: interi tratti di strade ebinari distrutti durante il conflitto devono esserericostruiti per consentire la ripresa di una normalemobilità e in secondo luogo anche gli spostamen-ti turistici. La guerra prima e il generale impoveri-mento poi avevano segnato l’arresto di ogni formadi turismo. I bombardamenti non avevano rispar-miato certo neppure gli alberghi e le strutture ri-cettive in generale.

Con la ripresa e la ricostruzione, a partire daglianni Cinquanta si assiste a un vero e proprio boomedilizio che in campo turistico-alberghiero si tra-duce con l’edificazione di alberghi e pensioni, perlo più a conduzione familiare, e appartamenti divacanza destinati a un turismo del ceto medio e po-polare. In questo periodo l’Italia si afferma comeprincipale destinazione del turismo balneare nelbacino del Mediterraneo, un primato che conser-verà fino agli anni Settanta.

Il più significativo cambiamento, come scriveBattilani (2001, p. 238), consiste nei numeri di turi-sti che non sono più confrontabili con quelli prece-denti la guerra. A determinare l’aumento dei flussituristici aveva contribuito un radicale mutamentodi costume: anche gli operai, che beneficiano oradi ferie retribuite, affollano le località balneari emontane. All’aumento del reddito era seguita unamassiccia urbanizzazione con conseguente abban-dono delle zone di campagna e di montagna e uncrescente desiderio di villeggiatura. I turisti nonsono più prevalentemente stranieri, ma sono gliitaliani stessi che iniziano a muoversi e a oltrepas-sare i confini delle regioni di origine.

Non c’è stata una pianificazione nello sviluppoturistico che è stato affidato soprattutto all’iniziati-va individuale, a imprese familiari di piccole e me-die dimensioni. Questa importante crescita turi-stica non è stata omogenea su tutto il territorio: lelocalità turistiche che si erano già affermate primadella seconda guerra mondiale sono quelle chehanno conosciuto il maggior successo.

Vacanze per tutti. Evasione e massificazione

“Sociabilità” del turismo: famiglie in viaggio, gruppi elibertà della vacanza | A guerra finita, con un’eco-nomia ovviamente disastrata, ma forte di alcuneindustrie pesanti – sopravvissute e incentivate dalPiano Marshall – che lavorano sin da subito alla ri-

costruzione infrastrutturale, gli italiani ritornano auna normalità quotidiana fatta di vita in famiglia,di lavoro e di tutte le attività sociali, sportive e disvago, che la guerra aveva interrotto. Il boom eco-nomico che accompagna sin da subito la ripresasignifica posto di lavoro, e quindi maggior sicurez-za economica, ripresa dei consumi, ma anche at-tenzione ai diritti lavorativi e sociali. Il diritto allavacanza e la disponibilità di ferie pagate, consoli-data tra gli impiegati e i funzionari statali e tutela-ta tra i lavoratori dell’industria e del commercio,la riorganizzazione e la moltiplicazione dei gruppie delle attività legate al dopolavoro: è questo il con-testo sociale e culturale che sancisce il progressivoaumento del tempo “liberato”, che gli italiani dedi-cano volentieri ai soggiorni al mare e in montagna.Se il fenomeno delle seconde case riguarda solo fa-miglie di ceto sociale abbiente – case di famiglialegate a proprietà avite sparse nelle località di unamappa della villeggiatura formatasi nei primi de-cenni del Novecento – il fenomeno delle case d’af-fitto per vacanze che si ripetono di anno in annoper tradizioni nei medesimi luoghi, diventa un trat-to caratteristico della nuova società italiana. Gli ita-liani confermano – anche quando vanno in vacan-za – una propria vocazione “sociabile” (qualcunodice addirittura “gregaria”), amano il gruppo fami-liare, e usufruiscono delle molte strutture organiz-zate che avevano trovato cittadinanza nel periodofascista e che erano sopravvissute alla guerra. I filo-ni collettivi del turismo del dopoguerra rimandanoal quadro venutosi a formare tra le due guerre: c’èun filone del dopolavoro aziendale e sindacale equello più corporativo che fa capo all’associazio-nismo cattolico e alla dimensione del partito poli-tico (da un lato le Acli e da un altro il Partito comu-nista). Con l’emergere di fenomeni di aggregazio-ne legati alla ripresa del viaggio – ora sempre piùmarcatamente di gruppo, organizzato dalle molteagenzie che ormai operano sul mercato italiano – ela nascita dei primi, rudimentali, villaggi turistici,che riprendono – con le dovute trasformazioni –l’idea della vacanza in colonia (una speciale colo-nia pensata per l’intera famiglia, o per la compa-gnia di amici e amiche in cerca di nuove sociabi-lità). Si sta insomma avverando ciò che, già diecianni prima, si sosteneva negli ambienti del dopola-voro, e cioè che «il turismo del dopoguerra sarà deigiovani e dei ceti medi: piccoli impiegati e com-mercianti motorizzati con macchinette utilitarie»(Berrino 2001, p. 771).

Se è vero – come afferma Annunziata Berrino –che la diffusione popolare del turismo e della va-

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Il turismo485

sec. XX �no ai nostri giorni. Nel 1856, infatti, Blancaveva visto sbloccarsi la sua richiesta di aprire nelprincipato un casinò, attorno al quale far sorgerealberghi e servizi.

Com’è ovvio immaginare, durante la primaguerra mondiale si registrò un calo verticale dipressoché ogni tipo di movimenti turistici. Ma ne-gli anni Venti, a cambiare la �sionomia del tempolibero nei mesi invernali, intervenne un fenome-no di ben altra natura: la scoperta della montagnae delle sue innumerevoli attrattive potenziali. Ilmare freddo si trovò così ben presto costretto aconfrontarsi con quella che, poco più tardi, diven-terà la sua alternativa principale �no a formare unavera e propria dicotomia popolare. Avvenne allorade�nitivamente quella trasformazione dei costu-mi che portò a concepire le località balneari comeluoghi di refrigerio e divertimento eminentementeestivi. L’aspetto curativo che aveva accompagnato�no ad allora le coste mediterranee non venne me-no, ma semplicemente mutò obiettivi: prevalente-mente si smise di cercare nell’aria salmastra e pun-gente il lenitivo di disagi �sici di varia natura e, vin-cendo pregiudizi più o meno giusti�cati dallarealtà sui rischi di malaria di certe zone costiere, sicercò nel sole una nuova fonte di benessere. Il pal-lore del volto cessò quindi di essere simbolo di agioeconomico, così come aver la pelle brunita dai rag-gi solari non venne più letto come indizio di lavoroall’aria aperta e nei campi, e dunque di povertà. At-tribuendo ai bagni di sole proprietà bene�che, lamedicina aveva ancora una volta stretto un sodali-zio essenziale per mutare e�ettivamente il pano-rama culturale.

A partire dal periodo tra le due guerre, anche ivilleggianti del Nord Europa si adattarono agli usidelle classi popolari mediterranee e cominciaro-no a occupare le spiagge nei mesi più caldi, cer-cando nell’acqua salata del mare una fonte di fre-scura e divertimento. Dopo l’inevitabile battutad’arresto segnata dalla seconda guerra mondiale,non si fece che riprendere le �la di un processo ini-ziato già una decina di anni prima: le riviere italia-ne e francesi si costellarono di alberghi di più mo-deste pretese rispetto ai pochi e inarrivabili grandihotel: pensioni spesso a gestione familiare prontead accogliere ondate di turisti appartenenti a quelceto medio che proprio allora scopriva vizi e virtùdelle grandi vacanze di massa. Agli alberghi si ac-compagnarono però ben p resto altre strutture ri-cettive, destinate non più alla semplice accoglien-za, ma anche a o�rire i servizi più svariati per au-mentare l’attrattiva delle singole località. Quello

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Il casinò di Montecarlo in una cartolina colorata di �neOttocento. L'apertura della casa da gioco nel 1856trasforma la cittadinamonegasca in uno dei centri più alla moda per i villeggiantidell'epoca.

ricettivi: per accogliere un numero sempre più ele-vato di turisti, sono state costruite strutture sem-pre più grandi e attrezzate, capaci di ospitare co-modamente intere comitive provenienti dall’este-ro così come convegni internazionali in prossi-mità della stagione lavorativa. E infatti nel 2000 ilnumero di bagnanti presenti nella città romagno-la ha superato la soglia del milione e quattrocento-mila, ripartiti in 1303 tra grandi alberghi e piccolepensioni familiari.

Sciare | «Svernate al sole tra le lucenti nevi»: erastato questo lo slogan di richiamo – lanciato daun albergatore di St. Moritz – per i vacanzieri dimontagna disposti a progettare soggiorni dove la

neve è protagonista e gli “sport invernali” sonol’innovazione. I primi ad andare a sciare eranostati (manco a dirlo) gli inglesi: in Svizzera, a St.Moritz, Grindelwald, Davos e Crans Montana. Ilprimo sciatore a entrare nelle cronache monda-ne e negli annali del turismo (Boyer 1997) fu untale Fox nel 1891, già allora abbigliato in tenutera�nate con colori sgargianti: sciare, �n dalle ori-gini, è un piacere concepito e percepito comeun’esibizione, un muoversi con perizia ed elegan-za che implica un pubblico da sedurre e da stupi-re. Dal 1898 si aggiunge alla mappa dello sciatorela regione dell’Arlberg, in Austria.

A Davos gli inglesi fondano il British Ski Club,dove si indicono le prime gare sciistiche. L’equi-

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che all’inizio parve essere più che altro un succe-daneo della vera e propria fonte di interesse (rap-presentata dall’accoppiata mare e sole) divenneallora una sorgente primaria di attenzione da par-te dei nuovi turisti: usando una metafora culina-ria che ha una certa pertinenza con l’argomento,fu come se il contorno fosse stato elevato al rangodi piatto principale.

La migliore testimonianza di questo particola-re aspetto del fenomeno è rappresentata da quan-to accaduto a partire dagli anni Cinquanta del No-vecento nella riviera romagnola, dove piccole im-prese familiari seppero creare strutture ricettiveaccattivanti – tanto per i prezzi quanto per i servizio�erti – al punto da fare di un tratto costiero dalfascino naturalistico non superiore alla media na-zionale, una delle principali mete turistiche d’Eu-ropa. Va detto che in passato la riviera era statascelta, come abbiamo visto, da Mussolini e da nu-merosi gerarchi del regime per trascorrervi le va-

canze. Il valore promozionale insito in questo pri-vilegio accordato dai potenti è indiscutibile, ma difatto esso suggeriva ancora una volta un tipo di vil-leggiatura elitaria, compiuta più che altro negli al-berghi di lusso presenti nella zona, primo tra tuttiil Grand Hotel di Rimini. Fu solo più tardi, con l’av-vento del turismo di massa, che si rivelò piena-mente la vocazione popolare della regione e chene vennero sfruttate a pieno le potenzialità.

Nel quinquennio dal 1955 al 1960, il numerodi alberghi e pensioni presenti nella sola Riminiraddoppiò �no a s�orare il migliaio, laddove pri-ma dell’entrata in guerra dell’Italia mussolinianasi contavano poco più di un centinaio tra pensionie hotel. La curva di crescita ha raggiunto il suo apo-geo negli anni Settanta, per poi calare progressi-vamente in seguito al problema delle mucillaginiche infestarono la zona nella seconda metà deglianni Ottanta. La ripresa nel settore si è compiutaanche grazie a una riquali�cazione dei complessi

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Veduta aerea del litorale di Rimini nel 1963. Nell'arco di un quinquennio, dal 1955 al 1960, il numero di alberghi e pensioni a Rimini arriva aquasi un migliaio, mutandocompletamente l'aspetto della località balneare.

La cerimonia di inaugurazionedelle Olimpiadi invernalidel 1956 a Cortina d'Ampezzo.

L'evento e la diretta televisivadanno grande impulso al turismo dello sci e alla trasformazione radicaledel paesaggio alpino.

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paggiamento tecnico e gli istruttori sono in preva-lenza norvegesi, ma sono sempre inglesi i primimanuali per imparare a sciare downhill e sono ininglese le prime guide per escursioni con gli sci aipiedi. Megève, in Francia, è la prima stazione scii-stica concepita ad hoc, dove la famiglia Rotschild,prima azionista delle linee ferroviarie PLM (con ca-polinea a Saint-Gervais) fa costruire degli alberghie la prima funivia, sul monte d’Arbois, nel 1924.Negli anni Trenta comincia l’era degli impianti dirisalita; nel 1935 viene inventato lo skilift. Nasconoallora anche le prime scuole di sci. È la scuola au-striaca all’inizio a imporsi, per poi essere soppian-tata dai francesi, che lanciano un nuovo stile (lacurva con gli sci paralleli).

In Italia, sciare è privilegio di pochi e di turismodello sci non si parla di fatto fino agli anni Cinquan-ta. Praticati dai rampolli delle famiglie bene chesvernano in stazioni internazionali alla moda (St.Moritz e Montana soprattutto), gli sport invernalinon sembrano riscuotere i favori di una popolazio-ne per vocazione proiettata verso i laghi e le coste.Tra gli abitanti di città e province situate a ridosso dimonti e valli nevose, saper sciare non è cosa rara, so-prattutto tra i borghesi, già frequentatori della mon-tagna: ma un conto è passare qualche domenica congli sci, magari faticando con lunghe risalite a piedi,un conto è partire per un soggiorno turistico dedica-to, forniti di equipaggiamento ad hoc, magari con lafamiglia al seguito.

Tra le due guerre la mappa delle località sciisti-che nostrane è abbastanza ridotta e comprendeCortina d’Ampezzo (la Perla delle Dolomiti), Made-simo, Madonna di Campiglio, Sestrière, e alcunicentri minori legati alla vicinanza di città come To-rino, Milano e Sondrio. Dagli anni Cinquanta, è laborghesia del boom economico ad avviare i proprifigli alla cultura e alla pratica sciistica, perché scia-re è sano, ma è anche sempre più un segno di ric-chezza e di modernità: insieme alla vacanza suglisci decolla infatti un mercato dello sci fortementeinnovativo, che si avvale di materiali e tecnologie incontinua evoluzione. E decolla anche una kermessesportiva, che vede la montagna italiana protagoni-sta di grandi eventi: nel 1956, Cortina – legata al mi-to Zeno Colò – ospiterà le prime Olimpiadi inver-nali celebrate su territorio italiano, il primo di unaserie di appuntamenti di significativo impatto turi-stico ed economico.

Negli anni Sessanta la “vacanza per tutti” inve-ste anche il comparto invernale: le località dove sipratica lo sci si moltiplicano su tutto l’arco alpino ein alcune aree appenniniche: in fondo bastano al-

cuni alberghi e uno skilift! Mentre località montanegià affermate investono in impianti sciistici e in al-berghi di grande capienza, adatti a ospitare fami-glie dedite allo sci: nascono le “settimane bianche”.

In una guida alla Valtellina turistica e commer-ciale – del 1960 – la fama e la fortuna di Madesimosono innanzitutto ancorate a una vocazione inver-nale, favorita da fattori naturali e logistici, ma an-che frutto di «lungimirante avvedutezza», come gliautori della guida non mancano di sottolineare, aconfermare tra l’altro il valore attribuito al turismocome volano dello sviluppo territoriale.

Lo sviluppo assunto da Madesimo come centro di sports in-vernali, e ciò è dovuto non solo all’altezza e alla ubicazioneadatte, alla vicinanza di Milano, ai magnifici campi di neve, alconforto di alberghi perfettamente attrezzati, ad un comples-so di slittovie, skilift ecc., in continuo sviluppo, ma anche aduna saggia propaganda capillare, collettiva ed individuale.

Parlando di dati statistici e di sviluppo economi-co, il segmento turistico dello sci conosce pervent’anni una crescita pressoché continua e co-stante, sostenuta anche da grossi investimenti in-ternazionali, facilitati dalla posizione di frontie-ra di molte delle località sviluppate. E sostenutada un circo sportivo in grande espansione, chesomma evento sciistico, sponsorizzazione com-merciale e la mitologia dell’atleta sportivo fattosistar mediatica: lo sci agonistico diventa spettaco-lo; i suoi scenari sono antiche e nuove località eu-ropee e americane (St. Moritz e Cortina natural-mente, ma ora anche Kitzbuel, Val d’Isère, Den-ver, Lilehamer) destinate a diventare luoghi di ap-puntamenti internazionali capaci di muovere in-vestimenti miliardari (Olimpiadi e Coppe delmondo) e capaci di attrarre un buon numero diappassionati del genere; a dominare le gare e glischermi televisivi “eroi” come Killy, Klammer,Thoeni, Stenmark, Tomba, Compagnoni. Neglianni Settanta e Ottanta, anche la montagna cono-sce la massificazione, legata a discutibili scelte dicementificazione: sono infatti gli anni dei grandiprogetti urbanistici che vedono lo sviluppo diun’intensa edificazione, soprattutto a destinazio-ne privata (seconde case) e di un’indispensabileinfrastrutturazione (impianti e vie d’accesso). InFrancia si assiste anche al sorgere di località to-talmente artificiali, meramente funzionali allapratica dello sci, e non mancano mega-résort e vil-laggi turistici che tendono a riproporre formule,simili a quelle già collaudate in località marine,del tutto compreso e della vacanza seclusa, un’in-venzione francese, già diffusa negli Stati Uniti,

che vede in campo marchi già noti della vacanzaorganizzata (Club-Med, Valtur ecc).

Negli anni Novanta cominciano a farsi sentire iprimi segnali di crisi; si moltiplicano le opportu-nità per fare turismo, cresce la tendenza alla vacan-za breve e ripetuta nel corso dell’anno e il soggior-no sulla neve non è più l’unica possibilità per unavacanza invernale. I costi del trasporto aereo dimi-nuiscono sensibilmente e rendono accessibili amolti i viaggi in località lontane e nei paesi caldi.

La vacanza sulla neve tende a diventare più ludi-ca, meno impegnativa e soprattutto meno sportiva,ma anche a impegnare di meno, in termini di tem-po, di abbigliamento e di accessori.

I dati sul turismo della neve sono scarsi in Italiae riflettono una forte frammentazione dell’offertache manca di una struttura e di un’organizzazione“industriale”. L’Italia, con circa il 19% delle gior-nate di sci è comunque uno dei quattro paesi alpi-ni ad avere una consistenza rilevante nel mercatoeuropeo, dopo Francia (leader europeo con il 33%circa) e Austria (31%) e precedendo di poco la Sviz-zera (17%). Si stima che vi siano circa 200 stazionisciistiche (anche molto diverse tra loro, peraltro)con un totale di circa 2800 impianti di risalita, invia di riduzione per effetto del processo di sostitu-zione degli skilift con cabinovie e seggiovie di benmaggiore portata e velocità.

A fermare la “giostra”, facendo parlare di crisistrutturale del settore, sono intervenuti diversi fat-tori, tra loro collegati (come ci stanno spiegandogli scienziati). Due sono significativi: l’evoluzionedemografica, che ha introdotto un invecchiamen-to della popolazione degli sciatori a cui non è corri-sposto un cambio di generazione (molti giovani og-gi sono evidentemente meno inclini all’impegnosportivo rispetto ai propri genitori o nonni), e i mu-tamenti climatici, che qui si riferiscono alle preci-pitazioni nevose. Non nevica più, o comunque ne-vica poco, in località tradizionalmente nevose: sot-to i 2000 metri le stagioni sciistiche stanno diven-tando a rischio, per chi investe e per chi compra lavacanza. Si ricorre quasi ovunque alla neve “spara-ta” (prodotta artificialmente da apposite macchineposte a lato delle piste), che garantisce la qualitàdel manto nevoso ma è un notevole aggravio ener-getico (ed economico), in termini di approvvigio-namento di energia elettrica e di acqua. La stessaComunità Europea, che sovente finanzia progettidi impianto turistico e di riqualificazione, mette inguardia enti territoriali e comunità locali dal pre-sentare proposte che non tengano conto di questevariabili cruciali.

Forse, come nel caso di località marine toccateda irreversibili degradi (acque non balneabili, in-quinamento atmosferico, penuria di acqua dolce),anche località sciistiche un tempo fiorenti dovran-no chiudere i battenti: da qui anche l’attualità deldibattito sulla «innovazione delle località turistichealpine» (Andreotti e Macchiavelli 2008), chiamatea misurare la sostenibilità del proprio sviluppo e ariprogettarsi con «lungimirante avvedutezza».

L’Italia in strada | Dalle macerie della seconda guer-ra mondiale l’Italia deve risorgere anche per quan-to riguarda i trasporti, la cui capacità è stata drasti-camente ridotta da scontri e bombardamenti. Leferrovie, con circa settemila chilometri di binari re-si inutilizzabili, si ritrovano ridimensionate del40%, e analogo è il discorso per quanto riguarda itrasporti su gomma. Negli anni del boom econo-mico, la ricostruzione delle principali arterie discorrimento è una priorità. In un paese geografi-camente sviluppato nella dimensione della lun-ghezza, per contribuire alla ripresa diventa essen-ziale poter collegare i principali centri di produzio-ne del Nord alle altre città italiane.

A metà degli anni Cinquanta, in rapida sequen-za, accadono eventi destinati a motorizzare gli ita-liani. Il progetto più imponente ha il via nel 1956,quando si comincia a costruire quello che sarà ilprimo tratto dell’Autostrada del Sole. L’anno prece-dente la Fiat aveva iniziato a produrre la Seicento,l’automobile assurta a simbolo della democratiz-zazione delle quattro ruote, e nel 1956 è il turnodella Cinquecento, l’altra indimenticabile utilita-ria, il cui mito – e non solo quello – sopravvive anco-ra ai nostri giorni. Sono anni di grande fermento incui si assiste a una metamorfosi sociale che coin-volge tutti i settori produttivi del paese: la capilla-rità della rete stradale e autostradale si intensifica,fino a far sì che verso la metà degli anni Settanta ilBelpaese potrà vantare più di 5000 chilometri diautostrade, una cifra di gran lunga superiore aquella di altri paesi europei come Francia e GranBretagna. Di pari passo, nel solo decennio fra il1954 e il 1964, il numero di automobili circolantinelle strade italiane si moltiplica per sette, arrivan-do a raggiungere i cinque milioni di vetture.

Sono tutti fattori, questi, che incidono profon-damente sulle modalità di fruizione del turismo.Infatti nello stesso periodo l’Italia vede crescere diquattro volte il numero dei cittadini stranieri pre-senti nei suoi alberghi, fino a diventare a tutti gli ef-fetti una delle mete più ambite dai viaggiatori di tut-to il mondo. Intanto è anche raddoppiata la quan-

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italiani si trovano ad avere una nuova disponibilitàdi tempo libero: è il boom economico, fenomenocomplesso di cui l’esplosione del turismo di massarappresenta una delle chiavi di lettura più e�caci.E forse il simbolo iconogra�co che meglio riassu-me l’ottimismo del periodo è rappresentato dalle�le di italiani che a�ollano l’autostrada del Sole(inaugurata nel primo tronco da Milano a Parmanel 1958 e poi de�nitivamente nell’ottobre 1964)coi pacchi sul tetto della Seicento.

Negli anni Cinquanta e Sessanta non si è anco-ra sviluppato un discorso organico sul turismo, sal-vo rari casi quasi esclusivamente giocati sul regi-stro satirico. Anche nelle amare ricognizioni di Lu-ciano Bianciardi, attento interprete dei malesseri edelle contraddizioni del tempo, il turismo esistetutt’al più come traccia o dato marginale. Intesopiù che altro come fenomeno di costume assaiconcreto e totalmente privo di legame con il poeti-co, esso viene talvolta utilizzato come spunto nar-rativo per testi che ne sovvertano la consueta perce-zione, con esiti surreali, come ne La grande vacanzadi Go�redo Parise del 1953, o di lieve malinconia,come nell’episodio Villeggiatura in panchina dellaraccolta Marcovaldo di Italo Calvino (1963). Nonmancano testimonianze più corrosive che prose-guono il già accennato �lone umoristico, in cui ilturismo viene a essere sbe�eggiato più o meno bo-nariamente, come accade in alcuni scritti di EnnioFlaiano �no al celebre Un marziano a Roma col suoparadossale escursionismo interplanetario.

Rari sono i casi di scrittori che interpretano il fe-nomeno come portatore di un radicale cambia-mento della mentalità collettiva la cui in�uenza sifa sentire sin nei rapporti interpersonali, o che lorappresentano in presa diretta. Sono davvero po-chi esempi, bastanti però a indicare che sin daglianni Sessanta una parte della narrativa italiana èandata nella direzione di una piena assimilazionedel turismo tra i fenomeni epocali e quindi deter-minanti a una piena comprensione del propriotempo: scremate le resistenze o gli istinti parodisti-ci caratteristici dei primi due gruppi, il touringsubjectentra a far parte del campionario degli eroidella narrazione contemporanea, o come direttoprotagonista, o come esplicito referente. La vacan-za di Dacia Maraini (del 1962), salutato da AlbertoMoravia come l’esordio di una scrittrice realista«che ama la realtà per quello che è e non per quelloche dovrebbe essere», interpreta il momento d’eva-sione estiva di una scolaretta taciturna come so-spensione – anche monotona ma a suo modo in-tensamente rivelatrice – del normale scorrere del

tempo. Pur riallacciandosi ad ambienti e atmosfe-re precedenti (la vicenda si svolge nell’estate del1943), l’elemento di dilatazione temporale, poibrutalmente interrotto dalla ripresa del periodo at-tivo e dal rientro in collegio della protagonista, ègià indice di una moderna comprensione antropo-logica dell’incantamento caratteristico dellosguardo del turista. Situazioni di villeggiatura ordi-narie – e quindi concernenti la media o la piccolaborghesia – vengono narrate �nalmente senza in-tenti derisori, in alcuni dei racconti di Dino Buzza-ti così come in Un gatto attraversa la strada di Gio-vanni Comisso, non a caso entrambi scrittori at-tenti a un resoconto piano delle sfere d’irrealtàquotidiana al centro tanto dell’indagine surrealistadi derivazione francese che del repertorio più og-gettivo e di matrice anglosassone che caratterizzòtanta parte della stagione poetica.

L’interesse di una prospettiva relativamente po-co battuta per leggere il fenomeno del turismo co-me quella delle sue rappresentazioni letterarieconsiste, infatti, proprio nel fare emergere la lungi-miranza di alcuni di questi scritti, per certi versiconsiderabili come l’evoluzione novecentesca del-la più tradizionale letteratura di viaggio.

Raccontare il viaggio | Nella seconda metà del Nove-cento, la tradizione della scrittura di viaggio ha inAlberto Moravia uno dei suoi più assidui frequen-tatori (e di certo uno dei più sovraesposti mediati-camente). L’episodio più emblematico e rappre-sentativo è probabilmente quello del viaggio com-piuto sul �nire del 1960, quando Moravia, assiemea Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini, parte per unalunga esplorazione del subcontinente indiano,mondo magico e misterioso che rappresenta l’alte-rità forse più di ogni altra realtà culturale. Il tenta-tivo moraviano è quello di dipanare la matassa in-tricata di simboli assurdi, apparentemente senzareferente, e di chiudere i sillogismi che sembranoaperti, senza conclusione. La prospettiva privile-giata per comprendere un mondo tanto diversonon può che essere quella religiosa, ed è infatti aquesto aspetto che fa riferimento in maniera piùstrutturale nel suo reportage da titolo Un’idea del-l’India , pubblicato sul «Corriere della sera» tra ilfebbraio e il luglio 1961. Di tenore assai di�erente,e con un titolo programmaticamente speculare, è ilreportage che dello stesso viaggio scrive Pasolini,L’odore dell’India , uscito in parallelo all’altro sullepagine del «Giorno». Qui non vi è quasi traccia del-la tensione razionalizzante sottesa al viaggio mora-viano, ma v’è piuttosto il desiderio di ridursi a puro

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tità di italiani che, grazie agli importanti aumentisalariali e per tramite proprio dell’accresciuta viabi-lità, si spostano durante le ferie per andare in va-canza: dai circa cinque milioni e mezzo del 1953,dieci anni più tardi si è passati a undici milioni diunità. I tempi della villeggiatura come semplice ap-pannaggio dell’aristocrazia sono davvero �niti.

Evasioni di viaggio, evasioni di lettura

Lo sguardo turista | Sul �nire degli anni Cinquanta,la produzione industriale parte a pieno ritmo (conun aumento medio della produzione che nel trien-nio 1957-60 arriva a superare il 31%), i tassi di incre-mento del reddito raggiungono valori record e gli

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La coda per la partenza per le vacanze sull'Autostradadel Sole nel 1969. La costruzione delle autostradee la motorizzazione di massa favoriscono l'esodoestivo degli italiani.

rimasta celebre l’introduzione che Natalia Ginz-burg redasse per La donna della Domenica, in cuici si poteva ancora permettere di usare con un cer-to candore il tasso di immediato coinvolgimentocome categoria critica), ma anche per le loro es-senziali collaborazioni editoriali e, in particolare,con la fortunatissima collana dei Gialli Mondado-ri . Sarebbe insensato voler stringere troppo il le-game tra turismo e letteratura di genere, ma è in-negabile che la combinazione di una maggiore di-sponibilità di tempo libero e una più ampia scola-rizzazione è comune a entrambi i fenomeni. Tan-to il turismo di massa quanto l’o�erta editorialedi letteratura popolare sono sfaccettature di ununico macrosistema di cambiamenti che investel’Italia con impulso crescente dal secondo dopo-guerra a oggi e questa relazione può essere illu-strata anche da una rapida escursione cronologi-ca. La collana mondadoriana aveva iniziato le sue

pubblicazioni nell’aprile del 1946, riprendendo eampli�cando la precedente collana I libri gialliche la stessa casa editrice aveva lanciato nel 1929.In seguito sarà il turno della collana di fantascien-za Urania (1952), che oramai vanta oltre 1500 tito-li e che per un ventennio fu a sua volta diretta an-cora da Fruttero e Lucentini, i quali subentraro-no nel 1961 al fondatore, quel Giorgio Monicelliconsiderato come colui che coniò il termine stes-so di “fantascienza” come calco dell’inglese scien-ce-�ction. Discorso a parte meriterebbero invecei romanzi rosa, di ben più lunga tradizione.

L’espressione «libri da leggere sotto l’ombrel-lone» entra a far parte del lessico comune, rivelan-do e talvolta rivendicando una subalternità del te-sto all’occasione di lettura. Leggerezza, piacevolez-za e la capacità di avvincere senza imporre sforziinterpretativi sono le peculiarità richieste a questatipologia di letteratura popolare che ha in�uenza-

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corpo, nell’esaltazione delle esperienze sensorialidi cui la civiltà indiana sembra così ricca. La bifor-cazione non potrebbe essere più rappresentativadi due atteggiamenti che si intendono agli estremiopposti dello spettro antropologico a disposizionedello scrittore italiano in viaggio. Atteggiamentiche non si escludono a�atto l’un l’altro, come vor-rebbero in un certo senso far credere a un primo li-vello di lettura i due protagonisti in questione, mache al contrario possono essere considerati com-plementari nella de�nizione di una postura unicae, per quanto complessamente strutturata, comu-ne agli intellettuali del tempo. Naturalmente va te-nuto conto che, a quest’altezza temporale, il termi-ne “turistico” viene ancora impiegato per descri-vere uno sguardo sul paesaggio super�ciale e mal-destro, ed è quindi contrapposto a quella formanobilitata dello spostamento non lavorativo che è ilviaggio. L’autorevolezza pregressa dell’intellettua-le è il fondamento del contratto che egli stipula conil lettore dei propri reportage, tanto in Moravia (ilcervello cartesiano, polarizzando all’estremo lacontrapposizione) quanto in Pasolini (il corpo ver-gine di enciclopedia culturale). Ma se il primo sia�da a solidi approfondimenti tematici per pre-pararsi all’incontro esotico (e si studia quindi leUpanishad e i riti funebri della città santa di Bena-res), il secondo fa a�damento al proprio spiritod’avventura, di libertà e di camaleontica capacitàdi farsi altro da sé, esperendo in qualche maniera ilparadosso di essere esotico a sé stesso.

Tra i grandi narratori di viaggio, un posto d’o-nore spetta senz’altro a Guido Piovene, la cui pro-duzione letteraria a partire dall’inizio degli anniCinquanta si concentra proprio sul reportage, dalDe Americadel 1953 a Madame la France e La genteche perdé Gerusalemmedegli anni Sessanta. Mal’opera più nota e impegnativa è senza dubbio ilViaggio in Italia del 1957, che rende conto di unlungo viaggio in macchina lungo la penisola com-piuto a �anco della moglie Mimy, suo �do pilota.La perlustrazione del territorio italiano da partedi Piovene, immediatamente salutata da Montalecome esempio di una tale completezza da scorag-giare negli anni a venire eventuali imitatori, duròoltre tre anni e mezzo, durante i quali egli si feceal contempo turista e cronista delle contraddizio-ni del paese. La conclusione a cui giunge, nel suosobrio stile interpretativo privo di pregiudizi, foto-grafa la realtà di un paese sfaccettato �no all’inve-rosimile, eppure non lacerato: «L’Italia è varia,non complessa. Cambia da un chilometro all’al-tro, non solo nei paesaggi, ma nella qualità degli

animi; è un miscuglio di gusti, di usanze, di abitu-dini, tradizioni, lingue, eredità razziali. Sono peròdiversità vissute come fatti della natura, che fo-mentano umori litigiosi ed incomprensioni, manon conducono al distacco».

Libri da leggere sotto l’ombrellone | Parlare di rap-presentazione dell’immaginario turistico da partedella letteratura implica necessariamente una ri-�essione sul ridimensionamento del ruolo mito-poietico della parola scritta nella modernità. Ridi-mensionamento che ha, naturalmente, le caratte-ristiche dell’evento epocale e che non tocca soloquesto speci�co tema, ma che ha in esso un privile-giato punto di vista. Nella società delle immagini laletteratura comincia a percepire il rischio di sentir-si angolata, relegata a un ruolo di pura sponda ri-spetto ai media, con il cinema e la televisione da-vanti e sopra a tutti al punto che la scelta impostaagli autori si fa talvolta conseguenza di un mercatoeditoriale aggressivo e in rincorsa rispetto alle testedi ariete cinematogra�che. Non sono pochi gliscrittori, non solo tra quelli a vocazione più dichia-ratamente popolare, che si orientano quindi versouna pura rappresentazione dell’immaginario esi-stente, rinunciando alla vocazione di creare nuovimondi e nuove possibilità di sguardo sul reale. Sitratta di uno dei cortocircuiti più potenti di tuttala storia del rapporto tra letteratura e mercato. Ilgroviglio delle cause e degli e�etti è pressoché ine-stricabile. Impossibile de�nire �no a che punto larichiesta da parte di una nuova comunità allargatadi lettori di una letteratura di agile consumo da go-dersi in tutta tranquillità durante le lunghe ore diozio estivo – con le caratteristiche quindi di essereavvincente e non troppo impegnativa nei temi enella struttura – abbia determinato l’apertura dicollane speci�che da parte delle più grandi caseeditrici. Così come ci si può interrogare su quantogli autori abbiano proseguito spontaneamente nel-la stesura di libri coinvolgenti e di consumo per-ché a loro volta formatisi su altri modelli preesi-stenti all’estero. È il caso, per esempio, dell’innega-bile in�uenza esercitata in tutta Europa (e per cer-ti versi più ancora che non nella madrepatria) dal-la scuola statunitense degli hard boiled, i cui indi-scussi maestri Chandler e Hammett furono certofonte di ispirazione per i nostrani scrittori di ro-manzi polizieschi.

In Italia il fenomeno annovera tra i grandi pro-tagonisti sicuramente Fruttero e Lucentini, nonsolo per il loro diretto coinvolgimento nella ste-sura di romanzi di genere a loro modo epocali (è

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Da sinistra, Guido Piovene,Alberto Moravia e Pier PaoloPasolini negli anni Sessanta.Tutti e tre gli scrittori e intellettuali hanno dimostratogrande interesse nei confrontidella scrittura sul viaggio.

to). Per gli americani sul territorio italiano il pro-blema più immediato non è tanto promuovere unsentimento filoatlantico quanto piuttosto favori-re il rapido sviluppo di un mercato di massa. InItalia Oggi (Romolo Marcellini, 1951) il contrastonon è più tra prima e dopo la guerra, ma tra l’Ita-lia dei turisti, quella della Roma by night, delle ve-trine illuminate, e quella dei lavoratori, con le im-magini delle acciaierie, dei cantieri navali. Si ve-dono quindi le coppie a bordo dei primi scooter,gli avvenimenti sportivi, i balli, ma anche le barac-che costruite negli archi degli acquedotti romani(la stessa questione dell’indigenza nelle grandicittà del dopoguerra è affrontata con spirito benpiù pessimista nel documentario 045, di EnnioFlaiano, 1954). Insomma – sembrano dirci questidocumenti – i problemi ci sono, ma lo spirito è co-struttivo, il benessere aumenta, la cultura del loi-sir si diffonde. Anche il cine-giornalismo ricondu-cibile alla produzione della Settimana Incom fa-vorisce la definizione di un’identità nazionale apartire dall’enfasi sulla ricostruzione. Un’enfasiche spesso si traduce in invito esplicito alla visitadei siti ricostruiti: una sorta di turismo della rico-struzione che è identificabile già dal titolo di mol-ti cortometraggi informativi: Terra nuova, Borgatedella riforma, 1955, L’autostrada del sole, 1959. Do-po il 1950 si assiste a un’evoluzione degli argo-menti trattati anche nei documentari di propa-ganda americani: aumenta un esplicito progettodi stimolazione del turismo sfruttando i divi ame-ricani che sostano a Cinecittà.

La messa in scena della città e del paesaggionel cinema neorealista prima, e nella commediacritica verso il boom poi, si ferma invece a con-templare le rovine o illumina il versante negativodella ricostruzione. Le città del dopo-rovine, allacaduta del fascismo, sono città come quelle pre-senti in Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, 1948),Sciuscià (idem, 1946), L’onorevole Angelina (LuigiZampa, 1947), Stazione termini (De Sica, 1953),cioè immensi agglomerati urbani che non riesco-no a diventare metropoli moderne, o che lo diven-tano in modo incontrollato, confuso. In cui ciòche manca è la soddisfazione minima dei bisognielementari della popolazione. Forse il film piùesemplificativo rimane Totò cerca casa (Steno-Mo-nicelli, 1950). Qui siamo prima di ogni possibileambizione turistica. Il monumento nazionale daoggetto di contemplazione è trasformato in stru-mento di sopravvivenza quando il comico prota-gonista si installa a vivere con tutta la famiglianiente meno che al Colosseo.

Il neorealismo quindi fa leva sia sulla sfigura-zione del patrimonio di monumenti e paesaggitradizionali, sulla critica sociale, sia infine su unamaggiore vicinanza tra i luoghi e i percorsi umani.Si tratta di una lezione fortemente sentita anchenel campo del documentario d’autore tra anniCinquanta e Sessanta (e oltre): un ambito che ser-ve anche a gestire l’eredità neorealista, un’occa-sione per affrontare argomenti considerati tabù,oppure un punto di prima definizione di persona-lità d’autore. Un uso del documentario in sensonon turistico era già stato tentato con successonel 1942 da Francesco Pasinetti. Il regista, in Vene-zia minore, nel cuore di Venezia, cioè del luogo pereccellenza riconducibile a un immaginario ste-reotipato, era riuscito nell’intento di mostrare unpaesaggio lagunare interiore, ricco di quotidianeverità, quasi visto dagli occhi dei suoi stessi abi-tanti (come dire: l’opposto dello sguardo del visi-tatore esterno), secondo un progetto che ispireràtanti registi nella messa in scena di contesti urba-ni riconoscibili (la stessa idea sarà alla base delleriprese della realtà napoletana, in netto contrastocon i cliché narrativi partenopei, effettuate da Ro-si in Le mani sulla città, 1963). Su una linea rigo-rosa di proseguimento dell’esperienza neoreali-sta si muovono in Sicilia anche Ugo Saitta (allievodi Barbaro, Chiarini e Blasetti) e il palermitanoVittorio De Seta. In particolare quest’ultimo com-pie un’esplorazione antropologica del mezzogior-no d’Italia, avendo come riferimenti le esperienzemigliori del documentarismo internazionale(Flaherty, Ivens). Lu tempu de li pisci spada, Isole difuoco, Contadini del mare sono titoli che trasmet-tono il progetto di un realismo integrale, un mo-dello ascetico di messa in scena (ampie panora-miche, pochissimi primi piani) e di narrazione (ladiegesi spesso coincide con il ciclo naturale dellagiornata). Lo sguardo ideale dello spettatore co-struito da De Seta non è certo quello del turista,del visitatore frettoloso, ma semmai dell’antropo-logo, del soggetto stanziale, del residente intesocome «turista che ripete il suo desiderio di resta-re» (Bonadei 2007).

Cinema e nuove mobilità | Nel corso degli anni Cin-quanta e Sessanta è soprattutto il genere egemo-ne della commedia all’italiana a incaricarsi dinarrare il mutamento della abitudini di viaggio esvago di un paese in via di rapido sviluppo econo-mico. Per paradosso l’unificazione attorno a teminazionali e popolari che il neorealismo aveva cer-cato invano si realizza attraverso l’iconografia più

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to le dinamiche editoriali in maniera tangibile. Lecase editrici puntano sulla riconoscibilità di testi diquesto tipo attraverso la creazione di collane ap-posite con copertine immediatamente individua-bili, dalle grandi figure colorate e dai forti richiami,spesso attraverso fascette che fanno riferimento aun eventuale legame col mondo del cinema. La di-namica è la stessa che coinvolge anche testi dimaggiore impegno e non ne sono esenti persinoautori considerati classici e addirittura poeti, i qua-li, in quanto tali, sembrerebbero essere i più di-stanti per genere e vendite da questo tipo di opera-zioni (nel caso delle poesie di Dino Campana, peresempio, edizioni improntate alle stesse logichecommerciali sceglieranno per la copertina una fo-to di Stefano Accorsi e completeranno il volumecon una fascetta che fa riferimento a Un viaggiochiamato amore, il film di Michele Placido del 2002sulla relazione del poeta con Sibilla Aleramo).

Ma l’espressione menzionata poco sopra, qua-si per ritorsione, viene oramai comunemente uti-lizzata anche come alibi per elaborare criticamen-te un giudizio positivo a proposito di un testo cheè piaciuto ma dal quale, o perché consideratotroppo commerciale o perché di eccessivo succes-so, si vogliono prendere in qualche maniera le di-stanze. Se si è goduta la lettura di un romanzo e cisi sente in dovere di giustificarsi per questo ap-prezzamento, si dirà allora, con tono distaccato,che non lo si è disdegnato e, consigliandolo, chesarà adatto a una fresca lettura disimpegnata.«Sotto l’ombrellone», appunto.

Quasi come conseguenza inevitabile e a ripro-va della relazione esistente tra villeggiatura e pro-poste editoriali, si è assistito all’inizio degli anniOttanta a una vera e propria rinascita di un genereche, pur senza mai spegnersi del tutto, era andatoaffievolendosi fino a resistere come pura entità re-siduale nel mare magnum delle pubblicazioni: sitratta del feuilleton, la cui effettiva rinascita –escludendo quindi episodi sporadici, minori e in-fluenti in maniera assai poco sensibile nel panora-ma nazionale – si deve alla pubblicazione a punta-te nell’estate del 1985 de Il profumo di Patrick Su-skind da parte del «Corriere della sera» (in contem-poranea con quella del «Frankfurter AllgemeineZeitung» in Germania). L’episodio è interessanteperché sottolinea l’elemento prettamente stagio-nale di un certo tipo di letture, concepite – daglieditori più che dagli autori, ma come già si è sotto-lineato il nodo delle reciprocità è pressoché ine-stricabile – per durare lo spazio di un’estate, percaptare l’attenzione di un pubblico immaginato

su una sedia a sdraio con nella borsa la crema ab-bronzante e la «Settimana enigmistica». Natural-mente il romanzo d’appendice ha subìto profondemutazioni dai fasti ottocenteschi o anche dalle suedeclinazioni primonovecentesche alla CarolinaInvernizio o alla Liala, le discendenze più direttedelle quali si dovrebbero piuttosto individuaredapprima nei radiodrammi (a partire dall’eclatan-te caso de I quattro moschettieri che andò in ondaverso la metà degli anni Trenta riscuotendo unostraordinario successo) e poi nelle soap opera e ne-gli sceneggiati televisivi generalisti.

Il cinema racconta il turismo

Rovine e nuovi miti | A prima vista non c’è cinemameno interessato alla pratica turistica di quellodell’immediato dopoguerra. Il neorealismo restaessenzialmente anti-turistico non solo perchépromuove una visione del paesaggio anti-monu-mentale, anti-retorica e anti-formalista, ma ancheperché racconta spesso storie legate a percorsiumani lontani dal terreno del piacere. Il viaggiotra il 1945 e il 1950 è molto spesso giocato su duemetafore: la metafora del cambiamento di vita,dello spostamento fuori città, per nuove e mag-giori opportunità, come avviene in parte anchenel celebre Riso amaro (De Santis, 1949) o in Aimargini della metropoli (Lizzani, 1952). E la me-tafora del ritorno: si torna e si trova una realtà de-vastata e irriconoscibile. Quindi spesso si riparte,si emigra: in Napoletani a Milano (1953) è un inte-ro quartiere di Napoli che si trasferisce nel capo-luogo lombardo. E un viaggio simile è all’originedella storia narrata nel 1960 da Visconti in Rocco ei suoi fratelli (Melanco 1996).

Nell’immediato dopoguerra tutto parte da unasola visione: le rovine. L’immaginario però è divi-so. Da un lato si insiste sulla distruzione: le stradedi macerie con i carri armati abbandonati, i muricrepati, i quartieri irriconoscibili. Dall’altro agi-sce un soggetto spesso trascurato: la propagandaamericana legata alla promozione sul territoriodel piano Marshall. Si tratta della più imponentecampagna propagandistica d’Europa. Gli ameri-cani applicano una retorica simile (anche se in-vertita di segno) a quella presente nei cinegiorna-li del Luce: un misto di regionalismo, esaltazionedel ritorno alle tradizioni interrotte dalla guerraed enfasi sugli aiuti, la ripresa delle fabbriche, laproduttività, le spedizioni di carbone ecc. (In Mi-racle of Cassino, del 1950, si mostra la ripresa del-la città a sei anni di distanza dal bombardamen-

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sumi. In realtà, a distanza, più che altro pare che ilcinema descriva in modo analitico come il diverti-mento e lo svago permettano una negoziazionetra e�etti di conformismo massi�cante e pratichedi distinzione. Le vacanze in La parmigiana (Anto-nio Pietrangeli, 1963) sono un’illusione, un truc-co prodotto dai riti di rappresentazione sociale:le ferie diventano l’occasione in cui, al di là del-l’allucinazione paritaria data dal miracolo econo-mico, si rendono evidenti i dislivelli sociali di ca-pitale. E in e�etti la spiaggia è proprio il luogo sucui tutti convergono e al contempo si mettono al-la prova le diversità degli stili di vita. I riti delle va-canze di massa sono descritti già con precisionein Domenica d’agosto (Luciano Emmer, 1950),mentre i nuovi ricchi in costume vengono tenutisotto osservazione anche da Risi in L’ombrellone(1965). In alcuni casi la scena balneare è il luogodi messa tra parentesi delle regole di comporta-mento sessuale tradizionale. Nell’episodio rimi-

nese di I nuovi angeli (Ugo Gregoretti, 1961), ladonna straniera progredita sessualmente è ragio-ne di attrazione e di sottile angoscia per i valoritradizionali. Nel caso speci�co una turista anglo-sassone si sceglie, in stile guida Michelin del ses-so, un “latin lover” per avere un’avventura senzasorprese evidenziando come in certi casi il cine-ma balneare e l’ambientazione da spiaggia si in-staurino nel cinema italiano come luogo più omeno implicitamente dedicato al raccordo tra iproblemi della gioventù emergente (che emergeproprio allora come popolo di consumatori) e ledinamiche della sessualità in epoca pre-sessan-totto. Su un sottofondo sonoro riempito dallecanzoni di Paoli e Mina, si mostrano i riti dell’ab-bigliamento balneare, la vestizione succinta, lecreme solari, ma anche i primi e�etti concreti del-la cultura del loisir sul desiderio imprigionato neicorpi, nei giochi degli sguardi, nei riti sempre piùespliciti della seduzione.

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o meno piacevole di una società consumista, chescopre la motorizzazione assieme al turismo dimassa. Dal 1950 i viaggi in treno diventano piùagevoli. Dal 1956 viene abolita la terza classe, larete nazionale viene ampliata. Ma il cinema, purcontinuando ad ambientare sui binari alcune si-tuazioni ( Poveri milionari , Il marito , Signori in car-rozza) si rivolge anche altrove. I treni popolari e labicicletta (che piaceva a Zavattini il quale le avevadedicato un soggetto e l’aveva trasformata in es-senziale innesco narrativo di Ladri di biciclette ) la-sciano spazio ad altri mezzi, secondo un catalogoa più voci. Se Vacanze romane (William Wyler,1953) è il �lm-promoter della Vespa e sullo stes-so mezzo attendono a piazza Navona, prima dipartire alla ricerca di belle ragazze, i maschi latiniprotagonisti di Poveri ma belli (come farà del re-sto la generazione successiva, attraversando lacittà in Vespa, in Urlatori alla sbarra , nel 1960), ilcinema si prepara a registrare la trasformazionedi migliaia di piccoli borghesi automobilisti.

Nell’episodio pasoliniano di Ro.Go.Pa.G (1963),un autorevole Orson Welles de�nisce l’italiano me-dio un mostro, un pericoloso delinquente, confor-

mista, colonialista, razzista, schiavista e qualunqui-sta. Questo soggetto lanciato in modo irri�essivoverso l’omologazione, ritratto da Risi in I mostri(1963), si muove a bordo di motoscooter, topolino,giardinette, ma soprattutto Fiat Seicento: l’emble-ma a quattro ruote dell’italiano emergente. A bordodi una Seicento parte la famiglia Togni nell’episo-dio di Gregoretti in Ro.Go.Pa.G (Il pollo ruspante):viaggia verso un terreno lottizzato non lontano daMilano. Il gruppo di viaggiatori in sosta all’autogrillsi abbandona agli acquisti più compulsivi e inop-portuni, �no a quando una manovra azzardata, for-se mortale, pone �ne alle angosce post-consumi-stiche del nucleo familiare. Ma non si muore solo inSeicento. Al vertice del desiderio collettivo si collo-ca la spider, alla guida della quale troviamo Bruno,interpretato da Vittorio Gassman (in Il Sorpasso , D.Risi, 1960), il distillato al negativo dell’italiano delmiracolo economico, impegnato, tra locali nottur-ni, ville signorili, locali esclusivi, a compendiare laperdita secca dei valori morali nel viaggio futile pereccellenza del cinema italiano.

Molti osservatori dell’epoca hanno registratosoprattutto l’e�etto massi�cante dei nuovi con-

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Gregory Peck e Audrey Hepburnin una famosa scena del �lmVacanze romane del 1953. La Vespa assume una notorietàinternazionale grazie alla suapromozione in questa pellicola.

Vittorio Gassman alla guidadella sua spider nel �lmIl sorpasso (1960) di Dino Risi.

La spider rappresenta il simbolo di una vita di facilesuccesso nell'immaginariocollettivo degli italiani.

Dolce vita | Tutto ciò avviene mentre il cinema po-polare e certi generi speci�ci lavorano nel solcodella tradizionale immagine turistica dei luoghinazionali. Roma è al centro di una serie di visite daparte di turiste straniere che da Vacanze romane sipropaga �no agli horror all’italiana di Mario Bava(La ragazza che sapeva troppo, 1962) mentre la ro-manità continua a essere testimoniata anche da�gure più intergenerazionali: oltre a Sordi, soprat-tutto Claudio Villa ( Quanto sei bella Roma , del1959, e per la romanità in generale: Fontana di Tre-vi, Serenata per sedici bionde). L’abbinamento di ri-conoscibili tradizioni canore del territorio, oltre arestare alla base di gran parte del cinema di gene-re napoletano (da Mario Merola a Nino D’Angelo),lancia anche altre località d’Italia, come succedecon il festival di San Remo, dove si sviluppa benpresto una sinergia durevole fra attrazione spetta-colare e promozione del paesaggio ( DestinazioneSan Remo, 1959). Nei musicarelli (�lm musicali abasso costo incentrati sui cantanti popolari deglianni Sessanta-primi Settanta), e in particolar mo-do in quelli con Gianni Morandi diretti da EttoreFizzarotti ( In ginocchio da te, Una lacrima sul viso ,entrambi del 1964), i numeri musicali e i dialoghiavvengono spesso in momenti di esibizione dellebellezze naturali e monumentali. L’ossessione pa-noramica del genere (in Zingara , 1969, gli squat-trinati protagonisti vivono in piazza Navona, par-rebbe solo al �ne di rendere possibile l’immanca-bile, cartolinesco, movimento di macchina confunzione descrittiva) si accompagna al rito dellagita in campagna, della passeggiata lungo la spiag-gia. Tutto ciò contribuisce a di�ondere un’imma-gine del patrimonio turistico nazionale al ritmo diuna oscillazione tra rilancio dell’identità locale epromozione dello stereotipo del Bel Paese.

Si tratta del tipo di oscillazione che, proprio inquesto periodo, viene promossa anche dall’emer-gente mezzo televisivo. La Radiotelevisione italia-na incorpora e rielabora da subito desideri e pau-re dell’immaginario turistico massi�cato. Nel1956 il programma propedeutico La strada è di tut-ti propone lezioni di civiltà stradale insistendo sul-le potenziali tragicità dell’automobile, incanalan-do i timori legati al turismo dal tema del trasporto.E mentre le prime olimpiadi invernali teletra-smesse da Cortina svelano a tutti gli spettatori loscenario delle Dolomiti, dal 1954 (dopo un passag-gio in radio) l’Azienda di Promozione turistica diSan Remo si trova proiettata alla ribalta nel festivalcanoro, che ancora non promuove l’industria di-scogra�ca (praticamente inesistente) ma, appun-

to, quella turistica (con un rilancio massiccio del-la riviera di Ponente). Un viaggio in Italia, su unoriginale progetto di Zavattini poi stravolto dalconduttore Mario Soldati, sta alla base di Chi leg-ge? Viaggio lungo le rive del tirreno, dove la doman-da sulla lettura rivolta alla gente si risolve in unpretesto per lasciare spazio a un Grand Tour ano-malo, a un’inchiesta che passa dai luoghi canoni-ci della tradizione a penitenziari, fabbriche o altriambienti dimessi. Un rapporto organico con laprovincia è ricercato attraverso il coinvolgimentodi paeselli e cittadine in trasmissioni di competi-zioni ludiche. In Campanile sera (1959) la piccolacomunità paesana si congiunge alla grande comu-nità spettatoriale. La tv pubblica rende visibile laprovincia, e al contempo omologa gli spazi: tutto ilmondo è paese, le peculiarità regionali si perdo-no. Ogni trasmissione ha pochi minuti iniziali dipresentazione del piccolo comune ospitante, mo-mento che genera le brame delle istituzioni locali,è l’orgoglio dei comuni medesimi di fronte all’Ita-lia tutta, e trasforma le troupe Rai in oggetti di ve-nerazione. Un discorso simile si può fare per ilCantagiro nelle sue varie edizioni. In realtà la Raiusa i campanili per installare le antenne e celebra-re il proprio epidemico potere di espansione. Daquesto momento in poi sarà sempre di più la tv afare da medium egemone nelle dinamiche di rap-presentazione e rilancio del territorio, nel model-lare lo sguardo del tele-turista. Il tutto a discapitodel cinema.

Il cinema italiano per tutti gli anni Sessantamantiene un ruolo centrale nel campo del mondodello spettacolo e vive la nascita del cinema d’au-tore moderno. Alcuni registi riescono a promuo-vere immagini così caratteristiche e forti dei luo-ghi della tradizione monumentale da innescareprocessi di rilettura, omaggio, e indissolubile le-game tra luogo storico e sua canonica reinterpre-tazione cinematogra�ca. Il caso più signi�cativorimane la fontana di Trevi in La dolce vita (luogoparodiato in Totò, Peppino e la dolce vita, omaggia-to in C’eravamo tanto amati e ricordato ancora og-gi da milioni di turisti più o meno cine�li). Altri ci-neasti, come Antonioni ( L’avventura , L’eclisse) la-vorano a un’immagine del territorio tanto lonta-na dagli stereotipi da cartolina quanto debitricedella migliore tradizione pittorica della prima par-te del Novecento.

Il �lm che forse meglio anticipa le dinamichedella modernità cinematogra�ca e di alcune suemodalità di sguardo in relazione al paesaggio èViaggio in Italia (Roberto Rossellini, 1953). Prota-

Il turismo499la Cultura Italiana498

Sostenitori di Milazzostazionano fuori dagli studi RAIdurante una puntata del programma Campanile sera .Milano, 1961. Con trasmissionicome Campanile sera , la televisione rende visibile al grande pubblico la provinciaitaliana, donandole unmomento di e�mera notorietà.