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La Pieve degli anni ’60 di Aldo Baldi La Pieve, come si vede da questa foto della fine degli anni ’50, aveva un territorio molto meno frazionato di quello attuale, grazie principalmente al fatto che l’autostrada Firenze-Mare era ad una sola carreggiata e il casello autostradale, a quei tempi, si trovava nel territorio di Montecatini Terme, all’estremità sud di via del Salsero. L’autostrada fu raddoppiata nel 1961-62 e il nuovo casello autostradale venne realizzato nel comune di Pieve a Nievole, dove si trova ancora oggi, a servizio di Montecatini, Pieve e Monsummano. Il centro abitato era tutto contenuto a nord della ferrovia, la circonvallazione era più stretta e la via G. Marconi (Via Nova) era spostata più ad est e sfociava dritta verso il passaggio a livello. L’attraversamento del fascio circonvallazione-ferrovia-strada-statale era molto più agevole, principalmente per lo scarso traffico, tanto che noi bimbi della campagna sud, che andavamo a scuola alla De Amicis, attraversavamo da soli questo insieme di strade e ferrovia; ogni tanto i più piccoli chiedevano aiuto ai più grandi, ma l’attraversamento, comunque, era fattibile. Con l’incremento del traffico la circonvallazione è stata ampliata, l’autostrada è stata raddoppiata e, a condizionare pesantemente il nostro territorio, è stato realizzato il nuovo casello autostradale, con i servizi connessi. L’ampia fascia di terreni coltivati tra la ferrovia e l’autostrada, che in questa foto è bene evidente, è stata sacrificata all’inarrestabile bisogno di strade sempre più larghe per il costante incremento del traffico dal dopoguerra ad oggi. Anche la zona ad est della chiesa non era ancora stata urbanizzata ed era interamente coltivata. In questa foto, oltre al campanile e alla chiesa, gli edifici pubblici che si distinguono più facilmente sono: la scuola elementare Edmondo De Amicis, il nuovo asilo appena realizzato e la vecchia stazione ferroviaria, mentre i pini che fiancheggiano il viale del Vergaiolo, hanno ancora dimensioni contenute. La cartolina riprodotta qui di fianco mostra il nuovo casello autostradale costruito nel comune di Pieve a Nievole, quando nel 1962 l’autostrada fu raddoppiata. Come si vede chiaramente dalla foto, al momento del raddoppio dell’autostrada e per diversi anni, al casello di entrata- uscita era anche connessa la barriera che serviva al pagamento del pedaggio intermedio per chi transitava tra Pistoia e Lucca. La soppressione di questa barriera

La Pieve degli anni ’60 di Aldo Baldi - Ricordi di Pieve

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La Pieve degli anni ’60 di Aldo Baldi

La Pieve, come si vede da questa foto della fine degli anni ’50, aveva un territorio molto meno frazionato di quello attuale, grazie principalmente al fatto che l’autostrada Firenze-Mare era ad una sola carreggiata e il casello autostradale, a quei tempi, si trovava nel territorio di Montecatini Terme, all’estremità sud di via del

Salsero. L’autostrada fu raddoppiata nel 1961-62 e il nuovo casello autostradale venne realizzato nel comune di Pieve a Nievole, dove si trova ancora oggi, a servizio di Montecatini, Pieve e Monsummano.

Il centro abitato era tutto contenuto a nord della ferrovia, la circonvallazione era più stretta e la via G. Marconi (Via Nova) era spostata più ad est e sfociava dritta verso il passaggio a livello.

L’attraversamento del fascio circonvallazione-ferrovia-strada-statale era molto più agevole, principalmente per lo scarso traffico, tanto che noi bimbi della campagna sud, che andavamo a scuola alla De Amicis, attraversavamo da soli questo insieme di strade e ferrovia; ogni tanto i più piccoli chiedevano aiuto ai più grandi, ma l’attraversamento, comunque, era fattibile. Con l’incremento del traffico la circonvallazione è stata ampliata, l’autostrada è stata raddoppiata e, a condizionare pesantemente il nostro territorio, è stato realizzato il nuovo casello autostradale, con i servizi connessi. L’ampia fascia di terreni coltivati tra la ferrovia e l’autostrada, che in questa foto è bene evidente, è stata sacrificata all’inarrestabile bisogno di strade sempre più larghe per il costante incremento del traffico dal dopoguerra ad oggi.

Anche la zona ad est della chiesa non era ancora stata urbanizzata ed era interamente coltivata. In questa foto, oltre al campanile e alla chiesa, gli edifici pubblici che si distinguono più facilmente sono: la scuola elementare Edmondo De Amicis, il nuovo asilo appena realizzato e la vecchia stazione ferroviaria, mentre i pini che fiancheggiano il viale del Vergaiolo, hanno ancora dimensioni contenute.

La cartolina riprodotta qui di fianco mostra il nuovo casello autostradale costruito nel comune di Pieve a Nievole, quando nel 1962 l’autostrada fu raddoppiata.

Come si vede chiaramente dalla foto, al momento del raddoppio dell’autostrada e per diversi anni, al casello di entrata-uscita era anche connessa la barriera che serviva al pagamento del pedaggio intermedio per chi transitava tra Pistoia e Lucca. La soppressione di questa barriera

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di transito non portò grandi cambiamenti sul territorio di Pieve, come invece avvenne con la realizzazione del sovrappasso ferroviario che collegò l’uscita dell’autostrada alla piazza della stazione Centrale. Da allora, fino ad oggi, questo sovrappasso ha condizionato, nel bene e nel male,le scelte di viabilità dell’intero territorio.

La voglia e il bisogno di viaggiare si estese anche alla nostra popolazione e alla nostra cerchia di amici. Nel 1967 Franco Fedi acquistò una fiammante Fiat 500; era il primo del gruppo ad avere l’automobile e quindi fu una grande festa per tutti. Con questa macchina portò me e altri amici in giro per la Toscana varie volte, con nostro grande piacere. Ci portava a Viareggio, passando dal Monte Quiesa perché c’erano più curve e la strada era più divertente, ci portò a Volterra, a San Gimignano e in tante altre località che fino ad allora, per me e i miei amici, erano esistite solo sulla carta ed erano state irraggiungibili.

A distanza di cinquanta anni, parlare di 500 è una cosa normale, perché la Fiat 500 esiste anche oggi e sembra quasi che, tra quella di allora e quella di oggi, non ci siano differenze; invece ce ne sono moltissime e vorrei citarle qui di seguito, perché mi danno lo spunto per raccontare un po’ della nostra vita di allora e fare confronti con quella dei giorni nostri.

Fiat 500 degli anni ’60 Fiat 500 anni 2015

La Fiat 500 fu progettata da Dante Giacosa nel 1957 e con gli anni fu gradualmente aggiornata; la versione che Franco comprò era la F, che rispetto alle precedenti aveva le portiere controvento e qualche fregio cromato in più, però l’insieme generale era quello della vettura originale.

Come si vede dalle foto, la 500 di oggi è molto più liscia nelle forme, non ha sporgenze, ha vetri a filo della carrozzeria e molto più ampi; quello che però le foto non fanno capire appieno è la differenza delle dimensioni fra le due macchine: la vecchia 500 era lunga 2 metri e 95 cm e larga 1 metro e 32 cm, mentre la nuova è lunga 3 metri e 57 cm e larga 1 metro e 63 cm . C’è una differenza enorme! La 500 di Franco era 62 cm più corta e 31 cm più stretta, eppure consentiva di salire a 4 o 5 persone e di portarle in giro; non so capire come si facesse, ma si faceva! E qui una riflessione sullo stile di vita dei ragazzi di 50 anni fa viene spontanea: c’erano veramente meno esigenze, anche in termini di confort, perché non avevamo visto niente e, andare in giro su una 500 era una grande festa, anche se ci stavamo stretti. L’aria condizionata e tutti gli intrattenimenti elettronici presenti sulle macchine di oggi, sulla vecchia 500 non c’erano, però era un gran piacere lo stesso. Mettere a confronto due realtà distanti 40 o 50 anni è interessante ed istruttivo e sicuramente ci può far andare oltre la semplice affermazione che il nostro attuale livello di vita è superiore rispetto al passato.

Sempre per rimanere nell’ambito dei ricordi e dei confronti, mi sembra curioso ricordare che a bordo delle automobili, sia delle piccole, come anche delle più grandi poteva esserci l’autoradio, ma non tutti se lo potevano permettere e chi lo voleva, se lo faceva installare appeso sotto il cruscotto, rimovibile, in modo che quando si scendeva dalla macchina, l’autoradio si portava con noi, come fosse una borsetta, per evitare che ce lo rubassero. Alcuni giovani, più avanti nell’utilizzo di apparati elettrici, si facevano montare sulla macchina anche il “mangiadischi”, che oggi non esiste più e che probabilmente i nostri giovani non hanno neanche mai sentito nominare.

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Si tratta di un piccolo apparecchio che poteva essere alimentato sia dall’auto che da batterie esterne, con una feritoia sul lato anteriore dove poter inserire, per poterli ascoltare, i dischi 45 giri in vinile. Come l’autoradio anche il mangiadischi era asportabile e quindi poteva essere utilizzato sia in automobile che fuori dall’auto.

Quando si organizzavano gite o anche piccole escursioni sul Poggetto o al Poggio alla Guardia il mangiadischi e un pacchetto di dischi non mancavano mai. A quei tempi erano in voga il Twist e il Rock’n’roll e ci si divertiva a saltellare alla meglio imitando quel poco che avevamo visto alla televisione.

Franco Castellan, per tutti Francone, in quei balli scatenati, era insuperabile!

La Fiat 500, come si diceva, è rivissuta dopo 50 anni, però ci sono altre automobili che negli anni ’60 ebbero un discreto successo ma che poi sono scomparse; qualcuna di queste circolava anche alla Pieve, destando curiosità e qualcuno forse si ricorderà di averle possedute.

Un’ alternativa alla Fiat 500 e 600 fu la NSU Prinz 4, denominata volgarmente “saponetta” per le sue forme arrotondate e simmetriche: rispetto ai modelli Fiat era molto più rifinita, era molto più ampia e più che altro era tedesca che, per tanti, significava grande qualità e possibilità di distinguersi. Un altro modello che ricordo in giro per la Pieve e che cito volentieri, perché probabilmente i nostri giovani non l’hanno mai vista, neanche in qualche film d’epoca, è la Ford Anglia, inglese, con il lunotto inclinato a rovescio. Anche questo modello rappresentò una valida alternativa per coloro che volevano distinguersi e non essere standardizzati come tutti quelli che acquistavano una più comune Fiat.

NSU Prinz 4 Ford Anglia

Noi ragazzi si faceva a gara a magnificare ora un modello di automobile e la volta dopo un altro, pur di scontrarsi e battagliare. Quello di contrapporsi era un’abitudine molto diffusa tra di noi; usavamo come pretesto, una volta i modelli di automobili, un’altra volta i ciclisti, oppure i calciatori, come forse oggi non si fa più. Probabilmente oggi il confronto-scontro si fa nelle palestre o nelle piscine, luoghi e modi di vivere che 50 anni fa alla Pieve non esistevano.

Non tutti, negli anni ’60, si potevano permettere l’automobile; molti viaggiavano ancora con la bicicletta e qualcuno cominciava a comprarsi la motocicletta, specialmente quelli che in quegli anni avevano trovato lavoro nelle fabbriche a Monsummano e che facevano 4 viaggi al giorno casa-lavoro e viceversa. Mi ricordo le colonne di persone in bicicletta o in motorino, in direzione di Monsummano la mattina alle 8 e il giorno alle 2 e viceversa, in direzione Pieve e Montecatini, a mezzogiorno e alle 6 la sera. Erano delle autentiche fiumane di gente!

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Le moto più usate in quel periodo erano: la Vespa e la Lambretta, due moto simili come impostazione, ma diverse nell’aspetto, tanto da creare, come accadeva per tante altre cose, i sostenitori accaniti per la Vespa e i sostenitori della Lambretta; gli uni, naturalmente, dicevano male degli altri.

Una Vespa PIAGGIO al distributore di Mezzomiglio nel 1956 Lambretta INNOCENTI degli anni ‘60

La Vespa e la Lambretta furono create immediatamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la prima nel 1946 dalla Piaggio, su progetto di Corradino D’Ascanio e la seconda dalla Società Innocenti di Milano, nel 1947. Entrambe con grandi contenuti innovativi, ripresi in parte da progetti aeronautici, furono create per venire incontro alla necessità crescente di muoversi della gente, al tempo della ricostruzione post-bellica e del boom economico degli anni ’60. La Vespa e la Lambretta erano facili da guidare, avevano il riparo per le gambe e, volendo, tra il manubrio e il guidatore si poteva trasportare anche un bambino in piedi. Mio cognato, per esempio, ha viaggiato a lungo con moglie e figlio su una Lambretta del tutto simile a quella della foto; questo modo di spostarsi non era affatto insolito. Queste moto ebbero anche un gran numero di sostenitrici che potevano viaggiare comodamente perfino indossando la gonna.

Il motorino però più originale di quegli anni è il Mosquito della Garelli, che molti si ricorderanno e che alla Pieve molte persone comprarono e utilizzarono; nella foto un modello restaurato accuratamente.

Si tratta di un’invenzione che sarebbe molto apprezzata anche oggi per i suoi contenuti di semplicità e basso costo, basata su un kit formato da un piccolo motore collegato ad un rullo zigrinato da accostare, con un dispositivo a molle, allo pneumatico posteriore di una normale bicicletta. Il rullo, ruotando, trasmetteva il movimento alla ruota posteriore e

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faceva quindi viaggiare il mezzo.

Questo kit, completato da un piccolo serbatoio per il carburante, poteva essere applicato ad una bicicletta sia da donna che da uomo; volendo si poteva pedalare, oppure si poteva andare a motore mandando il rullo a premere sulla ruota posteriore. Purtroppo il sistema aveva il difetto che se la pressione del rullo non era corretta, oppure in caso di pioggia, il rullo slittava e l’energia trasmessa alla ruota non era sufficiente a viaggiare. Però in molti adottarono il Mosquito, passando di sopra a questo suo limite e per le vie del paese se ne vide viaggiare parecchi, usati anche da molti lavoratori che ogni giorno si spostavano 4 volte, da casa al luogo di lavoro e viceversa.

La Vespa è stata utilizzata anche in molti film e tra questi forse il più conosciuto, proiettato più volte anche al cinema di Pieve a Nievole, è “Vacanze Romane” del 1953, con Audrey Hepburn e Gregory Peck. Questo ricordo mi permette di citare un’altra differenza tangibile tra gli anni ’60 e i giorni nostri e che rappresenta un altro elemento di paragone tra i due modi di vivere: vorrei parlare, cioè della presenza dei cinema sul territorio. A Pieve a Nievole, un locale opportunamente progettato e realizzato, fu inaugurato nel 1963 presso la Casa del Popolo, costruita pochi anni prima. Fino ad allora i film erano stati proiettati, con largo seguito, sia presso il Salone Parrocchiale di don Marino, sia nei locali della Casa del Popolo, però con modalità artigianali; spesso le pellicole, che erano molto usate, si rompevano e quindi la proiezione si interrompeva e le luci dovevano essere riaccese. La gente, a quel punto, si divertiva a urlare di tutto al povero operatore che, in tutta fretta, doveva aggiuntare gli spezzoni e ridare il via alla proiezione.

Il locale di Pieve, dedicato alla proiezione di film, fu realizzato nella parte posteriore della Casa del Popolo e rappresentò un bel punto di riferimento e di convivialità, per molti anni, per tutta la popolazione. A quei tempi quasi tutti i paesi avevano la propria sala di proiezioni: Montecatini ne aveva quattro, Monsummano ne aveva due e perciò Pieve a Nievole, oltre a disporre del locale paesano, si trovò ad essere in una posizione privilegiata rispetto a tante altre realtà. Di tutti questi locali oggi rimangono solo 2 cinema a Montecatini, mentre Pieve e Monsummano non ne hanno più neppure uno.

Oggi ci si può stupire di come allora tanti locali potessero lavorare, ma la verità è che il cinema era molto amato e frequentato, c’erano film per tutti i gusti e adatti ad ogni età; la televisione era ancora poco diffusa, moltissime famiglie non l’avevano in casa e andare al cinema dava la sensazione di festa. Nel periodo Natalizio c’era il tutto esaurito per giorni e giorni, in tutti i locali. I film rimanevano a lungo e si facevano le prime, le seconde e le terze visioni, contrariamente a quanto succede oggi che il pienone viene fatto solo in occasione di alcuni film, solo se sono stati molto pubblicizzati; questi rimangono pochi giorni, poi scompaiono e si rivedono solo alla televisione o in qualche cinema d’essai. Per il solo piacere di ricordare quei tempi, di seguito riporto le locandine di alcuni film famosi che hanno avuto proiezioni di settimane e che sono passati anche dal nostro cinema di Pieve a Nievole, a partire da Spartacus che, come dice Sergio Bonaccorsi nei suoi ricordi, fu la prima pellicola proiettata nel nuovo locale di Pieve a Nievole nel 1963.

Ben-Hur – 1959 Spartacus – 1960 La dolce vita – 1960 Lo spaccone – 1961

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Agente 007 Licenza di uccidere – 1962 Cleopatra - 1963 Per un pugno di dollari – 1964 Il dottor Zivago - 1965

Naturalmente i film realizzati e proiettati negli anni ’60 sono molti, molti di più, sia italiani che stranieri e tanti di questi sono trasmessi ancora oggi dalle nostre televisioni.

Era l’epoca delle stars che facevano sognare e che vivevano lontani dalla gente comune e diventavano vere e proprie divinità, come: Marlon Brando, Paul Newman, Elisabeth Taylor, Gregory Peck, Richard Burton, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Marcello Mastroianni, tanto per citarne alcune. Era il momento anche dei grandi registi italiani, come Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Vittorio De Sica e dei grandi internazionali, come William Wiler, Stanley Kubrik e tanti altri.

La televisione cominciò ad entrare nelle famiglie negli anni ’60; a casa mia fu acquistata solo nel 1967 e fino ad allora, se si voleva seguire una trasmissione, o si andava in qualche famiglia che già possedeva la televisione, oppure, molto più comunemente, si andava al bar, per esempio al bar Sport o alla Casa del Popolo. Ogni locale aveva la sala per la televisione, dove si stava a guardare i vari programmi seduti, in religioso silenzio e fumando, perché allora nei locali pubblici si fumava e, anzi, fumare era ritenuto di moda, segno di virilità e distinzione. Una trasmissione particolarmente seguita fu “Lascia o Raddoppia” con Mike Bongiorno, trasmessa dal 1955 al ‘59, tanto popolare che quelle sere, una gran quantità di gente si riuniva nelle sale dei bar e la fama della trasmissione era così tanta che perfino nei cinema venivano piazzate delle televisioni; all’ora di inizio della trasmissione, la proiezione del film veniva interrotta e venivano accese le televisioni per poter far seguire “Lascia o raddoppia” alla gente. Roba veramente di altri tempi!

Le televisioni di allora avevano il tubo catodico, quindi erano dei gran cassettoni; lo schermo, che aveva una leggera curvatura, non superava i 19 pollici, ridicolo se paragonato ai 50 o più pollici delle televisioni moderne e al loro spessore ridottissimo. Le trasmissioni erano in bianco e nero e di qualità non perfetta e per garantire un buon funzionamento contro gli sbalzi frequenti di tensione, c’era bisogno dello stabilizzatore che stava sotto ogni apparecchio televisivo. Le trasmissioni erano solo della RAI che ebbe un solo canale, fino all’avvento del 2° canale, alla fine del 1961; Mediaset, Sky e tutte le

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emittenti private, che oggi sono conosciutissime, ancora non esistevano.

Quando frequentavo le scuole elementari alla E. De Amicis, quindi tra il ’55 e il ’60, in classe con noi c’era Umberto Urtis che abitava vicino alla scuola e che era uno dei pochissimi che allora possedeva la televisione. Ogni tanto ci invitava a casa sua per la TV dei ragazzi che iniziava alle 17 e che a quei tempi trasmetteva “Rin Tin Tin”, cane pastore-tedesco strepitoso, che viveva nel Far West con il suo padroncino e che insieme a lui affrontava ogni sorta di avventura . Per me e non solo, andare a casa di Umberto era una grande festa, perché le occasioni di vedere la televisione erano veramente poche e quindi quando avevamo la fortuna di essere invitati ci si divertiva veramente tanto.

Gli inviti oggi si fanno con il telefonino, diffuso ovunque e in mano di tutti, giovani e meno giovani; negli anni ’60 non era così, perché non solo il telefonino non esisteva, si diffonderà a partire dal 1990, ma anche il telefono fisso era una rarità. Lo possedevano negli uffici, nelle fabbriche, ma pochissime famiglie lo avevano in casa; esistevano i posti telefonici pubblici che costituivano un punto di riferimento per grandi aree. Nel caso rarissimo in cui qualcuno avesse cercato una famiglia, di solito per un lutto, la telefonata arrivava al posto pubblico, presso il quale un incaricato prendeva nota di chi aveva chiamato e fissava un appuntamento per una telefonata successiva; nel frattempo provvedeva ad avvertire quella famiglia, che si organizzava per inviare qualcuno, all’appuntamento telefonico. Tutto ciò era un grande disagio e quindi pensare a come oggi ognuno di noi possa con grandissima velocità e semplicità informare praticamente chiunque in ogni parte del mondo, dà una grande soddisfazione e fa scaturire un grande ringraziamento a tutti i tecnici che, nel corso di appena 40 anni hanno realizzato una rivoluzione come non era avvenuta in tanti secoli precedenti. La vita è completamente cambiata anche grazie allo sviluppo di questo apparecchio che, tanto scontato oggi, appena qualche decina di anni fa era impensabile e i contatti tra le persone erano estremamente difficili.

Apparecchio telefonico degli anni ‘60

E le vacanze? Oggi è del tutto naturale e veloce programmare una vacanza, in Italia o all’estero; le prenotazioni possono essere effettuate da casa, via Internet, dopo aver valutato in tutta comodità le varie opzioni acquistabili, paragonando prezzi, tempi e modalità di trasferimento. Anche per questo aspetto gli anni ’60 erano molto diversi e non soltanto alla Pieve. Come abbiamo ricordato, pochissime famiglie avevano il telefono, le automobili erano rare e il concetto di vacanza non era ancora diffuso. Spesso in

vacanza si andava solo se il medico prescriveva di cambiare aria, perché così facendo si dava al fisico la possibilità di stare in condizioni diverse dalle abituali e quindi si poteva sperare di far tornare l’appetito, o stroncare qualche febbriciattola persistente, specialmente nei bambini.

Se era prescritta la montagna si andava a Panicagliora o alla Femminamorta, perché non c’era la possibilità di affrontare lunghi viaggi per località più lontane; se invece bisognava andare al mare, la meta classica era Viareggio, abbastanza ben raggiungibile, anche da parte dei molti che non possedevano l’automobile, utilizzando il treno.

Si alloggiava in qualche pensioncina, oppure in una casa presso qualche famiglia e si faceva una vita molto rigorosa negli orari e nelle abitudini. La mattina si andava presto sulla spiaggia, si faceva un bagnetto alle 11 e, a mezzogiorno, si andava a casa per il pranzo; nel pomeriggio non si andava sulla spiaggia, perché sarebbe stato troppo stancante, ma si andava in pineta, dove si faceva qualche passeggiata,

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qualche giro con le biciclettine prese a noleggio e qualche volta, se eravamo stati proprio bravi, si andava al teatro dei burattini, dove venivano rappresentate le favole classiche. Una delle più rappresentate era sicuramente Cappuccetto Rosso, con il lieto fine del cacciatore che uccideva il lupo cattivo e faceva riemergere i buoni, cioè Cappuccetto Rosso e la nonna; oggi perfino questo finale non è più attuale e viene contestato dagli animalisti, perché non bisogna uccidere i lupi. Però 50 anni fa gli animalisti non esistevano e anche questa differenza tra due modi di pensare, apparentemente banale, volendo, potrebbe far scaturire qualche riflessione più profonda.

I giocattoli da spiaggia erano molto semplici ed immediati, si trattava essenzialmente di un secchiello colorato, di latta (la plastica non era ancora diffusa) e di un paio di palettine anch’esse di latta. I più fortunati potevano avere anche un sacchettino di biglie colorate di vetro che ci divertivamo a far rotolare sulla pista di sabbia preparata in precedenza con cura. L’alternativa alle biglie erano i tappini delle bibite, raccolti nel tempo e conservati religiosamente per poter fare le gare a chi li faceva arrivare prima al traguardo, con lo scatto del dito medio, fingendo che uno fosse Coppi, l’altro Bartali e qualcun altro degli eroi del pedale, degli anni ’50 e ‘60.

Molte altre cose della vita di allora, come il modo di vestire, le canzoni, i cantanti, i libri che si leggevano, gli elettrodomestici di casa, etc, potrebbero essere prese in considerazione per caratterizzare ancora meglio il nostro recente passato, però credo che questo racconto abbia già fornito una buona serie di spunti per coloro che, eventualmente, possano avere interesse per la storia dei nostri costumi e per la storia locale.

Se a qualche pievarino “adulto” venissero in mente episodi o particolari di vita per arricchire questi paragoni, la nostra Associazione sarebbe ben lieta di accogliere queste testimonianze e foto nel proprio sito, creato appositamente per archiviare ricordi pievarini, ad uso di tutti coloro che possano avere piacere di trattare questi argomenti, per studio o per semplice diletto.