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1 Le Messe di W. A. Mozart tra storia e analisi I. Ringraziamenti ………………………………………………… pag. 2 II. Introduzione ………………………………………………… pag. 6 III. La vita di W. A. Mozart e le composizioni sacre ………………. pag. 8 1. La Famiglia Mozart ………………………………….... Pag. 8 2. I primi viaggi all‟estero e le prime Messe (1768 1769) .. Pag. 10 3. I tre viaggi in Italia (1769 1773) ……………………… Pag. 16 4. Il ritorno a Salisburgo (1773 1776) ……………….. Pag. 25 5. Primi anni di maturità (1776 1778) ……………….. Pag. 37 6. Al servizio di Colloredo (1779 1781) ……………….. Pag. 41 7. Gli anni di Vienna (1781 1787) …………………….... Pag. 49 8. Gli ultimi anni (1790 1791) …………………………….. Pag. 53 9. Estetica ed evoluzione dello stile …………………….... Pag. 67 10. L‟ evoluzione dello stile nelle Messe ......…………… Pag. 71 11. La spiritualità di Mozart …………………………….. Pag. 76 IV. Analisi della Krönungsmesse ……………………………………. Pag. 81 V. Conclusioni ………………………………………………………… Pag. 120 VI. Analisi, struttura e commento delle mie composizioni: Gloria e Sanctus in stile mozartiano ……………………………… Pag. 123 VII. Appendice ………………………………………………………… Pag. 139 1. Elenco Messe di Mozart …………………………………….. Pag. 139 2. Spartito delle mie composizioni Gloria e Sanctus in stile mozartiano ……………………….. Pag. 140 3. Autografi di alcune parti di Messe di Mozart ………….. Pag. 141 VIII. Bibliografia ………………………………………………………….. Pag. 142

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Le Messe di W. A. Mozart tra storia e analisi

I. Ringraziamenti ………………………………………………… pag. 2

II. Introduzione ………………………………………………… pag. 6

III. La vita di W. A. Mozart e le composizioni sacre ………………. pag. 8

1. La Famiglia Mozart ………………………………….... Pag. 8

2. I primi viaggi all‟estero e le prime Messe (1768 – 1769) ….. Pag. 10

3. I tre viaggi in Italia (1769 – 1773) ……………………… Pag. 16

4. Il ritorno a Salisburgo (1773 – 1776) ……………….. Pag. 25

5. Primi anni di maturità (1776 – 1778) ……………….. Pag. 37

6. Al servizio di Colloredo (1779 – 1781) ……………….. Pag. 41

7. Gli anni di Vienna (1781 – 1787) …………………….... Pag. 49

8. Gli ultimi anni (1790 – 1791) …………………………….. Pag. 53

9. Estetica ed evoluzione dello stile …………………….... Pag. 67

10. L‟ evoluzione dello stile nelle Messe ......…………… Pag. 71

11. La spiritualità di Mozart …………………………….. Pag. 76

IV. Analisi della Krönungsmesse ……………………………………. Pag. 81

V. Conclusioni ………………………………………………………… Pag. 120

VI. Analisi, struttura e commento delle mie composizioni:

Gloria e Sanctus in stile mozartiano ……………………………… Pag. 123

VII. Appendice ………………………………………………………… Pag. 139

1. Elenco Messe di Mozart …………………………………….. Pag. 139

2. Spartito delle mie composizioni

Gloria e Sanctus in stile mozartiano ……………………….. Pag. 140

3. Autografi di alcune parti di Messe di Mozart ………….. Pag. 141

VIII. Bibliografia ………………………………………………………….. Pag. 142

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I. RINGRAZIAMENTI

La prima volta che ho iniziato a suonare uno strumento musicale è stata ad Ausonia

(FR), ero in pellegrinaggio con mia nonna Antonia, presso il santuario di Madonna

del Piano, all‟età di circa sette anni. Lì mi comprò una mini „pianolina‟ tascabile (che

conservo ancora), al costo di 5.000£, e con cui, oltre a suonare le cose scritte in un

minuscolo foglietto illustrativo, ho ritrovato la prima „canzone‟: la sigla della

pubblicità della pasta Barilla!

Da lì è iniziata la mia esperienza musicale, che continua ancora oggi con

maggiore passione e consapevolezza di prima.

La prima persona che desidero ringraziare è Lei, e sò che da qualche parte

lassù ancora si siede per ascoltarmi mentre suono il pianoforte.

Il ringraziamento più grande va ai miei genitori, Luigi e Lorenza (Loreta), i

quali hanno fatto dei sacrifici ENORMI per permettermi di seguire le lezioni in

conservatorio, basti ricordare tutti i pomeriggi che hanno trascorso sotto la sede

dell‟Alberata, e quelli passati sotto la sede di via Fabi, a farmi i riassunti per la

scuola (che io poi copiavo), al ripetermi la storia che non avevo a volte tempo di

ripassare, ai ricami all‟uncinetto.

Il mio ringraziamento va a Loro perché mi hanno sempre sostenuto, in ogni

mia scelta, ricordandomi i doveri e facendomi notare all‟occorrenza ciò che era giusto

e ciò che era sbagliato, ma lasciando sempre a me la decisione finale. Anche dai

propri errori si trae insegnamento. Per questo non finirò mai di dire loro GRAZIE.

Voglio ringraziare mio fratello Marco, che mi ha aiutato a crescere, e che

partecipava con me alle prove del coro G. P. da Palestrina di Pofi, che non mi ha mai

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chiesto di non suonare perché doveva studiare, perché mi ha sopportato per tanti anni.

Se penso a mio fratello non posso che pensare a mia cognata Laura. Insieme mi

hanno fatto provare la bellissima esperienza di essere zio di una bellissima

principessa di nome Sara, che a soli due anni e mezzo è un‟artista nata! Balla, canta,

dirige e suona il pianoforte…All‟inizio con i pugni, ora a mano aperta, ma spero un

giorno inizi con le dita! Chissà che anche il prossimo nipotino non sia un artista…Li

ringrazio anche perché sono sempre stati disponibili con me, e mi sono venuti sempre

incontro, specialmente nei momenti di bisogno.

Voglio ringraziare mio nonno Rocco (86 anni!), forse è da lui che ho preso la

„vena artistica‟, ancora oggi mentre suono, mi viene vicino e mi chiede:- La conosci

quella che fa…- Così mi intona le prime note, e poi inizia a cantare mentre io lo

accompagno al pianoforte, lo ringrazio anche per le partite a carte che ci facciamo per

distrarmi un po‟ dallo studio.

Voglio ringraziare mio nonno Umberto, anche lui mi distraeva dallo studio con

le carte, ed era uno spettacolo vederlo giocare con nonno Rocco, e mi ha fatto

conoscere le meraviglie del Mondo, tutti i giorni, alle 18.00 con Geo&Geo mentre

svolgevo i compiti di scuola, …Sono sicuro che da lassù si siede vicino a mia nonna

Antonia per ascoltarmi.

Ringrazio i miei amici di sempre, quelli con cui sono cresciuto, mi hanno

distratto nei momenti di maggiore stress.

Ringrazio gli amici del Conservatorio, nelle giornate di lezione, e nei momenti di

pausa, indimenticabili restano i momenti passati a „scoprire‟ nuove forme musicali, e

nuovi aspetti di autori ed opere che fanno parte del nostro patrimonio musicale,

nonché i momenti di pura goliardia.

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Ringrazio di cuore il Conservatorio, questa istituzione che mi ha accompagnato

dalla seconda media fino ad oggi; mi ha dato la possibilità di fare esperienze uniche

nel loro genere e di conoscere insegnanti meravigliosi che non sono stati solo maestri

di musica, sono stati anche Maestri di vita. Se oggi sono così è anche merito loro.

Parlando della Musica Corale non posso non ricordare e ringraziare il M° Pio

di Meo, con lui ho passato tante ore, non solo come cantore, ma come amico. Pur

essendoci un po‟ persi di vista negli ultimi tempi, la sua presenza è sempre stata con

me, e ad ogni spiegazione che faccio al mio coro, non posso non citarlo per gli

insegnamenti ricevuti. Grazie Maestro, spero che sia soddisfatto di me.

Il più grande ringraziamento va alla mia insegnate la M° Colomba Capriglione

relatrice di questa tesi, guida sicura, certa, amica, dotata di infinita pazienza e

competenza, dalla quale ho attinto le arti del contrappunto e della composizione

vocale e strumentale. In lei ho trovato conforto nei momenti di smarrimento, e

sempre aveva la parola giusta o la soluzione giusta per risolvere un problema, sia

prettamente „scolastico‟ che non. Ha trovato sempre „cinque minuti‟ (che poi erano

ore intere) per ascoltarmi ed aiutarmi a superare le situazioni più difficili.

Professoressa La ringrazio per avermi accolto nella sua classe ed avermi

accompagnato prima al Diploma, ed ora a quest‟ ultimo traguardo.

Ringrazio la M° Teresa Chirico, correlatrice di questa tesi. Con lei ho imparato

a fare le ricerche storiche, riassumere, sintetizzare tutto il materiale e dare una

sequenza organica al discorso. La ringrazio perché anche lei è stata molto paziente

con me, che per qualsiasi dubbio sollevavo la cornetta e chiamavo per avere

chiarimenti sul da farsi, ed ha impiegato il suo tempo per fare le ricerche del caso.

Grazie „Prof‟!!!

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Ringrazio i colleghi di lavoro, che hanno cercato di agevolarmi nella frequenza

delle lezioni in Conservatorio facendomi il „cambio turno‟, rinunciando a volte, ai

loro momenti di vita privata.

Ringrazio la mia collega ed amica Cinzia, che mi ha dato una mano con le

traduzioni dal tedesco e dall‟inglese…In questa tesi c‟è anche una parte di lei.

Ringrazio tutti gli amici che oggi partecipano al coro, quelli della parrocchia di

S. Sosio, quelli di Ceccano, quelli del coro Alitalia e del Conservatorio. Li ringrazio

per la pazienza che ogni volta dimostrano nei miei confronti…Se sono qui oggi è

anche merito vostro.

Ringrazio Francesco, che mi ha aiutato a trascrivere „al computer‟ lo spartito

del Gloria e del Sanctus, e che oggi si presta ad accompagnare il coro al pianoforte,

insieme agli amici Alfredo, Carmen, Fabio, Francesca, che cantano da solisti per il

Gloria. Senza il loro apporto non sarebbe stata possibile l‟esecuzione „dal vivo‟.

In ultimo perché più importante, perché senza una grandiosa fine si

vanificherebbe tutto ciò che c‟è prima, voglio ringraziare Sara, la donna della mia

vita, che ogni giorno, ogni momento, ogni attimo mi sopporta e mi supporta. Si dice

che un grande uomo non è nulla senza una grande donna accanto. Io forse non sono

un grande uomo, ma tu sei sicuramente una grande donna. Con te ho deciso di

diventare un‟unica carne, e dal nostro amore sta nascendo un piccolo ometto, Valerio,

e non passa giorno che non ringrazio Dio per averci fatto incontrare e averci fatto

dono di questa meraviglia. Ti amo.

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II. INTRODUZIONE

Mozart, come è noto, è uno dei compositori più trattati dalla musicologia; esprimere

nuove idee sulla sua produzione sarebbe veramente arduo. Nonostante ciò, ho scelto

di incentrare la mia tesi sulla musica del grande compositore, e in particolare sulle

sue Messe, spinto, oltre che da una grande ammirazione per quel repertorio, dalla mia

formazione di musicista.

A questa scelta ha contribuito anche la visione del noto film AMADEUS di

Miloš Forman, che mi ha particolarmente affascinato e spinto ad approfondire la

conoscenza della musica sacra di Mozart, che costituisce gran parte della sua vasta

opera.

Altro aspetto che mi ha avvicinato a questo grande compositore è il binomio

Cristianità – Massoneria, due pensieri opposti che sembrano convivere in maniera

naturale in Mozart.

Partendo dalla nascita di Mozart, dalle prime esperienze musicali, dal periodo

storico in cui ha vissuto, ho fatto un escursus storico – musicale che va dalla prima

composizione, l‟Andante K 1A al Requiem K 626, sintetizzando le vicissitudini

dell‟uomo in relazione alla musica composta nei diversi periodi che hanno scandito la

vita del Maestro.

Dall‟analisi delle Messe di Mozart, nello specifico della Messa

dell‟Incoronazione K 317, cogliendo gli aspetti più caratteristici del suo stile

compositivo, ho creato un Gloria ed un Sanctus rispecchiando il più possibile (nella

riduzione per pianoforte, coro e solisti), quello che è lo “stile mozartiano” che si

incontra nelle sue Missae Brevis.

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Si potrà notare un‟evoluzione stilistica che, mentre in ogni altro compositore si

è avuta nel corso naturale di una vita intera, in Mozart avverrà nell‟arco di un

trentennio, ed ancora più sconcertante è la consapevolezza della fine imminente, che

diventa ancora più drammatica se la si vede inserita nel periodo in cui la sua fama

iniziava a crescere.

Mozart, oltre a concludere un' epoca, è il messaggero di una nuova era artistica:

l'aggraziata scrittura rococò si trasforma nell' armoniosa temperie dello stile del

classicismo viennese. Una maestria infallibile, talvolta travestita da semplicità, gli

permise di trattare alla stessa eccezionale altezza tutte le forme e tutti i mezzi sia

vocali sia strumentali, e di creare una sfera emotiva dove il melodramma si nutre di

sinfonismo, potenziando il canto, anziché opprimerlo, e apparentando le opere teatrali

alle Messe e ai concerti in una sintesi mai più raggiunta.

Voglio citare Karl Barth, uno dei maggiori teologi il quale ha scritto quattro

brevi articoli su Mozart. Famosa è la sua espressione sulla musica di Mozart e di

Bach in Paradiso: - Forse gli angeli, quando sono intenti a rendere lode a Dio,

suonano musica di Bach, ma non ne sono del tutto sicuro; sono certo invece, che

quando si trovano fra loro suonano Mozart ed allora anche il Signore trova particolare

diletto ad ascoltarli. -

Non posso che concordare con tale affermazione.

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III. LA VITA DI MOZART E LE COMPOSIZIONI

SACRE

1. La famiglia Mozart

Mozart nacque a Salisburgo il 27 gennaio 1756, fu battezzato nella cattedrale

di San Ruperto il giorno dopo della sua nascita come Joannes Chrysostomus

Wolfgangus Theophilus. I primi due nomi derivano dal fatto che il 27 gennaio era la

festa di San Giovanni Crisostomo, mentre Wolfgangus era il nome del nonno materno

e Teofilo un nome del suo padrino, il commerciante Joannes Teofilo Pergmayer.

Figlio di Leopold, maestro di cappella presso il principe arcivescovo di

Salisburgo, il piccolo Mozart mostrò precocemente prodigiose doti musicali tanto che

fu avviato allo studio del cembalo e poi del violino a soli quattro anni; a cinque anni

risalgono le sue prime composizioni: minuetti e brevi allegri di sonata pianistica

scritti in forma binaria nello stile del Notenbuch, furono riportate dal padre, fiero del

suo allievo, nell'album di Nannerl, la sorella maggiore di Wolfgang con spiccate

attitudini musicali (il cosiddetto Nannerl Notenbuch iniziato nel 1759), che vi appose

qualche ritocco (Andante K 1A e Allegro K1B).

Mozart ereditò dal padre non solo le doti musicali, ma anche acuta intelligenza

e capacità d'osservazione, un'alta coscienza del dovere, perseveranza nel

raggiungimento di un fine e inflessibile impegno nel lavoro, ma anche un

atteggiamento contraddittorio nella vita, un insieme di socievolezza e di ritrosia, che

fu una delle cause del suo tragico destino. Mentre il padre attuò un compromesso fra

l'austero cattolico e il libero pensatore illuminista, nel figlio questo dissidio fu

mitigato dall'influsso (e dal carattere) della madre, Anna Maria Pertl (1720-78).

Orfana in tenera età di un salisburghese, capitano distrettuale in servizio a Hullenstein

presso St. Gilgen, assolse molto bene la sua missione di mediatrice fra padre e figlio,

trasmettendo al figlio quella ricchezza di fantasia e di sentimenti, quell'ironia e

giocondità che lo contraddistinsero come uomo e come artista. Il trombettista di corte

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Johann Andreas Schachtner, amico di famiglia, si avvide del genio precocissimo del

fanciullo, che possedeva un orecchio infallibile, una sorprendente capacità di

apprendimento e si entusiasmava per le opere d'arte. Anche la cappella di corte di

Salisburgo, che annoverava ragguardevoli compositori, esercitò un notevole influsso

sul fanciullo. Il maestro di cappella Johann Ernst Eberlin fu uno dei primi influenti

sulla formazione musicale del piccolo Mozart. Eberlin era ancora legato, nella musica

sacra, alla severa polifonia barocca, mentre nella musica strumentale, negli oratori e

nelle opere scolastiche era già attratto dallo stile galante napoletano; all'età di cinque

anni, Mozart comparve per la prima volta sul palcoscenico dell'aula universitaria di

Salisburgo, cantando come corista nell'opera Sigismundus Hungariae Rex di Eberlin.

Anche altri musicisti furono importanti per la formazione del piccolo Mozart.

L'organista Anton Cajetan Adlgasser, allievo di Eberlin, autore di numerose

composizioni strumentali e sacre, primo compositore per gli spettacoli universitari,

era stato nel 1764-65 in Italia, dove aveva subito fortemente l'influsso di Paisiello,

Piccinni, Sarti e di altri. Infine bisogna ricordare l'influenza del fratello di Joseph

Haydn, Michael, la cui importanza come autore di sinfonie e opere teatrali fu per

lungo tempo sottovalutata. Queste impressioni infantili si possono rintracciare nelle

composizioni del giovane Mozart, nelle messe, nei divertimenti, nelle opere teatrali

fino all'Idomeneo.

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2. I primi viaggi all’estero e le prime Messe (1768 – 1769)

Leopold pensò di sfruttare molto presto le qualità precoci dei due figli. Nel gennaio

1762 la famiglia Mozart si recò alla corte dell'elettore di Monaco di Baviera, dove i

due piccoli musicisti diedero un concerto suscitando stupore e ammirazione; la riso-

nanza fu tale che furono invitati a esibirsi, nel settembre successivo, a Vienna alla

corte di Maria Teresa.

Nel 1763 i Mozart iniziarono un giro di concerti che li condusse in Germania, in

Olanda, in Belgio, quindi a Parigi, dove il fanciullo prodigio sbalordì musicisti e

letterati. A Versailles il ragazzo conobbe la musica sacra francese e ricevette una

profonda impressione dalla cappella del principe Conti, diretta da François-Joseph

Gossec, già allora molto apprezzato come compositore di quartetti.

Nel 1764 Wolfgang soggiornò a Londra, dove fece la conoscenza di Johann

Christian Bach, il figlio più giovane di Johann Sebastian, maestro di cappella a corte

e una delle figure di primo piano della vita musicale londinese: sotto la sua influenza,

Mozart compose le sue prime sinfonie (KV 16, KV 19 e KV 19a) ed ebbe i primi

contatti con il melodramma italiano grazie a un nutrito gruppo di compositori (F.

Giardini, M. Vento, G. B. Cirri, C. Graziani, P. D. Paradies, ecc.), che esercitarono

una profonda influenza su di lui, ed ascoltò opere di Piccinni e Calappi; scarsa

influenza ebbero invece i concerti tradizionali di musica sacra e d‟opera di Händel, il

culto della musica rinascimentale e barocca della «Academy of Ancient Music» e

l'opera inglese (Th. Arne).

Un'altra sinfonia seguì durante il soggiorno a L'Aja, nel viaggio di ritorno (KV

22).

Le speranze riposte da Leopold nei viaggi si erano per la maggior parte realizzate.

Oltre al guadagno ricavato, in tutto il mondo si parlava finalmente dei due prodigiosi

fanciulli – i quali però furono presto dimenticati rispetto alle aspettative di Leopold -.

Wolfgang per la prima volta aveva preso coscienza delle proprie capacità

creative, ed aveva potuto accrescere la sua tecnica compositiva.

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Dopo poco più di nove mesi trascorsi a Salisburgo, dedicati a diligenti studi e a

un'assidua attività creativa, i Mozart partirono per Vienna nel settembre 1767, dove

restarono per quindici mesi, escluso un intervallo di dieci settimane trascorse a Brno

(Brünn) e Olomuc (Olmütz) nella speranza di evitare il vaiolo, ma i bambini

contrassero ugualmente la malattia. Ritornati nella città imperiale (gennaio 1768), per

un anno intero Leopold si adoperò per far rappresentare la prima opera buffa del

figlio, La finta semplice K 51, che però, a causa di dissidi con l‟appaltatore e

impresario del Teatro di Corte Giuseppe Affligio, non fu eseguita.

In compenso ebbe luogo a corte un concerto nel quale fu eseguita una delle

quattro sinfonie che Mozart aveva composto in quell'anno; poi, nel dicembre del 1768

furono commissionati a Mozart da Anton Mesmer un Singspiel tedesco in un atto,

Bastien und Bastienne (KV 50), che fu rappresentato privatamente a casa del dottor

Franz Anton Mesmer, l‟inventore della „terapia del magnetismo‟ (poi parodiato in

Così fan tutte).

Grazie ad una vecchia conoscenza salisburghese, il gesuita Ignaz Parhammer,

<<persona grata>> alla corte di Vienna, che aveva trasformato l‟Orfanotrofio in un

istituto musicale, Mozart ricevette dall‟imperatore l‟incarico di comporre una Messa

Solenne, con relativo Offertorio, per la consacrazione della nuova Chiesa

dell‟Orfanotrofio stesso.

Il 7 dicembre 1768, alla presenza della corte imperiale e di un foltissimo

pubblico, Mozart diresse la sua messa.

Circa l‟identità della Waisenhousmesse, i musicologi non hanno ancora fatto

chiarezza. L‟annotazione di Leopold nel suo catalogo dell‟anno 1768 “eine grosse

Messe mit 4 Singistimm 2 Violin 2 2 Hautb. 2 Viole, 4 Clarinis, Tymp. Ecc” si

riferisce senza possibilità di dubbio alla Missa Solennis k 139 (47a)

“Festmesse”collocata in data posteriore dalle prime edizioni Köchel.

Malgrado il Kyrie introduttivo in do minore non è una messa funebre (Einsten,

pp. 426 sg; W Kurthen, in <<ZFMWI>>, III, pp. 209 sg.) e non può quindi essere la

messa di Requiem per la morte dell‟arcivescovo Sigismund von Schrattenbach. Il do

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minore qui non significa altro che una esaltazione della solennità. All‟ambiente di

Vienna fa pensare soprattutto l‟organico, con due parti di viola, strumento non in uso

nella musica per il duomo di Salisburgo, e con quattro clarini. Se quest‟opera sembra

troppo matura, la si confronti con il Veni Sancte Spiritus K 47 composto sicuramente

a Vienna durante lo stesso periodo, e con la Dominicus Messe K 66, ritenuta da alcuni

studiosi la Waisenhausmesse. Secondo Shenk quest‟opera sarebbe da identificarsi in

un frammento di Messa (kyrie, Gloria, Sanctus) ritrovato da W. Senn nel convento

cistercense tirolese di Stam; ma tale tesi manca di argomenti persuasivi. La piccola,

anche se melodicamente deliziosa ed espressiva Missa Brevis k 49 non può essere

presa in considerazione come possibile Waisenhousmesse, non fosse per il suo

organico strumentale (solo archi e organo). Le messe “espressive” di Mozart si

differenziano assai da quelle di tipo “solenne”, ufficiale, anche se le caratteristiche

umane, personali delle prime possono talvolta emergere pure nel corso di una grande

messa. Il mottetto corale (Offertorio) Benedictus sit Deus k177=66a appartiene alla

Dominicusmesse e non alla Waisenhousmesse.

Lo stile chiesastico viennese, in contrasto con la più severa tradizione

salisburghese, amava la fastosa prolissità, e si distingueva per la presenza, non

sempre omogenea, di elementi più antichi, contrappuntisticamente rigorosi, con altri

omofoni dell‟arte napoletana contemporanea, chiesastica ma di gusto teatrale.

Anche le Messe del giovane Mozart si muovono nell‟ambito di questo

singolare stile misto, tipico del barocco e assai lontano dalla purezza antica della

musica sacra. Conformemente al carattere e alle proporzioni, prevalgono in esse ora

la mentalità più antiquata, il linguaggio orchestrale più sobrio di Eberlin o Leopold,

ora le maniere dei maestri italiani, tendenti ai grandi effetti solistici e strumentali.

Alla prima specie appartengono le due piccole Messe in sol maggiore e in re

minore K49 e K65, mentre nella Messa Solenne in Do Maggiore “ Pater Dominicus”

K 66, composta nell‟ottobre del 1769 per la prima messa dell‟amico Dominik

Hagenauer, riaffiorano di nuovo parecchie reminiscenze dello stile chiesastico di

Hasse, pieno di abbellimenti e di gorgheggi.

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Si sa molto poco circa la composizione della Messa in sol maggiore K 49, tranne

che sembra essere stata composta a Vienna tra l'ottobre e il novembre 1768, il cui

organico orchestrale è per soli archi e continuo. Il Kyrie, nel tempo di Adagio in 4/4,

si apre con il coro che ha una moderata scrittura imitativa, per poi passare, a battuta 6,

nel tempo di ¾ in Andante, in cui la scrittura delle voci resta pressoché uguale, con

alternanze di omoritmia tra le voci. Il Gloria, allegro in 4/4, inizia con le parole „et in

terra pax hominibus‟, in quanto le parole Gloria in excelsis Deo erano intonate dal

sacerdote. In questo brano compaiono i solisti, prima il soprano al „Laudamus te‟, poi

il tenore al „Domine deus‟, seguono poi il basso e il contralto al „Domine Fili‟. Il

brano si chiude con un breve fugato al „Cum Sancto Spiritu‟. La scrittura orchestrale

è più concitata rispetto al Kyrie. Il Credo come il Gloria è privo delle parole iniziali

„Credo in unum Deum‟, che anche in questo caso sono intonate dal sacerdote e prese

dalla messa Missa Sancti Henrici di Biber . Il coro entra sulle parole „Patrem

omnipotentem‟ in omoritmia, con l‟orchestra che accompagna con ribattuti come

nello stile italiano. Al „descendit‟ c‟è una figurazione melodica discendente imitata

tra le voci, creando la figura retorica della catabasi, atta a rappresentare

musicalmente la discesa di Gesù sulla Terra. All‟ Et incarnatus est si va nel tempo di

2/2 poco adagio, con coro in omoritmia e orchestra sempre con ribattuti. Torna

Allegro in 4/4 al et resurrexit, mantenedo lo stile iniziale. Un intervento del basso

solo si ha sul Et unam Sanctam, fino a „per prophetas‟ nel tempo di Andante in 3/4,

cui segue di nuovo l‟intervento del coro al „Et unam Sanctam‟ , 2/2 in allegro. Un

fugato finale al „Et in vitam venturi Seculi Amen‟ chiude il Credo. Il Sanctus,

Andante in ¾, si apre con il coro in omoritmia, varia poi in Allegro al „Pleni sun coeli

et Terra‟, per chiudersi con un breve fugato all‟ Osanna in excelsis nel tempo di

allegro in 2/2. Ai solisti è affidato il Benedictus (Andante in ¾), con ripetizione

dell‟Osanna del coro a chiusura. L‟Agnus Dei, nel tempo di Adagio in 2/2 si apre con

il coro in omoritmia e orchestra che accompagna con i ribattuti. Il Dona nobis pacem

è scritto in 3/8 allegro, e sembra un Rondò.

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Einstein scrive: "Già la Messa in sol maggiore di Mozart aveva percepito il

problema principale nella composizione del Gloria e del Credo: unificare questi

lunghi movimenti ricchi di contrasti. Soprattutto nel Gloria aveva fornito un esempio

stupefacente di tale unificazione: non impiegando altro che una figura dei violini

reiterata, in rapporto a tutti i motivi melodici ". Stanley Sadie prende atto che questa

Messa è "del genere preferito ogni giorno per l'uso liturgico, ma ha una sola, breve

fuga, e la sua caratteristica più interessante è il coro al Et incarnatus, nonché una

luce, una consistenza eterea e un trattamento cromatico del passus et sepultus est".

La Messa K 65 è stata composta a Salisburgo nel 1769 (la data riportata è 14

gennaio 1769), questo lavoro "stupefacente", come scrive Alfred Einstein, è stato

scritto nella "chiave insolita" di re minore, perché è una messa quaresimale. La prima

rappresentazione avvenne nella Chiesa Collegiata di Salisburgo il 5 febbraio per

l'avvio delle Quarantadue ore di passione.

Graham Dixon scrive: "L'impostazione cromatica del Benedictus è stata creata per

lodare il Signore". Il manoscritto della Messa ne rivela due precedenti in cui Mozart

ha fatto dei tentativi per l'impostazione del testo, prima di scrivere la terza versione

che può anche aver aggiunto alcuni anni dopo. La Messa è conforme allo stile della

Missa brevis, in cui alcune frasi del testo del Credo sono 'incastrate': questo significa

che le varie sezioni del testo si sovrappongono ad altri per ragioni di brevità. Un altro

termine per il testo "incastrato", naturalmente, è "politestualità", il cui uso fu

apprezzato dal successivo Arcivescovo di Salisburgo, il conte Hieronymus Colloredo.

A Mozart non occorrevano che le esperienze acquisite, nonché la naturale

maturazione dell‟età, per portare al culmine del magistero gli elementi assimilati e

quelli suoi propri.

Questo processo evolutivo compiutosi nei dieci anni successivi sfatò l‟antica

leggenda della perfezione assoluta, del perfetto equilibrio precocemente raggiunti. E‟

sintomatico che i fremiti dello Sturm und Drang lo cogliessero all‟età di quasi

vent‟anni, quindi non troppo presto. Anche prima di allora Mozart si era già

indubbiamente portato al livello della migliore arte del proprio tempo. Ma quella

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nuova svolta lo arricchì tanto da fare della sua arte il modello ideale, universale, di

un‟epoca storica e artistica.

I successi artistici del viaggio a Vienna non mancarono di ripercuotersi a

Salisburgo. Giustamente fiero del suo giovane suddito, il principe arcivescovo

Sigismund fece rappresentare La finta semplice K 51 nel Teatro di Corte, benché non

disponesse di elementi adatti a un‟opera comica.

La finta semplice K 51 venne rappresentata l'anno seguente, 1769, nel palazzo

dell'arcivescovo a Salisburgo. Nell‟ ottobre del 1769 Mozart, non ancora

quattordicenne, fu nominato Konzertmeister onorario senza stipendio presso la corte

arcivescovile salisburghese, e insieme gli venne concessa la licenza per un viaggio in

Italia.

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3. I viaggi in Italia (1769 – 1773)

Verso la fine dello stesso anno, intraprese con il padre il suo primo viaggio artistico

in Italia (13 dicembre 1769 – 28 marzo 1771), destinato ad avere un'importanza

fondamentale nello sviluppo della sua personalità: Verona, Mantova, Milano,

Bologna, Firenze, Roma, Napoli furono le principali tappe di questo importante

viaggio.

Mozart non era stato chiamato in Italia per comporre Messe, ma i tre viaggi in

Italia (1769-1773), separati da due rientri a Salisburgo, che durarono poco più di un

anno, non mancarono di produrre altri tipi di composizioni sacre. Due delle più

interessanti sono le composizioni dell‟antifona mariana Regina Coeli K108, una in do

maggiore, che compose a Salisburgo nel maggio 1771, l‟altra composta un anno

dopo, datata Salisburgo 1772 in si . L‟esposizione del primo movimento appare in

forma di concerto. Entrambe le antifone richiedono un “capace” soprano solista che

canti fino ad un si ed un si acuto, e da una nota tardiva di Leopold Mozart, possiamo

dire che l‟unico solista in grado di farlo fu Maria Magdalena Lipp (lettera del 12

aprile 1778). Più lirico anche delle due antifone Mariane, è il famosissimo mottetto

Exsultate jubilate, scritto a Milano nel gennaio 1773, per Venanzio Rauzzini,

castrato, il primo uomo in Lucio Silla. Altre composizioni per la Chiesa scritte per

Salisburgo, tra i periodi italiani, includono due serie di litanie, le corte Litaniae

Lauretenae BVM, K109, composte nel maggio 1771, e le molto più lunghe Litaniae

de Venerabili Altaris Sacramento, K125, composte nel marzo 1772. Entrambe sono

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in sib, e la seconda richiede trombe in si , uno strumento raramente usato da Mozart

(eccetto che nel Lucio Silla).

A Rovereto e a Verona Wolfgang fu nominato maestro di cappella onorario

dell'Accademia Filarmonica e fu ritratto da Saverio della Rosa (il dipinto era stato

attribuito, in un primo tempo, a Cignaroli); qui ascoltò per la prima volta un'opera

italiana nel paese d'origine e partecipò ai divertimenti del carnevale.

A Mantova il Teatro Scientifico, appena finito (oggi situato presso l'Accademia

Virgiliana), fu inaugurato con un trionfale concerto di Mozart. A Milano conobbe N.

Piccinni e fu «scritturato» per la composizione di Ascanio in Alba. Dal 1769 al 1773

Wolfgang viaggiò con il padre per l'Italia, a varie riprese, soggiornando a Torino,

Milano, Verona, Venezia, Bologna, Roma e Napoli.

I soggiorni milanesi diventarono una importante esperienza formativa: Mozart

rimase a Milano complessivamente per quasi un anno della sua breve vita. Incontrò

musicisti (Johann Adolph Hasse, Niccolò Piccinni, Giovanni Battista Sammartini,

Johann Christian Bach e forse anche Giovanni Paisiello), cantanti (Caterina Gabrielli)

e scrittori (Giuseppe Parini, che scrisse per lui alcuni libretti).

Hasse rimase molto colpito dalle capacità del giovane Mozart, tanto che disse:

« Questo ragazzo ci farà dimenticare tutti. »

Lasciò Milano il 15 marzo 1770, per tornarci più volte. Arrivato a Lodi, sulla

strada per Parma, scrisse le prime tre parti del primo Quartetto KV 80 (Adagio,

Allegretto e Minuetto), sotto l'influsso della scuola strumentale italiana (Sammartini),

il Rondò fu scritto più tardi, forse a Vienna (1773) o a Salisburgo (1774). A Parma

ebbe l'occasione di assistere ad un concerto privato della celebre soprano Lucrezia

Agujari, detta “La Bastardella” da cui ricevette istruzioni sul bel canto.

Un altro importante soggiorno fu quello di Bologna (in due riprese, da marzo

ad ottobre 1770). Ospite del conte Gian Luca Pallavicini, ebbe l'opportunità di

incontrare musicisti e studiosi (dal celebre castrato Farinelli ai compositori Vincenzo

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Manfredini e Josef Mysliveček, fino allo storico della musica inglese Charles Burney

e padre Giovanni Battista Martini). Mozart prese lezioni di contrappunto da padre

Martini e sostenne l'esame per l'aggregazione all'Accademia Filarmonica di Bologna

(allora titolo ambitissimo dai musicisti europei). Sebbene non avesse l'età prescritta

dallo statuto, era stato nominato membro dell'Accademia grazie al benevolo appoggio

del dotto padre Martini, che con le sue lezioni aveva risvegliato in lui un vivo

interesse per il contrappunto.

A Firenze suonò insieme a Nardini e Campioni; le persone più in vista

gareggiavano nel dimostrare la loro benevolenza al ragazzo, come succederà più tardi

a Roma, dove egli rimase impressionato soprattutto dai concerti della Settimana

Santa.

Famoso è l‟episodio a Roma in cui Mozart dà una straordinaria prova del suo

genio: ascolta nella Cappella Sistina il Miserere di Gregorio Allegri e riesce

nell'impresa di trascriverlo interamente a memoria dopo solo due ascolti. Si tratta di

una composizione a nove voci, apprezzata a tal punto da essere proprietà esclusiva

della Cappella pontificia, tanto da essere intimata la scomunica a chi se ne fosse

impossessato al di fuori delle mura vaticane. L'impresa ha i caratteri dello

sbalorditivo, se si pensa all'età del giovanissimo compositore e alla incredibile

capacità mnemonica nel ricordare un brano che riassume nel proprio finale ben nove

parti vocali.

Dopo tale impresa i salisburghesi si recarono a Napoli, dove soggiornarono per

sei settimane e dove la proverbiale scaramanzia partenopea attribuiva all'anello che

portava al dito il compositore la genesi delle sue incredibili capacità musicali, tanto

che egli fu costretto a toglierselo.

Ma a parte la scaramanzia, Napoli nel 1770 era la capitale della musica oltre

che quella di un regno, e i Mozart ebbero modo di sondare il terreno della produzione

musicale napoletana. Amadeus era attratto dagli innovatori della musica a Napoli:

Traetta, Cafaro, Francesco De Majo e principalmente Paisiello. Da Paisiello -

secondo Albert - il giovane Mozart doveva apprendere diversi aspetti “[…] sia per i

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nuovi mezzi espressivi sia per l'uso drammatico-psicologico degli strumenti. Mozart a

Napoli viene ad imparare, tuttavia la città lo ignora nonostante i positivi riscontri

ottenuti durante il soggiorno a Bologna e a Roma.

Ferdinando IV di Borbone, all'epoca diciottenne, non lo riceve a corte se non in

una visita di cortesia presso la Reggia di Portici. Per Mozart non arriva nessuna

scrittura nei Teatri napoletani, nessun concerto alla corte della Capitale della

Musica.”

Nel viaggio di ritorno ricevette dalle mani del papa Clemente XIV l'ordine dello

«Sperone d'oro» di prima classe. Nell'estate del 1770 compose l'opera Mitridate, re di

Ponto K 87 nella residenza di campagna dei Pallavicini «Alla Croce del Biacco»

presso Bologna, dove era giunto dopo essere passato per Civita Castellana, Loreto,

Senigallia, Imola. L‟opera fu rappresentata a Milano con grande successo nel

dicembre 1770.

Le impressioni di questo lungo viaggio in Italia furono decisive per il

successivo sviluppo di Mozart. Appassionato del paese e degli uomini, ma soprattutto

della musica mediterranea, egli ne trasse gli elementi essenziali per il proprio svi-

luppo. Il suo credo estetico rimase d'allora in poi quello del bello stile, che subordina

il caratteristico al bello. La sua tecnica si nutriva ora di tutte le grandi conquiste della

musica occidentale: dalla polifonia rinascimentale e dalla piatta omofonia barocca di

un Allegri, di cui aveva ascoltato nella Cappella Sistina il Miserere, all'opera seria

napoletana di Hasse e all'opera buffa dei grandi maestri napoletani, senza dimenticare

la musica clavicembalistica, da camera e strumentale italiana. Egli fonderà tutti questi

elementi in un riuscito sincretismo stilistico ed idiomatico la cui struttura si appoggia

su lontane epoche storiche e si estende ad un ambito universale.

In una sua lettera in italiano inviata al ‘molto Rev.do Pad. e Maestro Giovanni

Battista Martini’ spedita da Salisburgo il 4 settembre 1776 Mozart dirà: « La nostra

musica da Chiesa è assai differente di quella d'Italia, e sempre più, che una Messa con

tutto il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata all'Epistola, l'offertorio ò sia Mottetto, Sanctus

ed Agnus Dei ed anche la più Solenne, quando dice la Messa il Principe stesso non ha

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da durare che al più longo tre quarti d'ora. Ci vuole uno studio particolare per questa

sorta di composizione, e che deve però essere una Messa con tutti strumenti - Trombe

di guerra, Tympani etc. »

Il secondo viaggio in Italia (13 ottobre – 13 dicembre 1771) vide il trionfo di

Ascanio in Alba, un‟opera scritta su libretto di Giuseppe Parini e rappresentata a

Milano il 17 ottobre 1771 in occasione delle nozze fra l'Arciduca Ferdinando

d'Asburgo-Este d'Austria con la Principessa Maria Beatrice Ricciarda d'Este di

Modena. Nel dicembre dello stesso anno Wolfgang e suo padre tornarono nella città

natale.

Al ritorno a Salisburgo, nei primi tempi sembrò che le cose procedessero bene

con il servizio di corte. Il benevolo principe arcivescovo Sigismund von

Schrattenbach, morto subito dopo il ritorno dei Mozart, aveva sempre tollerato con

indulgenza le numerose e prolungate assenze del suo vice maestro di cappella; ma il

suo successore, Hieronymus conte di Colloredo, era un assolutista illuminato sullo

stampo di Giuseppe II, e non permetteva che un dipendente trascurasse i propri

doveri.

Nel maggio 1772 Mozart aveva inaugurato il suo impiego con la serenata

drammatica Il sogno di Scipione K 126 e aveva ricevuto dal nuovo principe lo

stipendio per il posto di Konzertmeister che aveva ricoperto sino ad allora senza nulla

percepire; ma col tempo i rapporti fra l'orgoglioso principe e Mozart, ormai cosciente

del suo genio, si guastarono.

Il 24 ottobre 1772 ebbe inizio il terzo viaggio in Italia, ma Lucio Silla K 135,

rappresentato a Milano il 26 dicembre 1772, non piacque. Dopo un iniziale

insuccesso, non dovuto tanto a ragioni estetiche sotto l'influenza di Gluck e del nuovo

sinfonismo austro – tedesco (Mozart aveva adottato un procedimento troppo

soggettivo), quanto piuttosto all'ordine dell'imperatrice di non prendere in

considerazione l'impiego di «gente inutile come questo Mozart», senza trascurare che

l'interesse destato dal bambino prodigio era ormai dimenticato, questa opera seria

divenne ancora più rappresentata e apprezzata della precedente e applaudita

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Mitridate, re di Ponto K 87, su libretto di Cignasanti basato sull'omonima opera

francese di Racine tradotta dal Parini, e diretta dallo stesso Mozart per la stessa città

nel 1770.

Dopo il ritorno a Salisburgo da questo terzo viaggio (13 marzo 1773), Mozart

fu impegnato nel comporre lavori per Chiesa, serenate e divertimenti. È di questo

periodo la Missa brevis in sol K140 „Pastorale‟ composta nel 1773, di discussa

autenticità, la quale non rappresenta affatto Mozart nel suo genere. Essa include toni

di danza di Joseph Starter che compaiono nel balletto Die Eifersucht des Harems “Le

gelosie del serraglio”, rappresentato a Milano nel 1772-1773. Mozart ne ritoccò le

parti, e questo ci fa supporre che la musica sia sua. Come entrambi i fratelli Hadyn (e

la maggior parte dei compositori dell‟epoca), Mozart si esibì in tantissimi lavori di

altri compositori1. Fra i più bei lavori giovanili è da ricordare la Missa in Honorem

Sanctissimae Trinitatis in do maggiore K 167 (giugno 1773). È stata probabilmente

scritta per la Chiesa della SS. Trinità, costruita tra il 1694 e il 1702 da Fischer von

Erlach (a Salisburgo), a pochi passi dall‟abitazione di Mozart, dall‟altra parte de

fiume Salzach, nel quartiere Tanzmeisterhaus. A differenza delle Messe che Mozart

scrisse per la cattedrale di Salisburgo, quest‟opera non richiedeva solisti, ma era un

elaborato scritto per orchestra: due oboi, due clarini, due trombe, timpani e archi

(corde). Il carattere festoso dell‟opera punta ad una ricorrenza come la festa della

Trinità, che si celebrò il 5 giugno 1773.

Ci sono alcune premesse di un‟unità globale nell‟impostazione di questa

Messa.

Dopo una breve introduzione dell‟orchestra, entra il coro in omoritmia con il soprano

che delinea la linea melodica del canto (Kyrie Eleison). Le frasi sono brevi e non

appena si arriva al grado della dominante, Mozart inizia delle progressioni. La scelta

non sembra ispirata e si ha l‟impressione che non sia riuscito a sviluppare meglio

l‟idea.

1 HERTZ, Haydn Mozart and the Viennese School 1740 – 1780.

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Nel Gloria e nel Credo, in rigorosa osservanza delle prescrizioni della Chiesa,

le parole iniziali intonate dal sacerdote non vengono ripetute e mancano le consuete

contrapposizioni dei “tutti” e dei “solo”. Interessante è il minuetto in sol (110

misure), con un‟ampia introduzione orchestrale per la composizione del Et in

Spiritum Sanctum. Con questo movimento, Mozart sembra rendere omaggio alla

Trinità; posiziona i violini all‟ottava, all‟unisono o per terze. Questo modo di scrivere

ricorda lo stile viennese, collegato alla concezione di Starzer intorno alla metà del

secolo.

Il Sanctus, nella tonalità di do maggiore inizia in ¾ sulla parola Sanctus, con il

coro in omoritmia, con valori lunghi per andare in 4/4 all‟ Osanna, in cui la scrittura

si fa più concitata (il coro a crome), per poi tornare come all‟inizio con note lunghe.

Il Benedictus è in fa maggiore nel tempo di 4/4 Allegro, ed inizia in forma di trio di

sonata per gli archi, in cui i solisti si muovono omoritmicamente. Il brano si conclude

con la ripresa dell‟Osanna intonato dal coro nel Sanctus. L‟Agnus Dei ritorna in do

maggiore, Adagio in ¾, ancora una volta con l‟introduzione dell‟orchestra, il cui

movimento è adeguato per una sinfonia, con gli oboi che rafforzano la delicata

sfumatura cromatica un‟ottava sopra i violini. Il coro entra in tono basso e

delicatamente, raggiungendo il dopo quattro battute, alla parola peccata mundi.

Ci sono molte pause, come per tutta la struttura della Messa nel suo complesso. Il

brano si conclude con una fuga sulle parole Dona nobis pacem.

L‟impiego delle trombe ricorda la precedente Festmesse (o Waisenhouse

Messe) K139. Evidente appare lo sforzo di fondere i singoli tempi in una unità

organica, strumentalmente e contrappuntisticamente meditata e sostanziale, sempre

con la massima economia di mezzi. Lo stile di Chiesa e lo stile “galante” non sono

mai stati fusi in una così ben riuscita simbiosi. Tutti questi particolari ci dicono

l‟importanza del mutamento artistico avvenuto in Mozart e dei suoi riflessi anche

sulle composizioni sacre. Tali influenze continueranno ad agire fino al 1780 circa.

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Se la composizione della frammentaria Missa Brevis K 115, per sole quattro

voci e continuo (EINSTEIN la definisce a ragione << una messa mottettistica>>),

possa veramente collocarsi in prossimità della Trinitatis-Messe rimane da stabilirsi.

Sfortunatamente essa si interrompe alla nona battuta del Sanctus, e proprio là dove ne

viene tentata una prosecuzione più debole. B. Paumgartner tentò di completarla

avvalendosi di altri frammenti mozartiani (Haydn-Mozart – Presse, Salzburg). Il

Kyrie K 221 trasformato nell‟Agnus Dei conclusivo di questa Messa, mediante una

sostituzione del testo, devia, però, secondo K. Pfannhauser (1953), da un Requiem

strumentale di E. Eberlin. La parte corale venne copiata da Mozart a solo motivo di

studio.

Nell'estate dello stesso anno, padre e figlio ripartirono alla volta di Vienna, la

cui parabola della vita musicale e teatrale era in ascesa. L‟opera seria fioriva sotto il

segno del fecondo antagonismo fra i maestri di indirizzo italiano, stretti attorno ai due

venerandi artisti Hasse e Metastasio, e i combattivi innovatori seguaci di Gluck. Oltre

alla Partenope di Hasse, Mozart ebbe occasione di ascoltare la terza opera

riformatrice di Gluck: Paride ed Elena, nell‟arditissima regia dell‟autore stesso.

Parallelamente l‟opera buffa inscenava piacevoli lavori di Gassman, Piccinni, Salieri,

Anfossi, Galuppi; tutti spettacoli assai attraenti e ancor più affini allo spirito viennese

gaio ed ironico di quanto non lo fossero quelli dell‟opera seria.

Sempre a Vienna Mozart incontra Joseph Haydn, la sua guida indiscussa nel

campo della musica strumentale, che aveva allora creato un nuovo, magistrale tipo di

quartetto mediante un‟ideale fusione di libertà strutturale e vivezza contrappuntistica.

In tutti i concerti pubblici o privati le sue sinfonie, le musiche da camera godevano di

una popolarità senza precedenti. Forse per questi motivi Mozart qui termina sei nuovi

Quartetti per archi K 168 – 173, Sei Variazioni per pianoforte K180 sul tema

dell‟aria Mio caro Adone da La fiera di Venezia di Salieri e una Serenata in re

maggiore K 185, in sette tempi.

Da questo momento in poi, con la sua adesione alla maniera di Haydn, inizia la

poderosa ascesa che toccherà il suo vertice con i sei quartetti dedicati a questo

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Maestro, che compose nel periodo compreso fra il Die Entführung aus dem Serail e

Le nozze di Figaro.

Da questo viaggio Leopold, evidentemente, sperava di ottenere qualche

incarico per Wolfgang. I Mozart furono ricevuti in udienza a corte ma dovettero

accontentarsi di far musica nelle chiese e nelle case borghesi perché, data la stagione,

l'aristocrazia non si trovava a Vienna; quindi, non senza un certo disappunto, se ne

ritornarono a Salisburgo.

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4. Il ritorno a Salisburgo (1773 – 1776)

Tornati a Salisburgo, Mozart vive un periodo di intensa e feconda attività fino

alla fine del 1774, che vide la piena estrinsecazione del mutamento interiore. Un velo

di serietà sceso anche sui lavori strumentali più luminosi, impianti più vasti,

linguaggio più virile e profondo sono le caratteristiche di questo periodo.

Sempre in questo periodo (dicembre 1773 - 1774) affronta lo studio delle

sinfonie e dei concerti (Concerto in si bemolle maggiore per fagotto K 191 e il primo

Concerto per pianoforte in re maggiore K 175). Pur riallacciandosi ancora al passato,

aveva con esso creato quel tipo di concerto nuovo, originale, che perfezionato

attraverso moltissime altre esperienze, doveva assicurargli il primato assoluto fra i

compositori di grandi concerti pianistici. Pur essendo desunto da forme preesistenti,

si riallaccia da una parte al melodismo affettuoso e ispirato di Christian Bach, e

dall‟altra al tono popolaresco dei concerti viennesi, dal quale però si differenzia per

una concezione strutturale più profonda basata sull‟ingegnoso alternarsi di

contrapposizioni e fusioni di due corpi sonori predominanti: il pianoforte solista e

l‟orchestra.

Per contro, la tensione interiore e la varietà di atteggiamenti dialogici fra il

solista e un‟orchestra già pienamente individuale si proiettano verso l‟avvenire da

farcene intendere le risonanze nel mutato mondo sentimentale e l‟influenza sul

linguaggio soggettivo ed interiore di Beethoven.

La trattazione dei legni, per i quali Mozart nutriva una speciale predilezione,

appare ora anche più libera, multiforme, ardita che non nelle opere e nelle sinfonie

dello stesso periodo durante il quale, nel campo della musica sacra, egli compose

ancora una seconda Litania Lauretana K 195 e due Missae breves in fa maggiore e in

sol maggiore K 192(186f) e K 194 per quattro voci, due violini, basso e organo.

Quella in Fa maggiore, datata 24 giugno 1774 (giorno in cui si celebra la nascita di S.

Giovanni Battista), occupa una posizione intermedia, piuttosto singolare nell‟opera di

Mozart perché, mentre in alcuni tratti raggiunge la profondità espressiva delle

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composizioni strumentali contemporanee e pur essendo organicamente compiuta e

matura come la Messa della Trinità K 167, accanto ad elementi in stile

contrappuntistico severo, ne presenta altri di garbata cantabilità, più vicini al gusto

del tempo. Questo tono risulta ancora evidente nella Messa in re maggiore K 194 e

nella Litania Lauretana K 195, benché anche qui non manchino episodi mistici e

pensosi.

Appartenente a un folto gruppo di composizioni sacre (compatte Anche nel

primo catalogo K), la Messa K 194 è stata composta nel 1774, anno nel quale Mozart,

dopo la lunga parentesi dei viaggi in Italia (terminati nel 1773) e un breve viaggio

estivo a Vienna, vive all'ombra del limitato panorama di Salisburgo sotto «la greve

signoria» dell' Arcivescovo Colloredo. Anche la Messa K 194, cosi come la sodale K

192, di poco precedente, richiama - se pure fra sostanziali innovazioni - la ricerca

iniziata con le «Missae Breves» del 1768 (K 49 e K 65): l'attenzione musicale di

Mozart è rivolta alla « brevità», intesa non solo nel significato letterale ma in quello,

più lato e musicale, di concisione stilistica ed espressiva. Per quanto nella K 194

riaffiorino episodi solistici più ampi e virtuosistici, una trama solida e attenta

garantisce in profondità il carattere, sempre perseguito, di fusione e omogeneità. 2

Il Kyrie della K192 apre con un breve preludio che introduce il coro, in forma

di fugato, che serve anche come primo soggetto (o tema) nella forma sonata. Il

secondo soggetto (o tema) è distinto dal primo principalmente per la sua nuova

scrittura dell‟accompagnamento alla semicroma per i violini II, su un pedale di sol. I

soprani conducono la musica in due cadenze in do. Dopo un breve ritornello

dell‟orchestra, essi iniziano una sezione modulatoria sul Christe Eleison che è come

uno sviluppo e che conduce poi alla ripresa e conclusione.

2 COMMENTO Abert: «Mozart non ha proseguito per la via indicata dalla Messa K 192. (...)

L'importanza di questa Messa poggia sulle ultime parti e soprattutto sul "Sanctus". li carattere

generale del lavoro è più piacevole che profondo; esso avrà incontrato i gusti dell'Arcivescovo

molto più delle Messe precedenti». Einstein: «IL "Dona nobis" della prima di queste due Messe [K

192] è assai simile al finale di una sinfonia italiana, mentre quello della seconda [K 194] ha un

carattere più vocale, di un'ingenuità piena di fede».

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Il Gloria è come una danza nel tempo di Allegro in ¾, in cui importanti

cadenze sono marcate da emiole preparatorie come se fosse una corrente.

L‟intonazione del Gloria in excelsis Deo è lasciata al celebrante, dopodiché i soprani

iniziano con note lunge (minime puntate) sulle parole Et in terra pax hominibus. Le

altre tre sezioni del coro (alto, tenore e basso) entrano alle parole bonae voluntatis, i

contralti ed i tenori imitando la piccola figura melodica dei soprani, su un pedale di

dominante al basso. Questo porta alla prima emiola precadenziale, in cui i soprani

racchiudono l‟inizio e la fine della loro melodia di apertura fatta con note lunghe, la

cui ripresa porta alla conclusione del movimento.

Il Credo, messo in musica nel tempo di Allegro in 4/4, non è il più usato e noto

– il Credo niceno-costantinopolitano – bensì il Credo detto “dei dodici apostoli”, così

detto perché la tradizione vuole che i dodici apostoli, prima di lasciarsi e di partire

per evangelizzare ogni angolo della terra, abbiano scritto ognuno una delle

affermazioni di questo simbolo di fede e tutti si siano trovati concordi nell'affermare

che ciò che in quelle parole è professato corrisponde veramente alla rivelazione del

Cristo. Con grande libertà ed insieme profonda consonanza con il testo di tale Credo

Mozart scrisse quello che potremmo definire un “ritornello” musicale che si ripete

esattamente dodici volte, più una tredicesima che è la ripetizione finale della parola

“Credo” che suggella l'unità di tutto il testo. Questo ritornello è dato da 4 note – e

sono le stesse note che riappariranno sia nel Sanctus della Messa K 257 (Credo –

Messe), sia nell'ultimo movimento dell'ultima sinfonia scritta da Mozart, la K 551

(Jupiter) – Lo troviamo così ripetuto 12 volte sulle parole:

1/“Credo (in unum Deum Patrem onnipotentem)”

2/ “Credo (in unum Dominum Jesum Christum)”

3/ “Credo (genitum non factum)”

4/ “Credo (qui propter nos homines et propter nostram salutem)”

5/ “Credo (incarnatus est)”

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6/ “Crucifixus”

7/ “Credo (et iterum venturum saeculum)”

8/ “Credo (in Spiritum Sanctum Dominum)”

9/ “Credo (in unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam)”

10/ “Confiteor”

11/ “Et vitam venturi saeculi”

12/ “Amen”

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Credo (Missa K 192), Sanctus ( Missa K 257) , Sinfonia K 551 “JUPITER” (ultimo

movimento)

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Degno di nota al momento della prima esposizione è l‟armonizzazione I – IV –

V – I ed il ritmo. A delle minime sulla parola Credo (e semiminima con pausa)

alle prime due battute, si contrappongono le crome sulle parole in unum Deum.

Mozart usa l‟inciso iniziale del Credo alle varie voci, trattandolo in modo

contrappuntistico e fugato, inclusi gli stretti. Per il finale usa di nuovo l‟inciso

iniziale, senza organo, con una nuova armonizzazione dell‟inciso iniziale I – IV –

V – I, adeguato ad una piccola coda con la terza al soprano. Il brano termina così in

un modo debole, quasi senza che ce se ne accorgesse.

Il Sanctus, Andante in ¾, inizia con un movimento discendente dei bassi in

valori lunghi attraverso la scala di fa maggiore, fino ad arrivare al sol, mentre le altre

voci fanno dei brevi interventi, anche loro per moto discendente. L‟Osanna in

excelsis è scritto in forma di fugato e termina con i bassi che cantano un fa basso.

Il Benedictus è scritto nella tonalità di si , sempre in ¾, inizia in modo imitativo

tra le voci di soprano, contralto e tenore, mentre il basso ha una linea indipendente,

per poi imitare il contralto fino a batt. 8. L‟Osanna viene ripreso come per il Sanctus,

e chiude il brano.

L‟ Agnus Dei in re minore è una pagina di grandiosa ispirazione melodica.

Inizia con un Adagio in 4/4, si apre con l‟intervento del soprano solo sulle parole

Agnus Dei qui tollis peccata mundi, cui segue una risposta del coro in omoritmia sul

miserere prima in fa maggiore, poi in fa minore, per poi concludere sul miserere

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nobis in fa maggiore. Segue poi un secondo pressoché simile, sulle stesse parole da

parte dell‟Alto solista, cui segue la risposta del coro. Ad un terzo intervento del

tenore solo (Agnus Dei Qui tolli peccata mundi), segue una seconda parte, sulle

parole Dona nobis pacem, impostato in un Allegro moderato in 3/8, che è strutturato

alla maniera di un minuetto italiano. La Messa si conclude con una lunga cadenza

plagale sulla parola pacem .

La realizzazione rappresentata da questa Messa in termini di raffinatezza

contrappuntistica, unità dei suoi movimenti individuali, la sua unità globale, ha da

sempre unito favorevolmente critica ed artisti.

Il mottetto Misericordias Domini K 222 composto per desiderio di

Massimiliano III, che Mozart inviò a padre Martini per averne un giudizio, offre un

notevole saggio di tecnica contrappuntistica e vigorosa espressione vocale con le sue

158 battute ricche di elaborate combinazioni fra due temi diversi e ben contrastanti,

su un impianto armonico avvincente. Il secondo di tali temi deriva dal mottetto

Benedixisti Domine di Eberlin, da cui Mozart aveva ricavato le parti staccate per

proprio uso nella primavera del 1773, così come aveva fatto per altre musiche dello

stesso autore e di Michael Haydn.

Secondo il giudizio acuto e raffinato di padre Martini, in quest‟opera “si ritrova

tutto ciò che occorre alla buona musica moderna: buona armonia, matura

modulazione, moderato movimento de violini, modulazione delli passi naturali e

buona condotta [delle parti]”. Tale giudizio non poteva, naturalmente, soddisfare

Mozart essendo egli convinto di aver realizzato un‟opera in stile ecclesiastico antico

rigoroso.

Il rendimento effettivo di una sua esecuzione rimane comunque al di sotto delle

aspettative teoriche e il fluire dell‟idea musicale, di solito così meravigliosamente

spontaneo, risulta spesso inceppato dall‟intenso sforzo del lavoro tecnico.

Nell‟autunno del 1774 giunse a Mozart l‟inatteso incarico di scrivere un‟opera

da rappresentarsi a Monaco durante il carnevale seguente. Era La finta giardiniera

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(ovvero La giardiniera per amore) K196. Il soggetto era di Ranieri Calzabigi, una

vicenda comico – sentimentale sul genere de La buona figliola di Piccinni.

Sono di questo periodo le sei Messe (K 220, K 257, K 258, K 259, K 262 e K

275), e soltanto la Missa brevis K 258 e in parte anche la bella Messa in si bemolle

maggiore K 275 hanno slanci più ampi verso una struttura contrappuntistica. La

maniera espressiva piacevole che contraddistingue l‟indirizzo stilistico di Mozart in

questo periodo “serenatistico” si manifesta anche in queste opere; e segnatamente

nello spirito popolaresco della Messa in do maggiore K 257 (Credo – Messe).

Momenti di autentica ispirazione mozartiana non ne mancano mai, specie ove

locuzioni misteriose del testo sollecitano le aspirazioni mistiche dell‟artista. Sempre

attiva è la ricerca d‟una verità formale, anche nelle parti di minor rilievo che

tradiscono gli inevitabili momenti di indifferenza dell‟uomo di mestiere di fronte a

lavori scritti per guadagnarsi il pane quotidiano.

Alcune di queste Messe vennero designate con caratteristici soprannomi

nell’ambiente musicale. La K 220 Spatzenmesse (Messa dei passeri) a motivo dei

passaggi violinistici nel Sanctus e nel Benedictus ovvero una appoggiatura della

seconda minore sotto la tonica; la K257 Credomesse, per le numerose ripetizioni

della parola “Credo”; la K 259 Orgelmesse, per l’assolo dell’organo nel

“Benedictus”. Secondo E. Schenk vi sarebbero buoni motivi per vedere nella K 257

la cosiddetta Spaur-messe cioè la messa destinata al coadiutore di Bressanone, il

vescovo Ignaz Joseph conte di Spaur.

Secondo Hertz La Spaur-messe sarebbe la Missa Longa K 262 (246a), p. 650 -

[…] Il Conte Spaur, un amico di famiglia dei Mozart, è stato ordinato vescovo

titolare di cerimonie al Duomo di Salisburgo il 17 novembre 1776, e l'occasione di

festa sarebbe stata ben adattata dalla K 262.-

La Missa longa k 262 (246a) è fra tutte l‟unica di dimensioni più vaste e “solenni”.

In partitura compaiono oboi, corni, trombe, timpani, tromboni, violini, contrabbasso e

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organo. Lo studio dei muscologi ha datato questa composizione a circa metà del

17753.

La sua durata di circa 31 minuti è dovuta in parte alle tranquille, lente introduzioni

orchestrali, come quello che annuncia il Kyrie, impostato come una doppia fuga che

serve come primo soggetto in uno schema di forma-sonata.

Et in Spiritum Sanctum nel Credo, in 3/4 beneficia di un‟ altra introduzione

orchestrale di ampie proporzioni.

Le fughe in chiusura al Gloria e al Credo sono magistralmente scritti nel loro

genere, quest'ultimo si estende a 122 misure. Diversi climax concludono la fuga, ma

non includono la testa di questo motivo per i soprani nel loro registro superiore, una

cosa impossibile a causa del limite vocale. I violini prendono il posto dei soprani ove

questi non arrivano con la voce in quanto la tessitura sarebbe troppo acuta. Questa

Messa è tra quelle più orientate verso il contrappunto di Mozart; anche l‟Osanna è

impostato, inizialmente, ad un fugato.

Il Benedictus, scritto nella tonalità di fa maggiore, inizia con il tenore solista, a cui

risponde il coro sulla parola Osanna, il quale ritorna come “commento corale”

impostato a gruppi sfalsati e sovrapposti di tre note. Lo stesso schema segue per gli

interventi successivi del soprano solo, alto e basso. Abbiamo già osservato questo

ritmo e la struttura nella sua musica strumentale, così come nella musica vocale che

sceglie spesso per le parole di tre sillabe.

La stessa scrittura nel definire la parola Osanna, la ritroviamo anche nelle messe K

220, K 257 e K 258, nonché nella prima parola dell‟ Offertorio Venite populi, K 260.

Non mancando le fughe a conclusione del Gloria e del Credo, benché un editto

dell‟arcivescovo le avesse bandite dalle funzioni del Duomo, e recando i corni in

partitura contrariamente alle consuetudini del Duomo stesso, si intuisce che la Messa

probabilmente sia stata scritta per altro scopo.

Le Litaniae de venerabili Altaris Sacramento K 243 (marzo 1776) consta di dieci

pezzi di diverso carattere: accanto ad arie con fioriture e gorgheggi vi troviamo brani

3 Alan Tyson, Mozart: Studies of the Autograph Scores (Cambridge, Mass., 1987), p. 167.

Secondo B. Paumgartner tale messa è stata composta nel 1776.

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in stile chiesastico severo, come la meravigliosa parafrasi corale dell‟inno liturgico

Pange Lingua, nel Viaticum. Il cupo e patetico Tremendum caratterizzato dalla

potente espressività delle parti corali, dalla ricchezza di effetti violinistici e

dall‟autonomia di tre tromboni, è una delle pagine più grandiosamente ispirate

dell‟opera.

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5. Primi anni di maturità (1776 – 1778)

Nell'autunno del 1776 le prime grandi ombre intervengono ad oscurare l'illusoria

felicità cui si era abbandonato il giovane compositore. Furono scambiate lettere con

Padre Martini a Bologna, nelle quali inutilmente si chiedeva soccorso. Wolfgang

rinfrescò le proprie conoscenze linguistiche, preparò un repertorio concertistico che

scelse fra le sue opere, le quali raggiungevano già il numero di oltre 250. Altri viaggi

seguirono, ma non diedero il risultato sperato, ovvero quello di trovare una

sistemazione presso una corte italiana.

Intanto a Salisburgo i rapporti con il nuovo arcivescovo Hieronymus von

Colloredo si facevano sempre più tesi. Wolfgang sentiva via via più opprimente il

peso di un ufficio che lo costringeva negli angusti limiti di una città di provincia,

impedendogli nuove e più formative esperienze.

Un'immeritata svalutazione delle sue capacità e attività da parte di Colloredo portò

poi ad un degenerarsi dei rapporti, in conseguenza del quale padre e figlio

sollecitarono il permesso per un viaggio. Poiché la loro richiesta fu respinta,

Wolfgang lasciò nell'agosto del 1777 il servizio presso l'arcivescovo.

In questo periodo compone Il semplice Marienoffertorium “Alma Dei Creatoris” a

quattro voci K 277 cui sta bene accanto al Graduale Sancta Maria K 273 (9

settembre 1777), il capolavoro liturgico di quel periodo, spiritualmente vicino al

celebre mottetto Ave Verum composto quattordici anni più tardi. L‟otto settembre

cadeva la festa della nascita di Maria, Mozart si preparava a partire per Mannheim e

Parigi. Questa coincidenza e il tono fervido della preghiera giustificano la

supposizione che il giovane artista, alla vigilia di un lungo viaggio pieno di incognite

si rivolgesse direttamente alla materna Vergine per invocarne la protezione. Come l‟

Ave Verum anche il Graduale procede semplicemente a quattro voci, evitando effetti

solistici in forma quasi Lied. La melodia fluisce ininterrotta senza che nulla ne turbi

la profonda intimità espressiva. Di fronte a quest‟opera impallidiscono tutti gli altri

lavori composti per dovere professionale, vale a dire le otto Sonate da Chiesa per

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organo due violini e basso K 212, K 224, K 225, K 241, K 244, K 274, K 278, in un

solo tempo, musiche nel gusto dell‟epoca da inserirsi, in circostanze varie, nelle

funzioni religiose.

Le “sonate da Chiesa” sono succinte forme di sonata (vale a dire con breve

sviluppo) in un tempo solo inserite tra il Gloria e il Credo, o più esattamente tra

l‟Epistola e il Vangelo (Einstein le chiama anche “Epistelsonaten”). Esse

rappresentano un postumo della consuetudine, molto diffusa in Italia (specialmente a

Bologna) verso la metà del secolo XVIII di arricchire la liturgia con inserzioni

strumentali (Sonate e concerti). Gran parte dei concerti del tardo barocco deve la

propria origine a questa consuetudine. Venezia ed altri grandi centri scritturavano

valenti virtuosi soltanto per far loro eseguire una “sonata da Chiesa” durante

l‟Elevazione. Mozart ne compose diciassette. Non è escluso che i tre Deutsche Lieder

(Die Grossmutige Gelassenheit K 149= 125d, Geheime Liebe K 150=125e, Die

Zufriedenheit im Niedrigen Stande K 151=125f) siano da attribuirsi al padre Leopold.

Almeno la grafia degli autografi è sua, e il marcato razionalismo nella scelta dei testi

si nota anche nella musica. La curiosa indicazione della K 150 “In un tempo d‟un

certo qual recondito contento” fa pensare con quasi assoluta certezza a Leopold e

rende comprensibilissima l‟estrema riserva con cui i tre Lieder vennero elencati nella

parte principale del nuovo Köchel. La Sonata per pianoforte a quattro mani in re

maggiore K 381=123a non appartiene certamente al periodo viennese come

lascerebbe intendere la sua collocazione nelle prime edizioni del Köchel.

Appena un mese più tardi, partì per un nuovo viaggio insieme con la madre (al

padre era stato negato il permesso), che era donna debole e non intraprendente. Né a

Monaco né a Mannheim, ove trascorsero l'inverno, era disponibile un impiego a

corte. Intanto ad Augusta vi erano stati dei dissapori con gli orgogliosi patrizi, mentre

a Parigi il giovane artista non era riuscito a affermarsi così presto come sperava suo

padre. Una sinfonia di Mozart fu eseguita ai «Concerts Spirituels»; il 12 giugno 1778

il famoso Noverre, con il quale, già nel 1771 a Milano aveva preparato i balletti per

Ascanio in Alba, gli procurò la commissione di un'opera che in realtà non fu mai

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composta (Alexander und Roxane) e lo incitò a comporre la musica per il balletto Les

petits riens. Wolfgang diede lezioni a fanciulle dell'alta società; il noto editore Sieber

gli pubblicò Sei sonate per violino.

Come già era avvenuto durante il tranquillo inverno di Mannheim, anche a Parigi

Mozart visse quella vita di «libero creatore» che dovrà poi condurre a Vienna. Ma il

terribile colpo della morte della madre4 nel luglio del 1778 e l'effettiva incapacità di

Wolfgang di affermarsi a Parigi indussero il padre a richiamarlo energicamente a

casa. Per quel che riguarda i progetti d'impiego di Leopold, il viaggio era stato un

vero insuccesso, a causa del quale la famiglia aveva contratto grossi debiti.

Ancora una volta, tuttavia, il padre lo convince a ritornare al servizio

dell'arcivescovo di Salisburgo; all'inizio del 1779 è nominato organista del Duomo e

4 Di seguito un estratto della straziante lettera di Mozart che descrive gli ultimi momenti passati con

la madre, da solo in una città a loro estranea e sconosciuta. Dalle frasi brevi, interrotte da

punteggiatura, si deduce lo stato d‟animo dell‟artista che a quel tempo aveva solo 22 anni.

- All'abate Joseph Bullinger Parigi, 3 luglio 1778

Pianga con me, amico mio! Questo è stato il giorno più triste della mia vita. Scrivo alle due di notte.

Ed è necessario che glielo comunichi: mia madre, la mia cara madre, non è più. Dio l'ha chiamata a

sé, l'ho visto bene, e perciò mi sono rimesso alla sua volontà. Lui me l'aveva data, lui poteva quindi

togliermela. Si immagini solo tutta l'agitazione, le preoccupazioni e l'angoscia in cui ho vissuto in

questi ultimi quattordici giorni. È morta ormai priva di coscienza, si è spenta come si spegne un

lume. Tre giorni prima si è confessata, si è comunicata e ha ricevuto l'estrema unzione. Negli ultimi

tre giorni però ha delirato costantemente e oggi alle 5 e 21 minuti è entrata in agonia, perdendo

subito i sensi e la conoscenza. Io le stringevo la mano, le parlavo, ma lei non mi vedeva, non mi

udiva e non sentiva più nulla. Ed è rimasta così fin quando non è spirata, cinque ore dopo, alle dieci

e ventuno minuti della sera. Oggi mi è impossibile descriverle tutto il decorso della malattia. Penso

che doveva morire, perché questa era la volontà di Dio. Nel frattempo la prego solo di farmi un

servizio da amico, di preparare gradatamente il mio povero padre alla triste notizia. Gli ho scritto

con questa stessa posta, dicendogli però soltanto che è gravemente malata. Attendo una risposta per

poter decidere il da farsi. Che Dio gli infonda forza e coraggio! Amico mio! Mi sono rassegnato non

da ora, ma già da molto tempo. Per una particolare grazia di Dio ho sopportato tutto con animo

fermo e tranquillo. Quando il suo stato si è aggravato, ho chiesto a Dio soltanto due cose: un

trapasso sereno per mia madre e forza e coraggio per me; e il buon Dio mi ha esaudito. [...]-

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succede così ad Adlgasser.

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6. Al servizio di Colloredo (1779 – 1781)

All’inizio del 1779 Mozart rientrava a Salisburgo, al termine del suo secondo

viaggio a Parigi e riprendeva le mansioni legate al suo impiego di organista della

corte e della cappella dell’arcivescovo Colloredo. Il cospicuo numero di musiche

sacre composte durante questo periodo, dimostra come Mozart dovesse prendere alla

lettera i suoi impegni professionali di compositore di musiche da Chiesa. Il 17

gennaio 1779, appena rientrato da Parigi, era stato riassunto al servizio arciepiscopale

in qualità di organista del Duomo, con quattrocentocinquanta fiorini di stipendio

annuo, alla condizione di <<servire anche la Corte e la Chiesa con le sue nuove

composizioni>>. Tra i lavori che egli dovette approntare a norma di contratto

figurano in primo luogo due Messe solenni, destinate, a giudicare dalle rispettive

datazioni, alle liturgie pasquali nel Duomo salisburghese; e cioè le due Messe in do

maggiore K 317 e K 337. La prima è quella generalmente nota sotto il nome di

Krönungsmesse. Stringatezza formale, conforme ai desideri dell‟arcivescovo,

orecchiabilità di temi, contrasti facilmente accessibili di atteggiamenti fastosi con

altri pensosi e lirici, una scrittura corale prevalentemente omofona e la semplice

bellezza dei <<soli>> contribuirono a farne una fra le composizioni sacre di Mozart

più popolari. Mai la semplicità classica dello stile liturgico della Germania del sud e

il suo sinfonismo, così vicino eppure già così lontano dalla prassi della musica

profana, trovarono espressione più chiara che in questa Messa.

Il carattere di ouverture si rivela inequivocabile già fin dal pathos maestoso con cui

inizia il Kyrie; si riafferma ancor più compiutamente nella forma sonatistica del

Gloria, nel vario, monumentale crescendo del Credo, con l‟esultante ripetizione

conclusiva delle parole iniziali, nel Benedictus in forma di rondò – preziosissimo

pezzo per quartetto solistico – e infine nell‟andante sostenuto introduttivo dell‟Agnus

Dei da cui, per una singolare affinità di stati d‟animo, balena l‟anticipazione d‟una

delle più nobili e dolorose melodie del Figaro(dove sono i bei momenti) prima d‟una

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libera ripresa del Kyrie sulle parole Dona nobis, conformemente all‟antica

consuetudine ecclesiastica.

Il titolo Krönungsmesse non è stato dato da Mozart. Esso appare per la prima volta

negli elenchi delle esecuzioni effettuate dall‟ Imperial regia cappella viennese nel

gennaio 1823; ma con riferimento alla Messa in do maggiore K 337, il che ci lascia

supporre che questa Messa, o la K 317 (le cui partiture, o quanto meno le parti

staccate, si trovavano nell‟archivio dell‟Imperial regia cappella fin da quando Mozart

era ancora in vita) fossero state eseguite dalla cappella suddetta in omaggio – o per

l‟incoronazione – di Leopoldo II (1790-91) a Vienna, Francoforte, Presburgo o Praga;

o, dopo la morte di lui, per Francesco II, in circostanze analoghe. Il titolo

Krönungsmesseriferito alla K 317 apparirà, sempre nell‟elenco delle esecuzioni

effettuate dall‟Imperial regia cappella, soltanto nel 1873.

La <<tradizione salisburghese>> che associa la Messa K 317 all‟annuale festa

dell‟Incoronazione dell‟immagine miracolosa di Maria nel santuario di Maria am

Plain (tradizione risalente al 1751), secondo un articolo di Johann Evangelist Engl,

archivista del Mozarteum, sembra basarsi su ipotesi insostenibili e non comprovate

da documenti di sorta; ipotesi che tuttavia fecero fiorire per circa mezzo secolo tutta

una letteratura sulla <<Krönungsmessedi Maria am Plain K 317 >> (K. Pfannhauser).

Due dati di fatto rendono incredibile tale tradizione: la distanza cronologica,

assolutamente contraria alla prassi compositiva di Mozart, fra le testimonianze del

lavoro (23 marzo) e la festa dell‟Incoronazione (27 giugno); e la consistenza del

complesso orchestrale previsto dalla partitura che difficilmente avrebbe consentito

un‟esecuzione nel santuario di Maria am Plain che aveva un coro troppo angusto per

quell‟organico. Cosicché, a giudicare dalla data e dall‟organico (quattro voci, due

violini, basso e organo), rimane la sola possibilità che per la festività di Maria am

Plain venisse presa in considerazione una delle due piccole Messe in fa o in re

maggiore K 192 o K 194. Ma fino ad oggi non si è andati oltre tale supposizione.

Manca di qualsiasi documentazione locale che indichi per quale festa

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dell‟Incoronazione di Maria am Plain Mozart componesse una o più opere e di quali

opere si trattasse.

Comunque sia, l‟esecuzione della festosa Messa k 317 effettuata annualmente dai

salisburghesi nel coro del santuario di Maria am Plain, trova una sua giustificazione,

se non storica, artistica, dovendosi intendere tale opera come luminoso simbolo della

non ancora identificata Krönungs - Messe.

La seconda Messa in do maggiore K 337 composta anch‟essa per la messa solenne

di Pasqua del duomo di Salisburgo, <<Salisburgo marzo 1780>> stando alla

datazione dell‟autografo sul primo foglio della partitura, sembra volersi distinguere

dalla precedente K 317, per atteggiamenti stilistici e destinazione, mediante

l‟aggettivo solennis aggiunto al titolo. Invece anche ad essa è propria quella stessa

tendenza a una unitarietà sinfonica che senza dubbio la distingue dal tipo

propriamente <<solenne>> della << Missa longa>> strutturata a sezioni, nelle sue

singole parti principali, nel senso dell‟antica messa cantatistica. Tale concentrazione

conserva alla K 337 il tipo della vera e propria <<Missa brevis>>. La festosa

composizione strumentale della partitura con oboe, fagotto solo, trombe, timpani, ma

senza corni, conferma tale ipotesi. La composizione risponde anche ad uno sviluppo

del ciclo di Messe degli anni precedenti attraverso un adattamento alle regole della

musica ecclesiastica salisburghese durante l‟arcivescovato di Hieronymus von

Colloredo; come messa di festa richiede quindi l‟apparato orchestrale di una Missa

Solemnis, ma è fortemente limitata come estensione temporale e comparabile

piuttosto ad una Missa Brevis. Interessanti contrasti di stati d‟animo nell‟ambito di

questa forma chiusa producono effetti sorprendenti e vivaci, ma l‟immediatezza

espressiva della Messa precedente si manifesta soltanto in alcuni tratti. Nel Kyrie

bipartito lo stato d‟animo è fondamentalmente più dolce. Indicazioni di tempi mossi

nel Gloria (allegro molto) e nel Credo (allegro vivace) caratterizzano la tendenza di

questi pezzi, pur tanto brevi, a un‟intensità trascinante – soprattutto rispetto al

cerimoniale liturgico -. Il Sanctus si attiene alle maniere un po‟ convenzionali dello

stile chiesastico garbato e galante. Ma ad esso segue il Benedictus in modo minore di

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struttura rigorosamente contrappuntistica, commovente e angoscioso, quale canto di

saluto del Messaggero di Dio prima della Santa Comunione. Ed è << il pezzo più

sorprendente e rivoluzionario di tutte le messe di Mozart>> (Einstein), aspro e pieno

di fervida malinconia, ma con uno stupendo slancio positivo nell‟Osanna. L‟Agnus

Dei (in mi bemolle maggiore), con interventi solistici del soprano, dell‟oboe, del

fagotto, ci fa riudire un‟anticipazione, anche se non così esplicita come nella Messa K

317, del “Porgi amor”, dal Figaro5. Singolare ma molto personale la chiusura del

Dona nobis pacem; così sommessa e sostenuta, essa è nettamente discorde dal tono

sgargiante e festoso delle parti precedenti.

5 Per le Messe dell’Incoronazione K 317 e K 337 cfr. anzitutto K. PFANNHAUSER, in

<<Mozarteum - Mitteilugen>>, XI, agosto 1936, n.3 – 4. Faticose ricerche provengono qui

ad un primo dato sicuro: <<L’articolo di J. E. Engl, totalmente privo di basi documentarie,

ha trascurato il fatto che il nome di una Krönungsmesse mozartiana, molto palesemente,

non sarebbe potuto giungere da Vienna a Salisburgo ma soltanto da Salisburgo a Vienna, e

soltanto nel secolo XX>> (p. II). Molto belle le parole di Massin (p. 854) sull’affinità di

stato d’animo dolente fra la melodia dell’Agnus Dei in entrambe le Messe, e il Porgi amor della contessa nel Figaro: <<En realitè…c’est toujours de soi meme que Mozart parle,

c’est sa Stimmung personelle qu’il esprime, c’est sa propre melancholie salzbourgeoise

qu’il utilise pour évoquer la plus sainte des victimes, et dont il seouviendra pour faire

charter la plus touchante des délaissées>>. L’autografo della Messa K 337 contiene anche

un frammento di un secondo Credo, con la sorprendente soprascritta <<Tempo di

ciaccona>>, che purtroppo si interrompe alle parole <<cujus regni non erit finis>>.

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Allo stesso livello di questi lavori stanno due Vespri K 321 e K 339 (con lo

stupendo Laudate Dominum per soprano solo e coro) e nel Regina Coeli K 276.

Composti nel corso del 1780, verosimilmente tra il gennaio e il marzo, i Vespri K 339

concludono la serie di opere sacre che avevano contraddistinto la produzione

salisburghese (tra cui si ricordano le Messe K 317 e K 337, le Sonate da Chiesa K

329 e K 336 e i Vespri K 321). Nonostante non vi sia alcuna certezza sul nome del

Santo «confessore », vi è chi (Einstein fra i primi) ha individuato in San Giuseppe il

presunto dedicatario della pagina. La tonalità di Do maggiore (assai frequente nelle

opere sacre del periodo), la cantabilità corale, non scevra da accenti

inconfondibilmente teatrali, la presenza di un organico straordinariamente composito,

conferiscono ai cinque Salmi «Dixit Dominus», «Confitebor tibi», «Beatus vir»,

«Laudate pueri», «Laudate Dominum» e al «Magnificat» finale, un tono di singolare

imponenza e permettono di considerare l‟ opera una fra le più significative nella

produzione sacra di Mozart.

Un commento di Hildesheimer così dice:« Una composizione ambiziosa e imponente,

nella quale (Mozart) si compiacque di dar libero sfogo alla sua enorme maestria

nell'uso della polifonia e della strumentazione, che a Salisburgo era stata ridotta al

silenzio».

De Nys: «(...) l'opposizione sempre marcata tra lo stile severo e contrappuntistico e la

sensibile omofonia del classicismo viennese è completamente superata da Mozart,

che ha integrato il contrappunto più dotto in una musica viva e moderna».

In particolare sul «Laudate Dominum» - Einstein: «(...) è un pezzo che non si

preoccupa affatto di essere religioso, ed è di tale incanto sonoro e di tale espressione

poetica che difficilmente- forse soltanto nella Serenata di Schubert Op. 135 (...) - si

potrà trovarne l'eguale».

Nei Vespri, il quarto salmo, Laudate pueri sviluppa una ricca polifonia, vivace,

magistralmente condotta e suggestiva nel suo adeguarsi alle esigenze

contrappuntistiche e allo spirito del testo liturgico. Di minore importanza appaiono in

confronto Due << deutsche kirchenlieder >> per voce e basso parzialmente cifrato

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K 343 e una serie di Kirchensonaten (Sonate da Chiesa) per organo e orchestra K

328, K 329, K 336. << Lieder da Chiesa >>, tendenti al canto comunitario tedesco,

rappresentano forse un tentativo – successivamente sviluppato da Michael Haydn –

nel senso del movimento di riforma della musica chiesastica. Per vivacità e

atteggiamenti tematici, le Sonate da Chiesa, come le loro consorelle degli anni

precedenti, si muovono nella sfera delle sinfonie e dei divertimenti contemporanei.

Con tali lavori Mozart conchiude la propria attività di << compositore da Chiesa >>

alla corte salisburghese. Il Kyrie di Monaco K 341, il frammento della Messa in do

minore K 427, l‟Ave Verum K 618 e il Requiem K 626 verranno più tardi e saranno

pertanto al di fuori di questo ambito compositivo.

Dopo la trionfale esecuzione nel 1781 della sua opera Idomeneo, re di Creta a

Monaco di Baviera, un ennesimo scontro con l'arcivescovo Colloredo, che aveva

usato nei suoi confronti un atteggiamento sprezzante e umiliante, indusse il

compositore ad abbandonare definitivamente gli incarichi salisburghesi e a trasferirsi

a Vienna. Qui visse dando lezioni private, concerti e praticando, come libero artista,

la professione di compositore: questa decisione, se da un lato fu motivo di angoscia

per una situazione economica sempre più precaria, dall'altro rappresentava un primo

rivoluzionario proclama di indipendenza ideale dell'artista nei confronti della classe

detentrice del potere (tale condizione, portata coraggiosamente a compimento da

Beethoven, sarebbe diventata una norma con gli artisti romantici).

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7. Gli anni di Vienna (1781 – 1783)

<<A Vienna, Mozart non ebbe alcun rapporto ufficiale con la Chiesa e con la

musica sacra>>, scrive Alfred Einstein <<finalmente libero, egli si dedicò dapprima a

Sonate, Serenate, Concerti per pianoforte e a un'opera. Quattro anni prima della sua

morte l'Imperatore lo nominò compositore di camera, ma non gli ordinò mai di scri-

vere per la cappella di corte o per il Duomo di S, Stefano.

Ciononostante, il sentimento religioso di Mozart, che in lui si identifica quasi

coll'impulso artistico, non si affievolì. Esistono problemi artistici la cui soluzione è

possibile solo nel campo della musica sacra. Fu così che nell'estate del 1782 vide un

fatto straordinario: Mozart che iniziava una nuova Messa, a Vienna, non perché

obbligatovi, ma perché spintovi da un bisogno interiore, per adempiere cioè a un

voto, l'essenza religiosa del quale non possiamo analizzare, esistendo in essa troppi

elementi di volontà creativa>>.

In effetti, che un compositore fin dalla giovinezza abituato a scrivere musica

sacra e di principi religiosi saldi, ma non del tutto ortodossi, componesse una Messa

non su commissione, ma per adempiere un voto religioso, è una situazione più unica

che rara. Non meno curioso è il fatto che il voto non fu originato dal desiderio di

sfuggire a una qualche calamità, o di guarire da una malattia, bensì venne determinato

dal semplice desiderio di coronare con il matrimonio il proprio sogno d'amore.

All' epoca del suo fidanzamento (avversato da Leopold), Wolfgang aveva

«promesso a se stesso» che, se avesse potuto condurre Costanza a Salisburgo dopo

averla sposata, vi avrebbe fatto eseguire una Messa composta per l'occasione.

Sappiamo dell'esistenza del voto e del relativo adempimento da una lettera del mu-

sicista indirizzata al padre in data 4 gennaio 1783. Mozart tra l'altro comunica al

genitore: «Quanto alla Messa, la cosa ha perfettamente la sua ragion d'essere e non

me la sono certo trovata nella penna senza motivo; l'ho realmente promesso in cuor

mio, e spero proprio di riuscire a mantenere la promessa. Quando ho fatto questo

voto, mia moglie era ancora malata, e dal momento ch'ero fermamente risolto a

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sposarla subito dopo la Sua guarigione, non mi era difficile impegnarmici. Il tempo e

le circostanze ci hanno reso impossibile il viaggio, come anche voi ben sapete, ma la

partitura di metà della Messa può comprovare la fondatezza del mio voto: è sempre là

sullo scrittoio, in grado di offrire le migliori speranze».

La destinazione personale della Messa consente di valutare quale posizione

l'autore, esente da ogni vincolo preordinato, avesse raggiunto nell' espressione

artistica del sentimento religioso nel momento in cui la sua arte era sbocciata alla pie-

na maturità. La Messa in do minore K 427 è forse l'opera più vasta e che meglio

rispecchia gli studi effettuati da Mozart nello stile severo degli antichi maestri, e in

molte delle sue parti, ci mette autenticamente di fronte alla preghiera di Mozart,

idealmente in ginocchio, con tutto il suo talento, di fronte all' altare. Certo, il fatto che

l'autore non avesse un committente per questo brano (e dunque che non ci fosse un

saldo da incassare a lavoro espletato), è stato il principale responsabile del dato nega-

tivo della Messa, del fatto cioè che essa sia incompiuta. Contemporaneamente, senza

paura di contravvenire al gusto di chicchessia, l'autore poté fare riferimento, nelle

modalità di scrittura, a tutti quei modelli del passato che all' epoca di Salisburgo a

malapena conosceva e che ora invece, dopo averli studiati, amava appassionatamente.

I grandi che vanno citati in primis fra gli ispiratori di questa Messa sono Johann

Sebastian Bach e Georg Friedrich Händel, ma a tratti si evidenziano anche modi di

scrittura che rammentano Hasse e Graun, oppure grandi compositori italiani come

Pergolesi e Alessandro Scarlatti. Ai primi rimandano la rigorosità delle sezioni

fugate, ai secondi la solare inclinazione alla cantabilità delle melodie.

Il voto venne adempiuto un anno dopo l'inizio della composizione, quando il

25 agosto 1783 la Messa ebbe la sua prima esecuzione nella Chiesa di S. Pietro

(Peterskirche) a Salisburgo. La stessa Costanza Weber Mozart, che era stata l'origine

del voto, cantò la parte del primo soprano in questo debutto.

Secondo la biografia di Nissen, a detta di Costanza questa Messa sarebbe stata

provata il 23 agosto 1783 nella sede della cappella ed eseguita il 25 agosto6 - vale a

6 Per l'errata interpretazione d'una data sfuggita al dottor Feuerstein, curatore della biografia

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dire due mesi prima del vero - nella Chiesa di San Pietro. Costanza stessa ne avrebbe

cantato gli assolo. Due anni dopo Mozart fece adattare al Kyrie e al Gloria il testo di

una cantata italiana di autore ignoto - forse del Da Ponte - completando la nuova

versione con due arie e una cadenza delle tre voci solistiche. Così nacque l'oratorio

Davide penitente K469 eseguito per la prima volta in un concerto al Burgtheater il 13,

e replicato il 17 marzo 1785. In questa forma l'opera godeva di una certa predilezione

ancora nel secolo scorso.

A nessuno dei suoi precedenti lavori liturgici Mozart aveva mai dato

un‟impostazione così imponente, ricca e grandiosa come alla Messa in do minore; e a

tale grandiosità d‟impianto doveva naturalmente corrispondere un‟adeguata dovizia

di mezzi: coro a cinque, e una volta perfino a otto voci, piena d‟orchestra (senza

clarinetti) con tromboni. Le poderose parti vocali, dal meraviglioso Kyrie cromatico e

arcaicizzante, alle sviluppatissime fughe del Gloria (cum sancto spiritu, osanna in

mozartiana di Nissen, le date relative alla prima esecuzione della Messa in do minore a Salisburgo

sono pervenute inesatte fino a noi. La Messa venne provata il 23 ottobre 1783 nella sede della

cappella ed eseguita il 26 ottobre nella chiesa di San Pietro. I diari della sorella di Mozart pubblicati

soltanto nel 1963 da W. A. BAUER e o. E. DEUTSCH, Mozart, Briefe und Aufzeichnungen, vol.

III, p. 290, certificano la partecipazione di Costanza: <<il 23 alle ore 8, nella casa della cappella,

prova della messa di mio fratello, in cui mia cognata canta gli a solo...>> E più oltre: <<Il 26 alla

messa in s. pietro. Mio fratello ha eseguito la sua messa, c'era tutta la musica di cort>>. Quale delle

sue antiche messe Mozart abbia ripreso per completare il frammento, purtroppo non lo sappiamo.

Dietro suggerimento e con la collaborazione di E. Lewicki, A. Schmitt effettuò nel 1901 il primo

tentativo di ricostruzione della Messa avvalendosi di alcune parti appena abbozzate da Mozart nel Credo, rifacendo l'Agnus col materiale del Kyrie (com'era nelle antiche consuetudini liturgiche),

completando la strumentazione con aggiunta di flauti, clarinetti e mettendo a punto la parte

dell'organo. In tale versione l'opera venne eseguita il 3 aprile 1901 a Dresda nella Martin-Luther-

Kirche. Fra il 1918 e il 1921 Lewicki vi apportò ancora alcune modificazioni. Pubblicata da Breitkopf und Hartel, la Messa ebbe molte esecuzioni. Nel 1956 H. C. Robbin Landon ne licenziò

una nuova versione molto corretta, con introduzione critica e relazione sul lavoro di rifacimento (ed.

Eulenburg). Per le annuali esecuzioni commemorative nella Peterskirche, a cura del Mozarteum, si

completano i brani mancanti con le parti complementari della Missa longa K262, cosi come forse

fece Mozart per la prima esecuzione. Secondo il <<MJB>>, III, 1943, p. 166, fra gli schizzi

autografi della Biblioteca Nazionale di Parigi (Ms. 241) vi sarebbe una <<seconda (e precedente)

versione del Benedictus>> della Messa K427. Eppure già il solo testo (Quoniam tusolus) avrebbe

dovuto essere sufficiente ad avvertire che si trattava del frammento di un Gloria e perciò

sicuramente non appartenente alla Messa in do minore. Tutte le conclusioni tratte dalla suddetta

premessa sono pertanto invalidate. - B. Paumgartner -

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excelsis), al Gratias a cinque voci e, soprattutto, al meraviglioso doppio coro Qui

tollis, a otto voci, vibrano tutte dello spirito di J. S. Bach e del pathos di Händel.

Anche i pezzi d‟assieme dei solisti, il Domine Jesu, il Quoniam, il Benedictus

conservano la severità del grandioso polittico corale. Le parti affidate ai due soprani

solisti, il Christe Eleison, il Laudamus te e la gentile scena pastorale dell‟Incarnatus,

entrambe ricchissime di gorgheggi, sono un‟ultima reminescenza delle messe <<in

stile misto>> del tardo barocco austriaco.

Poco dopo la prima rappresentazione del Entfuhrung aus dem Serali K 384,

avvenuta nel 1782, Mozart sposò Costanza Weber, dalla quale ebbe sei figli: di essi

solo due sopravvissero al padre.

Nell'ambiente estremamente stimolante di Vienna il musicista acquistò una sempre

maggiore consapevolezza culturale, politica (significativa la sua adesione alla

Massoneria) ed estetica. Nacquero i capolavori della maturità: accanto alle maggiori

opere sinfoniche, cameristiche e religiose, le grandi prove drammatiche quali Le

nozze di Figaro (1786), Don Giovanni (1787), la più intensa incarnazione di questo

straordinario mito, e Così fan tutte (1790), composte tutte su libretto di Lorenzo Da

Ponte, poeta dei teatri imperiali.

A Vienna Wolfgang Amadeus Mozart otterrà notevoli successi e preparerà le

grandi opere della maturità, ma sarà esposto anche alla volubilità del pubblico e alle

mode subendo più di ogni altro rovesci e momenti di crisi anche per la totale in-

capacità a mantenere rapporti d'interesse con l'alta società e con le classi dominanti. Il

carattere refrattario al conformismo e la naturale idiosincrasia nei riguardi del potere

costituito gli impediranno, al contrario di Salieri, di ottenere con facilità incarichi

ufficiali e un impiego fisso.

Nel 1787 l'imperatore Giuseppe II conferisce per la prima volta a Mozart una

carica: in seguito alla morte di Gluck, il 7 dicembre lo nomina compositore della

corte reale e imperiale (Kaiserlicher Kammermusikus) Bozzetto di Simon Quaglio

per la scena della Regina della Notte nel Flauto magico, con un salario annuo di

ottocento fiorini (ma Gluck percepiva duemila fiorini). Si trattava di una sorta di sti-

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pendio onorario che Mozart non aveva alcun obbligo di guadagnarsi; non compone

infatti alcun lavoro in seguito a commissione imperiale, a eccezione forse della

Clemenza di Tito. È comunque un riconoscimento quanto meno simbolico all'attività

di musicista.

Un grave colpo gli venne dalla morte del padre, il 28 maggio 17877.

Fu in quei giorni di profonda prostrazione che germinarono in lui i primi

lineamenti del Don Giovanni.

Mentre le sue condizioni di salute andavano progressivamente peggiorando,

Mozart componeva proprio nell'ultimo anno di vita gli estremi capolavori, quali Il

flauto magico, La clemenza di Tito e il Requiem, opera che rimase incompiuta e che

il musicista affrontò, nella certezza della fine imminente, come un'altissima

meditazione sulla morte.

7 Allego una lettera in cui Wolfgang scrivendo al padre gli comunica che è venuto a conoscenza

dell‟aggravarsi delle sue condizioni di salute.

Vienna, 4 aprile 1787

[..] In questo istante ricevo una notizia che rappresenta per me un durissimo colpo, soprattutto

perché dalla sua ultima lettera potevo sperare che lei, grazie a Dio, stesse benissimo. Ora invece

sento che è seriamente malato. Non occorre certo che le dica con quanta ansietà attendo da lei una

notizia consolante. E vi spero come in una cosa certa, benché ormai mi sia abituato a temere sempre

il peggio in ogni circostanza. Poiché la morte (a ben guardare) è l'ultimo, vero fine della nostra vita,

da qualche anno sono entrato in tanta familiarità con quest' amica sincera e carissima dell'uomo, che

la sua immagine non solo non ha per me più nulla di terrificante, ma mi appare addirittura molto

tranquillizzante e consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi concesso la fortuna di avere l'op-

portunità (lei mi capisce) di riconoscere in essa la chiave della nostra vera felicità. Non vado mai a

letto senza pensare che (per quanto giovane io sia) l'indomani forse non ci sarò più. Eppure nessuno

fra tutti coloro che mi conoscono potrà dire che in compagnia io sia triste o di cattivo umore. E di

questa fortuna ringrazio ogni giorno il mio creatore. […]

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8. Gli ultimi anni (1790 – 1791)

Il 20 febbraio 1790 muore Giuseppe II e sale al trono Leopoldo II. Mozart fa do-

manda come secondo Kapellmeister di corte considerando, come scrive in una

lettera all' arciduca Franz, che «Salieri, quel Kapellmeister di grande talento, non si

è mai dedicato alla musica sacra mentre, fin dalla mia gioventù, ne ho fatto larga

pratica». Tuttavia anche in questo caso la richiesta non viene accolta, mentre per-

sino Salieri in seguito al riordinamento di tutte le istituzioni culturali e artistiche

cede parte delle sue cariche e si ritira dall‟ attività di direttore di teatro, rimanendo

tuttavia compositore di corte e vicepresidente della Società dei musicisti.

Il celeberrimo mottetto Ave Verum Corpus, “la più alta opera d‟arte che Mozart

abbia scritto” secondo Paumgartner, vide la luce il 17 giugno 1791 (secondo la

partitura autografa) o il 18 (secondo il suo catalogo personale) a Baden, celebre

stazione termale a sud della capitale dove Mozart si era rifugiato (simbolica fuga

dalle miserie di Vienna) accanto alla moglie Costanza che là soggiornava.

La storia del manoscritto ci informa che questo mottetto per quattro voci, archi

(con viola) e organo, era destinato all‟istitutore e regens cori di Baden, Anton

Stoll, un uomo che perpetuava la feconda tradizione di quegli insegnanti-musicisti

che fecero, qualche decennio prima, della Boemia il “conservatorio dell'Europa”

(Burney).

In occasione del Corpus Domini (festività soppressa al tempo dell‟Imperatore

Giuseppe II e riabilitata dal successore Leopoldo II), Mozart volle ricompensare

con una pagina sacra l‟amico Stoll, che aveva offerto qualche lezione a Karl, uno

dei figli di Mozart.

L‟Ave Verum Corpus è uno dei rarissimi esempi di musica sacra composti da

Mozart dopo il trasferimento a Vienna nel 1781, e rappresenta un‟importante

testimonianza del nuovo linguaggio musicale che aveva scelto: un codice meno

sofisticato e più „popolare‟ per rappresentare il mistero divino. A Baden il Corpus

Domini era celebrato normalmente il giovedì successivo alla Trinità (23 giugno) e

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non è impossibile che Mozart si sia seduto all‟organo della Chiesa della città in

occasione della creazione dell‟Ave Verum. In sole 46 battute l‟immagine dolorosa

del crocifisso, gli spasmi dell‟agonia, gli orrori della morte si trasfigurano nella

pace eterna.

Il testo latino del mottetto non è liturgico; lo si incontra per la prima volta in un

manoscritto di Reichenau del XIV secolo; la Chiesa di Rouen lo utilizzava

nell'Ordinario. Nel sud della Germania e in Austria il mottetto veniva cantato dopo

l'elevazione nelle Messe solenni e per le benedizioni del Santo Sacramento, in

particolare quando la processione del Corpus Domini terminava con una

benedizione solenne nella Chiesa parrocchiale, ed è questo, certamente, il caso di

Baden nel 1791. La prosodia della melodia tradizionale in canto piano misurato è

mal riuscita: non facilita la comprensione del testo. Il testo latino comprende anche

un nono verso che (fortunatamente) Mozart non ha composto: O dulcis, o pie, o fili

Mariae8

Il dieci luglio Mozart diresse con Stoll l‟esecuzione della Messa in si K 275

nella Chiesa parrocchiale di Baden.

Sempre nel mese di luglio, Mozart ricevette un incarico assolutamente inatteso, in

circostanze misteriose. Uno sconosciuto lungo, magro, serio, vestito di grigio, gli si

presentò un giorno recandogli una lettera senza firma. L'anonimo scrivente si

profondeva in lusinghiere espressioni di riconoscimento e di lode per l'artista e

concludeva chiedendo se Mozart sarebbe stato disposto a comporre una Messa di

Requiem, e per quale prezzo. Mozart chiese un onorario di cinquanta ducati, senza

però volersi legare ad una scadenza fissa per la consegna. Alcuni giorni dopo

l'inquietante messaggero ritornò con la somma richiesta e ne lasciò sperare una

maggiore a lavoro ultimato, aggiungendo che sarebbe passato di tanto in tanto ad

8 CARL DE NYS, La musica religiosa di Mozart, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988, pp.

107-108.

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informarsi sul procedere della Messa. Il Maestro aveva piena liberta di seguire il

proprio gusto; ma non cercasse in alcun modo di venir a conoscere il nome del

committente. Sarebbe stata fatica sprecata.

Questo fatto strano scosse profondamente il Maestro gia ammalato. I foschi

presentimenti di morte che da mesi gli si affollavano nella fantasia presero forma

concreta nell'idea che gli fosse apparso un messaggero del mondo di là per

commissionargli la propria messa di Requiem. Soltanto dopo la sua morte il mistero

venne chiarito. Il committente era Anton Leitgeb, proprietario terriero confinante ed

amico del conte Franz von Walsegg; e come lui appassionato di musica. Per incarico

dell'amico, di cui era anche consigliere per gli affari legali, Leitgeb aveva

commissionato a Mozart la Messa di Requiem destinata alla annuale funzione in suf-

fragio della contessa Anna von Walsegg, morta pochi mesi prima nel fiore dell' età.

Più tardi ricopiò di proprio pugno il Requiem di Mozart con la soprascritta

«Composto dal conte Walsegg». Il 14 dicembre 1793 lo diresse egli stesso nella

parrocchia cistercense di Wiener Neustadt.

Prima di potersi dedicare a questo nuovo lavoro, Mozart, ricevette dagli stati

generali boemi un pressante invito a recarsi a Praga per scrivere un'opera celebrativa

da rappresentarsi in occasione della solenne incoronazione di Leopoldo II a re di

Boemia. Gli si offriva un compenso di duecento ducati ma in quanto al libretto non

aveva scelta: doveva musicare La clemenza di Tito, un'opera seria apologetica del

Metastasio, nella nuova versione del poeta aulico alla corte di Sassonia Caterino

Mazzolà.

Mozart ebbe tutto il tempo di terminare una buona parte dell'opera, soprattutto

i pezzi d'assieme prima di mettersi in viaggio con Costanza e Süssmayr per la capitale

boema.

Mentre stavano per salire sulla carrozza, inaspettatamente riapparve il miste-

rioso signore e s'informò a che punto fosse il Requiem. Impressionatissimo, Mozart

gli assicurò che appena ritornato si sarebbe messo al lavoro e lo sconosciuto si

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allontanò soddisfatto9.

Dopo il ritorno da Praga, Mozart fu sopraffatto dai malesseri di cui già da

tempo soffriva, e aumentava sempre più la consapevolezza che le forze lo stavano

abbandonando. Nonostante tali malesseri, come un‟ossessione, si dedicava alla

composizione del Requiem, sempre più chiuso in sé stesso ed estraneo al mondo

esterno.10

Mentre si recava al Pater con Costanza, in una giornata autunnale, Mozart

incominciò a parlare della morte, confidò alla moglie di sentire che il Requiem lo

scriveva per sé:<< Lo sento, lo sento, non ne ho più per molto. Certamente mi hanno

avvelenato. Non riesco a liberarmi da questo pensiero>>. Costanza diede poi grande

diffusione a questo tormentoso sospetto, cominciando così a fiorire le leggende più

strane.

Costanza cercò di distrarre Mozart da tali pensieri arrivando a sottrargli la

partitura del Requiem. Dopo una visita effettuata dal dottor Nikolaus Closset, non

emerse nulla di anomalo, tanto da prescrivere solo riposo e svago. Mozart ebbe un

lieve miglioramento che gli permise di completare la Piccola cantata massonica K

623, che diresse nella loggia il 18 novembre, chiese altresì la restituzione del

Requiem, cui riprese a comporre alacremente.

Il 20 novembre 1791, non potendo più reggersi in piedi, dovette mettersi a

9 B. Paumgartner Mozart (Einaudi) pag. 470 – 471.

10

In una lettera in italiano spedita forse al Da Ponte, Mozart esterna i suoi presagi di morte

imminente.

A Lorenzo Da Ponte (?)

Vienna, settembre 1791

Aff.mo Signore,

Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Ho il capo frastornato, conto a forza, e non

posso levarmi dagli occhi l'immagine di questo incognito. Lo vedo di continuo, esso mi prega, mi

sollecita, ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo, perché il comporre mi stanca meno del

riposo. D'altronde non ho più da tremare. Lo sento a quel che provo, che l'ora suona; sono in

procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur si bella, la carriera

s'apriva sotto auspici fortunati, ma non si può cangiar il proprio destino. Nessuno misura i propri

giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla Provvidenza, termino, ecco il mio canto

funebre, che devo lasciarlo imperfetto. (Da W- A. Mozart, Lettere, a cura di E. Ranucci, Milano

1981).

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letto.11

Piedi e mani iniziarono a gonfiarsi e a perdere la mobilità, poi vennero vomiti

improvvisi. Nonostante tutto continuava a lavorare al Requiem.

Il 28 novembre le condizioni di salute del Maestro peggiorarono talmente che

il medico curante volle chiamare in consulto il dottor Sillaba, primario dell‟Ospedale

Generale. Ma non c‟era ormai più nulla da fare. L‟organismo stremato non era più in

grado di sopportare la violenta malattia definita <<febbre biliare>>; ciononostante

Mozart continuava a lavorare al Requiem. Alle due dello stesso giorno erano presenti

presso di lui molti musicisti, e Mozart ne approfittò per provare le parti finite del

Requiem. Il tenore Schanck cantò da soprano, Hofer da tenore, e Gerl da basso,

Mozart tentò di accennare la parte del contralto. Giunsero fino al Lacrimosa, dove il

lavoro era interrotto, e fu qui che il Maestro fu sopraffatto dalla certezza che non lo

avrebbe terminato mai più. Scoppiando in pianto dirotto mise da parte i fogli.

Il giorno seguente Sophie, la sorella di Costanza, trovò Mozart e Süssmayr

assorti negli schizzi incompiuti del Requiem. << Non l‟avevo detto che lo scrivevo

per me?>>, disse Mozart con le lacrime agli occhi. La sera stessa, si aggravò, ma i

suoi pensieri parevano ancora andare alla Messa da Requiem. Verso la mezzanotte si

mise a sedere di scatto sul letto, con gli occhi sbarrati nel vuoto. Poi cadde riverso,

reclinò il capo verso la parete e si assopì. Cinque minuti prima dell‟una del 5

dicembre 1791, Mozart spirò.

Mozart ci lasciò il suo Requiem K 626 incompiuto, poco dopo la sua morte lo

terminarono Eybler e Süssmayr. Joseph Eybler, maestro di cappella successore di

Salieri, in una prima risposta a Costanza, il 21 dicembre 1791, accettò il lavoro,

conducendolo fino all‟Offertorio, poi però si tirò indietro. Süssmayr si rese così

disponibile a completare il lavoro, riprendendo tra l‟altro, alcune soluzioni di Eybler.

Circa due mesi dopo la morte di Mozart, la vedova consegnò all'incaricato del

conte Walsegg la partitura completa della Messa funebre assicurandone l'autenticità e

insistendo in questa affermazione per molti anni ancora. Soltanto quando la certezza

della collaborazione di un estraneo era già da lungo tempo radicata nel mondo

11

Dai resoconti della cognata Sophie Haibl, e ai ricordi della moglie Costanza riportati da

Niemeteschek e Niessen.

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musicale, ella spiegò finalmente il motivo della mistificazione, giustificandola col

ben comprendibile timore che il conte non accettasse un lavoro finito da altri e le

chiedesse la restituzione della somma versata al marito.

Dei dodici pezzi del Requiem Mozart aveva composto per intero l‟Introito e il

Kyrie; le altre parti, fino al Lacrimosa, le aveva stese dettagliatamente, come soleva

fare tracciando il primo abbozzo della partitura, e cioè con tutte le parti vocali e molte

delle parti strumentali conduttrici.

Il manoscritto era interrotto all'ottava battuta del Lacrimosa. Degli altri pezzi, il

Domine Jesu Christe e l'Hostias erano abbozzati come i suddetti e gli ultimi tre

mancavano del tutto.

Il soggetto della fuga del Kyrie, è melodicamente simile al brano „With his

stripes‟ dal Messia di Händel, trascritto per van Swieten a marzo del 1788. Forse la

melodia così autorevole è stata ispiratrice per il soggetto del suo Kyrie.

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“Kyrie” dal Requiem di Mozart e “And with his stripes”dal Messiadi Händel

Secondo accertamenti critici, per i pezzi mancanti Süssmayr si avvalse

probabilmente di alcuni sommari appunti del Maestro, perciò la sua affermazione di

aver composto personalmente, <<ex novo>> il Sanctus il Benedictus e l'Agnus Dei,

riprendendo soltanto verso la fine, alle parole <<cum sanctis>> la fuga del Kyrie per

dare maggior unitarietà al lavoro, fu quasi subito messa in dubbio. È probabile che

Mozart nelle ultime settimane, almeno fino a quando non fu invaso dall'assoluta

certezza della morte imminente, impartisse al suo allievo istruzioni anche verbali,

facendosi aiutare da lui, allo stesso modo come poco tempo prima la scarsità di tempo

lo aveva costretto a fare per la partitura del Tito. Costanza ricordava come egli

solesse cantare con l'allievo i pezzi abbozzati, dilungandosi in spiegazioni e talvolta

anche bonariamente riprendendolo: “Ahi, ahi, qui siamo di nuovo usciti dal seminato!

Questo sei ancora ben lontano dal capirlo!”. Nulla lascia credere, insomma, che egli

avesse intenzione di affidare a Süssmayr il completamento di un lavoro così

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importante. Lo stesso Süssmayr, in una lettera dell'8 febbraio 1800, spiegherà

all'editore Breitkopf: “Il compito di ultimare quest'opera, dopo la morte che colse il

Maestro di sorpresa mentre vi stava lavorando, venne proposto a diversi musicisti.

Alcuni si rifiutarono a causa di altri impegni di lavoro, altri per non compromettere il

proprio talento accostandolo a quello di Mozart. Infine l'incarico venne affidato a me,

perché si sapeva che quando Mozart era ancora in vita io avevo spesso suonato e

cantato insieme a lui i pezzi già musicati ed egli mi aveva spesso parlato del come

intendeva mettere a punto e ultimare l'opera, spiegandomene la condotta e i motivi

della strumentazione”.

Senza di lui quegli abbozzi non sarebbero mai usciti dagli archivi e dalle

monografie per diventare un'opera d'arte viva e concreta. Questi meriti, e la resistenza

della sua elaborazione, hanno assai maggior peso che non le molte, innegabili

debolezze artigianali, rilevabili specialmente là dove il trascrittore fu costretto a

lavorare del tutto o in parte di propria iniziativa. Ciò avvenne, come si è detto,

soprattutto nel Sanctus (che ha la stessa successione ritmico – armonica delle rpime

quattro battute della Messa K 139 Waisenhausmesse) e nell'Agnus Dei, e

probabilmente anche nel Benedictus, per cui forse egli poté disporre di un'idea

originale di Mozart, senza peraltro riuscire a darle uno svolgimento adeguato.

L'ultima parola su questo difficile problema critico-stilistico è ben lungi dal poter

essere detta. Tipica di Süssmayr, anche nelle pagine abbozzate per intero da Mozart,

è una strumentazione, che incomincia a avvertirsi nel Dies irae. Gli archi

raddoppiano quasi sempre le parti vocali definite da Mozart, o se ne scostano con

tremolii e figurazioni impersonali. Anche i tromboni si mantengono incollati al coro,

secondo uno stile chiesastico patriarcale, inconciliabile con la maturità artistica di

Mozart. Ciò risulta particolarmente evidente nel sublime brano del Confutatis alle

parole <<Oro supplex et acclinis>>.

Più che mai evidente appare quanto Süssmayr fosse sprovveduto e “incerto sul

da farsi” (W. Fischer) nella prosecuzione del Lacrimosa, e cioè dall'ottava battuta,

dove il manoscritto di Mozart si interrompe, e lo stupendo frammento viene portato a

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termine da Süssmayr.

Nella versione URTEXT edita dalla Peters, revisionata da F. Beyer, da battuta

24 a 27 variano sia la scrittura orchestrale, sia l‟armonia. Süssmayr sull‟entrata

imitativa tra basso e soprano lascia in pausa i contralti, facendoli entrare solo a

battuta 25 (Dona eis), fa entrare i tenori a metà di battuta 24 per moto contrario ai

bassi e soprani sulle parole Dona eis, con successione armonica V- VI, addoppiandoli

con il fagotto primo, trombone tenore e violini secondi. Beyer invece affida ai tenori

il compito di imitare le altre voci, continuando così l‟entrata „a canone‟ lasciandoli in

pausa alla battuta 24 con i contralti che tengono un pedale di dominante (re)

sull‟articolazione della parola Dona, facendo entrare i tenori a batt. 25 ad imitazione

dei bassi e soprani, sulle parole Dona eis, con successione armonica V – I. A mio

avviso questa soluzione risulta essere più corretta e gradevole all‟ascolto rispetto alla

soluzione adottata da Süssmayr. Di seguito le soluzioni nella versione ridotta per

pianoforte.

Versione di Süssmayr.

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Versione di Beyer.

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La ripresa della fuga del Kyrie nell'Agnus Dei è un comprensibile ripiego,

anche se giustificato dalle consuetudini correnti. Mozart, con la finezza d'intuito

artistico raggiunta negli ultimi anni, avrebbe certamente trovato un'altra soluzione, e

la conclusione dell'opera sarebbe risultata ben altrimenti efficace.

Con il Requiem, il Die Zauberflote, le ultime grandi composizioni strumentali

Mozart pose, anche nel campo della musica da Chiesa, l'ultima pietra all'immenso

edificio dell'opera sua. Il Requiem è totalmente diverso da tutte le sue precedenti

composizioni liturgiche, compresa la Messa in do minore scritta quasi dieci anni

prima. Questo lungo periodo di tempo durante il quale Mozart, eccezion fatta per

l'Ave verum, non scrisse più musica sacra, ci dà la piena misura dell'evoluzione com-

piuta dall'artista. Entrambe le opere mostrano le tracce dell'impressione profonda

prodotta nel giovane musicista dalle opere di Bach e di Händel. Più vicina alla calda e

pomposa espressività handeliana, la Messa in do minore è ancora variamente

inframmezzata anche di elementi di impronta italiana; il Requiem, così elevato,

maturo, compiuto, sorretto dalla sicurezza di esperienze direttamente vissute, appare

invece più affine al profondo sentire bachiano. Pur rispettando tutte le esigenze

liturgiche, esso trascende ogni limitazione dogmatica per esprimersi come un per-

sonalissimo atto di fede dell'artista alle soglie dell'eternità.

Se nel Zauberflote Mozart aveva annunziato all'umanità la dottrina del

reciproco amore, come via di salvezza temporale è nel Requiem che, già prossimo

alla morte, sentiva di scrivere per sé, egli ci parla con fervida fiducia della

redenzione, attraverso l'amore inestinguibile per un mondo migliore.

La dolce soavità del Flauto magico pervade anche quest'opera. Perfino i terrori

del nuovissimo giorno diventano, nel Dies irae trepida commozione senz'ombra di

teatralità. Dalla contrita preghiera dell'Introito che invoca la pace eterna ai defunti si

eleva il soave corale Te decet hymnus del soprano solista come una blanda luce di

promessa sulle tenebre del dubbio e dell'errore. Al Confutatis, sugli orrori della

dannazione aleggiano il celestiale voca me delle voci femminili e le sublimi

successioni armoniche dell'Oro supplex. La terrificante maestà di Dio sorride piena di

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grazia all'infantile, sommessa preghiera Salva me, nel Rex tremendae. Sante,

consolatrici speranze addolciscono la conclusione del cupo e angosciato Lacrimosa,

la paurosa visione del Tuba mirum e la fervente preghiera del Recordare. Sempre e

dovunque la lotta disperata delle creature si placa nella certezza della pace eterna.

Così Mozart, continua a veder nella morte la «vera e miglior amica degli uomini»,

grazie alla sua semplice ma fermissima fede nell'immortalità.

In orchestra prevale il colore cupo dei corni di bassetto. Gli archi si muovono

di preferenza nei registri gravi, con interventi di fagotti, trombe, tromboni e timpani.

In questa gamma di tonalità funeree non v'era posto per gli oboi, chiari, acuti, né per

clarinetti e corni.

Pur essendo ancora rilevabile nella sua impostazione di fondo, e forse anche in

taluni dettagli, qualche traccia dell'impianto chiesastico tradizionale, e nonostante le

importanti messe funebri di Cavalli, Hasse, Michael Haydn, Gossec e Cherubini, esso

rimane, accanto alla Messa in si minore di Bach, la prima composizione liturgica

nello spirito moderno.

Come Il flauto magico, il Requiem parla già il linguaggio del XIX secolo, pur

mantenendosi vicino al monumentale passato di J. S. Bach. Questa enorme ricchezza

di contenuti culturali, anche a prescindere dalla pura bellezza musicale, ne spiega a

grande efficacia rimasta inalterata fino ai nostri giorni. Specialmente nella Germania

settentrionale, dove lo spirito degli antichi classici si mantenne vivo anche nella

seconda metà del XVIII secolo, il Requiem guadagnò rapidamente terreno subito

dopo la morte di Mozart. Più ancora delle opere teatrali mozartiane esso si affermò

vittoriosamente nei paesi latini. Nel 1804 Cherubini lo presentò a Parigi in una

memorabile esecuzione, e nel 1840, per le solenni onoranze funebri a Napoleone,

venne preferito a tutte le composizioni di autori francesi.

Soltanto in epoca più recente sorsero lavori analoghi, benché di carattere meno

rigorosamente liturgico: la Messa di Requiem di Verdi e il Requiem tedesco di

Brahms.

Nel suo ultimo anno di vita, pur portando a compimento una serie di opere

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assolutamente mature e perfette, Mozart si era venuto a trovare come a un nuovo

punto di partenza. Concluso il suo passato con Così fan tutte, durante la lunga pausa

del 1790 egli maturava la squisitissima soavità di linguaggio, preannunziatasi in molti

precedenti lavori, per portarla alla pienezza dell'ultima maniera. Passo passo egli

riconduceva la propria arte, nata dalla ingenua galanteria dei preclassici, alla potenza,

alla profondità di sentire degli antichi maestri classici, raggiungendo un perfetto

equilibrio tra profondità di pensiero e compiutezza architettonica in senso assoluta-

mente personale e moderno. Accanto alla calma maturità di Joseph Haydn che aveva

portato l'arte classica strumentale viennese a luminose altezze, le opere della maturità

mozartiana, dopo la prematura morte dell'artista, dovevano continuare ad agire come

una poderosa forza spirituale sull'animo delle successive generazioni.

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9. Estetica ed evoluzione dello stile

La carriera artistica di Mozart si evolve con gli anni.12

Rispettando in un primo

momento i confini stilistici posti nel periodo barocco fra musica teatrale, sacra e da

camera, egli comincia liberamente ad abolirli e a sviluppare con crescente autonomia

il suo personalissimo stile, non condizionato dalle capacità di comprensione degli

ascoltatori (musica di società), ma informato unicamente alla legge delle intime

esigenze espressive (arte di confessione). In questo senso anche Mozart, impiegando

in modo magistrale il linguaggio artistico che generazioni prima di lui avevano

sviluppato e che egli fece proprio in parte con lo studio teorico, in parte mediante gli

incontri con i primi compositori del suo tempo, oltre a concludere un'epoca, diviene

l'araldo di una nuova èra artistica.

Non si deve dimenticare il sostrato storico della musica mozartiana, che si

ricollega al ricordo di Händel a Londra e alla polifonia italiana di Roma e Bologna:

associato inoltre ai fermenti contemporanei della sinfonia e dell'opera buffa, che già

in tenera età egli aveva avvertito in Francia, Inghilterra e Italia. Questo sostrato

storico rivela l'universalità del suo stile. Ma la formazione di Mozart non si è attuata

solo nei rapporti con i più significativi compositori del suo tempo, ma anche

attraverso incontri con cantanti, virtuosi, orchestre di prim'ordine, nei centri dalle

grandi tradizioni teatrali. Grazie al genio organizzativo del padre, aveva conosciuto le

classi più elevate della società: pontefici, re e principi, cardinali e diplomatici, ma

anche borghesi e commercianti, nonché il popolo minuto.

Aveva vissuto in conventi, città e villaggi di quasi tutta l'Europa, e già nei

primi anni di vita il suo sguardo si era posato sul <<grande teatro del mondo>> -

premessa indispensabile per il precursore del teatro musica moderno -. Egli avvertì

in sé, molto presto, l'acutezza d'osservazione, l'arguzia, la tendenza all'ironia dello

spirito latino, come pure un infallibile istinto formale, fondendo tutto ciò con la

serietà di carattere ereditata dal padre e con l'indole cordiale della madre austriaca.

12 Per l‟argomento, cfr. ERICH SCHENK, Voce Mozart Wofgang Amadeus, DEUMM/B, V, 1988, pp. 227- 229.

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Da questa fusione risultò quella ricca umanità che gli consentì di rappresentare sulla

scena le passioni degli uomini, di sostituire vivi ritratti alle tradizionali maschere

teatrali, assicurando a molti suoi personaggi l'immortalità. Così non solo dal punto di

vista artistico, ma anche da quello puramente umano, gli riuscì di concludere quel

periodo classico della musica, il cui fine essenziale ed ideale era stato la compiuta

rappresentazione dei sentimenti umani e dei moti dell'animo.

Il Classicismo è la realizzazione artistica di quel secondo Umanesimo che, con

la sua fede nell'uomo e nella vittoria della bontà e della bellezza che appianano ogni

confine fra le classi sociali, rese possibile l‟ ascesa del musicista salisburghese.

L'opera complessiva di Mozart rivela ancora la ricchezza e l'universalità

dell'epoca barocca: non esiste quasi genere musicale del suo tempo che egli non abbia

trattato o uno strumento al quale non abbia dedicato alcune opere, composte con un

finissimo intuito delle particolari risorse tecniche e timbriche.

Nel medesimo tempo, il genio precoce del compositore risolve in una nuova

dimensione i valori puramente musicali di un fervore spirituale che nel clima ro-

mantico avrebbe trovato la massima comprensione, sino a fare del suo stile un

esemplare punto di partenza e di arrivo. L'omogeneità e la coerenza del discorso

mozartiano paiono dar vita a una trasfigurazione dell'elemento musicale, mentre la

trasparenza e la perfezione della forma sembrerebbero annullare la presenza di una

eredità storica. Ma, riconosciuta la natura inconscia e favolosa, misteriosa e ineffabile

dell'arte mozartiana, resta insoluto il problema dell'apporto culturale, di quella

esperienza musicale, mentre si fa più arduo il giudizio sul valore e l'importanza di

ogni singola opera. Ben pochi fra i suoi contemporanei si erano accorti del reale

valore della creazione mozartiana, così come ben pochi, grandi, ne furono influenzati.

Le conquiste di Haydn e di Clementi nel campo della musica strumentale, o di Gluck

e di Cimarosa in quello operistico, suscitavano maggiori entusiasmi, mentre la sottile

rivoluzione mozartiana si nutriva di occasionali vittorie.

Abile in tutti i generi, dotato di una stupefacente capacità e fantasia inventiva,

Mozart impressionava i contemporanei più per le qualità esteriori del suo

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temperamento artistico, che per la reale ricchezza di contenuto della sua opera. Ne

fanno fede le pagine strumentali, in special modo i concerti; ma soprattutto, la

produzione teatrale che, una volta liberata dal manierismo tradizionale, ha dato vita a

personaggi indimenticabili, quasi simbolici, a situazioni drammatiche mai più

superate, e con tutto ciò non ha suscitato in quell'epoca che lo scalpore dei moralisti e

degli esponenti dell'alta società.

Il linguaggio di Mozart, nonostante l'apparente staticità della sua natura, si

presenta in continua evoluzione e senza che mai il progresso sembri il frutto di un

artificio. Non vi è frattura, ma una continuità storica e discorsiva che sembra

procedere passo dopo passo, verso una meta ideale che, in tutti i generi e in tutte le

forme, Mozart toccherà soltanto negli ultimi anni.

Ogni elemento della tecnica compositiva potrebbe essere fatto oggetto di una

analisi per dimostrare il carattere evolutivo del discorso mozartiano. Si prenda, ad

esempio, la tecnica della variazione, che è predominante in Mozart e che forse è

quella che meglio rappresenta il passaggio da un'epoca a un'altra, da una concezione

all'altra. Si tenga presente che il principio della variazione è anche il principio

creativo fondamentale dell'epoca barocca.

Come si deduce da istruttive lettere di Mozart sulla sua attività didattica a

Parigi e da un quaderno del 1784, egli ha fatto della variazione il punto di partenza,

fornendo cioè ai suoi allievi delle melodie che poi faceva variare e sviluppare (anche

se in ciò, probabilmente, si limitava a seguire il metodo propedeutico sperimentato

dal padre). Comunque, Mozart diede veramente un nuovo sviluppo alla tecnica della

variazione. Non solo ha portato a un'estrema raffinatezza questa tecnica ornamentale

e, superando i limiti stilistici del Barocco, ha enormemente ampliato il repertorio di

formule melodiche, ma soprattutto ha creato le proprie variazioni secondo il principio

dell' elaborazione; seguendo una disposizione psicologica, e raggiungendo in tal

modo una varietà di accenti mai prima udita.

In sostituzione della variazione ornamentale, appare con Mozart la

modificazione (sempre in forma di variazione determinata da impulsi psicologici)

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delle formule melodiche, ove il mutamento di pochissime note, una lieve sfumatura

armonica, uno spostamento ritmico danno come risultato nuove creazioni di

un'eccezionale forza espressiva e di una affascinante originalità.

Questa evoluzione si compie in tre tappe. Fin verso il 1772 si protrae il periodo

della ricettività, dell'assimilazione sorprendentemente rapida dei mezzi tecnici

d'espressione. Nel decennio 1772-81 il compositore procede in modo sempre più

intenso e consapevole verso una sintesi stilistica personale, finché nell'ultimo

decennio 1781-91 la sua opera si costituisce a simbolo della musica classica, risultato

di un'alta capacità creativa e di un'intensissima virtù espressiva.

Tre tappe fondamentali, dunque, che non impediscono di scorgere l'unità di

condotta e che non vengono vanificate dall'enorme mole dell'opera.

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10. L’ evoluzione dello stile nelle Messe

È noto che Leopold, aveva posto tutte le sue speranze sulla vocazione

operistica del figlio. Già all'Aja era apparso il Galimathias musicum (K 32) in 16

parti, una strana mescolanza di sinfonia, concerto per clavicembalo e balletto, in cui

forse dei bambini rappresentavano scene di vita alpestre, uno tra i primi contributi di

Mozart al teatro. Un frammento d'opera, una «licenza», cioè una musica d‟omaggio

per una manifestazione in onore d'una personalità fu la prima composizione scritta

dopo il ritorno in patria: l'aria per tenore Or che il dover (K 36). Con essa si

concludevano, infatti, i festeggiamenti annuali per l'anniversario dell'incoronazione

dell'arcivescovo. Mozart compose poi un'intera parte d‟ oratorio (Die Schuldigkeit

des ersten Gebotes, K 35) che secondo lo stile del tempo, non si differenziava in nulla

dall'opera. I modelli diretti di Mozart erano gli oratori di Eberlin, anche talune

composizioni del padre, come rivelano la sicura declamazione, la coloritura

drammatica dei recitativi e la tendenza, a caratterizzare le singole figure. L'impianto

formale delle arie deriva da Johann Christian Bach, il loro puro carattere coloristico

rivela l'influenza italiana e al contempo la sorprendente assimilazione delle

esperienze operistiche di Londra. La Grabmusik (K 42) del 1767, colloquio fra

l'«anima» e un angelo, è una derivazione del dialogo spirituale barocco, soprattutto

del «sepolcro»> viennese; è un'opera napoletana camuffata da cantata. La commedia

scolastica latina Apollo et Hycanthus, tratta da Ovidio (K 38), che nel maggio del

1767 fu rappresentata nel ginnasio benedettino di Salisburgo, dimostra la completa

assimilazione dell'ideale operistico italiano da parte del giovane compositore, seppure

solo occasionalmente si manifesti una personale espressione d'arte. Analoghe ca-

ratteristiche rivela l'opera buffa La finta semplice (K 51), su testo di Coltellini, con la

quale dovevano essere consolidati pubblicamente i primi successi teatrali di

Salisburgo.

A Vienna fu composta anche la prima delle diciotto messe di Mozart, la Missa

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brevis K 49, contemporaneamente alla Waisenhausmesse, scritta per l'inaugurazione

di un orfanotrofio (K 139), alla quale nel 1769 segui la seconda Missa brevis K 65.

Ambedue mostrano l'influenza di Eberlin e di Michael Haydn nella forma concisa,

nella tematica e nella struttura contrappuntistica.

Al breve soggiorno salisburghese del 1769 risale invece la sua prima grande

Missa solemnis (K 66), la cosiddetta Dominicus-Messe, nella quale si nota il

passaggio dallo stile strettamente polifonico delle messe di Eberlin al brillante stile

napoletano di Adolf Hasse. È una messa in forma di cantata, con un apparato

orchestrale operistico e brillanti assoli vocali, che rispecchiano l'ottimismo col quale

nel periodo rococò si esaltava Dio.

Una grande quantità di musica sacra fu scritta per il duomo di Salisburgo

oppure per committenti italiani. A parte due Messe rimaste incompiute (K 115 e 116)

che, nonostante le inserzioni strumentali di stile napoletano, rispecchiano la dottrina e

la norma contrappuntistica di padre Martini nel loro severo stile vocale a cappella,

nella prima grande Missa solemnis K 139 del 1768 Mozart si riallaccia

inconfondibilmente allo spirito dell'opera, sia per gli accenti drammatici e l'ardita

armonia nei cupi episodi del Kyrie e del Crucifixus, sia per l'impiego di ritmi ternari e

per l'atmosfera gioiosa creata dal ritmo di siciliana.

Nelle Litanie K 109 e 125 Mozart si dimostra amabile, popolaresco e

fantasioso, conformemente alla natura di questo genere. L'opera più ampia di questo

periodo è però l'azione sacra La Betulia liberata (K 118), composta durante il ritorno

dal primo viaggio in Italia e nei mesi successivi a Salisburgo. L'oratorio è in due parti

e nella sua struttura, nei tipici giri melodici e in altri Particolari, come l'impiego di

una melodia gregoriana nel coro finale, segue il modello dell'oratorio di Hasse.

Anche quest'opera, per la forma delle arie e la ricchezza di coloriti, è nello stile delle

pagine giovanili, anche se l'ouverture, di carattere più serio, e i cori rivelano quella

tendenza verso uno stile più maturo già riscontrata nel Lucio Silla.

Fra queste, in ogni caso, meritano una citazione le Messe. La Messa K 167, che

è nello stile della Messa in do min. K 139, ma per la prima volta non presenta la solita

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contrapposizione di soli e di tutti, annuncia con il ricco contrappunto, il futuro

sviluppo del genere. Questo si avverte particolarmente nella Missa brevis K 192, una

delle cosiddette Credo-Messe, genere prediletto in Austria dopo Fux, nella quale la

parola «Credo» viene ripetuta come citazione appunto nel Credo. Anche qui Mozart

si serve, come incipit intonato dal sacerdote (Credo in unum Deum), del motivo che

egli deriva dalla Missa St. Henrici di Heinrich Biber; mentre il legame tematico delle

singole parti è sviluppato con notevole coerenza. Nella seconda Missa brevis K 194

manca invece una tale rigorosa interpretazione del testo.

Caratteri operistici, evidenti in tale messa, si rilevano anche nelle Litanie

mariane K 195, mentre un'accurata trattazione del testo e passaggi descrittivi

contraddistinguono il Dixit e il Magnificat per i Vespri K 193.

La volontà sempre più decisa di allontanarsi da Salisburgo si manifesta con

particolare chiarezza nelle composizioni sacre di questo periodo. Le sei Messe K 220,

257, 258, 259, 262, 275 (tutte nella tonalità di do magg., tranne l'ultima che è in si

magg.) rivelano quali sono i reali interessi attuali di Mozart, cioè l'opera, la musica

strumentale e il Lied in lingua tedesca. Mentre nella prima manca ogni traccia di

contrappunto a favore di un'effusa cantabilità e di alcuni esperimenti formali, nella

seconda, la Credo-Messe, la ripresa della polifonia rivela il forte richiamo stilistico

della musica strumentale: il carattere semplice e cantabile di quest'opera si ritroverà

rinnovato nelle messe schubertiane. Mentre nella Messa con solo d'organo detta

Orgels-messe K 259 (cfr. il Benedictus) si riflette lo spirito del concerto pianistico,

nelle ultime messe salisburghesi K 258 e 275, Mozart è debitore allo stile che padre

Martini gli aveva fatto un tempo conoscere, mentre la Missa longa (K 262) è vicina al

tipo delle messe solenni.

Le opere scritte nei due anni trascorsi a Salisburgo (1779-81) dopo il ritorno da

Parigi presentano caratteri simili. Le due Messe K 317 (Krönungsmesse, per il

santuario di Maria am Plain presso Salisburgo) e K 337 non si discostano infatti da

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quelle composte prima della partenza per Parigi. Fanno parte di questo gruppo tre

Kyrie K 323, 340, 341, l'ultimo dei quali rivela chiaramente l'austera disposizione di

spirito del maestro assorbito dalla composizione dell'Idomeneo.

Ricordiamo, inoltre, i Vespri K 321 e 339, nei quali Mozart impiega più volte

passaggi contrappuntistici.

La trasformazione della Messa in do min. nella cantata Davide penitente K 469

del 1785 ci introduce nel campo delle composizioni pseudo-sacre che Mozart scrisse

per incarico della Massoneria. Già nel 1785 era nata la cantata Dir, Seele des Westalls

K 429, per TTB e orchestra. Ancora nel 1785 furono composti per una Loggia

massonica il Lied Gesellenreise K 468, la cantata Die Maurerfreude K 471 e i due

Lieder corali con organo Zerfliesset heut, geliebte gruder K 483 e Ihr unsere neuen

Leiter K 484, scritti nello stile senza pretese del Lied viennese di società, sono

inferiori alla Maurerische Trauermusik K 477 scritta in commemorazione di due

confratelli defunti. Anche in questo famoso brano il timbro è condizionato dalla

particolare sonorità degli strumenti a fiato, mentre l'elaborazione liturgica del cantus

firmus preannunzia rispettivamente brani della Zauberflote (come il Corale dei

Guerrieri) e del Requiem.

Un gruppo a sé formano le composizioni sorte durante l'ultima visita di Mozart

a Salisburgo nel 1783. La Messa in do min. K 427, rimasta incompiuta, fu l'ultima

delle sue diciotto messe; iniziata nel 1782 come voto per ottenere la guarigione della

moglie, alla prima esecuzione nella Peterskirche di Salisburgo, forse dovette essere

integrata con brani di altre messe. Essa è un'alta testimonianza, per non dire la più

significativa, dell'orientamento barocco di Mozart a Vienna, riconoscibile in modo

particolare nelle splendide parti corali come pure nel collegamento tematico delle

singole sezioni. A queste parti, così piene di nobiltà e ispirata grandezza, si

contrappongono alcune arie e frammenti, informati inoltre a differenti stili, come il

Laudate del Gloria.

Del Requiem K 626 Mozart poté ultimare solo l'Introitus, il Tractus, il Kyrie e

in parte la sequenza Dies irae. Il suo allievo Süssmayr completò accortamente e

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decorosamente il resto, basandosi sulle ultime indicazioni del maestro e sugli schizzi.

Mozart, che da diciotto anni non componeva più messe, fece di questo Requiem una

professione di fede, una manifestazione di grandi idealità etiche, ponendo in tal modo

le premesse per una musica sacra nella quale il dogma cristiano e l'aspirazione

secolare alla trascendenza si compenetrano e si appoggiano vicendevolmente.

Conta, oltretutto, un intimo e elevato sentimento religioso, accorato e

struggente, di umanità rassegnata che la fede quasi non basta a consolare; mentre il

dogmatismo e l'osservanza liturgica sembrano superati nel cantico di fede e d'amore.

Due composizioni vocali di minori dimensioni sono strettamente collegate alla

Zauberflote e al Requiem. Alla Zauberflote appartiene la piccola cantata massonica

Laut verkunde unsre Freude K 623 che il maestro, ormai segnato dalla morte diresse,

diciannove giorni prima della sua scomparsa, nella sua Loggia; al Requiem

appartiene invece il celebre mottetto Ave verum K 618, composto per la festa del

Corpus Domini del 1791 di Baden, che presenta un'intima fusione del Lied tedesco e

dello stile mottettistico a cappella italiano, che aveva avuto in Austria una ricca

tradizione dopo Caldara.

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11. Spiritualita’ di Mozart

In tutto e per tutto figlio del suo tempo, di quel Settecento che, muovendo dalla

tradizione culturale di stampo religioso, si portava sempre più verso orizzonti laici e

razionalistici, ispirati da suggestioni illuministiche, Mozart segui nell'arco della sua

breve vita il medesimo percorso evolutivo. Non possediamo specifici documenti circa

le convinzioni religiose di Mozart (a parte quel che si può ricavare dalle sue lettere e

dalle sue creazioni musicali) e tuttavia la trasparenza della sua condotta artistica e

umana ci consente di intuirle anche in assenza di dichiarazioni esplicite. Crebbe in un

ambiente cattolico, prestò per lungo tempo la propria opera al servizio della corte

arcivescovile della sua città e di fatto non prese mai completamente le distanze dalla

Chiesa, anche se nei suoi ultimi anni si avvicinò alla «nuova fede» dell' età dei lumi,

quella che sostituiva all'ortodossia religiosa la fiducia nel libero pensiero.

Come è noto, infatti, durante il suo soggiorno viennese Mozart aderì alla

Massoneria e finì con il sottolineare nella sua opera (si pensi soltanto al Die

Zauberflote, Il flauto magico) valori laici di fratellanza e di egualitarismo la cui

rivendicazione si avvicinava al clima delle nuove spinte politiche e culturali che

avrebbero determinato eventi di portata deflagrante nella storia d'Europa.

Anche il clero e le forme rituali delle chiese cristiane, cattolica e protestante,

venivano colpiti dalla critica degli ambienti massonici, sebbene raramente questa sia

sfociata in una lotta aperta, particolarmente nei paesi di lingua tedesca.

Leopold Mozart, che pure aderì alla Massoneria dietro invito e sollecitazione

del figlio, rimase un cattolico di propensioni sostanzialmente ortodosse. Dopotutto

era stato lui a impartire al figlio un'educazione religiosa severa, nella quale il rispetto

della struttura verticale che dalla divinità, attraverso le gerarchie ecclesiastiche,

giungeva fino al singolo fedele, ricalcava la struttura sociale del tempo e persino la

scala gerarchica di casa Mozart, sulla quale Leopold dominava in modo intransigente.

D'altro canto, traendo il proprio maggior reddito dal servizio musicale presso la corte

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dell' arcivescovo di Salisburgo, Leopold non poteva per forza di cose che dimostrarsi

un cattolico integerrimo. La sua sincera devozione non impediva però che in alcune

occasioni, nelle sue lettere, affiorasse qualche sintomo di ribellione contro i soprusi

perpetrati dai prelati dell'arcivescovado.

Non si poteva non mostrare insofferenza, per un predominio della componente

religiosa sulla vita sociale che, nella Salisburgo del XVIII secolo, possedeva

connotati anacronistici.

Eredi del ruolo temporale medioevale dei vescovi-conti, gli arcivescovi di

Salisburgo controllavano la vita della città da quell'autentica corte che era la

Residenz. Facendo leva sul forte sentimento cattolico della popolazione austriaca e

sull' eterna dialettica della paura escatologica (salvezza o dannazione), i prelati-

padroni accentravano intorno a sé la vita economico – culturale della città, con

stridente anacronismo rispetto alla prevalente tendenza europea verso una gestione

laica del potere.

Il progressivo contrasto fra Wolfgang e suo padre circa il servizio alla corte

arcivescovile non toccò mai elementi dottrinari, ma ruotò sempre intorno alla

condizione servile del musicista alla corte ecclesiastica; una condizione peggiorata

oltretutto da quando al soglio salisburghese era salito l'arcivescovo Hieronymus

Colloredo. Crescendo, il giovane finì con il giudicare sempre più inaccettabile il

ruolo di sfacciata subalternità in cui si svolgeva la sua attività di musicista alla corte

arcivescovile.

Quando il capo cuciniere, conte Arco, lo licenziò con una pedata sul sedere,

Wolfgang prese coraggio, si risolse a chiudere definitivamente con Salisburgo e a

trasferirsi a Vienna per tentare la carriera del libero musicista. Leopold chiaramente

non approvò il fatto che suo figlio rifiutasse di continuare a servire un principe della

Chiesa, infrangendo in tal modo l'antica tradizione feudale ed esponendosi a tutti i

rischi di una vita d'artista senza impiego sicuro. Se si scorrono le sue lettere di quel

periodo, tuttavia, la sua disapprovazione appare più che altro strumentale, finalizzata

a ragioni di natura prettamente economica. Non c'è traccia di indignazione morale in

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ciò che scrive al figlio, nessuna accusa di lesa maestà. All'acuto senso critico di

Leopold non sfuggivano i troppi difetti del clero e la sua mente aperta appariva

affascinata dai principi ideali del razionalismo illuminista che aveva conosciuto nel

corso dei numerosi viaggi compiuti in Europa insieme con Wolfgang.

Uomo dall'intelligenza ordinata (fu eccellente didatta, come i trionfi del figlio

comprovano, e autore di un metodo per violino rimasto famoso per tutta la prima

metà dell'Ottocento), Mozart padre finì tuttavia con il restare sottomesso all' autorità

costituita. Forse intimamente accolse con soddisfazione la decisione del figlio di af-

francarsi dalla servitù di Colloredo, anche se questo non significa che egli abbia

cessato di rammentare in ogni occasione al ragazzo i suoi doveri religiosi.

Nelle sue lettere il padre lo esorta ripetutamente a confessarsi e ad assistere alla

Santa Messa, temendo che il figlio trascurasse i suoi doveri di buon cristiano. Le

risposte di Wolfgang mostrano come egli cercasse di stornare i sospetti paterni. Si

nota anche quanto, una volta uscito dall'infanzia e dalla prima adolescenza, gli

risultasse fastidiosa (e a volte perfino offensiva) questa sorveglianza. Si finisce con il

parteggiare idealmente per il figlio contro la noiosa pedanteria e bigotteria del padre;

questo anche perché appare evidente che a Wolfgang il proprio, intimo sentimento

religioso sta più a cuore della rigida osservanza di determinati precetti cattolici.

Non sono numerose le lettere di Mozart intorno a questo specifico argomento e

molte di esse risalgono al tempo del suo fidanzamento con Costanza Weber, quando

gli parla con entusiasmo delle confessioni fatte insieme alla futura sposa e delle

Messe ascoltate accanto a lei. L'accenno ai sacramenti da parte di Wolfgang nelle sue

lettere si offre anche a un' altra interpretazione. Il giovane tentava di tranquillizzare

almeno dal punto di vista religioso e ottenere più facilmente il suo consenso alle

nozze quel cattolico praticante che era suo padre (il quale, sia detto per inciso, non

voleva saperne della famiglia Weber).

Una volta sposati i due giovani, e soprattutto dopo che era morto il padre di lui,

non sembra che i Mozart si siano curati soverchiamente di pratiche religiose. È noto

comunque il fatto che Wolfgang abbia preso parte a diverse cerimonie pubbliche,

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come la Processione del Corpus Domini che il 26 giugno 1791 mosse dalla Chiesa

dei Piaristi. L'ultima pratica religiosa di cui il musicista fece richiesta fu quella

dell'estrema unzione quando, assente sua moglie per un ciclo di cure termali a Baden,

si accorse dell'improvviso aggravarsi della sua malattia. A quanto pare, tuttavia,

nessun prete della parrocchia di St. Peter volle recarsi da lui per somministrargli

l'estremo viatico del culto cattolico. Sua cognata, Sophie Haibl, riferì in una lettera

del 7 aprile 1825 al Nissen (primo biografo di Mozart, secondo marito di Costanza)

che era occorsa molta fatica per convincere un <<prete così disumano>>, a venire.

Come scrive Aloys Greither, <<il fatto che Mozart, in quello stesso periodo, era

entrato a far parte della Massoneria, non basta a spiegare la ripulsa della Chiesa,

perché a quel tempo vi erano anche preti, anzi persino alti dignitari ecclesiastici, fra i

massoni. Ma forse l'entusiasmo con cui aderiva alla Massoneria, e la conseguente in-

differenza nei riguardi della Chiesa, aveva irritato i preti della sua parrocchi>> (da

Mozart, Einaudi, Torino 1968).

La musica religiosa costituisce in ogni caso una parte cospicua della

produzione mozartiana. Il Catalogo Köchel comprende in questo ambito una

cinquantina di opere, di dimensioni varie e spesso incomplete. Certo il numero di

composizioni, per un autore di quell'epoca, non è in alcun modo indicativo della sua

fede religiosa: nel Settecento un'opera nasceva dietro specifica committenza e dunque

era chi effettuava l'ordinazione a determinarne il genere e spesso anche la temperie

spirituale. Sarà molto più tardi, in epoca romantica, per esempio con un Anton

Bruckner, che una predominante componente religiosa del catalogo risulterà effettivo

indizio delle propensioni dell'autore. Tuttavia, la maggior parte delle opere religiose

di Mozart (Messe, Mottetti, Vespri, Litanie ecc.) palesano un'anima, profondamente

religiosa.

Il rituale della Chiesa Cattolica, fatto per parlare ai sensi prima che all'anima

(paramenti sgargianti, profumo d'incenso, musica d'organo ecc., e che trova nella

varietà architettonica delle chiese barocche dell'Austria e della Germania meridionale

un quadro particolarmente confacente), corrispondeva oltretutto al temperamento

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estroverso del giovane musicista. Incaricato in giovane età di sovrintendere al

bisogno di musica liturgica da parte dell'arcivescovo di Salisburgo, Mozart produsse

la maggior parte della sua opera destinata alla Chiesa proprio nel periodo in cui nella

sua città fu dapprima Konzertmeister, cioè a partire dal 1770 e, a seguito del viaggio a

Parigi, ossia dopo il 1779, organista di corte. Durante lo stesso periodo, nel corso

delle sue tournées concertistiche, il ragazzo ebbe modo di scrivere molto per questo

genere musicale, talvolta regalando le sue composizioni alle autorità ecclesiastiche

delle città che l'avevano ospitato. I motivi ispiratori delle sue opere religiose della

maturità furono però tutt'altri. A Vienna risultarono prevalenti le ragioni personali su

quelli della tradizionale committenza. Gli ideali massonici, d'altro canto, non furono

senza influenza in questo mutamento di profondità psicologica delle sue pagine

sacre:<<Aveva sperimentato a sufficienza quanto poco la dottrina cristiana

"umanizzava" in pratica la vita quotidiana degli uomini" scrive ancora il Greither>>

(Mozart, Einaudi, Torino 1968). <<Lo allontanò dalla Chiesa la rigidezza,

l'impenetrabilità del dogma da parte della ragione. Non era abbastanza superficiale

per ignorare questi scrupoli né abbastanza addestrato per farli tacere. Non abbandonò

la fede trasmessagli dagli avi, ma né il contenuto teologico né il culto lo soddisfecero.

Ciò che del rito non gli piaceva era la scarsa solennità, la trascuratezza della musica

sacra, la pratica della confessione, ottusa e priva di entusiasmo, delle masse dei

fedeli. Inoltre le miserie della vita, le delusioni, la malattia, la precoce esperienza

della morte lo avvicinarono alla lega dei massoni, le cui cerimonie intessute di

musiche di carattere grave lo colpirono fortemente per la loro dignitosa compostezza

e solennità>>.

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IV. ANALISI DELLA MESSA DELL‟INCORONAZIONE

Le Messe di Mozart risalgono tutte a prima del 1781 (ad eccezione del

Requiem), anno in cui abbandonò la natia Salisburgo per cercare fortuna a Vienna

come libero compositore. Le composizioni migliori della sua gioventù lo mostrano

alle prese con una tecnica contrappuntistica e una scorrevole melodia vocale

affrontate con una facilità disarmante. Il risultato è spesso una musica di grande

fascino ed eleganza che, seppur non molto innovativa, sposa felicemente le capacità

del suo autore con il linguaggio ortodosso della coeva Chiesa austriaca. Buona parte

della musica sacra mozartiano nacque mentr‟egli si trovava al servizio (come il

padre) del Principe arcivescovo di Salisburgo. La città vantava un‟antica tradizione di

musica sacra, che generalmente veniva eseguita con accompagnamento orchestrale

completo di ottoni. Tale caratteristica viene mantenuta negli organici strumentali di

Mozart che prevedono la presenza di trombe e tromboni, nonché, nel caso della

Messa dell‟Incoronazione anche dei corni.

La Messa K 137, destinata alla festa annuale che ricordava l‟incoronazione,

avvenuta nel 1751, di un‟immagine miracolosa della Vergine conservata nel santuario

di Maria am Plain nei pressi di Salisburgo.

L‟anniversario cadeva la quinta domenica dopo la pentecoste. L‟importanza

della celebrazione spiega il carattere festoso e lo sfarzo strumentale della messa

mozartiana, che impiega trombe e timpani in orchestra e sfoggia uno stile più incline

alle suggestioni mondane che alla severità del contrappunto osservato.

Conformandosi alla tradizione salisburghese, Mozart strumenta a quattro parti

reali per archi senza viole e raddoppia le parti corali con tromboni.

Per altri versi mostra invece d‟aver fatto tesoro delle recenti esperienze

sinfoniche e teatrali di Parigi e Mannheim: ai fiati conferisce infatti un ruolo tematico

più spiccato, e ricerca soprattutto impasti inediti ed espressivi dei fiati con gli archi.

Ma influenze ancor più decise si avvertono a proposito del carattere generale della

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messa: Mozart si allontana, qui, dallo stile dominante presso la corte arcivescovile, da

quella tradizione contrappuntistica che prima di lui avevano coltivato Eberlin,

Adlgasser, Michael Haydn, e altri illustri polifonisti.

La Messa dell‟Incoronazione predilige invece la scrittura concertante e le

aperture ariose, quello stile secolare che pervade in genere, la musica sacra

nell‟Austria e nei paesi tedeschi meridionali alla fine del Settecento. E‟ musica

potenzialmente teatrale, priva però di concessioni al virtuosismo che non contrasta

affatto con un autentico spirito religioso: la cantabilità diffusa che pervade la messa

mozartiana deriva dalla personale religiosità di un compositore per il quale la sfera

dell‟umano e quella del Divino non sono avvertite come entità opposte ed

inconciliabili.

L‟analisi della Messa K 317 è effettuata sull‟edizione DOVER 0-486-27086 dal titolo

Six Masses in full score Wolfgang Amadeus Mozart, pag. 125 e seg. stampato negli

U.S.A. nel 1992, comparata all‟edizione On-line della Barenreiter – Verlag, Kassel

1989 dell‟ International Stiftung Mozarteum, Online Publications (2006), e quella

dell‟ IMSP Stiel und Druck von Breitkof & Hartel in Liepzig Ausgegeben 1878.

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Il Kyrie, in 4/4 nel tempo di Andante maestoso, e tonalità di do maggiore;

prevede per la parte orchestrale l‟impiego di Oboi, Corni in do, Trombe in do,

Timpani in do e sol, Violini I e II, Violoncello, Contrabbasso, Fagotti ed Organo. Per

l‟organico Vocale, il coro è a quattro voci: l‟Alto è raddoppiato dal trombone Alto, il

Tenore è raddoppiato dal Trombone Tenore, il Basso è raddoppiato dal Trombone

Basso. E‟ altresì previsto l‟impiego di quattro soli nella voce di Soprano, Contralto,

Tenore e Basso.

Il Kyrie è in forma tripartita, anche se la distribuzione del testo non corrisponde

all‟articolazione musicale (“Christe eleison” è una semplice frase all‟interno della

parte centrale).

Alla prima parte conferiscono un tono solenne l‟omoritmia e l‟omofonia

testuale e corale, nonché le figure in ritmo puntato dell‟orchestra; da notare il colore

espressivo particolare che si ha nell‟attacco sulle parole Kyrie, in cui Mozart indica

sul „Ky‟ e rie‟ e l‟orchestra, che segue le dinamiche vocali, riprende, sul ritmo

puntato, mentre il coro è in pausa, il crescendo e poi di nuovo sul secondo „Ky‟ e

„rie‟, ed ancora alla terza ripetizione, fino ad arrivare all‟esclamazione Kyrie eleison

in (batt. 1 – 5).

Posso ipotizzare che per ben tre volte viene esclamata la parola Kyrie, come a

volere invocare il Signore. Il „tre‟ potrebbe indicare la Trinità: Dio Padre, Dio Figlio,

Dio Spirito Santo.

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Molto curata la simbiosi coro/orchestra in modo da creare „tensione‟ con le

pause che interrompono il discorso continuo. E‟ questa una figura retorica: la tmesi,

ovvero la frammentazione del discorso melodico tramite pause. Serve ad esprimere

sospiro, ma è anche associata a parole di determinazione e di invocazione; quando

preceduti o seguiti da pause, con funzione di invocazione, richiamo ecc.., hanno un

effetto aggiuntivo di Esclamazione.

L‟Esclamazione (Esclamatio), è quella figura retorica che consiste

nell‟elevazione o abbassamento della voce, associata spesso ad interiezioni e vocativi

come “ohimè”, “lasso”, “deh”, “Dio”, ecc.. – Più in generale: accentua l‟emissione di

un suono posto in particolare rilievo. Sinonimo di ecfonesi nella trattatistica

posteriore.

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Proprio a battuta 5 troviamo la cadenza che non risolve, ma resta in sospeso su

un V grado, con il coro che esclama le parole Kyrie eleison. È questa una specifica

condizione della figura retorica dell‟abruptio, in questo caso c‟è l‟elisione della nota

finale della cadenza: la pausa nega l‟attesa di una continuazione ed è seguita di solito

da un deciso cambiamento ritmico.

Ed infatti da qui l‟orchestra prepara l‟attacco del soprano solo, in , che in tempo Più

andante esegue una sorta di duetto con il tenore solo ed intonano un tema scorrevole

(sarà ripreso nella parte conclusiva della messa). Il motivo del soprano ricompare

anche nell‟aria di Fiordiligi in Così fan tutte al n°11 del primo atto, Come scoglio, e

anche l‟orchestra mantiene lo stesso stile.

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Alle battute 8 e 9 del Kyrie, l‟oboe ripete il tema del soprano solo, facendo una

piccola imitazione, come a voler “giocare” con esso.

A battuta 11 entra il tenore che risponde al soprano, imitandone la linea melodica

delle battute 9 – 10. In orchestra, sempre l‟oboe, con un movimento ascendente in

semicrome, introduce l‟intervento del tenore. Lo stesso motivo melodico introdurrà, a

battuta 13 il soprano solo, e poi di nuovo a battuta 15 il tenore.

A battuta 13 un nuovo intervento del soprano che di nuovo sulle parole Kyrie

eleison esegue la successione armonica VI II V I , per poi ripresentare una

successione V – I e di nuovo lasciare la cadenza in sospensione sul V, alla parola

eleison (batt. 15), per preparare l‟intervento del tenore.

Sulle parole Christe eleison (batt. 15), il tenore prima e il soprano poi, ripetono

il tema in tonalità minore per tornare e chiudere di nuovo in maggiore.

Questo giocare con le tonalità di maggiore e minore, sembra indicare una

forma di “seduzione” con la musica, forse la scelta del soprano e del tenore non è

stata casuale, ma voluta come ad inserire le maniere delle esperienze derivate dai

viaggi, soprattutto (come già anticipato), in campo operistico.

Molto usata, e non smentita, arriva a batt. 19 la cadenza d‟inganno V – V –VI,

preparando così la cadenza V – I (batt. 20) che riporta al tempo di Andante maestoso

(batt. 21), e lo stesso tema (con qualche variazione) di batt. 1, che però ha amplificato

il discorso musicale portando all‟enfasi l‟episodio.

Da notare che mentre a battuta 5 Mozart lascia la cadenza in sospeso, ora

„chiude‟ il discorso di „seduzione‟ (lasciato aperto precedentemente), a battuta 26.

A battuta 27 il coro viene lasciato a cappella (versione DOVER, mentre

accompagnato dai tromboni in quella del Mozarteum), e quello che per l‟orchestra era

una parte principale all‟inizio del brano, ora è una parte di sottofondo. Da sottolineare

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che alle battute 30-31, il tema dell‟orchestra di apertura del Kyrie si fonde con il tema

del soprano solo (batt. 8 – 9) ripetuto dall‟oboe.

Si chiude così il Kyrie, con la ripresa della prima parte, ripetuta in un quadro di

ulteriore amplificazione sonora.

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Il Gloria, sempre in do maggiore, è costituito da un grande complesso unitario, in tre

parti, cui dà coerenza un impianto sonatistico.

Il brano, in tempo di Allegro con spirito in ¾, è aperto da un‟ampia sezione

(Gloria in excelsis) che espone nel tono principale e in successione, una serie di

motivi corali ed orchestrali.

Anche nel gloria c‟è sin da subito un contrasto di espressione: dal

dell‟esclamazione Gloria del coro con orchestra (batt.1, 5, 9), si contrappone il

-4, 6-8), con il coro in omoritmia, appunto sulla parola

Gloria.

Anche qui, come nel Kyrie, Mozart per ben tre volte fa esclamare al coro la

parola Gloria, ripresentando le stesse figure retoriche di Esclamazione e Tmesi.

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A battuta 10, cambia la scrittura, i violini eseguono dei ribattuti alla

semicroma, come a sottolineare il testo.

La scrittura orchestrale, si rifà anche alla tradizione italiana, si veda ad esempio

Giacomo Antonio Perti (mottetti per l‟assunzione di Maria Vergine A-R Editions,

Inc.2007).

Non a caso Mozart sulle parole in excelsis Deo (da batt. 10 a 13) crea la figura

retorica dell‟anabasi, ovvero una figurazione melodica che accentua la salita, in cui si

esprime lo stato d‟animo di esaltazione o il movimento verso l‟alto (i soprani cantano

un sol!). E sulle parole et in terra pax hominibus, ancora in , fa un‟altra figura

retorica: l‟abruptio, che a differenza del Kyrie, qui ha funzione di inaspettata

interruzione della frase melodica mediante una pausa; in questo caso la pausa è

generale, (anche per la parte orchestrale), potremmo quindi parlare di aposiopesi, che

sottolinea il significato, ovvero il senso della parola pax (hominibus), e sul terzo pax

coincide l‟apice dell‟anabasi creatasi in precedenza: sia le voci che gli strumenti

raggiungono il punto acuto ed estremo di tensione.

Segue un cambio di scrittura ritmica sia vocale che strumentale (batt.20): gli

oboi (in ) con delle minime puntate, introducono il coro (batt. 22) che con la stessa

figura ritmica e imitazione melodica, pronunciano le parole bonae voluntatis (fino

batt. 28).

A questo punto la seduzione si manifesta con repentino cambiamento di

sensazione: dalla compressione alla rarefazione della scrittura separata da una

significativa pausa a motivo di punteggiatura linguistica e dal passaggio dalle

semicrome alle minime puntate.

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Altro motivo di seduzione si ha dalla sospensione armonica sul grado di sol che

da tonica diventa dominante, tramite passaggi melodici degli oboi in do maggiore,

ripetuti dal coro sulle parole bonae voluntatis (batt. 22 – 28).

Riprende così l‟orchestra in , che prepara un nuovo intervento del coro in

omoritmia sulle parole Laudamus te, che introducono la risposta dei quattro solisti

che in „acefalo‟ e in , pronunciano le parole benedicimus te con successione

armonica I – V – I (batt. 34 – 36), per ripeterlo alla dominante sulle parole adoramus

te. Tornando alla tonalità di do maggiore, il coro in omoritmia, risponde in ai soli

sulle parole glorificamus te (batt. 42 – 44).

Sul gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam, Mozart, mantenendo lo

stile iniziale agli archi, e con coro in omoritmia e con la figura retorica già vista in

precedenza della abruptio, con elisione della nota finale della cadenza; modula nella

tonalità di sol maggiore, con una progressione da battuta 46 a 50 sulle parole gratias

agimus, poi un lungo II sulle parole gloriam ripetute anche qui tre volte che

risolve sul V (batt. 56), che resta in sospeso.

L‟ episodio alla dominante (Domine Deus da batt. 57 a Jesu Christe batt. 77)

svolge il ruolo del secondo tema di forma sonata: intonato dai solisti, contrasta col

primo gruppo per la sonorità più ridotta e per una scrittura moderatamente imitativa,

sia pure su parole diverse, prima tra soprano e tenore (batt. 57 – 65), poi ad

imitazione tra basso e contralto prima ritmicamente (batt. 69 – 70), poi in forma

imitativa sulle parole Domine fili Jesu Christe batt. 73 – 77, mentre il soprano e il

tenore proseguono pressoché omoritmicamente.

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Da sottolineare l‟episodio e l‟intreccio (tipico delle Misse Brevis di Mozart)

delle parole tra il soprano e il contralto dalle battute 66 a 69, che muovendosi per

terze cantano (il soprano) Domine fili unigenite, (il contralto) Domine Deus agnus

Dei.

In questo episodio, l‟orchestra in sottofondo ha un ruolo di supporto armonico

– ritmico, a sostegno delle voci.

E‟ poi la volta della parte centrale (Qui tollis peccata mundi, miserere nobis), a

carattere di sviluppo, nella quale coro e solisti si alternano modulando

frequentemente e conducendo il discorso a toccare tonalità lontane. Da notare come il

discorso musicale si alterna tra il e la figura retorica dell‟interruptio del coro sul

qui tollis, che culmina sulle parole peccata mundi, e la risposta in con discorso

musicale continuo senza pause dei soli sulle parole miserere nobis (batt. 78 – 95).

Lo stesso disegno ritmico melodico si ripete pressoché da battuta 96 a 113 sulle

parole Qui tollis peccata mundi , suscipe deprecationem nostram. Questa volta i

Solisti accennano un disegno imitato prima il tenore (batt. 105) poi il soprano ( batt.

106) poi il basso (batt. 107), ed infine il contralto (batt. 108), per terminare in

omoritmia alle battute 110 –113, sulle parole (de) –precationem nostram.

Segue il coro che da battuta 113 con i tenori in , sulle parole Qui sedes ad

dexteram patris, danno vita ad un movimento imitativo variato; risponde il soprano

(batt. 114, uguale ritmo ma melodia variata), poi il contralto, pressoché uguale al

tenore, e il basso in omoritmia con il contralto e la cui linea melodica è come quella

del soprano (batt. 116), poi di nuovo il tenore (batt. 117). A battuta 118 il basso è in

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omoritmia con il soprano (fino a batt. 121), mentre il contralto con il tenore (batt. 118

– 121).

Tutte le voci terminano l‟episodio simultaneamente sull‟ultima sillaba della

parola patris. Ecco di nuovo i solisti che sul miserere (batt. 123 – 129) hanno un

movimento pressoché uguale al precedente di battuta 86, unica differenza la cadenza

finale che per tornare alla tonica (sol), Mozart usa la sua tipica sesta tedesca, con la

successione 7 6 6.

I violini primi alla battuta 131, iniziano un movimento ritmico uguale a partire

dalla battuta 28, fino a 40 e dalla 44 alla 51. A sostegno dei violini però questa volta

intervengono anche gli oboi che raddoppiano le parti, mentre corni e trombe fanno da

supplemento armonico come pure i timpani, solo per il battere.

La ripresa avviene alle parole Quoniam tu solus sanctus (batt. 134, I tema), nella

tonalità di impianto do maggiore.

Con l‟Amen conclusivo, l‟episodio della prima parte alla dominante viene così

ricondotto alla tonica.

A battuta 173 entra il soprano solo che in contrasto con l‟omoritmia del coro

che si è protratto dalla ripresa ad ora, inizia un tema a cui il contralto risponde in

modo imitativo con varianti all‟ottava (batt. 175), poi il tenore ( batt. 177 sempre

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all‟ottava) ripropone il tema del soprano, ed infine il basso (batt. 179 sempre

all‟ottava) che risponde con varianti: è questa un‟altra figura retorica: la mimesi

ovvero la ripetizione di un passaggio omofonico ad altezza differente, cui è essenziale

la netta separazione delle voci, sia in forma di dialogo (mediante la pausa), sia

all‟interno di un discorso continuo di tutte le voci. Può essere ripetuto anche un breve

passaggio imitativo con entrate assai ravvicinate. Molto simile alla figura retorica

dell‟anafora (in cui si imita l‟intonazione prodisiaca di annunci, invocazioni, moniti

ecc..).

A battuta 181 rientra il coro, sull‟Amen. Il soprano e il tenore si muovono in

omoritmia (batt. 181 – 193); molto bello l‟effetto che si crea con la loro entrata dopo

le battute di pausa che fanno cantare il contralto ed il basso che salta di ottava per poi

muoversi per cromatismi discendenti (181 – 182). Il cromatismo si ripete dalle battuta

182 a 186, con la variazione che il basso salta di sesta anzichè ottava.

A battuta 187 e 188 ripete, in omofonia, la parola amen, proprio per

sottolinearne il significato, così come aveva fatto per le parole Gloria (batt. 1, 5, 9),

Pax (batt. 15, 16), Magnam gloriam tuam (batt. 52, 53, 54), Sanctus Dominus (batt.

158, 159). A battuta 189 prepara la cadenza sulla IV – V – V che risolve sul

primo a battuta 194.

Sempre a battuta 193, sul secondo quarto, il basso ed il tenore ad unisono

ripetono la parola Amen, la quale viene successivamente ripresa, sempre ad unisono

dal soprano e dal contralto. Si chiude così, in forte e come un‟esplosione di

sentimento e preghiera il Gloria di questa messa.

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Il Credo è un brano dalla forma ampia e complessa, seppur rispecchia la forma

di sonata bipartita: nel movimento di base Allegro molto, intervengono un Adagio (Et

incarnatus est) a cui segue la ripresa del TEMPO I e un secondo episodio di

digressione (Et in spiritum Sanctum), che sembrano configurarsi come i couplets di

un rondò a tre ritornelli.

Il tema principale è costituito da figure dei violini in movimento rapido sulle

quali il coro in omofonia e omoritmia in , declama potentemente il testo Credo in

unum Deum (batt. 5 – 7), il quale, in omoritmia continua la declamazione del testo

Patrem omnipotentem. L‟unità di ritmo e note, simboleggia l‟assemblea che declama

il Credo.

Queste figure, che rendono estremamente unitario il Credo, riappaiono in più

punti sia come ripresa vera e propria (Et resurrexit, Et unam sanctam) sia come

materiale di transizione o collegamento tra sezioni (Genitum, non factum).

L‟insieme vocale e strumentale in queste prime battute resta immutato nel tono,

di do maggiore e con il coro sempre in omoritmia. Un secondo episodio (batt. 12 –

15) sulle parole visibilium omninum et invisibilium, c‟è una prima modulazione a sol

maggiore. Da qui una pausa interessa il coro, e vede protagonista l‟orchestra che si

prepara a modulare la minore sulle parole Et in unum Dominum.

L‟orchestra riprende la scena con il movimento rapido dei violini (batt. 15), per

modulare in la minore (batt. 18) dove c‟è di nuovo il presentarsi del contrasto di

tutto l‟ensamble sul battere (batt. 19 – 21); dando risalto alle parole Dominum,

Christum, Dei, e poi tutti in sulla parola unigenitum.

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Un pedale di dominante (mi) accompagnerà tutto l‟episodio, che sembra

concludersi a battuta 22 .

Anche in questo caso Mozart sottolinea con questi contrasti le tre parole che

identificano Jesum Christum come un solo Signore e unico figlio di Dio filium Dei

unigenitum (batt. 19 – 23). Proprio in questo punto c‟è la figura retorica

dell‟abruptio, che elude la cadenza finale e prepara invece una serie di passaggi

armonici veloci sulle parole et ex patri natum ante omnia secula che concludono

l‟episodio a battuta 28.

Inizia qui un nuovo episodio che termina nella tonalità di sol maggiore sulle

parole Deum de Deo, lumen de lumine, Deum vero de Deo vero (batt. 33), che

prepara la ripresa del tema dei violini in movimento rapido sulle quali il coro di

nuovo in omofonia e omoritmia in , (come già anticipato) esclama le parole

Genitum non factum, consubstanzialem Patri (batt. 36).

Sulle parole Per Quem omnia (batt. 40), Mozart fa una serie di progressioni

che lo portano a far muovere tutte le voci per moto parallelo ascendente, sulle parole

facta sunt (batt. 43). È questa la figura retorica già vista nel Kyrie dell‟anabasi, in

questo caso Mozart vuole sottolineare l‟importanza del concetto che tutte le cose

sono state create dal Padre.

A batt. 44 inizia un‟altra serie di passaggi armonici sulle parole Qui propter

nos homines et propter nostram salutem che lo porteranno a realizzare la figura

retorica della Catabasi (Catabasis) o Descensus, ovvero una figurazione melodica

che accentua la discesa, sulla parola descendit (batt. 50 – 55), quindi rappresenta

musicalmente la discesa di Cristo sulla terra per salvare gli uomini peccatori. Insieme

alla catabasi, l‟Anafora si presenta come figura retorica alle medesime battute, dove

in forma imitativa Mozart riproduce su tutte le voci lo stesso disegno melodico.

A battuta 56 torna l‟omoritmia del coro, a sottolineare con chiarezza la discesa

di Cristo dal cielo alla Terra (descendit de coelis). Conclude l‟episodio l‟orchestra

che di nuovo ripete il motivo iniziale del Credo, e di introduce all‟Adagio (batt. 60).

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I solisti intervengono per la prima volta in corrispondenza dell‟ Adagio sulle

parole Et incarnatus est (batt. 60) fino a homo factus est (batt. 64): un passaggio

fortemente espressivo per le armonie ardite e dissonanti le modulazioni rapide, le

inquiete figure discendenti alla biscroma dei violini (con sordina), in cui ritroviamo di

nuovo la figura retorica dell‟abruptio, nel quale Mozart sembra voler restituire tutta

l‟angoscia umana di Cristo, dal momento dell‟incarnazione nel seno della vergine

Maria, alla crocifissione.

Inizia ora la parte più drammatica della presenza di Cristo sulla terra: il

momento della crocifissione, introdotta da Mozart con tre mi in tempo puntato

suonato dall‟orchestra (batt. 64) come ad attirare l‟attenzione dell‟assemblea, come

fossero squilli di tromba, e poi il coro, tutto in omoritmia scandisce le parole

Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato, poi di nuovo la figura retorica

dell‟abruptio per un momento di raccoglimento e di partecipazione emotiva tale da

„mozzare il fiato‟, come rappresentato dai violini che interrompono „a singhiozzi‟ la

loro linea melodica.

Questo è il sacrificio estremo per la salvezza dell‟uomo, rappresentate in

vede il trapasso (ripetuto ancora una volta per tre volte) del Cristo e la successiva

sepoltura, che sfocia da un crescendo ad un (passus, passus, passus et sepultus est

batt. 68 – 71). D‟effetto è la scrittura orchestrale, che vede un dialogo tra i violini

(acefali in semicroma su un gruppo di quattro note ascendenti), gli oboi, ed il coro

tutto su un pedale di sol tenuto dai corni (batt. 68 – 69).

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Proprio il momento della sepoltura, viene scandito una seconda volta seconda

volta, in e con pausa ad ogni sillaba (ora più che mai) a sottolineare l‟importanza

del momento, in segno di rassegnazione da parte del popolo che inerme ha assistito al

momento della morte e sepoltura del Cristo (batt. 71).

E proprio dalla morte che avviene nella Fede il mistero della resurrezione, su

cui è basata tutta la religione Cristiana. Momento di massimo gaudio cui avviene la

ripresa del Tempo I, e lo stesso motivo iniziale del Credo, i violini senza sordina e

l‟orchestra tutta in , ed il coro che in scandisce in omoritmia le parole Et

resurrexit tertia die secundum scripturas (batt. 72 – 76).

È questa la riconferma nella Fede e la proclamazione del proprio Credo.

Dopo le dissonanze della crocifissione, morte e sepoltura, ora si torna nella

confidenza e sicurezza della tonalità iniziale di do maggiore, chiara e limpida, come a

dimostrare che nella Fede si ha una guida sicura.

Interessante è notare come ancora una volta Mozart sottolinei con la

contrapposizione di e le parole Gloria, judicare e poi in vivos et mortuos (batt.

86 – 90), come a sottolineare che Gesù risorto siede alla destra di Dio, e nella Gloria

del Padre giudicherà gli uomini vivi e morti.

Merita altrettanta attenzione il non dal cujus regni non erit finis (batt. 91 – 95),

nella tonalità di la minore, in cui si ritrova di nuovo la figura retorica dell‟ abruptio, a

voler sottolineare la non fine del regno di Dio.

Dopo la ripresa del gruppo principale (Et resurrexit), un nuovo interludio – più

breve del precedente – riporta in primo piano i solisti che intonano nuove figure

tematiche sulle parole Et in Spiritum Sanctum (batt. 96).

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Attacca il soprano solo nella tonalità di fa maggiore, raggiunta con una

modulazione quasi diretta in una sola battuta, accompagnato soltanto dai violini I e II,

che disegnano una figura melodica discendente (batt. 97 – 100) in gruppi di quattro

semicrome che sembrano fare un abbellimento al canto del soprano, e giocano

scambiandosi di volta in volta il ruolo di protagonista, cui si aggiungeranno a battuta

99 il contralto e il tenore sulle parole et vivificantem, mentre all‟orchestra si

aggiungono gli oboi.

A battuta 101 il basso ripete il tema cantato dal soprano, sulle parole Qui ex

Patre Filioque procedit (fino batt. 104), questa volta nella tonalità di do maggiore, e

di nuovo si ripresentano i violini che ripetono lo stesso disegno melodico, e di nuovo

c‟è questo “giocare” con le parti che si contrappone alla serietà e profondità musicale

presente nell‟Adagio.

Sempre a battuta 104 entrano il soprano, l‟alto e il tenore (in omoritmia) sulle

parole Qui cum Pater et Filio che riproducono l‟effetto di contrasto tra il e il che

fino ad ora ha fatto il coro (batt. 18 – 21, 86 – 88) sulle parole Pater (et Filio), per poi

ripeterlo a battuta 107 sulla parola Adoratur (simul adoratur).

A sottolineare questi colori contrastanti, c‟è il ritmo di sincope che fa il

soprano (batt. 104), poi ripetono in omoritmia il contralto e il tenore a batt. 107, per

poi tornare in omoritmia e non più in sincope a batt. 109, cui ritorna anche il basso,

sulle parole et conglorificatur.

A battuta 110 il basso inizia un tema sulle parole qui locutus est, sulla

dominante, ripreso in modo imitativo dal soprano e dal il tenore che in moto contrario

imita solo l‟inciso iniziale (batt. 111), il contralto invece ha una linea melodica a se,

come se facesse solo da sostegno armonico al gioco delle altre voci (batt. 111 – 114).

La cadenza, in do maggiore, si completa sulle parole per Prophetas (batt. 113 –

114) che coincide con la ripresa del tema iniziale e l‟ingresso del coro.

Questa volta le voci del basso e del contralto, sulle parole Et unam sanctam

catholicam (batt. 114 – 116) si muovono in ottava per moto parallelo, raddoppiando il

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tema dei violini, supportati anche dai corni in do, al quale si oppone il lungo pedale di

tonica, fatto sempre in ottava, dal soprano e dal tenore supportati dagli oboi.

A battuta 118, differentemente dall‟inizio del brano, il coro non si muove più

in omoritmia, ma sulle parole Confiteor unum baptisma in remissionem Mozart crea

una sorta di imitazione ritmica tra le voci, introdotta dal Confiteor dei soprani, imitati

dal contralto prima, poi dal basso, mentre a battuta 119 al tenore è affidata una parte

libera. Tale imitazione termina alla battuta 120.

A battuta 121, sulla parola peccatorum, di nuovo la figura retorica

dell‟anabasi ed il coro si muove in omoritmia per moto parallelo ascendente, ad

eccezione dei contralti che eseguono due sincopi, come a simboleggiare che il

confidare nel battesimo in remissione dei peccati, ci purifica e ci eleva alla grazia di

Dio.

Sempre a battuta 122 sulle parole Et expecto resurrectione mortuorum, si

ripresenta la stessa contrastante presenza di , su un pedale di dominante che

accompagna tutto l‟episodio, che si conclude alla battuta 128.

Inizia così una catabasi che dà una speciale amplificazione alle parole

Resurrectionem mortuorum: in un diminuendo generale in cui il coro intona, appunto,

una serie di note sforzate e dal valore largo, che sprofondano poco a poco nel registro

grave, a simboleggiare la vita nella morte in attesa della resurrezione.

A battuta 128 fino a 130, sulle parole et vitam venturi saeculi, quello che da

battuta 23 a 26 Et ex Patre natum ante omnia secula era un intervento in tonalità di la

minore, adesso è nella tonalità di do maggiore. La tonalità maggiore, su cui è

impiantato il Credo, illumina le parole pronunciate che aprono alla speranza e

salvezza dell‟anima sulla morte nella vita che verrà.

Una progressione introduce l‟Amen (batt. 130 – 132), che vede una

configurazione melodica discendente in sincope per il soprano, mentre il basso ed il

tenore, anch‟essi in moto discendente, fanno una serie di appoggiature sulle note

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reali, mentre il contralto, continuando moto retto discendente con le altre voci, si

muove per minime.

A battuta 133 si prepara la cadenza V – I in do maggiore, con le voci che

tornano in omoritmia, per preparare la figura retorica imitativa dell‟anafora e

catabasi (bat. 137), il soprano prima, seguito dal contralto in forma imitativa, dal

basso, e dal tenore, ripetono insistemente l‟ Amen. Questo disegno melodico lo

abbiamo già incontrato alle battute 50 – 55 (discendit), anche se al soprano

rispondeva in primis il tenore.

A battuta 137, il contralto ed il soprano iniziano una imitazione simile tra loro,

ma diversa dalla precedente, mentre il basso ed il tenore continuano l‟imitazione del

disegno melodico iniziato alla battuta 134 dal soprano. In questo punto la scrittura

orchestrale vede i fiati raddoppiare le voci, e i violini che incalzano e si rincorrono

scambiandosi di continuo il ruolo, con semicrome e sincopi.

L‟episodio si chiude a battuta 141, con la cadenza in do maggiore, in cui

l‟orchestra prepara un nuovo intervento in omoritmia del coro, esclama a battuta 142 ,

con una formula di cadenza perfetta la parola Amen. Le voci anche questa volta sono

raddoppiate dei fiati, e i violini in controtempo accentuano il significato

dell‟invocazione Amen. E di nuovo a battuta 144 l‟Amen in omoritmia. A battuta 145,

l‟orchestra riprende il tema iniziale per preparare la ripetizione delle parole Credo in

unum Deum , in omoritmia con tutti in

A battuta 149, di nuovo l‟Amen, ripetuto due volte (batt. 149 - 150, 150 - 151),

con la figura retorica dell‟abruptio, appunto per sottolineare con forza la parola

Amen: esaudiscimi.

Il ripetere in chiusura le parole ben scandite dal coro Credo in unum deum,

Amen, Amen, potrebbe significare la conferma da parte di Mozart della certezza nella

fede Cattolica.

Si chiude cosi il Credo, con un‟esplosione finale per sottolineare

l‟appartenenza e la profonda fede in Cristo Dio Signore dell‟Universo.

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La struttura del Sanctus è conforme alla tradizione: ad una prima parte grave e

maestosa sulle parole Sanctus Dominus Deus ne fa seguito una improntata al

massimo dinamismo Osanna in Excelsis; nell‟una e nell‟altra la scrittura corale è

prevalentemente accordale; in orchestra acquista rilievo una successione di figure

nervose e scattanti suonate all‟unisono da tutti gli archi.

Il brano è in ¾ nella tonalità di do maggiore in Andante maestoso, lo stesso

tempo del Kyrie. Sin dalla prima battuta, sulla parola Sanctus, si percepisce questa

maestosità espressiva che dà un senso di piena sonorità.

Mentre il coro in omofonia e omoritmia (batt. 1) con note lunghe intona le

parole Sanctus (minima su San e semiminima sul ctus,), l‟orchestra ha una varietà di

ritmi tra i vari strumenti.

Gli oboi e i corni in sincope, le trombe ed i timpani in omoritmia, i violini con

un disegno ritmico a parte, all‟unisono, nel registro grave rendono, insieme al

continuo, un effetto di mistero e solennità che è prevalente in questa parte iniziale del

brano.

Per ben tre volte viene ripetuta la parola Sanctus (batt. 1 – 4) (di nuove il tre

come simbolo della Trinità), maestosa presentazione all‟acclamazione dell‟assemblea

rappresentata dal coro.

A battuta 5, sulle parole Dominus (Deus Sabaoth), Mozart usa dei cromatismi

che rendono instabile la tonalità di impianto, facendo credere che si sta modulando ad

un‟altra tonalità, quando invece la cadenza rende chiara la conferma del do maggiore

(batt. 5- 8). La scrittura orchestrale, fino a questo punto, resta pressoché invariata da

quella iniziale, con il compito assegnato ai violini (e continuo), di legare tra di loro i

vari episodi, svolgendo questo ruolo in omoritmia e all‟unisono, mentre i fiati fanno

da materiale di secondo piano come supporto armonico.

A battuta 9, sulle parole Plenisunt coeli et terra, continua l‟instabilità

armonica, con il coro sempre in omoritmia, per scandire bene il testo, Mozart inizia

una modulazione con il IV grado (si ), con la successione armonica I /V – I , a

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battuta 11 un I /IV che risolve ad un I terra (batt. 12). Da notare

come Mozart è tornato a giocare di nuovo con le tonalità del maggiore e minore,

prima il IV grado maggiore (fa) e poi minore per aumentare l‟attrazione verso il I

grado (do), che a sua volta ha la terza minore. L‟orchestra mantiene ancora la

struttura iniziale.

A battuta 13 l‟accordo di settima diminuita sul IV grado alterato, sulla parola

Gloria pronunciato sempre in omoritmia dal coro, ne esalta il significato, sottolineato

dall‟orchestra, in cui i violini che ora suonano ad un registro acuto che gli permette di

essere in primo piano, dando enfasi all‟episodio, che si conclude sulla parola tua, su

un V grado (batt 14).

Torna qui la figura retorica dell‟Aposiopesi, che prepara al cambio ritmico, da

Andante maestoso ad Allegro assai (batt. 15), in cui l‟orchestra introduce il coro, che

sulle parole Osanna in Excelsis (batt. 16 – 19), cantate pressoché in omoritmia, in

registri acuti, e con il raddoppio dei fiati, risaltano l‟importanza del testo,

simboleggiando gioia nell‟alto dei Cieli. Il basso ha qui la funzione di pedale di

dominante, infatti tutto l‟episodio resta in sospeso, e viene ripetuto a battuta 20, ma

questa volta non si chiude subito, viene altresì prolungato, a mò di progressione, con

una serie di passaggi armonici che preparano la cadenza che inizia a battuta 27.

Da notare come il basso salti, a battuta 23, di tritono (sol –do#), con funzione

di appoggiatura al re II grado, mentre si muove, con una serie di cromatismi

discendenti da battuta 27 a 30, il che aumenta la tensione di tutto l‟episodio, dando

rilievo non solo timbrico, ma anche spirituale all‟episodio, che si chiude questa volta

sulla tonica.

A battuta 31, di nuovo l‟orchestra prepara, con la stessa struttura ritmica avuta

sinora, un nuovo intervento del coro che, in una scrittura veloce, racchiude in un

unico intervento l‟esaltazione della gioia nel regno di Dio (batt. 33 – 36). Anche

questa volta la cadenza viene chiusa, sulla tonica, come a riaffermare, ancora una

volta che la salvezza dell‟uomo è nell‟alto dei Cieli, e che la vera gioia la si trova con

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certezza nell‟altra vita. Questa volta l‟orchestra supporta il movimento concitato con

tutta l‟orchestra in semiminima sulle parole Osanna in excelsis, ma alla seconda

ripetizione di in excelsis (batt. 35) i violini fanno una serie di semicrome ad un

registro alto e discendente, mentre i fiati si muovono sull‟accordo di do maggiore in

semiminime.

La stessa situazione si ripresenta alle battute 38 – 41, e successivamente con

una scala in semicrome ascendente (anabasi che introduce in Excelsis), lasciando

l‟ultimo intervento (in Excelsis) affidato esclusivamente al coro, ai fiati e al continuo

(batt. 41 – 42).

Se si guarda attentamente il testo in relazione alla musica, ci si accorge che alle

battute 34 –35, si crea un‟emiola, in quanto l‟accento musicale (come scritto)

dovrebbe essere su in Ex (giustamente in levare a batt. 33 e 38) invece di seguire

quello parlato che cade su celsis, che si trova invece sul secondo quarto, quindi su un

tempo debole. Mozart ripete lo stesso disegno melodico – ritmico, alle batt. 39 – 40,

42 – 43, ed un‟ultima volta a 44 – 45, facendo così la figura retorica della repetitio

forse per lasciare la cadenza all‟orchestra per chiudere il brano con gli strumenti, così

da dare più forza, incisività ed elevazione al significato del testo Osanna in excelsis.

Termina qui il Sanctus, con un‟esplosione di musica finale che dà l‟idea di

grandezza di Dio nell‟alto dei Cieli.

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Il Benedictus costituisce un brano indipendente di carattere nettamente

contrastante: è affidato per intero ai solisti ed è dominato da un‟atmosfera lirica. Una

melodia equilibrata e distesa, suonata prima dall‟orchestra e poi dal gruppo dei

solisti, è condotta sino ad un punto di massima intensità espressiva; quando si arresta

sulla dominante per dar luogo alla ripresa dell‟Osanna da parte del coro.

Il brano è in 2/4 nella tonalità di do maggiore e tempo di Allegretto. Si apre

con una lunga introduzione orchestrale, che vede protagonisti solo gli archi che in

anticipano il tema che sarà cantato dai solisti. Anche il continuo in partitura riporta la

dicitura tasto solo, appunto per non compromettere l‟intimità della struttura (batt. 1 -

10).

I solisti entrano, sotto voce come riportato in partitura, a battuta 11, intonando

al contralto il tema introduttivo, accompagnato in omoritmia per terza, dal tenore

sulle parole benedictus qui venit, raddoppiati dagli oboi in orchestra, facendo così una

sorta di risposta al tema introduttivo dei violini; sempre sulle stesse parole, il basso fa

una sorta di interventi isolati che vengono imitati dal soprano (batt. 11 –15). I corni

hanno la funzione di pedale di tonica ed accompagnano tutto l‟episodio.

A battuta 16 il soprano continua ad imitare la parte del basso, per poi avere una

linea melodica indipendente (batt. 17) per terminare in omoritmia con tutte le voci

(batt. 18 – 20). Il basso in quest‟episodio accompagna le voci, dando supporto

armonico e riempitivo.

Il contralto ed il tenore sempre per terze (batt. 15 – 16), di nuovo sulle parole

Benedictus qui venit, continuano il tema introduttivo dei violini (batt. 4) fino alla

conclusione della frase (batt. 20), cui ricompare la figura retorica dell‟ aposiopesi, in

cui gli oboi all‟unisono ed i corni in ottava (batt. 20) introducono un nuovo intervento

dei solisti (batt. 21- 24) che in omoritmia, sul ritmo sincopato e pedale di dominante

tenuto dal basso, dagli oboi e dal continuo, ripetono le parole Benedictus qui venit,

mentre i violini per terze eseguono un movimento discendente in semicrome staccate

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ribattute, con appoggiatura ascendente sulla nota reale, il cui effetto risultante sembra

un gioco continuo con i solisti.

Ritorna qui il contrasto , dei soli e dell‟orchestra, ma che questa volta più

che sottolineare un passaggio o una parola, sembra aggiungere un tocco di „grazia‟ e

delicatezza a tutto l‟episodio, come una sfumatura più accesa in un dipinto, che non

contrasta ma accentua una determinata tonalità.

Lo stesso episodio si ripete a battuta 25, questa volta i corni raddoppiano gli

oboi e sostengono il basso per tutto l‟episodio, facendo un lungo pedale di dominante

(fino a batt. 29).

A battuta 28 prima e 29 poi, sulle parole nomine Domini, di nuovo la figura

retorica dell‟aposiopesi, ma in questo caso potremmo intenderla come suspensio,

ovvero ostacolo al raggiungimento di un obiettivo (la conclusione dell‟episodio),

mediante prolungamenti o fermate che creano tensione e accrescono l‟attesa

nell‟ascoltatore, in questo caso l‟assemblea; accentuata dal colore dell‟ensamble ( ).

Il ponte di collegamento tra la fine dell‟episodio e la ripresa del tema iniziale è

affidata al contralto (batt. 30 e 31) sulla parola Benedictus con un‟anabasi, su pedale

di dominante tenuto dal soprano e dalle trombe, cui si aggiungono a battuta 31 il

tenore per terza e il basso per moto contrario, sul crescendo, per tornare subito (sul

tema iniziale appunto) in sotto voce (batt. 32 – 33).

Alle battute 34 – 35 il basso, da solo con l‟orchestra, modula alla tonalità di re

minore (batt. 35 – 38), cui segue il ritorno immediato a do maggiore (batt. 38 – 43),

ma la cui scrittura vocale e strumentale si infittisce: le semiminime e le crome

lasciano il posto alle semicrome (batt. 35 – 40), e non compaiono le pause ad

interrompere il discorso musicale affidato al contralto e tenore, mentre il basso ed il

soprano, ancora una volta hanno un ruolo secondario. È uno scorrere di note e suoni

che tornano poi alla cadenza di do maggiore di battuta 44.

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Da notare come a battuta 42 e 43 ricompare il contrasto

nomine Domine, ma questa volta per dare risalto al significato del testo, in quanto si

proveniva da una figurazione melodica più concitata in cui il testo era secondario alla

musica ed i soli non seguivano più l‟omoritmia avuta fino ad ora.

Ancora una volta si ripresenta il carattere seduttivo già visto nei brani

precedenti e che si riscontra nell‟Opera, ma che ora si fa più presente: il contralto

„duetta‟ con il tenore, ed il soprano con il basso; le cadenze lasciate in sospeso, per

poi ripetersi e concludersi, alternando il modo maggiore e minore.

A battuta 44 – 45 – 46, i soli ripetono in omoritmia la parola Benedictus, con i

soliti contrasti di e sul tempo forte, e continue pause che frammentano il

discorso, quindi di nuovo la figura retorica della suspensio, accompagnati

dall‟orchestra con le stesse dinamiche in sottofondo, ma con discorso musicale

continuo. A battuta 47 ci si accinge alla cadenza sulla dominante che chiude

l‟episodio, con gli oboi che raddoppiano all‟ottava il soprano e i violini secondi

raddoppiano nel registro grave.

A battuta 50 si interrompe la parte di sviluppo per riprendere, dopo una pausa

dei solisti e un accordo di sol maggiore suonato in arpeggio dagli oboi, mentre i corni

ribattono la fondamentale sol,a battuta 51 gli oboi fanno da pedale di sol al posto dei

corni che sono in pausa, i solisti cantano in omoritmia le parole Benedictus qui venit ,

in ritmo sincopato, con il basso che fa da pedale di dominante, e i violini „giocano‟

con le voci in un movimento di semicrome discendenti. Anche in questo caso si ha

una cadenza sospesa sulla dominante.

A battuta 55 si ripete il tema come a battuta 51, ma questa volta si ripete in

minore, con ritmo sincopato e con l‟orchestra che segue omoritmicamente i solisti

(batt. 56 – 57), senza pause a frammentare il discorso e su un pedale di dominante.

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Alle battute 58 – 59 tutto l‟ensamble è in pianissimo, con i violini nella figura

retorica dell‟abruptio per aumentare la tensione verso la cadenza in sospeso sulla

dominante fino a battuta 60, cui c‟è un decisivo cambiamento ritmico ed espressivo:

sul tempo di ¾ in Allegro assai, entra il coro che esclama in le parole Osanna in

Excelsis (batt. 61), il coro omoritmico è raddoppiato dagli oboi, i soprani cantano nei

registri acuti, mentre i bassi fanno da pedale di dominante. I violini sono in pausa

durante l‟intervento del coro sostenuto solo dai fiati, e fanno una serie di gruppi di

note veloci quando il coro è in pausa.

A battuta 66 l‟orchestra introduce l‟intervento del coro, simile a quello di

battuta 17 – 18 e 21 – 22 del Sanctus, ma questa volta variato alle battute 68 – 69. Il

coro, sempre in omoritmia, sulle parole in excelsis, conclude l‟episodio con una

cadenza sospesa alla dominante, e di nuovo la figura retorica dell‟abruptio,introduce

la ripresa dei soli, a battuta 72 nel Tempo I, 2/4 sottovoce con le parole e tema iniziali

Benedictus qui venit.

Al termine della ripetizione abbreviata del Benedictus, uguale alle battute da 11

a 20, il brano si conclude con la ripresa definitiva dell‟Osanna, a battuta 83, nel

tempo di ¾ in Allegro assai, da parte del coro che chiude il brano.

Questo intervento è uguale a quello del Sanctus alle battute 32 fino alla fine, in

cui il coro in forte ripete Osanna in excelsis per due volte (batt. 83 – 92), i violini

fanno figure scattanti, per poi concludere, con un‟emiola e la figura retorica della

repetitio sulle parole in Excelsis (batt. 92 – 97). Anche il Benedictus è chiuso

dall‟orchestra, sui registri acuti degli strumenti, creando una vera e propria esplosione

musicale.

Probabilmente il Benedictus si ripete come il Sanctus in quanto considerati un

unico momento di proclamazione di Fede: l‟uno non potrebbe essere completo se non

ci fosse l‟altro a supporto.

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L‟Agnus Dei, dal taglio decisamente anticonvenzionale, è un brano formato da

due parti distinte. La prima consiste in una vera e propria aria solistica del soprano,

che ripete tre volte, variandola, la stessa linea melodica sul testo Agnus Dei (batt. 9 –

16, 25 – 32, 44 - 53): si tratta di una linea morbida, quasi malinconica e dal carattere

spiccatamente teatrale.

Con qualche piccola variante melodica, lo stesso Mozart la riprenderà per l‟aria

della Contessa “Dove sono i bei momenti” nelle Nozze di Figaro.

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Agnus Dei e Dove sono i bei momenti

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La seconda parte dell‟Agnus Dei (Dona nobis pacem batt. 57) riprende due

volte la musica della parte centrale del Kyrie, all‟intervento dei soli, sviluppandola in

modo più ampio: la prima volta affidandola ai solisti in tempo Andante con moto, la

seconda al coro, in un tempo più mosso (Allegro con spirito batt. 57 ), quasi marziale

e con tutta la pienezza della sonorità orchestrale.

Il brano è nella tonalità di fa maggiore nel tempo di ¾ in Andante sostenuto; si apre

con una lunga introduzione orchestrale, molto sobria che vede l‟impiego di Oboi,

Corni in do, Violini I e II (con sordina), Violoncello, Contrabbasso, Fagotti ed

Organo. Come si può notare, scompaiono le trombe in do ed i Timpani

(ricompariranno a battuta 57).

Ai violini I è affidato il tema principale, raddoppiati dall‟oboe da battuta 3 a 6

che introducono l‟aria cantata dal soprano. A battuta 8, gli oboi fanno una scala

discendente per terze che prepara l‟intervento del soprano solo.

Il Soprano solo interviene a battuta 9 sul testo Agnus Dei, accompagnato dai

violini I all‟unisono, dai violini II che nel registro grave fanno un accompagnamento e

dal continuo: il contrabbasso pizzicato e l‟organo con tasto solo. Anche se non

specificato in partitura, è palese che il soprano canti in Per due volte viene ripetuto,

a distanza di terza, la Parola Agnus Dei, con la figura retorica dell‟abruptio la quale

funzione è di accrescere un momento di attesa per vedere lo sviluppo della frase. Alle

battute 13 - 14 i corni con i violini I tengono un pedale di dominante sulle parole qui

tollis peccata che prepara la cadenza IV - V - V – I, sulle quali il soprano ripete le

parole peccata mundi, come a voler sottolineare il significato testuale e spirituale

dell‟atto di Cristo immolato, nel mondare gli uomini dai loro peccati.

Sulle parole Miserere Nobis (batt. 16 – 24) Mozart modula alla dominante (do

maggiore), mantenendo sempre la continuità musicale della prima parte. Frammenta

spesso il discorso musicale con pause, anche questa volta la figura retorica dell‟

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abruptio, aposiopesi a battuta 21, la quale funzione è di evidenziare l‟atto di pietà

implorato verso il Signore. Mozart evidenzia questa richiesta intima, variando

l‟espressione: la prima volta implora il miserere in (batt. 16 – 17), per poi portare il

soprano ad una tessitura più acuta (batt. 18), per poi ripeterlo una terza volta, dal

crescendo al , facendo un cromatismo verso il la minore (batt. 21), per tornare di

nuovo al -24), come a consapevolezza dei propri

peccati e umiltà nel chiedere perdono. Per aumentare l‟enfasi di tale episodio,

Mozart sposta gli accenti nella parte orchestrale: i violini già da battuta 16 sono in

acefalo, per poi fare delle sincopi da battuta 18 a 20, e spezzare con pause il discorso

musicale alle battute 21 e 22 (abruptio come detto sopra). Da notare a battuta 23 gli

oboi entrano per terza e raddoppiano il soprano (il primo all‟ottava), fino alla ripresa

del tema iniziale, dove l‟oboe I prende il posto dei violini I nel raddoppiare il soprano,

facendolo non all‟unisono ma all‟ottava superiore (batt. 24 - 29).

A battute 32, dopo la cadenza in fa, Mozart sembra modulare in si maggiore,

ma poi a battuta 35 invece di risolvere, fa dei cromatismi sia al soprano che al basso

continuo, che rendono l‟episodio particolarmente pieno di tensione. Si percepisce ora,

ancora di più, il senso di pietà implorato in precedenza, tanto che a battuta 38 torna

sulla tonica (fa), ma con la 3 . A battuta 38 entrano gli oboi per terze a sottolineare

questo momento particolarmente intenso, evidenziato dalla tonalità minore. A battuta

40 di nuovo il soprano intona un fa acuto sulle parole miserere, con i violini (sempre

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acefali) in sincopi discendenti, che sottolineano questo momento topico anche con il

contrasto come già fatto in precedenza con gli altri brani della Messa, per

iniziare, sulla parola nobis ( batt. 41) un pedale di dominante, assieme ai corni, con i

violini I e II che si muovono per terze e fanno un disegno melodico contrastante con

l‟immobilità del soprano, all‟ottava con gli oboi, che lascia la cadenza in sospeso sul

V grado a battuta 43, dove l‟orchestra ha due quarti di pausa (di cui una coronata), ed

il soprano ha due corone, sul do e sul si , prima di riprendere di nuovo il tema iniziale

dell‟aria, come fosse un „da capo‟.

Questa volta la ripresa vede i violini che non accompagnano più in sordina,

bensì in pizzicato, e nessuno strumento raddoppia il soprano, il quale fa una sorta di

abbellimento sulla parola Agnus (batt. 44 e 46); a battuta 48 sulle parole qui tollis

peccata il soprano, su delle semicrome, fa una sorta di scala prima discendente poi

ascendente, su un pedale di dominante tenuto dagli oboi, a cui segue la risposta dei

violini I e II che in ottava ripetono lo stesso disegno melodico del soprano che intanto

è in pausa (batt. 50), per riprendere la cadenza come le due precedenti sulle parole

peccata mundi: questa volta però Mozart termina l‟episodio sul V grado di do, il fa

cantato dal soprano non è che la settima del V grado, da qui si prolunga per tre

battute, (da batt. 53 a 56) un lungo pedale di dominante che vede il ripetersi delle

figure retoriche dell‟ anafora e dell‟abruptio, sulle parole Agnus Dei qui tollis

peccata, che culmina con una pausa generale (aposiopesi) coronata, dove solo il

soprano resta sul fa ad libidum, cui segue un cambio generale del brano come già

anticipato (batt. 57): da ¾ a 4/4.

Si torna alla tonalità di do maggiore su cui è stata impiantata tutta la messa, in

tempo di Andante con moto: i violini I e II sono senza sordina, ricompaiono le trombe

in do, i timpani, il trombone alto, il trombone tenore e trombone basso, il coro e gli

altri solisti.

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Inizia il soprano solo (batt.57) che, come detto all‟inizio del brano, riprende lo

stesso tema del Kyrie iniziale della messa (batt. 7), sulle parole Dona nobis pacem cui

risponde l‟oboe I ripetendo lo stesso tema, alla stessa altezza; a battuta 2 le trombe

eseguono il disegno melodico di crome eseguito dal soprano e oboe (sol do re mi),

segue un secondo intervento del soprano a continuazione della frase, ripetuto dal

tenore solo (batt. 61), ed accompagnati dai violini I e I che si muovono per terze nel

registro grave; ed hanno qui un ruolo secondario di secondo piano.

A battuta 63, sulle parole Dona nobis pacem, un nuovo intervento del soprano

che esegue la stessa successione armonica della battuta 13 del Kyrie, e di nuovo

lascia la cadenza in sospensione sul V grado (batt. 64), per preparare l‟intervento in

do minore, sempre sulle parole Dona nobis pacem, del tenore e del basso (batt. 65).

Nel Kyrie il tenore attaccava da solo.

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Riecco di nuovo l‟arte della variazione: l‟organo che sosteneva il tenore nel

Kyrie, ora raddoppia il basso, salvo qualche variante (batt. 65 – 84), il contralto che

era in pausa, ora accompagna il soprano. Da notarsi i disegni melodici delle voci: il

basso ed il contralto eseguono lo stesso disegno melodico, come anche il tenore con il

soprano.

Anche in questo caso l‟orchestra ha un ruolo secondario, da notare i corni che

fanno un pedale di dominante, (batt. 64 a 66), per ripetere lo stesso disegno melodico

di batt. 58, fatto dalle trombe e risolvere su un I (batt. 67).

A battuta 66 di nuovo il discorso armonico torna sulla tonalità maggiore, sulla

parola pacem. Di nuovo compare il dualismo maggiore – minore, ovvero uomo-

donna, seduzione e teatralità che sempre sono stati presenti ed hanno influenzato la

maniera compositiva di Mozart.

Come nel Kyrie, la struttura armonica e melodica non varia: il tema

questa volta affidato al soprano che ripete le parole Dona nobis pacem (batt. 66 – 68)

anziché al tenore (batt. 17 – 19 del Kyrie), a battuta 68 (19 del Kyrie) risolve su una

cadenza d‟inganno, preparando così la cadenza V – I (batt. 70) che riporta al tempo di

Allegro con spirito, in cui rientra il coro e ripresenta lo stesso tema, come già

anticipato più marziale, cantato dai solisti.

In queste battute la scrittura orchestrale si intensifica, con gli oboi che

raddoppiano il soprano e l‟alto, i corni tengono un pedale di tonica (batt. 68 – 69) e

raddoppiano i violini a battuta 70, che fino ad ora hanno comunque avuto un ruolo di

secondo piano limitato all‟accompagnamento dei solisti, il tutto da un crescendo

(batt. 69), sfocia in un all‟attacco del coro.

A battuta 71 il coro entra in Dona nobis pacem, con i soprani che

riprendono la parte del canto del soprano solo, imitati dai tenori, come uno stretto, i

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bassi ripetono la figura del basso solo (come batt. 66) ed è raddoppiato dal continuo,

mentre il contralto, con la figura ritmica si limita a tenere un pedale di sol.

L‟orchestra che fino ad ora ha una funzione di supporto, alla battuta 73 inizia a

raddoppiare le voci: i violini I raddoppiati dall‟ oboe I sono con i soprani (fino a batt.

74), i violini II raddoppiano il tenore, i bassi col continuo e gli altri strumenti hanno

parti libere.

A battuta 74, sempre sull‟ultimo quarto, mentre il coro è in pausa, l‟orchestra

prepara un nuovo intervento del coro, sempre sulle parole Dona nobis pacem (batt. 75

– 77), uguale al precedente da battuta 71 a 73.

Sugli ultimi due quarti di battuta 77, i soprani sulla parola pacem in semicrome

eseguono un‟anabasi fino al sol acuto, come a simboleggiare l‟elevazione a Dio della

richiesta di pace. Questa volta l‟episodio si conclude sul I grado a battuta 78.

A battuta 79 Mozart, in sul tono della dominante di do, sottolineato dai corni,

utilizza la testa del tema del Dona, per creare un gioco tra il coro e l‟orchestra, in cui

questa, con le trombe in pausa a non raddoppiare le voci, risponde alle „chiamate‟ del

coro. I soprani si muovono in omoritmia con i tenori a distanza di terza, mentre i

contralti sono in omoritmia con i bassi, ed entrambi restano sul sol. Di nuovo la

figura retorica dell‟abruptio, e l‟alternarsi sulla scena tra il coro e l‟orchestra. Anche

questa volta possiamo ritrovare lo stile operistico, che come più volte ribadito, ha

accompagnato la vita artistico – musicale di Mozart, e sempre si ripresenta

nell‟Agnus Dei.

Lo stesso disegno melodico, sempre su un pedale di dominante, lo ritroviamo a

batutta 80, sulla parola Pacem.

A battuta 81 gli oboi raddoppiano i corni, tenendo sempre il pedale di

dominante, mentre i violini I sono più presenti e con ritmo sincopato danno

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movimento all‟episodio; i violini II invece hanno una scrittura di accompagnamento

alla semicroma.

Il coro si muove omoritmicamente, ripetendo la parola Dona sulla figura

ritmica – 72. L‟episodio

termina, di nuovo in sospensione sul v grado, a battuta 82, sulle parole nobis pacem.

Un breve passaggio discendente di semicrome agli archi introduce, questa volta in

un nuovo intervento pressoché omoritmico del coro sulle parole Dona (batt. 83), il

quale esegue la figura retorica dell‟abruptio, come a sottolineare la richiesta di

implorazione all‟esaudire le proprie preghiere di pace.

In orchestra ritroviamo le trombe che raddoppiano il coro, assieme agli oboi

che raddoppiano i soprani e i tenori, mentre i violini si muovono all‟unisono con il

continuo.

Dal punto di vista armonico si ha una progressione di due battute (batt. 83 –

84) pacem. Da notare che da battuta

83 a 85 potremmo parlare di una nuova figura retorica; quella della Congerie

(Congeries) o Synatrhoismos, ovvero una concatenazione di accordi in

a accordi in , in forma di progressione ascendente o discendente.

L‟episodio appena citato (da batt. 79 a 86) si ripresenta uguale da battuta 87 a

94: l‟orchestra senza tromboni (che rientrano a battuta 91, i corni in pedale di sol da

battuta 87 a 89, i violini e gli oboi che dialogano con il coro).

A battuta 94, il coro, con i soprani raddoppiati dai violini I e dagli oboi, con le

trombe e i corni che ripetono il do a croma, e le altre voci raddoppiate dai tromboni,

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inizia in sincope, un nuovo episodio sempre sulle parole dona nobis pacem, che si

sviluppa e conclude su una cadenza evitata V – VI dopo solo una battua e mezza (batt.

94 – 96), per essere ripresa e conclusa, con una cadenza perfetta alle battute 97– 98.

Vuole essere questo un intervento che sintetizza tutti gli episodi precedenti. Di nuovo

la figura retorica dell‟abruptio che lascia una sensazione di sospensione all‟episodio,

che dà respiro ed evidenzia la formula di cadenza perfetta a batt. 97 – 98.

L‟orchestra in questo episodio ha una scrittura molto più concitata, e si

ripresentano anche i timpani, che danno un movimento ritmico a tutto l‟ensamble,

sottolineando le sillabe cantate dal coro.

A battuta 98 gli oboi e i violini, per terze, in introducono di nuovo la testa del

tema di batt. 71, cui segue la risposta dei soli a battuta 99, anch‟essi in sulla parola

Dona, in cui il soprano si muove per terza in omoritmia con il tenore, il basso ripete

la figura melodica del continuo, mentre il contralto resta sul sol, e poi di nuovo gli

oboi assieme ai violini, ripetono di nuovo lo stesso inciso, cui di nuovo seguono i

soli, a cui segue un nuovo intervento del coro, che in

lo stesso disegno melodico (batt. 100 – 104), con una piccola variazione al soprano a

batt. 101, delle battute da 94 a 98.

Con il coro in omoritmia, sulle parole Dona nobis pacem, l‟orchestra che è

spostata sui registri più sonori, con i violini I in accordi di croma, i violini II che

raddoppiano il continuo, su figure di semicrome, e su successioni armoniche V – I,

presentate allo stato fondamentale dal coro, si chiude l‟Agnus Dei, e la Messa

dell‟incoronazione, in una esplosione di colori, di musica e di sensazioni.

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V. CONCLUSIONI

La musica di Mozart, ben lontana dalla fanciullesca inconsapevolezza che la

critica romantica volle attribuirle, si fonda al contrario su precise scelte estetiche e

ideologiche e, in molte pagine, è solcata da ombre profonde e da inquietudini di

stampo preromantico.

L'arte mozartiana, vivificata dai valori del Settecento ancora profondamente

radicata nel periodo bachiano, è giunta inalterata fino a noi.

All‟estensione dell'arco storico – culturale tracciato dalla produzione

mozartiana, fa riscontro la sua quasi inconcepibile ricchezza interiore e una varietà di

forme incomparabile. Mozart compì il grande passo che doveva portarlo al dramma

universalmente umano con insuperabili lavori nello stile «giocoso» italiano, e quindi

approfondendo la semplice grazia del Singspiel nazionale fino a trarne l'opera tedesca

di mondiale importanza. Le sue opere strumentali comprendono ed esauriscono tutti i

generi: dalla disinvolta gaiezza delle serenate alla nobile passione delle ultime

sinfonie, dal semplice divertimento alla spiritualità degli Haydn-Quartette o delle

fantasie per pianoforte, dalla serenità dei rondò e delle variazioni alla

differenziazione psicologica degli ultimi concerti per pianoforte. Un grande percorso

di maturazione stilistica c‟è stato fra il mottetto Exsultate e l'Ave verum, fra la

Krönungsmesse e il Requiem. Dalle iniziali messe in cui è evidente lo stile di cantata,

legata allo stile barocco della corte salisburghese, si arriva ad una originalità

compositiva che trae la sua essenza dall‟opera, e sempre più è indirizzata verso essa.

La Krönungsmesse è forse il punto di congiunzione tra i due percorsi evolutivi;

già in essa si coglie la capacità di esprimere con la musica i sentimenti,

rappresentando i vari aspetti dell‟animo umano.

Mozart riesce, nel suo percorso di evoluzione stilistica, a trovare sempre un

perfetto equilibrio tra le voci e l‟orchestra, riuscendo a far risuonare in modo

inconfondibile, nel registro migliore, sia le voci che gli strumenti.

Non esiste una sola forma che egli non abbia gradualmente e coerentemente

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portata a definirsi nel capolavoro, non un solo strumento di cui non abbia esaurito

tutte le possibilità tecniche ed espressive. La sonorità incantevole, la chiarezza, la

potenza espressiva della sua strumentazione, la bellezza, la cantabilità delle sue linee

vocali, la profondità, la grazia, la pregnanza delle sue sintesi formali sono rimaste

fino ad oggi esemplari e raramente eguagliate. Dall'essenza della sua arte scaturì un

fluido impalpabile ma sensibile che, come un'antichissima canzone popolare,

percorse il mondo musicale divenendone patrimonio inalienabile. Il luminoso stile

della sua musica, è destinato forse, a durare per l'eternità.

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VI. ANALISI, STRUTTURA E COMMENTO DELLE

MIE COMPOSIZIONI: GLORIA E SANCTUS IN STILE

MOZARTIANO

GLORIA

Per comporre le due parti di Messa, Gloria e Sanctus in stile mozartiano, come

già detto, mi sono basato sullo studio e sull‟analisi delle opere sacre da lui composte.

Di seguito espongo l‟analisi delle mie composizioni.

Il Gloria, nella tonalità di do maggiore, è composto da 173 battute, inizia nel

ritmo di Allegro in 4/4, e si alterna, al Qui tollis peccata mundi, miserere nobis con

un ¾ in Andante, come per la Missa Longa K 262/264a, e la Missa Solennis Pater

Dominicus K 66 per riprendere l‟Allegro in 4/4 con il Tempo I e ripresa del tema.

Questo cambio di ritmo lo si ritrova spesso nei Credo delle Misse Brevis, ad esempio

nella K 137. Dopo la ripresa Quoniam tu solus Sanctus, si ha un fugato al Cum sancto

Spiritu, che porta alla ripresa in omoritmia del soggetto, per arrivare all‟ Amen finale

che chiude il brano.

La struttura è in forma di sonata, il cui primo tema è affidato al coro che in

omoritmia apre il brano, cui segue un secondo tema affidato ai solisti. Segue una

parte di sviluppo al Qui tollis, per tornare poi al Tempo I con ripresa del tema iniziale

sulle parole Quoniam tu solus Sanctus, con qualche variazione, per concludersi, in

stile di fugato, alla maniera delle Missae di Mozart composte tra il 1768 – 1779, sul

Cum Sancto Spiritu…Amen.

Nella forma qui presentata l‟accompagnamento è pianistico; ma il Gloria è

pensato ed adattabile per un organico orchestrale composto, come per le Messe di

Mozart (eccezion fatta per il Requiem, che non prevede gli oboi, ma corni di basetto),

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dai violini I e II, viole, violoncelli e contrabbassi, corni, oboi, fagotti, trombe,

trombone alto, trombone tenore e basso a raddoppio delle voci del coro, timpani.

Per la parte vocale ci sono il coro a quattro voci e quattro solisti nella voce di

basso, tenore, alto e soprano.

Come per le messe di Mozart, la parte ricoperta dai solisti, è prevalente nel

Domine Deus… Filius Patris,

Il brano si apre con il coro in omoritmia che, sulla suceessione armonica I – V - I

esclama la parola Gloria. Segue, al in exceslsis Deo (batt. 2 – 7), una figurazione

melodica ascendente iniziata dai soprani ed imitata dalle voci del contralto e del

basso. E‟ questa la figura retorica dell‟Anabasi, ovvero il rappresentare “ l‟Alto dei

Cieli “ con la musica.

Da battuta 8 di nuovo il coro in omoritmia, su un pedale di tonica tenuto dai

bassi (come il Gloria K 317), si intonano le parole Et in terra pax hominibus. Come

nella k 317, il contrasto tra sulla parola Pax e sulla sillaba mi (hominibus), batt. 9

– 12, danno un particolare colore all‟episodio. Questo contrasto immediato di

espressione, si trova su quasi tutte le Messe di Mozart, per un immediato riscontro si

veda il Credo della Messa k 317. A battuta 13 (Laudamus Te…adoramus Te),

iniziano una serie di progressioni, che si protraggono fino a battuta 18, in modo

imitativo, partendo dai soprani prima, seguiti dai contralti e dai tenori, mentre i bassi

sono in pausa, si esegue un arpeggio melodico discendente di do sulle parole

Glorificamus Te (batt. 18 – 20). Vuole essere questa la figura retorica della repetitio o

(anafora), in cui si vuole sottolineare la Glorificazione di Dio da parte degli uomini.

Questi ingressi „sfalzati‟ molto ravvicinati (batt. 18 – 20), si possono ritrovare

nel Requiem all‟ Offertorio (Domine Jesu Christe), sulle parole De poenis inferni e ne

cadant in obscurum.

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Sempre a battuta 20, in omoritmia il coro, questa volta anche con i bassi, ripete

le parole Glorificamus Te. La scelta compositiva di far ripetere in omoritmia il

Glorificamus Te, è dovuta all‟idea di unificare tutto il popolo di Dio in un‟unica voce,

in cui il messaggio chiaro è la volontà di rendere Gloria all‟Altissimo.

A battuta 21 (ultimo quarto), come era solito fare da Mozart, una serie di

emiole, qui al Gratis agimus tibi, portano alla cadenza finale in do maggiore, sulle

parole propter magnam gloriam tuam. Interessante è il movimento del basso che sale

per cromatismi.

Un breve passaggio musicale: progressioni di scale discendenti alla semicroma,

- che si possono ritrovare oltre che nelle Messe di Mozart (es. K 258 Gloria), anche

nelle composizioni liturgiche minore quali ad esempio il Te Deum KV 141 batt. 43 –

45 (figura 1), nelle sonate per pianoforte, nelle sinfonie e nei concerti -, preparano

l‟intervento del soprano solo sempre sulla tonalità di do maggiore. E‟ questo da

intendersi come un secondo tema della forma di sonata.

Fig.1. Te Deum

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Come per la maggior parte delle Messe di Mozart, l‟intervento dei solisti

avviene alle parole Domine Deus Rex coelestis…Filius Patris.

Su un ritmo sincopato tenuto dal pianoforte, il soprano inizia la melodia con la

successione armonica I – V – I, in cui a battuta 32 sulle parole Rex Coelestis,

troviamo la caratteristica appoggiatura ascendente alla terza sull‟accordo di tonica.

Segue una modulazione al IV grado (batt.39),A batt. 40 interviene il contralto

solo che ripete, pressochè invariata, la linea melodica del soprano, sullo stesso

testo(batt. 40 – 47). Il soprano solo si sovrappone al contralto (batt. 41) facendo una

sorta di risposta al tema principale, ed intrecciando il testo Domine Fili Unigenite

Jesu Christe, al Domine Deus Rex Coelestis cantato dal contralto, come nelle Missae

Breves composte da Mozart.

A battuta 47 inizia la modulazione verso re minore, che risolve a battuta 50. E‟

questa la parte di sviluppo che si articola nel modo minore.

A battuta 50 entra il tenore che riprende il tema del soprano solo in tonalità

minore, sulle parole Dominus Deus Agnus Dei, cui si aggiunge, a battuta 51 il basso

solo che ripete il testo del tenore, con una linea melodica indipendente. La scrittura

pianistica si intensifica e tutto l‟episodio diventa più carico di tensione.

A battuta 53 i solisti tornano in omoritmia e la scrittura pianistica torna più

distensiva, si inizia la modulazione verso fa magg. in cui il re minore viene inteso

come VI di fa, cui segue un IV - V - I (batt. 53 – 55). Le voci sono ancora con il

testo non allineato, l‟andamento è pressoché accordale fino alla cadenza in fa batt. 58.

Un passaggio musicale, leggermente imitativo, sposta di nuovo il discorso

armonico alla tonalità di re minore, sulle parole Qui tollis peccata mundi.

Dato il significato importante del testo, la scrittura si fa accordale, con il coro

in omoritmia e pause a frammentare il discorso melodico. E‟ questa la figura retorica

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dell‟abruptio, usata a sottolineare i momenti topici di penitenza dell‟uomo, e la

richiesta di pietà (miserere nobis).

Dal tempo di Allegro si passa ad Andante, è da considerare questa una parte di

sviluppo, in cui l‟armonia si fa più instabile, non è mai definita, e quando c‟è una

cadenza, subito un‟altra modulazione ci porta ad un‟altra tonalità, sempre minore.

Nella semplicità dell‟omoritmia del coro, si oppone la complessità armonica,

ma sempre riconoscibile, che dà personalità all‟episodio.

A battuta 64 il basso e il contralto si muovono per terze (chiave di volta

inferiore) nella staticità delle altre voci, tale figurazione sarà ripresa, a battuta 74 dal

soprano e dal tenore (chiave di volta superiore).

A dare „drammaticità‟ a tutto l‟episodio sono i salti di quarta aumentata

(tritono) del basso, su accordi diminuti, e dai ritardi della fondamentale effettuata dai

contralti. Questa scelta è giustificata dal testo, in quanto secondo la teoria degli

affetti, la musica è affine a ciò che è emotivamente espresso dal testo stesso. Anche

Mozart nelle sue Messe nei momenti di tensione fa spesso uso di questi espedienti

compositivi (Messa K 317, Gratias, il basso salta di quarta discendente su un accordo

di settima di prima specie, Requiem, Confutatis ritadi alla fondamentale, Oro

supplex).

Sulla stessa progressione, alle battute 69 – 70 – 71, il Qui tollis peccata, viene

ripetuto in per il senso di intimità con cui si chiede il perdono dei propri peccati, per

tornare in a battuta 71 affinchè l‟implorazione sia esaudita.

Da battuta 76 a 78, per affinità di pronuncia sillabica, il miserere nobis è in ¾

, atto a significare l‟umiltà con cui si chiede la pietà per la propria anima. Segue

infatti, dopo la cadenza in la minore, come un momento di intima preghiera e

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riflessione, una pausa coronata a tutte le voci. E‟ questa la figura retorica

dell‟Aposiopesi, che vuole sottolineare, con una pausa generale, questo particolare

episodio.

A battuta 79 si torna in 4/4 , e continua lo sviluppo come ad imitazione delle

battute precedenti, con una piccola variazione a battuta 82, in cui sul al Qui tollis,

l‟accordo sul V grado non ha ritardo della fondamentale ma la settima, oltre ad essere

un motivo di variazione, ha anche la funzione di aumentare l‟attrazione verso il I

grado (si minore).

Sull‟ultimo quarto di battuta 83 si torna di nuovo sul , e riprende di nuovo la

modulazione, con il basso che salta sempre di una quarta aumentata, per concludere

tutto l‟episodio (peccata mundi) nella tonalità di fa# minore.

Si torna di nuovo al ¾, questa volta sono i solisti che in alle parole Suscipe

deporecationem nostram, in omoritmia, invocano l‟accoglimento della supplica del

perdono divino sui peccati umani. L‟andamento pianistico, è accordale a raddoppio

delle voci, mentre il pianoforte esegue degli arpeggi sull‟armonia, che vanno

progressivamente spostandosi verso la tonalità di la maggiore.

A battuta 95, sull‟ultimo quarto, in contrasto con l‟intervento dei solisti, rientra

il coro che in , e in omoritmia, su un pedale di la, declama con vigore le parole Qui

sedes ad dextreram Patris. La scrittura pianistica torna di nuovo accordale a

raddoppio delle voci, così da dare loro risalto e chiarezza al testo pronunciato. Una

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pausa coronata generale (di nuovo la figura retorica dell‟aposiopesi), separa

l‟intervento del coro da una nuova entrata dei solisti che, nella tonalità di la minore,

implorano in e omoritmicamente la Misericordia Divina (Miserere nobis), tornando

nella tonalità di do maggiore.

A battuta 107 c‟è la ripresa del tempo I (allegro in 4/4) e del primo tema. Il

coro in , esclama le parole Quoniam tu solus sanctus, poi prosegue in modo

imititativo, come per l‟inizio del brano (In excelsis), alle parole Tu solus Dominus, Tu

solus Altissimus (batt. 109 – 114). Da battuta 114 a 117, sulla parola Jesu, una serie

di emiole, portano alla chiusura dell‟episodio (Jesu Christe). Di nuovo si ripresenta la

figura retorica della repetitio, o anafora, in quanto si vuole sottolineare vivamente la

compassione di Gesù nel perdonare l‟uomo dei suoi peccati.

Ho volutamete citato, alle batt. 116 – 117, un passaggio del Credo della

Krongsmesse di Mozart, nello specifico batt. 132 – 133 (Amen), ad omaggio del

grande compositore salisburghese (Figura 2).

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Fig. 2. Credo dalla Messa dell‟Incoronazione

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La scrittura pianistica è di poco differente dall‟inizio, in quanto si limita ad

accompagnare il coro con accordi che rispecchiano il ritmo tenuto dal coro.

Un nuovo intervento pianistico, uguale a quello delle batt. 25…28, introduce la

fuga al Cum Sancto Spiritu…Amen

Iniziano i bassi, a battuta 122, cui segue la risposta dei tenori alla dominante

(batt. 125), con i contralti che introducono il controsoggetto, seguiti dai soprani che

riprendono il tema a batt. 128, di nuovo i bassi a batt. 131 ripetono il soggetto e i

tenori il controsoggetto variato, cui segue la risposta alla dominante dei contralti. A

batt. 134 si modula in sol maggiore; ai contralti è affidato il compito di introdurre il

soggetto, variato nel finale. A battuta 145 si passa alla tonalità di la minore. Sono i

soprani ad introdurre il soggetto (batt. 146), cui si sovrappongono i contralti con la

testa del controsoggetto in tonalità minore, seguiti dai tenori a batt. 147 che

riprendono il tema variandolo melodicamente, poi i bassi a battuta 149 ripropongono

il tema, sempre alla tonica, cui si sovrappongono di nuovo i tenori con il

controsoggetto, anch‟esso variato. A battuta 151 si modula verso la tonalità di mi

minore. Sono i contralti che in questa nuova tonalità introducono il soggetto. Inizia

qui una sorta di stretto, in cui le entrate delle voci sono ravvicinate. A battuta 153

entrano i bassi che riprendono il tema iniziale sviluppandolo, sulla terza misura della

stessa battuta entrano i soprani che riprendono il soggetto variandolo, seguono i

tenori a battuta 154, anch‟essi variando il soggetto della fuga. Di nuovo i contralti

ripropongono il tema variato a battuta 156, cui seguono i bassi a batt. 157. A battuta

158 entrano i soprani con il controsoggetto variato, che concludono la fuga su una

progressione discendente in ritmo sincopato, con ritardi della fondemntale. Tutte le

voci muovono per moto parallelo discendente, questa è la figura retorica della

catabasi, che si sovrappone alla figura retorica della congerie (o synathroismos),

ovvero la successione di concatenazione di accordi in 3/6 o 4/6 alternati ad ccordi in

3/5, comparabili all‟Agnus Dei della Messa dell‟Incoronazione. A battuta 159 il

tenore conclude il suo intervento iniziando il tema del soggetto, ma variandolo in

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relazione all‟andamento delle altre voci. Il pianoforte, per tutta la durata della fuga, è

limitato alla funzione di supporto armonico.

A conclusione della fuga, batt. 164, il coro ripete in omoritmia il soggetto della

fuga, il cui tema è affidato ai soprani. L‟episodio termina con una cadenza d‟inganno

V - VI sulla parola Amen a batt. 166; la cadenza perfetta è preparata da batt. 167, con

la ripresa, sempre in omoritmia, del controsoggetto, con successione armonica IV – V

– I. Anche questa formula di cadenza è tipico delle composizioni mozartiana, basti

vedere ad esempio, l‟Agnus Dei della Messa dell‟Incoronazione (da batt. 95 a 98) o

un altro intervento del Te Deum (batt. 132 – 141) (figura 3).

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Fig. 3 Te Deum

A battuta 168 del Gloria, sull‟ultimo quarto, iniziano una serie di successioni

armoniche V – I con il coro in omoritmia che ripete con fervore la parola Amen ed il

pianoforte che accompagna alla semiminima, per la conclusione del Gloria.

Questa formula di chiusura è riscontrabile nel finale dell‟ Agnus Dei della

Messa dell‟Incoronazione. (Fig. 4)

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Fig. 4 Agnus Dei (finale) dalla Missa Dell‟Incoronazione

Da battuta 170 a fine, il coro ripete, con minime, raddoppiato dal pianoforte, la

parola Amen. Idealmente si vuole rappresentare l‟assemblea che con tutta la fede

declama la Gloria del Signore e invoca la salvezza della propria anima.

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SANCTUS

Il Sanctus, nel tempo di ¾ in Andante Maestoso è nella tonalità di re maggiore,

un‟altra delle tonalità „luminose‟ scelte da Mozart per le sue Messe. Basti ricordare il

Sanctus dell Missa Brevis K 194, e quello composto da Süssmayr, seguendo gli

appunti di Mozart, nel Requiem.

Anche questa composizione è nello stile delle Missae Breves, e consta di 50

battute.

Come per il Gloria, l‟accompagnamento è pianistico, ma è adattabile per

orchestra: violini I e II, viola, violoncello e contrabbasso, corni, timpani oboi, fagotti

e tromboni a raddoppiare le voci.

Dal punto di vista vocale, ho pensato di strutturare il brano in modo da affidare

tutta l‟esecuzione al coro, così come i Sanctus delle Missae di Mozart.

Dopo un inizio omoritmico del coro, segue una parte di fugato all‟Osanna,

senza cambi ritmici o timbrici in quanto il brano vuole essere semplicemente un canto

di lode al Signore Dio.

La composizione consta di 50 battute, e si apre con il coro che in omoritmia

esclama le parole Sanctus per tre volte. Il tre indica, ancora una volta la Trinità.

I soprani, per moto contrario ai bassi, eseguono una figurazione melodica

ascendente, quindi di nuovo la figura retorica dell‟Anabasi simboleggiando

l‟innalzamento della parola e l‟acclamazione del Signore Dio nell‟alto dei Cieli.

L‟episodio termina sulla dominante a battuta 4, per riprendere subito, a battuta

5 con un cromatismo al basso (la#) sulla parola Dominus, che rende instabile tutto

l‟impianto armonico, per risolvere sulla dominante, mi maggiore, a batttuta 10 (Deus

Sabaoth).

Di nuovo tra battuta 8 e 9 il basso esegue un salto discendente di quarta

aumentata, la cui funzione è quella di appoggiatura della tonica mi. Tutto l‟episodio

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ha un movimento intrinseco di armonie che giocano su ritardi e appoggiature, che

nella staticità della scrittura prettamente accordale, rendono movimentato l‟episodio.

A battuta 11, sulle parole Pleni sunt, l‟accordo di settima di dominante ci fa

intuire l‟avvicinarsi della cadenza sulle parole coeli et terra, ma che però non risolve

su un primo grado, bensì sul VI (batt. 14) raggiunto con un cromatismo, per ripetere,

da batt. 15 a 18, sulle stesse parole la formula di cadenza perfetta.

Questa formula di cadenza, oltre che, come visto per il Gloria, si riscontra nella

Messa in re maggiore K 194 (figura 1).

fig. 1 Dal Sanctus della Missa Brevis K 194

A battuta 19, una serie di progressioni, che si concluderanno a battuta 27, sulla parola

Gloria tua, riporteranno il il brano alla tonalità iniziale di re maggiore.

Inizia qui, sull‟ultima misura di batt. 27, un fugato, il cui tema è affidato ai

bassi sulle parole Osanna in excelsis, cui segue l‟entrata dei tenori sulla dominante a

battuta 29, poi di nuovo i contralti sulla tonica a battuta 31, ed infine i soprani a

battuta 33.

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Di nuovo, a simboleggiare l‟alto dei Cieli, la figura retorica dell‟anabasi su cui

è impostato il fugato.

A batt. 33 il discorso armonico si sposta alla dominante (la), cui si ripete il

tema della fuga, iniziano i soprani, seguiti dai bassi a batt. 35 – 36, cui segue di

nuovo un ritorno alla dominante di re a battuta 37 con il tema dato ai tenori, per

ritornare a re maggiore a batt. 40.

A battuta 38 un nuovo elemento melodico viene introdotto dai contralti, che ha

funzione di controsoggetto al tema principale, con la contemporanea funzione di

introdurre il soggetto della fuga (batt. 38 – 39).

Ad imitazione del contralto, entrano progressivamente il soprano a battuta 40

sulla dominante, per riprendere il tema del soggetto a batt. 41, ed il tenore, sempre ad

imitazione del contralto, entra a battuta 42 restando sulla dominante e continuando, a

battuta 43 il tema.

A battuta 44 di nuovo un accenno del nuovo elemento da parte dei contralti su

un pedale di tonica (con i soprani in pausa), che muove di nuovo sulla dominante a

battuta 45.A battuta 46 i soprani portano a conclusione la fuga, con il coro che

esclama in omoritmia (da batt. 47 a 50) Osanna in excelsis.

Ho voluto omaggiare in questa conclusione, il grande Maestro riportando il

finale del Sanctus, della Messa da Requiem, con una piccola variazione al contralto,

l‟ultima opera che porta il suo nome e che ha segnato la fine della sua vita terrena.

(fig. 2)

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Fig. 2 finale del Sanctus dalla Messa da Requiem K 626.

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VII. APPENDICE

1. Elenco Messe di Mozart

K 49 Sol maggiore, Vienna X – XI / 1768

K 139 Do minore, Vienna 1768 Waisenhaus - Messe

K 65 Re minore, Salisburgo 14 / I / 1769

K 66 Do maggiore, Salisburgo X / 1769 Dominicus - Messe

K 115 Do maggiore, Salisburgo 1773

K 140 Sol maggiore, Salisburgo 1773 Pastorale (di Mozart?)

K 167 Do maggiore, Salisburgo VI / 1773 Trinitatis - Messe

K 192 Fa maggiore, Salisburgo 24 / VI / 1774

K 194 Re maggiore, Salisburgo 8 / VIII / 1774

K 220 Do maggiore, Monaco I / 1775 Sptzenmesse

K 262 Do maggiore, Salisburgo 1776 Missa - Longa

K 257 Do maggiore, Salisburgo XI / 1776 Credo – Messe

K 258 Do maggiore, Salisburgo XII / 1776

K 259 Do maggiore, Salisburgo XII / 1776 Orgelsolo – Messe

K 275 Sib maggiore, Salisburgo 1777

K 317 Do maggiore, Salisburgo, 23 / III / 1779 Krönungs – Messe

K 337 Do maggiore, Salisburgo, III / 1780

K 427 Do minore, Vienna, 1782- 83 Grande Messa framm.

K626 Re minore, Vienna, 1791 Requiem; completato

da Süssmayr

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2. Spartito del Gloria e del Sanctus

Testi:

GLORIA

Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.

Laudamus Te, benedicimus Te, Adoramus Te, Glorificamus Te.

Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.

Domine Deus, Rex coelestis, Deus Pater omnipotens.

Domine Fili unigenite, Jesu Christe.

Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.

Quie tollis peccata mundi, miserere nobis.

Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram.

Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.

Quoniam Tu solus Sancus, Tu solus Dominus, Tu solus altissimus Jesu Christe,

Cum Sancto Spiritu in Gloria Dei Patris, Amen.

SANCTUS

Sanctus, Sanctus, Sanctus, Dominus Deus Sabaoth.

Pleni sunt coeli et terra gloria Tua.

Osanna in excelsis.

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3. Autografi di alcune parti di Messe di Mozart

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INTERNATIONALE STIFTUNG MOZARTEUM, 2006: Online Publications

(www.mozarteum.at) (Partiture, Autografi).