34
EDIZIONI FALSOPIANO RENéCLAIR Giulio d’Amicone il sorrisoal cinéma rené clair il sorrisoal cinéma

René Clair. Il sorriso al cinéma

Embed Size (px)

DESCRIPTION

I film e la storia di un grande della storia del cinema

Citation preview

Page 1: René Clair. Il sorriso al cinéma

clairilsorrisoalc

EDIZIONI

FALSOPIANO

RENéCLAIR

Giulio d’A

micone

RENéCLAIRilsorrisoalciném

a

RENéCLAIRGiulio d’Amicone

EDIZIONI

FALSOPIANO

ilsorrisoalcinéma

Giulio d’Amicone

€ 17,00

ilsorrisoalcinéma RENéCLAIR

ilsorrisoalcinéma

renéclairilsorrisoalcinéma

“Tutte le storie del cinema citano Entracte, l’unico tra i film di Clair che nonebbe origine da un’idea del regista; ma nella filmografia di questo autore si tro-vano spunti ben altrimenti stimolanti, dalla schietta comicità di Tutto l’oro delmondo al serial killer prototipo di Dieci piccoli indiani, in una gamma di azionie sentimenti talmente variegata da sostenere nella storia del cinema ben pochiparagoni. Nell’esaminare i film del regista parigino adottando un’ottica total-mente nuova, si viene a scoprire come all’opera di Clair si siano ispirati gli au-tori più diversi, compreso il grande Hitchcock e gli stessi vessilliferi dellaNouvelle vague che vollero accantonarlo: tanto il musical quanto la sophisti-cated comedy hollywoodiane trovarono nell’opera clairiana più di una fonted’ispirazione...”.

Giulio d’Amicone (Bologna 1951) vive e lavora a Pescara. È stato direttore del seme-strale di studi cinematografici “Cabiria” ed è corrispondente della rivista spagnola “Di-rigido por...”. Ha pubblicato L’uomo che uccise Liberty Valance ed ha collaborato aCinema e generi 2008 con un saggio sul regista statunitense Lamont Johnson (entrambiper Le Mani).

Page 2: René Clair. Il sorriso al cinéma
Page 3: René Clair. Il sorriso al cinéma

EDIZIONI FALSOPIANO

RENéCLAIR

Giulio d’Amicone

ilsorrisoalcinéma

Page 4: René Clair. Il sorriso al cinéma

© Edizioni Falsopiano - 2010via Bobbio, 14/b

15100 - ALESSANDRIAhttp://www.falsopiano.com

Per le immagini, copyright dei relativi detentoriProgetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri - Roberto Dagostini

Stampa: LaserGroup s.r.l. - Peschiera BorromeoPrima edizione - Giugno 2010

Questo libro non avrebbe mai visto la luce senza l'amichevole pungolo di Oreste DeFornari, al quale resto debitore

In copertina: Gerard Philipe in Le belle della notte (1952) di René Clair.

In seconda e terza di copertina: Le belle della notte (1952) e Dieci piccoli indiani (1945)

Page 5: René Clair. Il sorriso al cinéma

INDICE

Introduzione p. 9

I film

Parigi che dorme(Paris qui dort, 1924) p. 15

Entracte (id., 1925 ) p. 21

Le Fantôme du Moulin Rouge (1924) p. 27

Le voyage imaginaire (1925) p. 31

La proie du vent (1926) p. 35

Il cappello di paglia di Firenze (Un chapeau de paille d’Italie, 1927) p. 39

La tour (1928) p. 43

I due timidi (Le deux timides, 1928) p. 45

Sotto i tetti di Parigi(Sous les toits de Paris, 1930) p. 51

Il milione (Le million, 1931) p. 59

A me la libertà (À nous la liberté, 1931) p. 69

Page 6: René Clair. Il sorriso al cinéma

Per le vie di Parigi(Quatorze Juillet, 1932) p. 79

L’ultimo miliardario(Le dernier milliardaire, 1934) p. 87

Il fantasma galante(The Ghost Goes West, 1935) p. 95

Vogliamo la celebrità (Break the News, 1937) p. 103

L’ammaliatrice (The Flame of New Orleans, 1940) p. 107

Forever and a Day p. 114

Ho sposato una strega(I Married a Witch, 1942) p. 115

Accadde domani(It Happened Tomorrow, 1944) p. 125

Dieci piccoli indiani (And Then There Were None, 1945) p. 133

Il silenzio è d’oro(Le silence est d’or, 1947) p. 139

La bellezza del diavolo(La beautè du diable, 1949) p. 151

Le belle della notte(Les belles-de-nuit, 1952 ) p. 157

Le grandi manovre(Les grandes manoeuvres, 1955) p. 163

Page 7: René Clair. Il sorriso al cinéma

Quartiere dei lillà(Porte des lilas, 1957) p. 171

Il matrimonio (Le mariage) episodio da La française et l’amore, La francese e l’amore, 1960) p. 176

Tutto l’oro del mondo (Tout l’or du monde, 1961) p. 179

I due piccioni (Les deux pigeons) episodio del film Le quattro verità,Les quatres verites) p. 186

Per il re, per la patria e per Susanna (Les fêtes galantes, 1965) p. 190

Conclusione p. 193

Cenno biografico p. 195

Bibliografia p. 197

Page 8: René Clair. Il sorriso al cinéma

René Clair

Page 9: René Clair. Il sorriso al cinéma

INTRODUZIONE

“Lo spirito non sarà mai libero se non ci sarà una libera ironia,

perché contro le gravi stravaganze e gli umori biliosi

non esiste altro rimedio all’infuori di questo”

(Shaftesbury, Lettera sull’entusiasmo, 1708)

1. L’aristocratico. Definire René Clair il più grande regista della storia delcinema non può che suscitare un’impressione immediata di faziosità. È purvero che la scelta di un oggetto d’indagine presuppone sempre una qualche pre-ferenza, ma un’asserzione così radicale rende opportuno un chiarimento. RenéClair è stato il più grande perché tutti i suoi film, anche i meno difendibili,respirano cinema dalla prima all’ultima inquadratura: la sua opera omnia com-pone un quadro che non si saprebbe immaginare più e sauriente (e più affasci-nante) delle possibilità offerte dal linguaggio filmico. Lo si po trebbe anzi eleg-gere il più aristocratico dei registi, considerando che il termine risale alla radi-ce aretè, parola che nell’antichità indicava il complesso di virtù atte ad accom-pagnare l’esistenza di ogni autentico gentiluomo. Del nobile egli possiedeinfatti tutte le qualità, ed anche i limiti.

In primo luogo, lo stile aristocratico rifiuta qualsiasi forma di approcciodiretto al la realtà. Nei casi in cui il cinema clairiano sceglie di mostrare cru-dezze, violenze, e persino crimini, tali argomenti sono affrontati in maniera datestimoniare lo sguardo assieme distaccato e profondo dell’ultimo erede di unatradizione artistica e filosofica che conta tra i suoi antecedenti LaRochefoucauld e Marivaux. In secondo luogo, il nobile è abituato a dettarlegge; ed infatti Clair scrive quasi sempre le sceneggiature senza giovarsi dicollaborazioni. Infine (e qui veniamo ai limiti) lo sguardo posato sul popo loparigino ne evidenzia l’atteggiamento affettuoso ma al tempo stesso l’incan-cellabile distacco: assistiamo ad una vasta galleria di tipi sempre sapidi e vivis-simi ma stereotipati (la portinaia, il bottegaio, il poliziot to, l’autista di taxi…).

2. Il cineasta. Ognuna delle opere clairiane può essere letta come indagineattorno ad un aspetto del linguaggio ci nematografico: Il viaggio immaginario

9

Page 10: René Clair. Il sorriso al cinéma

come riflessione sull’efficacia del comico, Il milione come studio sulla colon-na sonora, Avvenne... domani come gioco su prolessi ed a nalessi, Sotto i tetti diParigi come sperimentazione sull’asincronismo, Il silenzio è d’oro come rie-vocazione del periodo iniziale del cinematografo giocata paradossalmente sulvalore ip notico della parola... Il tutto raggruppato attorno ad un tema fonda-mentale: la linea di demarcazione esistente tra realtà e rappresentazione.

L’opera di rimozione operata dai crociati della nouvelle vague nei con-fronti di Clair (come di tanti altri) ha prodotto gravi danni, ma fortunatamen-te non irreversibili 1. Uno degli scopi di queste pagine è proprio dimostrarenon solo che il mondo del regista francese è molto più sfrangiato di quantonon si sia generalmente ritenuto fino ad oggi, ma sopratutto che la concezio-ne clairiana dell’arte non è meno elevata o meno rigorosa di quella dei coe-tanei Ejsenstejn o Mizoguchi: solo, si esprime in modi diversi 2. I detrattorinon seppero comprendere che l’opera clairiana si poneva fin dall’inizio su diun piano trascendentale, intendendo l’aggettivo non in senso mistico né tantomeno virtuosistico (lisztiano, per entrare in ambito musicale). Ogni inqua-dratura di Clair ha un doppio valore: narrativo e metalinguistico. Pur evitan-do di cadere nel pedissequo citazionismo proprio degli iconoclasti postbelli-ci, il maestro francese produce cinema parlando sempre di cinema. Ogni suofilm è un acquisto e un esperimento, un essere e un divenire, un punto fermoed una provocazione; ma il suo tratto più marcato resta sempre la distinction,la signorilità, grazie alla quale questo gentilhomme può permettersi di affron-tare con mano leggera argomenti come l’omosessualità (tema sotterraneo maquasi costante), la magia nera (Ho sposato una strega), l’omicidio tentato(Sotto i tetti di Parigi) o riuscito (Quartiere dei lillà).

3. I personaggi - Arduo comprendere le riserve avanzate riguardo alla defi-nizione psicologica dei personaggi clairiani, i quali assumerebbero una lorovalidità esclusivamente come archetipi, funzioni delle vicende narrate. Sitratta di una deviazione di tiro. La stereotipia infatti presume una qualcheforma di predestinazione: sono stereotipati taluni personaggi interpretati da

10

1 Poche le voci contrarie: “Dire che Renoir domina quel periodo del cinema francese, signi-fica ignorare la presenza di registi quali Clair, Feyder, Vigo, Bunuel, Cocteau, che in quellostesso periodo hanno dato opere che hanno stimolato, quando non addirittura provocato, ilprocesso evolutivo del mezzo, più di quanto non abbia fatto Renoir”: Alfonso Canziani, Ilcinema francese degli anni difficili, Mursia 1976, p. 16-17.

2 Ancora di recente leggiamo frasi come “l’assenza di sensualità e malizia che contraddistin-gue il cinema di Clair…” (Roberto Chiesi in René Clair, Bergamo Film Meeting 2008, p. 46).

Page 11: René Clair. Il sorriso al cinéma

Gabin (Il bandito della Casbah, L’angelo del male) sui quali incombe un desti-no cui è impossibile sottrarsi. Ma Clair non è un calvinista. Il suo personaggiomaschile (si chiami Michel, Jean o Emile) è un uomo comune, scelto con curadal regista in modo da possedere tratti il più possibile anonimi (si perdoni l’ap-parente ossimoro). Non ha gran voglia di lavorare ed anzi si trova più a suo agioper le strade che non dentro a qualche ufficio o fabbrica. Tratteggiato non senzasimpatia (forse in ricordo di qualche anno di giovinezza trascorso in spensiera-taggine), questo giovanotto degenera nelle ultime opere in uno scansafatichedisdegnato dalla società; d’altro canto l’attivismo professionale è dipinto daClair come una iattura (vedasi Tutto l’oro del mondo).

Per quanto riguarda i personaggi femminili, il regista è lontanissimo dallamisoginia dei suoi coetanei Duvivier e Renoir (o anche dei quasi coetaneiCarné e Gremillon), in seguito ereditata dai nouvellevaghisti Godard eTruffaut. Nella sua filmografia troviamo personaggi indimenticabili come laPeggy del Fantasma galante, la Jenny di Ho sposato una strega, laMadeleine del Silenzio è d’oro... A coloro poi che accusano il cinema clai-riano di mancanza di sensualità, suggeriamo di rivedere la partita a ping-pongdel succitato Fantasma; o la scena in camera tra Albert e Pola in Sotto i tettidi Parigi; o la rêverie di Charles Vanel in La proie du vent… e si potrebbecontinuare. È d’altro canto indubbio che nel periodo della maturità - diciamodal rientro in patria - la raffigurazione dei personaggi femminili subisce unasorta di allentamento, quasi il regista aumentasse la distanza esistente fra sée il narrato: tuttavia non viene mai a mancare il rigore della direzione, comedimostrano le ottime prestazioni di Dany Carrel in Quartiere dei lillà o diAnnie Fratellini in Tutto l’oro del mondo. Quanto detto non entra in contrad-dizione con la latente omosessualità di quasi tutti i personaggi maschili: ogniprotagonista si riflette in un doppio, di temperamento diverso, che funge dacontraltare e che è ben deciso a tenere lontano l’amico dalle tentazioni fem-minili; nel suddetto Quartiere dei lillà troviamo addirittura una variazioneconcernente la gelosia per un uomo.

4. L’ambiente - Con poche eccezioni (Tutto l’oro del mondo, girato neicampi della Garonna, e qualche scena per esempio in Le belle della notte),nel cinema di Clair non esistono esterni. Quando egli ambienta le sue storieper le strade, assistiamo sempre ad una ricostruzione in studio strutturata edilluminata in modo da essere visibile come tale. Ciò è coerente con la suaconcezione del cinema, anzi potremmo dire del mondo-cinema. Persino ilcampo di battaglia delle Fêtes galantes, col suo castello da operetta, ha qual-cosa di artefatto.

11

Page 12: René Clair. Il sorriso al cinéma

5. Linguaggio - La cinepresa di Clair si mostra fin dall’inizio aperta a qual-siasi possibilità. Non esiste un modulo linguistico prediletto. È vero che assi-stiamo con una certa frequenza a lunghe panoramiche sulla città o anche apiani-sequenza, ma queste scelte non caratterizzano (come spesso si è sostenu-to) lo stile clairiano più di tanto, perché al momento opportuno egli dimostra disaper scandire la scena con tagli “invisibili”, ricorrendo talora anche ai piùminuti particolari (un esempio per tutti: il minuscolo spec chio infranto da Polain Sotto i tetti di Parigi). Il regista non ha mai avvertito il bisogno d’imporre unsigillo autoriale ai suoi film. Un film di Clair si riconosce come tale.

6. Essere e divenire – La rappresentazione si svolge sempre lungo unalinea verticale (alto/basso), la qual cosa corrisponde rispettivamente al movi-mento ed alla stasi, al divenire e all’essere. Solo chi sta in alto riesce a scam-pare al raggio paralizzante (Parigi che dorme). Su di una terrazza si può gio-care a scacchi (Entracte), e sugli spalti di Notre Dame ci si azzuffa e ci si rin-corre (Viaggio immaginario). Il festino con cui si apre e si conclude Il milio-ne si svolge in un appartamento mansardato, simile a quello da cui proven-gono le note del pianoforte in Le belle della notte. Quartiere dei lillà è inte-ramente giocato sul contrasto tra ambiente soprastante (la casettadell’Artista) e la cantina entro cui si nasconde il rapinatore. Buona parte del-l’azione dell’Ultimo miliardario vede dignitari e regnanti affacciarsi sul bal-cone e arringare la folla, e ugualmente da un balcone si getta Mefistofele nelfinale della Bellezza del diavolo. Sulla terrazza del castello si svolge il primoincontro tra lo spettro e Peggy (Il fantasma galante), e sul balcone di unamansarda quello tra Jacques e Madeleine (Il silenzio è d’oro). La casa conta-dina dei Dumont è costruita su due livelli (Tutto l’oro del mondo). I due sco-nosciuti rimasti intrappolati nell’appartamento (Le deux pigeons) si affaccia-no dal balcone nel tentativo di comunicare coi passanti, e trascorrono partedel tempo prendendo il sole sul tetto. Il singolare assedio delle Fêtes galan-tes infine dà gran rilievo alle trincee in cui il protagonista ama trovare rifu-gio. Emblema di questa costante tensione verso l’alto è la scala, onnipresen-te partendo dai marchingegni metallici della Tour fino alle scalinate nelcastello dell’ultimo film. Il cinema è pieno di scale, ma quelle di Clair nonsono certo ideate per consentire alla diva del momento di discendervi in abitodi gala: la costante tensione verso l’alto metaforizza l’aspirazione ad unmondo migliore, generalmente inappagata dato che si tratta di gradinate chenon portano in alcun luogo.

12

Page 13: René Clair. Il sorriso al cinéma

7. L’equivoco - A questa contrapposizione si apparenta l’equivoco, cheimpronta di sé ogni tipo di rapporto tra esseri umani. La filmografia clairia-na si apre con Parigi che dorme in cui si narra di un mondo diviso in dueblocchi incomunicabili, e termina con Les fêtes galantes che vede l’antieroeprotagonista barcamenarsi in continuazione tra un esercito e l’altro. Non èpossibile enumerare tutte le situazioni in cui due persone dialogano senzacomprendersi portando avanti il colloquio in diverse direzioni: citiamo peresempio l’incontro tra Peggy e lo spettro in Il fantasma galante, la disperataconfessione dell’incarcerato François in Vogliamo la celebrità, i colloqui traClément e il suo giovane pupillo in Il silenzio è d’oro e quelli tra lo straluna-to Claude e gli amici convinti che lui voglia suicidarsi in Le belle della notte.Non sarebbe forse fuori posto parlare d’incomunicabilità, se tale vocabolonon fosse da gran tempo divenuto patrimonio di esegeti all’insegna del serio-so. L’equivoco dialogico è un inciampo del divenire, un ostacolo temporaneoche deve essere ricomposto - positivamente o negativamente - per garantireil normale proseguimento dell’esistenza.

8. Oggettualità – Concludiamo aggiungendo che nel regno del divenire glioggetti assumono un’importanza capitale. Vessillifero del catalogo clairianoè il cappello, indossato da quasi tutti i suoi personaggi e ben lungi dal costi-tuire un semplice accessorio. La sposina del Chapeau deve appunto ritrova-re il copricapo per salvare la reputazione, e la giovane coppia dell’episodioLe mariage litiga per un cappellino; le autorità, fin da Entracte, sono semprefornite di ingombranti gibus, destinati a finire per terra (Quatorze juillet) o avolare nel vento (A me la libertà); da un semplice cambio di cappello puòaddirittura dipendere la sorte di un individuo (Vogliamo la celebrità, Lesfêtes), mentre basta legare un berretto all’attaccapanni per architettare unoscherzo tra lo stupido e il malizioso (Le belle della notte)… Ma l’elenco èulteriormente ricco di articoli: una pratica compromettente (Il fantasma delMoulin Rouge), un mazzolino di fiori (se ne trovano molti dal Viaggio imma-ginario in poi), una giacca (Il milione), un mucchio di banconote portate dalvento, armi varie (L’ultimo miliardario), vecchie armature (Il fantasmagalante), un annaffiatoio (Quartiere dei lillà)… Tutti fanno parte del diveni-re perché non hanno valore in sé ma per il modo in cui sono impiegati, quasisempre diverso rispetto al loro scopo originario: la pratica viene utilizzata ascopo ricattatorio, la giacca contiene il biglietto vincente, il cappello è unasorta di carta d’identità, il giornale serve a conoscere il futuro e le armi pos-sono essere utilizzate come singolari oggetti di scambio…

13

Page 14: René Clair. Il sorriso al cinéma

14

Parigi che dorme, 1924

Page 15: René Clair. Il sorriso al cinéma

PARIGI CHE DORME (PARIS QUI DORT, 1924)

Sceneggiatura: René ClairFotografia: Maurice Desfassiaux e Paul GuichardsScene: André Foy Interpreti: Henri Rolland (Albert), Madeleine Rodrigue (la passeggera),Albert Préjean (l’aviatore), Myla Seller (la figlia dello scienziato), Pré fils (ilpoliziotto)Produzione: Henri-Diamant Berger.

Il primo film di Clair contiene tutti i principali elementi della sua poeti-ca, e nello stesso tempo racchiude tutto il cinema, presente, passato e anchefuturo. Il registro adottato dall’autore può definirsi narrativamente favoli-stico e filmicamente metalinguistico. Parigi che dorme è un film d’avven-ture (un gruppo di persone che si trovano a fronteggiare una serie di avver-sità); un horror (gli abitanti di Parigi ridotti a manichini come nelle varieversioni della Maschera di cera); e un film di fantascienza (l’invenzionedel raggio immobilizzante da parte del consueto “scienziato”): il tuttodominato dalla smisurata struttura della torre Eiffel (elemento quasi costan-te nella filmografia clairiana), immoto ma non inerte mostro meccanico chesovrasta sardonicamente la città, gigantesco e odiosamato scheletro di ferrosu cui si svolge gran parte della narrazione. Protagonista è il giovane custo-de della torre (Henri Rollan) 3, il quale si sveglia un bel mattino nella suastanzetta posta in cima alla torre (da notare che dorme vestito come Joujouin Quartiere dei lillà) e si accorge che la città è deserta. Unitosi ad un grup-po di personaggi scesi da un aereo privato, egli scopre che uno scienziatoha immobilizzato l’intera cittadinanza tramite un “raggio” di sua invenzio-ne. Traversie di vario genere (tra cui una breve permanenza alla stazione dipolizia con rischio d’internamento, come nel Milione) porteranno ad un(parziale) lieto fine.

Lo sguardo di Clair è fin d’ora improntato ad ironia: si osservi la scenain cui lo scienziato riempie di astrusi calcoli la lavagna, e si pensi alle tantespiegazioni pseudo-scientifiche della fantascienza hollywoodiana odierna

15

3 Alcuni studiosi non gli attribuiscono tale categoria, limitandosi a definizioni quali “ungiovane che ha trascorso la notte dentro la Tour”. È bensì vero che Clair non gli conferisceuna precisa qualifica, ma a che titolo costui potrebbe dormire in una stanza posta in cimaalla Torre Eiffel?

Page 16: René Clair. Il sorriso al cinéma

(o magari all’improbabile scienziato Paul Newman nel Sipario strappatohitchcockiano). Inoltre già da questa prima prova l’orchestrazione dellenumerose gag è di un’accuratezza tecnica assai prossima alla perfezione,sia nel montaggio (curato personalmente dal regista), sia nei sorvegliatimovimenti dei personaggi all’interno delle singole inquadrature. I suddettipersonaggi, tratteggiati con grande cura, sono chiamati a vivere una disav-ventura che non esclude aspetti piuttosto cupi. Si accennava all’allucinataimmobilità dei parigini, poi ripresa nella parte ambientata al museo delVoyage imaginaire; ma si osservi sopratutto la sequenza riguardante il ten-tativo di possesso della donna, concupita dall’intero gruppo dei cinqueuomini, e il conseguente scontro del pilota e del giovane custode sull’orlodella torre. Hesta – l’oggetto del desiderio (Madeleine Rodrigue) – è laprima della lunga galleria di eroine clairiane sensuali e provocanti, che losguardo miope dei critici non ha saputo individuare.

Qualcuno ha voluto scoprire ascendenze pirandelliane nel gruppo deisei, mentre altri ritengono che l’autore ricalchi volutamente le orme del-l’ammiratissimo Sennett 4. A noi pare invece di rintracciare, nella strutturadi questo capolavoro d’esordio, il primo movimento triadico della Logicadi Hegel: l’essere - il nulla - il divenire. L’essere, la vita, il pensiero, postial di sopra dell’ambiente nullificato dall’immobilità (metaforicamenteimmobilità spirituale, deviata in un tentativo di suicidio, in tradimentiextraconiugali o in divertimenti stereotipati: primo stadio di quella satirasociale che ritroveremo spesso): due stadi opposti che s’integrano e si supe-rano nel dinamismo, ovverosia nel movimento. Nel cinema.

Cinema del passato, si accennava. Infatti il film è anche una riflessione,tra il serio e il faceto, sulle possibilità e i limiti del cinema muto (comedimostrano gli stop-frame e le accelerazioni della seconda parte, nonchéqualche secondo di cinema d’animazione alla Méliès), mentre l’assuntostesso rimanda al rapporto tra fotografia e cinema, cioè tra l’immobilitàfotografica e il dinamismo della pellicola, quasi il regista ci stesse dicendonon che il cinematografo è fotografia in movimento (che sarebbe una bana-lità), ma la verità, ossia che per comporre un’azione filmica è necessario ildinamismo ottenuto tramite lo scorrimento della pellicola. Cinema del pre-sente, poiché la scenografia del laboratorio in cui si trova lo scienziatorichiama taluni esperimenti del contemporaneo dadaismo e prelude allafutura collaborazione con gli avanguardisti per Entracte. Ma anche cinema

16

4 Rispettivamente Jean Mitry nel suo René Clair (Paris 1960, p. 17) e R.C. Dale in The Filmsof René Clair, vol. I (London 1986, p. 17).

Page 17: René Clair. Il sorriso al cinéma

17

Parigi che dorme, 1924

Page 18: René Clair. Il sorriso al cinéma

del futuro, perché l’aspetto sonoro costituisce una parte fondamentale dellanarrazione: nel ristorante vediamo gli orchestrali che riprendono a suonare(una simpatica orchestrina composta da due uomini e due donne di cui unaalla batteria); e gli esseri umani, finalmente scampati all’incantesimo, risol-vono la situazione comunicando tramite un megafono. Ed è bene a questoproposito chiarire subito come tutto il cinema muto di Clair possiede (comedel resto avremo occasione di ribadire) una fortissima dimensione sonora,proprio perché Clair giocava in tal senso sull’immaginazione e sulla fanta-sia degli spettatori. E di estremo interesse sarà anche rilevare, nei dettaglidei singoli film, il suo modo di reagire alla nuova situazione creatasi conl’avvento del sonoro.

18

Page 19: René Clair. Il sorriso al cinéma

19

Parigi che dorme, 1924

Page 20: René Clair. Il sorriso al cinéma

20

Entracte, 1925

Page 21: René Clair. Il sorriso al cinéma

ENTRACTE (id., 1925)

Soggetto: Francis PicabiaSceneggiatura: René ClairFotografia: Jimmy BerlietInterpreti: Man Ray, Francis Picabia, Jean Borlin, Erik Satie, MarcelDuchamp, Rolf de Maré, Marcel AchardProduzione: Rolf de Maré.

Il giorno 4 dicembre 1924 nel locale parigino dei Ballets Suédois va inscena Relâche, coreografia scritta dal poeta e pittore Francis Picabia (con lacollaborazione del primo ballerino Jean Börlin) e musicata da Erik Satie. Ladirezione d’orchestra viene affidata a Roger Désormière. Lo spettacolo pre-vede anche la proiezione del cortometraggio Entracte diretto dal giovaneClair. Si crede abitualmente che la proiezione sia avvenuta interamente nel-l’intervallo, ma questo non è esatto: la prima scena, in cui si vedono duesignori (Picabia e Satie) che caricano un cannone e sparano un colpo, fuproiettata prima dell’inizio del balletto. Per la regia inizialmente era statoavvicinato Marcel L’Herbier, ma contrasti con Picabia fecero ripiegare que-st’ultimo verso un cineasta più giovane e disponibile.

Nato a Parigi da padre cubano, Francis Picabia è probabilmente a tutt’og-gi il meno analizzato degli avanguardisti d’inizio secolo. Ex imboscato, dicarattere nevrotico, imprevedibile e spiccatamente individualista, aveva giàpubblicamente dichiarato la sua defezione dal gruppo Dada nel 1921. Perquanto riguarda Entracte, egli “fornì a René Clair alcuni spunti, abbozzatifrettolosamente durante un pranzo da Maxime, che sarebbero diventati lasceneggiatura del film” 5, le cui riprese avvennero nel giugno del 1924. Nonsi sbaglierà dunque affermando che il film appartiene più a Clair che aPicabia, anche se è singolare che il più citato tra tutti i film clairiani sia l’u-nico non scritto da lui. Tentiamo di esaminarlo più da vicino, non senza averprima osservato che questa seconda opera del regista parigino si trova neiconfronti del cinema muto in un rapporto simile a quello di A bout de soufflerispetto ai classici del sonoro, dato che Clair utilizza la cinepresa con precisiintenti d’irriverenza. La concezione cinematografica del regista non sottende

21

5 Judi Freeman: “Relâche” e “Entr’acte”, in Francis Picabia, a cura di Elio Grazioli, Marcosy Marcos 2003, p. 318.

Page 22: René Clair. Il sorriso al cinéma

22

Entracte, 1925

Page 23: René Clair. Il sorriso al cinéma

però la tormentata, ipersensibile cinefilia di Godard. Nessun eccesso d’amorenel nostro caso, ma semplicemente identificazione totale col mondo cui si sentedi appartenere. Entracte vuole essere illogico, provocatorio, demistificante edanche irriverente: tutte caratteristiche che oggi possono essere tranquillamenteincamerate nell’analisi senza provocare alcuno sdegno. “Voici Entr’acte quiprétend donner une nouvelle valeur à l’image”: con queste trionfalistiche paro-le Clair presentava la sua opera 6. Ma quel “prétend” andrà inteso in senso let-terale, oppure come “ha la pretesa di”? In ogni caso, spentisi da gran temporiprovazioni e stupori, il film, scoordinato quanto si voglia nei suoi vari seg-menti, è analizzabile perlomeno in alcuni episodi di chiara narratività:

l) il menzionato prologo, in cui Satie e Picabia fanno esplodere un colpodi cannone;

2) l’uomo elegantemente vestito (Jean Börlin) che mira ad un bersaglio e col-pisce invece un uovo di struzzo sospeso per aria da un getto d’acqua, dopo di checade dal tetto in seguito al colpo di fucile sparatogli da un altro personaggio;

3) il corteo funebre conclusivo (cioè il funerale della persona vista caderein precedenza) che inizia al rallentatore e termina con un frenetico acceleran-do, poiché la carrozza è rimasta senza il dromedario (non cammello) che la trai-nava. Il veicolo infine si rovescia, la bara finisce tra i campi della periferia: ilcoperchio si apre e ne esce Börlin-prestigiatore che fa sparire prima la bara (quitroviamo l’unico errore del film, poiché la bara appare per un attimo col coper-chio) e poi tutti gli astanti - compreso se stesso - con la bacchetta magica 7.

In sintesi, l’esperimento è molto meno radicale per esempio delle opere diun Richter, e il disorientamento dei critici della vecchia guardia - basato sullogorato binomio “genio e sregolatezza” - appare oggi in massima partedeviante oltre che ingiustificato 8. Il giovane regista spennella l’intera opera

23

6 Citato in Jean Mitry, op. cit., p. 18.

7 “Là dove un vivente troverebbe la morte, il cadavere ritrova la vita, ma disgustato, senzadubbio, il prestigiatore fa sparire con la bacchetta magica tutti e se stesso. Lo vedete, questobreve film non vuol dire niente, perché non c’è niente da capire nella vita, non possiamo faraltro che constatarne e accettarne le convenzioni”: Francis Picabia: “Entr’acte: un po’ diPicabia allo star”, in Francis Picabia cit., p. 70-71.

8 L’aggettivo utilizzato più frequentemente è “straordinario”: comodo perché evita di misu-rarsi con un’analisi dettagliata. In ogni caso non tutti girarono attorno alla boa: Glauco Viazziparlò appropriatamente di “una organizzazione razionale di quel tipico irrazionale apparte-nente allo stato di sonno” (G. V., René Clair, Il Poligono 1946, p. 77). Da segnalare il corto-metraggio Methusalem, girato nel 1927 da Jean Painlevé con la partecipazione di Artaud epalesemente influenzato da Entracte.

Page 24: René Clair. Il sorriso al cinéma

24

Entracte, 1925

Page 25: René Clair. Il sorriso al cinéma

con la sua personale concezione ludica della vita e del cinema, macchiataperò anche stavolta da oasi di tinta fosca come l’inquietante scimmia inizia-le che guarda in macchina, il cannone (che ricorda la guerra terminata dapochi anni), e il funerale conclusivo, il cui montaggio accuratissimo è carat-terizzato da un’ironia tipicamente clairiana assai più che non picabiana: chiconosce i finali di A me la libertà e di Il silenzio è d’oro sa quanto il registaabbia sempre amato sbeffeggiare le cerimonie ufficiali. Tratti autoriali sonopoi nello specifico:

- l’omaggio iniziale all’amatissima Parigi, in prosecuzione da Parigi chedorme;

- il breve girotondo del corteo attorno alla rotonda che riproduce la Tour(sarcastico movimento in cerchio che ritroveremo amplificato in Les fêtesgalantes);

- il finale col gruppo che si ritrova in una situazione d’emergenza e che sistupisce per un qualche fenomeno non razionalizzabile (attorno alla bara chesi apre).

Più in generale, ascrivibili al regista sono tutti i giochi di ralenti, accelle-randi e sovrimpressioni di cui l’intera pellicola è intessuta, e che tantoinfluenzeranno Dziga Vertov; il fascino dell’altezza, riscontrabile non solonei suddetti panorami cittadini ma anche in scene quali la partita a scacchi sultetto e il tiro al bersaglio con conseguente caduta; ed infine la ricerca dell’i-dentità, focalizzabile sia nella ballerina rivelantesi prima uomo barbuto poidonna, sia nelle pupe con le teste gonfiate e successivamente decapitate. Mipare poi che nessuno abbia notato un sardonico (?) tentativo di sponsorizza-zione nella scritta “Savon Cadum” inquadrata in panoramica durante la rin-corsa del corteo. In conclusione, anche stavolta, come nel film precedente enel successivo, ciò che va esorcizzato è la morte intesa come immobilità, per-ché la vita è movimento, ovverosia cinema (chìnēsis).

25

Page 26: René Clair. Il sorriso al cinéma

26

Entracte, 1925

Page 27: René Clair. Il sorriso al cinéma

LE FANTÔME DU MOULIN ROUGE (1924)

Sceneggiatura: René ClairFotografia: Louis Chaix e Jimmy BerlietScene: Robert GysInterpreti: Albert Préjean (giornalista), Sandra Milovanov (Yvonne), GeorgesVaultier (Boissel), Paul Olivier (Window), Madeleine Rodrigue (Jacqueline) Produzione: René Fernand.

Questo trascurato capolavoro di Clair - probabilmente nella sostanzamolto più derisorio di Entracte, pur se narrativamente ligio alla tradizione -viene definito nei titoli di testa “Roman fantastisque (sic) en 6 Parties”: e noitenteremo di analizzarlo in conformità a tale indicazione, limitandoci a for-mulare, a proposito della divisione in parti, delle semplici ipotesi, poiché l’in-tento canzonatorio dell’autore si manifesta anche nell’assenza di didascalieesplicative.

1) Il giovane politico Julien Boissel - che manda via il redattore di ungiornale ostile intenzionato ad intervistarlo (Albert Préjean) - sta per sposa-re Yvonne, la figlia del ministro Vincent; ma poiché l’anziano direttore delsuddetto giornale “Echo des rues” vorrebbe la ragazza per sé, ricatta ilpadre onde ottenere il suo scopo. La zizzania sparsa da Jacqueline, una pet-tegola divorziata fa sì che tra i due innamorati sorgano dei malintesi.

Questa prima parte si svolge interamente in sontuosi interni - ammirevo-li sia scenicamente sia fotograficamente - inquadrati in modo tale da porne inrilievo l’algida geometria e le ampie fughe prospettiche in contrasto con l’a-gitarsi delle passioni e lo sviluppo del gioco degli equivoci. Notevole ilmomento in cui Boissel seduto alla scrivania vede in sovrimpressione alcuniprimi piani del volto dell’amata: un effetto di cui molti cineasti terrannoconto in seguito.

2) Al Moulin Rouge - dove il cronista che l’ha seguito viene scacciato dalpersonale - Boissel rifiuta la corte di Jacqueline e rimane in disparte adubriacarsi mentre impazza la festa. Un signore dallo sguardo magnetico glisi avvicina proponendogli un toccasana per tutti i suoi guai.

Un altro dei segmenti che dimostrano come il cinema muto di Clair abbiasempre posseduto una formidabile valenza sonora. Man mano che la solitu-

27

Page 28: René Clair. Il sorriso al cinéma

dine e la depressione di Julien si accentuano, la festa (con ballerine russe sca-tenate e orchestra a pieno ritmo) diviene più frenetica. Il forte contrasto servea evidenziare l’ingenuità e al tempo stesso la debolezza di Boissel, persona-lità influenzabile. Da notare che finora nella storia non si è inserito alcun ele-mento fantastico.

3) Proseguendo nel suo piano, Jacqueline confida a Yvonne di aver vistoil suo fidanzato al Moulin Rouge in compagnia del misterioso dottor Robini.Il giovane infatti è stato ipnotizzato in casa di Robini, il quale ha scoperto ilmodo di separare l’anima dal corpo. Quasi subito l’anima di Julien si rendeindipendente dal suo suscitatore, e vagola per le strade di Parigi in un lugu-bre saio scuro [solo a questo punto iniziano gli esterni] divertendosi a susci-tare incidenti inesplicabili: provoca la partenza di un’automobile, incendiail quotidiano che un pacifico vecchietto sta leggendo nel parco, pone in filasul marciapiede alcuni cilindri provocando lo stupore di un gendarme... Unariunione di alti papaveri, disturbata dagli scherzi del fantasma, non appro-da a nulla.

Da questo momento la favola assume un tono che potremmo definire dihumour noir. Il personaggio di Robini “è una variazione sulla figura diMefistofele che appare costantemente nell’inconscio collettivo della lettera-tura mondiale per offrire libertà, soddisfazione ed irresponsabilità a qualcheinfelice uomo comune” 9. Siamo già dalle parti della Bellezza del diavoloquindi, con la differenza che per Robini il deputato è nulla più di una cavia.Di fatto Julien, la cui anima si è separata dal corpo, è divenuto un cadavereche l’ipnotizzatore tiene in casa sotto la protezione di un funereo tendaggionero. Il fantasma si diverte come al vero Boissel non era mai capitato, alle-stendo burle che spaziano dal sardonico al periglioso (ed osserviamo di pas-saggio che non avrà in effetti alcun contatto ulteriore col Moulin Rouge).Nella sequenza della riunione di funzionari è poi agevole scoprire, per laprima volta, il lato anarchico e derisorio di Clair nei confronti delle autoritàcostituite e della loro prosopopea.

4) Incaricato dal direttore del giornale, il cronista Deglan penetra in casadi Julien scoprendovi un appunto col nome di Robini [qui la cinepresa chiu-de su un mascherino a cerchio]: recatosi nottetempo a casa di costui, vi sco-pre il corpo di Julien e fa arrestare il dottore.

L’ipnotizzatore e Boissel (l’uomo il cui tempo è stato fermato) ricordano

28

9 Dale, op. cit., p. 49.

Page 29: René Clair. Il sorriso al cinéma

senza dubbio Parigi che dorme: non sfuggano le invenzioni scenografichenella stanza del dottore, oscillanti tra post-avanguardia e gusto del macabro.Nell’inventare il personaggio del cronista ficcanaso che viene respinto incontinuazione Clair ha senza dubbio tenuto presente le sue giovanili espe-rienze in redazione.

5) Il fantasma - che si è oramai stancato di giocare - si reca a casa diYvonne in tempo per assistere ad un colloquio tra lei e il padre, dal qualecomprende che la ragazza è sempre stata innamorata di lui. In redazione ilcronista si rifiuta di assecondare il ricatto del direttore e viene cacciato: ilfantasma sottrae le carte compromettenti e le porta a casa di Yvonne, dovescopre casualmente un articolo di giornale che parla della sua prossimaautopsia! Recatosi immediatamente nella cella in cui Robini è rinchiuso gliriferisce l’annuncio: questi si fa scortare nell’istituto medico-legale appenain tempo per fermare i medici ed utilizzare le sue tecniche per far sì che l’a-nima di Julien si riunisca al corpo.

Il melodramma fa capolino nella scena in cui Yvonne invoca a calde lacri-me il nome dell’amato. Inoltre la scoperta dell’articolo di giornale sul tavoloè indubbiamente artificiosa, così come risulta poco credibile la celerità concui l’arrestato dottore ottiene il permesso di intervenire sul corpo di Boissel.Rimane straordinaria, in questo lungo segmento, la sequenza in montaggioalternato in cui vediamo Robini in automobile coi poliziotti mentre i medicistanno per sezionare il “cadavere” del giovane. E la vita riconquistata da que-st’ultimo non somiglia forse a quella di Lazzaro, che tanto affascinava i deca-dentisti?

6) In casa del ministro: il direttore del giornale viene sbugiardato e presoa pugni; il cronista si assicura l’esclusiva della storia; gli innamorati siritrovano.

Il film termina dunque in interni così com’era iniziato, ma con una sequen-za che include un brano di violenza quasi incontrollata (il giovane redattoreche aggredisce il suo capo): anche stavolta torna in mente la zuffa di Parigiche dorme.

Siamo nuovamente alla presenza di un film non realistico, o meglio diun’opera che parte da un’ambientazione che non potrebbe essere più minu-ziosa per sviluppare una trama favolistica dal retrogusto amaro. Abbiamo giànotato alcuni limiti in questa impalcatura: qui aggiungeremo la subitanea spa-rizione del personaggio della divorziata e, tecnicamente, l’arrivo “notturno”

29

Page 30: René Clair. Il sorriso al cinéma

del giornalista a casa del medico in realtà girato in pieno giorno. Al di là diquesti appunti, va rilevata però la sostanziale ambiguità dei personaggi.L’innamoratissima Yvonne è costretta a respingere il fidanzato per evitare cheil padre finisca in prigione. Quest’ultimo, che sembra possedere “la facciad’uom giusto” ha in effetti i suoi scheletri nell’armadio, visto che è ricattabi-le. Il direttore del giornale è un vecchio Don Rodrigo privo di qualsiasi gra-devolezza. E Robini (che da una rapida consultazione dell’elenco telefonicoabbiamo scoperto essere un medico, non un ciarlatano) è personaggio inquie-tante, che ha poco a che spartire con il bizzarro scienziato di Parigi chedorme, un film, tra l’altro, che abbiamo ricordato spesso perché in un certosenso costituisce la premessa di Le fantôme: si tratta sempre di restituire lavita (meglio, la vitalità) a chi sta compiendo scelte errate.

30

Page 31: René Clair. Il sorriso al cinéma

LE VOYAGE IMAGINAIRE (1925)

Sceneggiatura: René ClairFotografia: Amedée Morin e Jimmy BerlietScene: Robert GysInterpreti: Jean Borlin (Jean), Dolly Davis (Lucie), Paul Olivier (direttore),Albert Préjean (Albert), Jim Gèrald (Auguste), Maurice Schutz (la chiro-mante), Bronia Perlmutter - Marguerite Madys (fate)Produzione: Rolf de Maré e Georges Lourau.

Un’opera che rappresenta un notevole passo in avanti nella filmografia diClair. In primo luogo per la padronanza della tecnica cinematografica, ormaicompleta ed anzi giunta ad un livello che - per l’epoca - potremmo definire tra-scendentale. Inoltre - sebbene nella sostanza si tratti ancora della storia di unacatarsi - la narrazione si fa più complessa, abbracciando temi ed ambienti diver-si. E infine per la prima volta fa la sua comparsa, in maniera anche abbastanzaesplicita, il tema sessuale. Il film è diviso nettamente in cinque parti.

1 - Si inizia con la consueta inquadratura cittadina presa dall’alto; ma stavol-ta non ci troviamo a Parigi, bensì in una qualsiasi località di provincia (anche sel’amatissima Parigi non tarderà a mostrarsi....). Ed ugualmente qualsiasi è illavoro del protagonista Jean, frustrato impiegatuccio di una piccola banca alquale i colleghi si divertono crudelmente a lanciar dietro un cane. L’apparenzadel giovane (interpretato da Jean Borlin) oscilla tra l’insignificante e il ridicolo(indossa giacca e pantaloni un paio di misure più stretti ed ostenta una ridicolapettinatura a caschetto). Questa prima parte, come di consueto realistica, è puroconcentrato di autentico Clair, forse la migliore del film 10. Inizia con un inse-guimento (Jean incalzato dal cane) e prosegue all’interno di uno spoglio uffi-cietto dove senza dubbio non ci si ammazza di lavoro; i dipendenti (tre uominie una ragazza) sono sorvegliati da un austero direttore che non appare molto piùintelligente di loro. Qui il regista trova modo di orchestrare una delle sue gag piùriuscite: un mazzolino di fiori che Jean tenta di offrire a Lucie (l’impiegata di cuiè innamorato) trascorre di mano in mano generando una lunga serie di equivoci.Notiamo sopratutto il primo piano del collega che scorge stupito l’omaggio pas-sare dalla mano di Jean a quella del direttore senza comprendere l’equivoco: sifa qui strada il motivo dell’omosessualità che troverà ampio spazio nelle operesuccessive (oltre a costituire uno dei tanti esempi di sguardo sullo spettacolo di

31

10 Se ne può leggere una bella analisi in Dale, op. cit., p. 63-64.

Page 32: René Clair. Il sorriso al cinéma

cui l’opera di Clair abbonda). Il fantastico entra in scena nella persona della “chi-romante” Rosa, un’anziana donna in realtà abbigliata (e mostruosa) come laBefana, o meglio ancora come una strega (l’interprete è maschile), peraltro giun-ta su di un’automobile bizzarra e lussuosa con tanto di autista. L’avvenire da leipredetto sia a Jean sia a Lucie è il più desiderabile: entrambi convoleranno anozze con la persona amata. Profezia che suscita la gelosia dei colleghi ed offrea Clair l’occasione per ribattere su uno dei suoi temi favoriti, già visto in Parigiche dorme: il gruppo di uomini in lizza per il possesso della femmina. Uno deirivali di Jean depone non visto sulla scrivania del collega un finto anello (inrealtà un reggitenda) con un’apocrifa dichiarazione d’amore di Lucie.

2 - Da qui inizia il voyage imaginaire vero e proprio. Il giovane, in preda asonnolenza, sogna di ritrovarsi in un bosco e di penetrare con la vecchina attra-verso la cavità di un albero (qui la versatilità di Clair inserisce alcune breviscene d’animazione) fino all’ospizio delle vecchie fate, là raccoltesi perchénessuno crede più in loro. Le sontuose, stravaganti scenografie di Robert Gyssolo nelle scene iniziali sono ancora debitrici delle ormai sorpassate avanguar-die. Clair rivisita le fantasie dell’infanzia con affetto dolorante facendo sfilarele icone mitiche del Gatto con gli stivali, di Cenerentola, di Barbablù ormairidottisi a malinconici pensionati. Ma subito dopo la malizia ha il sopravvento:costretto di malanimo a baciare le vecchie maghe, Jean le vede trasformarsiseduta stante in bellissime ragazze abbigliate in maniera succinta. Il richiamosessuale, come accennato, è molto esplicito, ma l’imperturbabile giovanottonon ha occhi che per la sua bella, arrivando per amore di lei a rifiutare l’im-mortalità. È giocoforza accontentarlo, ed ecco comparire la timida Lucie. Pareche da questo momento la vita si svolga idealmente (vediamo i due giovaniinondati da cascate di petali, come avverrà nel Milione); sennonché le buonefatine non hanno fatto i conti con Sylvaine, l’unica collega malvagia (di colo-re, con un tocco di ingenuo razzismo) 11, che oltre a trasformare Lucie - tempo-raneamente - in un topolino affinché il Gatto con gli Stivali tenti di mangiarse-la, fa comparire i due rivali di Jean: per non turbare la quiete del luogo, le fatesi vedono allora costrette a congedare per sempre l’intero quartetto.

3 - Volando dentro una nuvola, i quattro si ritrovano sugli spalti di NotreDame: nuovamente il contrasto tra superiore e inferiore (cfr. introduzione) mal’amore per la propria città d’origine non è stavolta in Clair fine a se stesso.Nella capitale sarà infatti ambientata la seconda parte del voyage, a significareil superamento della fase favolistica iniziata in provincia e il confronto con unsuccessivo momento di maturazione. Malignamente consigliato dal collega,

32

11 Magari è meno giustificabile un Giuda di colore in Jesus Christ Superstar, visto che traun film e l’altro trascorrono cinquant’anni!

Page 33: René Clair. Il sorriso al cinéma

Jean formula un desiderio di fedeltà con l’anello fatato e subisce di conseguen-za una degradante metamorfosi, assumendo l’aspetto del cane che lo inseguiva.Dopo di che la piccola comitiva scende e cambia ambiente.

4 - L’ultima parte si svolge (in verità senza una giustificazione convincente)al Museo Grévin, dove più insistenti si fanno i riferimenti a Parigi che dorme.Siamo infatti in un interno labirintico ed oppressivo, in pieno contrasto con ladimora delle fate, dove le statue immobili ricordano i parigini immobilizzati delfilm d’esordio. Di notte, quando Lucie svenuta rimane chiusa dentro il museoinsieme al cane (il breve “colloquio” in cui gli domanda se lui è veramente Jeanfa venire in mente La mosca di Carpenter), le statue ovviamente si animano - equi la favola si fa assai poco rassicurante, tanto per trama quanto per figurazio-ne - ed alcuni esponenti della Rivoluzione Francese sottopongono ad un som-mario processo il cane-uomo privo di dignità condannandolo alla ghigliottina.Questo inquietante notturno, in cui vediamo gli attori-zombi costretti a recitarea palpebre chiuse con gli occhi dipinti, e dove la povera Lucie è aggredita damani che escono dall’oscurità, rappresenta la parte più buia della coscienza.Soltanto l’intervento della statua di Charlot, richiamato dal suo “kid” (il filmomonimo era uscito nel 1921), salva il giovane dall’esecuzione capitale; poiCharlot si congeda, provocando la fine del sogno.

5 - Jean ha finalmente conquistato fiducia in se stesso: risvegliatosi, trattacome si meritano i due esterrefatti rivali e il direttore (cioè picchiandoli), dopodi che si allontana con la sua bella, in compagnia del cane ora addomesticato.

Esistono insomma due successivi stadi di maturazione, con sviluppi anchedolorosi, per ciascuno di noi. Il primo è quello delle fantasie infantili, mentre ilsecondo riguarda il mondo degli adulti, l’apparenza che induce a sbagliare il giu-dizio sul prossimo. Del resto le statue animate, con i loro sguardi da autenticocinema horror, significano anche le paure, i complessi, i traumi che ciascuno dinoi si porta dentro. Tra le tante cose rimarchevoli, grande importanza riveste iltema dell’anello, anch’esso esplicita allusione sessuale più che rimando al Ringwagneriano, in cui il possesso di un tale oggetto implicava la rinuncia all’amo-re. La rilevante comparsa di Charlot quale deus ex machina - inspiegabilmentetrascurata dalla maggior parte degli studiosi - va intesa, oltre che come un tri-buto, sopratutto come modello di riferimento, non soltanto riguardo al registrocomico, ma anche rapportandosi alla concezione etica che Chaplin esemplicavain quegli anni nelle sue comiche 12. D’altronde il finale del film - la coppia chesi allontana in prospettiva - è palesemente chapliniano.

33

12 Ancora nel 1950 Clair scriveva: “Il più grande autore di film, che potrebbe venir dato adesempio a chiunque aspiri a scrivere una scena, è Charlie Chaplin” (Storia e vita del cinema,Nuvoletti 1953, p. 108).

Page 34: René Clair. Il sorriso al cinéma

clairilsorrisoalc

EDIZIONI

FALSOPIANO

RENéCLAIR

Giulio d’A

micone

RENéCLAIRilsorrisoalciném

a

RENéCLAIRGiulio d’Amicone

EDIZIONI

FALSOPIANO

ilsorrisoalcinéma

Giulio d’Amicone

€ 17,00

ilsorrisoalcinéma RENéCLAIR

ilsorrisoalcinéma

renéclairilsorrisoalcinéma

“Tutte le storie del cinema citano Entracte, l’unico tra i film di Clair che nonebbe origine da un’idea del regista; ma nella filmografia di questo autore si tro-vano spunti ben altrimenti stimolanti, dalla schietta comicità di Tutto l’oro delmondo al serial killer prototipo di Dieci piccoli indiani, in una gamma di azionie sentimenti talmente variegata da sostenere nella storia del cinema ben pochiparagoni. Nell’esaminare i film del regista parigino adottando un’ottica total-mente nuova, si viene a scoprire come all’opera di Clair si siano ispirati gli au-tori più diversi, compreso il grande Hitchcock e gli stessi vessilliferi dellaNouvelle vague che vollero accantonarlo: tanto il musical quanto la sophisti-cated comedy hollywoodiane trovarono nell’opera clairiana più di una fonted’ispirazione...”.

Giulio d’Amicone (Bologna 1951) vive e lavora a Pescara. È stato direttore del seme-strale di studi cinematografici “Cabiria” ed è corrispondente della rivista spagnola “Di-rigido por...”. Ha pubblicato L’uomo che uccise Liberty Valance ed ha collaborato aCinema e generi 2008 con un saggio sul regista statunitense Lamont Johnson (entrambiper Le Mani).