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Ses 0 1 2013

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Storie @ Storia

Via Divisione Folgore n. 1331 70 Pordenone - PNCF/IVA 91 01 6720939Tel. 0434 20 90 08Fax 0434 08 1 6 49

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Anno 0 Numero 1Giugno 201 3Fondato da Marco Pirina

· Introduzione

Dagli Anni ’60 nel nostro Paese c’è stata unariscoperta della 1 ª guerra mondiale. Sul punto, siaffrontati vari temi: dalle operazioni belliche, allagiustizia militare, al fronte interno.Un aspetto poco studiato è quello dell’architetturamilitare. Un progresso, in merito, è statocompiuto dai primi Anni ’90 dal Gruppo diStudio delle Fortificazioni Moderne di Milano.

Questa associazione,che ha il merito di averraccolto tutti gliappassionati del tema,pubblicò un Notiziarioinviato ai soci ed unapionieristica

bibliografia sulle fortificazioni moderne1, checensì tutte le pubblicazioni fino ad allora uscite.

Perché un WEB-NOTIZIE?

Un sito non può esseresolamente il “museo” di unIstituto, ove si conservanole memorie degli eventi,l’elenco delle pubblicazioni,che trasportano nella“STORIA” le “storie”. Un

sito “storico” deve generare dibattito, non blogsterili che vengono gestiti dai soliti ignoti,trasformandosi in piccoli o grandi club, né essereil supporto di “profili”o di gruppi di “amici”. Unsito “storico” attraverso la comunicazionereciproca, via e-mail, deve personalizzarel’approfondimento, la scoperta, la ricerca dellaverità , preda dei “silenzi dei vivi”, delle“rimozioni”, delle “negazioni”. Un sito “storico”

deve concorrere alla costruzione della ricerca enella distribuzione della ricerca per rendere vivoil concetto della libertà, che è soprattuttocammino per un confronto da condividereattraverso i risultati del dibattito. Da qui l’idea dicostruire un notiziario bimestrale per ritrovare ipopoli e la loro Storia. Il notiziario avrà unpercorso su canali di interesse che simodificheranno in ogni numero, ma che siproporranno nelle pagine. A seconda dell’e-mailsuggerito sarà risposto a tutti, vista la complessitàdegli argomenti entro 2 o 3 giorni . Ed ora Vi la-sciamo alla lettura ed ai Vs, commenti, a presto!

Centro Studi e Ricerche Storiche“Silentes Loquimur”

@Le opere permanenti italiane ed austriache nella I

Guerra Mondiale: la loro efficenza bellicadi Leonardo Malatesta

In questo numero

Le opere permanenti italiane ed austriachenella I Guerra Mondiale: la loro efficienzabellica

La vittoria di Nikolayevka

Il bis di Berenice

Il Bus de la Lum

Proposte Editoriali: I Giorni della Merla

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Dopo questo primo input, negli anni successivi,sono nate a livello locale altre associazioni perstudiare un determinato settore. Un esempio per

tutti è l’ASSAM (Associazione per gli studi distoria e architettura militare) di Torino, chegrazie al suo infaticabile presidente, Pier GiorgioCorino, è riuscita ad ottenere in gestione il ForteBramafam a Bardonecchia e a trasformarlo in unmuseo.Dato il numero di pubblicazioni, l’attenzionedegli studiosi si è rivolta verso la 1 ª Guerramondiale e sul fronte del Trentino, dove alcuneopere di montagna furono protagoniste dellevicende belliche2.Si possono segnalare per la loro validità i volumidi Luca Girotto sulla Fortezza Brenta – Cismon eil volume di Robert Striffler sui forti italianidell’altipiano di Asiago disponibile solonell’edizione tedesca, a proposito dei quali non èpossibile rinvenire ulteriori opere degne di nota.Per quanto riguarda le opere austriache, lasituazione non è migliore, anzi (direi) arretrata. Ilmediocre lavoro di Gian Maria Tabarelli, purutilizzando fonti archivistiche inedite comequelle del Genio militare austriaco di Trento, nonha inquadrato il periodo storico, lasciando moltoa desiderare per la politica fortificatoriaaustroungarica. Oltre al volume di Tabarelli,negli ultimi anni sono apparsi, all’interno di attidi convegni, alcuni contributi dello studiosoviennese Willibald Rosner, il volume di RolfHentzschel ,quello di Paolo Bortot del 2005 el’anno successivo l’opera postuma di MarioPuercher sul forte Belvedere.I saggi di Rosner, pur avvalendosi di fontiarchivistiche inedite, presentano gravi errori

dovuti alla poca conoscenza della storia militareitaliana. Eppure leggendo un saggio di Mazzetti3

o di Ruffo4, l’autore si sarebbe reso contochiaramente che i forti italiani erano staticostruiti per scopi difensivi e non offensivi comesostenuto nei suoi saggi.Il libro di Hentzschel, non introduce alcunanovità sul tema dei forti austriaci, utilizzandofonti già note. Il volume di Bortot risentedell’impostazione architettonica e non storicadell’autore, non inquadrando adeguatamente ilperiodo storico e tralasciando la descrizione dellasituazione italiana soffermandosi troppo suiparticolari architettonici delle singole operefortificate.La guida di Puercher, pur con i limiti che puòavere una pubblicazione del genere, forniscemolte informazioni sulla storia costruttiva ebellica della fortificazione austriaca. In merito, èesemplificativa la pubblicazione del diario delForte Belvedere, fonte già utilizzata da chi scrivenel volume La guerra dei forti.L’obiettivo di questo intervento è di fornireun’analisi comparativa ed aggiornata dellefortificazioni italiane ed austriache protagonistedella “Guerra dei forti”.

· I forti italiani ed austriaci alla prova del

fuoco: la grande guerra

Le ostilità cominciarono nella notte del 24maggio 1915. Secondo il diario dellosbarramento Agno - Assa Agno - Posina fuaperto il fuoco contro i bersagli stabiliti il giornoprima. Secondo la testimonianza del colonnelloFabbri, “alle ore 3.55 del maggio, il forte Verena,

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con due colpi squillanti, metallici, laceranti, cheattraversarono il cielo azzurro, intona l’inno diguerra. A distanza di pochi secondi, rispondono,da lontano, i cannoni di Campolongo e CimaCorbin”5.Nei primi giorni di guerra, i forti interessati dalleoperazioni belliche furono quelli situati tra laprovincia di Vicenza e quella di Trento, mentretutti gli altri, ad esempio quelli di Verona6, dellaValsugana7 e del Friuli8 non spararono mai uncolpo, essendo le prime linee molto lontane dalleloro dislocazioni. Nelle settimane successivevennero tutti disarmati, data la scarsità di boccheda fuoco in seno all’esercito italiano.Le opere interessate dalle operazioni bellichefurono i forti italiani Campolongo9, Punta Corbi-n10, Verena11 nell’altipiano di Asiago e le opereaustriache di Spitz Verle, Busa Verle, Luserna,Cherle, Sommo Alto e Doss del Sommo.Le condizioni di vita nei forti austriaci sotto ibombardamenti furono descritte da dueprotagonisti, l’aspirante ufficiale Fritz Weber el’alfiere Luis Trenker. Così Weber descriveva lasua esperienza: “Ogni tre minuti ci appiattiamo,mentre un esplosione lacera i nostri timpani. Latesta ci gira come una trottola. Dopo sei ore difuoco, dodici di sosta, quindi altre sei d’inferno,se prima non veniamo fatti a pezzi. Ogni treminuti, una parte della nostra copertura vola inpezzi sotto il loro tiro”12.Il Forte Verle, comandato del tenenteGiebermann, aveva incassato circa 130 colpi da280 mm in varie parti, con la perdita di alcuniuomini, ma non vi erano stati danni visibili talida giustificare l’abbandono del forte. Alcuni colpida 280 mm avevano frantumato due cupole

corazzate mettendole fuori uso. Dal punto divista psicologico, non vi erano stati danni ingenti,eccettuando l'episodio del comandante rifugiatosiin cantina ubriaco.Questo ufficiale, che non aveva spiccate doti dicomando, tanto che i soldati lo chiamavano“Gimpelmann”, ovvero sciocco. Verso le 11 dimattina il tenente chiamò a rapporto gli ufficialidella fortezza, (il tenente Partik, il sottotenentePapak ed il capo medico dottor Wunderer),comunicando loro di avere già informato ilcomando dello sbarramento circa la suaintenzione di sgomberare il forte13.I tre ufficiali protestarono perché non c’erano deivalidi motivi per l’abbandono del forte: questoatto sarebbe stato un tradimento.Il comandante non volle sentire ragione. Riunìnuovamente gli ufficiali alle 15.20 consegnandoloro un ordine scritto del comando disbarramento di Lavarone che disponeva disgomberare immediatamente l’opera corazzatalasciando un presidio minimo formato da unaspirante ufficiale, 4 sottoufficiali e 50 uomini.Lo sgombero doveva aver luogo di notte perché,durante il giorno, si poteva essere individuatidall’osservatorio del Forte Verena.Giebermann aveva redatto un falso rapportoperché il Forte Verle, anche se bombardatopesantemente dagli Italiani, era ancora in gradodi resistere. Pure il comando di sbarramentotrascurò di verificare le condizioni e convinse ilcomando di zona di essere ancora in grado diresistere. L’abbandono dell’opera sarebbe statauna decisione assurda e avrebbe aperto una viaper Trento.Il giorno successivo, dopo che gli ufficiali sierano presentati al comandante dello sbarramento

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per spiegare la reale situazione, fu dato l’ordine difar rientrare tutti gli uomini che si eranoallontanati dalla fortezza. Il tenente Giebermannsi rifiutò di tornare dai soldati e per questo vennearrestato su ordine del Comando dellosbarramento e deferito al Tribunale Militare diTrento. Venne nominato nuovo comandante, iltenente Papak.Il 28 maggio, dopo il tentativo di sgombero delForte Busa Verle, si verificò un altro episodioanalogo a quello del Forte Luserna.Il primo giorno di guerra il Luserna fu colpito daproiettili da 149 mm. Il 25 maggio, la primagiornata di bombardamento pesante con obici da280 mm, 210 mm e da 149 mm, si verificò ladisfunzione dell’apparato di ventilazione. Ilcomandante dell’opera, tenente EmanuelNebesar, diede i primi segni di depressione14.Il 27 maggio Nebesar riferì falsamente alcomandante del “Sperrkommando”, colonnelloTerboglav, che i danni del forte erano gravissimie che non era più possibile restare all’interno. Larisposta del colonnello fu affermativa e, nellanotte, il comandante del Luserna diede l’ordine diabbandonare la fortezza e di ritirarsi sulleposizioni di Wiaz e di Oberwiesen.Dopo tre giorni e tre notti di bombardamentointenso, quasi tutte le torri corazzate risultaronoinservibili. C’erano squarci profondi sullacopertura, che facevano temere che una granatapotesse infilarsi in uno dei fori facendo cosìesplodere il deposito di benzina e quello dellemunizioni: una prospettiva che terrorizzava tuttala guarnigione, compreso il comandante tenenteNebesar15. Essendo state distrutte le lineetelefoniche, il forte era isolato, e non poteva

chiedere aiuto alle opere vicine, anch’esse eranosotto il fuoco italiano.Il 28 maggio, dopo un bombardamento continuocon obici da 280 mm, la copertura del forte fusfondata, Nebesar vide in questo danno un buonmotivo per ordinare l’abbandono del forte.Durante il consiglio di guerra tenuto per questoscopo, il tenente Singer accettò l’ordine delcomandante; venne quindi issata la bandierabianca e, successivamente, Singer, assieme aisuoi colleghi Deutschamm e Wolfrum chiese direstare all’interno del forte, proposta che Nebesarrespinse, allegando l’ordine emanato dal comandodello sbarramento16.Alle 16.30, sia le truppe italiane, sia quelleavversarie videro sventolare sulla coperturadell’opera la bandiera bianca della resa. Secondola testimonianza di Weber, queste furono le lorosensazioni al Forte Verle: “Verso le ore 16,l’osservatore di servizio nella torretta corazzata,comunicava che quattro bandiere bianche sonostate issate su Luserna.Non possiamo credere alla cosa e fremiamo disdegno. Se uno dei forti cade tutta la linea va inpezzi. La campana d’allarme squilla. In pochiminuti centinaia di uomini corrono lungo icorridoi, salgono le scale di ferro, raggiungono iloro posti. Su Luserna sventolavanoeffettivamente quattro bandiere bianche, visibili aocchi nudo”17.

Trenker, che era incaricato di ripristinare lecomunicazioni telefoniche con il Forte Luserna esi trovava alle pendici di Costalta, ricordò cosìquesto episodio: “Verso le ore 16.00 sono alcontrollo di tappa quando all’improvviso il rombodelle esplosioni in arrivo da Luserna

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ammutolisce. Alzo lo sguardo. Nessuna nuvola difuoco sul forte. Ma allora! È impossibile! Il miobinocolo vola fuori dal suo astuccio. Unabandiera bianca sventola là nel vento! Non misbaglio la vedo tanto chiaramente che potrebbeessere alla distanza di trenta passi, appesa adun’asta sventola nel centro una grande bandierabianca! È una pazzia! Se Luserna cade, tutto èperduto. Se solo un forte non è più in nostramano, lo sbarramento doveva essereabbandonato.Lo so proprio come lo sa ogni altro, e devesaperlo prima di tutti il comandante del Luserna!Si tratta di pazzia o di tradimento! Il comandantedi Luserna è un ceco!”18.Non appena gli italiani videro la bandiera bianca,immediatamente cessarono il fuoco su ordine delComandante dello sbarramento, generaleAngelozzi, che quel giorno era in visita al ForteVerena.Il forte Belvedere, accortosi della bandiera diresa, cominciò a sparare sul precampo delLuserna per fare in modo che le truppe italianenon potessero avvicinarsi all’opera. Il tenenteNebesar aveva incaricato il medico del forte,dottor Gasperi, che essendo trentino parlaval’italiano, di compiere il rito della resa, pensandoche i nemici fossero poco lontani. Non era così.Gli italiani schierati nella piana di Vezzena, labrigata Ivrea e il battaglione alpini Bassano,erano molto lontani dal Luserna. Il tenentecolonnello Franchi, comandante del 2ºbattaglione del 161º reggimento fanteria, spiegòcosì la mancata avanzata italiana in direzionedella fortezza avversaria: “gli occhi di noi tutticon incuriosito stupore erano rivolti a queldrappo di pace. Segno di resa? Tranello? Ma

quasi immediatamente, a punizione di quella suastrana iniziativa, il forte veniva fatto bersaglio diviolento fuoco di shrapnel dal più lontano forteaustriaco di Belvedere; e la bandiera biancaripiegò. Ma quella bandiera bianca aveva lasciatoin noi una grande curiosità, una speranza, unsospetto, una certa quale suggestione”19.Sotto il bombardamento dei forti Busa Verle eBelvedere, una pattuglia austriaca formata da unostudente diciottenne di Merano, Jöchler, e altridue uomini, correndo nel bosco riuscì a strapparela bandiera definita dagli imperiali dellavergogna,. Il comandante Nebesar fu subitoarrestato su ordine del capitano Bauer,comandante di settore, che lo consegnò alcomandante dello sbarramento.Il 30 maggio, il colonnello Terboglav fu collocatoa riposo, a causa dell’inadeguatezza della suaopera di acquisizione di informazioni sul realestato del Luserna. Alla fine di maggio iniziò laraccolta di testimonianze sul grave episodio daparte del tribunale militare di Trento, auditore iltrentino Augusto Tommasini. Nel 1923 egliscrisse un libro intitolato Ricordi del Tribunaledi guerra a Trento 1914-1918, nel quale raccontòle vicissitudini di Nebesar. Furono ascoltati tuttigli ufficiali e circa 150 soldati dell’opera20.Nebesar, che era boemo, dopo esser statoarrestato, fu condotto a Trento dal comandantedella fortezza al quale chiese il permesso e l’armaper potersi uccidere. Considerato pazzo, furicoverato all’ospedale militare di Trento.In seguito, contro di lui e i suoi ufficiali vennecelebrato il processo con l’imputazione divigliaccheria e resa di una piazzaforte senzaessere costretti dalle necessità21.I soldati del forte, interrogati, descrissero il fattoin qualità di testimoni. La deposizione di Nebesarcollimava con quello che avevano dichiarato isuoi subalterni, e cioè che il forte era totalmenteaccerchiato dalle truppe italiane e che laresistenza sarebbe stata inutile. Il comandantedichiarò che temeva una rivolta dei soldati:sentendosi sepolti vivi, non avrebbero piùubbidito ai suoi ordini22.Il processo istruttorio fu molto lungo, la periziamedica del dottor Dejava dichiarò Nebesarpienamente conscio delle sue azioni al momento

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della resa. A conclusione del dibattimentoprocessuale vennero assolti sia gli ufficiali sia ilcomandante. Nella sentenza, Nebesar fu ritenutonon responsabile del grave atto attribuitogliperché affranto e indebolito nelle facoltà mentalida tre giorni di bombardamento. La sentenza diassoluzione non venne confermata dalcomandante del tribunale, e il processo fu quindiripetuto con lo stesso esito del primo. Esempiodella debolezza delle opere italiane fu il drammadel Forte Verena.Alle 14.40, del 12 giugno 1915, il forte fu colpitoda un proiettile d’obice da 305 mm, che penetròtra la terza cupola e il muro anteriore dell’operaandando a scoppiare in corrispondenza di questaparte, demolendo il muro. Un terrapieno diresistenza. Quest’ultimo si rilevò insufficiente alivello strutturale poiché era di semplicemuratura di pietrame diviso da intercapedine.Cadde anche il muro interno opposto, mentrerimanevano integri, o quasi, i muri o piedrittilaterali e la rispettiva volta su cui posava la terzainstallazione23.Rimasero uccisi tre ufficiali: il comandante delforte, Carlo Trucchetti, i sottotenenti Pietro Pacee Mario Colletti, 2 sottufficiali, 5 graduati ditruppa e 32 soldati24. La causa della morte ditutte queste persone era stato l’ammassamento ditutti gli uomini che si erano ritirati nel localedeposito dei proiettili. Durante il bombardamentoil proiettile entrò nell’opera sotto la terza cupolafacendo crollare la volta del locale e uccidendocosì i militari.Il sergente Giovanni Sperotto, nativo di FaraVicentino ed appartenente al 9º reggimentoartiglieria da fortezza, 15ª compagnia, dislocata alForte Verena; fu uno dei pochi soldati noncoinvolti nel disastro perché, circa mezz’oraprima del tragico evento, ebbe un colloquio con ilcapitano Trucchetti che gli ordinò di effettuareun’ispezione all’esterno dell’opera per individuarela posizione da cui proveniva il tiro avversario.Così si esprimeva Trucchetti: “É da quasi un’orache questo bombardamento è in fase crescente etemo che lo scopo sia quello di far salire sullamontagna reparti di truppa per circondarci,distruggerci i cannoni e farci prigionieri”25.Sperotto, convinto di andare a morire, eseguì

l’ordine prendendo con sé altri 3 artiglieri. Dopoun quarto d’ora dalla loro uscita dal forte,udirono alle loro spalle un enorme botto e videroche, dalla cima del monte, saliva in alto un densacolonna di fumo nera. Capirono che il Verena erastato colpito. In poco tempo raggiunsero il luogodove trovarono alcuni artiglieri feriti, cheaiutarono la pattuglia guidata da Sperotto persgomberare i morti e dare un aiuto ai feriti.Venne subito inviato il capitano d’artiglieria LuigiGrill, della sezione di Asiago, su sua espressarichiesta, per fare in modo che la batteria potesseriaprire il fuoco. Verso sera giunsero ad Asiago17 feriti, mentre le squadre lavorarono tutta lanotte per estrarre i corpi sotto il fuoco avversa-rio26.Il 3 luglio era iniziato il lavoro di unaCommissione d’inchiesta, voluta dal Comandodel Genio della 1 ª armata, per appurare leresponsabilità del disastro del Forte Verena. TaleCommissione era formata dal generaleAngelozzi, dal colonnello Strazzeri e dal capitanoLastrico.

Dopo un’ispezione all’opera, eseguita in modomolto approfondito, si iniziò la ricerca deiresponsabili della costruzione dell’opera, iniziataassieme al Campolongo nel 1911 . In quelperiodo, il comandante del genio di Verona era ilgenerale Botteoni; il comandante territoriale erail colonnello Antonio Polleschi ,mentre ildirettore dei lavori era il capitano del genioAngelo Abbate Daga. Questi era, fin al 1905,alla direzione di Verona e, prima di questi dueforti, aveva diretto i lavori di costruzione delPunta Corbin.Il generale Botteoni e il colonnello Polleschi nonpoterono essere sottoposti all’inchiesta, perché in

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posizione ausiliaria. L’unica persona inquisita fuil capitano Abbate Daga che era rimasto alVerena fino al 1913, quando venne trasferito alladirezione di Novara.Il capitano fu accusato di non aver ottemperatoalle direttive sulla costruzione delle operefortificate emanate nel 1907 dal Comandogenerale del Genio perché, dall’ispezione, eraemerso che la facciata del forte, dove era entratoil proiettile da 305 mm era costituita da pietriscominuto e da cemento non adatto a tale impiego.L’impresa costruttrice di Bergamo avevautilizzato un cemento non adatto, quindi AbbateDaga fu accusato di frode.Il generale Angelozzi interrogò personalmente ilcapitano, per pressioni che venivano sia dalcomandante del Genio dell’armata, sia dalcomandante del V Corpo d’Armata. L’inchiestaterminò a metà luglio con il deferimento alTribunale militare di Verona del capitano AbbateDaga27.Dall’inchiesta emerse chiaramente che i fortiitaliani erano stati progettati e costruiti per poterresistere ai cannoni da 150 mm e questo, fu ungrosso errore di valutazione da parte italiana.Dai primi giorni di luglio, la maggior parte dellefortificazioni italiane venne disarmata perché nonpiù utile allo sforzo bellico. Il compito operativodi tali fortificazioni era stato assolto in parte e.data la grave carenza di artiglierie di medio egrosso calibro in seno all’esercito italiano, tutte lebocche da fuoco disponibili vennero utilizzate alfronte.Nel corso dell’offensiva austriaca del maggio –giugno 1916 in Trentino, la c.d. Strafexpedi-

tion28, alcuni forti, Cornolò29 e Casa Ratti30

furono interessati dalle operazioni cadendo inmano avversaria senza colpo ferire.Durante la ritirata di Caporetto, il forte di MonteFesta in val Fella31 e il Forte Cima di Campo inValsugana32 furono protagonisti di due episodi diresistenza italiana.

· Considerazioni conclusive

Le fortificazioni italiane ed austriache assolsero ilproprio compito? La risposta è negativa.Le opere italiane, erano state costruite seguendoil modello Rocchi33 che già allo scoppio delconflitto era antiquato rispetto alle artiglierie inuso. Facendo un paragone con l’architetturamilitare asburgica si vedranno molti aspetti incomune con i Gebirgsfort di Vogl che però, giàdagli inizi del ‘900 non vennero più realizzati.Il tallone d’Achille delle fortificazioni italianestava nella copertura, progettata per poterresistere ai medi calibri, il 150 mm. Entrando neldettaglio, lo spessore del cemento precompresso,non armato variava dai 2 ai 2.50 m, le cupolecorazzate del diametro di 5 m a saetta moltoridotta erano schiacciate per sfuggire ai tiri dilancio. Il cannone sporgeva completamente dallatorre e l’avancorazza era annegata nel cementoper un solo metro. I 4 o 6 cannoni erano dispostiin linea retta.“I nostri forti dovevano costituire delle potentibatterie chiuse, al sicuro dalle offese e dallesorprese, ispirate al criterio dell’economia e dellarobustezza, capaci di battere, fino a distruggerle,le opere avversarie, e di controbatterne leartiglierie, esercitando così la loro azione controbersagli resistenti, ed essendo ancora in grado diassicurare il fiancheggiamento tra opera e opera.Quindi armamento potente ad azione lontana(cannoni da 149 A), con esteso campo di tiroazimutale, robustamente protetto in costruzionialla prova di limitato sviluppo e provviste dellostretto indispensabile ad assicurare ilfunzionamento delle artiglierie”34.La collocazione geografica delle opere, di solitoin posizioni dominanti valli o strade, eranofacilmente individuabili dai nemici.Durante i primi mesi di guerra, i danni maggiorile opere italiane li subirono nella copertura:

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vennero sfondate parti ed anche alcune cupoleforate. Le installazioni in pozzi, fossero stateSchneider, Armstrong, Ispettorato, Grillo nonsubirono molti danni perché il metallo resistettema furono ammaccate o spostate dalla loroinstallazione.Le cupole si scoperchiarono perché il proiettilescoppiò in prossimità della base della torre vicinoall’avancorazza, il lato debole. La rigiditàdell’installazione rappresentava sia un pregio cheun limite: gli urti ricevuti si ripercuotevanocompletamente sui suoi organi, provocando delleforti sollecitazioni, superiori 20 volte rispetto aquelle previste35.

I danni alle murature furono provocati daltiro dei grossi calibri austroungarici, 381 e 420mm che colpirono i forti Campolongo, PuntaCorbin e Verena nei primi giorni dell’offensivadel 1916. Questi grossi proiettili forarono comese le strutture cementizie fossero di burro.

Le opere austriache, in alcuni casi, BusaVerle e Luserna, furono sul punto di capitolare.Le loro coperture, i dati parlano chiaro, nonresistettero al tiro dei grossi calibri italiani, 280 e305 mm perché furono i primi ad essere costruitinegli anni 1907 – 1910, mentre gli altri dellaCintura dei forti degli altipiani (Belvedere,Cherle, Doss del Sommo e Sommo Alto)edificati negli anni successivi, avevano unospessore maggiore della copertura, ben 3,50 m.Un punto debole fu nelle guarnigioni, formate dapersonale anziano e poco addestrato che, sotto lepressioni psicologiche dei bombardamentinemici, in alcuni casi, crollò. Tali guarnigioniassolsero il loro compito difensivo.

Per quanto attiene, invece, a quellooffensivo, solamente grazie al fondamentale aiutodei grossi calibri riuscirono a distruggere lecontrapposte fortificazioni solo un anno dopo,quando erano già disarmati.

Nel complesso, tutti e due i sistemidifensivi non ebbero un peso determinante per ilconflitto perché, secondo i piani operativianteguerra, dovevano assolvere compiti marginalinel primo periodo di guerra per poi esserscavalcati dalle truppe in linea.

Già durante il conflitto mondiale si videche queste forme architettoniche erano superate

rispetto ad un conflitto moderno. Erano piùefficaci in una guerra di posizione lefortificazioni campali come le trincee.L’esperienza della guerra fece in modo che negliAnni ’20 ci fu un ampio dibattito sulle nuoveforme di fortificazione permanente che portò,dagli Anni ’30 alla costruzione del Vallo Alpinodel Littorio36. L’autore ringrazia per lacollaborazione l’Archivio Provinciale di Bolzano,il Centro di Documentazione di Luserna,l’Ufficio Storico dell’Esercito.

Note

1 · G.S.F.M., Bibliografia sulle fortificazioni moderne, a cura di A.Flocchini, Milano, 1993, 1996.2 · M. Ascoli, F. Russo, La difesa dell’arco alpino 1861 – 1940, Roma,1998; P. Bortot, I forti del Kaiser. Opere corazzate nel Sud – Tiroloitaliano 1900 – 1915, Tassotti Editore, Bassano del Grappa, 2005; W.Belotti, J. Ceruti, Il forte italiano del Corno d’Aola, in Aquile inGuerra, n. 5, Eurostampa, Fizzonasco, 1997, pp. 12 – 19; A.Flocchini, Il forte Canali di Tirano, in Notiziario della Banca Popolaredi Sondrio, n. 68, Sondrio, 1995, pp. 88 – 93; A. Flocchini, I forti dellagrande guerra, in Storia Militare, n. 13, Albertelli, Parma, 1994, pp. 43– 52; A. Flocchini, Il forte di Oga, in Militaria, n. 7, Hobby e WorkItaliana Editrice, Cinesello Balsamo, 1994, pp. 12 – 16; A. Flocchini, Ilforte Montecchio di Colico: l’unico superstite della grande guerra, inRivista Storica, n. 10, Cooperativa Giornalisti Storici, Chiavari, 1994,pp. 62 – 67; R. Hentzschel, Festungskrieg im hochgebirge, Athesia,Bolzano, 2008; R. Hentzschel, Österrreichische gebirgsbefestingungenim estern weltkrieg. Die hochebenen von Folgaria und Lavarone,Athesia, Bolzano, 1999; L. Girotto, Forte Tombion. La sentinella delCanal di Brenta, Litodelta, Scurelle, 2008; L. Girotto, 1866 – 1918.Soldati e fortezze tra Asiago ed il Grappa, Rossato, Novale – Valdagno,2002; L. Malatesta, Forte Cornolò e la difesa della val Posina durante il1 ° conflitto mondiale, in Forte Rivon, n. 8, Schio, 2007, pp. 57 – 73;L. Malatesta, Il forte di Cima Campolongo, in Forte Rivon, n. 10,Schio, 2009, pp. 80 – 98; L. Malatesta, Il forte di Cima Campolongo.Dal risorgimento alla Grande Guerra, la storia di una fortificazioneitaliana di montagna, Temi, Trento, 2009; L. Malatesta, Il difensoredella val d’Astico: il forte di Punta Corbin. La storia costruttiva ebellica di un’opera permanente della grande guerra, Temi, Trento,2010; L. Malatesta, Il dramma del forte Verena: 12 giugno 1915. Nel90° anniversario dall’avvenimento della distruzione del forte Verena, lesconvolgenti verità provenienti dagli archivi militari, Temi, Trento,2005; L. Malatesta, Il forte italiano di Punta Corbin: la sua storiacostruttiva e bellica, in Forte Rivon, n. 9, Schio, 2008, pp. 32 – 53; L.Malatesta, Il forte italiano di Casa Ratti: la costruzione, l’impiegobellico e la sua cattura durante la Strafexpedition, in Forte Rivon, n. 7,Schio, 2006, pp. 36 – 51 ; L. Malatesta, La cintura fortificata deglialtipiani di Folgaria – Lavarone – Vezzena nella 1 ª guerra mondiale:funzione strategica ed impiego bellico, in Tirol vor und im 1 Weltkrieg,Bolzano, 2005, pp. 233 – 247; L. Malatesta, La drammatica vicendadel forte Verena nel giugno 1915, in Forte Rivon, n. 6, Schio, 2005, pp.49 – 57; L. Malatesta, La guerra dei forti. Dal 1870 alla grande guerrale fortificazioni italiane ed austriache negli archivi privati e militari,Nordpress, Chiari, 2003; L. Malatesta, La guerra dei forti. Lefortificazioni italiane ed austriache durante la prima guerra mondiale,in Nuova Storia Contemporanea, n. 4, Le Lettere, Firenze, 2006, pp.137 – 150; L. Malatesta, La linea fortificata Brenta – Cismon dal 1870alla 1 ª guerra mondiale, in Dolomiti, n. 2, Belluno, 2004, pp. 7 – 23; L.Malatesta, Le fortificazioni italiane dell’altipiano di Asiago:progettazione, costruzione ed impiego bellico nella 1 ª guerra mondiale,in Dolomiti, n. 4 – 5 – 6, pp. 11 – 23, pp. 7 – 16, pp. 19 – 32; L.Malatesta, Le opere fortificate della grande guerra in Friuli, inMemorie Storiche Forogiuliesi, n. LXXXIII/MM III, Arti GraficheFriulane, Udine, 2004, pp. 191 – 240; L. Malatesta, Le operefortificate italiane della grande guerra in Valtellina, in Rassegna Storica

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del Risorgimento, n. 3, Roma, 2008, pp. 407 – 444; M. Puercher, ForteBelvedere Gschwendt. Guida all’architettura, alla tecnica e alla storiadella fortezza Austro – Ungarica di Lavarone, a cura di G. Leonardi, C.Prezzi, Curcu e Genovese, Trento, 2005;W. Rosner, La difesa delconfine orientale del Sudtirolo mediante fortificazioni, in Una trinceachiamata Dolomiti, a cura di E. Franzina, Gaspari, Udine, 2003, pp. 17– 28; W. Rosner, La fortificazione degli altopiani trentini e l’offensivadel 1916, in 1916 – La Strafexpedition, a cura di V. Corà, P. Pozzato,Gaspari, Udine, 2003, pp. 73 – 87; R. Striffler, Von fort Maso bisPorta Manazzo. Bau – und kriegsgechichte der italianischen forts unbatterien 1883 bis 1916, Verlag Nienesberg Verlag, Nurnberg, 2004;G. M. Tabarelli, I forti austriaci in Trentino, Temi, Trento, 1988.3 · M. Mazzetti, I piani di guerra contro l’Austria dal 1866 alla primaguerra mondiale, in L’Esercito italiano dall’unità alla grande guerra,Roma, 1980, pp. 161 – 182; M. Mazzetti, L’importanza strategica delTrentino dal 1866 alla 1 ª guerra mondiale, in La prima guerra mondialee il trentino, a cura di S. Benvenuti, Edizioni Comprensorio dellaVallagarina, Rovereto, 1980, pp. 25 – 44.4 · M. Ruffo, L’Italia nella Triplice Alleanza. I piani operativi dello SMverso l’Austria Ungheria dal 1885 al 1915, Roma, 1998. 5 · U. Fabbri,Sulle Cime, 10º Reggimento Alpini, Roma, 1935, p. 9.6 · Per maggiori informazioni sulle fortificazioni italiane di quella zonasi rimanda a Comando FTASE – HQ – LANDSOUTH, Lefortificazioni nel veronese, evoluzione ed armamento, a cura di U.Pelosio, Verona, 1986; L. Malatesta, I forti italiani nella provincia diVerona dall’unità alla grande guerra, in Forte Rivon, n. 13, Schio, 2012;F. Meneghelli, M. Valdinoci, Il sistema difensivo della Lessinia, OrionEdizioni, Montorio Veronese, 2010.7 · Per approfondimenti in materia delle fortificazioni italiane edaustriache della zona si rimanda a W. A. Dolezal, I forti dimenticati,Pilotto, Feltre, 1999; L. Girotto, Forte Tombion. La sentinella del Canaldel Brenta, Litodelta, Scurelle, 2008; L. Girotto, 1866 – 1918. Soldati efortezze tra Asiago ed il Grappa, Rossato, Novale – Valdagno, 2002; L.Girotto, I forti di Primolano.Un “Giano bifronte”, Sily Edizioni,Scurelle, 2010; L. Malatesta, La linea fortificata Brenta – Cismon dal1870 alla 1 ª guerra mondiale, in Dolomiti, n. 2, Belluno, 2004, pp. 7 –23; L. Malatesta, Lo sbarramento austriaco della Valsugana: dai fortidell’800 allo Sperre Grigno, Quaderni della Fondazione Museo Storicodel Nastro Azzurro, n. 1 , Salò, 2012.8 · Per approfondimenti in materia si rimanda a R. Cuttini, Le fortezzedel Tagliamento e l’opera di Col Roncone a Rive d’Arcano. Storia,conservazione, progetto, Arti Grafiche Fulvio, Udine, 2008; . Ebner,Fort Hensel. Il forte di Malborghetto durante la prima guerra mondiale,Edizioni Saisera, Valbruna, 2010; L. Malatesta, Le opere fortificatedella grande guerra in Friuli, in Memorie Storiche Forogiuliesi, n.LXXXIII/MM R III, Arti Grafiche Friulane, Udine, 2004, pp. 191 –240; L. Malatesta, Lo sbarramento austroungarico di Malborghetto: ilforte Hensel, in Forte Rivon, n. 12, Schio, 2011 , pp. 60 – 83; W.Schaumann, Valutazione tattico – operativa del confine carinziano nelcontesto dell’Austria, in Confine orientale e strategia difensiva primadella grande guerra, Arti Grafiche Friulane, Udine, 1997, cit. , pp. 79 –97; M. Simic, Utrdbi pod Rombonom predstraža soške fronte, Lubiana,2005; R. Todero, Una visita al forte Hermann con l’ausilio dei disegnioriginali, in Aquile in Guerra, n. 10, Eurostampa, Fizzonasco, 2002, pp.54 – 62; U. Weiss, Il forte Hensel a Malborghetto 1881 – 1916, Verlagund Gesamtherstellung, Graz, 2007.9 · L. Malatesta, Il forte di Cima Campolongo, in Forte Rivon, n. 10,Schio, 2009, pp. 80 – 98; L. Malatesta, Il forte di Cima Campolongo.Dal risorgimento alla Grande Guerra, la storia di una fortificazioneitaliana di montagna, Temi, Trento, 2009.10 · L. Malatesta, Il difensore della val d’Astico: il forte di PuntaCorbin. La storia costruttiva e bellica di un’opera permanente dellagrande guerra, Temi, Trento, 2010; L. Malatesta, Il forte italiano diPunta Corbin: la sua storia costruttiva e bellica, in Forte Rivon, n. 9,Schio, 2008, pp. 32 – 53.11 · L. Malatesta, Il dramma del forte Verena, 12 giugno 1915. Nel 90°anniversario dalla distruzione del forte Verena le sconvolgenti veritàprovenienti dagli archivi militari, Temi, Trento, 2005; L. Malatesta, Ladrammatica vicende del forte Verena nel giugno 1915, in Forte Rivon,n. 6, Schio, 49 – 57.12 · F. Weber, Tappe della disfatta, Mursia, Milano, 1991 , pp. 17-18.13 · Collezione Pozzato (C.P.), Copia in compendio del rapporto sulprevisto abbandono e sgombero della forte Verle, s.l. , s.d.14 · Archivio del Centro di Documentazione di Luserna (A.C.D.L.),diario del forte Luserna, allegati , s.l. , s.d.15 · U. Mattalia, La guerra dei forti 1915-1916, Tipografia Valsugana,Levico, 1981 , p. 26.

16 · Ibidem.17 · F. Weber, Tappe, cit. , p. 24.18 · L. Trenker, Sperrfort, cit, p. 192.19 · G. Franchi, Piccole luci nella grande gloria, Edizioni dell’Eridano,Torino, 1936, p. 17.20 · A. Tommasini, Ricordi del Tribunale di guerra a Trento 1914-1918, Arti Grafiche Tridentum, Trento, 1923, p. 115.21 · Ivi, p. 117.22 · Ibidem.23 ·L’ultima ora del forte Verena, a cura di R. Federle, s.l, s.e. , p. 7.24 · L. Malatesta, Il dramma, cit. , p. 145.25 · Ivi, p. 134.26 · Ivi, p. 137.27 · Ivi, p. 159 – 169.28 · Per maggiori informazioni sulla battaglia rimando a E. Acerbi,Strafexpedition, Rossato, Novale – Valdagno, 1992; G. Artl, Dieösterreichisch – ungarische Südtirol offensive 1916, Vienna, 1983; G.Baj Macario, Strafexpedition, Corbaccio, Milano, 1934; R. Bencivenga,La sorpresa di Asiago e di Gorizia, Tipografia della Madre di Dio,Roma, 1932; 1916 – La Strafexpedition, a cura di V. Corà, P. Pozzato,Udine, 2003; L. Malatesta, Altipiani di Fuoco. La Strafexpedition delmaggio – giugno 1916 in Trentino, Istrit, Treviso, 2009; L. Malatesta,L’esercito italiano alla prova della Strafexpedition: la sua efficienzabellica, in Associazione Archivio Biblioteca Dall’Ovo – Onlus, Annali,n° 1 , 2011 , Bergamo, 2011 , pp. 51 – 78; Ministero della difesa, Sme,Ufficio Storico, L’esercito italiano nella grande guerra, vol. 3°, Leoperazioni del 1916, L’offensiva austriaca, tomo 2°, 2° bis, 2° ter,Roma, 1936; H J. Patenius, Der angriffsgedanke gegen italien beiConrad von Hötzendorf, Böhau Verlag, Vienna – Colonia, 1984.29 · Per maggiori informazioni sulla storia della fortificazione rimando aL. Malatesta, Forte Cornolò e la difesa della val Posina durante il 1 °conflitto mondiale, in Forte Rivon, n. 8, Schio, 2007, pp. 57 – 73.30 · E. Acerbi, La cattura di Forte Ratti bugie e verità, Rossato, Novale– Valdagno, 1998; L. Malatesta, Il forte italiano di Casa Ratti: lacostruzione, l’impiego bellico e la sua cattura durante la Strafexpedition,in Forte Rivon, n. 7, Schio, 2006, pp. 36 – 51 .31 · Per maggiori informazioni sulla difesa del forte rimando a A.Faleschini, La difesa di monte Festa, Del Bianco, Udine, 1941 ; A.Gransinigh, La guerra sulle alpi Carniche e Giulie, Aquileia, Udine,1994; S. Murari, Un episodio di guerra nelle prealpi Carniche,Mondadori, Milano, 1935; V. Prunari Tola, Le divisioni della Carnia difronte all’invasione, Bodomina, Parma, 1928; T. Trevisan, Gli ultimigiorni dell’armata perduta. La grande guerra nelle prealpi carniche,Gaspari, Udine, 2002.32 · Per ulteriori informazioni sull’argomento rimando a L. Girotto,1866 – 1918. Soldati e fortezze tra Asiago ed il Grappa, Rossato,Novale – Valdagno, 2002; L. Malatesta, Il forte Cima di Campo inValsugana: storia costruttiva ed impiego bellico, in Forte Rivon, n. 11 ,Schio, 2010, pp. 48 – 69.33 · L. Malatesta, Gli studi del generale Enrico Rocchi e il suo modellocostruttivo, in Castellum, n. 44, Milano, 2002, pp. 29 – 38.34 · G. Cirincione, Considerazioni e deduzioni tratte dalcomportamento delle opere permanenti sulla fronte trentina durante lagrande guerra, in Rivista di Artiglieria e Genio, vol. 2, StabilimentoTipografico, Roma, 1923, p. 155.35 · Per ulteriori informazioni sulla resistenza delle cupole corazzate esul suo sviluppo nel primo dopoguerra rimando a A. Guidetti, Studiodella trasformazione delle installazioni a pozzi tipo S in casamattegirevoli della fortificazione odierna, in Rivista di Artiglieria e Genio,vol. 3, Stabilimento Poligrafico, Roma, 1920, pp. 172 – 214.36 · Per maggiori informazioni sull’argomento rimando a D.Bagnaschino, Il Vallo Alpino a Cima Marta, Atene Edizioni, Arma diTaggia, 2002; D. Bagnaschino, Il Vallo Alpino: le armi, Associazioneper lo Studio del Vallo Alpino del Littorio, Ventimiglia, 1996; D.Bagnaschino, M. Amalberti e A. Fiore, La linea Maginot del mare,Melli, Borgone – Susa, 2007; D. Bagnaschino, P. G. Corino, Alta Rojafortificata, Melli, Borgone – Susa, 2001 ; A. Bernasconi, G. Muran, IlTestimone di cemento, La Nuova Base Editrice, Udine, 2009; A.Bernasconi, G. Muran, Le fortificazioni del Vallo Alpino Littorio inAlto Adige, Temi, Trento, 1999; P. G. Corino, VIII settore G.A.F. IlVallo Alpino nella conca di Bardonecchia, Elena Morea Editore, Torino,2008; P. G. Corino, L’opera in caverna del Vallo Alpino, Melli,Borgone – Susa, 1995; P. G. Corino, Valle Stura fortificata, Melli,Borgone – Susa, 1997; P. G. Corino, P. Gastaldo, La montagnafortificata, Melli, Borgone – Susa, 1995; A. Fenoglio, Il Vallo Alpino,Susa Libri, Cuneo, 1992.

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La vittoria di Nikolayevka

Nel gennaio del 1943 l’ARMIR (Armata Italianain Russia), che aveva sostituito il precedenteCSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia),si trova a fronteggiare una situazione quasidisperata. I nostri soldati sul Don erano senzauna seconda linea, ma tennero fino a che ciò fupossibile. Poi avviene il patatrac, lo sfacelo.L’attacco russo sfondò il fronte a lato degli alpiniche furono, pertanto, costretti a ripiegare persfuggire ai carri armati russi che li stavanochiudendo in una morsa mortale. Situazioneaggravata perché l’ordine di ripiegare dal Donvenne dato con molto ritardo.Ecco che si potrebbe spiegare in pocheespressioni quel ripiegamento come una vittoriadi un esercito che colla forza della disperazioneriesce a trovare la strada per rientrare alla propriaPatria. Si potrebbe dire checontemporaneamente, o quasi, in quella steppagelata v’erano due colonne di italiani. Una che sidirigeva verso ovest, colla speranza di rientrare abaita, e l’altra verso est, verso una metasconosciuta, in quella che verrà chiamata lamarcia del “davai”. La prima sarà quasi una qualanabasi degli alpini in terra russa, una

scommessa quasi disperata di romperequell’accerchiamento nemico.  Una sintesi estrema della situazione la delineerà ilgenerale Nasci che, il 20 gennaio, annotò nel suodiario. «. . .Stremati e ridotti i battaglionidella  Julia a meno di 150 uomini ciascuno; consolo pochi mezzi, scarsamente munizionati, delGruppo Conegliano. Duramente provati tre deicinque battaglioni della  Cuneense, privi ormai diartiglierie. La divisione  Vicenza non è percostituzione unità adatta a operare nellegravissime circostanze del momento. Rimane ame più vicina e più salda la divisione  Tridentinarinforzata da pochi ma preziosi carri armati esemoventi tedeschi».Sarebbero innumerevoli gli episodi che sipotrebbero citare. Innumerevoli le persone che sidovrebbero riportare. Da quel zoppolano, quindifriulano e pordenonese, Aldo Bortolussi. InPatria era baritono nei cori della sua parrocchia edi Conegliano, ma di lui resta anche un bustonell’atrio del suo Comune a ricordo della suamedaglia d’oro al Valor Militare. Colpito a mortedalle schegge di una granata oltre a chiedere lumidel suo commilitone ha la forza di proferire un

di Giovanni Crosato

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“torneremo a cantare le nostre canzoni”. O comequell’alpino che rischiava di morire nell’estremosacrificio di volersi trascinare appresso la salmadi un suo commilitone ch’era anche suo vicino dicasa. Dovutolo abbandonare non sapeva darsipace pensando a come avrebbe potuto ancorasalutare quella madre che lo aspettava e che nonavrebbe, ora, neanche avuto il conforto di poterepiangerne la salma.Se in Italia si diceva che “pietà l’è morta”, inquelle estreme e desolate terre russe, con unatemperatura di decine di gradi sotto lo zero, lapietas era ben viva e presente. Come bendimostrava quel sacerdote che poi venne adessere quasi eletto a proprio patrono dagli alpini:don Carlo Gnocchi. Inutile anche solo cercare disintetizzare la sua persona, in quanto non sarebbecerto sufficiente neanche tutto il presentegiornale. Volontario in guerra, ma non perché vicredesse bensì solo per essere appresso a queigiovani soldati, descrisse delle pagine memorabiliin quel ripiegamento. E gli alpini gli furonosempre immensamente grati. In un’occasione,mentre stava trascinandosi appresso uncommilitone ferito gravemente, era statodistanziato dal resto della truppa. Una volta che ilferito decedette ne benedisse la salma. Quindi sirivolse ad alcuni soldati, non italiani, che glistavano vicini chiedendo loro una crosta di paneda mangiare. Avutane in risposta quasi ringhiatanon rispose in malo modo, ma anzi li benedisse.Sarebbe poi morto in quella terra estrema se nonfosse stato raccolto da alcuni alpini delBattaglione alpino L’Aquila che lo caricarono suuna slitta e poi lo recarono in posto sicuro.Non si fermarono manco per avere unringraziamento, perché quello era lo spirito diquelle giornate: fare il proprio dovere senza avereuna speranza o desiderio di medaglie. Loriferisce anche Rigoni Stern nel suo resocontoautobiografico, Alla fine arriva l’ora del passare omorire, ovvero il 26 gennaio 1943, ovvero ilgiorno di Nikolajewka (o Nikolajewska secondola grafia tedesca). Una battaglia epica con i russiche volevano chiudere definitivamente la sacca egli alpini che dovevano attaccare per non vedersichiudere la via per la patria.In questa giornata non possiamo certodimenticare delle figure epiche come il generale

Martinat, il quale una volta uscito da un’isba oveinsieme ad altri ufficiali stava tratteggiandoun’offensiva, si vide passare avanti il BattaglioneEdolo. Occorrendo dare uno stimolo in quellasituazione di stallo, che avrebbe potuto portarealla disfatta, prese un moschetto e al motto «Hocominciato con l'"Edolo", voglio finire conl'"Edolo"» e si gettò anima e corpo nell’attaccourlando «Avanti alpini, avanti di là c'è l'Italia,avanti!». Morì in quell’attacco e venne sepoltodai russi, insieme ad altri 39 ufficiali e 3000alpini, in grandi fosse comuni. Anche il generaleReverberi s’avvide che tutto, in quel pomeriggio,stava per essere perduto e balzò su un carroarmato tedesco e lo fece lanciare contro ilnemico sovietico. Tanto fece il suo incitamentocon la voce, ma fu soprattutto quel gesto cheelettrizzò la colonna che lo seguìentusiasticamente e arrivò a sfondare quelle lineenemiche. In quelle giornate sarebbero tanti gliepisodi da citare.Dal 17 al 31 gennaio gli alpini affrontanocentinaia di chilometri pur di non arrendersi. Glialpini camminano, combattono e muoiono a oltrequaranta gradi sotto zero. A volte arrancando perdodici ore nella steppa di ghiaccio ed andandoall’arma bianca a conquistare un’isba per la notte.Alla fine oltre trentamila coloro che neporteranno un ricordo indelebile nelle carni, inquanto anche chi la scamperà ne avrà comunquel’esistenza segnata. Ma alla finequell’accerchiamento lo rompono, ed ecco alloraperché possiamo parlare di vittoria degli alpini eche il tutto si potrebbe sintetizzare in quella frasedi un contestato, e più volte negato, bollettinorusso: “  . . . soltanto il Corpo d'armata alpinodeve ritenersi imbattuto sul suolo di Russia. .”.

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Il Bis di Berenice

Pochi sanno che nel Golfo di Trieste c'é una navefantasma. Esattamente 200 anni fa (il17.09.1812) durante uno scontro navale poco alargo di Duino, la goletta francese Berenice

veniva attaccata e affondata dalla fregata ingleseIndomitable; un episodio dimenticato delperiodo delle provincie illiriche, quandoNapoleone dominava l'Europa con le sue armate.Trieste faceva parte di un'unità amministrativacon capitale Lubiana e la città confinava con ilRegno d'Italia. Di quel naufragio avvenuto solosette mesi dopo la più nota battaglia di Grado incui colò a picco il brick italo-francese Mercurio

(oggi importante sito archeologico sommerso)non vi è ricordo.La goletta Berenice era impegnata, con i suoi 8cannoni, per azioni di corsa e pattugliamento,quando venne intercettata, alle ore 02.25 del17.09.1812, dall'Indomitable, impegnata a suavolta nel blocco navale imposto dall'Inghilterra.La goletta francese avvistò l'altra nave ma lascambiò per la fregata francese Lothringen eproseguì incurante nella navigazione nell'oscurità.Gli Inglesi, appena avvistata la nave e identificataper nemica, tagliavano sopravvento la rotta dellagoletta e alle ore 03.50 aprirono il fuoco con icannoni di sinistra. La Berenice, gravementecolpita, accostò di 185 gradi a sinistra, puntandoverso la costa più vicina, sparando con i cannonidi poppa, cercando di raggiungere il tratto dimare protetto dalla batteria costiera del Castellodi Duino. La Indomitable accostò di 90 gradi asinistra e sparò un'altra bordata con i cannoni diprora. La Berenice fu nuovamente colpita e

cominciò ad imbarcare acqua. Intanto dagli spaltidel Castello di Duino la difesa aprì il fuoco ed icolpi caddero vicino alla fregata inglese, che siportò velocemente fuori tiro. Intanto la Berenice

affondò. Poco prima delle 4.30 era tutto finito.Dopo più di 100 anni la Regia Marina Militareordinò a vari cantieri navali la costruzione dellecorvette classe "Gabbiano" da impiegare nellascorta dei numerosi convogli verso la Libia.Detta necessità divenne impellente nel 1941quando si decise la costruzione di 60 unità,adatte anche alla caccia ai sommergibili. Furononavi molto versatili, dotate di ecogoniometro e diun potente armamento, si rivelarono le migliori ele più moderne tra le unità della Regia Marina.Molte, sopravissute agli eventi bellici,costituiranno l'ossatura della Marina Militare,restando in servizio fino agli anni '70. Lapropulsione, oltre ai motori diesel per la marcianormale, prevedeva due motori elettrici per lamarcia silenziosa al fine di consentire all'unità,durante la caccia ai sommergibili, di eseguire laricerca nella quasi totale assenza di vibrazioni edi sorgenti rumorose, rendendo così più facileavvicinarsi all'obiettivo senza essere scoperti. Leunità vennero costruite in 5 serie: Gabbiano

(nomi di uccelli marini – 12 unità), Ape (nomi diinsetti – 12 unità), Antilope (nomi di mammiferi– 9 unità), Artemide (nomi mitologici femminili– 18 unità) e Scimitarra (nomi di armi – 9

di Mario Conforti

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unità).La corvetta Berenice (distintivo ottivo C66),della serie Artemide, fu costruita dai CantieriNavali "C.R.D.A." di Monfalcone.Appena uscita dallo scalo, nel maggio del 1943,attendendo l'ordine di recarsi a Pola perl'applicazione dei tubi lancia siluri, ormeggiò aTrieste. Al largo del Vallone di Muggia sitrovavano alla fonda le navi scuola Cristoforo

Colombo e Amerigo Vespucci.La notte del 9 settembre 1943, i Tedeschi evverol'ordine di stare in guardia e impedire l'uscita dalPorto di Trieste di qualsiasi unità italiana.Quando le unità italiane presenti ricevettero ilcablogramma che ordinava di lasciare il porto, lanave Ramb III salpò le ancore, ma i Tedeschi abordo del vicino piroscafo armato Knudsen

aprirono il fuoco e, mentre gli italianirispondevano con la mitragliera e approntando il

cannone a poppa, salirono a bordo catturandol'equipaggio e sistemandosi, a loro volta, allearmi. Nel frattempo la corvetta Berenice tentaval'uscita in mare.Le due navi in mano ai Tedeschi e un cannoneantiaereo sulla strada di Opicina iniziarono abattere la corvetta.Il primo colpo del cannone antiaereo mise fuoriuso il timone e la Berenice, che iniziò a girare susè stessa, divenne facile bersaglio e ben prestoaffondò con quasi tutto il suo equipaggio (vifurono 17 superstiti su 97 membridell'equipaggio).Il relitto della Berenice fu recuperato solo ottoanni dopo (nel 1951 ), permettendo ilritrovamento dei resti di numerosi marinai morti.I caduti della Berenice sono ricordati da unmonumento presso il Cimitero Monumentale diS. Anna a Trieste.

Il Bus de la Lum

di Bruno Vajente

L’Altopiano del Cansiglio, di natura calcarea ecarsica, è costituito da una vasta conca ellittica,con al centro un immenso pianoro verdeggiante.Gran parte dell’Altopiano è occupato dallaforesta demaniale del Consiglio, ricca di faggi,abeti bianchi e rossi, larici. Vi si accede daVittorio Veneto o da Sarone, frazione del comunedi Caneva, oppure deviando dalla Statale 51Alemagna in località La Secca puntando su Farrae poi Tambre.L’Altopiano ha un’altitudine che oscilla intorno ai1000 mt. e vi si trovano i confini di ben treprovincie: Treviso, Belluno e Pordenone. Ilterreno presenta vari inghiottitoi, doline, pozzi,voragini e cavità delle quali la più famosa è ilBUS DE LA LUM, che nel 1924 vantava unaprofondità di 225 mt, forse con funzione disistema idrico.Nella leggenda il Bus de la Lum è la dimora dellafate Andane, fate mostruose con chiodi al postodei capelli e zanne al posto dei denti; si dice che

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esse uscissero prima che il sole sorgesse in cercadi cibo o legna per scaldarsi e rapissero i fanciulliche incontravano nei boschi; poi si radunassero esi accendessero dei fuochi che, visti in lontananzadai pastori Cimbri, li indussero a chiamare lavoragine Bus de la Lum.Altre leggende che si perdono nei secoli diconoche il nome derivi dai fuochi fatui che durante lecalde notti dopo la peste del ‘700 salivanonell’aria dalle carogne degli animali morti, gettatinel fondo della voragine. Altre leggende, peraltromai confermate, affermano che sarebbe incomunicazione attraverso una serie di condottisotterranei ed un complesso sistema idrico con leinesplorate sorgenti del Gorgazzo.Oggi il Bus de la Lum è solo un luogo daesorcizzare come ha tentato il parroco diTambre, don Corinno Mares, con la gigantescaCroce Nera eretta sul bordo del baratro. Sul Busde la Lum aleggia un brivido fattodi paure, di ricatti, di timori, perchémolti sanno ma pochi parlano suciò che è avvenuto veramente lìdurante la guerra civile 1943/1945.Nel bosco del Cansiglio, oveoperava la Divisione Garibaldina“NINO NANNETTI”, a pochecentinaia di metri dall’albergo SanMarco, sede del Comandopartigiano, si apre un orridoinghiottitoio, il Bus de la Lum, unafoiba di origine carsica profondam.225 (Rif. Commissione GrotteE.Boegan n.153 Fr.). Questa foiba,negli anni 1944-1945, fu usatacome luogo di eliminazione di civilie militari, giudicati dalle formazionipartigiani come spie.Un numero non indifferente (comeriferito dallo speleologo S.Mosettiche scese nel Bus nel 1950) di corpidi uomini e di donne finirono nelfondo nero della voragine tra urladisperate ed orribili schianti. Su diloro scese il “silenzio dei vivi”, ma,con una lunga battaglia per la veritàstorica e per la loro dignità si dàvoce alla loro sete di giustizia e di

pace.“SILENTES LOQUIMUR” … Silenziosamenteparliamo… la loro storia, la storia delle loro vitee della loro tragica morte.. . Ma quante furono levittime di questa foiba?Di preciso non si sa… dal documento dellaProcura della Repubblica di Pordenone del24.4.1950 si evince che furono recuperati 28corpi dalla spedizione del Gruppo SpeleologicoTriestino.Il 10 Maggio 1992, grazie al Gruppo SOLVECAI di Belluno,altri 64 resti, come da verbaleCC di Caneva, vennero recuperati e, grazie alCommissariato Onoranze Caduti del Ministerodella Difesa, riposti nel cimitero di Caneva sottouna lastra rosata sulla quale viene ricordato ilCentro Studi “Silentes Loquimur” e la data delrecupero.

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Storie@Storia - C.P. 335 , 33170 Pordenone (PN)

Foglio informativo trimestrale web gratuito a cura delCentro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur”(Istituto di notevole interesse regionale, L.R.n.17/2008,Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Patrocinio dellaRegione Veneto, Provvedimento 5.2.2009).

www.silentesloquimur.it

Anno 0 . Numero 1 . Giugno 2013

Direttore responsabile: Gianfranco Baldas

Direttore editoriale: Bruno Vajente

Grafica e digitalizzazione: Franz Zanne

Autorizzazione del Tribunale di PordenoneRegistro della stampa n. 43 del 23/05/2013

E-mail: [email protected]

- PROPOSTE EDITORIALI -

I Giorni della Merla

La memoria storica attesta che i venti mesi chevanno dal settembre del 1943 all'aprile 1945furono tra i più oscuri e sanguinosi dell'interaStoria d'Italia. Gli atti di valore, e anche i delittipiù efferati, furono da ambo le partinumerosissimi, e lasciarono un triste strascicoche si manifestò anche dopo la fine della guerrafino al 1948, costellato da episodi criminosi cheinsanguinarono le nostre contrade. Il tristericordo degli eccidî bestiali perpetrati dalle bandecomuniste, nel famigerato «Triangolo dellamorte» in Emilia-Romagna, richiama alla mentegli orrori della guerra fratricida. 10000 le personeuccise: questo è il sanguinoso bilancio dellegiornate che videro la fine della guerra civile inEmilia.Le stragi volute, organizzate ed eseguite dauomini del Partito Comunista portarono a 3.000 imassacrati nel bolognese, 2.000 nel reggiano,2.000 nel modenese, 1 .300 nel ferrarese, 600nella provincia di Piacenza, 500 in quella diRavenna, 200 nel forlinese e 600 nel parmense,dovuto alla presenza di centinaia di vecchiesponenti comunisti Con l'arrivo delle truppealleate a Bologna gli enti locali, i sindacati, le

cooperative, gli organi di polizia passarono nellemani di uomini di fiducia del Partito Comunista.Giorni di terrore si abbatterono sullapopolazione. Antichi rancori, vendette personalie odio politico si fusero esplodendo in un'atroce,incredibile e inarrestabile catena di omicidi,stragi collettive e angherie senza nome.Nel modenese ebbe il suo epicentro nel«Triangolo della morte», cioè nella zonacompresa tra i centri di Castelfranco Emiliano eSpilamberto nel modenese, e San Giovanni inPersiceto nel bolognese. L’autore, attraverso laricerca di documenti e la raccolta ditestimonianze sui fatti tristi e le ferocieperpetrate nel ferrarese, ricostruisce scorci diquel periodo: ". . . Lo stato di paura eintimidazione che aleggiava nel paese nei primianni del dopoguerra ha lasciato il posto all’oblio ecosì i drammi che in quel periodo riguardaronooltre alla mia anche altre famiglie del paese,vennero semplicemente rimossi. Il clima creatosinel corso dei decenni è tale che, ancora oggi,sembra che debbano essere i famigliari dellevittime a vergognarsi di un atto ignobilecompiuto da altri e sempre negato o sottaciutodai numerosi rappresentanti succedutisi allaguida dell’amministrazione locale…”.