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Simona Colarizi – STORIA DEL NOVECENTO ITALIANO Parte prima L’ITALIA LIBERALE 1) L’ETA GIOLITTIANA (1900-1913): 1. si chiude un’epoca Il 900 Italiano si apre con l’uccisione a colpi di pistola del re, mentre viaggia in carrozza verso Monza. Ma gli italiani vedono la morte di Umberto I non come un presagio funesto,ma come l’inizio del nuovo secolo, come una cesura con l’800. Il re aveva chiaramente dimostrato di essere incapace di gestire i tumultuosi cambiamenti sociali ed economici in avvio in Italia, lasciandosi alle spalle una scia di morti vittime della repressione. Il popolo si mobilita pretendendo diritti, mentre gli stati dell’800 sono lenti a comprendere i cambiamenti, perché basati sull’idea che ci sia una massa indefinita di sudditi che non sono cittadini attivi. Ma il vento del liberalismo e della democrazia comincia a spirare in tutta Europa. Certo contro il vento del cambiamento portato da Inghilterra e Francia troviamo i Romanoff e gli Asburgo a controbilanciare il tutto, mentre la Prussia fa modello a se: una moderna potenza economica e sociale mantenuta in vita da un ordine autoritario. Il neonato stato italiano si è dato una forma liberale in cammino verso la democrazia: liberali e democratici avevano lottato per lo stato italiano e su questi valori era stata incardinata l’unità d’Italia. Nel Parlamento il potere è saldamente in mano alle due ali liberali, destra e sinistra storica, che si confrontano con l’altra faccia del movimento patriottico che aveva portato all’unità: la sinistra radicale e repubblicana (Mazzini e Garibaldi). Vittorio Emanuele II accetta questo ordine e così pare fare anche Umberto I, accettando un aumento dei poteri del Parlamento e una riduzione di quelli della Corona, per avviare il cammino alla democrazia. Il potere del re sembra ridursi ad un ruolo simbolico, di garanzia e rappresentanza. In realtà si Umberto I sia la moglie si sono adattati al momento, covando intimamente risentimento verso il Parlamento e nessuna fiducia verso la borghesia che si accinge a governare il paese (paese, l’Italia, avvertito come unitario solo dalle elite borghesi che avevano partecipato attivamente alla creazione dello stato). Rimane il fatto che per i contadini essere sotto i Lorena, gli 1

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Simona Colarizi – STORIA DEL NOVECENTO ITALIANO

Parte primaL’ITALIA LIBERALE

1) L’ETA GIOLITTIANA (1900­1913):

1.si chiude un’epocaIl 900 Italiano si apre con l’uccisione a colpi di pistola del   re,   mentre   viaggia   in   carrozza   verso   Monza.   Ma   gli italiani vedono la morte di Umberto I non come un presagio funesto,ma come l’inizio del nuovo secolo, come una cesura con   l’800.   Il   re   aveva   chiaramente   dimostrato   di   essere incapace   di   gestire   i   tumultuosi   cambiamenti   sociali   ed economici in avvio in Italia, lasciandosi alle spalle una scia   di   morti   vittime   della   repressione.   Il   popolo   si mobilita pretendendo diritti, mentre gli stati dell’800 sono lenti a comprendere i cambiamenti, perché basati sull’idea che  ci  sia  una  massa  indefinita  di  sudditi  che  non  sono cittadini   attivi.   Ma   il   vento   del   liberalismo   e   della democrazia comincia a spirare in tutta Europa. Certo contro il vento del cambiamento portato da Inghilterra e Francia troviamo   i   Romanoff   e   gli   Asburgo   a   controbilanciare   il tutto,   mentre   la   Prussia   fa   modello   a   se:   una   moderna potenza economica e sociale mantenuta in vita da un ordine autoritario. Il neonato stato italiano si è dato una forma liberale   in   cammino   verso   la   democrazia:   liberali   e democratici   avevano   lottato   per   lo   stato   italiano   e   su questi valori era stata incardinata l’unità d’Italia. Nel Parlamento   il   potere   è   saldamente   in   mano   alle   due   ali liberali, destra e sinistra storica, che si confrontano con l’altra faccia del movimento patriottico che aveva portato all’unità: la sinistra radicale e repubblicana (Mazzini e Garibaldi).   Vittorio   Emanuele   II   accetta   questo   ordine   e così pare fare anche Umberto I, accettando un aumento dei poteri   del   Parlamento   e   una   riduzione   di   quelli   della Corona, per avviare il cammino alla democrazia. Il potere del re sembra ridursi ad un ruolo simbolico, di garanzia e rappresentanza. In realtà si Umberto I sia la moglie si sono adattati al momento, covando intimamente risentimento verso il Parlamento e nessuna fiducia verso la borghesia che si accinge   a   governare   il   paese   (paese,   l’Italia,   avvertito come   unitario   solo   dalle   elite   borghesi   che   avevano partecipato attivamente alla creazione dello stato). Rimane il  fatto  che  per  i  contadini  essere  sotto i  Lorena,  gli 

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Asburgo o i Savoia comporta poca differenza e il passaggio viene affrontato con passività e indifferenza: diversa è la situazione   nelle   città.   In   ogni   caso   alla   fine   dell’800 l’obiettivo di Fare gli italiani di cui parlava D’Azeglio è ancora   lontano.   Questo   non   riesce   a   causa   del   fragile tessuto sociale e civile dell’Italia in cui troviamo ancora molti   analfabeti(punte   del   90%   della   popolazione   in Sardegna, 70% la media) Nel 1891 la situazione è leggermente migliorata: la Legge Coppino del 1877 comincia a dare i suoi frutti e si arriva ad una media del 57% di analfabeti, ma al Sud gli indici restano molto alti. Un’ignoranza così pesante limita la capacità di diventare cittadini attivi per molti italiani,questo   anche   quando   viene   abolita   la   legge elettorale   censita   ria,   ma   introduce   quella dell’analfabetismo. Votano solo 3 milioni di italiani su 30 milioni. A questo si aggiunge il problema della mancanza di una   lingua   comune:   l’italiano   esistente   nei   libri   come lingua colta, assurto a lingua ufficiale, è insegnato nelle scuole e parlato da una minoranza di cittadini in pubblico e da poche famiglie aristocratiche, che nel privato continuano però a usare il dialetto. Una coscienza collettiva comincia a farsi strada nelle masse che cominciano a politicizzarsi (cosa che precede l’acquisizione di una identità nazionale) nelle organizzazioni socialiste e cattoliche, che sono per l’appunto   antinazionali:   l’uno   segue   l’internazionalismo, l’altro considera i Savoia degli usurpatori del potere della Chiesa   (ricorda   il   non   expedit).   Ecco   spiegato   il   forte senso di incertezza della borghesia: si rischia non solo il sovvertimento   dell’ordine,   ma   è  anche   a   rischio   l’intero edificio nazionale costruito senza una solida base popolare e   ancora   chiuso,   dopo   30   anni,   alla   maggioranza   degli italiani.   Tutto   questo   mentre   in   piazza   ci   sono   varie sommosse che sono di certo più difficilmente gestibili di un dissenso   incanalato   nelle   istituzioni.   Alla   Camera   e   al Senato si confrontano 2schieramenti: i liberali di sinistra che   insieme   ai   gruppi   minoritari   dei   radicali   e   dei repubblicani spingono per allargare le basi del consenso, e i   liberali   di   destra   che   resistono   a   questa   prospettiva timorosi degli sconvolgimenti inevitabili in un processo di crescita accelerato. Quando nel 1893 esplodono in Sicilia e Lunigiana   le   agitazioni   dei   fasci   dei   minatori   e   dei contadini primo ministro è Crispi che viene dalle fila della Sinistra Storica, ma non ha alcuno scrupolo a proclamare lo stato   d’assedio   in   Sicilia   e   Lunigiana,   a   sciogliere   il 

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partito socialista, a cancellare le libertà dei lavoratori a colpi di leggi eccezionali. 2000arresti, 100 morti. 3 anni dopo ricomincia tutto: un’annata agricola negativa scatena rivolte e scioperi per il pane in tutta Italia, culminate nel 1898 con i moti di Milano. Rudini, liberal­consevatore, ha   la   stessa   reazione   di   Crispi:   chiude   i   giornali dell’opposizione,   scioglie   le   associazioni   socialiste   e cattoliche, mette sotto stato d’assedio Milano e lascia Bava Beccaris   a   ordinare   di   sparare   sulla   folla.   Le   fonti ufficiali   parlano   di   80   morti,   300   per   l’opposizione, migliaia di persone arrestate,finisce a 12 anni di carcere Filippo Turati capo del Psi. L’accusa è di attentato alle istituzioni   dello   Stato.   La   reazione   dimostra   la   chiara paura   dei   liberali   del   cambiamento:   la   cosa   è   confermata pure dal Re che insignisce Bava Beccaris della gran croce dell’Ordine   militare   di   Savoia,   in   riconoscimento   del servizio reso alle istituzioni e alla civiltà. L’800 si va chiudendo   con   una   svolta   autoritaria.   Tra   ipensatori   di questa svolta erge il liberal conservatore Sidney Sonnino che in un articolo su “Nuova Antologia” nel 1897 scrive che il re deve riappropriarsi delle prerogative che lo statuto albertino   gli   concede   ridimensionando   il   ruolo   del parlamento. Il generale Pelloux che guida il governo fino al 1900 segue preciso questa strada. L’ondata di indignazione per   il   sangue   versato   però   comincia   a   travalicare   gli ambienti   socialisti   e   quelli   anarchici   (dove   matura   il regicidio)   interessando   anche   radicali,   repubblicani, liberali   progressisti   che   aprono   una   dura   polemica   col governo fino al clamoroso gesto del direttore del Corriere della   Sera,   giornale   degli   industriali,che   rassegna   le dimissioni   per   protesta.   Il   movimento   nato   a   favore dell’amnistia per i detenuti politici si rafforza e ottiene vari   successi.   A   questo   coro   di   opposizione   si   uniscono anche   alcuni   cattolici   e   in   loro   aiuto   interviene   anche Leone III che con l’enciclica “Spesse volte” ricorda come l’associazionismo   cattolico   funga   da   pacificatore   sociale (cosa   che   va   a   bilanciare   la   linea,   del   tutto filogovernista,   dei   clericalconservatori).   Sarà   la mobilitazione   della   sinistra   liberale,   o costituzionalista,guidata   da   Giolitti   a   determinare   la vittoria   dell’opposizione   in   Parlamento.   I   giolittiani cominciano ad aiutare socialisti, repubblicani, radicali nel ferreo   ostruzionismo   per   bloccare   una   modifica   del regolamento   parlamentare   volta   a   ridurre   i   poteri   del 

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parlamento. Dopo vari discorsi di Enrico Ferri durati ore e ore e che bloccano la discussione la Camera viene chiusa per sei   giorni   con   decreto   regio.   Al   ritorno   il   Parlamento scoppia una rissa tra Bissolati e Sonnino che vengono alle mani mentre alcuni deputati socialisti rovesciano le urne con le schede dei voti. La Camera è di nuovo chiusa, ma non resta altro da fare che indire le elezioni. Comincia il 900. Radicali, repubblicani e socialisti prendono quasi 30 seggi in   più.   Successo   annunciato   dalla   grande   vittoria   della stessa   coalizione   alle   amministrative   di   Milano, Torino,Pavia,   Piacenza   ecc..   I   liberali   costituzionali, alleati con la sinistra, godono anch’essi di  buona spinta propulsiva:   116   seggi.   Pelloux   si   dimette   e   Saracco, nonostante   sia   liberal.conservatore,   tenta   un   gesto   di conciliazione:   ritira   la   proposta   di   modifica   del regolamento parlamentare. Ma l’uccisione da parte di Bresci di   Umberto   I   gela   ogni   entusiasmo,   facendo   riprecipitare tutti nello spettro di un’altra ondata reazionaria. Sonnino rilancia di nuovo il motto “torniamo allo Statuto” mentre pare   diffondersi   un   sentimento   di   indignazione   verso   la sinistra   (che   condanna   comunque   l’attentato   anarchico). L’erede al trono è Vittorio Emanuele III schivo e timido molto introverso e lontano il più possibile dagli splendori della   corte:   ben   differente   dai   genitori.   Gli   manca   il piglio autoritario dei genitori, anche se ha sincero orrore delle piazze tumultuose e della sinistra che ha attentato già più volte alla vita del padre. La regina Margherita e la destra liberale maggioritaria in parlamento lo convinsero a vendicarsi riducendo i poteri costituzionali per imporre il pugno di ferro nel paese e riportare all’ordine le classi ribelli. Vittorio Emanuele III voleva un’Italia ordinata e serena, disciplinata e rispettosa, ma voleva anche essere amato dai sudditi: la rinuncia alla vendetta che egli fa e la promessa di un ritorno alla normalità nel paese sono un passo in questa direzione.

2.  il paese tra sviluppo e arretratezzaa favore della normalizzazione gioca anche il ruolo della borghesia   imprenditoriale,   o   quantomeno   dei   borghesi progressisti che avevano aspramente criticato il massacro di Milano.   La   cosa   non   è   secondaria   perché   il   peso   della borghesia nell’opinione pubblica conta sempre di più, legato allo   sviluppo   economico.   Il   Pil   cresce   soprattutto   nel settore   manifatturiero,   ma   è   lo   sviluppo   delle   grandi aziende   a   rendere   evidente   la   modernizzazione   in   atto. 

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All’avanguardia è il settore della siderurgia trasformato in industria integrata grazie al fatto che ora è in grado di compiere   l’intero   ciclo   produttivo,   come   progettato,   per primo in Italia, da Vincenzo Breda. Il decollo inizia quando lo   stato   concede   le   miniere   dell’Elba:   le   imprese produttrici prendono in poco tempo la fisionomia del trust come conferma poi nel 1905 la fondazione dell’Ilva(riprende il nome latino dell’Isola)tutto coll’aiuto dello stato (va crearsi   il   capitalismo   italiano,   fatto   di   uno   stretto intreccio   tra   Stato,   industria   e   gruppi finanziari).Nell’industria meccanica abbiamo la fondazione a Torino,da parte del proprietario terriero Giovanni Agnelli, della Fiat (fabbrica italiana di automobili). Si passa da una   produzione   di   8   automobili   nel   primo   anno   ad   una produzione   di   oltre   un   migliaio   nel1906.   Inizia   anche   la battaglia politica sulle ferrovie: la maggior parte degli italiani si sposta in treno. Si ha la statalizzazione nel 1905. Sono tutte conquiste importanti che influiscono molto sui costumi e la vita quotidiana della gente, soprattutto del   Nord(dove   c’è   un   forte   boom   demografico).   Una popolazione   variegata   (borghesi,imprenditori,   operai, contadini)   comincia   a   chiedere   che   lo   stato   garantisca libertà,diritti,   condizioni   di   vita   migliori   e   armonia, soddisfacendo i bisogni delle classi più povere, ma anche quelli   degli   industriali.   La   strage   di   Milano   non   è   la giusta risposta e questo provoca indignazione ( ipocrita, perché nessuno vuole vedere morti al Nord,mentre sparare ai contadini dei fasci siciliani non disturba nessuno). Tutti condannano   l’intervento   della   polizia   e   la   concentrazione dei   poteri   in   mano   al   Re:   pochi   mettono   indubbio   la monarchia, ma si vuole un modello inglese rispettoso della sovranità delle Camere e senza tentazioni autoritarie. IL nuovo re sembra promettere tutto questo e diventa subito il paladino dei liberali progressisti. A questo coro si unisce anche Sonnino che sulla Nuova Antologia scrive in maniera ben diversa da prima: sempre convinto della necessità di un forte governo comincia però ora a chiedere una coraggiosa politica riformista in campo economico, sociale, giuridico perché l’Italia si avvii verso la modernità. In ogni caso lo sviluppo   industriale   si   limita   ad   alcuni   settori   ed   aree geografiche precise. Esclusa la siderurgia tutte le aziende sono ancora a conduzione familiare con pochi addetti, paga bassa e orari da inferno sia per uomini che per donne e bambini. Nel 1900 la spesa per l’alimentazione resta quella 

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più   amplia   tra   le   spese   di   una   famiglia   operaia:   siamo appena al livello di sussistenza. L’agricoltura assorbe il 60%della   popolazione   attiva.   La   maggior   parte   sono braccianti impiegati nelle coltivazioni di cereali del sud o nella   pianura   padana   dove   va   formandosi   l’agricoltura capitalistica.   Il   resto   (mezzadri,   fittavoli,coloni) lavorano alla giornata. Gli stessi fondi sono troppo piccoli per sfamare una famiglia contadina allargata. Non è un caso che  ci  sia  una  emigrazione  immensa  verso  gli  Usa, con 2 milioni di emigranti in 20 anni soprattutto dal Nord Est. Meno dal Sud.

3. i riformisti alla guida del Psi (1900­1904)il  Psi  a otto anni  dalla  sua  formazione  si  trova  ancora concentrato   al   Nord   soprattutto   nel   triangolo   industriale del   Nord   Ovest   e   nella   pianura   padana.   Vi   confluiscono quindi i contadini che conoscono già le aziende agricole di tipo   capitalista,   gli   operai   delle   grandi   fabbriche   e perfino   una   piccola   parte   di   classi   urbane   medio   piccole conquistate dal credo di libertà e uguaglianza e favorevoli alla linea riformista dei leader del Psiche teorizzano la collaborazione con le forze borghesi. IN 3 anni triplicano i seggi   in   parlamento   (33   nel   1900)   e   Turati   teorizza   un accordo con la sinistra liberale di Giolitti.Nonostante i riformisti   abbiano   saldamente   il   controllo   del   partito comincia   a   svilupparsi   una   forte   opposizione   interna   che vuole dare voce ai milioni di proletari ancora esclusi dal moderno processo produttivo e dimenticati dallo Stato e dai leader del partito. Questa divisione mostra come in realtà il Psi sia diviso in varie correnti che spesso portano a scissioni: la prima nel 1892, anno di nascita del partito, con gli anarchici: le ragioni di questa frammentazione sono da ricercarsi nella disomogeneità del proletariato italiano. Rimaneva forte l’impegno di Turati a diffondere il Psi in tutta Italia attraverso anche le reti delle associazioni e delle organizzazioni proletarie diversificate da zona a zona ma omogenee al proprio contesto. In più i vertici mancano di una ideologia forte che faccia da collante: da una parte i riformisti come Turati che arrivano al marxismo attraverso un   umanesimo   socialista   positivista,dall’altra   l’estrema sinistra rivoluzionaria che esprime più che un orientamento ideologico un bisogno: ottenere tutto subito, il massimo. Non è un caso che il Psi risulta diviso in massimalisti e minimalisti (i massimalisti rimangono nel Psi anche dopo la nascita del Pci: massimalismo e comunismo rivoluzionario non 

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sono   da   confondere).Per   quanto   riguarda   la   base   del   psi abbiamo   i   diseredati   che   vedono   il   marxismo   come   una religione, una specie di promessa di salvezza da una parte e gli operai dei distretti industriali in cui il capitalismo avanza che cominciano a farsi una forte coscienza di classe basata su una conoscenza quantomeno elementare del marxismo. Salvemini sa bene che al Sud non si conosce il plusvalore e sa che la rabbia dei contadini del sud è tanto esplosiva quanto facile a morire quando la forza pubblica spara: al sud   le   organizzazioni   proletarie   sono   ancora   debolissime. Pochissimi   sindacati   presenti   e   le   leghe   bracciantili nascono e muoiono nel giro di pochi mesi ( contribuisce a questo il fatto che l’eco riformista per i miglioramenti dei salari e la riduzione degli orari di lavoro cade nel vuoto al Sud, dove c’è una gran massa di disoccupati che lavora massimo   3   mesi   all’anno).   Aumento   dei   salari,   riduzione degli   orari   di   lavoro,istruzione   obbligatoria,   suffragio universale   diventano   i   punti,   usciti   dal   congresso socialista   del   1900,   per   l’alleanza   con   Giolitti   (che ricambia promettendo la riforma tributaria, il diritto di associazione,   imparzialità   dello   stato   nei   conflitti   di lavoro).Saracco si dimette nel 1901 dopo uno sciopero dei portuali genovesi indignati per la chiusura della Camera del lavoro   cittadina:   Giolitti   forma   il   nuovo   governo   coi socialisti.   Saracco   revoca   il   decreto   di   chiusura,   ma   le leghe   bracciantili   sono   ormai   sul   piede   di   guerra:   per evitare una nuova ondata di sommosse si sceglie stavolta la strada del dialogo. Zanardelli viene nominato primo ministro che elegge Giolitti Ministro dell’Interno (promette legalità e   libertà)   e   si   promette   l’abolizione   del   dazio   sulle farine,   pane   e   pasta   e   aumento   delle   imposte   dirette (ministro delle finanze è l’economista Leone Wollemborg).

4. socialisti   e   cattolici   tra   collaborazione   e intransigenza 

Giolitti   ha   ben   chiaro   come   affrontare   i   problemi:   la questione sociali va affrontata alla radice, agevolando e non reprimendo il processo di crescita sociale, economica e politica   delle   masse   che   attraverso   sindacati,   partiti, associazioni, camere del lavoro acquisiscono l’identità di cittadini:   sa   che   incanalare   la   protesta   entro   i   canali istituzionali,   agendo   quindi   da   cittadini,   impedisce   di trovarsi di fronte a scoppi di rabbia improvvisi. Insomma Giolitti vuole che l’elite che governa con lui si faccia carico di integrare le classi subalterne nella vita dello 

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Stato con un’opera di mediazione preziosa prima di tutto per i   governanti   stessi.   Accettare   questa   strada   significa lasciare via libera alle organizzazioni socialiste, ma anche a   quelle   cattoliche.   Subito   nascono   la   Fiom (metalmeccanici),   la   federazione   nazionale   dei   lavoratori dello stato, quella tessile (bianca e rossa), la Federterra (lavoratori   terra),   si   incrementano   notevolmente   le   leghe bianche.   La   capillarità   della   rete   ecclesiastica   aveva permesso una penetrazione diffusa degli attivisti cattolici soprattutto   nelle   campagne   e   si   era   fondata   l’Opera   dei Congressi per fare da contenitore a tutto l’associazionismo bianco. L’opera dei congressi entra in crisi nei primi del 900,   quando   si   diffonde   tra   i   conservatori   una   certa diffidenza   per   i   democratico­cristiani   di   Romolo   Murri, sviluppatisi   esternamente   all’Opera:   è   un   sindacalismo cattolico   considerato   troppo   simile   a   quello   socialista nelle modalità e nelle pratiche di lotta, avendo teorizzato perfino il ricorso allo sciopero. Murri non nasconde nemmeno la sua voglia di fare dei Democratico­cristiani un partito. Nel   1901   il   Papa   interviene   prendendo   la   presidenza dell’Opera   dei   Congressi   ed   obbligando   Murri   ad   aderirvi (non   muta   l’idea   dell’importanza   dell’attivismo   cattolico come pacificatore sociale e per fermare l’avanzata marxista ribadendo rispetto delle gerarchie e collaborazione tra le classi,ma   si   respinge   fermamente   l’idea   di   partito   o sindacato). Nel 1902 il movimento di Murri è vastissimo e continua   ad   estendersi   (250   mila   membri)   in   netta concorrenza   col   movimento   “rosso”   (con   cui   condivide   il problema   della   netta   sproporzione   di   adesioni   tra   Nord   e Sud). Mentre socialisti e cattolici si organizzano si ha una ondata   di   mobilitazione   superiore   a   quella   del   1983: dilagano   gli   scioperi   nella   pianura   padana   e  nelle   città industriali (solo nel 1901 mille scioperi, 600 le agitazioni nelle   campagne).Nonostante   tutte   le   premesse   i   governanti usano le maniere forti: 3 morti e venti feriti a Ferrara per opera delle forze dell’ordine, il cui operato è difeso da Giolitti.   E   parte   la   militarizzazione   per   bloccare   lo sciopero dei ferrovieri. Giolitti non ha cambiato idea ma sa di dover rassicurare liberali moderati e destra liberale che potrebbero in un attimo rovesciare il governo Zanardelli e imporre   stavolta   davvero   un   governo   reazionario   e contemporaneamente   vuole   far   capire   ai   socialisti   che   le lotte vanno guidate e controllate perché il governo possa rimanere   neutrale.   Turati   lo   capisce   e  nel   congresso   del 

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1902 del Psi vota a favore del governo Zanardelli. Tre mesi dopo è ricompensato con una legge a protezione di donne e minori che eleva a 12 anni l’età minima per lavorare, riduce a   11   h   per   i   bambini   e   12   h   per   le   donne   la   giornata lavorativa, crea il congedo di un anno per maternità. Ma nello   stesso   congresso   le   file   dei   massimalisti,   molto ingrossate, danno non poco filo da torcere a Turati: ormai sono insofferenti per la lentezza con cui i riformisti fanno avvenire il cambiamento attraverso il Parlamento. Invocano la   lotta,   mostrare   i   muscoli   al   padronato,   bloccare   la produzione: come avevano dimostrato le agitazioni del 1901­1902 è con gli scioperi che si ottiene più di quanto non si ottiene con una legislatura. Arturo Labriola è la voce che ha la lotta di classe come parola d’ordine: non mette in dubbio   le   riforme,   ma   queste   si   ottengono   scendendo   in guerra   col   sistema   capitalista   e  col   governo   borghese   in tutte le maniere, anche con la rivoluzione. Lo slogan udito negli scioperi del 1902 w il socialismo! W Giolitti lo fa rabbrividire: nessuna collaborazione con le forze borghesi. Parole simili sono di Ferri: la leadership di Turati perde forza. Nel congresso di Bologna del 1904 i riformisti vanno in minoranza: dopo poco gli effetti si fanno sentire e si proclama lo sciopero generale per protesta contro la polizia che ha aperto il fuoco a Cagliari contro i minatori. E’ il primo   sciopero   generale   che   coinvolge   una   miriade   di lavoratori,   ma   inasprisce   le   differenze   entro   il   Psi.   A polemizzare   contro   governo   e   riformisti   non   sono   solo   i massimalisti,   ma   anche   Salvemini   che   dichiara   il   Sud abbandonato a se stesso in preda a miseria e criminalità. Del 1901 l’inchiesta del senatore Saredo Giuseppe che rende note   le   malversazioni   e   ruberie   dei   sindaci   di   Napoli, cominciano   le   prime   accuse   di   collusione   con   la   camorra. Questo nonostante grandi menti (Nitti, Einaudi, Zanardelli stesso che si reca in Basilicata per rendersi personalmente conto della situazione) si stiano interessando davvero per la   prima   volta   al   problema   del   su.   Ma   Salvemini   non   è soddisfatto che pretende che laquestione meridionale diventi la   prima   dell’agenda   del   Psi.   Dall’asse   Turati­Giolitti­Salvemini non si aspetta molto visto che la loro politica non dà effetti evidenti,tantomeno al sud dove le proteste continuano   a   essere   represse   col   piombo.   Ma   oltre all’illegalità   della   polizia   che   agisce   col   sopruso   e   la violenza   troviamo   il   disprezzo   delle   leggi   da   parte   di prefetti e questori che si attivano per favorire i notabili 

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governativi.   Giolitti   comincia   a   essere   presentato   nelle vignette di satira come un bifronte che mostra la faccia dura al Sud senza per questo perdere l’appoggio del Psi. Il Psi   riformista   è   troppo   impegnato   nel   parlamento,   quello massimalista preferisce reclutare al Nord dove una forma di coscienza di classe già esiste che al Sud dove c’è ancora tutto da creare convinti che la carica rivoluzionaria del socialismo del Nord si sarebbe poi estesa al Sud. Salvemini non è d’accordo e si dimette. Nel 1901 il mal di pancia si fa   sentire   anche   tra   i   cattolici:   il   Papa   non   ha   fatto ordine e l’Opera dei Congressi sta per collassare sotto i fendenti di Murri. Nel 1902 Murri è censurato e allontanato dalla politica, vi ritorna e nel 1903 accusato ancora di indisciplina. La nomina a Papa di Pio X al posto di Leone XIII, antimodernista e intransigente custode dell’ortodossia profuma della fine di Murri. Nel 1904 l’Opera è sciolta e l’associazionismo   cattolico   riorganizzato   in   modo   tale   da aumentarne   la   dipendenza   disciplinare   dai   vescovi   e rimettendo in riga il basso clero. Murri   viene sospeso a divinis poi scomunicato mentre il Papa pubblica la Pascendi Dominici   gregiscon   cui   condanna   il   modernismo.   Rimangono delusi   comunque   in   conservatori   più   reazionari   dalla politica   morbida   inaugurata   da   Pio   X   verso   lo   stato liberale,   al   punto   che   due   cattolici   sono   eletti   in Parlamento: si ribadisce comunque che il non expedit non è sospeso è che tutto è dovuto alla necessità di arginare i socialisti.   Crolla   sulle   teste   dei   cattolici   lo   sciopero generale come un trauma da cui è difficile riprendersi. Il disgelo coi cattolici arriva quando Giolitti diventa primo ministro:   non   chiude   la   porta   in   faccia   ai   socialisti (chiede   l’appoggio   di   Turati   per   formare   il   governo),   ma tenta di barcamenarsi. Se una parte dei cattolici liberali è disponibile a sostenere la maggioranza giolittiana, Giolitti li accoglie a braccia aperte. In ogni caso una soluzione alla questione romana non si profila all’orizzonte, ma si può avviare una trattativa indiretta, un patteggiamento di volta in volta coi diversi settori cattolici.

5. la mobilitazione politica del ceto medioin   Italia   troviamo   numerosi   ceti   medi   interessati   alle riforme   di   Giolitti   e   allo   sviluppo,cosa   che   impone   al governo   di   allargare   la   base   elettorale.   Giolitti   si dimostra disposto a tutto per realizzare il suo programma, mediando sempre su tutto e ritenendo utile ogni strumento di persuasione, soddisfacendo ora questo interesse particolare, 

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ora quest’altro. Perdono di trasparenza e visibilità quindi i processi per composizione del conflitti in Parlamento e si perde   anche   l’identità   politica   della   maggioranza giolittiana   disgregando   progressivamente   il   fronte   dei conservatori­liberali.   Giolitti   cioè   si   dota   di   un   largo schieramento di deputati a lui fedelissimi che gli consente di governare per dieci anni: è quella che viene definita la dittatura   parlamentare   giolittiana.   Ma   rimane   una maggioranza   senza   idee   che   Giolitti   lega   a   sé   concedendo favori, soddisfacendo interessi particolari, concedendo voti quando siaprono le campagne elettorali. Giolitti vive uno stato di compromesso permanente. Gli effetti sono positivi per il paese che vive un periodo di sviluppo senza traumi vistosi, meno positivi invece per il sistema politico che invece di avviarsi verso la democrazia si ritrova ingabbiato nel trasformismo. A questo si aggiunge la difficoltà nella politicizzazione   del   ceto   medio,   molto   variegato   e frammentato: al declino inesorabile della piccola borghesia urbana e rurale corrisponde una dilatazione improvvisa dei settori legati all’industria e al pubblico impiego. Così le scelte politiche della piccola e media borghesia appaiono disomogenee: si rifanno al liberalismo, al cattolicesimo, al radicalismo e in alcuni casi al socialismo riformista. Chi vota   radicali   e   socialisti   altro   non   è   che   la   fascia progressista e più avanzate: eguaglianza, libertà,modernità sono le parole d’ordine dei socialisti quindi attrattive, contro il vecchio potere, anche per alcuni del ceto medio. Pochi si convertono al marxismo, mentre molti apprezzano la spinta   positivista   assieme   a   certi   spunti   umanistici   e populistici:ecco il perché soprattutto al Nord i socialisti acquistano alcuni consensi tra i borghesi. Libro più letto è Cuore   che   riassume   tutti   gli   stereotipi   della   cultura positivista e tra i poeti si apprezza Pascoli partecipe al destino degli umili, protagonisti di una epopea nazionale riletta in chiave populistica. La realtà sociale così povera e   ingiusta   indigna   e   emoziona   il   borghese,   che   però   non ripudia la patria­matrigna ma li spinge ad educare il popolo e migliorarne le condizioni di vita, proseguendo la missione ideale   del   Risorgimento.   La   militanza   socialista   non   è vissuta   come   contraddizione   al   loro   forte   sentimento nazionale per lo meno fino a quando a capo del Psi ci sono i riformisti.   Tutto   questo   spiega   sia   il   boom   di   voti   dei socialisti sia la crescita delle frange massimaliste entro il   Psi.   L’ascesa   dei   massimalisti   alla   guida   del   Psi, 

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contrari   ad   ogni   accordo   con   la   borghesia   e   fortemente avversi   alla   propaganda   nazionale,allontana   il   ceto   medio dal   Psi.   IN   teoria   ora   questo   elettorato   di   ceto   medio progressista dovrebbe trovare come sfogo la creazione di un centro   democratico,potenzialmente   maggioritario.   A vanificare il progetto di un polo democratico di sinistra contribuisce anzitutto il Psi dove le correnti riformiste favorevoli all’accordo vanno in minoranza. Ma conta anche il fatto   che   radicali   e   democratici,   eredi   garibaldini   e mazziniani, non hanno una struttura nazionale organizzata. Varie   associazioni   di   volontariato   assicuravano   la   loro presenza nella società civile con un forte radicamento in alcune zone e totale assenza in altre. Mancava una guida centrale nonostante la nascita del Pri nel 1895 sul modello organizzativo   del   Psi.   Ma   radicali   e   repubblicani   non credono nei partiti e questo li condanna all’emarginazione politica. Le cose non cambiano nemmeno nel 1900, anche se si costituisce   il   partito   radicale.   Si   accentua   anche   la distanza   tra   la   rappresentanza   parlamentare   e   i   punti   di forza a carattere locale: su parole d’ordine anticlericali, laiche   e   una   piattaforma   progressista   radicali   e repubblicani   vanno   bene   alle   amministrative.   La   forte opposizione antimonarchica li porta a non voler entrare in nessun   esecutivo,   anche   quando   Giolitti   offre   loro l’occasione. Ciò non toglie che Marcora ancora voti quasi sempre a favore del governo,ricevendo in regalo da Giolitti la   carica   di   Presidente   della   Camera.   Ma   tutto   ciò   non rafforza i radicali e repubblicani che restano un fenomeno ridotto e senza scala nazionale. Non sfruttano la loro forza coalittiva, che poteva renderli vitali per certi governi, e anzi   si   fanno   risucchiare   dalla   prassi   trasformistica imperante in Parlamento perdendo la fiducia degli elettori. Piano piano si avverte la rottura tra la tradizione e le avanguardie che avevano fatto da ponte tra i socialisti e la piccola   borghesia   urbana   :   nasce   la   polemica   contro   il positivismo,   contro   le   scienze   sociali,contro   l’umanismo commuovente, che sfociano poi nel manifesto dei futuristi e nella   rivista   la   “voce”   e   che   comunque   accomuna   una variegata quantità di persone da D’Annunzio, Prezzolini a Marinetti.   Il   mondo   intellettuale   si   presenta   molto disarmonico e variegato e quindi incapace di diventare un punto di riferimento per le forze democratiche L’ambizione di educare gli italiani a un nuovo senso civico si traduce in una polemica intransigente contro l’Italia di Giolitti, 

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dell’amministrazione centralizzata, della cultura accademica imbevuta   di   retorica,   della   corruzione   politica.   Tuttavia Papini, Salvemini, Amendola che scrivono tutti sulla “voce” parlano lingue diverse. Ancora più confusa è la propaganda futurista che esalta il superomismo,l’azione, la forza, la velocità, la bellezza della lotta fino a definire la guerra la sola igiene del mondo. Sono contro­valori che affascinano i borghesi. Anche i futuristi vogliono abbattere l’italietta giolittiana ma non per introdurre una morale più rigorosa,ma per il dovere dello sforzo, la visione dell’umile giornata come   missione   ecc…   e   teatralizzano   tutto   e   sperimentano nuove forme di comunicazione adatte alla società di massa (come   i   manifestini   lanciati   dalla   torre   dei   Mori   di Venezia) rispondendo così alla perfezione e  alla voglia di partecipare   del   ceto   medio.,   soprattutto   a   quei   giovani disoccupati   usciti   dalle   scuole   superiori   che   sono l’avanguardia   del   proletariato   intellettuale.   Ai   più sembrano   innocue   pazzie   di   artisti,   mode   culturali,   la grande   industria   del   vuoto   coma   la   chiama   Croce.   Eppure teatro e cultura ora non sono più privilegio di pochi. Da una   parte   appunto   c’è   chi   sminuisce   il   valore   di   queste cose,dall’altra   invece   è   evidente   che   gli   intellettuali cominciano a porsi come avanguardisti del cambiamento, con azioni che cominciano ad avere riflessi anche in politica. Il nazionalismo antigiolittiano nasce nel 1903 dalla penna di Enrico Corradini che raccoglie, attraverso la rivista “il Regno”, tutti i borghesi patrioti.

6. sviluppo e modernizzazioneDal 1882 l’Italia fa parte della Triplice Alleanza cosa che aveva creato tutti i problemi legati alle terre irredente di Trentino,   Venezia   Giulia   ecc..   In   compenso   Austria   e Germania   avevano   incoraggiato   l’Italia   a   cercare   una espansione   verso   l’Africa   mediterranea.   Ma   i   primi   passi coloniali erano stati un fallimento e l’ultima avventura di Crispi in Abissinia si era convertita in 7000 morti ad Adua (1896): questo aveva smorzato l’entusiasmo coloniale. Ma per vari contrasti con l’Austria l’Italia comincia a  ritessere rapporti con la Francia, dando il via ai giri di valzer di cui parla von Bulow(cancelliere tedesco) che per ora vengono tollerati. Giolitti nel frattempo ammette pubblicamente di ritenere impossibile il sogno dell’impero coloniale perché c’è  troppa  disparità  tra  i  fini  e i  mezzi.  Questa linea prudente ovviamente non piace ai giovani nazionalisti che sbavano sulle future ceneri dell’impero ottomano. Si crea 

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quel   clima   di   ansia   di   cannoneggiare,   spargere   fiumi   di sangue, conquistare, guerreggiare di cui parla Croce e che apre  la  strada  alla  I G.M.  Ma è  soprattutto  la  crescita economica a far credere che l’Italia possa entrare tra le grandi   nonostante   lo   sviluppo   italiano   sia   più   lento   di quello di altri stati. Al ritardo contribuiscono ritardi di partenza   e   interventi   massicci,   ma   irrazionali,   da   parte dello   stato.   Il   sostegno   statale   alla   siderurgia el’investimento delle banche miste portano un forte sviluppo del settore (nel 1904 la Società Ferriere italiane, con la mediazione del Credito Italiano, ottiene la possibilità di aprire   un   impianto   siderurgico   a   Bagnoli).   Le   industrie elettriche e meccaniche giovano della statalizzazione delle ferrovie e della telefonia (1903­5). Boom anche del chimico. Le industrie tessili cominciano quel declino irreversibile che le porterà a diventare una industria minore. I dati del censimento industriale del 1911 dicono chiaro però che lo sviluppo   è   concentrato   nel   triangolo   industriale   Milano­Torino­Genova.   Si   ha   un   forte   spostamento   di   lavoratori dalla campagna alla città dove i salari sono più alti e dove sono molto attraenti i modelli di consumo. Tutti i centri urbani   i   sventrano,   si   allargano,   si   scatena   la   febbre edilizia.   Si   abbattono   case   vecchie   e   malsane,   si sostituiscono le strade strette con strade ampie e alberate secondo   i   nuovi   canoni   dell’igiene   urbana.   Una   sorta   di horror vacui pervade i borghesi che riempiono le case di tende,   arazzi,   soprammobili,   vasi,   mobilio   simbolo   della loro   realizzazione.   L’Italia   vive   effettivamente   meglio: aumentano   consumi,risparmi,   migliora   l’alimentazione   e   le norme igieniche. Aumenta la speranza di vita. Del 1888 è la legge che riassetta completamente le strutture sanitarie. Si cominciano   a   costruire   fognature,   acquedotti,   macelli   e mercati pubblici. Rimane diffusa la tubercolosi e nel 1911 c’è   una   gravissima   epidemia   di   colera.   La   lotta   contro l’analfabetismo è combattuta con coraggio da Giolitti: la legge sull’istruzione del 1911è solo l’atto finale. Vittorio Emanuele   Orlando,   ministro   dell’Istruzione,   presenta addirittura una proposta di legge con l’obbligo scolastico fino   a   10   anni.   Risalgono   al1901   le   due   associazioni nazionali   che   riuniscono   gli   insegnanti   che   chiedono miglioramenti salariali, ma si battono anche per rinnovare gli studi e gli orientamenti didattici. Per dieci anni il dibattito   sull’istruzione   è   di   così   alto   livello (Salvemini,Gentile) che Salvemini stesso comincia a sognare 

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un “partito della scuola” con il compito di formare le nuove elite italiane (perché se anche Giolitti ha a cuore il tema dell’istruzione   è   l’intero   sistema   giolittiano   a diseducare).Per   quanto   odiato   il   governo   giolittiano   è motore del progresso: raddoppia la spesa pubblica in 20 anni e molti di questi soldi vanno al Sud, nonostante sia ancora forte l’eco della polemica dei meridionalisti. Il Giolitti definito da Salvemini il ministro della malavita, in dieci anni   fa   varare   varie   leggi   per   il   Sud   (   riassetto idrogeologico   del   territorio,   lotta   contro   la   malaria, incremento   rete   stradale   e   ferroviaria   e   alcuni provvedimenti   specifici   per   la   zona   di   Reggio   Calabria   e Messina  rase  al  suolo da  un  terremoto o  per  lo  sviluppo industriale di Napoli ecc..). L’economia meridionale, legata all’agricoltura, risente del declino della stessa che perde consistenza   nelle   attività   che   producono   Pil.   Ma   la produttività   al   sud   e   molto   molto   inferiore   rispetto   a quella   del   Nord,   a   parità   di   ettari   di   coltivazione.   A ostacolare   l’ammordenamento   contribuiscono   i   rapporti   di produzione   e   lavoro,   ancora   semi­feudali   e   il   peso schiacciante   del   cronico  sovraffollamento   che   non   si alleggerisce nemmeno con l’emigrazione. L’emigrazione assume livelli   consistenti   e   questo,   invece   di   frenare   i nazionalisti,   verrà   usato   come   arma   politica:   occorre conquistare nuove terre italiane per dare lavoro ai troppi figli d’Italia. E il freno a tutto è Giolitti. Come è colpa di Giolitti l’ascesa del Psi, la crescita del sindacalismo (nasce nel 1906 la Cgl) e del conflitto sociale Nel 1909 infatti boom dei socialisti, ma anche dei radicali i quali denunciano indignati gli accordi tra cattolici e liberali che   portano   all’elezione   di   ben   16   deputati   cattolici. Provocatoriamente   i   radicali   candidano   e   fanno   eleggere Romolo Murri nelle loro file. Salvemini invece,pubblicando l’opuscolo   il   ministro   della   malavita,   denuncia   brogli   e violenze durante le elezioni. Il clima intorno a Giolitti è infuocato: decide di fare un passo indietro non rinunciando la potere, ma indietreggiando per un po’ pur mantenendo i contatti   con   tutti.   E’   anche   per   questo   che   il   governo Sonnino dura tre mesi. Gli succede Luzzatti che guida un esecutivo guidato da Giolitti appoggiato dai giolittiani con un programma di riforme così avanzato da essere appoggiato da radicali,socialisti,repubblicani. Si solletica il sogno del   suffragio   universale.   Resta   debole   il   movimento femminista:   nei   primi   del   900   attive   sono   le   donne 

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socialiste e laiche impegnate soprattutto nella tutela del lavoro   femminile   le   prime,   sulla   parità   dei   sessi   le seconde.   Sulla   richiesta   di   suffragio   universale   sono d’accordo tutte le associazioni femminile eccetto che quelle cattoliche   (Unione   donne   cattoliche)   che   delimitano   la rivendicazione   del   voto   alle   amministrative.   Il   consiglio nazionale   delle   donne   italiane   si   dà   come   obiettivo   il suffragio e si federa all’International council women. Nel 1907 le suffragette riunite in un Comitato nazionale pro­suffragio   presentano   in   Parlamento   una   petizione   con   le firme autorevoli di Teresa Labriola e Maria Montessori. La mozione è respinta, ma il tema è ripotato in voga l’anno dopo durante i lavori del I congresso nazionale delle donne italiane  a  cui  si presenta  anche  la  Regina  Elena  a  dare ufficialità   alla   manifestazione   (disertata   invece   dalla Kulischoff,   compagna   di   Turati   e   signora   del   socialismo italiano   per   lei   troppo   retorica,   vuota   e   simile   a   una sfilata delle dame di carità). Si trattano molti temi tra cui,   molto   audace   per   il   tempo,   il   tema   della   violenza carnale e del matrimonio riparatore, e del diritto di voto. Laici e socialisti applaudono comunque Luzzatti quando si dichiara pronto al suffragio universale maschile. E quando Luzzatti   cade   e   torna   al   governo   Giolitti   la   promessa   è mantenuta. Nel 1912 la camera approva la legge elettorale che  estende  il  diritto  di voto  a tutti  gli  uomini anche analfabeti   che   abbiano   compiuto   il   servizio   militare eabbiano 30 anni.

7. la chiesa e l'impegno politico dei cattoliciNel   1911   si   festeggiano   i   50   anni   dell'unità   d'Italia. Mentre   la   retorica   ufficiale   parla   di   patria   e  monarchia molte voci si dissociano dal coro. La Chiesa accusa lo stato italiano di vantarsi di una storia da cui sono state epurate le glorie del Papato. Ma anche i socialisti rovineranno il 50ennale, con manifestazioni di protesta: non si può parlare di una patria unica se ne esistono due, una ricca e una povera,   quella   del   Nord   e   quella   del   Sud,   quella   delle campagne e quella delle città. E di bugia nazionale parlano anche   i   meridionalisti.   Al   centro   delle   polemiche   sempre Giolitti, che fa sempre più fatica a dialogare con destra e sinistra.   I   nazionalisti   (organizzati   dal 1910nell'associazione nazionalista) agitano le acque della destra   che   si   è   accomodata   sulla   prassi   trasformista:   il fallimento del governo Sonnino ha dato un segno chiaro del logoramento   del   fronte   conservatore   e   non   tramontano   le 

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speranza   di   svolta   autoritaria   contro   la   “monarchia socialista” troppo tenera col Psi. In realtà i conservatori hanno   avvallato   i   compromessi   elettorali   coi   cattolici, divenuti sostegno fondamentale per la destra liberale. Anche in occasione delle elezioni del 1913 i cattolici, timorosi dell'avanzata   del   Psi,   chiamano   la   destra   liberale all'accordo.   Nel   frattempo   però   cresce   il   desiderio   di autonomia   della   base   cattolica,   che   non   vuole   più   vedere pilotati i propri voti verso i liberali: la bandiera del partito   politico   è   passata   da   Murri   a   don   Luigi   Sturzo, futuro   capo   del   PPI,   più   prudente   nei   rapporti   col   capo della democrazia cristiana e molto attento a non entrare in rotta col Papa. Il tutto mentre Pio X scatena una guerra senza   quartiere   alla   modernità   (ormai   è   allo   scontro frontale coi modernisti) e la Chiesa è in pieno allarme per la diffusione, tra i suoi, di queste tendenze che portano a chiedere   l'apertura   al   socialismo   e   la   richiesta   di   un profondo   rinnovamento   nel   rapporto   con   le   gerarchie ecclesiastiche. Al punto che nel 1907, con decreto del santo uffizio,   si   condanna   ufficialmente   il   modernismo   come pensiero   contrario   alla   dottrina   cattolica   e   3   anni   dopo viene imposto ai sacerdoti, al momento dell'ordinazione, il giuramento   antimodernista.   L'ondata   anti   clericale   che   ne consegue indispettisce il Papa che blocca i pellegrinaggi a Roma   mentre   si   fa   sempre   più   stretto   il   controllo   sugli attivisti   cattolici   sopratutto   quelli   che   appaiono   troppo attratti dalla modernità. Nel 1906 dalle ceneri dell'Opera dei Congressi nascono:

­ l'Unione popolare tra cattolici d'Italia

­ l'Unione elettorale cattolica italiana

­   l'Unione   economico­sociale   dei   cattolici   italiani   tutte strettamente subordinate al clero. Entro l'ultima di queste si sviluppano vari sindacati di categoria, cioè federazioni di mestiere su base nazionale, che nel 1910 confluiscono nel Segretario   generale   delle   unioni   professionali,   nucleo originario   della   Cil   (confederazione   italiana   dei lavoratori)che nascerà dopo la I G.M. In questo ambito i sindacalisti cattolici si ritagliano uno spazio di azione senza incorrere nella censura della Chiesa. Con Don Sturzo si   fa   comunque   chiaro   che   l'alleanza   coi   conservatori   ha vita breve: un po' perchè gli ideali democratici di Sturzo contrastano con quelli dei clericali moderati e liberali di 

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destra,ma anche perchè le alleanze obbligano i cattolici a nascondersi dietro le bandiere dei liberali alle elezioni. Sturzo vuole la piena affermazione dell'identità cattolica. Certo   Sturzo   è   d'accordo   con   le   richieste   dei   deputati cattolici   (difesa   della   scuola   privata,insegnamento   della religione,   parità   di   trattamento   delle   associazioni cattoliche   ecc..).Ma   pensa   che   ,  visto   che   la   stragrande maggioranza della popolazione è battezzata e osservante, la possibilità di un partito cattolico vada ben oltre queste richieste.   Sturzo   vuole   che   i   cattolici   divengano determinanti   nella   formazione   degli   esecutivi,   che   non potranno restare per sempre nelle mani di Giolitti: Sturzo si iscriva alla lunga lista dei nemici di Giolitti. E' tra l'altro   lo   stesso   costante   patteggiare   di   Giolitti,   che lascia al Papa e alla Chiesa margini per difendere i propri interessi, che ritarda la formazione del partito cattolico. Per   il   Papa   basta   organizzare   il   dissenso   insegnando   il vangelo e sfruttando la presenza capillare delle parrocchie e delle associazioni cattoliche. Pio X non riesce a capire che la nascita di un partito cattolico potrebbe risolvere il conflitto tra Savoia e Chiesa.

8. la guerra in LibiaPer Giolitti arrivano i primi lugubri segnali anche dalla politica estera. Nel 1907 la triplice alleanza si rinnova, ma   il   rapporto   tra   Italia   e   Germania   è   sempre logorato,rovinato ulteriormente dall'appoggio italiano alla Francia   in   occasione   della   crisi   marocchina   del   1906.   Ne migliorano quelli con l'Austria che nel 1908 si incrinano molto in occasione dell'annessione della Bosnia Erzegovina all'Impero asburgico, passo compiuto senza neppure avvertire gli italiani. Ma l'Italia decide di on far seguire a tutto questo una rottura, ma di usare questi fatti per aumentare la sua libertà di azione. Così il fatto che l'Italia avvii una trattativa con la Russia, nemica dell'Austria,nonostante l'intesa segreta firmata con l'Austria che impegna l'Austria a   consultarsi   con   gli   italiani   per   ogni   movimento   nei Balcani non appare una contraddizione. Certo tutto questo getta discredito e scarsa fiducia nell'Italia. L'accordo con la   Russia   spiana   comunque   la   strada   al   progetto   pensato dall'Italia   intorno   a   Tripolitania   e   Cirenaica.   Giolitti rimane contrario alla guerra e al colonialismo,ma sa anche bene   che   la   colonizzazione   della   Libia   è   già   cominciata attraverso una intensa opera di penetrazione commerciale e finanziaria avvallata da Francia, G.B, Russia. La rivolta 

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dei   Giovani   Turchi   del   1908   mette   Giolitti   di   fronte   al rischio che l'Impero ottomano abbia un sussulto, ma anche che   la   Francia   possa   approfittarsene,   e   lo   porta   ad accelerare   l'impresa.   Nell'estate   del   1911,   mentre   il Parlamento è in vacanza, il re, Giolitti e Antonio di san Giuliano, ministro degli esteri, decidono la guerra in gran segreto.   A   fine   settembre,   senza   l'approvazione   delle camere,   si   dichiara   guerra   alla   Turchia.   Il   corpo   di spedizione, di 35 mila uomini salito poi a100mila, con a disposizione i primi aerei, conquista Bengasi, Tripoli, i centri della costa. A Novembre la Libia è posta sotto la sovranità piena e intera del Regno d'Italia.Solo a febbraio la camera vota l'annessione. Dopo 6 mesi a Losanna si firma la pace con la Turchia anche se resta aperta la questione del   Dodecaneso   occupato   militarmente   dall'Italia.   La triplice   alleanza   avvalla   l'annessione.   In   parte   questo successo porta nuovi consensi a Giolitti (come dimostra il cambio   di   linea   editoriale   del   Corriere   della   Sera) dall'ambiente imprenditoriale, nazionalista e delle banche. E   dalle   colonne   del   Corriere   che   si   lancia   una   grande campagna   pro­guerra   in   Libia,   mentre   Pascoli   declama   la grande proletaria che s'è mossa a cercare terre per i figli: e   la   propaganda   pro­guerra   arriva   così   in   profondità   da colpire anche il cuore dei socialisti. Lo sciopero generale contro la guerra del 1911 è un fallimento su tutta la linea. Anche   ai   cattolici   piace   la   cosa:   vedono   nella colonizzazione italiana nuovo impulso all'evangelizzazione. Il   populismo   buonista   cambia   faccia   quando   passa dall'esaltazione   del   soldato   all'esaltazione   della prorompente   vitalità   italiana:   i   milioni   di   poveri disoccupati diventano una risorsa grazie alle nuove terre in cui   possono   essere   mandati   a   lavorare,   preparando   per l'Italia   un   destino   da   potenza.   Alla   grandezza   incitano sempre   le   Canzoni   delle   gesta   d'Oltremare   declamate   da D'Annunzio   che   raduna   la   folla   di   chi   vuole   cancellare l'onta di Adua. Il nazionalismo ha un boom: a Firenze si fonda   l'   “Idea   nazionale”   sperticatamente   favorevole   alla guerra.   Ma   questa   retorica   della   potenza   trascina   via   i consensi a Giolitti: la potenza che l'Italia ha dimostrato in   Libia   si   scontra   con   l'Italietta   giolittiana. Nell'ottobre del 1911 Giolitti trova nuove difficoltà anche col Psi: Turati è rigidamente contrario alla guerra, mentre Bonomi e Bissolati decidono di sostenere il governo anche contro   le   direttive   di   partito.   Il   contrasto   con   i 

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“ministerialisti”, come sono definiti Bonomi e Bissolati, si acuisce   nel1912   quando   i   due   si   recano   al   Quirinale   per congratularsi col Re appena sfuggito ad un attentato. Nel Luglio 1912 l'ala sinistra del partito chiede e ottiene le teste di Bonomi e Bissolati che sono espulsi dal partito. Due   giorni   dopo   nasce   il   Partito   socialista   riformista, definito sprezzantemente da Turati il partito dei candidati, molto proiettato in Parlamento e senza una base di massa. La requisitoria più violenta contro Bonomi e Bissolati la fa Mussolini   che   si   sta   distinguendo   per   il   suo   furore antibellicista(è   stato   lui,   assieme   a   Pietro   Nenni,   il sostenitore maggiore dello sciopero generale antiguerra). A lui il congresso del 1912 affida la direzione dell'Avanti, mentre   Lazzari,esponente   dell'ala   rivoluzionaria,   diventa segretario.   Questo   ha   riscontro  subito   nella   Cgl,   da   cui escono   alcuni   massimalisti   per   fondare   l'Usi   (unione sindacale   italiana):   rottura   che   si   consuma   sulle   linee della   contrapposizione   Marx/Sorel(sindacalismo rivoluzionario: escono opere in cui si teorizza il sindacato come   parte   attiva   nella   conquista   del   potere   attraverso azioni di boicottaggio, sabotaggio,sciopero). Che il clima si   stia   infiammando   lo   dimostrano   varie   dimostrazioni   a Ragusa, Parma, Roma che lasciano sul terreno alcuni morti abbattuti   dal   piombo   della   polizia   con   un   Mussolini   che grida all'assasinio di stato. Nel 1913 scoppia lo sciopero generale contro il governo, senza l'appoggio dei riformisti della Cgl e del Psi. Ed è sempre Mussolini che, con le sue critiche di fuoco dalle colonne dall'Avanti costringe alle dimissioni del comitato direttivo confederale. Ormai nel Psi e nella Cgl la convivenza tra riformisti e rivoluzionari non è più possibile. Tutte queste mobilitazioni fanno nascere il terrore dello spettro del comunismo che arriva a riguardare persino   parte   dei   progressisti.   Ottorino   Gentiloni,   capo dell'Unione cattolica italiana, offre i voti dei cattolici ai liberali: cosa molto ben accolta in mezzo a questo clima di inquietudine:228 deputati su 304 saranno eletti grazie al “Patto Gentiloni”. Per facilitare le cose il papa sospende il non expedit. Lo spirito laico e liberale della classe dirigente italiana è fortemente compromesso. Lancia queste accuse il Corriere, ma gli fa eco anche il Messaggero che pubblica   la   lista   dei   candidati   liberali   eletti   coi   voti cattolici,provocando   imbarazzi   e   smentite.   Lo   stesso Giolitti, per calmare le acque, è costretto a ribadire in Parlamento la laicità delle istituzioni e la sovranità dello 

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stato: ma è una dichiarazione formale visto che la maggior parte dei liberali sono ben contenti della situazione. Così nonostante l'allargamento del suffragio pochi sono i seggi guadagnati   dai   socialisti,   mentre   vengono   eletti   due sindacalisti rivoluzionari (De Ambris e Labriola). Ma sono anche eletti nazionalisti, meridionalisti e altre forze mai elette:   è   chiaro   il   clima   che   cambia   ed   è   chiara   ormai l'incapacità di Giolitti di guidare il paese.

2) LA GRANDE GUERRA (1914­1918)

1. la settimana rossaNel   1913   arriva   la   crisi   economica   a   interrompere   una crescita economica tumultuosa ma comunque inferiore a quella degli   altri   stati   europei.   Orari   di   lavoro massacranti,salari bassi, livelli di vita della popolazione agricola miserabili, legislazione sociale in netto ritardo. Non a caso l'ondata di protesta popolare che tocca l'Italia è tra le più acute in Europa. In Congresso del psi del 1914 lancia   parole   chiave   di   fuoco:classismo,   antistatalismo, antigiolittismo. Se Treves, capo del socialisti riformisti, 

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si dichiara ottimista si dichiara ottimista di poter unire i grandi   ideali   socialisti   alla   lotta   quotidiana   per   le riforme, dall'altra è chiaro che tra le due anime del Psi la frattura   è   sempre   più   ampia.   Il   fatto   che   i   riformisti vincano entro la Cgl non riequilibra gran che. Nonostante tutto il prestigio della scuola di Turati resta alto, visto il successo del Psi alle amministrative. Eppure si lasciano alle spalle un gran numero di socialisti che vorrebbero la vittoria   dell'internazionale   proletaria   sull'internazionale capitalista. E se la Cgl rappresenta pochi lavoratori, molti dei   quali   artigiani   e   contadini,   categorie   che   vanno perdendo peso nella nuova realtà disegnata dal capitalismo, i socialisti rivoluzionari godono simpatie di quelle classi appena salite alla ribalta nella società industriale. Sono persone   che   non   vogliono   integrarsi   nel   sistema   che ritengono antidemocratico (i passi verso la democrazia sono avviati,   ma   ancora   l'Italia   non   è   una   vera   e   propria democrazia   liberale).   E'   chiaro   il   forte   permanere   nella società di ideali di stampo mazziniano e bakuniniano di tipo insurrezionalista   e   populista.   E   su   questo   terreno ribellistico   si   incontrano   i   giovani   repubblicani intransigenti di Nenni, i socialisti arrabbiati di Mussolini (che vede con un occhio di riguardo l'Usi), i sindacalisti rivoluzionari   di   De   Ambris   e   gli   anarchici   del   vecchio Malatesta.   Malatesta   appena   tornato   dall'esilio   a   Londra tenta   di   mettersi   a   capo   del   movimento   insurrezionale spostandolo   su   temi   antistatalisti   e   antimilitaristi.   La risposta delle autorità non si fa attendere e gli anarchici non   cercano   altro   che   l'incidente:   la   prima   domenica   di Giugno, festa solenne dello Statuto, trasformata in giornata di lotta proletaria, finisce nel sangue ad Ancona. Comincia la settimana rossa: Ancona, Fabriano, Forlì, Parma cadono in mano dei ribelli, in molti comuni si proclama la repubblica mentre   si   assaltano   gli   edifici   pubblici,   le   chiese,   le armerie, si sabotano linee ferroviarie e telegrafiche. La Cgl   cerca   di   frenare   la   furia   sospendendo   lo   sciopero generale, ma non riesce. Mussolini accusa di tradimento i vertici Cgl, de Ambris invita gli operai di Parma a vendere le bici e comprare le rivoltelle. Treves definisce “teppa” i rivoltosi   che   hanno   vanificato,   secondo   lui,   25   anni   di lavoro Parlamentare, mentre Mussolini si lancia con violenza contro   Rigola,   segretario   Cgl.   Eppure   una   parte   degli intellettuali di avanguardia che esprime le inquietudini del ceto   medio   non   nasconde   la   propria   soddisfazione:   la 

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settimana rossa si esaurisce su se stessa, ma ha chiaramente messo in risalto quelle spaccature che il governo non sa più governare.   Il   modello   progressista   di   Giolitti   esce distrutto   dalla   settimana   rossa,   mentre   si   rafforzano   le aree autoritarie del Parlamento che fanno capo a Salandra (destral iberale cioè liberal­consevatori, corte, esercito, clerico­moderati+destra   espressione   dell'intraprendenza   ed dell'   espansionismo   del   capitalismo,   in   cui   cresce   il nazionalismo).   Sono   due   anime   accomunate   dall'ostilità   al suffragio universale e che vogliono un esecutivo forte, con un   parlamento   rigidamente   controllato   e   ,   in   caso   di bisogno,   un   uso   autoritario   del   potere.   Il   ritorno   allo statuto   ritorna   al   motto,   la   Germania   guglielmina   il modello.

2. la guerra in EuropaIl   28   Giugno   1914   Gavrilo   Princep   uccide   Francesco Ferdinando D'Asburgo, erede al trono d'Austria (rivedi libro su   come   scoppia   la   guerra).   L'Italia   non   è   un   nemico temuto,è ritenuta giovane, con poche risorse, disorganizzata e   con   un   esercito   senza   esperienza;   dal   punto   di   vista coloniale   si   è   appena   affacciata   in   Africa   riscuotendo sonore batoste. E' legata da anni a Germania e Austria, ma ha avuto abbastanza libertà da stringere buoni rapporti con molti stati, Francia compresa: l'ultima cosa che l'Italia vuole è quindi essere trascinata in una guerra di questo tipo in cui neppure gli altri stati europei hanno voglia di entrare. Ovviamente negli ambienti clericali filo­austriaci, in quelli nazionalisti e liberal conservatori c'è chi chiede di prestare fede alla parola data. Ma si ribadisce più volte che   la   Triplice   alleanza   prevede   l'intervento   solo   se   un alleato è aggredito e nel conflitto tra Austria e Serbia l'Austria   non   è   certo   la   vittima.   Il   no   all'Austria   e Germania del governo Salandra libera l'Italia da un patto ormai   scomodo   consentendo   una   maggiore   autonomia   di decisione.   E   sono   pochi   coloro   che   nell'estate   del   1914 sarebbero   disposti   a   far   scoppiare   la   guerra,   con   gli arsenali svuotati, la maggior parte delle truppe in Africa e un clima di tensione sociale tale che una sconfitta militare darebbe   probabilmente   il   via   alla   rivoluzione.   Ci   si   può invece   giovare   della   neutralità   per   rafforzarsi   e   magari ottenere qualcosa. Una volta accertato che l'Italia non ha intenzione   di   entrare   in   guerra,   l'Austria   ha   tutto l'interesse a vedere l'Italia che rimane neutrale e potrebbe fare qualche concessione per garantirsi l'appoggio italiano. 

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In   più   l'Italia   fuori   dalla   guerra   potrebbe   vendere   agli altri stati in guerra varie risorse, fondamentali in paesi in cui si tende più a distruggere che a produrre. Ma questo è   una   illusione:   l'Italia   manca   della   materie   prime   per avviare la produzione, in primis di carburante che importa dalla G.B che però nel 1914lo impiega tutto nella guerra e sempre   dalla   G.B   dipendono   i   granai   americani   da   cui l'Italia importa. La guerra paralizza i commerci e mette in crisi le banche e le imprese che invece avevano sperato di poter   guadagnare   sulla   carneficina   imminente.   E'allora, quando vedono chiusa la via del guadagno con la neutralità, che   banchieri   e   industriali   cominciano   a   premere   per l'intervento a fianco di Francia, Russia e Inghilterra. Le potenze   dell'Intesa   hanno   tutto   l'interesse   ad   aprire   un fronte a Sud che accerchi definitivamente gli stati centrali e questo fa brillare gli occhi di imprenditori e banchieri che già fiutano il mare di commesse statali. Tra le banche la   Banca   commerciale,   legata   a   Giolitti,   fa   campagna neutralista,   mentre   la   neonata   Banca   italiana   di   sconto, finanziata   da   gruppi   finanziari   francesi   e   legata all'Ansaldo, spinge per la guerra. E ovviamente questo pesa sull'opinione   pubblica:   i   grandi   imprenditori   e   banchieri cominciano   a   finanziare   giornali   interventisti   al   punto, piano   piano,   di   prendere   il   controllo   diretto   di   alcuni giornali. In due anni gli industriali siderurgici comprano “l'Idea nazionale” e, tramite l'Ansaldo, il “messaggero”, il “secolo XIX e,attraverso la pubblicità, pure il giornale di Mussolini   “Il   Popolo   d'Italia”.   Inflazione   crescente   e disoccupazione aiutano gli interventisti. Tra il 1914 e il 1915 i rapporti di prefetti e questori, sopratutto del sud, sembrano   bollettini   di   guerra   con   assalti   agli   edifici pubblici, ai forni... le rivolte per la fame si legano a quelle   contro   la   disoccupazione   acquistando   dimensioni allarmanti.   Quanto   basta   per   creare   serie   difficoltà   al governo   che   teme   i   rivoltosi   e   teme   l'opinione   pubblica borghese   sempre   più   spaventata.   E'   un   terreno   ottimo, questo,   per   gli   interventisti   che   facendo   leva   su   queste paure   possono   scardinare   la   maggioranza   parlamentare giolittiana   che   imprigiona   il   governo   Salandra.   E   pure   i ribellisti   sono   pro­guerra:   anarchici,sindacalisti rivoluzionari,   socialisti   estremisti   vedono   nella   guerra l'occasione per far scoccare la scintilla della rivolta. Ma l'asse portante dell'interventismo resta la media e piccola borghesia.   Non   a  caso   la   propaganda   interventista   non   si 

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rivolge   al   palazzo,ma   alle   piazze   con   uno   stile   politico rumoroso e teatrale, quasi spettacolarizzato modello che i socialisti   si   erano   dati   spontaneamente   appena   nati, dovendosi rivolgere a una dimensione di massa: non è un caso che Alfredo Rocco, nazionalista, afferma il bisogno della destra di contendere le piazze alla sinistra per farne il palcoscenico dell'interventismo. Si rompe il grigiore della politica, si attrae, si mobilita.

3. gli interventistiI nazionalisti  sono  i più abili  nel  cogliere  al  volo  le potenzialità della nuova “politica spettacolo” e a questo contribuisce   moltissimo   D'Annunzio.   Ogni   discorso   di D'Annunzio   al   popolo   è   arte,   viene   tramutato   in   uno spettacolo   teatrale,   amplificato   dai   riflettori   della stampa, sempre puntati su di lui e che danno, sopratutto il Corriere   della   sera,   ufficialità   alla   sua   propaganda. D'Annunzio   pone   l'appello   alla   guerra   al   vertice   di   una visione   esaltante   della   storia   nazionale   che   dai   popoli italici, passando per Roma e le repubbliche marinare, arriva a Garibaldi e alla monarchia dei Savoia attraverso cicli di gloria, declino, gloria. I nemici più pericolosi, afferma D'Annunzio,non sono tanto quelli esterni, ma quelli interni spenti,   vecchi   pronti   a   condannare   l'Italia   al   marchio servile, avvolgendola con la “plumbea cappa senile”: occorre quindi la forza e la vitalità dei giovani per sconfiggere il nemico annidato all'interno, per poi rivolgere la potenza verso l'esterno. Il nemico interno è ovviamente l'italietta giolittiana,   ipocrita   e   trasformista,   che   attende   che l'Austria conceda il “parecchio” di cui parla Giolitti. Tra Giolitti e i nazionalisti non c'è via di dialogo, avendo fatto i nazionalisti proprio l'irrazionalismo che mira alla pancia   e   non   alla   testa   smuovendo   l'istinto.   La   retorica D'Annunziana,   irrazionale   e   seducente,   piace   anche   ai democratici,ai riformisti e persino ai socialisti più colti. Il fronte interventista è molto disarmonico e la diffusione del patriottismo e di alcune metafore e idee annunciate da D'Annunzio stesso si diffondono e aiutano la compattezza. Delenda Austria è il motto dei democratici interventisti, avversi alle autoritarie Austria e Germania in difesa dei popoli   oppressi:   gli   italiani   delle   regioni   irredente,   i ciechi, gli slovacchi, i serbi, i croati ecc.. La guerra diventa guerra di liberazione di popoli sottomessi da imperi autoritarie militaristi che sono i veri responsabili della guerra.   La   vittoria   nella   guerra   significherà   una   Europa 

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libera   e   pacificata   in   cui   potrà   fieramente   sedere   una Italia   definitvamente   democratica.   Delenda   Austria   per   i nazionalisti significa invece riprendersi Trento e Trieste e dare   il   via   alla   caccia   espansionista   sulle   ceneri dell'Impero. E non per la pace: vogliono la militarizzazione per   riportare   all'ordine   le   masse,   vogliono   formare   una classe   dirigente   autorevole   e   autoritaria.   Sono   fronti opposti, quello democratico e quello nazionalista, che però aiutano   entrambi   alla   nazionalizzazione,   ad   aumentare   il senso   di   appartenenza.   Rimane   l'interrogativo   se   il sentimento nazionale si svilupperà in senso autoritario o democratico,   se   prevarrà   ilvalore   della   libertà   o   quello della potenza. Altra roba ancora i futuristi: Marinetti non è interessato dalla guerra patriottica, ma dalla guerra in quanto sforzo ginnico, festa sportiva, avventura, conflitto, un grandioso ritorno alla natura che riporta l'uomo alla sua natura ferina. Il bagno di sangue servirà a purificare e rigenerare   la   nazione   cancellando   i   vigliacchi   e   facendo trionfare   arditismo,   aggressività,   attivismo   al   motto   di “amiamo   la   guerra”.   Se   per   ora   la   carica   violenta   dei futuristi è utile alla propaganda interventista, in realtà essa è potenzialmente sovversiva verso lo stato. Toni simili li ritroviamo anche nei discorsi di Mussolini, De Ambris. In questi ambiti si chiede una guerra perchè il proletariato non può restare passivo di fronte alla prospettiva di una vittoria del militarismo e dell'imperialismo austro­tedesco, del kaiserismo e del pangermanesimo: la guerra diventa lotta di   classe,   così   come   è   lotta   di   classe   l'opposizione   al governo   che,   con   la   neutralità,   lascia   vivere   l'Austria (tenere   conto   che   Psi   e   Cgl   sono   neutralisti).   Gli interventisti   rivoluzionari,   rotti   i   legami   con   gli   ex compagni, subito si danno ad una esaltazione della guerra in sé, usando toni tipicamente da futuristi. Mussolini sulle colonne   del   Popolo   d'Italia   scrive   due   motti:­chi   ha   del ferro ha del pane (Blanqui)­la rivoluzione è un'idea che ha trovato   delle   baionette   (Napoleone)L'ingresso   degli interventisti rivoluzionari nella scena politica inasprisce moltissimo il dibattito: Mussolini spara a zero contro il governo minacciando guerra o rivoluzione esi rivolge al Re con gli stessi toni “o guerra o repubblica”. Il potenziale eversoriopresente in Italia è ormai altissimo.

4. La sconfitta dei neutralistiNell'agosto del 1914 la maggior parte della popolazione è indifferente   alla   ventata   bellicista.   La   guerra   appare 

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lontana   ai   più,   rassicurati   dalla   neutralità   ribadita   il primo   agosto   dal   governo.   Usi   e   socialisti   denunciano l'ennesima   guerra   della   borghesia   che   costringe   le   masse proletarie a combattere per il proprio interesse, inventando falsi   nemici   e   corrompendo   l'opinione   pubblica.   A   questo inganno hanno ceduto i compagni francesi, tedeschi che hanno decretato   la   morte   dell'Internazionale   socialista.   E   se anche tra le file socialiste qualche dubbio c'è il partito decide   di   rimanere   fedele   alla   linea   internazionalista. All'annuncio   delle   prime   defezioni   (fa   clamore   quella   di Mussolini) il Psi ribadisce la neutralità. Al coro dei no nel frattempo si aggiunge quello del neo eletteo Benedetto XV che il 1 novembre 1914, ex cathedra, condanna la guerra, mettendo a tacere le voci entro la Chiesa favorevoli alla guerra   (la   neutralità   assoluta   della   Chiesa   è   una   cosa, l'orientamento   dei   cattolici   un'altra).   Psi   e   Chiesa rassicurano così le campagne, dove i contadini vivevano con terrore il rischio dello scoppio della guerra. La battaglia neutralisti­interventisti   si   conferma   come   una   battaglia urbana che coinvolge prevalentemente i ceti medi, usati come armi   di   pressione   sull'opinione   pubblica   dagli interventisti. Il re è attratto non poco dalla prospettiva di   essere   il   completatore   dell'Unità   d'Italia,   con   una guerra   che   dia   all'Italia   le   terre   irredente:dopo   aver affidato la difesa della corona a Giolitti, con la crisi del sistema giolittiano decretata dalla settimana rossa, il re sente di nuovo la Corona messa a rischio (il preambolo della triplice Alleanza prevedeva un accordo di tipo conservativo dell'ordine interno ai 3 stati coinvolti, con la finalità di rafforzare   l'ordine   monarchico),   ormai   poco   difesa   in Parlamento. Rotto l'accordo con gli stati centrali Vittorio Emanuele III ha bisogno di trovarsi altri alleati. Di certo non   la   repubblica   francese,   nemmeno   la   monarchia costituzionale della G.B, ma la monarchia assoluta Russa, legata   da   ottimi   rapporti   coi   Savoia,   appare   una   alleata perfetta. Partecipare alla guerra ha anche altri risvolti: la militarizzazione del paese fondamentale per sostenere una guerra   comporta   ordine   e   disciplina   e   obbedienza   cieca all'autorità costituita: ottimo sistema permettere a tacere la “teppa”. In questo il re è aiutato dal Governo Salandra (ora   c'è   Sidney   Sonnino   agli   esteri),   con   una   forte accelerazione   autoritaria   del   paese   e   un   tentativo   di “ritorno   allo   Statuto”.   Ma   l'esecutivo   deve   muoversi lentamente: il generale Cadorna dichiara senza mezzi termini che l'esercito non può affrontare una guerra. Salandra si pone in quella neutralità che permettete di esplorare sia il terreno dell'Intesa sia dell'Alleanza (si presenta una bozza con le richieste italiane sia alla Triplice intesa che alla triplice   alleanza:   l'Italia   non   riceve   risposta   dagli   ex alleati).Risponde   dopo   un   mese   l'Austria,   che   pur   di   non trovarsi   con   un   fronte   aperto   al   sud,offre   all'Italia   il 

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Trentino. Sonnino si intestardisce e rifiuta: vuole anche Trieste,   la   Dalmazia,   l'Albania,   Gorizia.   A   Febbraio Salandra e Sonnino si decidono per un entrarain guerra a fianco   della   triplice   Intesa.   Le   vittorie   riscontrate dall'Intesa   e   la   possibilità   che   la   guerra   sia   veloce mettono   fretta   al   governo   che,   accontentandosi   della promessa di veloci miglioramenti da parte di Cadorna, ignora l'impreparazione   dell'esercito.   Resta   da   vincere   la resistenza   del   parlamento,   usando   proprio   quegli interventisti il cui furore bellico ormai è incontenibile. Anche i neutralisti si muovono: tentano di far sentire la propria   voce   nelle   piazze   e   scatenano   contro   reazioni fortissime da parte degli interventisti. Si hanno scontri di piazza, ma tutti si risolvono a favore degli interventisti, in soccorso dei quali interviene sempre la forza pubblica (prefetti   e   questori   hanno   avuto   l'ordine   di   impedire   i comizi neutralisti e di agevolare quelli interventisti). Il tutto mentre media­borghesia, piccola borghesia e cattolici se ne restano a fare gli spettatori passivi. IL 7 Maggio del 1915,con   la   pressione   degli   interventisti   che   si   è  ormai fatta insostenibile per il Parlamento, Sonnino e Salandra firmano   il   patto   segreto   di   Londra   dopo   che   l'Intesa   ha accettato le richieste italiane: Trentino, Venezia Giulia, Istria (eccetto Fiume) e una parte della Dalmazia. A questo punto il parlamento è messo di fronte al fatto compiuto e non può che ratificare (pressato anche dal re che annuncia l'abdicazione in caso di mancata ratifica). (siamo di fronte a   una   manovra   antiparlamentare,   ad   un   ricatto   vero   e proprio: qualcuno l'ha definito colpo di stato).Giolitti in aula chiede la rottura del patto di Londra e di riaprire la trattativa con l'Austria: riceve la solidarietà di 300 deputati che gli lasciano il biglietto da visita in casa. Salandra è costretto alle dimissioni. A questo punto di   scatena   D'Annunzio   che   incita   con   comizi   di   fuoco   la plebe   in   piazza   Montecitorio,   scelta   come   luogo   simbolo dello   scontro   tra   l'Italia   giovane   e   guerriera   e   quella vecchia e grigia del Parlamento:sono le radiose giornate di maggio.   E'   il   colpo   di   grazia   che   piega   i   neutralisti. Quando Salandra si ripresenta alla Camera il Parlamento è atterrito   e   stanco:   Giolitti   lascia   il   Parlamento   e   Roma ancora prima di sapere l'esito delle votazioni, che appare scontato.   Esplode   la   protesta   dei   neutralisti:   a   Torino interviene l'esercito per abbattere le barricate e riportare ordine.   Il   Parlamento   concede   pieni   poteri   al   governo, esautorandosi da solo del potere.

5. L'Italia in guerra

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Il 23 maggio del 1915 l'Italia dichiara guerra all'Austria. (nel   1916   alla   Germania).   Con   una   serie   di   decreti   si restringono le libertà della popolazione e si aumentano i poteri   delle   forze   armate,   dando   il   via   alla militarizzazione   dello   stato.   Ai   militari   si   affida   la gestione   del   settore   economico   bellico.   Si   arriva   ad   una progressiva esautorazione del potere legislativo attraverso l'uso   massiccio   della   legislazione   eccezionale. Nell'esercito la disciplina è applicata con una durezza che rasenta la crudeltà conquasi 4 mila condanne a morte, di cui 750   davvero   compiute.   Il   delitto   più   grave   è l'insubordinazione, ma si incorre nel processo anche per una semplice   ombra   di   resistenza:   si   incorre   in   sanzioni durissime fino alle esecuzioni sul posto e alla decimazione se   insubordina   un   intero   reparto.   Sono   sistemi   rarissimi nell'esercito   francese,   inesistenti   in   quello   inglese. Cadorna vive però nella convinzione che solo così, con la paura e l'intimidazione, si possa mantenere l'ordine e avere un esercito rispettoso della gerarchia e disciplinato. La truppa   è   demotivata   e   in   alcuni   casi   riottosa.   Il   tutto condito da un numero impressionante di morti: 800 mila in due anni,su un esercito che arriva a contare 5 milioni e 700 mila   soldati.   Alla   strage   contribuisce   la   strategia offensiva di Cadorna che scatena attacchi privi di senso, riscuotendo solo fallimenti, ma continua tenacemente nella idea di voler sfondare a est per ricongiungersi con l'armata russa: pare non accorgersi, Cadorna, che su tutti gli altri fronti europei si è scatenata una guerra di logoramento in trincea. Gli attacchi di uomini contro i carri armati si risolvono in una carneficina: è la prima guerra tecnologica e   le   vecchie   regole   non   valgono   più,   ma   Cadorna   non   lo capisce,limitandosi a sapere che gode di una buona quantità di carne da mandare al macello in un terreno, il Carso, del tutto inadatto a scavare trincee. Occorre quindi lanciare assalti   che   falliscono   quasi   tutti   se   non   quello   che comporta la conquista di Gorizia ad un prezzo assurdo di vite   umane:   il   morale   della   truppa   crolla   e   invece   di glorificare   la   conquista   di   Gorizia,   la   città   viene maledetta   nei   canti.   I   soldati   sono   stanchi   da   mesi   di marcia   per   le   montagne,   sporchi   e   vittime   dei   parassiti, assetati   e   affamati   perchè   neppure   gli   approvvigionamenti funzionano, l'equipaggiamento non è adatto per la guerra in montagna e ormai i morti e i feriti sono così tanti che non si riesce a rimandare i cadaveri alle famiglie. Pochi sono i 

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sottoufficiali a contatto quotidiano con la truppa, mentre gli   ufficiali   sono   lontani   dall'orrore   protetti   dai   loro privilegi (nell'esercito inglese il benessere della truppa è fondamentale, al punto che ufficiali e truppa condividono lo stesso   rancio).   Pause,   licenze   sono   rarissime   mentre   i soldati   sono   tenuti   sempre   all'erta,   sempre   incitati all'assalto,   tenuti   sotto   pressione   come   stabilisce   il comando supremo. Cadorna fa cadere sotto la sua scure anche molti ufficiali che non si dimostrano adatti a reggere il ritmo. Ci sono numeri impressionanti per quel che riguarda le automutilazioni e le diserzioni, molto più alte di quelle di ogni altro esercito. Si sospetta anche che molti siano caduti   volontariamente   prigionieri   al   punto   che   l'Italia decide   di   non   inviare   gli   aiuti   ai   prigionieri   (cosa considerata irrinunciabile per Francia e Inghilterra): quasi 100 italiani muoiono di fame nei campi di prigionia. Crolla lo stato d'animo anche per la truppa volontaria, partita con le   migliori   intenzioni   patriottiche.   E   tra   i   soldati socialisti   che   non   hanno   rinnegato   la   fede internazionalista,   serpeggia   l'odio   per   la   borghesia capitalista, imperialista, guerrafondaia ritenuta colpevole di ogni morto: il cameratismo però viene interpretato come segno di una scoperta della coscienza di classe. Si sviluppa tra i soldati una forte solidarietà che li unisce contro il nemico (sial'austriaco che l'ufficiale italiano). Lo stesso ordine   gerarchico   dell'esercito   riflette   la   gerarchia classista   instaurata   dai   borghesi,   ordine   da   distruggere. Così nei canti delle truppe si diffondono invettive contro i padroni   e   i   borghesi.   Nell'Ottobre   del   1917comincia   la controffensiva   austriaca,   appoggiata   anche   dai   tedeschi liberati dal fronte russo: le linee italiane sono sfondate fino   al   Tagliamento   e   di   li   a   poco   fino   al   Piave.   Il territorio   nazionale   è   invaso,   intere   popolazioni   tornano sotto il dominio austriaco. La rotta di Caporetto mette in ginocchio   l'esercito   italiano   che,   dovendo   evitare   una manovra   di   accerchiamento,   lascia   al   nemico   una   quantità ingente di approvvigionamenti e armi. Si diffonde il panico tra i civili e i soldati, mentre gli ufficiali scaricano le colpe sulla teppa socialista che ha sobillato l'esercito con la   sua   propaganda   disfattista   (sarà   una   commissione   di inchiesta   a   fine   conflitto   a   far   emergere   i   gravissimi errori militari di Cadorna). Il primo bollettino ufficiale accuserà   per   la   sconfitta   la   II   armata,   ritiratasi   senza combattere,   arresa   subito   al   nemico.   Si   radica   l'idea   di 

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antinazione   in   forte   spregio   agli   ideali   nazionali. Nell'estate   del   1917esplode,   con   epicentro   Torino,   un terremoto di agitazioni popolari.

6. il fronte internoIl pungo di ferro stringe anche i civili senza che Salandra si   interessi   del   fatto   che   questo   non   fa   che   peggiorare l'odio verso una guerra già non condivisa dalla popolazione. Nella   convinzione   della   guerra   lampo   nessuna   propaganda viene   fatta   sulla   guerra,   per   dare   una   giustificazione ideale   alla   guerra   e   offrire   sostegno   morale   alla popolazione.   C'è   sicuramente   una   alterigia   della   elite dominante che ritiene il popolo un branco di plebe ignorante e   insensibile,   ma   anche   una   inconsapevolezza   dei   più elementari principi di comunicazione delle società di massa (a fine guerra non a caso i liberali si troveranno di fronte un   Mussolini   e   un   D'Annunzio   molto   abili   ad   agitare   le folle),   rendendo   chiaro   che   le   tecniche   di   “politica spettacolo” degli interventisti non hanno insegnato nulla al governo.   Sono   i   cittadini   a   intervenire   in   questo   campo: associazioni femminili, l'Unione Insegnanti e vari volontari si   attivano   con   entusiasmo   per   diffondere   nelle   classi proletarie   i   valori   nazionali   per   raggiungere   ordine, disciplina, obbedienza. E riescono grazie al fatto che si attivano in un campo in cui lo Stato è del tutto assente: l'assistenza   alle   famiglie   dei   soldati,   perfino   quelli caduti prigionieri. Si offre un volto diverso, una patria dal   volto   benigno   e   umano,anche   se   questo   tipo   di volontariato non riesce a cancellare il volto disumano dello Stato   nelle   trincee   e   nelle   strade.   E'   comunque   un volontariato   attivo   nelle   città:   le   campagne   restano abbandonate   a   se   stesse,   nonostante   sia   proprio   dalle campagne che provengono la maggior parte dei soldati e sia nelle   campagne   che   si   sente   maggiormente   la   mancanza   di combustibile,   pezzi   di   ricambio   e   attrezzi.   Al   sud scoppiano, dopo un anno e mezzo dall'inizio della guerra, le solite rivolte che si concludono con l'assalto al municipio per dar fuoco agli elenchi dei richiamati. Ovunque ci sono gli assalti ai forni. La situazione degli approvvigionamenti è pessima e passano sei mesi prima che venga istituita una commissione   che   ne   occupi.   Solo   dal1917   si   applicano seriamente calmieri dei prezzi e razionamenti attraverso il tesseramento   per   i   generi   di   prima   necessità,   mentre fiorisce il mercato nero. La miseria è tale che, quando le truppe   austriache   sfondano   il   confine,   una   parte   della 

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popolazione li accoglie speranzosa. Questo e il diffondersi di   moti   popolari   per   il   carovita   preoccupa   le   autorità: riduce alla fame le famiglie operaie, ma comincia a creare problemi anche per il ceto medio a stipendio fisso. I tanti posti   di   lavoro   pubblici   principalmente   che   le   necessità della   guerra   stanno   creando   comportano   spostamenti   della popolazione   verso   la   città,   in   una   calca   difficilmente gestibile.   Mancano   alloggi,assistenza   sanitaria,   cibo, vestiti: si diffonde la mortalità infantile, le malattie, la rabbia. Nelle fabbriche che producono materiale bellico si produce   ai   limiti   dello   sfinimento,   ma   il   salario   non   è cresciuto proporzionalmente e non si può nè scioperare nè licenziarsi. Nel 1915 entra in funzione il MI (istituto per la   mobilitazione   industriale)guidato   da   un   alto   ufficiale dell'esercito   che   sottopone   a   sé   un   milione   circa   di maestranze entro un rigido regime marziale. Si sospende il diritto   di   sciopero   e   ogni     legge   a   tutela   del   lavoro femminile e minorile. E' punito come diserzione, quindi col carcere,   persino   l'allontanamento   dal   luogo   di   lavoro.   I sindacalisti sono ridotti al silenzio (riaccettati ai tavoli tra imprenditori e militari solo dopo le forti agitazioni del1917),   mentre   la   polizia   gira   nei   corridoi   delle fabbriche. Sarà solo nel 1917 dopo le agitazioni che verrà istituita   una   commissione   per   valutare   le   condizioni igieniche   e   di   sicurezza   nei   luoghi   di   lavoro.   Nella primavera   del   1917   a   Livorno,   Terni   e   Napoli   scoppia   la rivolta metalmeccanica: a Torino una manifestazione per il pane   esplode   in   scontro   violento.   Operai   scioperanti   e esercito   si   fronteggiano:   50   sono   i   morti,moltissimi   gli operai spediti per direttissima al fronte. La repressione si abbatte   con   violenza   anche   in   Germania   e  Austria,   mentre tutti sanno cosa sta succedendo in Russia. Nell'Agosto del 1917   le   parole   del   Papa   che   parla   di   inutile   strage riecheggiano   ovunque,   contraddicendo   la   propaganda   dei governi e le sue parole d'ordine: nessun risvolto a livello dei governi, ma una bomba tra i fedeli. Se da una parte i cappellani   militari   svolgono   una   importante   opera   di conforto   morale   e   se   le   omelie   che   inneggiano   alla sopportazione paiono spingere all'obbedienza. È anche vero che l'insofferenza per una guerra che porta solo sconfitta e miseria   cresce.   I   nazionalisti   ora   cercano   un   nemico   per giustificare il fallimento e lo trovano nei neutralisti che stanno   facendo   fallire   la   guerra   con   il   loro   poco convincimento: è tutto falso. Giolitti aveva invitato tutti 

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a   collaborare   col   governo   e   così   è.   Ma   i   nazionalisti chiedono un ricambio totale della classe dirigente e quando Salandra si dimette,va alla guida di un governo di unità nazionale   Paolo   Boselli,   che   chiama   anche   Bissolati   e Bonomi. Ma la situazione non migliora e avviene Caporetto. Di   Caporetto   la   colpa   sarà   affibbiata   ai   socialisti   che avevano affermato di non aderire alla guerra, ma neppure di boicottarla. A Zimmerwald un Psi neutralizzato in Italia ( i militanti giovani al fronte, gli altri controllati a vista dalla polizia) si schiera per una fine della guerra senza annessioni   nè   indennità,   nonostante   riscuota   successo   la posizione di Lenin di trasformare la guerra imperialista in una occasione di rivoluzione. Alla riunione dei socialisti l'anno dopo(1916)l'ala estrema degli intransigenti del Psi si   schiera   con   Lenin   e   chiede   di   abbandonare   la   II Internazionale.   Riemerge   di   nuovo   il   dissidio riformisti/rivoluzionari. Se alle dirigenze del psi non si può attribuire la regia delle agitazioni del 1917, di sicuro la loro “colpa” è non aver saputo controllare quei militanti estremisti che scendono in piazza con gli anarchici guidando la protesta e rafforzando l'idea che il nemico interno siano i socialisti. Questo mentre il Psi, laddove governa, offre al  governo una preziosa collaborazione. Il 25 ottobre del 1917, quando arriva la notizia della disfatta di Caporetto, Turati abbraccia Bissolati, come a sancire la fine di una ostilità che nasce dalla guerra in Libia. Potrebbe essere la nascita   di   quel   polo   democratico   capace   di   isolare nazionalisti,   anarchici,   socialisti   rivoluzionari,   ma tramonta l'ipotesi dell'ingresso del Psi nel nuovo governo di Vittorio Emanuele Orlando, poiché i riformisti non se la sentono di forzare la mano entrando nel governo e provocando così quasi sicuramente una scissione. Dalla crisi del 1917 esce   rafforzato   il   fronte   nazionalista:   la   maggioranza governativa   organizzata   nel   Fascio   Parlamentare   di   difesa nazionale,richiamandosi   direttamente   alle   parole   d'ordine del radioso maggismo, impone un giro di vite contro i nemici interni.   I   dirigenti   del   Psi   finiscono   in   carcere   con l'accusa   di   “tradimento   indiretto”   e   i   militanti   sono ovunque denunciati e processati. Cade nel vuoto l'appello del   Psi   all'unità   nazionale,   mentre   si   rinsalda   nei militanti la solidarietà per i compagni francesi, tedeschi, austriaci   sottoposti   alle   stesse   vessazioni.   La   vittoria della rivoluzione Leninista e la pubblicazione dei trattati internazionali   stipulati   dallo   zar   rendono   evidente   e 

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veritiera   la   critica   dei   socialisti   alla   guerra   che   si dimostra   davvero   puramente   imperialista   e   espansionista, così   come   quella   tedesca:   tra   le   potenze   non   ci   sono differenze,   la   guerra   è   guerra   di   potenza.   I   riformisti perdono ogni legittimità di fronte al popolo socialista.

7. la vittoriaCon la firma di Brest Litovsk il 15 dicembre 1917 la Russia Bolscevica   lascia   il   conflitto.   Gli   imperi   centrali potrebbero   cogliere   l'occasione   di   riequilibrare   il conflitto anche dopo l'entrata degli Usa in guerra, ma ormai sono all'esaurimento. La propaganda antieroica di Hemingway, attivo   sul   fronte   italiano,   non   raggiunge   l'opinione pubblica,mentre   tutti   gli   intellettuali   continuano   a mitizzare   la   guerra   con   entusiasmo,glorificando   le motivazioni   ideali.   Nelle   opere   di   Marinetti   si   parla   di ardore guerriero,di avventura e spettacolo: spariscono gli orrori   della   trincea,   la   fame,   le   marce   estenuanti. Spariscono le persone e ci si concentra sulle armi (cannoni, carri   armati,aerei)   prese   a   simbolo   della   modernità   che avanza.   La   guerra   diventa   metafora   della   gioventù, spettacolo   che   si   contrappone   al   grigiore   della quotidianità. Paiono non rendersi conto (o forse lo sanno) che la truppa è apatica, demoralizzata e vive la guerra come fatalità.   A   tutto   questo   non   si   sottraggono   neppure   i democratici. Quando ormai è chiaro il rischio della rivolta delle   truppe   per   via   della   propaganda   socialista   si   crea l'ufficio P (Up=ufficio propaganda) per stampare manifesti, cartelli, volantini,cartoline e giornali patriottici da far girare al fronte. Ma siccome non basta il governo comincia a intervenire a favore dei soldati con licenze per i lavori nei campi, polizze di assicurazione sulla vita, sussidi alle vedove,   ai   mutilati,   agli   invalidi.   Si   crea   l'Opera nazionale   combattenti   un   ente   di   assistenza   per   il   dopo guerra e si parla di progetti per la concessione di terra ai contadini.   Orlando   mette   Diaz   al   posto   di   Cadorna:   Diaz imposta la guerra come difensiva e riduce il fronte di quasi 300   km.   Si   crea   anche   un   comando   unico   con   Francia, Inghilterra   che   quindi   sono   pronti   a   rinforzare   le   linee italiane   quando   tra   novembre   e   dicembre   1917   Germania   e Austria scatenano l'offensiva per forzare le linee di difesa sul Piave. Anche gli usa intervengono in nostro aiuto con derrate   alimentari,   carbone,   carburante,   armi.   Nel   1918, primavera,riprende l'offensiva: i tedeschi arrivano quasi a Parigi, in Italia gli austriaci scatenano l'inferno vicino 

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ad Asiago. Gli italiano stavolta resistono. L'8 agosto 1918 gli inglesi sfondano le linee tedesche vicino Amiens e Diaz scatena   il   contrattacco   contro   gli   austriaci   ormai   allo sbando. Ad ottobre l'Austria chiede l'armistizio: le truppe italiane raggiungono Vittorio Veneto, poi Trento, Trieste. Si   firma   l'armistizio.   Di   li   a   poco   lo   chiede   anche   la Germania. Wodroow Wilson aveva già presentato i 14 punti al Congresso   sulle   sorti   dell'Europa:   niente   annessioni   ne conquiste per i vincitori. Gli Usa sono entrati in guerra in nome   della   libertà   contro   gli   imperi   autoritari   quindi   è importante   rispettare   questi   principi   al   tavolo   delle trattative.   Le   frontiere   devono   essere   delineate   secondo chiari principi di nazionalità riconoscibili in tradizioni, lingua, cultura, religione. Nell'immediato i punti di Wilson trovano consensi, ma creeranno un ordine che di lì a poco sarà   di   nuovo   sconvolto,   a   dimostrazione   dell'utopia   di queste speranze che si scontrano con l'indole intima della matchpolitk.   In   Italia   i   14   punti   sono   ben   accettati dall'opinione pubblica e dal governo, eccetto Sonnino, che è pronto ad accordarsi per la pace nel rispetto dei popoli. L'Italia avvia vari incontri con i rappresentanti dei popoli sottomessi   agli   imperi   centrali   (sloveni,   croati,   dalmati ecc)   a   cui   partecipano   interventisti   di   ogni colore:rivoluzionari (Mussolini), nazionalisti e democratici (Salvemini). Si firma con i rappresentanti del Congresso dei popoli   soggetti   all'Impero   asburgico   il   patto   di   Romain linea con la linea di Wilson. Ma appena la guerra finisce tutti questi buoni propositi finiscono nel cassetto: il caso di   Fiume   è   un   caso   eclatante   che   avvelenerà   il   clima politico.

8. un paese in crescitaDalla guerra l'Italia qualcosa ha guadagnato: si è lasciata alle   spalle   la   tradizione   di   paese   contadino   e  arretrato perchè in 3 anni di guerra la società nel suo complesso ha fatto un balzo in avanti. L'Italia esce dal conflitto come una potenza industriale,caotica con differenze di livelli di produzione impressionanti da settore a settore, ma con una produzione dieci volte maggiore al passato. Lo Stato, che ha avuto un ruolo fondamentale di propulsione in questo, ora conta su una burocrazia modernizzata e più efficiente, che ora può contare sull'aiuto di tecnici esperti per gestire settori nevralgici. Si creano altri problemi: la struttura 

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burocratica abnorme è caotica e complicata nelle procedure e ogni nuovo dirigente gestisce la propria area di competenza come un bene privato. Molti tecnici sono imprenditori e in un rapporto così vicino pubblico­privato sarebbe bene che lo stato vigilasse: ma non avviene perchè gli imprenditori si oppongono   nettamente.   Di   sicuro   il   metalmeccanico   e siderurgico, anche grazie alle commesse statali hanno avuto un vero e proprio boom:ma la cosa vale anche per il chimico, il tessile, l'alimentare tutto a favore di giganti che sono veri e propri trust (Ansaldo, Breda, Fiat ecc...) che si combattono   tra   loro,puntano   alle   scalate   degli   istituti privati di credito, assorbono imprese concorrenti.(Ricorda. Agnelli tenta di prendere il controllo del Credito Italiano Nel   1918   deve   intervenire   il   governo   che   impone   alle   4 maggiori banche (Banca commerciale, Bancadi Sconto, Credito Italiano, Banco  di  Roma)  un  accordo  in  base  al  quale  le operazioni   finanziarie   con   gli   enti   pubblici   e   le   grandi industrie devono essere decise di comune accordo. Ma questo non salverà la Banca di Sconto che va in bancarotta a causa degli scoperto verso l'Ansaldo nel 1921. Nel 23 tocca al Banco di Roma e tocca allo Stato intervenire al salvataggio: è chiara la debolezza del sistema finanziario italiano. Ed è normale   questo   vista   la   generale   crisi   post­bellica   e   le caratteristiche   del   capitalismo   italiano   del   tutto squilibrato   da   settore   a   settore.   E   anche   se   la   ripresa economica ritarda ormai la via dello sviluppo è presa, come testimonia   la   nascita   di   una   innumerevole   quantità   di piccole e medie imprese e il boom del settore dei servizi. Si   forma   un   nuovo   ceto   medio   che,   sommato   a   quello   dei dipendenti   statali,   rappresenta  una   cospicua   fetta   della popolazione   lanciata   verso   la   modernità.   Finalmente   è sdoganato   il   lavoro   femminile   dato   che   la   guerra   ha costretto le donne a prendere il posto degli uomini, cosa che   ha   comportato   certamente   emancipazione: contabili,dattilografe,   ragioniere,   cassiere,   le   donne escono   di   casa   e   lavorano.   Cambia   anche   il   vestire:   da pudici   abiti   lunghi   fino   alle   caviglie   e   coi   polsi   ben abbottonati si passa a gonne corte che mostrano le gambe, si modificano   le   abitudini   nel   trucco,   i   capelli   restano sciolti. Il busto è abolito così come gli immensi cappelli e le sottovesti. E c'è in tutto questo il motivo pratico di essere libere e comode nel lavoro. Questo sconvolge i maschi che   vedono   ridursi   il   loro   potere   sulle   donne   e   sulla società che si avvia verso una secolarizzazione completa: 

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non a caso nel 1924 Pio XI inviterà le madri cattolich ea una   stretta   sui   costumi   troppo   liberi   delle   figlie, testimoniando un'ansia diffusa nella società. Uomini e donne ora   lavorano   fianco   a   fianco   senza   protettori, intermediari,controllori a filtrare i loro rapporti. Anche le donne borghesi, che comunque non entrano nel mondo del lavoro,   hanno   fatto   la   loro   esperienza   di   emancipazione grazie alle associazioni di volontariato. Nonostante l'ansia degli uomini quasi 200 sono le donne che lo stato decora al valor militare. Nel 1919, anche se il suffragio universale resta   un   miraggio,   si   emana   una   legge   sulla   capacità giuridica   delle   donne   che   sancisce   la   possibilità   di esercitare tutte le professioni a parità degli uomini. Si vanno anche assottigliando le barriere di classe e la moda nel   vestire   lo   dimostra:prima   della   guerra   il   modo   di vestire rendeva chiaro l'estrazione sociale di una donna(il fazzoletto   era   da   operaie,   il   cappello   da   borghesi).   Le porte delle aziende durante la guerra si spalancano per le donne che ora, con un salario, comprano cappelli, stivali e tutti quei simboli che prima erano a loro preclusi. Diventa impossibile quindi distinguere “una contessa da una sartina” come   si   diceva   con   rimpianto   per   il   passato   nei   salotti borghesi. Anche i reduci hanno vissuto una forte esperienza che   ha   comportato   consapevolezza   e   emancipazione:   hanno visto   luoghi   nuovi,   persone   nuove   che   parlano   dialetti diversi e hanno usi e costumi differenti. Ma non si sono sentiti   diversi,   uniti   dallo   spirito   solidaristico   e cameratistico   tipico   del   soldato   sottoposti   alle   stesse vessazioni in trincea e agli stessi pericoli e alla stessa ferrea   disciplina   militare:   tutto   ha   portato   verso   una maturazione civile e politica. E' la voglia di conservare i legami   stretti   al   fronte   che   porta   alla   creazione   di associazioni di pressione e mutuo soccorso create dagli ex combattenti per gli ex combattenti, con un associazionismo di   chiaro   segno   politico:   di   solito   l'iniziativa   è  degli ufficiali o comunque di quegli intellettuali attivi nell'UP quindi   degli   interventisti.   Questa   matrice   comporta l'esclusione   dei   socialisti   dall'Associazione   nazionale combattenti (anc), con una scelta che solo con senno dipoi il   Psi   valuterà   come   un   errore   fatale.   Persino   la   Lega proletaria dei combattenti non gode dell'appoggio pieno del partito, deciso a demonizzare in toto la guerra. Ma l'Anc diventa   numerosissimo   e   comincia   a   fare   una   pressione difficilmente   evitabile   dal   governo:   chiede   scuole, 

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giustizia, assicurazioni sociali e terra per i combattenti contadini. Entro l'Anc troviamo democratici, nazionalisti, rivoluzionari, futuristi, arditi,che sono uniti dalla parola patriottismo,   ma   a   cui   danno   significati   profondamente differenti. Già tra Salvemini e Mussolini le differenze sono enormi, nonostante usino entrambi un linguaggio eversivo e retorico   (tutto   il   potere   ai   tre   incerarchi,   a   morte   i profittatori   di   guerra   ecc..).   L'anima   democratica   del movimento combattenti crede di avere saldamente nelle mani il   controllo   dell'Anc   e   si   illude   che   il   vento   della democrazia   ora   spiri   forte   anche   in   Italia.   Li   aiuta   in questa convinzione la presenza nel governo Orlando i molti interventisti   democratici   e   la   nascita   del   Fascio parlamentare di difesa nazionale. E' la questione di Fiume a scatenare   le   divisioni.   Il   fronte   democratico   plaude   ai punti   di   Wilson   e   alla   costituzione   della   Società   delle nazioni: ma in generale l'idea di una pace giusta che ridia le terre irredente all'Italia e le permetta di svilupparsi economicamente in pace e collaborazione coi vicini piace a tutti,   socialisti   e   Cgil   compresi   (al   punto   che   quando Wilson arriva in Italia Mussolini lo saluta con entusiasmo come araldo della pace). Albertini, direttore del Corriere della   Sera,   elogia   Wilson   e   il   suo   modello   come   miglior contraltare al bolscevismo e come migliore formula per il trionfo   della   civiltà   e   del   progresso   pacifico.   Persino Turati esalta Wilson, affermando che aggrapparsi alle teorie di Wilson è l'unico sistema per arginare i compagni esaltati dalla rivoluzione russa. L'entusiasmo verso Wilson si spenge quando gli italiani cominciano ad avere chiaro che Wilson non   vuole   che   Fiume   diventi   italiana:   è   una   città   a maggioranza italiana e quindi dovrebbe valere il principio di nazionalità. Ma gli accordi del 1915 (che non prevedevano Fiume) tra gli stati della Triplice Intesa ancora sono fatti coi   vecchi   principi   della   matchpolitik   e   agli   Usa   non interessa nulla rispettare un patto che non hanno firmato. E' contraddittorio quindi chiedere il rispetto sia del Patto di Londra sia l'annessione di Fiume secondo i principi di Wilson: Fiume viene assegnata dall'Intesa alla Jugoslavia. Sonnino   decide   di   aspettare   che   gli   Usa   cedano   sotto   le pressioni di Francia e G.B. Nonostante sia improbabile che Lloyde   george   e   Clemencau   aiutino   l'Italia   facendo concessioni.   Una   soluzione   potrebbe   essere   quella   di Bissolati che propone di cancellare il patto di Londra, di rinunciare ai territori in cui gli italiani sono minoranza 

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(Tirolo   tedesco,Dalmazia,   Dodecaneso)   per   avere   in   cambio quelli con la maggioranza italiana (Zara,Fiume). Solo Nitti appoggia Bissolati in Consiglio dei Ministri: Bissolati si dimette.

9. la vittoria mutilataFinita la guerra, le trattative partono, come base minima, dal   patto   di   Londra:   gli   italiani   vorrebbero   completare l'unità nazionale, ma anche risolvere problemi di sicurezza strategica e del possesso delle materie prime... cose che comportano   la   volontà   di   ottenere   Dalmazia,   Corfù, Palestina,   Somalia,   Etiopia   per   quel   che   riguarda   le richieste   dei   nazionalisti   (a   cui   si   oppongono   i democratici). Per i nazionalisti la pace è essenzialmente una   questione   di   equilibrio   di   potenza   e   ogni   stato   al tavolo di Versailles cercherà di tutelare i propri interessi (del tutto fuori dal clima wilsoniano quindi). Wilson ha, per i nazionalisti,solo cercato di mistificare il conflitto che è una pura guerra di razze contro razze, stati contro stati per la supremazia. Per la Jugoslavia la ricetta dei nazionalisti è semplice: laddove non si può decidere secondo il criterio di nazionalità, è ovvio che la razza inferiore, quella slava, si sottometta a quella italiana superiore. I futuristi   non   sono   attratti   dai   deliri   di   potenza   dei nazionalisti, ma è lo spirito della guerra come grandioso sconvolgimento   epocale   che   essi   vorrebbero   perpetrare   per impedire   il   ritorno   al   grigio   quotidiano,   al   passato,   al conformismo. La società delle nazioni è per loro il simbolo del passatismo: nasce dalla stanchezza e dalla paura, dal desiderio di ordine e di autocrazia. Marciare e non marcire è il motto di Marinetti, che nel 1918 apre il giornale “Roma futurista”   giornale   del   partito   futurista.   I   futuristi creano un partito e lanciano un manifesto programmatico che prende tutto, dal suffragio universale anche per le donne alla   socializzazione   della   terra,   alla   nazionalizzazione delle   acque,   delle   miniere   passando   per   l'abolizione dell'esercito e per il divorzio. Ai futuristi, che avranno poco seguito, si legano gli Arditi, i reduci delle truppe scelte   d'assalto   che   si   organizzano   nel   1919   in   una associazione nazionale. I corpi scelti si sono si guadagnati la   fama   di   eroi   sul   campo,   ma   ora   i   dirigenti   militari sciolgono quei corpi preoccupati per la loro  insofferenza alle   regole   e   alla   disciplina.   Se   le   autorità   militari vieteranno la diffusione nelle caserme perfino del giornale degli Arditi, i futuristi li accoglieranno a braccia aperte. 

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Futuristi   e   arditi   trovano   in   un   Mussolini   sempre   più insofferente al fronte interventista democratico un sodale comune. Quando Bissolati si dimette il sodalizio tra arditi, futuristi e Mussolini si stringe: Mussolini e Marnetti sono presenti a disturbare, alla Scala di Milano in Gennaio, il discorso di Bissolati che prova a spiegare le sue ragioni. La serata, trasformata in una “serata futurista” si conclude con un comizio che in pratica segna la rottura del fronte democratico,   con   la   fuoriuscita   dallo   stesso   dell'ala sinistra   sindacalista   mussoliniana.   Bissolati   diventa   nel repertorio mussoliniano l'infame codardo che è disposto ad offendere   la   memoria   dei   soldati   morti   e   a   mutilare   la vittoria. Persino Albertini si schiera contro, privando i riformisti   dell'appoggio   del   Corriere   della   Sera.   Il   18 Gennaio 1919 si apre a Parigi la Conferenza di pace: ogni paese   porta   un   pacchetto   di   rivendicazioni   difficili   da conciliare.   La   disgregazione   dell'impero   multietnico asburgico sta creando grandi fermenti e nazionalismi sempre più forti. Orlando siede nel Consiglio dei 4 capi di stato vincitori a cui spettano le decisioni finali:chiede subito il   rispetto   del   patto   di   Londra+Fiume.   Ma   George   Lloyd, Clemencau   e   Wilson   devono   tenere   conto   anche   del nazionalismo jugoslavo. Dopo 3 mesi di discussioni, con un fervore patriottico molto vivo in Italia, Wilson propone una mediaizone:   rifiuto   di   Fiume,   compromesso   tra   interessi italiani e jugoslavi per Istria e Dalmazia (per Fiume si prevedeva   uno   statuto   speciale   che   ne   garantiva l'autonomia,nel quadro però del sistema doganale jugoslavo). Orlando   rifiuta   sdegnato   il   memorandum   di   Wilson,   ma Clemencau e Lloyd George non lo appoggiano perché Fiume non era compreso nel patto di Londra. La delegazione italiana perde   la   calma   e   quando   Wilson   decide   di   rivolgersi direttamente al popolo italiano, Orlando e Sonnino tornano in patria, accolti come eroi e applauditi dai Parlamentari, che ratificano la loro politica estera. Ormai è diffusa la convinzione della vittoria mutilata. Dopo 10 giorni Orlando e Sonnino tornano al tavolo delle trattative: G.B, Francia e Giappone   si   spartiscono   le   colonie   tedesche   africane   e l'Italia   resta   a   bocca   asciutta   se   non   qualche   piccolo aggiustamento riguardo ai confini con l'Austria. Il rischio di   restare   internazionalmente   isolati   porta   Sonnino   e Orlando a trincerarsi dietro il patto di Londra. Il tutto mentre   fermenta   il   patriottismo,   che   diventa   una   miccia pronta a esplodere: il governo non trova sistema migliore 

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per affrontare la cosa che secretare la politica estera. La Camera si oppone ed è crisi. Nitti vara il nuovo Gabinetto nel Giugno 1919. Francesco Saverio Nitti è capo del governo (interventista democratico)che chiama al governo molti amici di Giolitti: prosegue la democratizzazione del paese. Nel mentre si infervora di iniziative il fronte interventista, sopratutto quello di estrema sinistra e di estrema destra (nel Marzo 1919 sono nati i fasci di combattimento ad opera di Mussolini) nel tentativo di coinvolgere sia la truppa sia gli   alti   ufficiali   tra   i   quali   si   percepisce   una   certa inquietudine dovute al fatto che il governo fa intendere di voler   riportare   l'esercito   ai   livelli   pre­bellici, cancellando   vari   privilegi   ottenuti   durante   la   guerra. Affonda in questi ambienti la propaganda nazionalista ed è proprio   qui   che   matura   l'idea   dell'impresa   Fiumana   che metta, con un colpo di mano, Usa, G.B, Francia di fronte al fatto   compiuto.   D'Annunzio   verrà   scelto   come   capo dell'impresa: nonostante i 52 anni si era arruolato in una divisione   di   cavalleria   e   aveva   sbalordito   l'Italia   e   il mondo con i  suoi  voli su  Trieste  e  Vienna corredati  dal lancio   di   manifestini   tricolore,   l'affondamento   di   un cacciatorpediniere   austriaco,   gli   assalti   alle   trincee nemiche in piena notte avvolto in un mantello e coi pugnali. Gli Asburgo avevano messo una taglia sulla sua testa. Alla fine   della   guerra   D'Annunzio   è   un   mito   al   quale   anche Vittorio   Emanuele   III   ha   voluto   rendere   omaggio concedendogli   un   titolo   nobiliare.   Il   10   settembre   1919 l'Austria firma la pace a Saint­Germain: l'Italia ottiene Trentino,   Alto   Adige   fino   al   Brennero,   Venezia   Giulia, Istria e parte della Dalmazia, ma non Fiume. 2 giorni dopo D'Annunzio, con un manipolo di militari ribelli, futuristi, arditi,   volontari   irredentisti,   sindacalisti   rivoluzionari arriva   alle   porte   di   Fiume.   Il   comandante   delle   truppe italiane   a   fiume   gli   intima   di   ritirarsi:D'annunzio, ripetendo   un   gesto   storico   di   Napoleone,   si   apre   il mantello,   mostra   le   decorazioni   militari   e   invita   il comandante a sparargli. Il comandante non osa alzare un dito e   lo   scorta   dentro   Fiume,   accolto   come   un   eroe   dalla popolazione,   mentre   le   campane   suonano   a   festa   e   ovunque risuona   “giovinezza”   inno   dell'impresa   fiumana.   Lo   stesso giorno   D'Annunzio   dichiara   Fiume   annessa   all'Italia.   Poco dopo il governo Nitti condanna l'accaduto e nomina Badoglio generale straordinario per la Venezia Giulia con lo scopo di prendere immediatamente contatti con D'Annunzio, mentre il 

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ministro degli esteri chiede di nuovo Fiume. 2 mesi dopo D'Annunzio   occupa   anche   Zara,   col   consenso   delle   forze militari italiane presenti. Dopo un anno di stallo Italia e Jugoslavia firmano il trattato di Rapallo, un compromesso che   comporta   modifiche   del   confine   favorevoli   all'Italia, disposta a cedere la Dalmazia in cambio di 3 isole dalmazie di zara: Fiume è dichiarata città libera. Per far sloggiare D'Annunzio   basterà   una   cannonata   contro   il   Palazzo   della reggenza.

3) IL CROLLO DELLO STATO LIBERALE (1919­1922)

1. il PPI arbitro del sistema politicoNell'Italia del dopoguerra non c'è più la salda maggioranza giolittiana.   La   guerra   stessa   è   intervenuta   a   disgregare quel fronte disomogeneo che Giolitti teneva in piedi a forza di   accordi,   compromessi   e   concessioni   anche   con   le   forze cattoliche.   Tutto   condito   dal   trasformismo   e dall'inesistenza di forze alternative ai liberali capaci di dare vita all'alternanza (anche non avere una opposizione dalla   chiara   identità   alternativa   è   un   problema).   Il ricambio infatti si attivava dall'interno dando vita ad uno schieramento dai caratteri sfumati e indeterminati. Insomma governano da sempre i liberali. La concessione del suffragio universale e le elezioni del 13 avevano modificato solo in parte questo quadro, grazie all'aumento dei consensi del Psi i   cui   seggi,   sommati   a   quelli   dei   repubblicani   e   dei 

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radicali, formavano uno schieramento alternativo purtroppo non sufficiente a fare una maggioranza. La disgregazione del fronte   liberale   post   guerra   lega   la   fine   del   dominio liberale ai problemi di governabilità: l'unica maggioranza esprimibile   tra   il   1918   il   1919   è   troppo   divisa   al   suo interno   per   assicurare   quel   rinnovamento   radicale   preteso dall'opinione   pubblica   italiana   e   condiviso   anche   dalle classi   dirigenti.   La   soluzione   ideale   al   problema   pare   a tutti il cambio di legge elettorale: non appena Nitti forma il governo si emana una legge che sostituisce l'uninominale col   proporzionale.   Questa   legge   elettorale   comporta   un cambiamento   nei   rapporti   politici,   ma   non   risolve   il problema   della   governabilità,   in   quanto   non   fa   altro   che accentuare i dissidi interni ai liberali. I liberali non si rendono   conto   dello   sfacelo   che   significa   per   loro   il proporzionale, mentre socialisti e cattolici(uniti nel Ppi, primo   partito   di   massa   cattolico)   ne   fanno   una   bandiera perchè   sanno   bene   che   il   proporzionale   premia   le organizzazioni forti riducendo l'impatto del personalismo in politica:   si   spezzano   i   rapporti   di   clientelismo,   non   si vota più il notabile compaesano ecc.. Al sud però, dove i cittadini non erano politicizzati e c'erano pochi partiti e associazioni organizzati e ci si basava solo sul notabilato e sulle autorità, il diritto di voto era puramente formale. Al sud quindi, e questo era stato motivo di opposizione dei meridionalisti contro Giolitti, ci si basava su prefetti e questori   per   indirizzare   il   voto   e   su   questo   tipo   di consensi si erano basati i liberali. La proporzionale del 1919 sconvolge tutto e trascina i liberali nella sconfitta: Nitti   interrompe   ogni   forma   di   compromesso   sul   modello giolittiano e impedisce a prefetti e questori di schierarsi e   fare   da   catalizzatori   di   voti.   Il   risultati   sono sorprendenti:­quasi tutti i parlamentari vengono sostituiti­i liberali nel loro insieme perdono il 30% dei voti. Anche se a questi si sono aggiunti Bissolati e i combattenti i liberali non hanno la maggioranza per formare un governo­potrebbe   scattare   l'alternanza,   che   non   scatta   per   non esiste uno schieramento alternativo: il Psi avanza ma non abbastanza da prendere il potere. E non è ipotizzabile un accordo tra Psi e cattolici, che hanno ottenuto 100 seggi. A questo punto l'unica strada percorribile è un accordo tra i liberali e i popolari, che si trovano arbitri del sistema politico.   Il   Ppi   si   costituisce   nel   1919   quando   viene lanciato un “appello al paese” con un programma di 12 punti 

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decisamente   democratico   (proporzionale,voto   alle donne,senato   elettivo,riforma   fiscale,   autonomia   locale, riconoscimento   giuridico   delle   organizzazioni   sindacali, wilsonismo   in   politica   estera   a   cui   si   aggiungo   le richieste,tipicamente cattoliche, di difesa della famiglia e la   libertà   di   insegnamento).   Il   PPI   (la   cui   nascita   è preceduta, nel 1918, dalla nascita della Cil che riunisce tutti i sindacati bianchi) nasce come un partito di massa, aconfessionale   anche   se   ispirato   ai   valori   cattolici, fortemente autonomo dalle gerarchie ecclesiastiche. Capo ne è   Don   Luigi   Sturzo   che   lavora   da   anni   alla   nascita   del partito cattolico, conscio di dover superare le diffidenze delle   gerarchie   ecclesiastiche,   prima   tra   tutte   la diffidenza   verso   la   democrazia:   le   dirigenze   cattoliche ritengono che le tradizionali forme associative cattoliche e il   vincolo   di   ubbidienza   siano   sufficienti   a   mantenere l'ordine   e  a  tutelare   i   valori   cattolici   aggrediti   dalla modernità. Ma la Chiesa comincia a levigare le tradizionali rimostranze verso la partecipazione politica dei cattolici allo stato italiano quando vedono l'avanzata dei socialisti diventare   una   realtà   plausibile.   Resta   una   differenza difficilmente colmabile tra le due ricette: se Sturzo vuole scongiurare il pericolo della rivoluzione bolscevica dotando lo stato di salde basi democratiche il Papa Benedetto XV e il suo Segretario di Stato, cardinale Gasparri, ritengono che debba nascere un agguerrito fronte moderato­conservatore capace di riportare l'ordine mettendo in riga, con le buone o   le   cattive,   il   Psi.   Il   Papa   comunque   decide   di accontentarsi   di   Sturzo:   nel   1919   si   scioglie   l'Unione elettorale sancendo il riconoscimento pontificio del PPI e abolisce   il   non   expedit.   Dispongono   di   50milaiscritti, attivisti   nelle   associazioni   e   nei   sindacati   bianchi   e sfruttano la struttura capillare delle parrocchie per essere ovunque.   I   cattolici   avevano   ottenuto   un   boom   di associazionismo e militanza, ma il tutto era sotterraneo: ora   la   nascita   della   Cil   e   del   Ppi   non   fa   altro   che ufficializzare un fatto sotterrane. L'associazionismo e il volontariato   messo   in   piedi   dalla   Chiesa   cattolica   per aiutare   le   famiglie   povere   durante   la   guerra   ha   fatto registrare   un   boom   di   consensi   tra   i   poveri   accresciuto anche dalla netta presa di posizione della Chiesa contro la guerra. In parte questo spiega la diffidenza dei liberali di accettare il Ppi, ma alla fine Nitti sa che non ha altra possibilità. Ma i liberali lasciano il Ppi nell'anticamera: 

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per sei mesi si chiede loro l'appoggio esterno al governo. La cultura dei due partiti, se si eccettuano i cattolici liberali   che   sono   una   minoranza,   è   ben   diversa:   nel   Ppi troviamo   conservatori   clericali,cristiano­sociali   che guidano   le   organizzazioni   sindacali.   E   il   cattolicesimo sociale è chiaramente antagonista ai valori su cui poggiano società e stato liberale. Lo si  capisce dal Manifesto dei lavoratori   italiani   della   CiL:   “è   tempo   di   uscire   dalla parentesi   liberal­borghese­individualista,   è   tempo   di sostituire   lo   stato   accentratore,   sia   esso   borghese   o socialista,   ugualmente   incapace   e   tirannico   con   nuove istituzioni   che   abbiano   il   loro   centro   nel   lavoro   umano sindacalmente, corporativamente organizzato”. I sindacalisti cattolici   propongono   la   terza   via   tra   capitalismo   e socialismo che disorienta completamente la classe dirigente liberale.

2. il biennio rossoSe   la   propaganda   aveva   fatto   breccia   quantomeno   tra   i soldati al fronte, le masse del fronte interno rimanevano sempre   freddi   verso   lo   Stato:   non   giovò   allo   stato   la diffusione della notizia di quanto accadeva in Russia tra i lavoratori e le famiglie,strangolate dalla fame, dalla crisi e dalla militarizzazione delle fabbriche. Troppo tardi il governo   cominciò   ad   allentare   la   pressione:   nel   1918   la richiesta   a   Cgil   e   Psi   di   partecipare   alla   commissione istituita per affrontare i problemi economici e sociali non migliorò la situazione. A nulla era valsa la predisposizione dei riformisti a collaborare col governo: trovarono sempre opposizione della maggioranza del partito e del sindacato. Il   clima   era   chiaro:   i   propagandisti   che   giravano   nelle campagne   con   lo   scopo   di   risvegliare   il   sentimento patriottico   dovevano   travestirsi   per   non   essere   pres   ia sassate.   La   guerra,   con   i   suoi   morti   e   le   sue   epidemie (epidemia   di   spagnola   nel1918   in   veneto   che   falcidia   la popolazione)   e   i   suoi   danni   alle   cose   materiali,   fa accrescere la rabbia del popolo rosso. La guerra, col boom delle   industrie   e   il   crollo   dell'agricoltura,   ha   aperto fratture profonde nella società lasciando le campagne alla fame. (situazione economica: occorre comprare materie prime, carbone, combustibili dall'estero, mancano cibo e concimi. Serve,   per   comprare   valuta   pregiata   e   questa   scarseggia. L'Italia si indebita pesantemente con Usa e G.B al punto che 

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le   riserve   auree   del   Regno   sono   trasferite   a   Londra   a garanzia dei prestiti. L'inflazione è alle stelle ed esplode il   carovita).In   questa   situazione   in   Liguria,   Toscana, Milano   e   Roma   esplodono   rivolte   contro   il   carovita.   La popolazione   va   all'assalto   dei   forni,   dei   negozi,   degli edifici pubblici, fa manifestazioni che sfociano in scontri con   l'esercito   e   la   polizia.   Se   non   sono   nuove   queste situazioni di tensione, nuovi e più radicali appaiono gli obiettivi e i metodi di lotta così come è più vasta l'area di   esplosione   del   conflitto.   Alla   pianura   padana   si aggiungono anche Lazio, Puglia,Marche, Sicilia. Nel centro sud   dove   la   situazione   è   peggiore,   la   lotta   sfocia nell'occupazione delle terre: braccianti e salariati fissi, coloni   e   mezzadri,   affittuari   e   piccoli   proprietari dichiarano guerra alla grande proprietà. Chi occupa le terre si   sente   legittimato   a   farlo   anche   alle   promesse   che   il governo   aveva   fatto   dopo   caporetto,   parlando   di   premi   e terre: non è un caso che ad occupare le terre vadano proprio gli   ex   combattenti,   organizzati   dai   socialisti,   dai cattolici   e   dalle   associazioni   combattentistiche. Significativo è l'approccio “leggero” del governo a questi moti.   Addirittura   nel   settembre   del   1919   il   ministro dell'agricoltura   Visocchi   vara   una   legge   che   autorizza l'esproprio delle terre incolte o mal coltivate,legittimando di fatto la violazione della proprietà privata, ma questo non placa gli animi. Le occupazioni proseguono anche l'anno dopo: al Sud i braccianti vanno nei campi a lavorare senza aspettare   l'ingaggio   e   a   fine   giornata   pretendono   dai padroni   il   salario.   Nella   Primavera   del   20   l'ondata   di proteste scoppia anche, di nuovo, in Val Padana (Emilia e Veneto principalmente): si devastano le coltivazioni, le si invadono   e   si   incendiano   le   case   padronali.   I   padroni umiliati   attaccano   il   governo   Nitti,   troppo   tenero   con   i contadini.   Nel   1920   cambia   il   ministro   dell'Agricoltura: diventa   il   Popolare   Micheli.   In   quello   stesso   anno   il congresso   del   PPI   ribadiva   la   proprietà   privata,   ma autorizzava l'esproprio dei campi mal coltivati o incolti per motivi di “utilità sociale”. Il tutto mentre i contadini delle   leghe   bianche   cominciano   a   usare   metodi   simili   a quelli dei contadini rossi: assaltano cascine che occupano e identificano   con   grandi   bandiere   bianche.   Sono   le   ale estreme del Ppi guidate dal deputato Guido Miglioli, teorico del   populismo   contadino,   di   fatto   esterno   all'alveo culturale   del   Ppi,   ma   Sturzo   non   ha   alcun   interesse   a 

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fermarlo. Altrettanto caldo è il fronte delle fabbriche: nel 1919 i lavoratori avevano ottenuto le 8ore. Ci sono scioperi a raffica. I padroni sono preoccupati sopratutto da quel che avviene   in   Fiat,   dove   i   lavoratori,   sul   modello   russo, cominciano a organizzare i primi consigli di fabbrica. Nel frattempo Gramsci e Tasca iniziano la pubblicazione della rivista “Ordine nuovo” che influenza le ale estreme della Fiom,   molto   forte   allora   entro   la   Cgil.   Nel   1920   il conflitto tra operai e padroni si inasprisce: lo “sciopero delle   lancette”   contro   il   ripristino   dell'ora   legale   si trasforma   in   un   braccio   di   ferro   da   cui   la   Fiom   esce sconfitta:   la   Fiom   in   risposta   presenta   un   pacchetto   di rivendicazioni   (12giorni   di   ferie   pagate,   40%   di   aumento salariale,   indennità   di   licenziamento)   che   i   padroni rifiutano, reagendo con la serrata dello stabilimento Alfa Romeo di Milano. In risposta la Fiom ordina l'occupazione delle   fabbriche,   mentre   la   federazione   degli   industriali meccanici   e   metalmeccanici   ordina   la   serrata   di   tutte   le fabbriche:moltissime   fabbriche   sono   invase   dai   lavoratori che mettono sul tetto una bandiera rossa. Nelle città il fenomeno delle occupazioni è più visibile che nelle campagne e   sconvolge   l'opinione   pubblica   che   vede   iniziare   la rivoluzione. Il governo sceglie inizialmente una linea di non intervento: Giolitti, tornato al governo dopo la crisi del   governo   Nitti,   scommette   sulla   risoluzione   pacifica della questione, convinto che socialisti e sindacalisti non daranno mai il via alla rivoluzione. Sarà la Cgil a dargli ragione,   decidendo   di   lasciare   l'agitazione   sul   piano vertenziale economico: allora Giolitti si muoverà per andare a   presiedere   una   assemblea   tra   sindacati   e   padroni   che troverà   un   accordo   ponendo   fine   alle   occupazioni   delle fabbriche   (aumenti   salariali   e   forme   di   controllo operaio,mai   attuate).   Lo   stesso   anno   il   congresso   Cgil ribadisce la linea non rivoluzionaria.

3. la promessa rivoluzionariaSotto il fascismo la fase del biennio rosso sarà ricordata come l'inizio della rivoluzione bolscevica evitata per un soffio grazie all'intervento dei fasci di combattimento. Ma il ruolo marginale del Psi rende chiaro che non c'era nessun piano rivoluzionario in corso e che vi fosse una maturità politica vera. Anche se le tendenze rivoluzionarie di parte del Psi sono chiare: basta ricordare il congresso del 1918 che stabilì un secco no a ogni forma di collaborazione coi governi   borghesi,   grazie   all'affermarsi   delle   correnti 

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rivoluzionarie su quelle riformiste esaltate dalla vittoria russa.   Nel   frattempo   però   entro   la   Cgil   vincono   i riformisti. Questo non frena l'esaltazione dei proletari il cui   motto   diventa   “fare   come   in   Russia”.   La   fine   della guerra è salutata dal Psi+ Cgil col“manifesto dei lavoratori italiani” che incita alla lotta contro la borghesia, alla dittatura   del   proletariato   e   poi   all'instaurazione   del socialismo con la socializzazione dei mezzi di produzione. E tutto   questo   nonostante   l'opposizione   di   Turati   e   delle dirigenze sindacali: essi sanno di essere forti e apprezzati anche in una parte delle ale 

la rivolta in rivoluzione: nel 1919 indicono uno sciopero generale   contro   l'intervento   dell'Intesa   in   Russia   e Ungheria con una spedizione antibolscevica, a cui l'Italia non   partecipa.   Nell'ottobre   del   1919   si   ribadisce   la maggioranza entro il Psi dei massimalisti. Nel frattempo il Psi abbandona la II internazionale, ormai allo sfascio, per convogliare   nella   III   fondata   a   Mosca   nel   1919.   Il   buon risultato   alle   elezioni   del   1919conferma   e   rafforza l'operato dei massimalisti (si triplicano i seggi), assieme all'aumento degli iscritti e al peso interno alla Cgil. Ma la rivoluzione non scoppia neppure con le agitazioni del 20: il Psi chiama a raccolta tutti i compagni “dai campi e dalle officine perchè il giorno della vittoria e della giustizia è vicino”: in realtà non c'è nulla di organizzato, nulla di pronto,   fossero   anche   solo   le   armi   per   dare   il   via all'offensiva.   E   gli   operai   nelle   fabbriche   occupate   non hanno   relazioni   nè   coordinazione   con   i   contadini   che   si rivoltano nei campi. Tra gli operai i rivoluzionari fanno riferimento all'ala comunista che edita “Ordine nuovo”, ma la maggioranza ancora ascoltano le direttive Cgil, la cui maggioranza è riformista. La Cgil ribadirà chiaramente di non volere la rivoluzione a Milano il 9 Settembre, quando le dirigenze Cgil e Psi (che chiede il salto di qualità) si incontrano   per   discutere   il   da   farsi.   La   rivoluzione insomma, messa ai voti, va in minoranza. La direzione Cgil offre le dimissioni scaricando sul Psi la scelta se fare o no   la   rivoluzione:   il   psi   rifiuta   di   assumersi   tale responsabilità   da   solo.   La   responsabilità   della   mancata rivoluzione,forse dovuta anche al fatto che il paese non era pronto,   va   data   comunque   non   ai   riformisti,   ma   ai massimalisti   che   dettero   il   gran   rifiuto,   compresi   i comunisti che si sentivano troppo isolati e fragili. Rimane 

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il   fatto   che,   dopo   anni   di   discussioni,mancava   una   reale strategia rivoluzionaria.

4. i fasci di combattimentoNel   marzo   1919   Mussolini   fonda   i   fasci   di   combattimento raccogliendo attorno a se le fasce più estreme degli arditi e dei futuristi, grazie alla fama che si è guadagnato sul fronte  dei  nazionalisti.  E  non  ci sono  dubbi  che  i  loro primi nemici siano i socialisti,ancora divisi dalla frattura interventismo/neutralismo   ormai   giunta   all'esasperazione. Qui l'odio verso i socialisti è scatenato sia dalla rabbia per   la   vittoria   mutilata   sia   dalla   convinzione   che   essi abbiano   sabotato   la   vittoria   italiana   (i   socialisti   sono ancora   definiti   i   “traditori   di   Caporetto”).La   forza   dei movimenti socialisti esaspera i nazionalisti che sono una insignificante minoranza tra i lavoratori, che scendono in massa   in   piazza   con   le   falci   e   martello   e   attaccano   e irridono reduci, combattenti, nazionalisti. Molti sono però i giovani, esclusi dalla guerra per l'età, che smaniano per dimostrare ai più grandi, il loro ardore nazionalista e il loro   coraggio:   sembra   scritto   per   loro   l'appello   di Mussolini   dalle   colonne   del   “popolo   d'Italia”   contro “l'imbecillità   governativa   e   l'incoscienza   del   gregge   dei tesserati”,   ribadendo   che   solo   i   nazionalisti   hanno   il diritto,   in   Italia,   di   parlare   di   rivoluzione,   quella cominciata nel 1915, passata per la guerra e adesso in pieno svolgimento,   quella   rivoluzione   nazionale   in contrapposizione a quella internazionalista dei socialisti, rivoluzione   da   combattere   con   tutti   i   mezzi,   legali   e illegali. Saranno queste le basi intorno a cui verrà scritto il programma dei fasci di combattimento, a Milano, a cui partecipano sindacalisti, anarchici, e socialisti transfughi dalle organizzazioni di classe e i nuovi adepti reclutati tra arditi ed ex combattenti. L'unica adesione di rilievo è quella di Marinetti che porta con se alcuni futuristi. Ma sarà   la   presenza   giovanile   quella   più   importante:   molti fasci  di  combattimento  si   formano   proprio   ad   opera  degli studenti e hanno seguito nelle scuole e nelle università. Il ribellismo individuale tipico di chi ricerca un identità da adulto, si è riversato nell'esperienza comune della guerra, il vincolo familiare si è spezzato con l'invio al fronte, ma anche per chi è rimasto a casa. I giovani sono cresciuti di colpo acquistando una grande fiducia nelle proprie capacità che li porta a disprezzare tutto il vecchio mondo. Finita la guerra i giovani non accettano più l'autorità dei padri e 

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dei maestri, non si crede più nell'infallibilità della loro parola:quasi   un   68   antiautoritario.   Il   programma   di Mussolini è confuso, ma attraente per i giovani che sentono parlare di cambiamento, patria, coraggio, eroismo, rivolta, per un’Italia più giusta e bella di quella che era stata fino ad allora. Per di più Mussolini promette di passare dalle   promesse   ai   fatti.   Passano   solo   20   giorni   dalla fondazione dei Fasci, che un corteo di nazionalisti a Milano si   scontra   con   uno   di   socialisti:   ne   deriva   una   rissa gigantesca   che   finisce   con   l'incendio   della   sede dell'”Avanti”.L'episodio,   ricordato   come   il   primo   della guerra civile, sconvolge il popolo socialista che però non prende   in   seria   considerazione   i   fascisti.   Neppure   un secondo   scontro,Novembre   1919,   contro   una   manifestazione antimonarchica organizzata dal Psi risuona come campanello d'allarme.   Il   delitto   di   lesa   maestà   sfocia   in   un aggressione   contro   i   deputati   socialisti   a   Roma:   il   Psi proclama uno sciopero generale che va avanti3 giorni. Si dà poco peso ai fasci anche perchè alle elezioni del 1919 una lista di Fasci di combattimento presentata a Milano ottiene pochissimi   voti:   il   Psi   milanese   celebra   un   irridente funerale sui navigli, gettando nel naviglio un fantoccio di Mussolini.   Per   di   più   dopo   Versailles   l'entusiasmo patriottico va scemando e si diffonde solo una voglia di normalità dovuta alla stanchezza. Lo sa bene Mussolini che infatti è freddo verso l'iniziativa di Fiume, che sa bene essere un fuocherello entro un incendio che va spengendosi (D'Annunzio lo sospetterà di tradimento). Mussolini sa bene dall'esperienza nel Psi che senza una salda base di massa non ci si impone nella politica: le minoranza rivoluzionarie funzionano   solo   quando   ottengono   un   obiettivo   a   breve termine, come è successo per l'interventismo. Però Mussolini sa   anche   bene   che   c'è   abbondanza   nella   società   di   un combustibile   fatto   di   rabbia,   paura,   voglia   di   vendetta, risentimento che ora si è diffuso anche ai padroni umiliati dalle   rivolte   dei   proletari.   In   Puglia   nel   1920   alcuni gruppi di grandi possidenti imbracciano il fucile e si fanno giustizia   da   soli,   approfittando   della   latitanza   dello stato: a Gioia del Colle prendono a fucilate i contadini asserragliati in una masseria e fanno una strage,duramente condannata   dai   parlamentari   Psi.   Ma   è   un   fatto   possibile solo nell'arretratezza civile e politica del Sud: al nord l'esasperazione è la stessa, ma la risposta non può essere questa.   Così   i   padroni   del   Nord   vedono   nei   Fasci   di 

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combattimento una buona soluzione, Fasci che nel frattempo hanno   spostato   la   loro   azione   dalla   città   alle   campagne proprio nel momento in cui, siamo nell'autunno del1920, la grande mobilitazione socialista mostra segni di stanchezza (si   segnerà   un   arretramento   del   Psi   alle   elezioni amministrative di quel periodo). Ma nel Novembre del 1920 c'è l'episodio più grave, proprio nella Bologna socialista. I Fasci di combattimento locali avvertono i socialisti che impediranno   loro,   in   tutte   le   maniere,   di   insediarsi   a Palazzo   d'Accursio,   così   quando   il   sindaco   socialista   si affaccia al balcone per salutare la folla i fasci iniziano a sparare.   I   socialisti,   preparati   alla   cosa,cominciano   a lanciare bombe e a sparare dalle finestre: è una strage, molti socialisti e un ex combattente. A Ferrara poco dopo si ripete un caso analogo. Di certo è che l'opinione pubblica borghese guarda con simpatia le camicie nere, così come le autorità locali e gli agenti di polizia, mentre il governo resta immobile e il Psi si  dimostra incapace di affrontare l'offensiva.   Anzi   i   fatti   di   palazzo   D'Accursio,   che dimostrano   che   i   socialisti   non   sono   invincibili,   fa moltiplicare   consensi   e   militanti   ai   Fasci.   Mussolini   lo capisce   e   agita   in   continuazione   lo   spettro   della proletarizzazione forzata, che ovviamente colpisce chiunque ha   qualcosa   da   difendere:   impiegati,insegnanti,   liberi professionisti, artigiani, commercianti che non hanno alle spalle   nessuna   organizzazione   vedono   finalmente   qualcuno difendere   con   forza   i   loro   interessi.   Alla   forte disoccupazione si dà, come ricetta, il ritorno forzato delle donne a casa. Insomma di tutto la colpa è dei socialisti (Nenni se ne rende conto e colpevolizza il Psi di non aver guardato anche ai ceti medi, le cui paure e frustrazioni ora rimpinguano le file dei Fasci). Tra il 20 e il 21 i fasci diventano   da   100   a   800,contando   tra   le   fila   molti   ex combattenti la cui esperienza di guerra è assai utile nella strategia mussoliniana. Sono insediati principalmente nelle città, da cui partono a bordo di camion per le spedizioni punitive in campagna che devono essere rapide e devastanti per non dare tempo al Psi di organizzarsi. L'obiettivo è sempre la Camera del Lavoro, o la sezione del psi o della cooperativa, di cui si bruciano tutti gli arredi con un falò purificatore. Guai a chi non si toglie il cappello quando passano i Fasci e guai a chi indossa qualcosa di rosso, guai a chi tenta di ribellarsi. 726 sono le sedi distrutte in un anno di squadrismo fascista. Le armi e i camion sono forniti 

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dai   padroni.   Sindaci   e   amministratori   sono   bastonati, minacciati, costretti a bere l'olio di ricino:ogni atto di resistenza è ricambiato con una reazione dilagante dei Fasci in tutto il territorio interessato. I Fasci hanno tutti la stessa   organizzazione:   sono   gruppi   piccoli   o   piccolissimi guidati dai Ras, capi assoluti locali. Mussolini si trova in difficoltà a mantenere la leadership dei Fasci, che comunque non ha nessuna intenzione di limitare o bloccare.

5. Giolitti e l'illusione della parlamentarizzazione del fascismo

Nel   1920   torna   al   governo   Giolitti,   dopo   la   crisi   del governo   Nitti   che   non   ha   retto   alle   pressioni   di nazionalisti   e   socialisti.   Giolitti   forma   una   salda maggioranza   imbarcando   nel   governo   personalità   forti   come Croce e Labriola, assieme a due esponenti del Ppi. Concede al   Ppi   l'introduzione   dell'esame   di   stato   nelle   scuole secondarie   e   la   parità   dei   diritti   per   le   organizzazioni sindacali   cattoliche.   Accontenta   persino   il   Psi rivoluzionario aumentando le tasse di successione e avocando allo   Stato   io   sovra­profitti   di   guerra.   Ricomincia   il governo da mediazione esasperata di Giolitti, ma i liberali ormai non hanno più una maggioranza che li fa bastare a se stessi e il vero palo di sostegno del governo sono i due ministri del Ppi: Giolitti è infastidito da questa posizione di forza che il Ppi si è ritagliato, ritenendo il Ppi una forza   non   conforme   agli   ideali   liberali   figli   del Risorgimento. Tutto mentre i Fasci di Combattimento si fanno alfieri   della   riscossa   borghese,   ammantati   col   tricolore, riscuotendo sempre più consensi laddove sono attive le leghe bianche   e   le   leghe   rosse.   Così   Giolitti   pensa   bene   di epurare   il   Ppi   sostituendo   quel   sostegno   che   i   popolari danno   al   suo   governo   con   l'introduzione   di   ministri fascisti,   dopo   aver   depurato   i   Fasci   della   loro   carica sovversiva e violenta,rendendo chiaro che Giolitti non ha capito   nulla   della   natura   intima   dei   Fasci.   Ora   che isocialisti   sono   in   riflusso   e   la   mobilitazione   cala   al governo basterebbe contrastare i Fasci per ristabilizzare il paese:   ma   Giolitti   sceglie   il   compromesso.   La   scelta   è fatale.   Mentre   manda   circolari   ai   prefetti   dando   precise disposizioni per arginare la violenza squadrista comincia a lavorare   per   mettere   i   fasci   dalla   sua,   consapevole   del consenso   che   il   loro   squadrismo   riscuote   nell'opinione pubblica   liberale.,   sopratutto   imprenditorie   grandi proprietari terrieri: l'opinione pubblica odia a tal punto i 

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socialisti da tollerare palesi violazioni della legalità al punto   da   tollerare   quello   che   sarà   il   vero   crollo   dello stato liberale, cioè la perdita progressiva del monopolio della forza. C'è forse un solo alibi: con la guerra violenza e   uso   smodato   della   forza   sono   entrate   nella   vita quotidiana, inquinando i valori della politica e esaltando intolleranza,sopraffazione   e   violenza   e   demonizzazione dell'avversario. Forse è questa assuefazione alla violenza che rende difficile vedere le differenze tra l'agitazione dei   socialisti   e   quella   dei   fasci   e   cosa   significhi veramente il progressivo aumento di consenso e potere per Mussolini:nessuno si rende conto che le spedizioni fasciste stanno pian piano scivolando nella guerra civile.

6. la nascita del pciNelle   elezioni   del   1921   la   classe   dirigente   decide   di allearsi   coi   delinquenti   Fascisti:   le   elezioni   sono anticipate,   perchè   Giolitti   crede   che   sia   il   momento propizio   per   modificare   gli   equilibri   nella   maggioranza togliendo forza a socialisti e popolari. Entro il movimento socialista,   duramente   colpito,   si   apre   una   frattura insanabile: nel Gennaio del 1921 a Livorno si consuma la scissione   fra   la   frazione   comunista   uscita   dal   Psi   in polemica   sia   sul   fatto   che   il   psi   non   vuole   fare   la rivoluzione,   sia   che   non   si   vuole   piegare   alle   direttive dalla Comintern. I socialisti italiani, dopo aver chiesto l'entrata   nella   III   internazionale   vanno   sollevando   molte perplessità e polemiche sui 21 punti fissati dai bolscevichi per essere accolti entro il nuovo organismo. Non accettano di   espellere   la   parte   riformista   (Turati),   rifiutano   di cambiare il nome in Partito Comunista, contestano la scelta del   Partito   comunista   russo   di   guidare   la   rivoluzione mondiale. La rivoluzione russa insomma esplode deflagrando il psi, in cui le varie anime riuscivano tutto sommato a convivere   (eccetto   l'esclusione   dei   ministri   Bonomi   e Bissolati per la guerra in Libia). La guerra mondiale aveva avuto, in proporzione, effetti minori, portando fuori dal partito   solo   le   ale   rivoluzionarie   vicine   a   Mussolini, mentre Turati aveva soffocato le sue spinte patriottiche in nome di un pacifismo internazionalista. Era stata proprio la questione   nazionale   a   cominciare   a   crepare   la   stabilità dell'edificio   Psi:   la   vittoria   dei   bolscevichi   unì   le divergenze sulla guerra alle divergenze sulla rivoluzione, visto   che   si   trattava   non   più   solo   di   andare   contro   la guerra, ma perfino contro lo stato italiano rovesciando il 

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sistema   capitalista   cancellando   quanto   di   liberale   e borghese   era   entrato   nel   Psi.   Resta   il   fatto   che   le condizioni per la rivoluzione non erano mature nel biennio rosso,quando   le   masse   attendevano   trepidanti   le   direttive del Psi e della Cgil, entrambe paralizzate dai riformisti, che avevano ridotto tutto alla sola vertenza sindacale. Così la   frazione   comunista   nel   1921   chiede   che   una   volta   per tutte si metta fine all'ambiguità: le dirigenze massimaliste respingono   il   dictat   bolscevico,   ma   confermano   la   strada rivoluzionaria, non risolvendo per nulla l'ambiguità. Così Bordiga, Tasca, Gramsci, Togliatti, Terracini escono dal psi e fondano il Pci, sezione italiana della Comintern.Rimane da capire   la   strategia   di   Lenin:   per   qualcuno   vorrebbe   la rivoluzione mondiale attraverso l'esportazione del partito sul modelo bolscevico mentre per qualcuno la Comintern nasce già in termini difensivi dell'Urss. Piano piano tramontano le speranze(con le sconfitte della riv. Tedesca e ungherese) di   rivoluzioni   in   occidente.   Lenin   sicuramente   sente   il bisogno di rompere il cordone sanitario dando vita ad una rete   dipartiti   fratelli   inseriti   entro   l'occidente   come ulteriore   colonna   di   sostegno   dell'Urss,aggirando l'isolamento a cui il cordone sanitario doveva destinare i bolscevichi. Turati non a caso nel 1921 denuncia la funzione strumentale di questa operazione,affermando che il partito comunista   russo   punta   a   spaccare   i   partiti   socialisti europei   per   reclutare   truppe   fedeli   a   Mosca   (è   il nazionalismo russo, dice Turati, che si aggrappa a noi per salvare se stesso). La scissione non ha grandi effetti nei numeri,ma provoca grande smarrimento tra i militanti, mentre continuano le incursioni fasciste. I Fasci approfittano di questa confusione per esplodere nelle città: nel Febbraio del 1921 a Firenze l'attacco squadrista a un corteo operaio dà il via ad una battaglia che durerà 4 giorni. Carabinieri e guardie regie danno manforte ai fascisti con autoblindati e mitragliatrici: ci saranno 20 morti e 1500 arresti, tutti tra i socialisti e i comunisti. Poco dopo a Torino, protetti dalle forze dell'ordine, 100 fasci bruciano la Camera del Lavoro. Le reazioni del psi e del Pci sono deboli per varie ragioni:­manca la consapevolezza di quanto sta avvenendo (al congresso di Livorno il tema delle aggressioni fasciste è appena accennato). Ad ogni ennesimo attacco squadrista il Psi esprime stupore come fosse la prima volta­non credono proprio  che  possa essere  il  fascismo  a  dare  il  via  alla rivoluzione: il Psi ha appena affermato che non ci sono le 

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condizioni e che nel frattempo lo stato deve garantire il rispetto dei diritti e le libertà del popolo rosso contro gli   squadristi,   questo   nonostante   militanti   e   dirigenze socialiste   e   comuniste   locali   sappiano   bene   quale   sia   il ruolo delle forze dell'ordine.­incapacità di organizzazione: la   velocità   e   precisione   degli   assalti   fascisti,   che anticipano   le   tecniche   della   moderna   guerriglia,   rendono difficile non solo organizzare reazioni , ma anche chiamare in tempo i compagni dai paesi vicini. Anzi rispondono con i classici   cortei,   che   non   fanno   altro   che   creare   ghiotte occasioni   per   i   Fasci   per   sparare   di   nuovo   nel   mucchio, attaccando il corteo da tutti i lati, provocando quel caos che   poi   spetta   alle   forze   dell'ordine   placare.   L'unica scintilla di reazione sono gli Arditi del Popolo.

7. i Fascisti in ParlamentoTra i vantaggi che i Fasci hanno conquistato c'è quello di avere candidati nei cosiddetti“blocchi nazionali” assieme ad esponenti   di   prestigio   del   ceto   politico   liberale.   È Giolitti   a   indire   elezioni   anticipate   proprio   mentre l'offensiva   squadrista   è   ai   massimi   livelli   in   un   clima elettorale poco adatto. Giolitti è infatti convinto che la Parlamentarizzazione dei fascisti ne avrebbe neutralizzato la carica violenta ed eversiva. Giolitti sa che il gioco deve finire sia per il livello raggiunto dalle violenze, sia perchè si rischia che una rivoluzione scoppi davvero, sia perchè   piano   piano   i   poteri   costituiti   sono   sempre   più delegittimati. A Giolitti non sfugge nemmeno il cameratismo venutosi a creare tra le forze dell'ordine e gli squadristi, che   essi   ritengono   giovani   e  coraggiosi   patrioti.   E'   del 1920   la   circolare   agli   uffici   di   propaganda   militare   dei comandi   d'armata   dal   colonnello   Caleffi   che   definisce   i fasci   di   combattimento,   forze   vive   da   contrapporre   agli elementi antinazionali e sovversivi. Giolitti non punta a risolvere   questo   problema:   resta   convinto   che   sarà   la parlamentarizzazione   a   risolvere   tutto.   Quel   che   Giolitti spera è di ottenere alle elezioni una riscossa dei liberali e un successo dei blocchi nazionali per poter così liberarsi dell'influenza dei popolari e avere una salda maggioranza. Giolitti sbaglia tutto: Mussolini si precipita nel piatto ricco dell'offerta elettorale dei liberali, ben consapevole che   questo   può   aprirgli   nuovi   spazi   di   manovra   politica, visto che, coi rossi ormai in difficoltà e col bisogno di normalizzazione   che   si   sta   diffondendo   nei   borghesi,   il Fascismo agrario è in forte riflusso. Mussolini sa che da 

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una   parte   sta   perdendo   quella   base   che   aveva   come   unico motivo   di   appartenenza   ai   Fasci   l'antisocialismo,   base reazionaria   che   non   ha   lo   slancio   vitale   che   occorre   a Mussolini per la rivoluzione, dall'altra rischia di deludere quella   parte   di   giovani,   intellettuali,   ex   combattenti   e sindacalisti   rivoluzionari   che   da   lui   si   aspettano   la rivoluzione   antisistema   antisocialista,   antiparlamentare, antiborghese, anticapitalistica. Mussolini nel 1921 sa bene che i Ras non si rassegneranno alla normalizzazione, ma sa che la partita elettorale gli consentirà di muoversi su due tavoli   comunicanti,   quello   della   legalità   e   quello   della violenza   (   i   blocchi   nazionali   gli   permettono   anche   di riallacciare   un   dialogo   coi   nazionalisti   della   destra liberale).   Alla   fine   si   varano   liste   col   fascio   littorio come simbolo. Ci saranno 40 giorni di violenza e sangue per la campagna elettorale: 100 morti che seppelliscono l'onore del paese e dei liberali al governo, che non sentono nemmeno il bisogno di dissociarsi pubblicamente. Per Giolitti è una tragedia: le liste ottengono ottimi risultati, ma vincono tutti   gli   avversari   di   Giolitti,anche   tra   i   liberali.   I liberali alla fine ottengono una maggioranza relativa, che diventa   assoluta   solo   con   l'appoggio   dei   35   deputati fascisti. Aumentano i popolari, scendono i socialisti. Il nuovo   governo   guidato   da   Bonomi   è   una   replica   di   quello precedente: i liberali si basano sull'appoggio dei popolari. I   fasci   non   appoggiano   il   governo   non   avendo   nessuna intenzione   di   farsi   assorbire   dai   liberal­costituzionali: non hanno nessuna intenzione di parlamentarizzarsi.

8. la marcia su RomaLe elezioni del 21 segnano un chiaro spostamento a destra della politica italiana. Bonomi dovrebbe imporre il disarmo forzato delle squadre fasciste e uno stretto giro di vite, ma non ha la forza per imporre questo ad un parlamento con molti   nazionalisti   e   fascisti   eletti.   Ne   serve   a   nulla lasciare   che   siano   Psi   e   Fasci   a   risolvere   problemi:   il patto dell'agosto del 21 tra Psi e Mussolini per cessare le ostilità finisce nel nulla. Il Psi ha chiari motivi per fare questo   accordo,   Mussolini   invece   è   preoccupato   per   la nascita degli Arditi del popolo e per l'episodio di Sarzana dove   i   carabinieri   si   sono   schierati   coi   rossi   sparando sulle   squadre   fasciste.   Ma   i   ras   delle   provincie   si oppongono, arrivando a sfidare la leadership di Mussolini, che cede. Nel novembre del 1921 in ogni caso i Fasci di Combattimento si trasformano nel Partito nazionale fascista, con   una   struttura   che   Mussolini   riesce   a   controllare facilmente dall'alto. Capo del Pnf diventa Michele Bianchi, 

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ex sindacalista rivoluzionario molto amico di Mussolini. Nel 22   nasce   anche   la   Confederazione   nazionale   delle corporazioni   sindacali,   il   sindacato   fascista   (sono   tutte armi legali con cui Mussolini vuole contrastare il potere dei ras). Gli ex rivoluzionar iche entrano nel Pnf o nel sindacato fascista hanno solo trasformato la rivoluzione di classe   in   rivoluzione   nazionale,   ma   la   loro   identità originaria resta la stessa: parlano ancora di rivoluzione e sognano   la   sindacalizzazione   della   società,   sempre   in termini   eversivi   del   vecchio   ordine   capitale­lavoro.   Le organizzazioni fasciste hanno un boom di iscritti, molti dei quali   spinti   dalla   paura   dello   squadrismo.   Inizialmente comunque   le   organizzazioni   fasciste   non   nascono   sotto   il segno della destra conservatrice, ma sembrano spalancare le porte   al   dialogo   col   popolo   rosso,   non   quello   bolscevico antinazionale, ma quello dei lavoratori Cgil e Federterra. Resta   difficile   da   capire   se   Mussolini   volesse   davvero riallacciare   un   rapporto   con   quel   mondo   che   lo   aveva cacciato: il progetto comunque è complicato finalizzato alla conquista   del   potere   passando   per   l'acquisizione   di   una forte base di massa, individuata in quegli strati di piccola borghesia (sono quegli strati che Psi e Cgil hanno respinto come   servi   del   capitale,   che   però   non   sono   per   nulla impermeabili alla sindacalizzazione, che cercano canali di espressione   e,   di   fronte   al   rifiuto   rosso   sono   diventati antisocialisti e antiproletari). Ciò non toglie che restano, entro   il   fascismo,   i   grandi   proprietari   terrieri  e   gli industriali, di sicuro grandi sostenitori della crescita dei Fasci   e   del   Pnf,   che   spostano   tutto   su   posizioni reazionarie.   Comunque   per   conquistare   il   potere   occorre passare anche per il Parlamento, anche perchè c'è un certo fervore   nelle   file   rosse:nasce   l'alleanza   sindacale, organizzazione   di   collegamento   tra   i   vari   sindacati   per rispondere agli squadristi e si vocifera la nascita di una unità antifascista, mentre altri tentano di dialogare con D'Annunzio,   sfruttando   la   sua   ormai   palese   freddezza   per Mussolini. Tra il Psi Turati è pronto a spezzare il vincolo coi   massimalisti,   mentre   tra   i   liberali   i   democratici tentano di organizzarsi di nuovo. Alla fine del 1921 nasce il   gruppo   parlamentare   della   Democrazia,   con   ben   150 deputati (tra i quali orlando e Nitti) e poco dopo nasce il PLI   che   rende   chiaro   che   anche   i   liberali   finalmente capiscono   il   bisogno   di   avere   un   partito   per   governare società   di   massa.   Mussolini   ha   timore   di   tutto   questo fermento e risveglio di forze democratiche e antifasciste. Mussolini allora stringe le fila cercando di conquistare la fiducia della destra dei blocchi nazionali, ammiccando ai repubblicani, facendo scomparire le invettive antiborghesi dal “popolo d'Italia” e avviando rapporti col Vaticano, che ora col nuovo Papa, ha rapporti più conflittuali col Ppi. Pio Xi comincerà a vedere di buon occhio gli articoli de 

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lPopolo   d'Italia   che   parlano   del   bisogno   di   disgelo   tra l'Italia e il Vaticano: Sturzo ovviamente non può accettare tutto   questo   che   sa   che   nelle   alte   sfere   vaticane   tira un'aria favorevole all'aristocrazia nera papalina dei grandi proprietari   terrieri   e   ai   clerico­moderati,   da   sempre avversi al troppo democratico Ppi.Ma quando cade il governo Bonomi,   Sturzo   fa   veto   alla   candidatura   di   Giolitti,   che voleva la sua rivincita su Mussolini, preparando la strada al fascismo (l'antigiolittismo di Struzo è un punto su cui la storiografia si è interrogata molto: può dipendere dalla consapevolezza   che   il   PPI   entrava   negli   esecutivi giolittiani   solo   per   necessità,   oppure   dal   fatto   che   il costante   patteggiamento   giolittiano   per   la   candidatura   di esponenti cattolici aveva ritardato di molti anni la nascita di   un   partito   cattolico..).   La   soluzione   trovata   è   un fallimento   totale:   sperando   di   ottenere   l'appoggio   anche della   destra   socialista   di   Turati   il   Ppi   accetta   la candidatura   di   Facta,   un   giolittiano   di   secondo   piano, sbiadito,   più   conservatore   di   Giolitti,   molto   meno autorevole.   Mussolini   lo   sostiene,   sapendo   di   poterlo manovrare come gli pare. Nella primavera del 22 i Fasci di combattimento   assaltano   e   occupano   per   giorni   Bologna, Ferrara,   Ravenna,   Ancona   ecc...   i   socialisti   si   chiudono nelle case e comincia l'esodo politico legato al fascismo: i primi   militanti   di   secondo   piano   lasciano   l'Italia   e   si perdono nel conto dei migranti che vanno a cercare lavoro all'estero.   Federterra   e  le   leghe   bianche   (si   assalta   la casa di Miglioli, deputati Ppi)hanno un crollo di iscritti. Di fronte all'attacco a alleati di governo Facta non può far finta   di   nulla:   si   dimette.   Turati   sa   che   non   c'è   un sostituto plausibile a va al Quirinale dichiarando al re la disponibilità ad appoggiare un governo liberale che metta all'ordine del giorno il ripristino della legalità: questo provocherà   solo   un   putiferio   tra   i   socialisti, preannunciando l'ennesima scissione. Facta vara un secondo governo   uguale   all'altro   mentre   la   violenza   squadrista culmina nella colonna di fuoco,guidata da Balbo, che in una notte devasta le cooperative riformiste e repubblicane nella pianura di Romagna. Così l'Alleanza sindacale propone uno sciopero   generale“legalitario”   che   scatena   di   nuovo   la violenza squadrista. Lo sciopero è un fallimento totale: i fasci riescono ad assaltare i cortei e a garantire tutti i servizi   pubblici.   I   fasci   occupano   Milano,   poi   Genova, Livorno....   soltanto   Bari   e   Parma   respingono   i fascisti,grazie alle sollevazioni dei quartieri operai. Le camicie   nere   sono   infervorate   quando   piove   loro   addosso l'ordine   di   smobiltazione,   dalle   colonne   del   Popolo d'Italia, lanciato da Mussolini: Mussolini sa che prefetti e questori hanno passato i loro poteri all'esercito. Mussolini sa che ora occorre giocare la carta Parlamentare: avvia due mesi   di   trattative   sotterranee   con   Giolitti   cercando   di 

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convincerlo   ad   accogliere   i   fascisti   nel   governo (compromesso   che   sarebbe   soddisfacente   per   molti industriali, per il re), e ottenere l'appoggio del Ppi e dei riformisti   di   Turati   espulsi   dal   Psi.   Dopo   due   mesi Mussolini getta la maschera legalitaria: chiede di essere nominato   presidente   del   consiglio   minacciando,   in   caso contrario, la mobilitazione delle squadre fasciste. Il piano della marcia su Roma scatta immediatamente: Bianchi mobilita tutti e Bianchi,Balbo, De Bono, De vecchi, i quadriumviri del Pnf, si mettono in testa alle colonne fasciste marciando su Roma,mentre in tutte le altre città le squadre fasciste sono sul piede di guerra. Ma la mobilitazione, dal punto militare, è risibile: sono solo 15mila le camicie nere che marciano   su   Roma,   che   hanno   ad   aspettarli   12mila   soldati armati di carri armati e mitraglie. Il governo propone lo stato d'assedio al re, per autorizzare la difesa di Roma, ma il Re non lo firma. Anzi Vittorio Emanuele III sceglie la strada del compromesso, nominando Mussolini primo ministro. Il   re   è   spinto   ancora   dall'illusione   della parlamentarizzazione dei fascisti, così come dalla paura di scontri tra esercito e fascisti, che potrebbero provocare tensioni sia entro gli alti gradi delle forze armate, sia dentro   la   Casa   reale   per   non   parlare   del   rischio   della controffensiva   della   sinistra   rivoluzionaria.   Mussolini, chiuso entro l'Hotel Savoia, prepara la lista dei ministri cercando di mettere a tacere ogni scrupolo costituzionale della classe politica governativa: nell'esecutivo presentato al   re   Mussolini   si   riserva   l'interim   all'Interno   e   agli Esteri; entrano solo due fascisti­ Diaz e Thaon de Revel, due popolari e sei liberali di tendenze varie. Una larga coalizione   quindi,   la   prova   effettiva   della parlamentarizzazione dei fascisti. Ma le parole di Mussolini del 16 novembre sono una doccia gelata: “mi sono rifiutato di   stravincere,potevo   stravincere...potevo   fare   di   questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli,potevo sprangare il   Parlamento   e   costruire   un   governo   esclusivamente   di fascisti...potevo, ma almeno in questo primo tempo non ho voluto...”

Parte seconda L'ITALIA FASCISTA

4) LA NASCITA DELLA DITTATURA (1922­1929)

1. mondo economico e fascismoAncora prima di presentarsi in Parlamento Mussolini abolisce la legge sulla nominatività dei titoli, tanto odiata dagli industriali,   qualche   giorno   dopo   ottiene   pieni   poteri economici   e   amministrativi   dalla   Camera.   Ora   che   ha   il controllo   dell'economia   Mussolini   deve   ripagare   il   debito 

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con   gli   industriali   (è   del   25   l'accordo   Confindustria   e sindacati   fascisti):   si   elimina   il   disavanzo   statale,   si abrogano le norme sull'avocazione dei profitti in tempo di guerra,   si   accantonano   le   risultanze   più   gravi   della commissione parlamentare d'inchiesta sulle spese di guerra, si salva l'Ansaldo e il Banco di Roma. Un bel pacchetto di scambio per i fratelli Perrone, per il Vaticano ma anche ai tanti evasori che si sono arricchiti durante la guerra. De Stefani,   ministro   sia   delle   Finanze   che   dell'Economia, liberista   spinto,   lascia   totale   libertà   di   azione   e   ampi margini   di   profitto   all'iniziativa   privata,   riducendo   la spesa   pubblica   e   falcidiando   i   dipendenti   pubblici, sopratutto   i   ferro­tramvieri:   la   selezione   che   doveva basarsi   su   anzianità   e  improduttività   diviene   una   vera   e propria   epurazione   politica   contro   le   categorie   più agguerrite.   Lo   Stato   rinuncia   anche   al   monopolio   sul telefono   e   sulle   assicurazioni   sulla   vita.   E   c'è   una concessione non diretta, ma ormai chiara: i sindacati rossi piegati   sotto   le   bastonate   e   le   pistole   dei   Fasci   di combattimento   hanno   perso   quasi   del   tutto   il   potere contrattuale:   sono   quasi   scomparsi   scioperi   e   cortei. Mussolini sta bene attento a che i sindacati fascisti non raccolgano la bandiera del conflitto che i rossi non agitano più, ponendo i sindacati fascisti sotto il diretto controllo dei   Prefetti   e   piegati   ai   piani   aziendali.   In   cambio Confindustria   accetta   come   interlocutori   di   preferenza   i sindacati fascisti, anche se per ora gli altri restano vivi. L'accordo   tra   confindustria,   sindacati   e   Mussolini   di armonizzare la loro azione a quella di governo e armonizzare il   rapporto   capitale­lavoro   è   uno   schiaffo   alla   Cgil. Mussolini in un primo momento voleva inglobare la Cgil, che rappresentava la maggioranza dei lavoratori,e la cosa non era fuori dal mondo visto che le dirigenze riformiste non erano   per   nulla   indifferenti   alle   avances   di   Mussolini. Addirittura   spunta   la   proposta   di   unificazione   sindacale, usando   come   collante   tra   Cgil   e   sindacati   fascisti   quei molti sindacalisti rivoluzionari che sono transitati dalle organizzazioni rosse a quelle dei Fasci, tra cui personaggi autorevoli   come   Giuseppe   di   Vittorio.   Ma   ci   sono   vari ostacoli:   l'odio   che   il   periodo   dello   squadrismo   ha costruito e il fatto che i sindacalisti fascisti sanno che trovarsi di fronte la Cgil, comporta finire in minoranza. Mussolini, dal canto suo,dovendo continuare a illudere tutti della costituzionalizzazione del Fascismo invita al dialogo 

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i   sindacati.   Mussolini   è   comunque   sotto   l'attenzione   di tutti gli stati, sapendo bene che c'è in tavolo la questione dei   debiti   di   guerra:   per   questo   De   Stefani   cancella   il deficit,comprime   i   consumi,   fa   riduzioni   fiscali   che stimolano   l'investimento   e   le   esportazioni.   Se   a   questo aggiungiamo   che   Mussolini   con   Usa   e   G.B   si   incontra   per stabilire un calendario dei rimborsi dei debiti si capisce come Mussolini salga in fretta nell'apprezzamento di molti stati,   anche   e   sopratutto   grazie   alla   sua   rivoluzione antibolscevica.

2. lo squadrismo non disarmaNel Dicembre del 1922, dopo due mesi di governo fascista, proseguono le violenze. Si assaltano la Camera del Lavoro e la sede dell'Ordine nuovo e molti circoli opera i torinesi con vari morti socialisti e comunisti. Da lì ci sono stati vari episodi in tutta Italia. Il Gran Consiglio del Fascismo (appena nato: vi siedono i dirigenti del Pnf, il direttore generale   della   PS,   i   segretari   delle   corporazioni fasciste,il capo di stato maggiore della Milizia, l'addetto stampa della presidenza del Consiglio, i commissari politici del fascismo)nel Gennaio del 23 dichiara sciolte le squadre d'azione. Si decide anche la costituzione della MVSN cioè la Milizia   Volontaria   per   la   sicurezza   nazionale   in   cui dovrebbero   confluire   gli   ex   squadristi,   inquietante   dal punto di vista costituzionale visto che è sotto il diretto controllo di Mussolini e non deve prestare fiducia al Re. Sono   tutti   tentativi   di   normalizzazione   apparente, contraddetti dai fatti: poco dopo la creazione della MVSN si scatena   di   nuovo   la   violenza   squadrista   a   La   Spezia,   di nuovo appoggiata dalla forza pubblica (dietro ci sono i ras Farinacci, Balbo, Forni ecc..) che non hanno nessuna voglia di   perdere   il   potere   ottenuto.   E   questo   di   mostra   che Mussolini tenta, ma non riesce, di imbrigliare i ras con la MSVN. Sa che per consolidare il suo potere, il duce deve entrare in Parlamento e sbarazzarsi delle squadracce, ma sa anche di non avere la forza per imporre il suo volere a tutto   il   fascismo:   così   pur   di   non   avviare   uno   scontro interno si limita a porre dei paletti. Alla fine i ras sono un problema per il Duce, ma portano anche cose positive: socialisti e comunisti non riescono a rialzare la testa. Qui interviene   anche   la   polizia:   il   Pci   viene   decimato   con l'arresto di Bordiga e di tutta la dirigenza nel Febbraio del 23. Poco dopo tocca a Giacinto Menotti Serratti, passato al comunismo. Il processo si concluderà con una assoluzione 

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generale,   ma   molti   comunisti   cominceranno   l'esilio.   Gli unici   protetti   restano   i   deputati   del   pci,   protetti dall'immunità   parlamentare,   ma   non   li   garantisce   dagli assalti   delle   squadre   nere.   Ma   la   violenza   dei   Ras   si scatena   anche   contro   ipopolari,   nonostante   vi   siano   due popolari nel governo: il punto è che i popolari ormai sono stati   scavalcati   dal   dialogo   diretto   che   Mussolini   ha cominciato col Papa, mentre Don Sturzo si oppone sempre di più all'alleanza col Pnf. IL partito si spacca tra la destra clericale e la sinistra democratica. Mussolini comincia, per arrivare dritto al cuore del popolo cattolico, a parlare del sentimento   per   Dio   e   per   la   Patria   che   hanno   tutti   gli italiani ( e partono i crocifissi obbligatori nelle scuole e nei   tribunali   e   il   pareggio   delle   tasse   per   le   scuole pubbliche e private). Ad Aprile arriva la riforma Gentile che introduce l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole   e   introduce   l'esame   di   stato   per   le   private:   una parificazione   delle   scuole   private.   De   Stefani   salva   il Banco   di   Roma,   cassaforte   della   finanza   vaticana,   mentre Mussolini di dichiara profondamente religioso. La Santa Sede emana una circolare che invita i cattolici a non assecondare partiti: è la morte del Ppi. Sotto le pressioni di Vaticano e destra popolare Sturzo si dimette da segretario del Ppi. Sarà   proprio   il   gruppo   parlamentare   Ppi,   allo   sbando,   a diventare   cruciale   per   l'approvazione   della   legge   Acerbo: alcuni popolari escono dall'aula, altri si astengono, alcuni votano si. La violenza squadrista,dopo il voto, si abbatte di nuovo contro i bianchi. Il Papa non muove un dito: pensa che Mussolini sia un defensor fidei più efficace, ma anche meno democratico e meno moderno dei cristiano sociali. Piano piano   si   stringe   il   cappio   anche   introno   al   collo   dei liberali: Gobetti finisce in prigione, la casa di Nitti è devastata da una squadra fascista senza che la PS muova un dito,   Amendola   è   pestato   da   una   squadraccia   nera.   La rappresaglia parte perchè i 3 si oppongono alla legge Acerbo (collegio unico nazionale,premio di maggioranza di 2/3 dei seggi del parlamento a chi ottiene la maggioranza dei voti, quorum minimo 25%).

3. legge Acerbo ed elezioni del 1924Il   perchè   della   Legge   Acerbo   è   facile:   il   gruppo parlamentare fascista è numericamente molto inferiore, e più debole   di   quello   del   PPI   e   dei   Liberali.   Essi   possono abbatterlo   quando   vogliono   e   Mussolini   vuole   privarli   di questo potere prima di andare alla verifica elettorale: sa 

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infatti che il proporzionale offre buoni vantaggi ai partiti di massa come il Ppi e il Psi, troppo fastidiosi per lui. Sa cioè che mantenendo la vecchia legge elettorale, Ppi, Pci e Psi saranno troppo fastidiosi per lui, anche se è certa la vittoria fascista. Vinta la resistenza parlamentare del Psi e Pci e del Ppi grazie al Vaticano, la strada per la legge Acerbo   è   spianata,   coi   liberali   che   votano   in   direzioni diverse   senza   una   linea   comune.   Infatti   gradiscono   il ritorno   all'uninominale   Giolitti   e   Salandra   e   persino Amendola (anche se poi si schiera contro la legge Acerbo). Nel   23   i   liberali   dimostrano   di   non   avere   nessuna lungimiranza:   entrano   di   nuovo   nei   blocchi   nazionali, pensandoli   replica   di   quelli   del   21,   ignorando   l'enorme premio   di   maggioranza.   Così   Orlando,   Salandra   e   altri   si candidano nei blocchi, mentre la destra liberale si fonde col fascismo. Salandra arriva ad affermare che Mussolini è l'erede   autentico   della   tradizione   risorgimentale.   Al contrario Amendola vede il fascismo come un cancro e pensa di   poterlo   sconfiggere   partendo   dal   Sud,   dove   crede   sia ancora possibile una reazione, rinnovando in toto le elites liberali   e   ricordando   agli   italiani   che   tra   i   motivi dell'entrata   in   guerra   c'era   la   bandiera   della   libertà sventolata contro le autoritarie Germania e Austria. Così, spinto   da   queste   idee,   Amendola   propone   la   fondazione dell'Unione   nazionale,   un   movimento   politico   democratico, che sorge nel 24, per rompere silenzio e passività della vecchia   classe   dirigente   che   lascia   senza   guida   la stragrande maggioranza degli italiani, rimasti estranei alla guerra civile, ma non impassibili di fronte alle violenze. Amendola   sogna   che   i   voti   di   questi   elettorivotino   quei pochi   parlamentari   fedeli   allo   statuto   per   riportare   il paese   entro   i   binari   costituzionali.   Il   Sud   è   la   base migliore perchè lì né il Psi, nè Ppi e nemmeno il Pnf si sono ancora radicati. Quel che Amendola sbaglia è che al sud il Pnf non penetra non perchè abbia particolari vocazioni democratiche   ma   perchè   ha   una   popolazione   ignorante   e arretrata fosse anche solo per iscriversi ad un partito: non sono politicizzati. Al sud i notabili non si sono consegnati al   fascismo   perchè   lo   vedevano   troppo   moderno   e rivoluzionario. Ma dopo la presa del potere di Mussolini, magicamente, tutti i notabili del Sud si scoprono fascisti: il   loro   trasformismo   filogovernativo   è   confermato. Nasceranno si alcuni nuclei dell'Unione, ma saranno piccoli e deboli. E anche nel resto d'Italia sono pochi gli italiani 

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dei ceti medi che rispondono al richiamo di Amendola. Gli altri   vanno   verso   il   fascismo,   molto   più   attrattivo.   La piccola e media borghesia sogna di andare al potere grazie al   fascismo   che   si   pone   come   soggetto   capace   di rivoluzionare   il   paese,   ma   non   si   rendono   conto   che   il fascismo sta prendendo il potere col Vaticano, i banchieri, i   grandi   imprenditori.   E'   evidente   l'equivoco   di   fondo creato dal linguaggio e dalla propaganda fascista. Amendola, che si oppone al fascismo, è visto come un conservatore, un amico   dei   liberali   e   della   vecchia   oligarchia   liberale sbagliando anche il tono: fanno appello alla legalità, alla tradizione,   si   doveri,   alla   tolleranza   reciproca, all'ordine.   Tutti   i   valori   insomma   che   i   fascisti   e Mussolini   calpestano   fin   dal   primo   giorno   della   campagna elettorale,   mentre   l'altra   faccia,quella   legale,   la garantiscono i candidati liberali Salandra e Orlando. Gli squadristi   si   mettono   presto   all'opera:   viene   ucciso   un deputato Psi Antonio Piccinini. Dilagano al centro e al sud. I blocchi nazionali ottengo il 64% dei voti, che fruttano con il premio 375deputati: 275 di questi sono iscritti al pnf, hanno meno di 40 anni e provengono per la maggior parte dalle file della piccola e media borghesia. Tranne Pci e Repubblicani   gli   altri   partiti   dimezzano   i   consensi   (in alcune regioni le liste antifasciste però prendono più voti di quelle fasciste Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto). E' la parte meno politicizzata e più arretrata che fa vincere Mussolini.   Tra   le   file   dei   socialisti   unMatteotti   appena eletto denuncia la violenza e i brogli del fascismo (mentre Amendola   si   dissocia   alla   sua   protesta).   Matteotti   viene ucciso   il   10   giugno   1924   rapito   e   accoltellato   da   una squadra fascista.

4. il delitto Matteotti e l'AventinoLa   notizia   arriva   in   Parlamento   due   giorni   dopo:   i socialisti accusano subito i fascisti,ma sono della stessa idea   sia   tutti   gli   altri   antifascisti,   sia   i   fascisti stessi.   Mussolini   viene   indicato   come   mandante.   Mussolini pochi giorni dopo garantisce il massimo impegno del governo nelle indagini e assicura la punizione dei colpevoli. Poi, incassato il voto di fiducia all'esercizio provvisorio del bilancio fa sospendere i lavori della Camera dal presidente Alfredo Rocco. Ma l'opposizione ora è sul piede di guerra. Tutti i gruppi parlamentari di opposizione, escluso quello liberale,   compreso   quello   comunista   si   organizzano   in   un comitato   per   decidere   quali   azioni   intraprendere   per 

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ripristinare la legalità. I comunisti propongono lo sciopero generale, rigettato sia dalla Cgil che dagli antifascisti moderati.   Amendola   e   Bonomi   propongono   di   sperare nell'intervento   del   Re,   affinchè   cacci   Mussolini   dal governo. Per sei mesi la via reale e quella della piazzasi confrontano: non troveranno accordo, ma avranno sicuramente il   merito   di   scuotere   finalmente   l'opinione   pubblica italiana . Il Corriere della sera cambia completamente linea editoriale e Gentile, De Stefani e altri ministri danno le dimissioni. Questo va di pari passo con lo svolgimento delle indagini,   in   cui   spuntano   sempre   più   dirigenti   fascisti coinvolti nel delitto, mentre le notizie rimbalzano in prima pagina e fanno perdere al fascismo consensi. Alla fine i colpevoli   saranno   individuati   in   4   arditi   milanesi   e   uno toscano,   stipendiato   dall'ufficio   stampa   di   Mussolini. Cadono altre teste:questore e capo della polizia romana, il capo   dell'Ufficio   stampa   della   Presidenza   del   Consiglio, Mussolini   stesso   lascia   l'interim   agli   Interni.   Giovanni Marinelli,   segretario   amministrativo   del   Pnf,   viene arrestato.   Il   Prefetto   di   Milano   scioglie   gli   arditi milanesi   e   traballa   anche   la   poltrona   del   comandante generale delle MVSN. Mussolini in aula ribadisce ancora la volontà   del   fascismo   di   costituzionalizzarsi,   ma   annuncia anche chela maggioranza è stanca di prendere ultimatum dalla minoranza.   Mussolini   ottiene   comunque   la   fiducia,   grazie alla legge Acerbo che gli ha garantito una maggioranza così ampia da reggere un colpo duro come il delitto Matteotti. Il 27   Giugno   i   gruppi   delle   opposizioni,   riuniti   a Montecitorio, dopo aver commemorato Matteotti, approvano una mozione che li impegna a non partecipare più all'attività del Parlamento finchè non verrà costituito un governo nuovo, sciolta   ogni   milizia   di   parte,   ripristinata   la   piena legalità nel paese. Si ritirano quindi nell’ ”Aventino delle loro   coscienze”,   richiamando   la   storica   secessione   della plebe   romana.   Mussolini,   semplicemente,   li   ignora:   il silenzio è la migliore arma, visto che qualsiasi strada si decida di percorrere crea comunque un polverone di polemiche a   esclusivo   vantaggio   delle   opposizioni.   Sfruttando   le misure   restirittive   della   libertà   di   stampa,   già   votate entro   la   Legge   Acerbo,   Mussolini   mette   a   tacere   tutti   i giornali   che   danno   risonanza   alla   secessione   aventiniana censurando   tra   gli   altri   l'”Unità”   del   Pci,   l'Avanti   del Psi, la Giustizia del Psu. I prefetti hanno la facoltà di censurare   o   sopprimere   le   pubblicazioni   che   parlano 

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dell'assassinio di Matteotti oche incitano al sovvertimento dell'ordine. Piano piano l'attenzione per la questione va scemando e gli aventiniani non se ne rendono conto, pensando invece che il ritrovamento del cadavere comporti una nuova ondata   di   indignazione.   La   linea   restala   stessa,   quella scelta da Amendola: opposizione nelle istituzioni senza il ricorso   alla   piazza   sperando   di   riuscire   a   convincere   i liberali a far cadere il governo Mussolini (si punta sugli 80   deputati   della   maggioranza   non   tesserati   PNF,   tra   cui Salandra e Orlando assieme ad altri non eletti nelle liste del   Pnf   ma   che   appoggiano   il   governo   e   il   manipolo   di deputati liberali guidati da Giolitti). Il loro passaggio in toto non porterebbe alla caduta del fascismo, ma renderebbe difficile la vita a Mussolini e potrebbe indurre il re a muoversi.   Tra   gli   aventiniani   Pci,   socialisti   e   giovani democratici vogliono passare all'azione e ritengono il piano troppo macchinoso e lungo, troppo vincolato alle decisioni di   quella   vecchia   classe   dirigente   che   si   è   dimostrata filofascista o comunque pavida e incapace (si può affidare il destino dell'Italia e degli antifascisti nelle mani di un Salandra,   un   Orlando,   un   Giolitti,   oggi   alleati fascisti??)   :   occorre   scendere   in   piazza,   mobilitando   le masse indignate contro ilPnf. Il “partito della piazza” è largamente minoritario quando le camere riprendono i lavori dopo   la   pausa   estiva.   Nell'Aula   si   presentano   solo   i comunisti, che hanno deciso di abbandonare l'Aventino, tutti gli altri continuano lo sciopero parlamentare. Giolitti si schiera   contro   il   governo   mentre   Ettore   Conti   esprime   il disagio della Confindustria,seguito dal discorso che esprime il   disagio   delle   forze   armate.   Salandra   si   dimette   dalla presidenza   della   Commissione   Bilancio   della   Camera.   Dal giornale   di   Amendola,“il   Mondo”   viene   pubblicato   un memoriale di cesare Rossi, ex capo dell'ufficio stampa della presidenza   del   consiglio,   ora   latitante,   che   in   pratica lascia   emergere   la   diretta   responsabilità   di   Mussolini nell'omicidio. Mussolini il 3 Gennaio del 1925 si presenta alla Camera e proclama che: 

“al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo   italiano,   io   assumo,   io   solo,   la   responsabilità politica, morale e storica di quanto è avvenuto […] Se il fascismo è una associazione a delinquere io sono il capo di questa associazione”. 

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E'una ammissione di colpa. A Marzo del 26 si conclude il processo: sono condannati a 6 anni di carcere (4 condon iper amnistia) i responsabili materiali dell'omicidio, ritenuto non premeditato. Comunque è confermata sia la responsabilità fascista, sia è reso chiaro agli occhi di tutti quali sono le   pratiche   di   cui   si   avvale   il   Pnf:   anche   per   questo Mussolini si assume la responsabilità di tutto, visto che le accuse non sono nulla di nuovo e già lo si sapeva dai tempi dello squadrismo. Mussolini promette la “calma laboriosa” di cui   necessita   l'Italia,   affermando   che   la   costruirà   con l'amore,   ma   anche   col   la   forza   se   necessario.   Alcuni liberali   si   dimettono,   gli   aventiniani   dichiarano pubblicamente il loro sdegno (a beh!!) ma lo stato liberale è ormai smantellato. La svolta è una direttiva al prefetti, in   cui   sono   invitati   a   impedire   ogni   manifestazione   e   a esercitare un controllo rigoroso su circoli, ritrovi, gruppi sospetti da un punto di vista politico, di sciogliere le formazioni   sovversive.   Dopo   poco   spariscono   centinaia   di circoli,   associazioni,   realtà.   Si   promulgano   a   raffica decreti limitativi della libertà di associazione. Mussolini ristruttura   il   Pnf,   nel   caos   per   via   delle   defezioni   e tradimenti: Farinacci ne diviene il nuovo segretario, mentre i   vertici   dell'associazione   nazionale   combattenti   sono epurati   perchè   troppo   desiderosi   di   autonomia   dal   Pnf. Infine   si   epura   l'esercito:   si   dimette   il   Ministro   della Guerra,   Mussolini   ne   assume   l'interim   poi   prende   anche quello della Marina, quando Paolo Thaon de Revel si dimette. Nel Giugno del 1925 sono costretti alle dimissioni tutti i funzionari pubblici che non si siano dichiarati fedeli al fascismo.   Mussolini   se   ne   frega   dei   proclami   e dell'indignazione   conseguente,   tanto   ormai   solo   ilRe   può intervenire   e   ne   avrebbe   il   potere,   ma   quando   una rappresentanza degli aventiniani riesce a incontrarlo, lui non   dà   risposte   (questo   peserà   nel   referendum   del1946, assieme al rifiuto della firma dello stato d'assedio). Il re teme di scatenare la violenza fascista obbligando Mussolini alle dimissioni. E c'è da credere che al caos dei fascisti si possa aggiungere quello dei comunisti, ora in grado di far partire una controffensiva. E non si fida dei liberali e di   Amendola   manifestamente   incapaci   di   gestire   la situazione:   i   governi   liberali   post   I   G.M   mondiale   hanno dimostrato l'incapacità dei liberali e per poco è stato il Fascismo a evitare la rivoluzione bolscevica. Per il Re è valso mettere in piedi il governo fascista perchè è l'unico 

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in grado di mantenere l'ordine. Sulla testa del Re pende anche la  spada  di Damocle che gli tengono sulla  testa i Soloni, i 18 membri della commissione che dovrebbe studiare la riforma costituzionale che potrebbe investire anche la corona   (aumentare   i   poteri   dell'esecutivo,   dare   una struttura   corporativa   alla   rappresentanza sindacale,riconoscimento   giuridico   dei   sindacati ecc..)Amendola   morirà   nel   Luglio   del   25,   non   riuscendo   a riprendersi   dalle   ferite   provocategli   da   una   aggressione squadrista   mentre   gli   antifascisti   restano   divisi   tra   il partito di piazza e il partito delle istituzioni.

5. la sconfitta degli antifascistiL'ala giovanile dei partiti aventiniani, compreso lo stesso figlio di Amendola,cominciano a entrare in forte disaccordo coi   padri   del   partito   delle   istituzioni,smaniando   per intervenire   e   provare   il   loro   coraggio   e   la   loro determinazione. Ma dal1925 anche tra “gli adulti” comincia a serpeggiare il malcontento per aver preso una strada che non dà   risultati,   mentre   gli   antifascisti   sono   bastonati   o uccisi, senza  reazione, mentre il clima si fa sempre più irrespirabile. Intorno al “perchè siamo stati sconfitti” si apre   un   lungo   dibattito   di   autocritica   e   critica   e   qui contano molto i giovani, che non si ripiegano sul ciò che è stato,   ma   guardando   dritto   dritto   al   futuro.   Resistenza comincia a diventare la parola chiave. Si apre una stagione di attentati e complotti contro Mussolini: nel 26 Mussolini viene ferito di striscio da un colpo di pistola sparato da un Irlandese Violet Gibson. Due anarchici, Gino Lucetti e Anteo Zanaboni lanciano bombe, in due episodi, contro l'auto di Mussolini. Il Duce ne esce illeso in entrambi i casi: Zanaboni   verrà   linciato   dalla   folla.   Sono   colpi   di disperazione   che   offrono   però   al   governo   il   pretesto   per finire di soffocare le opposizioni: ma non con le squadracce nere, è finita l'epoca d'oro dei ras, che Mussolini vuole soffocare.   Ora   entra   in   funzione   l'apparato   repressivo ufficiale dello Stato. Tra il 25 e il 26 vanno in esilio:­Nitti   in   Francia,   dopo   l'assalto   alla   sua   casa­Sturzo   a Londra, invitato ad andarsene dal card. Gasparri­Salvemini finito in carcere dopo che la sua rivista “non mollare” è stata chiusa d'autorità­Gobetti e Amendola muoiono ammazzati di botte dai fascisti Dopo il 26, con la pubblicazione delle leggi per la difesa dello stato fuggono anche Nenni, Treves, Saragat   mentre   per   far   fuggire   il   vecchio   Turati   (una revisione   governativa   ha   imposto   la   revisione   di   tutti   i 

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passaporti) si mobiliteranno un gruppo di giovani (Rosselli, Parri,   Pertini)   che   rischieranno   il   carcere   per   la   loro generosità.   Turati   resiste   a   lungo   alla   tentazione   di andarsene (è vecchio e ormai solo. Anna Kuliscioff è morta per   cause   naturali   poco   prima),   ma   poi   si   convince   a partire. Sono dichiarate illegali tutte le associazioni di opposizione al fascismo, con pene durissime per chi prova a ricostruirle, si istituisce il confino, si ristabilisce la pena   di   morte   per   chi   attenta   alla   vita   del   Re,   della regina, del principe ereditario, del pres. Del consiglio e per i reati contro lo Stato. Il primo Gennaio 1927 entra in funzione   il   tribunale   speciale   per   la   difesa   dello   Stato presieduto   da   un   generale   di   una   delle   3   armi   o   della milizia,   composto   da   giudici   della   milizia   o   militari: giudicava   i   reati   di   spionaggio,   incitamento   alla   guerra civile,   ricostruzione   e   propaganda   dei   partiti   sciolti, applicando le norme giuridiche militari e senza diritto di appello. Agisce da corte politica. Nasce anche l' Ovra, nata appositamente   per   combattere   gli   antifascisti(l'acronimo, forse,   ma   non   è   certo,   significa   Organizzazione   per   la vigilanza e la repressione antifascista) che agiva come una polizia   politica:   spiava   i  cittadini   di   nascosto,   con   lo scopo di incutere terrore e senza di controllo permanente. Oramai è ufficialmente stato di polizia. Cade vittima della situazione   Gramsci,che   finisce,nonostante   goda   ancora dell'immunità parlamentare, a Regina Coeli seguito, qualche giorno   dopo,   dall'intero   gruppo   parlamentare   del   Pci:   il processo,   che   si   celebra   nel   29,porta   a   condanne pesantissime   intorno   ai   20   anni   sia   per   Gramsci   che   per Terracini. Si salvano solo quei pochi deputati popolari e demo­sociali   che,   fatto   atto   di   contrizione,tornano   in Parlamento   abbandonando   l'Aventino,   sottomettendosi   alla volontà di Mussolini di affermare che non esisteva nessuna “questione   morale”   del   delitto   Matteotti.   De   Gasperi   è condannato a 4 anni di carcere, ma viene liberato grazie all'intervento   del   Papa.   In   galera   finisce   anche   il   Gran maestro dei Massoni, arrestato per gli attentati dei Massoni contro Mussolini. Ora resta da impedire che la voce degli antifascisti   all'estero   arrivi   in   Italia:   la   censura   si scatena contro i giornali più piccoli,ma diventa difficile toccare giornali grandi e indipendenti come “La Stampa”, il “Corriere della sera”, “il Mattino” e altri che ancora non si decidono ad allinearsi col fascismo.

6. il regime fascista si consolida69

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Gli   industriali   italiani   sono   restii   ad   allinearsi   col fascismo, come traspare proprio dalla stampa, ad esempio, di proprietà   degli   Agnelli.   Mussolini   è   certo   allarmato   dal memorandum   che   gli   viene   presentato   da   Confindustria,che chiede   la   normalizzazione   della   vita   politica   italiana   e ribadire   l'assoluta   liberta   di   organizzazione   sindacale. Magli industriali devono tenersi buono Mussolini, unico che può convincere De Stefani apolitiche a loro favorevoli: i toni   si   fanno   molto   più   concilianti   quando   Mussolini sostituisce   De   Stefani   e   Nava   con   Volpi   di   Misurata   e Belluzzo, graditi agli ambienti industriali. Col dazio sul grano comincia la “battaglia del grano”, uno dei pilastri della   politica   agricola   fascista,   che   lega   al   governo   i grandi   proprietari   terrieri.   Gioca   a   favore   del   fascismo anche il ritorno di manifestazioni nelle fabbriche del 25 che obbliga gli Agnelli a concedere aumenti di salari ai lavoratori, mobilitati dalla Fiom affiancata dai sindacati fascisti. La paura che ricominci tutto fa cadere gli ultimi tentennamenti nei confronti di Mussolini degli industriali: si preferisce una dittatura che obbliga all'ordine di una democrazia che ha dato troppo potere e capacità di ascesa alle masse, mettendo a rischio il capitalismo italiano. Così nel 25 Confindustria e sindacati fascisti firma il Patto di palazzo Vidoni: le due organizzazioni si riconoscono come unici   interlocutori   per   le   questioni   di   capitale­lavoro. L'anno dopo il governo recepisce l'accordo, vieta il diritto di manifestazione e sciopero. Confindustria accetta anche di definirsi “fascista” ottenendo una poltrona entro il Gran Consiglio   del   Fascismo.   Poco   dopo   il   presidente   e   il segretario della Confindustria si iscrivono al Pnf.Ormai ai sindacati pre­fascisti non resta alcuno spazio legale. E' del 27 il manifesto che annuncia la morte (già avvenuta, è una presa d'atto) della confederazione della Cgil.Ora che gli   industriali   hanno   ceduto,   la   strada   di   Mussolini   è spianata: si dimettono i direttori di Corriere, Mattino. Nel 26, tramite acquisizioni di azioni e passaggi di proprietà, la   stampa   è   definitivamente   riorganizzata   e   piegata   al regime. L'Agenzia Stefani, che dal dopoguerra, grazie ad un accordo col governo, distribuiva le notizie ufficiali alla stampa,   viene   potenziata   e   trasformata   una   infallibile macchina di controllo e diffusione della propaganda fascista che rimbalza su tutti i quotidiani nazionali. Le firme più autorevoli   abbandonano   i   quotidiani,   facendo   infuriare Mussolini che vorrebbe a tutti i costi ottenere l'omaggio 

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della cultura per soddisfare la sua ambizione personale e stroncare   la   “pretesa   incompatibilità   tra   intelligenza   e fascismo”.   La   cosa   dimostra   che   gli   italiani,   i   fascisti stessi, ritengono se stessi energumeni buoni a usare le mani e mostrare i muscoli per portare ordine, ma di sicuro non sono intellettuali. E' un marchio che Mussolini si porterà per 20 anni nonostante tutti gli sforzi per conquistare il mondo   della   cultura.   Per   la   borghesia   è   funzionale: l'ignoranza   fascista   diventa   alibi   per   il   disprezzo classista   della   borghesia   contro   i   ceti   medio­piccoli smaniosi   di   ascendere.   E'   per   questo   che   Gentile,   nel 25,pubblica   il   Manifesto   degli   intellettuali   fascisti   per testimoniare la fede nel fascismo:pochi giorni dopo però il Mondo   pubblica   un   contro­manifesto   firmato   da   note personalità antifasciste della cultura liberale e redatto da Croce,   sicuramente   ben   più   autorevoli   dei   firmatari   del primo   manifesto.   Ma   è   l'ultimo   sussulto   del   mondo   della cultura:   quando   Gentile   apre   l'Istituto   Giovanni   Treccani per la cura e la pubblicazione dell' Enciclopedia italiana, sono   ben   pochi   gli   intellettuali   che   rifiutano   il   suo invito.   Tutto,   persino   questo,   viene   messo   in   chiave patriottica: raccogliere la cultura italiana per fondare la coscienza della nuova Italia, una sfida irresistibile per molti, visto anche che le voci su cui si farà sentire forte controllo   e   censura   sono   poche   (fascismo   fa   eccezione). Mussolini non vuole infatti un'arte di Stato, ma l'appoggio del   mondo   della   cultura,   organizzato   in   organizzazioni   e associazioni   capillarmente   infiltrate     con   intellettuali fascisti e creando reti di di centri culturali fascisti.

7. fascismo, cultura, societàTeniamo subito conto che è stata la guerra il motore del cambiamento   che   ha   portato   alla   nascita   di   movimenti culturali   di   massa,   ampliando   la   partecipazione   culturale dei cittadini. Aumentano di importanza gli scrittori che, dalle pagine culturali dei giornali,orientano le scelte dei lettori. Nel 24 la prima alla Scala di Milano del Nerone di Arrigo Boito sotto la direzione di Toscanini significava una vittoria del “partito dei giovani autori” che era valsa a Mussolini la fama di “protettore delle arti”. Fu un punto in più   per   Mussolini   anche   l'adesione   al   Fascismo   di Pirandello, molto amato dal pubblico. Non c'è da stupirsi: molti scrittori e artisti erano futuristi e interventisti. Anche tra gli artisti si sente il “bisogno di ordine” che tanto   ha   fatto   guadagnare   al   Fascismo:   Dechirico   e  Carra 

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reagiscono agli isterismi e alle cialtronerie dei futuristi con una forte richiesta di ritorno al mestiere, un oculato professionismo.   Così   anche   Pirandello   e   Moravia,   che esprimono   tensioni   emotive   nella   compostezza   dello   schema della tragedia classica. La loro diventa una collaborazione passiva   al   fascismo,   ma   comunque   utile.   Mussolini   teme invece quegli intellettuali fascisti, ma attratti più dagli aspetti   eversivi   e   “rivoluzionari”   del   fascismo   (quel Malaparte che proclama di amare Mussolini per avere avviato la tirannia degli eroi e l'era dello squadrismo contro il rammollimento   italiano   insegnato   nelle   scuole   da   “Cuore” appare decisamente scomodo a Mussolini che deve mediare con gli industriali e la Chiesa per consolidare la dittatura). Così   come   sono   scomodi   i   disegni   di   Maccari   che   crea militari vanitosi,capitalisti panciuti e flaccidi, dissacra i costumi borghesi visti come i mostri che il fascismo deve abbattere. Non è la strada che Mussolini vuole percorrere dopo aver con tanta fatica ridotto al silenzio i ras. Quanto al   resto   degli   italiani,   fanno   letture   innocue   per   il fascismo: la narrativa eroico­avventurosa di D'Annunzio e i suoi emuli per esempio. Ritornata poi la calma nelle piazze, gli   italiani   si   disinteressano   anche   di   cosa   accade   nel palazzo: la tragedia degli antifascisti non interessa più. Gli italiani si commuovono però per la Turandot, lasciata incompleta   dalla   morte   di   Puccini   e   messa   in   scena   alla Scala   da   Toscanini.   Si   occupano   del   Torino   che   vince   lo scudetto   eseguono   quasi   con   morbosità   la   storia   dello smemorato di Collegno. (nasce l'Istituto Luce L'Unione per la   cinematografia   educativa   nel   24,   per   fare   anche   del cinema una fonte di propaganda fascista e arginare l'arrivo dei   film   americani).   La   radio   è   resa   da   Galeazzo   Ciano monopolio pubblico (è la forma di comunicazione preferita da Mussolini)   creando   l'Eiar   (ente   italiano   audizioni radiofoniche). E per far entrare la radio nella vita degli italiani   si   dotano   tutte   le   sedi   delle   organizzazioni fasciste di apparecchi per l'ascolto collettivo, facendo di questi luoghi il punto di ritrovo della Ond(opera nazionale dopolavoro). Nel 26 si crea l'Opera nazionale Balilla che comprende i ragazzi dagli 8 ai 12 anni e gli avanguardisti dai 12 ai 18: l'iscrizione non è obbligatoria,ma nessuno vi si sottrae, mentre il Ministero dell'Istruzione dichiara che la scuola ha il compito di educare a comprendere il fascismo e   a   vivere   il   clima   storico   creato   dalla   rivoluzione fascista. Nel 28 si adotta un testo unico per le elementari, 

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nel 29 si obbligano i maestri a giurare fedeltà al fascismo. Si sa che i giovani che non sono stati balilla non avranno mai la tessera Pnf, quindi non troveranno lavoro o finiranno sospettati   di   antifascismo   e   processati.   Del   25   è   l'ONMI (opera   nazionale   per   la   maternità   e   l'infanzia)   ente assistenziale di aiuto alle madri in difficoltà e ai bambini abbandonati   assieme   all'obbligo   della   creazione   in   ogni comune di un consultorio ostetrico e di uno pediatrico (la mortalità   infantile   registra   tassi   paurosi).   Nel   27   si riordina   la   previdenza   sociale   creando   il   Patronato nazionale   per   l'assistenza   sociale   e  nel   29   si   introduce l'assicurazione   obbligatoria   contro   le   malattie professionali. Sono iniziative volte a sanare i ritardi in ambito   assistenziale   e   previdenziale   accumulati   dalle vecchie dirigenze liberali e ovviamente combustibile per la “macchina del consenso”.

8. La conciliazione tra stato fascista e chiesa cattolicaMussolini godeva già dell'appoggio della Chiesa (pressioni sul  Ppi,  appoggio per l'ascesa  al potere) e  non  mutò  la linea delle gerarchie quando fu eletto segretario del Ppi De Gasperi, aventiniano. Anzi durante il culmine della crisi Matteotti papa Pio XI durante un discorso agli universitari aveva   ribadito   l'incompatibilità   di   collaborazione   tra cattolici e socialisti sconfessando pubblicamente il Ppi che collaborava   col   Psi   e   il   Psu   e   gli   altri   partiti aventiniani.   Fu   il   segretario   di   Stato   Vaticano   stesso, cardinal   Gasparri,   a   indurre   Sturzo   all'esilio   su sollecitazione personale di Mussolini. Nel 25 il congresso del Ppi fa atto del caos in cui è caduto il partito, con le sedi e i sindacati periferici spazzati via dallo squadrismo e con la stampa cattolica vittima delle censure fasciste. Nel   26   i   deputati   Ppi,   ormai   con   un   cappio   al   collo, decidono   di   tornare   in   Parlamento,   dove   sono   accolti   da Mussolini con la richiesta di sottomissione. De Gasperi non ci sta e finisce in carcere. Diviene sempre più impossibile essere   cattolico   e   antifascista:   per   il   Papa   Mussolini   è l'uomo   che   può   costruire   una   Italia   fondata   sui   valori cattolici. Nel 1926 iniziano i colloquio preliminari tra il segretario di Stato Domenico Barone e l'avvocato Francesco Pacelli, fratello del futuro Pio XII. Nel 27interviene lo stesso   Mussolini   per   chiudere   la   bocca   ai   fascisti anticlericali,   mettendo   sul   piatto   una   lunga   serie   di privilegi   per   la   Chiesa   al   fine   di   affrettare l'operazione(eccetto   le   leggi   del   26   che   travolgono l'associazionismo cattolico, ma il Papa non sene interessa) perchè non toccano quelle strutture ecclesiastiche come la Gioventù   Cattolica   e   gli   Uomini   Cattolici   dove   stanno confluendo   gli   esuli   Ppi.   Nel   27   non   a   caso   Mussolini 

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scioglie   tutto   l'associazionismo   non   fascista,   eccetto quello   cattolico   imponendo   ad   alcune   di   queste   però   di mettere   il   fascio   littorio   nel   simbolo.   Questa   volta   la Chiesa si degna di scrivere una nota di protesta, conscia che   Mussolini   vuole   il   controllo   totale   sulla   gioventù italiana.   Nell'Ottobre   del   28   il   re   delega   Mussolini   in persona   a   stipulare   l'accordo   finale   con   la   controparte Cardinal   Gasparri.   L'11Febbraio   del   1929   sono   firmati   i “Patti Lateranensi” e il Concordato che mettono fine alla questione   romana,   ratificati   in   Parlamento   con   pochi contrari tra cui Croce,pesantemente insultato da Mussolini. Roma è definitivamente Italia, i cattolici sono cittadini italiani: e i cittadini apprezzano come dimostra il delirio di entusiasmo che accoglie Pio XI che benedice in Piazza San Pietro   la   Roma   italiana.   Si   concede   la   disciplina   dei matrimoni e l'insegnamento religioso (cosa che i liberali non   avrebbero   mai   concesso)   ma   Mussolini   lo   fa   pur   di ricevere l'avallo ufficiale della Chiesa, anche a costo di far nascere un vespaio di polemiche sulla nascita di uno stato confessionale. Gli esuli attaccano con ferocia sulla stampa estera la Chiesa dichiarando che il Papa patteggia con   l'usurpatore,   con   il   capo   di   un   governo   che   gli aventiniani,   anche   cattolici,   hanno   definito   illegittimo denunciando il regime del terrore e liberticida del Duce. Molto   più   deboli   invece   le   critiche   degli   antifascisti cattolici   che   si   dichiarano   rammaricati   per   il   realismo sconcertante   della   Chiesa,   ma   escludono   negando l'evidenza,che   i   Patti   Lateranensi   siano   la   benedizione della   Chiesa   al   fascismo.   Ma   sono   polemiche   che   restano all'estero, mentre in Italia ci sono solo plausi a Papa e Mussolini.   Nasce   il   problema   per   molti   cattolici   di conciliare il dovere di obbedienza al Papa coi propri ideali politici: una parte delle gerarchie cattoliche quindi prova ad aprire le porte dell'associazionismo ai popolari, perchè comunque il Papa non vuole lasciare i “suoi uomini” nelle mani del fascismo, anche se ha abbandonato il Ppi, anche se questi si chiamano Sturzo o De Gasperi (De Gasperi uscirà dal carcere su pression edel Papa, passando il resto del ventennio   entro   la   biblioteca   vaticana).   Ovviamente   i cattolici devono comunque tenere un profilo basso evitando di essere motivo di imbarazzo per la Chiesa: limitano così l'autonomia   dei   militanti   cattolici   e   impediscono   di svolgere   una   efficace   azione   antifascista,   comunque   unici bagliori   di   resistenza   che   hanno   diritto   di   vivere   in Italia.IN ogni caso l'accordo col fascismo va visto, per la Chiesa in doppia veste:­nel lungo periodo c'è il progetto di dotarsi degli strumenti necessari per esercitare un ruolo egemonico in uno stato moderno per essere modello per gli stati occidentali moderni­nel breve periodo il fascismo va bene,   sicuramente   meglio   delle   dirigenze   liberali,abbatte l'anticlericalismo,   riporta   l'ordine,   impedisce   la 

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rivoluzione bolscevica,mantiene saldi i costumi tradizionali (pensa al cambiamento di donne e giovani). Ma apprezza anche la battaglia del grano, che ridà all'Italia quell'aspetto contadino   tanto   chiaro   alla   Chiesa.   Così   come   apprezzano sicuramente   la   campagna   demografica   del27:   imposta   sui celibi, esenzioni tributarie per le famiglie con almeno 10 figli,   7   per   gli   impiegati   statali,   privilegi   nelle graduatorie   dei   concorsi   pubblici,   prestiti   matrimoniali condonati con la nascita del quarto figlio. La Chiesa inizia così   la   sua   battagli   antimoderna:   richiama   le   donne all'ordine(tornare in casa, lasciando il lavoro) e le invita a   sottomettersi   all'autorità   maschile(Mussolini   stesso afferma: tornino le donne in casa, unico e vero posto che la natura   ha   assegnato   loro),   attacca   i   balli   e   le   mode moderne,   ribadisce   il   valore   della   verginità   e   della famiglia patriarcale contadina. Questo contrasta col fatto che molte donne emancipate avevano puntato sul fascismo,che aveva offerto loro nel programma del 1919 il voto: ma era una falsa promessa. Ilf ascismo ha mostrato poi tutto il suo lato reazionario e conservatore cresciuto a causa del fatto che i fasci di combattimento avevano rafforzato l'identità maschile messa in crisi proprio dal nuovo ruolo delle donne. Nel 26 l'equivoco è cancellato visto che non si lascia più nessuno   spazio   di   emancipazione   politica   e   professionale alle   donne.   No   quindi   alle   professoresse   nei   licei   (alle donne   non   si   addice   studiare   lettere,   filosofia,greco, latino),   ma   molte   maestre   di   asilo   perchè   le   donne   sono anzitutto madri. La stampa femminile riceve precisi ordini e trasmette precisi modelli: via le donne magre e mascoline, si alle donne prosperose e coi fianchi larghi, emblema di fecondità,mentre   viene   vietata   ogni   propaganda anticontraccettiva   e   il   Papa   ribadisce   la   finalità riproduttiva   del   matrimonio.   Viene   soppresso nell'enciclopedia italiana la voce divorzio. Ma il tasso di natalità,   nonostante   tutta   la   propaganda,   resta   in   calo. Ormai il trio Dio, Patria, Famiglia è ribadito: la Chiesa è felice   del   ruolo   che   svolge,   è   complice   del   fascismo   e invita i cattolici ad andare a votare in massa alle elezioni del29,   anche   se   sono   elezioni   farsa:   la   nuova   legge elettorale prevede che esista una sola lista preparata dalle organizzazioni   fasciste,   su   un   collegio   unico   nazionale, della quale gli elettori possono solo dire si o no.

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5) LO STATO TOTALITARIO (1929­1939)

1. stato fascista ed economia: dalla politica della “quota 90” alla grande crisi

Nel 29 arriva la Grande depressione. Che però non comporta perdita di potere per Mussolini anzi, per come affronta la crisi,   aumenta   il   prestigio   del   fascismo   in   Italia   e all'estero anche se nel 1930 arriveranno i primi fallimenti, cresce   la   disoccupazione   e   diminuiscono   le   entrate   dello stato.   Tutto   questo   dopo   che   gli   italiani   cominciavano   a farsi le prime illusioni di crescita dopo aver fatto tanti sacrifici per stabilizzare la lira. Si punta, e Mussolini è disposto   a   lacrime   e   sangue,   a   raggiungere   la   quota   90, ossia   90lire   per   una   sterlina   (più   per   una   questione   di prestigio che di altro), ma anche un sistema per imporre il fascismo a industriali, proprietari e banchieri italiani che continuano a far pesare troppo il loro appoggio al fascismo. Nel 26 comincia l'austerity: divieto di costruzione di case di   lusso,   vietata   l'apertura   di   bar   e   locali   notturni, ridotte a 6 le pagine dei quotidiani, imposto l'uso di una miscela di alcool e benzina per le automobili, aumento di un'ora   di   lavoro   al   giorno   per   operai   e impiegati,diminuzione   dei   canoni   d'affitto,   alleggerimento del   carico   fiscale.   Si   ridefinisce   anche   il   ruolo   della Banca d'Italia diventata banca centrale a tutti gli effetti con l'esclusiva facoltà di emissione dei biglietti bancari e ampi poteri di controllo sull'intero sistema del credito. Nel 27 si riducono del 10% i salari dei dipendenti pubblici, cosa che si espande poco dopo anche al settore privato. A fine   anno   un   altro   10%   è   tagliato   dopo   l'accordo   tra confederazioni   patronali   e   operaie   e   il   PNF   invita   i proprietari terrieri a ridurre i salari dei contadini per dare   un   contributo   al   processo   deflattivo   in   corso   che prevede una riduzione dei costi dei generi alimentari. La deflazione aumenta il potere di acquisto dei salari mentre 

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la stabilità della lira rivaluta i depositi della piccola borghesia risparmiatrice. La dittatura fascista conferma la sua   base   piccolo   e   medio   borghese,   rassicurandoli   dalla proletarizzazione.   Tanto   basta   al   fascismo   per   ascoltare indifferente le critiche di imprenditori e finanzieri: non solo loro la sua base elettorale .Si cerca di facilitare la concentrazione   industriale   tramite   agevolazioni   tributarie per le fusioni tra società, cosa che si realizza appieno. Lo stato   continua   a   imporsi   come   maggior   cliente dell'imprenditoria privata con le commesse per le ferrovie e l'esercito nonché per la realizzazione delle grandi opere pubbliche (sopratutto l'avvio delle grandi bonifiche). E'ora che Mussolini dichiara: tutto nello stato, niente contro lo stato,nulla al di fuori dello stato, sottolineando il ruolo centrale dello stato in economia, che si consolida e aumenta con la crisi del 29. Gli industriali comunque, in fondo in fondo,sanno che era necessario rivalutare la lira e sanno anche di aver ottenuto alcuni vantaggi: pace sociale, salari bassi, sgravi tributari, la Carta del lavoro che garantisce autonomia di gestione. Ma questo non significa che non sono pronti  a dare l'alt  non  appena  si esca  dal  tunnel della quota   90.   Ma   proprio   quando   si   raggiunge   il traguardo,comincia la crisi. La quotazione dei titoli crolla in Italia del 40% e sono i banchieri e finanzieri stessi a chiedere   aiuto   allo   stato   che   non   nega   sostegno,   anzi profonde   a   piene   mani   all'inizio,   poi   razionalizzando   il sistema   di   finanziamento   pubblico.   Del   31   è   l'Istituto mobiliare italiano (IMI) per il riordino del mondo bancario: varie   banche   e   compagnie   assicuratrici   sottoscrivono   un capitale di oltre mezzo miliardo per dar vita alla nuova istituzione che ha il compito di fornire credito a media scadenza,raccogliere   risparmio,   emettere   obbligazioni   per rilanciare le imprese a rischio (come italgas e acciaierie Terni).   Del   33   è   l'IRI   (istituto   per   la   ricostruzione industriale)inizialmente   finanziato   dagli   stessi   azionisti IMI   e   divisa   in   una   sezione   finanziamenti   e   in   una smobilizzi. Anche l'Iri comincia a sostenere le imprese in crisi. La sezione smobilizzi invece comincia ad acquistare partecipazioni azionarie di ogni grande spa italiana, fino ad arrivare ad avere il 21% del capitale azionario delle spa italiane. Si arriva a questa percentuale dopo un accordo tra Iri e 3 banche (banca commerciale,  banca di Roma, credito italiano)   grazie   al   quale   l'Iri   ottiene   il   controllo   di questi istituti di credito e dei pacchetti azionari da loro 

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posseduti.   Insomma   si   pongono   le   basi   per   un   forte capitalismo   di   stato,   favorito   dalla   recessione   che   pare suggerire questa come unica soluzione. In ogni caso saranno solo le commesse per la guerra in Etiopia a far riprendere l'economia   e   comunque   senza   riuscire   a   sanare   i   forti disequilibri   entro   il   sistema   produttivo   italiano   ne   il problema   della   disoccupazione.   E'   indubbio   che   grazie all'intervento   dello   stato   si   ha   una   generale riqualificazione   del   sistema   industriale   nazionale   che, nonostante   i   tassi   di   sviluppo   inferiori,   permette all'Italia   di   non   venire   emarginata   nell'occidente capitalista.   Comunque   varie   cose   sono   strane­emerge chiaramente il controsenso di un sistema a sfondo politico reazionario   e   gli   elementi   di   modernità   innescati   dallo stesso   fascismo   nell'economia   (e   quindi   di   contraddizione coi cambiamenti sociali e culturali che sono nemici di un sistema   conservatore).   Pare   confermare   la   tesi   di   molti osservatori   stranieri   secondo   cui   gli   italiani   erano   un popolo   arretrato,   incapace   di   usufruire   e   pretendere   i propri diritti e bisognoso di un leader forte e autoritario capace   di   imporre   la   disciplina   ad   un   popolo   immaturo. Giudizio condivisibile anche se lascia in secondo piano il fatto che era appena finita una guerra. Ma sia la Chiesa che Mussolini   sanno   bene   che   un   paese   arretrato   e   debole   si governa   meglio:   ecco   il   perchè   del   trinomio   dio,   patria, famiglia che suona come un manifesto antimoderno e le parole d'ordine   del   Duce,   dalla   battaglia   del   grano   a   quella demografica, individuano nell'industrializzazione il nemico. Allora perchè Mussolini aiuta l'industria?­anzitutto non può fare   tabula   rasa:   nonostante   si   sia   presentato   come rivoluzionario   stenta   comunque   a   tagliare   i   fili   di continuità   con   la   politica   liberale.   Mussolini   non   ha   la volontà,   ma   sopratutto   la   forza.   Anzi   sarà   proprio   la lentezza   e   i   cambiamenti   a   piccoli   passi   dallo   stato liberale, alla dittatura, allo stato totalitario a rendere solido il potere di Mussolini. Comunque da notare c'è che Mussolini si concentra su due aspetti: aumenta la protezione offerta   dallo   stato   all'industria,   sopratutto   quella pesante,   e   aumenta   la   concentrazione   oligopolistica.   Il progetto della ruralizzazione non è messo da parte: viaggia su un binario parallelo, che si rivelerà morto dimostrandosi vani   i   tentativi   di   bloccare   la   modernità   o   tornare indietro. Ma la storiografia moderna comincia a dare spazio ad una interpretazione che vede un certo pluralismo entro il 

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Fascismo,   di   vedute   che   convivono,   alcune   delle   quali profondamente moderne e dinamiche, che vorrebbero in primis intervenire   nelle   distorsioni   strutturali   causa   di   uno sviluppo   nazionale   disomogeneo   e   squilibrato.   Per   questo vedono di buon occhio i freni imposti alla grande industria. Per   questo   vorrebbero   di   più,   anche   a   costo   di   fare dispiacere   a   imprenditori   e   finanziari:   ma   l'operato economico   del   fascismo   resta   contenuto   nei   limiti   del controllo finanziario senza estendersi alla programmazione e gestione diretta dello sviluppo. In ogni caso si rafforzerà molto il rapporto privilegiato tra amministratori pubblici e industriali.

2. operai e contadini nella grande crisiScoppiano   fiammate   di   rivolta   in   Inghilterra,   Francia   e Germania che preoccupano non poco Mussolini, che teme che la rivolta travalichi le Alpi. Sa bene Mussolini che la vita del   Fascismo   è   strettamente   legata   al   mantenimento dell'ordine   costruito   sulla   “pace   sociale”   duramente costruita a colpi di repressione e concessione di privilegi. Non è un caso che l'ordine italiano sia invidiato nel resto d'Europa. Eppure l'economia italiana sta precipitando come tutte   le   altre   e   la   disoccupazione   arriva   al   milione   di unità,   dati   che   non   tengono   conto   dell'altissima sottoccupazione.   La   riduzione   dei   prezzi   che   doveva compensare la riduzione dei salari lo fa solo in teoria, perchè pochi sono i lavoratori che riescono a mantenere la piena occupazione. Si riducono le ore di lavoro,anche se si pretende di mantenere la produzione allo stesso livello: i ritmi di lavoro si fanno insopportabili per le maestranze. Nel   1930   si   verificano   vari   episodi   di   insubordinazione quotidiana: si incrociano le braccia per qualche ora o si abbandona il posto di lavoro per un giorno. Ma non ci sono cortei e i manifestanti restano molto cauti e calmi anche se questori   e   polizia   sono   vigili   perchè   lo   sciopero   è   un reato. Il fronte più caldo è quello del settore tessile, dove conta molto anche la tragica situazione in cui versano le   donne   entro   il   fascismo.   Le   autorità   e   i   sindacati fascisti si danno un gran da fare per calmarle, addirittura andando a cercarle a casa e invitandole a tornare a lavoro. Visto l'insuccesso, si mette in moto la macchina repressiva: iniziano   le   cariche   della   polizia   contro   le   fabbriche occupate, le manifestazioni che degenerano in cortei. Nel 31 le   donne   scendono   in   piazza   a   Como   e   Legnano,   cantando canzoni   proibite   come   bandiera   rossa   e   bandiera   nera   la 

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vogliamo no, insultano la milizia, lanciano sassi contro la polizia. IL fermento si placa sotto i colpi di una durissima repressione. Serpeggia il sospetto che si agitino le donne sotto le spinte dei mariti e dei figli, che rischiano molto più di loro ad esporsi. Sopratutto le agitazioni sono al Sud e il regime si attiva per evitare che arrivino al Nord nel cuore   del   triangolo   industriale.   Del   resto   i   rapporti dell'OVRA parlano chiaro del malcontento che serpeggia nelle fabbriche del nord nonostante la calma apparente mentre alla Breda si licenzia a raffica e alla Marelli e Magneti Marelli l'orario di lavoro si riduce intorno al 60% o 40%. Stessa sorte   tocca   alla   Fiat,   che   licenzia   a   raffica,   e   alla Lancia. Sono comunque tutti fuochi circoscritti e facili da spegnere   ed   è   fondamentale   per   il   regime   evitare   che   la scintilla si sposti di fabbrica in fabbrica scatenando un incendio. E non è un'idea strampalata: molte lettere anonime che   l'Ovra   raccoglie   parlano   di   rivolta   che   sta   per scoppiare, Matteotti sarà vendicato, Mussolini finirà come lo zar di Russia. La classe operaia dimostra di non essere fascista,   ma   solo   troppo   spaventata   per   reagire:   paura amplificata dal vuoto enorme lasciato dai socialisti e dai comunisti. E i sindacalisti in camicia nera non sono stati scelti, ma imposti, e sono troppo supini alle richieste del padronato e del governo al punto da lasciare via libera a licenziamenti, tagli di salari e di ore lavorative. E la cosa   non   dipende   tutta   dai   sindacati   fascisti:   essi   sono messi in condizione di non poter funzionare, non hanno gli strumenti   per   contrattare   col   padronato   e   se   per   caso qualcuno cede alla tentazione di fare uno sciopero è subito arrestato.   L'unica   speranza   dunque   è   che   la   disperazione aumenti fino al punto di superare la paura, sperando che così   gli   antifascisti   riescano   a   potersi   manifestare   di nuovo.   Il   Pci   ufficialmente   è   sciolto,   ma   ha   una   rete clandestina con la quale fanno politica cercando di evitare i tentacoli dell'Ovra e stare bene attenti agli infiltrati, che sono ormai ovunque. Togliatti dall'estero si fa un'idea distorta, di una Italia pronta all'insurrezione. E il gruppo dirigente   del   Pci   finisce   per   limitarsi   ad   aspettare   il grande sciopero generale. La cosa avverrà certo, ma nel 43 e nel 31­32 questo è uno scenario irrealizzabile.

3. andare verso il popolo: assistenza e lavori pubbliciTutta la macchina assistenzialista messa in moto nel 29 ora va a pieno ritmo e assorbe in pratica tutto il lavoro dei Fasci   locali:   il   regime   fa   di   tutto   per   alleviare   le 

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sofferenze   della   gente   distribuendo   sussidi   in   denaro   e viveri,   installando   cucine   economiche,dormitori,   ricoveri, creando viaggi in colonie marine e montane per i figli dei lavoratori. I dopolavoro fascisti si attivano per sostituire bar e sale di ritrovo private, perchè non c'è più una lira da spendere per passare il tempo insieme e trovare cibo e bevande   gratis   in   occasione   delle   innumerevoli   feste   del regime:  se  il primo  maggio  è stato  abolito,  si  trova  la festa   dei   Natali   di   Roma,   della   fondazione   dei   fasci   di combattimento, e persino della Conciliazione, l'11 Febbario, per   festeggiare   il   Concordato.   Questo   mentre   i   fasci femminili   raccolgono   fondi   e   sussidi   da   dare   ai   poveri, sopratutto   ai   figli   dei   poveri:   giocattoli,   indumenti, latte,   zucchero,   pane.   Il   numero   dei   bisognosi   sale   ogni giorno. I federali fascisti, i prefetti, i questori chiedono fondi   con   insistenza,   soccorsi   straordinari   e   altro,   che però   si   esauriscono   in   poco   tempo.   Al   Sud   crolla   la produzione   agraria   e   i   disoccupati   raggiungono   livelli record,mentre i salari dei contadini subiscono una riduzione di ben tre volte maggiore di quella subita dagli operai in città. Questo vale anche per la ricca Emilia, ma anche per il Veneto contadino dove i contadini si affollano davanti alle   sedi   del   Fascio   supplicando   pane.   Nel   sud   invece   i contadini si ribellano in massa, scioperano, fanno lavoro abusivi,   invadono   i   terreni   demaniali.   Aumentano   gli sfratti,   gli   affitti,   le   tasse   sul   foraggio,   sulla manutenzione stradale, sull'acqua e sul vino... gli esattori sono presi a sassate e minacciati di morte. Sempre nel sud ricomincia a vivere la pratica di assaltare i municipi. La repressione ovviamente sistema tutto, ma il sud va aiutato e tutti sanno che è un pozzo senza fondo. Se tutti sanno che le   elemosine   non   possono   risolvere   la   crisi,   sul   piano politico e delle relazioni pubbliche però l'assistenzialismo èvincente:   le   autorità   ricevono   dal   popolo   molti ringraziamenti per l'aiuto dato a livelli che i liberali non si   sarebbero   mai   sognati.   Il   fascismo   ne   guadagna   in visibilità con uomini del fascismo in ogni dove. Ai pranzi e alle cene partecipa l'autorità fascista locale, si parte per la   colonia   salutati   da   un   federale   e   si   è   ricevuti all'arrivo   da   un   altro:   rispetto   a   prima   la   politica   è uscita   dai   palazzi,   ha   cancellato   l'aurea   di   mistero   che l'avvolgeva e si è riversata nelle strade. Mussolini diventa l'uomo   del   popolo,asceso   ai   vertici   dello   Stato   senza perdere la semplicità e la ruvidezza di un tempo, un uomo laborioso e schivo, lontano dai fasti dei palazzi, un uomo di famiglia con moglie e figli e con un'amante, debolezza che  gli  si  concede,  anzi  che  lo  rende ancora  più  umano. Questa immagine che il duce si disegna addosso gli attira le simpatie   anche   diparte   del   popolo   rosso,   ricordando   il Mussolini socialista: un alibi sotto il cui segno avverranno molti cambi di bandiera. L'istituto luce si dà da fare: lo 

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ritrae mentre falciai campi di grano nelle zone bonificate a petto nudo, o sul trattore, o che vendemmia o fa l'operaio in una fabbrica, coi bimbi in braccio circondato da mamme festanti. E il ricorso ricorrente alle opere pubbliche per ridurre la disoccupazione lo fa essere ancora più amato. Lo Stato fa opere di canalizzazione, bonifica, rimboschimento e collegamenti stradali su milioni di ettari di terre paludose infestate   dalla   malaria.   Proprio   nei   pressi   di   Roma Mussolini   avvia   la   bonifica   dell'Agro   Pontino   rendendolo coltivabile e dividendolo in 3000 poderi con casa colonica, pozzo,   stalla   assegnati   a   tutte   le   famiglie   che   hanno partecipato alla bonifica e sono sopravvissuti alla fatica e alla febbre malarica (infatti sono pochi, i più disperati, coloro   che   accettano   quel   tipo   di   lavoro).   I   minatori grossetani   ad   esempio   respingono   ogni   invito   ad   andare   a vivere   in   Maremma,   mentre   nell'Agro   Pontino   vanno   molte famiglie povere del Veneto e dell'Emilia. Alla fine le terre bonificate saranno poche rispetto a quanto previsto, ma il vero fallimento è la ruralizzazione dell'Italia di cui il piano di bonifica fa parte. Non si riesce a rilanciare la produzione   agricola,   aggiunto   al   fatto   che,   mentre   i contadini fuggono dalle campagne sature, il governo tenta di riversarci anche i molti disoccupati della città. La caccia al   disoccupato   diventa   a   Milano   attività   quotidiana:   la polizia fa rastrellamenti nelle case e nelle vie, vengono arrestati   oppure   inviati   nelle   zone   di   campagna.   Per   il fascismo il disoccupato diventa un criminale: il regime non può   tollerare   la   vista   di   questi   uomini   affamati   e questuanti per le strade che smentiscono l'idea dell'Italia laboriosa,   pacifica,   serena   nel   pieno   della   crisi   così rassicuranti   per   l'Italia   e   per   l'estero.   E   diventano ovviamente un problema di ordine pubblico. E quando vengono inviati   nelle   campagne,   tendono   a   tornare   perchè   senza prospettive:cosi l'urbanizzazione continua anche contro il volere   di   Mussolini.     D'altra   parte   il   risultato   più evidente   delle   bonifiche   è   la   nascita   di   nuove   città: pensiamo a Littoria, oggi Latina, inaugurata da Mussolini come città tipo del fascismo in cui si integrano ruralità e urbanesimo,   il   sano   stile   di   vita   delle   campagne   e   le esigenze   razionalizzatrici     dello   spazio   urbano   (parole della propaganda). (Littoria ha strade ortogonali, palazzi squadrati   e   classicheggianti,   ornati   da   immensi   fasci littori stilizzati a guisa di colonne).Ma il rinnovamento tocca   anche   le   città   storiche:   a   Roma   sorgerà   l'Eur   un intero quartiere in stile fascista. Abbatterà buona parte del complesso dei Fori Imperiali per aprire quella grande strada,   chiamata   via   dell'Impero,   che   conduce   al Colosseo...abbatte le fitte case basse intorno a San Pietro per   “farla   respirare”,   aprendo   la   grande   strada   della Conciliazione   che   annuncia   San   Pietro   dalla   distanza.   Ci sono certo polemiche, ma sono soffocate nel mare di plausi a 

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Mussolini. Mussolini gode dell'appoggio della popolazione e lo sa: non a caso sceglie lo stabilimento Fiat di Torino per commemorare   l'anniversario   della   marcia   su   Roma,   salendo accompagna toda Agnelli sul grande balcone, con alle spalle lo   stemma   Fiat   in   stile   fascista   con   due   fasci   littori, ricordando   la   marcia   e   annunciando   la   riapertura   delle iscrizioni al Pnf,chiuse nel 28. Tutto questo è possibile perchè ormai il fascismo non è più un partito,ma uno Stato: la MVSN è entrata nelle forze armate e i miliziani giurano fedeltà al re,accanto al calendario civile ci sono le date del calendario fascista che parte dalla marcia su Roma, il Fascio littorio è diventato simbolo dello stato ecc..piovono iscrizioni al Pnf, ormai la tessera è fondamentale e nel 1933 diviene requisito necessario per entrare nei concorsi pubblici.   Non   ci   si   può   quindi   stupire   del   plebiscito, l'ennesimo,delle elezioni del 34 con una percentuale di no pari al 0.15%.

4. gli antifascisti in esilio e nella clandestinitàIl Pci nel 31 è sconvolto sia dalla dittatura sia dalla resa dei conti tra gli eredi di Lenin,con uno Stalin quanto mai agguerrito e deciso a liberarsi di ogni forma di opposizione interna   nel   partito,   mentre   in   Italia   i   dirigenti   Pci decidono di non ascoltare Terracini che dal carcere annuncia di   non   sperare   troppo   nella   rivoluzione   di   classe,   ben lontana   dall'avvenire.   La   linea   di   Stalin   prevede   una stretta   morsa   su   tutti   i  partiti   comunisti   attraverso   la Terza   Internazionale,   pretendendo   che   le   sue   decisioni valgano   per   tutti   i   comunisti   della   Comintern   persino   se sono irrealizzabili come la decisione presa nel1922, al IV congresso, di fondere Pci e Psi. Ed è sempre la comintern, nel V congresso,a decidere la non collaborazione del Pci con le   forze   aventiniane.   La   linea   politica   isolazionista   è ribadita dal congresso del Pci che si svolge a Lione nel 26. Poi   tutto   il   gruppo   dirigente   del   Pci   viene   arrestato, eccetto Togliatti che si trova a rappresentare il Pci alla Comintern. Togliatti quindi viene nominato segretario nel 27 e a lui tocca il compito di riorganizzare il partito per renderlo   arma   efficace   contro   la   reazione   borghese rappresentata   dal   fascismo   (interpretazione   di   Gramsci) giunta al suo culmine. Viene creato un centro estero per la direzione politica e ideologica e uno interno, guidato da Ignazio Silone, finalizzato all'organizzazione della lotta clandestina. La militanza nella clandestinità si articola in cellule tra loro collegate con un solo filo per garantire segretezza   e   impermeabilità   sul   modello   dei   bolscevichi russi sotto lo zar. Sul finire del 27 però il centro interno 

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viene   sgominato   e   le   carceri   fasciste   si   riempiono   di rivoluzionari. Quanto al centro estero le direttive restano le stesse:nessuna alleanza ne in Italia ne all'estero con gli   antifascisti   democratici   e   socialistiche   nel   29   la Comintern definisce social­fascisti, segnando il culmine del contrasto Pci­Psi: i comunisti rinfacciano ai socialisti di aver tradito la causa della rivoluzione ingannando le masse con   la   bandiera   della   democrazia.   Meglio   una   dittatura fascista,da cui sai cosa aspettarti (dittatura capitalista che lascia alle masse come unica soluzione la rivoluzione) di   un   governo   socialdemocratico   destinato   a   spengere   gli ideali   rivoluzionari   per   meglio   asservire   il   popolo   al dominio   capitalista.   Cominciano   le   prime   opposizioni interne:   Tasca,   attaccato   da   Stalin,   viene   espulso   dal partito. Nel 30si apre un nuovo scontro: convinti che la rivoluzione   sia   alle   porte,   il   cento   estero   decide   di riavviare   il   centro   interno,   nonostante   l'opposizione   di molti   e   di   Silone   stesso,   di   Gramsci   e   di   Terracini. Nell'ondata   di   espulsioni   finiscono   anche   i   trotskisti italiani come Bordiga (trotskji è stato espulso nel 27 dal PC russo). Tra il 31 e 32 il centro interno, che cominciava a riorganizzarsi, cade sotto la scure dell'Ovra lasciando i comunisti allo sbando. Nel 27 a Parigi c'è la Concentrazione d'azione   antifascista,   organizzata   dai   democratici   e socialisti: vi aderiscono Psu e Psi, partito repubblicano, Cgil. E' una concentrazione che ricalca molti dei difetti dell'Aventino:   prima   tra   tutti   la   convinzione   che   il fascismo   sia   un   fenomeno   passeggero   destinato   ad   essere travolto   dagli   italiani,   accortisi   della   sua   natura liberticida.   Per   risvegliare   le   masse   occorre   organizzare una grande campagna stampa il cui eco travalichi le Alpi, ovviamente mobilitando l'opinione pubblica estera che invece si dimostra piuttosto fredda con gli antifascisti italiani perchè è fortemente radicata l'idea che il fascismo sia il regime più adatto per governare gli italiani. Comunque gli antifascisti   italiani   della   Concentrazione   fanno   de“la Libertà”   il   giornale   diretto   da   Treves   la   loro   voce   che pubblica   ogni   settimana   un   elenco   degli   arrestati,   le sentenze del Tribunale Speciale, i confinati, le violazioni dei diritti umani. Ma ha gran valore propagandistico anche il tentato omicidio ai danni del principe Umberto in visita in  Belgio ad  opera  di Fernando  de Rosa,  nel  1929: messo sotto   processo   intervengono   in   sua   difesa   Nitti, Salvemini,Labriola, Turati, Nenni che riescono a portare sul 

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banco di quel tribunale straniero il fascismo. De rosa viene condannato   a   5   anni,   ma   per   il   fascismo   l'umiliazione   è cocente. Ma anche la Concentrazione alla fine perde, per via di   De   Rosa,   la   fiducia   dei   giovani,   che   gli   contestano troppo immobilismo. Comunque il fascismo aiuta a ridisegnare i   partiti   italiani:   Psi   di   Nenni   e   il   Psu   di   Turati   si riuniscono   e   si   avviano   sulla   strada   dei   grandi   partiti socialdemocratici   europei.   Sarà   proprio   la   scelta democratica di Nenni, per cui il fascismo sarà abbattuto da una   rivoluzione   democratica   che   porterà   la   democrazia   in Italia, che la riunificazione sarà possibile. Dissente dalla decisione   sono   Angelica   Balabanoff,   mentre   alcuni fuoriusciti   dal   Pci,   Silone   e   Tasca,   entrati   nel   Psi approvano la linea. Il psi riunificato tenta di creare una rete   clandestina   socialista   simile   a   quella   comunista, tentata   in   un   primo   tempo   da   Pertini   che   finisce   quasi subito   scoperto   dalla   polizia   e   condannato   a   11   anni   di carcere.   Nel   29   a   Parigi   nasce   il   movimento   Giustizia   e Libertà   proprio   con   l'obiettivo   di   far   scoppiare   la rivoluzione antifascista in Italia,fondato da Emilio Lussu e Carlo   Rosselli   (il   quale   ha   teorizzato   il   socialismo liberale e cerca di riadattare a queste idee il movimento: la socialdemocrazia si fonda qui ai valori liberali, mira a trasformare   radicalmente   la   società   italiana   sul   piano istituzionale,   con   una   chiara   visione   repubblicana, democratica,   di   autonomia   locale   e  sul   piano   economico prevede   una   economia   mista   con   forte   programmazione economica e graduale socializzazione di tutte le imprese di pubblica   utilità).   Nel   frattempo   i   GL   sorvolano   le   città italiane   con   gli   aerei   lanciando   dall'alto   manifesti   e volantini: gli anarchici, rimasti isolati, provano simpatie per   il   giellisti   arrivando   addirittura   in   alcuni   casi   a collaborarci,   anche   se   l'attentato   dinamitardo   resta   per loro la soluzione, nonostante tutti gli attentati falliti e le conseguenti condanne. A livello ufficiale le altre forze antifasciste   rigettano   la   strategia   del   terrore,   ma ritengono utili i gesti eclatanti che servono principalmente a   rompere   il   muro   di   silenzio   eretto   dal   regime   intorno all'antifascismo. Il regime risponde alle trasvolate sulle città e al processo di Bruxelles mettendo in prigione molti giellisti tra cui Ferruccio Parri.

5. gli anni del consenso all'interno e all'esteroNel 32­33 è chiaro che si sta assottigliando anche quello strato di popolazione in realtà antifascista, ma che aveva 

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deciso   di   sopportare   passivamente   il   fascismo,   troppo intimorita   per   mostrare   opposizione   aperta.   Infatti   il consenso   che   Mussolini   si   guadagna   coi   lavori   pubblici   e l'assistenzialismo comincia a contagiare anche i più ostili, anche perchè “convertirsi” al fascismo è l'unico sistema per compiere   una   vita   normale,   cosa   impossibile   stando   ai margini del fascismo, men che mai stando all'opposizione. Non si può vivere facendo finta che la politica non esista: ora non è più quel mondo chiuso nel palazzo che si può anche ignorare, ma è ovunque, nelle stradee nei quartieri. Anche se ovviamente il fascismo si guarda bene da richiedere un ruolo   attivo   agli   italiani,   che   vada   oltre   l'essere tesserato Pnf, partecipare alle manifestazioni pubbliche e partecipare   alle   associazioni   fasciste:   la   partecipazione degli italiani deve essere passiva, mentre quella attiva è limitata   a   quei   posti   dove   si   forma   la   classe   dirigente fascista, come la Scuola di Mistica Fascista, inaugurata a Milano   nel   30.Questa   forma   di   fascistizzazione   è fondamentale   per   fare   il   salto   dal   regime   autoritario   al totalitarismo. Per questo tiene il pugno duro contro chi si oppone, contro gli antifascisti, ma è benevolo e accogliente con chi si converte. Già nel 28 fa atto di clemenza verso 500   antifascisti   ammoniti   o   mandati   al   confino.   Nel   32 concede l'amnistia in occasione del decennale della Marcia su Roma, estendendola anche ai prigionieri politici con pene piccole e restringendo quelle più lunghe. Non sono prove di indulgenza, ma di forza: il Duce si sente sicuro del suo potere.   A   Rigola   che   aveva   accettato   ufficialmente   lo scioglimento della Cgil si concede di ricavarsi un piccolo spazio   di   autonomia   intorno   alla   rivista   “problemi   del lavoro” e al quotidiano “il lavoro”, cosa che gli permette di   partecipare   al   dibattito   sindacale   e   corporativo   con diritto persino di qualche critica blanda: mossa oculata, visto   che   il   sistema   dell'assistenzialismo   e   dei   lavori pubblici   comincia   a   suscitare   ammirazione   negli   ambienti socialisti,   conquistati   dallo   Stato   corporativo.   Nel   30 rinasce il centro interno ad opera dei socialisti, che sono sinceramente allarmati dalle conversioni e dal successo di Mussolini   entro   una   parte   dei   socialisti,   anche   se   forti grazie al patto di collaborazione tra Psi e Gl. Si comincia a delineare l'idea, ormai evidente, che non ci sono masse pronte alla rivoluzione antifascista, anzi Mussolini, ormai saldamente al potere, ha tutta la possibilità di durare a lungo.   C'è   quindi   da   attrezzarsi   per   una   guerra   lunga   e 

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logorante   con   tutti   i   mezzi   che   servono   per   consolidare lentamente   la   presenza   antifascista   in   Italia,   anche infiltrandosi nelle linee nemiche. Stesso discorso fa il Pci che lancia la parola d'ordine lavoro legale, cercando di far esplodere   il   fascismo   dall'interno   tramite   le   sue contraddizioni.   Nel   31   Toscanini   rompe   clamorosamente   col fascismo   e   sceglie   l'esilio   negli   Usa,   ma   è   in controtendenza:   la   stessa   crisi   delle   conversioni   che affligge   il   Psi   è   vissuta   anche   dai   liberali   e   dai democratici.   Rimane   comunque   chiara   la   diffidenza   e l'avversione   al   fascismo   per   i   convertiti,   i   quali consegnano le armi a Mussolini e solo a lui: sicuramente un alibi,   ma   il   Mussolinismo   è   fondamentale   per   capire   il rapporto   italiani­fascismo.   I   socialisti   non   sono   colpiti dal fascismo, ma dal Mussolini che va verso il popolo. La Borghesia è colpita dal Mussolini uomo di stato, abile a gestire   la   finanza   pubblica   e   la   politica   estera,   anche quella   liberale.   Anche   all'estero   Mussolini   è   apprezzato: Churchill lo definisce il più grande legislatore vigente, mentre Oxford crea un istituto per lo studio del fascismo. Gli   inglesi   apprezzano   l'amicizia   con   Roma   e  la   politica estera   di   Mussolini,   in   totale   continuazione   di   quella liberale,   è   molto   gradita.   Apprezzano   anche   lo   stile dinamico   e   decisionista   del   fascismo   così   diverso   dai tentennamenti e i giri di valzer italiani: al punto che si giustificano   anche   le   decisioni   più   imperiose   col bisogno,pragmatico, di risolvere i problemi lasciatigli in eredità   dal   primo   conflitto   mondiale,che   ancora   creano tensioni tra le nazioni: al punto che ci si domanda ancora oggi   come   conciliare   questo   Mussolini   con   quello imperialista e bellicista del dopo 34 (la tesi è che sia stato   condizionato,   volta   volta,   dalle   circostanze).   E' certo che il fascismo nasce inizialmente in continuità coi liberali, per poi rompere gradualmente con questa tradizione facendosi una identità propria. In un primo tempo, almeno in politica estera,Mussolini aveva poco tempo da perdere: con gli accordi italo jugoslavi del 24 l'Italia prendeva Fiume. Poi,   consolidato   il   potere,   dal   27   in   poi,   il   Fascismo cominciò ad avere ambizioni: il duce decise di vestire i panni di tutti i delusi del tavolo di Versailles,riuscendo a rilanciare   il   ruolo   dell'Italia   entro   la   Società   delle nazioni e aumentando il suo prestigio personale (cerca anche di fare amicizia con gli stati giovani, mercato appetibile alla penetrazione economica italiana: accordi con l'Albania 

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e con l'Ungheria sono le prime tappe di una politica che arriverà a comprendere anche l'Urss). Grazie all'accordo con l'Urss,   conseguente   al   riconoscimento   di   Mussolini   della repubblica socialista sovietica le relazioni commerciali si intensificano e nel 1933 si arriva ad un accordo di amicizia tra   i   due   stati   di   non   aggressione   e   neutralità.   Stessa politica si segue con la Germania: per tutti gli anni 20 l'Italia   appare   un   partner   internazionale   affidabile.   E quando Hitler prende il potere e siamo in crisi economica l'Italia   diventa   ancora   più   determinante   per   conservare l'ordine:   non   a   caso   Mussolini   si   riprende   la   carica   di Ministro   degli   esteri.   Nè   Londra   nè   Parigi   dubitano   che Mussolini farà di tutto per consolidare l'equilibrio tra le potenze e infatti proprio a Roma nel 33 si firma un patto a quattro (G.B, Francia, Italia, Germania) sulla parità degli armamenti.   In   ogni   caso,   anche   se   Hitler   dichiara   di ammirare Mussolini e va al potere con un movimento molto simile al suo, il Duce,ma anche le altre potenze europee sono preoccupate dal risveglio della Germania: per l'Italia sono   in   pericolo   l'Austria   e   la   zona   del   Danubio,dove l'Italia ha stretto vari rapporti economici e commerciali. Ha   infatti   un   chiaro   significato   antitedesco   l'accordo firmato nel 34 tra Roma, Vienna e Budapest: l'Italia si fa garante dell'autonomia austriaca e non esista a muovere le truppe   quando   il   cancelliere   austriaco   Dollfuss   è   ucciso durante   un   tentativo   di   putsch   dei   nazisti   tedeschi. Migliorano   anche   i   rapporti   con   la   Francia,   che   comunque resta   accusata   di   accogliere   con   troppa   facilità   gli antifascisti.

6. la guerra in EtiopiaLa guerra in Etiopia modifica completamente le linee guida della   politica   estera   di   Mussolini,   segnando   una   netta rottura col periodo precedente al 34, periodo della politica revisionista: in realtà alcuni storici vedono nella politica revisionista un periodo  coerente con le scelte dal 34 in poi. Credere che i trattati non siano eterni perchè il mondo cammina, è elemento di destabilizzazione e scopre l'intento di rovesciare l'ordine europeo imposto dai paesi forti ai paesi deboli. Se nei primi anni il Duce sceglierà la via del dialogo, la sua insofferenza verso la Società delle nazioni è dimostrata a più riprese e più volte annuncia di preferire di   sostituirla   con   un   direttorio   a   4:   G.B,   Italia, Francia,Germania.   C'è   la   conferma   della   matchpolitik.   Due cose contribuiscono al passaggio del fascismo dal pacifismo 

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al bellicismo: l'aver consolidato il potere in Italia e il quadro   internazionale   destabilizzato   profondamente   dalla salita al potere di Hitler. Il patto a 4 del 33 si scioglie prima   della   ratifica   da   parte   di   tutti   gli   stati   e   la Germania esce dalla Società delle nazioni. La guerra, che cominciava   ad   essere   scontata,   si   realizza:   una   guerra coloniale   contro   l'Etiopia,   una   guerra   che   rovescia   il sistema   delle   alleanze   e   avvicina   fascismo   e  nazismo.   Le mire   espansionistiche   dell'Italia   sull'Europa   cominciarono già nel 28, culminando in un trattato di collaborazione che prevedeva   anche   la   costruzione   di   una   rete   stradale.   Se all'inizio   si   pensava   che   il   fascismo   pensasse   solo   alla penetrazione economica,diventa presto chiaro che si punta ad una annessione, anche a costo della guerra. Nel35 l'Italia, in cambio della rinuncia ad ogni volontà espansionistica in Tunisia, ottiene dalla Francia carta bianca in Etiopia. Il dubbio è il comportamento che terrà Londra:silenzio assenso? Ostacolerà   il   fascismo?   In   ogni   caso   Mussolini   vuole l'impero   e   cercherà   di   ottenerlo.   La   cosa   servirà economicamente   (combattere   la   disoccupazione,dare   commesse all'industria pesante), ma prima di tutto serve a convincere definitivamente gli italiani e il mondo quanto il fascismo sia   forte.   Così   nel   35   quando   scoppia   la   guerra   non   si lesina sulla mobilitazione di uomini e mezzi nè tantomeno in brutalità. Londra però si intraversa e chiede alla Società delle Nazioni sanzioni economiche contro l'Italia: non è un problema   per   l'Italia   che   trova   fornitori   nella   Germania ormai fuori dalla SdN, dall'Urss e da altri paesi del est con   regimi   simili   a   quello   fascista.   La   Francia   stessa decide,   preoccupata   dall'alleanza   Italia­Germania,   di   non svegliare   il   can   che   dorme,   applicando   le   sanzioni   in maniera lieve e senza estenderle al piano militare pur di non rompere l'accordo con l'Italia. IL regime invece mette in moto la macchina della propaganda, facendo credere che le sanzioni costano all'Italia lacrime e sangue: l'Italia è una giovane   nazione   proletaria   soffocata   dalle   nazioni plutocratiche   che   vogliono   impedirle   di   ascendere, calpestando i suoi diritti all'espansione, a cercare terra e lavoro per i suoi figli, costretti ad emigrare lontano dai suoi   cari   (visione   lacrimevole   che   convince   molti).   Si rispolvera il mito pascoliano della Grande Proletaria. Così il 2 ottobre del 35 dal balcone di Piazza Venezia,trasmesso in   ogni   piazza   italiana   attrezzata   con   gli   altoparlanti, Mussolini annuncia l'inizio delle ostilità contro l'Etiopia. 

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Di nuovo gli antifascisti si illudono che questa guerra sarà il   colpo   definitivo   al   fascismo:   i  soldati   moriranno   nel deserto e chi resta in patria subirà la crisi economica; i superstiti   non   avranno   terre   da   coltivare,   come   fu   coi liberali dopo la I G.M. Invece almeno nel breve periodo la guerra in Etiopia è breve e vittoriosa (mentre nel lungo periodo sarà un disastro, coi coloni obbligati a vivere in rifugi blindati sotto il tiro dei guerriglieri etiopi). In patria comunque le ristrettezze economiche conseguenti alla guerra sono accolte col più alto spirito patriottico:perfino gli   antifascisti   cessano   le   ostilità   contro   il   governo quando la patria è in guerra e subisce sanzioni ingiuste da potenze   coloniali   che   impediscono   all'Italia   di   diventare potenza coloniale. Durante la giornata della fede, quando le donne   italiane   danno   l'oro   delle   loro   fedi   al   governo, persino Croce, Orlando, Labriola (che torna per l'occasione dall'esilio)   donano   le   loro   medaglie   di   senatori   come   un atto di inequivocabile solidarietà al regime. Nel 36 arriva la vittoria: Addis Abeba è conquistata. Il Re Etiope Hailè Selassiè fugge in G.B e Re Vittorio Emanuele III diventa imperatore d'Etiopia: il fascismo raggiunge il culmine dei consensi.   La   G.B   il   mese   dopo   riconosce   la   vittoria all'Italia   e   mette   fine   alle   sanzioni   economiche,   l'anno dopo   firma   con   l'Italia   un   patto   che   la   impegna   a riconoscere lo status quo nel mediterraneo, riconoscendo poi anche   la   conquista   dell'Etiopia.   Comincia   la   politica dell'appeasement: venire incontro a Mussolini e Hitler pur di non rompere il fragile equilibrio europeo, interpretato da   Mussolini   e   Hitler,   avvicinatisi   proprio   con   questa guerra, come un nulla osta ai loro sogni di potenza. Non solo: nella visione darwiniana del mondo di Mussolini, G.B e Francia appaiono ormai due patetiche nazioni che si illudono di essere ancora potenze e difendono la pace perchè hanno paura   della   guerra.   Ormai   sono   secondo   lui   in   piena decadenza   come   dimostra   il   permanere   di   un   sistema democratico secondo lui segno di paralisi e degenerazione. Adesso   sono   i   popoli   giovani   e   vivi,   retti   da   regimi rivoluzionari   che   conducono   il   gioco.   In   ogni   caso   la rottura   con   la   G.B   arriverà   solo   nel   40:   anzi   Mussolini continuerà ad avere contatti con gli inglesi e a continuare a   porsi   come   mediatore,   aumentando   l'importanza internazionale dell'Italia. 

7. la guerra in Spagna

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Nel 36 scoppia la guerra civile in Spagna scatenata dalla congiura dei militari guidati dal Generale Francisco Franco, appoggiati dai monarchici e dai falangisti­ un movimento di tipo   fascista­   che   tentano   di   rovesciare   il   governo repubblicano a guida socialista. Poiché Franco non riesce a piegare   la   resistenza   dei   repubblicani,   chiede   aiuto   ai regimi   nazifascisti   d'Europa.   La   guerra   si   sposta dall'Africa all'Europa: la SdN fa finta di nulla mentre G.B, Francia,   Urss   si   scontrano   con   Germania   e   Italia   per   il destino   della   Spagna   democratica.   Di   positivo   c'è   che finalmente l'antifascismo non è più sentimento solo degli esiliati   e   perseguitati   italiani   e   tedeschi,   ma   diventa un'onda   che   investe   tutta   l'opinione   pubblica   democratica europea. E' proprio il terrore della vittoria della destra filofascista   che   porta   al   governo   in   Francia   il   fronte popolare guidato dal socialista Blum ed è la paura della Germania nazista che spinge l'Urss a riallacciare i rapporti con la Francia mobilitando i paesi della comintern affinchè facciano   di   conseguenza.   Dalla   destabilizzazione dell'equilibrio   europeo   guadagnano   certamente   gli antifascisti italiani non fosse altro per la visibilità e l'autorevolezza   che   acquistano   in   questo   periodo,   ma   si trovano imbrigliati dal comportamento degli Stati,che spesso tendono   ad   agire   più   secondo   interessi   propri   che   per obiettivi comuni e ciò non toglie che l'antifascismo sia un universo   ampio   e   vario   in   cui   troviamo   persino   pensieri antitetici.   Nel   35   il   VII   congresso   Comintern   rinnega ufficialmente   la   teoria   socialfascista   e   consente   a comunisti e socialisti di ogni stato di firmare un patto di unità d'azione e si accordano per dare vita ad un grande coordinamento   antifascista   comprensivo   di   tutte   le   forze democratiche, anche quelle borghesi. Con la differenza che Stalin   decide   di   intervenire   in   Spagna,   mentre   gli   altri stati   decidono   di   restare   passivi,   nonostante   Germania   e Italia,   che   apparentemente   dicono   di   condividere   il   non intervento, continuano a mandare soldi, uomini, mezzi. La passività sconvolge gli antifascisti italiani per i quali la guerra di spagna è un campanello per la mobilitazione:Carlo Rosselli   si   fa   promotore   di   un   appello   “Oggi   in   Spagna, domani   in   Italia”   che   ha   una   forte   eco   tra   tutti   gli antifascisti.   Nelle   Brigate   internazionali   che   varcano   i Pirenei   in   aiuto   della   Spagna   troviamo   molti   giovani,   ma anche   tutta   la   vecchia   guardia   antifascista   (liberali, socialisti, comunisti, anarchici): è una lotta impari perchè Franco ottiene da Germania e Italia una quantità immensa di uomini   e   mezzi.   Gli   antifascisti  invece   ricevono rifornimenti   e  uomini   dall'Urss   che   però   ha   difficoltà   a mandarne   pervia   della   distanza,   ma   anche   per   i   blocchi imposti da Francia e G.B preoccupate per l'eccessivo potere preso dall'Urss in occidente: sarà comunque qui che nasce il mito   dell'Urss   come   bandiera   dell'antifascismo.   In   più 

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l'arrivo degli uomini del Kremlino porta con se la stessa brutalità con cui si comanda a Mosca: i nemici non sono solo i   fascisti,   ma   anche   gli   anarchici   e   i   trotskisti,   i liberalsocialisti   e   chiunque   non   rispetti   il   volere   dei dirigenti comunisti. In ogni caso la resistenza antifascista riuscirà a resistere fino al 1938 costringendo Mussolini, che sperava in una guerra veloce e vittoriosa, in un pantano ben   lungo   che   porta   pochi   vantaggi   (ci   sono   molti   morti della   MVSN,dell'esercito   ecc...   non   ci   sono   terre   da conquistare ne diritti coloniali da far valere ne guadagna in   prestigio   internazionale,   che   si   sta   giocando   con l'alleanza   con   Hitler).   La   motivazione   è   puramente ideologica, ma sono pochi i fascisti convinti nel paese: la maggior   parte   si   è   fatta   contagiare   dal   Mussolini   uomo d'ordine, dal Mussolini assistenzialista che promette pace e tranquillità   e  se   la   guerra   in   Etiopia,   così   lontana,non aveva sconvolto questo quadro, ben diverso è il baratro in cui Hitler sembra trascinare l'Italia (per di più, per chi ha   combattuto   sul   Carso,   in   tedesco   è   il   nemico).Ma Mussolini   stringe   ancora   di   più   l'abbraccio   mortale   con Hitler dapprima aderendo al Patto anti­comintern stipulato tra Italia, Giappone, Germania e uscendo poi dalla SdN per avere   le   mani   libere   da   ogni   obbligo   internazionale.   La prova definitiva dell'alleanza italo­tedesca è la passività con   cui   l'Italia   reagisce   all'annessione   tedesca dell'Austria   decisa   da   Hitler   nel   marzo   38.   Non   bisogna pensare che il paese volti le spalle al fascismo, ma certo è insensibile   alla   propaganda   sulla   guerra   in   Spagna:   sarà prezioso   in   questo   caso   l'intervento   della   Chiesa   che riuscirà   a   commuovere   i   cattolici   raccontando   le   storie delle persecuzioni dei rossi contro il clero spagnolo: la Chiesa   imprime   il   marchio   di   guerra   santa,   di   crociata contro il comunismo alla guerra spagnola, proprio mentre il Papa con l'enciclica Divini Redemptoris denuncia l'ateismo e il sovversivismo comunista. Al punto che quando i fascisti vincono Pio XII saluta la Spagna Franchista come il baluardo inespugnabile della fede cattolica. In sunto l'anticomunismo è l'unica cosa che fa leva sugli italiani in questa guerra e sposta   consenso   ideologico   verso   il   regime,   ma   che ovviamente   non   prende   tutti,   meno   che   mai   i   proletari. Comincia   a  riaffiorare   alla   memoria   quel   fascismo   che   ne biennio rosso non esitò a farsi guardia del capitalismo per distruggere il movimento socialista in ascesa e dimostra ad oggi che, nonostante lo slogan andare verso il popolo, il fascismo resta intrinsecamente reazionario che lo porta ad allearsi con a Chiesa, i Capitalisti, i grandi proprietari terrieri   per   abbattere   il   governo   socialista   e   comunista spagnolo e togliere le libertà.

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