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1 Viva lItalia! Mille uomini, due soli battelli a vapore 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Lezioni narrate da Franca Forgeschi e Giovanna Forgeschi VIVA L’ITALIA centocinquanta anni Unità d’Italia 1861-2011 PROVINCIA di GROSSETO

"Viva l'Italia" mille uomini, due soli battelli a vapore

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“Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore” il libro realizzato interamente dalla Provincia di Grosseto all’interno delle numerose iniziative per le celebrazioni dei 150 anni dall’Unità d’Italia. In occasione del centocinquantesimo, Provincia di Grosseto e Consiglio provinciale degli Studenti hanno ideato e realizzato “Viva l’Italia, Uniti 1861-2011”, un progetto che coinvolge i ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado e studiosi, nella costruzione di un percorso di conoscenza e di riscoperta dei luoghi, dei personaggi e degli eventi del territorio provinciale legati all’Unità d’Italia. Lezioni narrate da Franca Forgeschi e Giovanna Forgeschi Illustrazioni di Giovanni Groppi Progetto grafico di Michele GuidariniHa contribuito Vincenzo Orfino

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Viva l’Italia!

Mille uomini, due soli battelli a vapore

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Lezioni narrate daFranca Forgeschi e

Giovanna Forgeschi

VIVA L’ITALIAcentocinquanta anni Unità d’Italia

1861-2011

PROVINCIA di GROSSETO

Viva l’Italia!Mille uomini, due soli battelli a vapore

Viva l’Italia! Mille uomini due soli battelli a vapore© Provincia di Grosseto 2011a cura Servizio Comunicazione Provincia Grossetoprogetto grafi co Michele Guidarini - www.micheleguidarini.comwww.provincia.grosseto.it

Illustrazioni Giovanni GroppiHa contribuito Vincenzo Orfi no

VIVA L’ITALIAcentocinquanta anni Unità d’Italia

1861-2011

Lezioni narrate daFranca Forgeschi e Giovanna Forgeschi

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Cari ragazzi e ragazze,succede spesso a noi tutti di vivere in una condizione non percepita.

È così per le cose grandi come la pace, la libertà, la democrazia.

Quelle elencate sono tutte conquiste della civiltà umana così come è

stato per la costruzione del nostro paese, l’Italia.

In questo piccolo libro si ricorda, e ricordare serve a comprendere in-

nanzitutto le cose meravigliose e grandiose che può fare l’uomo.

“Sognate” vi dice Garibaldi, e se il sogno sarà condiviso e buono, anche

se vi sembrerà impossibile o troppo grande, con la vostra fatica si rea-

lizzerà.

La storia in gran parte è questo: un elenco di conquiste umane spesso

raggiunte con dolore e vittime. La storia è un modello per capire non

come sarà il vostro futuro, ma per testimoniare che il futuro potrete

costruirlo, trasformarlo, non semplicemente attenderlo.

Sfogliando queste pagine, insieme alla narrazione della spedizione dei

Mille, incontrerete notizie che vi faranno capire che il Risorgimento

non fu soltanto guerra, battaglie. Fu un periodo di vivacità e di stimoli,

come ricorrentemente l’uomo sa creare. Ci sono scoperte come il tele-

fono, grandi pagine di letteratura, furono dipinti straordinari quadri.

Ogni uomo cercava il futuro a suo modo. Anche io faccio così.

Il nostro è uno straordinario Paese. Ma ogni epoca ha bisogno dei suoi

Mille che sanno guardare oltre il presente. Certamente fra voi ci sarà

un “garibaldino” del secondo millennio che, però, avrà bisogno di tutti.

Anche nel 1860 senza i “picciotti” siciliani e calabresi, senza l’aiuto dei

maremmani di allora, dei napoletani e dei piemontesi, non sarebbe sta-

to possibile fare l’Italia unita.

È per questo che abbiamo scelto di caratterizzare anche questo libro

con la parola UNITI. L’unità, la solidarietà, la condivisione non è solo

un’eredità, ma un valore che un popolo deve custodire e difendere, ren-

dere viva e attuale.

Leonardo Marras, presidente della Provincia di Grosseto

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Garibaldino

Il 2011 è l’anniversario dell’Unità d’Italia e la Provincia di Grosseto ha

deciso di ricordarlo realizzando una serie di iniziative dedicate a tutti

gli studenti di ogni ordine e grado: un libro per le scuole dell’infanzia,

ricerche e mostre per gli studenti delle superiori.

L’obiettivo è la costruzione di un grande ponte di conoscenza raccon-

tando un simbolo del Risorgimento, Giuseppe Garibaldi, e quanto suc-

cesse nelle nostre terre, solo apparentemente poco signifi cativo.

Il progetto Uniti è nel nostro obiettivo un esempio di “didattica socia-

le” e non meramente un’elencazione di nozioni e informazioni stori-

che. Vorremmo che alla fi ne del percorso ai nostri ragazzi fossero più

facilmente riconoscibili i “garibaldini” di ieri e di oggi.

La Maremma e l’Amiata hanno nelle loro origini lo spirito della fron-

tiera, il sogno di costruire una terra promessa. Abbiamo tanti Garibaldi

che hanno dedicato la vita per inseguire un modello di vita. Don Zeno,

a pochi passi da Grosseto, creò il popolo di Nomadelfi a, negli anni del

Risorgimento David Lazzaretti fu il Cristo dell’Amiata e morì per di-

fendere la sua idea, padre Ernesto Balducci ci ha parlato dell’Uomo Pla-

netario. E poi, sono stati garibaldini i padri e i nonni che hanno saputo

far rinascere la nostra terra dopo il 1945 e dopo l’alluvione del 1966.

Renato Pollini, Sindaco di Grosseto, recentemente scomparso, era un

garibaldino moderno.

Riconoscere, dunque, nel passato e nel presente i segni che producono

il cambiamento e la crescita, è un punto di partenza per tutti noi. Rico-

noscere senza pregiudizi o barriere precostituite e comprendere ciò che

di positivo esprimono le persone con cui viviamo.

Sergio Martini, presidente del Consiglio Provinciale

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Prima lezione LA PARTENZA

Scoglio di Quarto: Quarto dei Mille è oggi un quartiere residenziale di Genova compreso tra i quartieri Sturla e Quinto. Fino al 1861 – prima quindi dell’Unità d’Italia - si chiamava Quarto al Mare; il nome venne poi sostituito in onore della spedizione dei Mille. L’origine del nome è di epoca romana: il Quartum Milium dal centro di Genova lungo la via Aurelia.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

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Prima LezioneLA PARTENZA

Oggi lezione di storia, ma non vi spaventate ragazzi, né lunga né noiosa.

Parleremo di Giuseppe Garibaldi in modo diverso. Niente date - la sua

vita fi no al 1860 non ci interessa - abbiamo scelto di raccontare solo la

”Spedizione dei Mille”.

150 anni fa vicino a Genova, presso lo scoglio di Quarto, c’era una co-

struzione chiamata il Casone Bianco. La sera del

15 aprile 1860 bussò alla porta di un certo patrio-

ta Candido Augusto, Giuseppe Garibaldi scuro

in volto e vestito di nero, in cerca di conforto e

di ospitalità, dopo tante avventure tra cui una

brutta caduta da cavallo, ma col pensiero fi sso

di partire per la Sicilia per aiutare il popolo si-

ciliano a liberarsi dall’oppressione dei Borboni,

in nome del re di casa Savoia.

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Prima lezione LA PARTENZA

Società RubattinoRaffaele Rubattino è stato un imprenditore e armatore italiano, industriale e padre stori-co dell’armamento navale commerciale italiano che prese le mosse dal porto di Genova. A Rubattino è dedicata una statua in bronzo a piazza Caricamento, nel quartiere di Sottoripa, accanto a Palazzo San Giorgio. Rubattino fu un patriota dell’unità d’Italia, amico personale di Cavour, di Nino Bixio. Fornì prima a Carlo Pisacane e poi a Giuseppe Garibaldi le navi per le spedizioni nel Mezzogiorno d’Italia, fra cui la storica spedizione dei Mille. Il suo contributo alla causa dei Mille fu mantenuto segreto per non indebolire la sua attività industriale, pertanto si fi nse un furto di nave.

Per voi ragazzi è facile conoscere l’Italia e il mondo intero stando como-

damente seduti davanti al televisore o al computer, ma per le persone di

allora erano mondi lontani e completamente sconosciuti.

Perfi no il grande Camillo Benso Conte di Cavour aveva

viaggiato nell’Italia del nord e anche in Francia, ma non

era mai sceso fi no a Roma; Napoli per lui era una città

straniera e misteriosa, la Sicilia poi geografi camente era

quasi Africa.

L’impresa della spedizione in Sicilia incontrò molte

diffi coltà rendendo incerti i preparativi e lo stesso Giu-

seppe Garibaldi. Soprattutto il conte di Cavour, allora

membro importante del governo piemontese, fi ngeva

di essere d’accordo, ma in realtà si augurava che i volontari fi nissero

presto in bocca ai pesci.

Per trovare i volontari non ci furono problemi, poiché si presentavano

spontaneamente e con entusiasmo, avendo per lo più già conosciuto

Garibaldi per le sue imprese; e se ne presentarono così tanti, tutti dal

nord Italia, che una parte rimase a terra perché era impossibile armarli

e imbarcarli tutti.

Per reperire le armi invece ci furono diffi coltà: a Milano c’era un grosso

deposito, ma il governatore della città si oppose al suo utilizzo. Alla fi ne,

fucili e pistole furono trovate a Modena anche se mancavano le muni-

zioni. Oltre alle armi per la spedizione, per raggiungere la Sicilia occor-

revano i piroscafi . Glieli concesse l’amministratore della società Rubat-

tino all’insaputa del padrone che lo licenziò in tronco riducendolo in

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

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Prima lezione LA PARTENZA

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Battello a vapore È un mezzo di trasporto usato nel 1800 per navigare utilizzando la propulsione a vapore. Il primo modello funzionante fu varato da Claude de Jouffroy nel 1783. Si trattava però di un prototipo ancora sperimentale, poiché il primo vero battello a vapore applicò l’apparato mo-tore inventato da James Watt e fu fatto navigare da Robert Fulton lungo il fi ume Hudson nel 1807. Si chiamava Clermont, aveva una potenza di 18 cavalli e fu demolito quasi subito dai barcaioli del fi ume per paura di restare senza lavoro.

Cosa succedeva in quel periodo

1850 viene inventata la siringa ipodermica

1850 Foucault prova la rotazione terrestre col suo famoso pendolo

1853 il cuoco George Crum inventa le patatine fritte

1855 nasce il latte in polvere

1856 viene ritrovato l’uomo di Neanderthal

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

1856 v

al

miseria; al contrario, il signor Rubattino ha avuto un bel monumento

da ammirare anche oggi sullo scoglio di Quarto.

Ma da quell’isola così lontana che notizie arrivavano? (considerate che

una lettera impiegava circa quindici giorni per arrivare a destinazione).

Le notizie erano buone: in una lettera recapitata a Garibaldi si diceva

che le città erano insorte e che c’erano trentamila uomini in attesa sulle

alture intorno a Palermo.

Che si aspettava, perdio?

Garibaldi era ancora incerto quando giunse un telegramma in codice

che diceva: “Completo insuccesso, non vi muovete”.

Che fare allora? Partire o no? Bisognava comunque prendere una deci-

sione.

Dopo alcune esitazioni, fu decisa la partenza. Finalmente i volontari

s’imbarcarono, notte tempo, su due piroscafi : il Piemonte,

fabbricato in Inghilterra, e il Lom-

bardo a Livorno.

Garibaldi uscì

dal Casone Bian-

co fra gli applau-

si dei volontari e

dei curiosi, vestito

come il suo soli-

to: pantaloni di

Prima lezione LA PARTENZA

fl anella grigia, camicia rossa con due grandi taschini uniti dalla catena

dell’orologio, fazzolettone di seta variopinta al collo. Sopra portava il

poncho, una coperta con un buco al centro per infi larci il capo, secondo

l’usanza messicana.

Scaldate le macchine, i due piroscafi cominciarono la navigazione. Gli

uomini a bordo erano pieni di entusiasmo e fi duciosi che le munizioni

e le armi mancanti le avrebbero imbarcate al largo secondo gli accordi

presi con un certo Celle di professione contrabbandiere, ma questo non

avvenne.

Era la sera del cinque maggio 1860.

Le navi si diressero verso il canale di Piombino.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Gli scrittori di quel periodoGiovanni VergaNato a Catania nel 1840, fu il massimo esponente del Verismo. La

sua prima formazione romantico-risorgimentale si svolse a Catania,

dove, abbandonando gli studi giuridici, decise di dedicarsi esclusi-

vamente alla letteratura. Trasferitosi a Firenze nel 1865, Giovanni

Verga compose i suoi primi romanzi. Successivamente, a

Milano frequentò l’ambiente degli Scapigliati, rappresen-

tando in modo fortemente critico il mondo aristocratico-

borghese. Il suo capolavoro porta il titolo di I Malavoglia.

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Seconda Lezione BREVE SOSTA A TALAMONE

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Il viaggio fu tranquillo, il mare poco mosso, nessuna nave nemica

all’orizzonte. All’improvviso, ecco apparire all’orizzonte il villaggio di

Talamone; un manipolo di casette, una chiesetta spoglia, un campanile

sottile, un forte e un’unica osteria. La terra era poco ospitale a causa

della malaria e ci abitavano meno di trecento persone, in maggioranza

famiglie di carbonai e pescatori.

Sul porto c’era un gran viavai di persone: chi era atteso?

Da almeno un mese si era sparsa la notizia dell’arrivo nientemeno che

del principe di Carignano; quindi all’avvicinarsi dei due vapori che is-

savano bandiera tricolore con al centro lo scudo sabaudo, tutti erano

convinti che si trattasse del principe in visita.

Ma quale fu lo sbigottimento quando videro, alzando gli occhi verso il

ponte, tanti uomini in camicia rossa.

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Ragazzi, siete curiosi di conoscere il seguito del racconto? Bene! Oggi parleremo della navigazione e della sosta a Talamone, in provincia di Grosseto

Seconda Lezione BREVE SOSTA A TALAMONE

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“Sono abiti da viaggio. Il signor generale vi attende”, disse un tenen-

te per tranquillizzare le due persone salite sulla nave per accogliere gli

ospiti illustri.

Garibaldi, con i gradi da tenente-generale dell’esercito regio, salutò e

tranquillizzò i presenti spiegando che la

missione gli era stata affi data dal re in per-

sona e chiedeva loro armi e munizioni. Il

comandante del forte soddisfece subito la

richiesta senza consultarsi con nessuno; in

seguito, però, pagò con il carcere questa

sua decisione.

Dopo lo sbarco, Garibaldi si recò a cena

nell’unica trattoria “La frasca” e mangiò

minestra di cavolo, lesso con fagioli e frit-

tata di cipolle. Anche i volontari, dopo

un giorno e una notte di navigazione col

mare mosso, scesero a terra aff amati a cer-

care del cibo.

Le munizioni arrivarono presto anche da

Orbetello: la gente del posto - che già anni

prima aveva salvato la vita al generale fa-

cendolo imbarcare a Calamartina, vicino

a Follonica - si fece in quattro per dare ai

volontari tutto quello che avevano. Pur-

troppo le munizioni non andavano bene

per quei fucilacci modenesi: pensarono,

così, di rimediare a questo inconveniente

avvolgendo ogni proiettile con la stoppa.

Prima di ripartire sui battelli furono cari-

cate centinaia di libbre di carne, riso, sego

e pane.

La Rocca di TalamoneÈ una fortifi cazione medievale sorta verso la metà del Duecento per volontà degli Aldobrandeschi, con funzioni di avvistamento e di difesa sul porto sottostante. Nella prima metà del Cinquecento, la rocca subì una serie di devasta-zioni piratesche. La fortifi cazione fu defi nitivamente recuperata quando la località entrò a far par-te dello Stato dei Presidii. In epo-ca moderna, la rocca fu il punto di raccolta per i volontari che si imbarcarono a Talamone per la Spedizione dei Mille. Durante la Seconda guerra mondiale, la for-tifi cazione ha subito alcuni dan-neggiamenti a cui seguirono ope-re di restauro che hanno riportato la rocca agli antichi splendori.

Compagnia militareÈ un’unità militare monoarma, cioè composta da personale con specializzazione ed equipaggia-mento omogenei, che raggruppa più plotoni ed è costituita da un numero variabile di persone, da 100 a 200. La creazione della compagnia risale al periodo in cui alle milizie feudali si sostituirono gradatamente le truppe mercena-rie. In Piemonte, Carlo Emanuele I creò il reggimento, composto da sette a dieci compagnie.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Seconda Lezione BREVE SOSTA A TALAMONE

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Francesco CrispiÈ stato un politico italiano che ha ricoperto la carica di Presidente del Consiglio. Ex-mazziniano dal temperamento fortemente indi-vidualistico, nel 1859 aveva or-ganizzato la rivoluzione siciliana preparando così il terreno alla Spedizione dei Mille; nel 1865 aveva aderito alla monarchia. Benché fosse giunto alla presi-denza del consiglio ormai settan-tenne dimostrò subito di non aver perso nulla del proprio carattere aspro e autoritario: si orientò su-bito verso una profonda riforma dello stato, una connotazione in senso aggressivo delle alleanze internazionali e una decisa espan-sione coloniale in Africa.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Prima di risalire a bordo, era necessario però dividere in reparti tutta

quella gente e bisognava contarla. Anche se in realtà non si è mai saputo

con esattezza quanti fossero, l’attributo dei Mille nacque più tardi.

Si è sempre pensato che tutti avessero la camicia rossa e che fossero gio-

vani e sani (c’era addirittura chi era senza un braccio o senza una gam-

ba), in realtà fi no a Palermo gli uomini non ebbero né una divisa né

gradi: ognuno vestiva a suo piacimento.

I più eleganti di tutti erano i Milanesi vestiti all’ultima moda e uno di

loro fu messo a capo della cavalleria ma cavalli non ce n’erano; altri in-

dossavano la divisa dei Cacciatori delle Alpi, altri dell’esercito regio,

altri vestivano panni borghesi. Comunque, indipen-

dentemente da come erano vestiti, si formarono otto

compagnie.

Pensate un po’, c’era anche una donna: la signora Rosa-

lia Montmasson, moglie di Francesco Crispi.C’erano anche tre sacerdoti, uno dei quali aveva la-

sciato la parrocchia e la tonaca e da allora stette sem-

pre con Garibaldi senza

però sparare nemmeno un colpo. Ter-

minata l’organizzazione dell’esercito ed

imbarcati le armi e i viveri, ai volontari

fu dato il comando di rompere le righe;

così chi andò a farsi un bagno, chi subito

si recò in paese in cerca di cibo e di vino,

chi invece andò a cercare le ragazze.

Quando però fu il momento di risalire a

bordo, non tutti lo fecero perché, convin-

ti repubblicani com’erano, non voleva-

no sottostare agli ordini di casa Savoia in

quanto Garibaldi portava avanti la missio-

ne nel nome del re di Savoia. Si organizza-

rono quindi in un piccolo gruppo con lo

scopo di entrare nello Stato Pontifi cio per

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liberarlo dal dominio del Papa.

Questa spedizione fallì.

I due piroscafi ripresero il mare ma subito dopo dovettero fermarsi a

Santo Stefano, sull’Argentario, per rifornirsi di carbone indispensabile

per i motori dei piroscafi e di acqua.

Appena calate le ancore, Garibaldi scese a terra indossando la camicia

rossa e raccomandando ad alcuni militari toscani di presentarsi al re-

sponsabile del deposito di carbone e di chiederlo con le buone senza

usare violenza.

Il custode del deposito disse che non poteva consegnare il carbone se

non a chi aveva il diritto di chiederlo.

Bixio perse la pazienza, con una spinta lo cacciò da parte e il carbone fu

preso e portato trionfalmente a bordo.

Anche i barili pieni d’acqua, pagati 20 franchi l’uno, furono portati ai

piroscafi con due barche spinte dalla forza delle braccia di due barcaio-

li.

Durante la breve sosta a Porto Santo Stefano, Garibaldi stette a contat-

to con la gente del luogo e ad uno stuolo di ragazzini che gli ronzavano

intorno e che volevano salire a bordo disse: “ora siete piccini, quando

sarete grandi e forti ci sarà da combattere anche per voi”.

Seconda Lezione BREVE SOSTA A TALAMONE

Cosa succedeva in quel periodo1856 nasce il quotidiano La Nazione1858 Darwin elabora la teoria dell’evoluzione della specie1858 viene inventato l’apriscatole 1860 nasce la benzina1860 ridotto l’orario di lavoro: non più di diciotto ore al giorno

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Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

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Gli scrittori di quel periodo

Edmondo De Amicis

È il celebre autore di Cuore, libro in cui voleva dimostrare come le classi

sociali potessero e dovessero cimentarsi tra loro nella scuola pubblica.

Nasce ad Oneglia nel 1846, vive a Torino ed è il settimo inviato speciale

della stampa italiana. Fu scrittore storicamente signifi cativo dell’epoca

umbertina. Compose sull’onda del manzonismo degli autori “medi” del

secondo Ottocento: con grande intento pedagogico dà vita a prose edu-

cative e ben cinque libri di viaggio.

Gli artisti di quel periodo

Claude Monet

Nasce a Parigi nel 1840, ma trascorre l’infanzia a Le Havre. È il pittore

che, forse più di tutti, rappresenta l’impressionismo. Nel 1859 s’iscrive

all’Académie Suisse di Paris e inizia a frequentare la Brasserie

des Martyrs, luogo d’incontro di artisti e intellettuali. Nel

1860 parte per l’Algeria come soldato. Nel 1862, tornato

a Parigi, conosce Sisley, Renoir e Bazille. Celebre il dipin-

to “Impressione, sole nascente”: realizzato sul momento,

all’aria aperta, rappresenta il porto di Le Havre all’alba e

darà il nome a tutta la corrente impressionista.

Terza lezione VIAGGIO VERSO LA SICILIA

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Terza LezioneVIAGGIO VERSO

LA SICILIAOggi parleremo del viaggio in mare verso la Sicilia.

Certamente, ragazzi, questo viaggio non è da parago-narsi alle crociere di oggi. Però tutti, anche in mezzo a mille diffi coltà, erano entusiasti senza sapere bene

che cosa li aspettasse e dove sarebbero sbarcati.

Scomparso l’Argentario, il viaggio procedette tranquillamente: il mare

era calmo, il cielo sereno e in vista nessuna isoletta o costa. Gli uffi -

ciali badavano che nessuno restasse inoperoso: c’era infatti chi versava

piombo fuso negli stampi per fare le palle, chi arrotolava le cartucce e

tutti oliavano il proprio fucilaccio per renderlo effi ciente.

Tutto procedeva ordinatamente.

”Qui sul mio bordo (il Piroscafo Piemonte) non deve udirsi altra voce

che la mia; e il primo che ardisse disobbedirmi si prepari ad essere but-

tato in mare”. Queste parole di Garibaldi erano bastate per mantenere

la disciplina ed evitare ogni discussione. Il Generale era sempre allegro

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Terza lezione VIAGGIO VERSO LA SICILIA

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e nei ritagli di tempo componeva dei versi da cantarsi come un inno

sull’aria della Norma, un’opera di Vincenzo Bellini. Ma quei versi non

piacquero a nessuno e nei momenti importanti i volontari si facevano

coraggio cantando “La bella Gigogin” - diminutivo, in dialetto piemon-

tese, di Teresina – che era un’allegra marcetta molto in voga in quel

periodo.

Riportiamo qui alcuni versi di questa canzone suonata per la prima

volta la sera del 31 dicembre 1858 in un teatro di Milano. Pensate che

ancora oggi i Bersaglieri la cantano durante le esercitazioni e i giura-

menti. Forse qualche nonno potrebbe ricordarsela e farvi sentire come

è il motivetto?

Di quindici anni facevo all’amore.

Daghela avanti un passo, delizia del mio core!

A sedici anni ho preso marito.

Daghela avanti un passo, delizia del mio core!

A diciassette mi sono spartita.

Daghela avanti un passo, delizia del mio core!

La ven, la ven, la ven alla fi niestra.

l’è tutta, l’è tutta, l’è tutta insipriada.

la dis, la dis, la dis che l’è malada

per non, per non, per non mangiar polenta,

Bisogna, bisogna, bisogna avè pazienza,

lassala, lassala, lassala maridà.

Sul Lombardo, invece, il clima era diverso perché Nino Bixio era un vero dittatore e quando un volontario si

lamentò del rancio (pane e cacio), gli tirò un piatto di

riso e fagioli - che era la cena degli uffi ciali - in faccia,

aggiungendo: ”Quando saremo a terra impiccatemi al

primo albero che trovate, ma qui comando io!”

Ad un certo punto i due piroscafi si persero di vista e,

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Terza lezione VIAGGIO VERSO LA SICILIA

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Isole EgadiSono un arcipelago di tre isole principali e due minori, posto a circa 7 chilometri dalla costa oc-cidentale della Sicilia, fra Marsala e Trapani. Nel 241 a.C. i Romani conquistarono le isole dopo la battaglia navale fi nale della Prima Guerra Punica, nella quale venne sbaragliata la fl otta cartaginese. Dopo il crollo dell’impero romano le isole caddero in mano dei Van-dali e dei Goti ed in seguito dei Saraceni. Nel 1081 vennero oc-cupate e fortifi cate dai Norman-ni. Seguirono poi il destino della Sicilia.

appena si ritrovarono, scorsero più vicine

le isole Egadi ed in lontananza la costa

della Sicilia.

Ma dove sarebbero sbarcati? Mistero,

nessuno lo sapeva e forse nemmeno il ge-

nerale lo aveva ancora deciso.

Garibaldi passeggiava avanti e indietro

sul ponte, guardava il mare con il bino-

colo quando fi nalmente all’orizzonte si

profi lò la cupola del duomo di Marsala,

il suo porto e due navi da guerra all’or-

meggio. Una barca di pescatori andò loro

incontro e fortunatamente portò due no-

tizie fondamentali: la prima che le navi

erano inglesi e quindi amiche; la seconda

che le truppe borboniche avevano lascia-

to Marsala per dirigersi verso Trapani.

Era il momento giusto per sbarcare: i no-

stri volontari toccarono terra tra lo stu-

pore degli uffi ciali inglesi nel vedere una

turba di gente così variamente vestita. In

fretta si avviarono tutti verso la piazza

principale di Marsala.

Tutti raggiunsero la meta tranquillamen-

te, compreso Garibaldi che per ultimo

aveva lasciato il piroscafo. Così, due navi

borboniche giunte in

r i t a r d o

spararo -

no alcune

cannonate

che non eb-

bero nessun

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Nino BixioÈ stato un militare, politico e patriota italiano, tra i più noti e importanti protagonisti del Risor-gimento. Rimasto orfano giova-nissimo, si imbarcò come mozzo su un brigantino che partiva per l’America. Rientrato in Italia, si arruolò nella marina sarda, ma vi rimase per poco tempo, dato il suo carattere. Il suo desiderio di avventura fu più forte tanto che con due compagni si imbarcò su una nave americana diretta a Sumatra. Dopo molte avventure rientrò in Europa e nel 1847 era a Parigi dove conobbe Mazzini e le novità in vista per la rivoluzio-ne italiana. Nel 1859 comandò un battaglione dei Cacciatori del-le Alpi, a fi anco di Garibaldi che, l’anno seguente, lo chiamò per la spedizione dei Mille e ne fece il suo braccio destro.

Terza lezione VIAGGIO VERSO LA SICILIA

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Il vino di MarsalaÈ un vino Doc liquoroso prodotto in Sicilia, nel co-mune di Marsala e nell’intera provincia di Trapani. La versione più accreditata sulla nascita del Marsa-la come vino liquoroso è incentrata sulla fi gura del commerciante inglese John Woodhouse il quale nel 1773 approdò con la nave su cui viaggiava nel porto di Marsala. Secondo la tradizione, durante la sosta lui ed il resto dell’equipaggio ebbero modo di gusta-re il vino prodotto nella zona, che veniva invecchiato in botti di legno assumendo un gusto analogo ai vini spagnoli e portoghesi molto diffusi in quel periodo in Inghilterra.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Il telegrafo

È un sistema di comunicazione a distanza basato

su codici convenzionali per trasmettere lettere, nu-

meri e segni di punteggiatura. Dopo varie sperimentazioni, negli

anni quaranta del 1800 il successo arriva fi nalmente per Samuel Morse, che

inventa un sistema telegrafi co elettrico impiegante un unico fi lo, ed inventa uno speciale co-

dice, il Codice Morse, che permette di codifi care le lettere alfabetiche in sequenze di impulsi

di diversa durata (punti e linee).

eff etto.

Il Generale, con la sciabola

sulla spalla - come i contadi-

ni portavano la zappa - salì

sulla torre campanaria per

guardarsi intorno mentre

alcuni volontari si recarono

in municipio, prelevarono

890 ducati che trovarono

in cassa e dettero 85 cente-

simi di lire ad ogni soldato

che quasi tutti spesero per comprare pane, salame, frutta e cacio, senza

rinunciare però a bere un po’ del buon vino di Marsala. Nella notte, per

le strade della città, si udivano solo canti e risate.

Un soldato toscano prese con sé i due volontari più giovani e consegnò

loro due taglierini e, facendo segno di stare zitti, li portò in gran fretta

all’uffi cio postale. L’impiegato, in quel momento seduto davanti al tele-

grafo, stava trasmettendo un telegramma a Palermo e a Trapani: ”Gente

arrivata con due navi è sbarcata nella nostra città”. Il soldato toscano

mise a terra il povero impiegato e trasmise: ”Mi ero sbagliato, sono due

vapori nostri” e la risposta da Palermo fu “Imbecille!”. Poi ordinò ai due

giovani di tagliare i fi li del telegrafo.

Il giorno dopo lo sbarco, i volontari ri-

cevettero una pagnotta di pane a testa e

si misero in marcia nella campagna si-

ciliana, arsa, piena di

34

fi chi d’india e sotto un sole cocente. Durante questo viaggio fi nalmente

incontrarono gruppi di volontari che si unirono a loro e tutti furono

bene accolti dagli abitanti dei piccoli paesi che attraversavano, al grido

di “morte ai borbonici”.

Cosa succedeva in quel periodo1860 Giosuè Carducci ottiene la cattedra

di letteratura italiana all’Università di Bologna1860 Abraham Lincoln diventa presidente degli Stati Uniti1861 nasce la prima rotativa per stampare i giornali

1862 viene inventata la mungitrice

Terza lezione VIAGGIO VERSO LA SICILIA

g ornane inventata la mungitrice

35

Gli scrittori di quel periodo

Carlo Collodi

All’anagrafe Carlo Lorenzini, nacque a Firenze nel 1826 e fu

uno scrittore e giornalista italiano. È divenuto celebre come

autore del romanzo Le avventure di Pinocchio. Carlo Lo-

renzini era affi liato alla massoneria: l’intera avventura del

burattino è costellata di simboli e metafore che rinviano

all’iniziazione massonica.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

fu

me

o-el

o

Gli artisti di quel periodo

Giovanni Fattori

Nasce a Livorno il 6 settembre 1825. Nel 1848 Fattori è coinvolto nei

moti risorgimentali, con il compito, modesto ma pericoloso, di fattorino

del Partito d’Azione, ossia di distributore di fogli “incendiari”. Le

battaglie risorgimentali, che saranno spesso oggetto delle sue

pitture, sono per lui la strada per raggiungere non solo

l’unità d’Italia, ma soprattutto un mondo sociale nuo-

vo, libero, onesto e giusto. È stato il maggior pittore

della “macchia” e forse di tutto l’Ottocento italiano.

Quarta lezione PRIME BATTAGLIE

37

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Quarta LezionePRIME

BATTAGLIEQuesta volta ragazzi seguiremo l’esercito di Garibaldi

alla conquista della Sicilia e i primi scontri con l’esercito nemico.

Non erano battaglie virtuali a cui siete abituati ma veri e propri scon-

tri corpo a corpo. Ieri, come oggi, molti soldati perdevano la vita nelle

guerre.

Abbandonata Marsala, dopo un viaggio estenuante sotto il sole i vo-

lontari giunsero alla città di Salemi accolti

da tutta la gente e da un ricco feudatario

del luogo. Le donne domandavano curio-

se: ”Qual è Garibaldi? È quello?” Quando

arrivò veramente il generale, poco mancò

che cadessero in ginocchio come di fronte

ad un santo “Bello come il sole! Siti ’u fra-

te di santa Rosalia” gridavano.

Strategia militareÈ l’arte di impiegare nella manie-ra migliore le risorse disponibili ai fi ni della guerra; è quindi quella branca dell’arte militare che stu-dia i principi generali delle ope-razioni militari ed imposta e co-ordina nelle grandi linee il piano generale della guerra, non soltan-to sotto gli aspetti militari.

Quarta lezione PRIME BATTAGLIE

39

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Camicie rosseGaribaldi e i suoi volontari scelsero la camicia rossa, come loro segno distintivo, fi n dal 1843, quando Garibaldi radunò 500 italiani volontari a Montevideo per difendere la Repubblica Uruguayana dal dittatore argentino Rosas che voleva conquistarla. Garibaldi, potendo contare su pochi fi nanziamenti per la sua impresa, trovò del panno di lana rosso, in genere usato per i camici dei macellai, per rivestire le sue truppe.

Cosa succedeva

in quel periodo

1863 primo viaggio della metropolitana a Londra

1864 viene effettuato il primo vaccino

1866 posato il primo cavo telegrafi co transatlantico

1866 viene inventata la dinamite

1867 istallato a Londra il primo semaforo

1864

1866 posa

186

Nel frattempo i garibaldini non erano più mille ma

tremila perché molti picciotti, armati solo di falci e di coltelli,

si erano uniti a loro. La gioia e l’euforia dell’incontro durarono poco

perché li aspettava la battaglia di Calatafi mi. Questa però non avvenne

proprio a Calatafi mi ma su un colle vicino chiamato Pianto Romano

(si chiamava così dal nome della famiglia che vi aveva piantato la vigna)

ma per i garibaldini più colti il nome era di buon auspicio e dicevano.

”Dove piansero i Romani tiranni del mondo, è giusto che ridiamo noi,

nemici dei tiranni!”

I due eserciti erano schierati uno di fronte all’altro, ma nessuno dava

ordine di attaccare. Il Generale, che mantenne sempre la calma, sapeva

benissimo che le armi che avevano erano inadatte a colpire da lontano

e aspettava pazientemente che i nemici si avvicinassero. Quando i bor-

boni stanchi di aspettare iniziarono ad avvicinarsi e a sparare contro la

prima fi la, arrivò per i volontari l’ordine di innestare le baionette. La

battaglia fu corpo a corpo e i nemici furono messi in fuga dalla

sorpresa per l’improvviso assalto, ma anche per-

ché la famosa frase di Garibaldi

”Qui si fa l’Italia

o si muore” ave-

va rincuorato le

truppe. La batta-

glia fi nì con la vit-

40

toria dei garibaldini anche se sul campo si contarono 21 morti e 182 fe-

riti che furono curati insieme a quelli dell’esercito nemico con umanità

nel convento di San Michele scelto come ospedale.

Dopo la battaglia, entrarono a Calatafi mi e quindi ad Alcamo, nel duo-

mo per ricevere la benedizione. Il frate nel suo discorso, pieno di entu-

siasmo per la vittoria dei Mille, arrivò a dire che Garibaldi chiamandosi

Giuseppe (come il padre putativo di Gesù) e il re Vittorio Emanuele

(Emanuele vuol dire mandato da Dio) erano come padre e fi glio. Non

solo: Garibaldi era parente anche di Santa Rosalia (patrona di Palermo)

che di cognome faceva Sinibaldi e le due parole, Garibaldi e Sinibaldi,

venivano pronunciate allo stesso modo dai siciliani.

Ad Alcamo si costituì il governo dittatoriale e fu abolita la tassa sul ma-

cinato che aff amava soprattutto i poveri.

Garibaldi e i suoi, dopo una breve sosta, cominciarono a marciare verso

Palermo attraverso il passo di Renda dove si fermarono per trascorrere

la notte. Accesero i fuochi e mentre cenavano, guardavano le luci lonta-

ne della città con grande preoccupazione perché i Borboni vi avevano

concentrato 20 mila soldati, cannoni e navi da guerra.

I due eserciti nemici così diversi per numero di soldati si studiarono a

lungo: venirsi incontro e combattere o cercare un’altra via?

Alla fi ne Garibaldi spedì un gruppetto di volontari verso Palermo fa-

cendo credere di avvicinarsi alla città per tenere desta l’attenzione del

nemico, ma appena fu notte fonda ordinò ai suoi di andarsene via e

cominciò così sotto una pioggia battente, la parte più diffi cile della spe-

dizione. Marciarono nel fango, attraversarono torrenti in piena e do-

vettero sopportare anche il nervosismo di Bixio che ammazzò il cavallo

perché nitriva troppo, mentre il generale, che guadò per primo il torren-

Quarta lezione PRIME BATTAGLIE

Tassa sul macinatoÈ l’imposta sulla macinazione del grano e dei cereali in genere, ideata, tra gli altri, da Quin-tino Sella, per contribuire al risanamento delle fi nanze pubbliche. Come effetto più diretto, la tassa sul macinato causò un forte incremento del prezzo del pane e, in generale, dei derivati del grano e degli altri cereali; prezzo che non scese dopo l’abrogazione della tassa. A seguito dell’introduzione della tassa, scoppiarono in tutta Italia violente rivolte, che furono represse duramente, a volte nel sangue.

te, mantenne sempre la calma.

Nel primo paese che trovarono si tolsero

gli abiti infangati, li fecero lavare alle don-

ne e nell’attesa che si asciugassero, gira-

rono per le strade in mutande. Indossati

di nuovo i loro abiti, ripresero la marcia;

Garibaldi evitò due volte lo scontro con

l’esercito borbonico che era molto più ar-

mato e numeroso e decise di assalire Paler-

mo solo quando fu sicuro di non doverlo

aff rontare apertamente evitando così una

strage inutile.

Tra l’aiuto dei volontari, colpi di fortuna,

una buona strategia e il coraggio dei sol-

dati arrivarono in città quasi senza perdite

ma mal ridotti tanto che Ippolito Nievo

in una sua lettera scrive: ”Io ero vestito

come quando ero partito da Milano ma

col sedere di fuori, ma in compenso una

pagnotta infi lzata nella baionetta, un fi ore

di aloe sul cappello e una coperta da letto

sulle spalle”. Tanto meglio non era messo nemmeno Garibal-

di che aveva i calzoni tutti rattoppati.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

b l

BaionettaÈ una punta montata sulla canna di un fucile che, nelle guerre tra il 1600 ed 1800, consentiva alle formazioni di fanteria di attacca-re il nemico dopo aver scaricato le armi. Il nome deriva dalla città francese di Bayonne dove venne fabbricata la prima volta. Inizial-mente le baionette erano lunghe 90 centimetri circa e, assieme alla lunghezza del fucile, servivano per respingere la cavalleria. Il calcio del fucile veniva “piantato” a terra e l’inte-ra arma piegata in avanti in modo da creare una barriera di “lance” in grado da fermare la cavalleria. Una se-conda versione di baio-netta, più corta, lunga circa 45–50 cm serviva per il combattimento corpo a corpo.

valleria. veniva l’inte-vanti una

o-gaao

Hai delle domande?____________________________________________________

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41

Quinta lezione FINALMENTE PALERMO

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PicciottiDeriva dalla lingua siciliana Picciottu, che letteralmente signifi ca “piccolo”, ma che corri-sponde a “ragazzo”. È il corrispondente soldato semplice in campo militare delle criminalità organizzate italiane. Furono anche i componenti di bande siciliane che si unirono a Giuseppe Garibaldi nel 1860, i cosiddetti picciotti siciliani. In alcune località siciliane è comunemente utilizzato per riferirsi a un ragazzo.

Quinta LezioneFINALMENTE

PALERMORagazzi, eccoci fi nalmente alle porte di Palermo, anche allora la città più importante della Sicilia:

qui successero alcuni fatti assai divertenti.

A mezzanotte, dopo aver disceso quasi a ruzzoloni un sentiero a stra-

piombo, che oggi si chiama ”discesa dei mille”, i garibaldini si raduna-

rono per ricomporre le fi le quando ad alcuni picciotti venne l’idea di

attingere l’acqua da un pozzo. Il secchio cadde giù facendo un gran

tonfo e un cavallo si imbizzarrì cominciando a correre a gran galoppo,

i picciotti cominciarono a gridare “Arriva la cavalleria!” disperdendosi

per ogni dove fi nché non si accorsero dell’errore. Bixio, come al solito,

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Quinta lezione FINALMENTE PALERMO

45

perse subito la pazienza e se la rifece con loro.

Palermo a quell’epoca era un quadrilatero irregolare, circondato da

mura con quattro porte e attraversato a croce da due strade: via Toledo

e via Maqueda.

I volontari piano piano, attraverso le porte, riuscirono ad entrare tutti

in città. Garibaldi, con la sua caratteristica tenuta, arrivò sotto il palaz-

zo reale e per la grande stanchezza stese una coperta sotto il porticato,

mettendosi a dormire. I borboni, comandati dal generale Lanza, attac-

carono a cannonate la città per tre giorni di seguito e intanto anche le

campane suonarono ininterrottamente. Fu una vera apocalisse. Gari-

baldi non perse la sua tranquillità e trascorreva il tempo seduto sugli

scalini di una bella fontana agitando il frustino.

Le donne di Palermo dicevano che il parente di santa Rosalia ”scaccia-

va così le palle nemiche”. La confusione però regnava tra i soldati per-

ché erano senza munizioni e alcuni di loro addirittura se ne tornarono

a casa; per questo fatto il generale, che aveva aff rontato con calma ed

umanità tante diffi coltà, pianse di rabbia.

Se ai garibaldini mancavano le cartucce, ai soldati borbonici mancava-

no i viveri e quindi fu decisa una tregua, durante la quale i soldati delle

due parti cercarono di riorganizzarsi mentre un ambasciatore si recava

dal re a Napoli per riferire che questa guerra fratricida era inutile.

Il re, non sapendo cosa fare, chiese al Papa la benedizione, promise un

governo più liberale e l’autonomia per la Sicilia.

In Sicilia arrivò, mandato da Cavour, il si-

gnor La Farina, l’uomo dei

mille fucilac-

ci imbarcati

a Quarto, che

chiese subito

l ’a n n e s s i o n e

dell’isola al Pie-

monte, trovando

il consenso del

erale e l autonomia per la Sicilia.

mandato da Cavour, il si-

l’uomo dei

e

e-

do

del

Cosa succedeva

in quel periodo

1869 un tipografo di New York, John W. Hyatt, mescolando

insieme la Parkesina e la canfora, inventa la Celluloide

1869 viene aperto alla navigazione il Canale di Suez

1871 Antonio Meucci ottiene un brevetto provvisorio

sulla sua invenzione, il telettrofono

1871 viene inaugurato il traforo

ferroviario del Frejus

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

lluloide

di Suez

ovvisorio

o

Quinta lezione FINALMENTE PALERMO

BanditismoIl banditismo indica fenomeni di devianza e criminalità diffusa e ripetuta, talvolta con caratteri-stiche sociali o politiche. Il ban-dito è colui che si impossessa della proprietà altrui, usando o minacciando violenza, anche in gruppi, quasi sempre di maschi. Molti banditi sono oggetto di leggende: Robin Hood, i pistoleri del West, i briganti dell’Italia me-ridionale nel risorgimento e nei primi decenni del Regno, i banditi sardi del Novecento.

popolo siciliano che provava odio verso i

napoletani. Garibaldi si oppose perché nel

suo progetto c’era la liberazione dell’Italia

intera. Il governo provvisorio formatosi

nel frattempo a Palermo, confermò l’abo-

lizione della tassa sul macinato e assegnò

parte delle terre dei ricchi proprietari ai

nullatenenti, mentre alle vedove si garantì

la pensione e ai minori orfani il manteni-

mento. Per reperire nuovi soldati fu ema-

nata la legge della leva obbligatoria: ma i

siciliani non risposero all’appello. Non

risposero all’appello di donare parte delle

loro terre neppure i ricchi proprietari ter-

rieri e ai contadini delusi non restò altro

che ribellarsi tanto da essere accusati di

banditismo. Anche molte altre speranze

andarono deluse e si cominciò a dubitare

della bontà della spedizione: è vero che

prometteva l’unità d’Italia, un solo Paese,

un solo grande popolo, libertà e scuole, ma

l’urgenza della gente era la fame.

Leva obbligatoriaÈ un termine riferito all’obbligo che il cittadino ha in alcuni stati di prestare servizio, per un pe-riodo di tempo prestabilito, per le forze armate. In Italia, la leva obbligatoria è arrivata la prima volta ai tempi di Napoleone ed è poi stata in vigore dall’inizio del Regno d’Italia per 144 anni. La durata della coscrizione è andata progressivamente diminuendo ed era obbligatoria per tutti gli uomini di sana e robusta costi-tuzione. L’abolizione è avvenuta defi nitivamente a partire dal 1 gennaio 2005.

primi decenni del Regegsardi del NovecentntoGli artisti di quel periodoVincent Van Gogh

È stato un pittore olandese. Autore di quasi 900 tele e di più di

mille disegni, tanto geniale quanto incompreso in vita, si formò

sull’esempio del realismo paesaggistico. Attraversata l’esperienza

dell’Impressionismo, ribadì la propria adesione a una concezione

romantica, nella quale l’immagine pittorica è l’oggettivazione

della coscienza dell’artista: identifi cando arte ed esistenza,

Van Gogh pose le basi dell’Espressionismo.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

sardi del Noveceento.

odo

e di più di ta, si formò

l’esperienza ncezione zione nza,

Che cosa si mangiava in Italia

nel 1860?Si mangiava pane di granoturco, minestre nelle quali si utilizzavano polenta, patate, castagne, legumi che costituivano la quasi totalità del menù. La carne era esclusa, eccetto quella da cortile, e una volta ogni tanto. Questo tipo di alimentazione comportava, specialmente al nord, gravi malattie come la pel-lagra.

La frutta era principalmente costituita da mele, pere e uva, che veniva trasfor-mata in vino e che più che bevanda era cibo. Al sud e nelle isole, il clima più mite consentiva una cucina a base d’olio, pomodoro e verdure, pane, pasta-sciutta nonché pesce e agrumi.

Il rancio dell’esercito sardo aveva alla base una robusta razione di pane, cui si aggiungeva un monotono susseguirsi di brodi di verdura e carni lessate, in cui si cuoceva cavolo, riso, pasta e legumi, con integrazioni di conforto come gli alcolici e il vino in speciali occasioni.

Gli animali pesanti da fattoria erano allevati principalmente per il lavoro, poi per il latte e la riproduzione. Ne conseguiva che solo in avanzatissima età veni-vano abbattuti o cadevano da soli.

Nel nord solo il maiale faceva eccezione dove, nei mesi invernali, le parti meno nobili e grasse della bestia costituivano l’integrazione alimentare più impor-tante. Col grasso, lardo, strutto poi si cucinava tutto l’anno. Essendo la carne di maiale un alimento deperibile, anche se insaccato (le principali norme igieniche usciranno dalla scienza alla fi ne del secolo), diffi cilmente trovava posto nell’ali-mentazione militare nella versione arrosti-braciole.

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Cosa ti piace mangiare?____________________________________________________

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Sesta lezione ADDIO SICILIA

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Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Sesta LezioneADDIOSICILIA

Oggi, ragazzi, vi parleremo del viaggio da Palermo allo stretto di Messina, sotto un sole cocente,

e di come si arrivò alle porte di Napoli.

La spedizione continuò via terra: si voleva raggiungere lo stretto di

Messina e sbarcare in Calabria. La marcia fu lunga e faticosa per i poveri

soldati a causa del caldo e della polvere. L’esercito, diviso in tre colonne

al comando di tre generali, avrebbe dovuto riunirsi di fronte a Messina

per decidere lo sbarco. Quando però arrivarono vicino a Milazzo,

Telegrafo otticoVerso la fi ne del 1700 Claude Chappe e il fratello lavorarono allo sviluppo di un sistema telegrafi co basato su una catena di segnalatori. Nel 1793 presentarono al pubblico il modello defi nitivo di telegrafo ad asta, così defi nito in quanto su una torre era in-stallato un braccio rotante che portava alle estremità due bracci minori; il tutto era manovrabile per assumere confi gurazioni standardizzate corrispondenti a lettere, numeri e ordini di servizio. Da una postazione successiva, distante diversi chilo-metri, un addetto dotato di cannocchiale riceveva il messaggio e contempora-neamente lo ripeteva in modo che lo si vedesse dalla stazione successiva.

Sesta lezione ADDIO SICILIA

53

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

BrigantiIl brigantaggio è una forma d’in-surrezione politica e sociale sorta nel Mezzogiorno italiano durante il processo di unifi cazione dell’Ita-lia e il primo decennio del Regno. Gli autori della resistenza furono infatti defi niti, in senso dispregia-tivo, briganti dai sabaudi.

AnnessioneÈ l’atto mediante il quale uno Stato estende la propria sovranità sul territorio di un altro Stato o su parte di esso. Fra il 1859 e il 1870 si tennero vari plebisciti per ratifi -care l’annessione prima al Regno di Sardegna e poi al Regno d’Ita-lia, sancendo così l’unifi cazione italiana. Il plebiscito, che preve-deva forti limitazioni censitarie, si differenzia sostanzialmente dal referendum: in particolare le con-sultazioni plebiscitarie per l’unifi -cazione si svolsero senza tutela della segretezza del voto.

la colonna comandata dal generale Me-

dici si fermò perché sapeva che nella tor-

re del castello c’era un telegrafo ottico e,

conoscendo il cifrario segreto, sperava di

conoscere le mosse del nemico. Garibaldi,

che si trovava ancora a Palermo, decise di

raggiungere via mare con 1200 volontari

la penisola di Milazzo. I due eserciti nemi-

ci si trovarono a combattere in un terreno

piatto, senza protezioni, esclusi i canneti e

le piante di fi co d’India; Garibaldi rincuo-

rava i suoi e consigliava loro di sparare con

calma prima di tutto al bersaglio grosso,

cioè ai cavalli dei nemici. Nonostante lo

scontro non previsto e tante perdite (800

morti), la calma, il coraggio e la strategia

di Garibaldi furono vincenti. La battaglia

di Milazzo fu senz’altro la più sanguinosa

e diffi cile della campagna siciliana. Fu una

vera battaglia campale ma con la caduta di

Milazzo si poneva fi ne alla dominazione

borbonica in Sicilia. Garibaldi aveva rea-

lizzato il suo sogno: liberare la Sicilia in nome del re Vittorio Emanue-

le II. La notte fra il 18 e 19 agosto, quattro mesi dopo la partenza da

Quarto, lasciò fi nalmente l’isola.

Abbandonare la Sicilia non fu semplice perché nei paesini lungo le pen-

dici dell’Etna la povera gente era in rivolta contro i signori (i ducali) e

per ristabilire l’ordine fu dato il comando al generale Nino Bixio, fa-

moso per il suo brutto carattere. Fu così che, come a Palermo, molti dei

rivoltosi e qualche volontario siciliano riuscirono a fuggire nelle campa-

gne diventando dei briganti.

E Garibaldi? Le navi borboniche vigilavano la costa mentre lui non aveva

navi da guerra e poche da trasporto. I primi volontari che attraversarono

Sesta lezione ADDIO SICILIA

55

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Cosa succedeva

in quel periodo

1876 nasce il primo motore a scoppio

1876 nasce il quotidiano

Il Corriere della Sera

1886 nasce la Coca Cola

1899 nasce la Fiat

a

1

lo stretto lo fecero su 170 piccole barche comandate da un certo Muso-

lino, un calabrese famoso combattente il quale sapeva con certezza che

i soldati del forte Alta Fiumara sulla riva opposta, gli avrebbero spalan-

cate le porte senza opporre resistenza. Ma non fu così e i pochi uomini

che riuscirono a salvarsi si riunirono in una breve spianata aspettando

l’aiuto di Garibaldi. Il Generale sbarcò in Calabria con 3500 uomini

non attraversando lo stretto nel punto dove lo aspettavano i borbonici

ma più a sud, verso Reggio Calabria, dove era diretto anche Bixio con

i suoi soldati. Dopo qualche breve scaramuccia, i borbonici si arresero

e alzarono bandiera bianca. Le condizioni della resa furono: sgombero

delle truppe, consegna dei cannoni, delle polveri, dei cavalli e delle vet-

tovaglie contenuti nel forte. Garibaldi fu infl essibile e volle disarmare

tutti i soldati nemici che spedì a Napoli con le navi, mentre altri presero

la via dei boschi ingrossando le fi la dei briganti e alcuni si unirono ai

garibaldini con la speranza di far carriera nell’esercito.

Ormai l’avanzata di Garibaldi era una corsa via terra verso Napoli sen-

za incontrare quasi ostacoli. Bixio invece voleva raggiungere Napoli via

mare nonostante i sei vapori fermi in porto fossero già pieni di militari.

Innervosito, cominciò a picchiare con la carabina i soldati addormenta-

ti sul ponte delle navi: avrebbe fatto una brutta fi ne se non lo avessero

portato via.

La notizia dell’avanzata dei garibaldini provocò lo scompiglio a Napoli:

il re Francesco II invocava San Gennaro e lo nominava simbolicamente

re della città, ormai invasa da oltre sei mila ritratti di Garibaldi. Cosa

fare? Fermare Garibaldi a Salerno o addirittura mandargli

dei messaggeri per farselo amico?

In questa incertezza France-

sco II fece spostare tutto

l’esercito a nord del fi ume

Volturno e si rifugiò a Gaeta

con la consorte Maria Sofi a.

A Garibaldi, giunto ai confi -

ni della Campania, arrivarono

brutte notizie da Palermo: disordini, mancanza di soldi e la volontà dei

capitalisti di annettere la Sicilia al Piemonte, ma tutto questo non gli inte-

ressò: pensava solo di arrivare a Napoli, ultima tappa prima di conquistare

Roma.

Quando entrò a Salerno la sera del 6 settembre, fu accolto come un

trionfatore e avrebbe potuto trattenersi un po’ se non gli fosse giunta la

notizia che a Napoli si stava formando un governo provvisorio. Bisogna-

va partire immediatamente: lui e il suo seguito presero il treno a Vietri e

quel viaggio di due ore fu un vero trionfo. Gente che si accalcava lungo

la ferrovia agitando bandiere, gente issata sul tetto del treno speciale,

folla straripante alla stazione di Napoli. Si formò un lunghissimo corteo

e quando giunsero alle fortifi cazioni occupate dai soldati regi, questi si

arresero. Garibaldi parlò alla folla dal balcone della foresteria e poi di

corsa si recò in duomo dove i canonici misero subito in mostra le reli-

quie di San Gennaro e, incredibile, la gente trovò una nuova parentela

per il generale: sì, Garibaldi discendeva direttamente dal Santo. Per le

strade di Napoli sfi lavano carri addobbati e bandiere, la musica usciva

dalle fi nestre delle case e nei negozi si vendevano le camicie rosse. Gari-

baldi era l’uomo più famoso d’Europa: in quattro mesi aveva sconfi tto

l’esercito più forte d’Italia e aveva conquistato il cuore di tutti i napole-

tani: in 600 mila ora lo acclamavano davanti alla chiesa.

Sesta lezione ADDIO SICILIA

Hai delle domande?____________________________________________________

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57

I giochi di quel periodoNella società ottocentesca il giocattolo diventò sempre più impor-tante; soprattutto in Germania, Inghilterra e Francia nacquero fab-briche per la produzione in serie di materiale ludico, che incominciò ad essere suddiviso a seconda dei ceti, delle età e del sesso dei bambini. Vennero costruiti i primi giocattoli meccanici e si cominciò a diffondere la prima produzione di massa, concepita come attività industriale.

L’industria del giocattolo visse la sua stagione d’oro tra il 1850 e il 1914, un periodo segnato da grandi mutamenti storici, sociali e culturali. Particolare successo riscossero i giocattoli in latta tra i bambini dell’epoca, perché, oltre alla precisione nella fattura e nella ricerca di eleganza nelle forme e nei colori, riproducevano le grandi invenzioni avvenute nel campo della meccanica.L’industria del giocattolo incise in modo preponderante sull’economia del paesi produttori, ma l’Italia iniziò tardi la produ-zione di balocchi: per i giocattoli in legno la prima industria sem-bra essere nata ad Asiago nel 1885 ad opera di Giovanni Lobbia, mentre la prima industria di giocattoli e di bambole è stata la Furga di Canneto sull’Oglio (Mantova) fondata nel 1872 da Luigi Furga Gomini.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

gini.

I giochi di Nella società ottocentesca il giotante; soprattutto in Germania, Ibriche per la produzione i i d

mpor-fab-

Settima lezione L’ULTIMA BATTAGLIA

59

Settima LezioneL'ULTIMABATTAGLIA

Ragazzi, siamo quasi arrivati alla fi ne di questa av-ventura, manca solo l’ultima battaglia ma per il no-stro generale Giuseppe Garibaldi non ci saranno né

trionfo né onori: solo amare delusioni.

Garibaldi, felice del successo ottenuto, pensava che la conquista di

Roma fosse semplice, ma non aveva fatto i conti con la politica intri-

gante del conte di Cavour.

La politica di allora era così complessa, fatta di complotti, colloqui

segreti, promesse non mantenute…che forse è meglio tralasciare tutto

questo per continuare a seguire con simpatia il nostro generale. Lui si

trovava a Napoli circondato dai suoi giovani uffi ciali i quali fi nalmen-

te poterono cambiarsi gli abiti e nelle botteghe di Napoli non ebbero

diffi coltà a trovare quanto occorreva per essere eleganti: camicie ros-

se nuove fi ammanti, pantaloni neri con la striscia verde, cappelli alla

calabrese e stivali. Cenavano tutti insieme, generale compreso, ad una

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

60

CapreraÈ un’isola che fa parte dell’arcipelago della Maddalena nella costa nord-orientale della Sar-degna. È nota soprattutto per essere stata, per oltre vent’anni, l’ultima dimora e il luogo di morte di Giuseppe Garibaldi che acquistò la metà settentrionale di Caprera fi n dal 1856, vivendo inizialmente in una casupola. Qualche anno più tardi Garibaldi si fece costruire, nello stile delle fazendas sudamericane, la famosa “casa bianca”, oggi museo; pochi anni dopo, una colletta dei fi gli e degli ammiratori gli permise di comprare anche l’altra metà dell’isola, fi no a quel momento appartenuta ad un inglese bizzarro di nome Collins.

lunga tavola. Durante il pranzo del 13 settembre, arrivarono notizie che

Palermo subito voleva annettersi al Piemonte onde evitare sommosse e

caos. Garibaldi partì immediatamente dicendo che si sarebbe fermato

pochissimi giorni. L’accoglienza della gente in Sicilia fu entusiasta; le

campane si misero a suonare e il popolo non pareva per niente sconten-

to del governo provvisorio. Tutto andava bene; le notizie ricevute era-

no false, quindi sei giorni dopo, salutata la folla, ritornò a Napoli. Nei

giorni di assenza di Garibaldi, il numeroso esercito borbonico di circa

50 mila uomini si era schierato lungo il Volturno nei pressi di Capua.

I pochi garibaldini che furono mandati contro, subirono una grande

sconfi tta. Garibaldi accorse in loro aiuto ma non poté far nulla: capì

che era stato di proposito mandato in Sicilia e che anche il re di Savoia,

che più o meno apertamente lo aveva sostenuto, gli

era adesso diventato ostile. Garibaldi non riusciva

più a ragionare e come, diceva il Mazzini, era ab-

battuto, scoraggiato e parlava di Caprera. Aveva

voglia di abbandonare tutto e arrivò addirittura a

dire ai suoi volontari di accogliere bene i fratelli

dell’esercito italiano che stava scendendo verso

Napoli. Il generale però non poteva accettare pas-

sivamente la sconfi tta subita sul fi ume Volturno,

ma anche Francesco II, Re di Napoli, rifugiatosi a Gaeta, voleva giocare

la sua ultima carta.

Ambedue prepararono i loro eserciti per uno scontro fi nale. I due eser-

citi si aff rontarono diverse volte: a Santa Maria, Caiazzo, Sant’Angelo.

Sul campo, rimasero i corpi di 3500 soldati regi e 2000 garibaldini.

Settima lezione L’ULTIMA BATTAGLIA

61

Alla fi ne, vincitore fu l’esercito di Garibaldi per merito dei suoi uffi ciali,

ma soprattutto per la genialità del generale presente in ogni momento,

pronto ad accorrere dove era più necessario portando i suoi uomini nel

punto minacciato con perfetta scelta di tempo.

Era il primo ottobre 1860. Nonostante le perdite subite e la stanchezza,

la truppa era euforica per la vittoria e cantava appassionatamente “Ca-

micia rossa”, un canto popolare nato in quell’anno di cui vi trascriviamo

alcune strofe.

Quando la tromba sonava all’armi

con Garibaldi corsi a arruolarmi:

la man mi strinse con forte scossa

e mi diè questa camicia rossa!

E dall’istante che t’indossai,

le braccia d’oro ti ricamai!

Quando a Milazzo passai sergente,

Camicia rossa, camicia ardente!...

Porti l’impronta di mia ferita,

Sei tutta lacera, tutta scucita:

Per questo appunto mi sei più cara,

Camicia rossa, camicia rara!

Tu sei l’emblema dell’ardimento,

Il tuo colore mette spavento:

Fra poco uniti saremo a Roma,

Camicia rossa, camicia indoma!

Giuseppe MazziniÈ stato un patriota, politico e fi losofo italiano. Le sue idee e la sua azione politica contribuiro-no in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano; la polizia italiana lo costrinse però alla latitanza fi no alla morte. Le teorie mazziniane furono di grande importanza nella defi nizione dei moderni movimenti europei per l’affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato. Giuseppe Mazzini viene considerato, con Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso di Cavour, uno dei padri della patria.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

62

Fida compagna del mio valore,

Par che tu intenda la mia favella,

S’io ti contemplo mi batte il core;

Camicia rossa, camicia bella.

Là sul Volturno, di te vestito,

tu sei la stessa che allor vestia,

camicia rossa, camicia mia.

Con te sul petto farò la guerra

ai prepotenti di questa terra

mentre l’Italia d’eroi si vanta,

camicia rossa, camicia santa

Ed all’appello di Garibaldi

e di quei mille suoi prodi e baldi,

daremo insieme fuoco alla mina,

camicia rossa garibaldina!

Se dei Tedeschi nei fi eri scontri

vien che la morte da prode incontri,

chi sa qual sorte ti sia serbata,

camicia rossa, camicia amata!

C’erano due grandi eserciti in movimento lungo la penisola italiana:

quello piemontese comandato dal re Vittorio Emanuele II, che dal Pie-

monte scendeva verso Napoli, e quello di Garibaldi che, oltrepassato

il fi ume Volturno, risaliva verso nord. I due eserciti si incontrarono a

Teano. La sera prima dello storico incontro, Garibaldi, arrivato con il

Guardia NazionaleÈ una forza armata sorta subito dopo l’Unità d’Italia e utilizzata per reprimere il brigantaggio e la resistenza degli ultimi nostalgici del regno borbonico, con vario successo. Come forza di sicurezza interna, i suoi metodi, benché normalmente brutali, illegali e criminosi, furono in genere estremamente effi caci nel loro scopo primario di reprimere e poi debellare defi nitiva-mente il fenomeno del brigantaggio meridionale. Per altri sei anni la Guardia Nazionale pro-seguì da sola e completò la “guerra sporca” già condotta per un decennio nel Mezzogiorno dall’esercito regolare.

Settima lezione L’ULTIMA BATTAGLIA

buio al villaggio di Calvi, non volle disturbare nessuno e passò la notte

su una poltrona sgangherata in una stanzuccia della Guardia Naziona-

le; il re invece, accompagnato dalla signora Rosina fi glia di un maestro

d’armi, dormì nel castello di Presenzano, vicino a Caserta. La mattina

dopo Garibaldi con il suo esercito si fermò all’imbocco della strada che

portava al paese di Teano.

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Hai delle domande?____________________________________________________

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63

Ottava lezione LO STORICO INCONTRO

65

Ottava LezioneLO STORICOINCONTRORagazzi, ancora un po’ di pazienza.

Dopo un viaggio estenuante, dopo aver sopportato tanti disagi e dopo aver veduto tanti compagni morti,

fi nalmente Garibaldi ed il re d’Italia, due grandi personaggi del Risorgimento italiano, si incontrarono.

In fondo alla stessa strada si udirono rulli di tamburi e squillar di trom-

be e si vide un gran polverone: arrivava il re. Garibaldi si tolse il berretto

e gli andò incontro con la mano tesa dicendo: “Salute al re d’Italia”.

La scena fu molto diversa da come di solito si vede illustrata sui libri di

scuola.

Il re impacciato non sapeva cosa rispondere. I due si misero fi anco a

fi anco in testa al corteo: al loro passaggio alcuni contadini tendendo

il dito verso il re gridavano ”viva Garibaldi” convinti che il generale tra

i due fosse quello meglio vestito. Il re si sentì off eso e spronò il cavallo

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

Ottava lezione LO STORICO INCONTRO

67

Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore

TeanoÈ un comune della provincia di Caserta, noto per aver dato il nome allo storico in-contro. La città si trova in posizione stra-tegica, infatti anticamente era considerata la “porta della Campania”. Teano riveste particolare importanza anche per quanto riguarda la nascita della lingua italiana: nella curia vennero redatti due dei quattro Placiti cassinesi, il Placito di Teano dell’an-no 963 e il Memoratorio, documenti che, insieme al Placito di Capua e al Placito di Sessa, rappresentano la primissima te-stimonianza della lingua volgare italiana. Sono oggi conservati nell’archivio storico di Montecassino e riguardano contenziosi territoriali nella città.

Camillo Benso Conte di CavourÈ stato un politico italiano. Fu ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al 1852, Capo del governo dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Lo stesso 1861, con la pro-clamazione del Regno d’Italia, divenne il primo Presidente del Consiglio del nuovo Stato e con tale carica morì. Fu protago-nista del Risorgimento come sostenitore delle idee liberali, del progresso civile ed economico, dell’anticlericalismo, dei mo-vimenti nazionali e dell’espansionismo del Regno di Sardegna ai danni dell’Au-stria e dello Stato Pontifi cio.

al galoppo verso Teano mentre Ga-

ribaldi si fermò ad una piccola oste-

ria, sedette sotto il portico davanti

ad un barile ritto dove l’oste gli

portò del pane, una fetta di cacio ed

un boccale di acqua, ma non toccò

niente. Il giorno dopo, 6 novembre,

scrisse al re supplicandolo di acco-

gliere i suoi soldati nell’esercito re-

gio; questa supplica più volte ripe-

tuta non fu mai accolta, anzi il re si

rifi utò anche di passare in rassegna i

volontari tutti schierati.

Il 7 dello stesso mese ambedue do-

vevano entrare solennemente a Na-

poli ma il re viaggiò in carrozza e

Garibaldi prese il treno. Arrivarono

in anticipo sicché non c’era nessuno

ad accoglierli, in più pioveva a dirot-

to e la pioggia aveva rovinato tutti

gli addobbi. Comunque la cerimo-

nia si svolse nel duomo, il pranzo a

palazzo reale e la serata si concluse

al teatro San Carlo. Un altro favore

chiese Garibaldi al re: di poter re-

stare ancora un anno a Napoli come

luogotenente, ma ancora una volta ricevette un rifi uto. Dopo tanti no

ricevuti, il generale declinò le off erte che il conte Cavour gli fece: un

castello, una dote per la fi glia, incarichi per i fi gli.

Dopo una notte trascorsa in un alberguccio, Garibaldi si fece accom-

pagnare col fi glio e pochi altri al porto, salì su una nave inglese dove gli

furono resi gli onori con le salve dei cannoni.

Compagni del suo ultimo viaggio furono il fi glio Menotti, il segretario

68

e l’ex parroco che l’aveva sempre seguito: ma dove erano diretti? Anda-

vano all’isola di Caprera portando con sé un sacco di sementi, qualche

libbra di caff è e di zucchero, una balla di stoccafi sso, una cassa di mac-

cheroni e poche migliaia di lire, risparmiate a sua insaputa da chi gli

teneva i conti.

Garibaldi, ormai lontano, non poté assistere alla gran parata dell’eserci-

to regio e della guardia nazionale.

Meglio così perché ai suoi garibaldini presenti a Napoli fu impedito di

partecipare.

Ottava lezione LO STORICO INCONTRO

CONCLUSIONE

Ragazzi, ci eravamo proposte, noi due maestre in pen-

sione, di non annoiarvi con una vera e barbosa lezione

di storia, ma di incuriosirvi e di farvi scoprire la fi gura

di Garibaldi che niente ha da invidiare agli eroi di altre

nazioni.

Da questo racconto risulta che Garibaldi era una per-

sona profondamente umana. Si manteneva tranquillo

anche nelle situazioni più diffi cili, non si tirava indietro

di fronte al pericolo, era capace di infondere coraggio ai

soldati e di suscitare entusiasmo nelle folle che incon-

trava, umile e generoso perché anteponeva alla fama e al

bene personale, quello dell’Italia.

E poi, ragazzi, non dimenticate che anche da questa av-

ventura nasceva l’Italia unita che viene commemorata

quest’anno, ricorrendo il suo centocinquantesimo.

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INNI E CANZONI

Inno di GaribaldiScritto da Luigi MercantiniMusiche di Alessio Olivieri1858

All’armi! All’armi!

Si scopron le tombe, si levano i morti,

I martiri nostri son tutti risorti,

Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,

La fi amma ed il nome d’Italia sul cor.

Corriamo! Corriamo! su O giovani schiere,

Su al vento per tutto nostre bandiere

Su tutti col ferro, su tutti col fuoco,

Su tutti col fuoco d’Italia nel cor.

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!

La terra dei fi ori, dei suoni, dei carmi,

Ritorni qual’era la terra dell’armi;

Di cento catene ci avvinser la mano,

Ma ancor di Legnano sa i ferri brandir.

Bastone Tedesco l’Italia non doma;

Non crescon al gioco le stirpe di Roma:

Più Italia non vuole stranieri e tiranni,

Già troppo son gli anni che dura il servir.

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!

71

Le case d’Italia son fatte per noi,

E là sul Danubio le case de’ tuoi;

Tu i campi ci guasti; tu il pane c’involi;

I nostri fi gliuoli per noi li vogliam.

Son l’Alpi e i due mari d’Italia i confi ni,

Col carro di fuoco rompiam gli Appennini,

Distrutto ogni sogno di vecchia frontiera

La nostra bandiera per tutto innalziam.

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!

Sien mute le lingue, sien pronte le braccia,

Soltanto al nemico volgiamo la faccia.

E tosto oltre i monti n’andrà lo straniero,

Se tutto un pensiero l’Italia sarà.

Non basta il trionfo di barbare spoglie,

Si chiudan ai ladri d’Italia le soglie;

Le genti d’Italia son tutte una sola,

Son tutte una sola le cento Città.

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!

Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!

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La bandiera tricolorescritto da Francesco Dall’OngaroMusiche di Cordigliani 1848

E la bandiera di tre colori

sempre è stata la più bella:

noi vogliamo sempre quella,

noi vogliam la libertà!

E la bandiera gialla e nera

qui ha fi nito di regnare,

la bandiera gialla e nera

qui ha fi nito di regnare

Tutti uniti in un sol patto,

stretti intorno alla bandiera,

griderem mattina e sera:

viva, viva i tre color!

73

bandiera tricolore versione popolare

scritto da anonimoMusiche di Cordigliani

La bandiera tricolore

sempre è stata la più bella

noi vogliamo sempre quella

per goder la libertà

Noi andremo a Roma santa

per vedere il Campidoglio

pianteremo su quel soglio

la bandiera tricolor

Noi andremo alla Venezia

a scacciare lo straniero

stracceremo il giallo e nero

pianteremo il tricolor

Sempre fuoco noi faremo

per difendere la bandiera

e dall’alba insino a sera

noi da prodi pugnerem

Noi andremo sempre avanti

fi nché vita di rimane

e pensando alla dimane

sempre allegri poi si sta

Viva sempre Garibaldi

che sa farci guadagnare

74

sia per terra sia per mare

la vittoria è nostra già

Se si muore per la patria

è la morte gloriosa

né la rende dolorosa

un rimorso di viltà

Noi siamo Italiani

vogliam l’Italia unita

fi nché restaci la vita

sempre questo grideremo

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Mameli ed il Canto degli ItalianiDobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio cono-

sciuto come Inno di Mameli. Scritto nell’autunno del 1847 dall’allora

ventenne studente e patriota Goff redo Mameli, musicato poco dopo

a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani

nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra

contro l’Austria.

L’immediatezza dei versi e l’impeto della melodia ne fecero il più amato

canto dell’unifi cazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma

anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Ver-

di, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affi dò proprio

al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il

compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendo-

lo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.

Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre

1946 l’Inno di Mameli divenisse

l’inno nazionale della Repubblica

Italiana.

76

Fratelli d’ItaliaScritto da Goff redo MameliMusiche di Michele Novaro1847

Fratelli d’Italia

L’Italia s’é desta;

dell’elmo di Scipio

S’é cinta la testa.

Dov’é la Vittoria?

le porga la chioma,

ché schiava di Roma

Iddio la creò.

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte.

Siam pronti alla morte,

l’Italia chiamò.

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte.

Siam pronti alla morte,

l’Italia chiamò, sì!

L’Italia ha ripreso l’atteggiamento combattivo che

fu dei guerrieri romani: l’elmo di Scipio è l’elmo

del generale romano Publio Scipione l’africano che

sconfi sse Annibale nella battaglia di Zama, di cui si

cinge fi gurativamente la testa l’Italia per entrare in

guerra contro l’Austria.

La Vittoria è la dea della vittoria, che da antica tra-

dizione è destinata ad essere schiava di Roma e deve

porger la chioma per tagliarla poiché le schiave, a

diff erenza delle donne libere, erano solite portare

i capelli corti.

La coorte in cui stringersi è un’unità di combatti-

mento dell’esercito romano che rappresentava la

decima parte della legione. L’Italia ha chiamato a

raccolta tutto il suo popolo perché l’unione fa la

forza.

77

Noi siamo da secoli

Calpesti e derisi,

perché non siam popolo,

perché siam divisi.

Raccolgaci un’unica

bandiera, una speme:

di fonderci insieme

già l’ora suonò.

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte.

Siam pronti alla morte,

l’Italia chiamò.

Uniamoci, uniamoci!

L’Unione e l’amore

riivelano ai popoli le vie

del Signore;

Giuriamo far libero

il Suolo natio:

uniti, per Dio,

chi vincer ci può?

Stringiamoci a coorte,

Siam pronti alla morte.

Siam pronti alla morte,

l’Italia chiamò.

Gli italiani non sono un popolo (etnico e politico)

perché non sono uniti. Il testo è stato scritto nel

1848 quando ancora l’Italia non esisteva poiché

divisa in 7 stati: Stato pontifi cio, Regno delle Due

Sicilie, Regno lombardo-veneto, Regno di Sarde-

gna, Granducato di Toscana, Ducato di Modena e

Ducato di Parma.

La speranza (la speme) degli italiani ora è quella di

unirsi sotto un’unica bandiera; è suonata l’ora per

unirsi.

Questi sono gli obiettivi mazziniani della rivoluzio-

ne nazionale: l’unità e l’amore guidano i popoli.

Gli italiani devono giurare di liberare il proprio

suolo dal nemico che lo occupa.

78

Dall’Alpe a Sicilia

dovunque é Legnano:

Ogn’uom di Ferruccio

ha il cuore e la mano;

i bimbi d’Italia

si chiaman Balilla;

il suon d’ogni squilla

i vespri sonò.

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte.

Siam pronti alla morte,

l’Italia chiamò.

Son giunchi che piegano

le spade vendute:

già l’Aquila d’Austria

le penne ha perdute;

il sangue d’Italia

e il sangue polacco,

bevé, col cosacco,

ma il cuor le bruciò.

Dopo il richiamo alla mitologia della Roma repub-

blicana, il richiamo a quella comunale: la battaglia

di Legnano del 1176 segnò la vittoria della Lega dei

Comuni Lombardi contro le milizie dell’imperato-

re Federico Barbarossa. Anche da questo episodio

gli italiani devono trarre auspici per la loro lotta di

liberazione e trasformare tutta l’Italia in un campo

di battaglia.

Francesco Ferrucci morì difendendo la repubblica

fi orentina nel 1530 dall’assedio delle truppe impe-

riali di Carlo V.

Tutti i bambini italiani possono ripetere il gesto di

Giovan Battista Perasso detto Balilla, l’adolescente

genovese che nel 1746, lanciando un sasso contro

alcuni soldati austriaci, fece scattare la rivolta che

condusse alla liberazione.

I Vespri siciliani furono come uno squillo di trom-

ba quando a Palermo nel 1282 iniziò la rivolta con-

tro gli occupanti francesi.

Le spade vendute, ovvero le armi dei soldati mer-

cenari si piegano fl essibili come giunchi. L’aquila è

il simbolo dell’impero austro-ungarico; l’aquila au-

striaca ha bevuto il sangue degli italiani, e insieme

ai russi, ha bevuto anche quello dei Polacchi, ma

questo sangue le ha bruciato il cuore. La Polonia fu

spartita tra Austria, Prussia e Russia.

INDICE

Introduzione Marras 5

Introduzione Martini 7

Prima Lezione - La Partenza 9

Seconda Lezione - Breve sosta a Talamone 17

Terza Lezione - Viaggio verso la Sicilia 25

Quarta Lezione - Prime battaglie 35

Quinta Lezione - Finalmente Palermo 41

Sesta Lezione - Addio Sicilia 49

Settima Lezione - L’ultima battaglia 57

Ottava Lezione - Lo storico incontro 63

Conclusione 67

Inni e Canzoni 68

Provincia di GrossetoQuesto volume è stato stampato presso Lito Terrazzi - Cascine del Riccio FI

Stampato in Italia - Printed in Italynel mese di gennaio 2011

Questo libro viene distribuito secondo i termini della licenza Creative Commons

Attribuzione 3.0 Italia. Pertanto l’utente può riprodurre, distribuire, comunicare al pubbli-co, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire, recitare e modifi care quest’opera – purché ogni volta ne vengano esplicitamente indicati autori ed editore, e ogni volta che si usa o distribuisce ulteriormente l’opera va fatto secondo i termini di questa stessa licenza, che va comunicata con chiarezza.

Per maggiori dettagli e per il testo completo della licenza, si veda:http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/deed.it

http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/legalcode

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Un moderno sussidiario, dedicato ai ragazzi delle elementari, che si sviluppa come un ipertesto.

Otto lezioni conducono, in forma narrativa, attraverso le vicende dei Mille, da Quarto a Teano, accompagnate da illustrazioni che sottolineano gli episodi salienti dell’impresa.

Approfondimenti e curiosità sul periodo storico arricchiscono il racconto.

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