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A. Orlando, La cerchia di Valerio Castello. Note critiche e di metodo;

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A. Orlando, La cerchia di Valerio Castello. Note critiche e di metodo; aggiunte e revisioni per Stefano Magnasco, in Valerio Castello. Percorsi ed approfondimenti, atti del convegno di Genova a cura di L. Leoncini e D. Sanguineti, Genova, giugno 2008 (ma 2010)

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La cerchia di Valerio Castello. Note critiche e di me-todo con aggiunte e revisioni per Stefano Magnasco Anna Orlando

Gli spazi esigui previsti per questo intervento non consentono ampi ap-profondimenti rispetto a quanto elaborato in occasione della monogra-fia su Stefano Magnasco nel 20011, ma sono tuttavia sufficienti e quantomai utili per riordinare e rendere noto il materiale venuto a mia cono-scenza dopo quella data. Come spesso accade, infatti, la monografia harisvegliato l’attenzione sull’artista e favorito segnalazioni di opere conattribuzioni ipotetiche e da verificare, nonché l’emergere di dipinti con lacorretta attribuzione al pittore. Per chiarezza ed esigenza di sintesi si pre-senta il nuovo materiale in un’appendice, alla quale ritengo utile ante-porre alcune precisazioni metodologiche in merito allo studio dellacerchia di Valerio, argomento oggetto della citata monografia, come lostesso titolo esplicitava.Si prendono le mosse dal saggio di Daniele Sanguineti inserito nel cata-logo della recente mostra di Genova2. Il contributo ha messo in ordinetutte le informazioni delle fonti e i numerosi interventi critici sugli arti-sti gravitanti intorno alla figura di Valerio Castello e ha ribadito i rap-porti con il maestro. Anche grazie a un’apprezzabile lucidità diesposizione, è risultato ben chiaro che si devono escludere dalla ristrettacerchia di Valerio sia Domenico Piola, che da subito avvia un discorso asé3, sia Antonio Lagorio, probabilmente più giovane rispetto alla gene-razione degli allievi di Valerio, certamente genovese per le indicazionidocumentarie ma taciuto dalle fonti e anche dagli inventari locali, così daipotizzare una sua attività di singolare imitatore e copista di Valerio fuoriGenova4.In merito ai quattro tradizionali allievi - Biscaino, Cervetto, Merano eMagnasco -, che sono poi quelli menzionati dal Soprani, va apprezzatala cautela adottata da Sanguineti sia nel saggio di catalogo sia in questiatti nel trattare di Giovanni Paolo Cervetto. Una prudenza quanto mainecessaria a puntualizzare, più di quanto non sia stato fatto fino ad ora,che non è ancora apparsa una sua opera certa di riferimento. Il punto in-terrogativo per le attribuzioni a Cervetto è d’obbligo anche per non ali-mentare il fatidico gioco virtuoso per cui, dopo aver a fatica sgomberatoil campo dai vari Biscaino, Magnasco e Merano usati come nomi di co-modo per i “Valerio di serie B”, si lasci adito ad analoghi giochi soprat-tutto mercantili usando il nome di Cervetto5.Ipotetica, seppur accettabile sul piano critico, è la ricostruzione di San-

Stefano Magnasco,Fanciulla con fiori,collezione privata

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guineti secondo cui si potrebbe scindere cronologicamente in due fasiben diverse l’opera di Cervetto, per conciliare sotto lo stesso nome opereaffatto dissimili. Per restare circoscritti alle tele presentate in mostra,stento a collegare quella maniera accelerata, leggera e, diciamo pure, va-leriesca di due di esse (catt. 120-121) con la terza (cat. 122). Con le primedue paiono far gruppo la Strage degli innocenti, già pubblicata da Man-zitti e poi passata sul mercato antiquario a Genova6, il Giuseppe spiega isogni e l’Incontro tra Giacobbe e Giuseppe7, oltre all’inedita scena biblica(forse Ester e Assuero) che pubblica Sanguineti in questo volume. Con laSanta Cecilia esposta in mostra sembra invece far gruppo la Carità pro-posta da Sanguineti come Stefano Magnasco, che non ritengo a lui per-tinente8. Anche il formato è analogo e ritorna la stessa idea di inscriverein un ovato la composizione, a conferma della fratellanza delle dueopere. In ogni caso, credo sia ancora da capire se Giovanni Paolo Cervetto, checi viene restituito dalle sole parole di Soprani, sia un “declinatore” e di-vulgatore del verbo di Valerio - parimenti a Lagorio, per intenderci, mauna generazione prima - o se ne fu un vero e proprio copista9, ossiaavente un ruolo, Valerio in vita, di suo alter ego per soddisfare alcunedelle commissioni più semplici (ovvero quadri da stanza), come è ormaichiaro che accadesse in molte altre botteghe in quei tempi. Queste argomentazioni aprono a una divagazione sul discorso dellecopie da Valerio, che sarebbe meglio indicare come “opere alla Valerio”;questione spinosa su cui, in attesa di approfondimenti, si possono pro-porre alcune indicazioni di metodo. Va precisato innanzi tutto che nonpare metodologicamente corretto dedicare l’intero capitolo di una mo-nografia alle copie da originali perduti, intitolando il capitolo “opere di-sperse conosciute tramite copie”, come è stato trattato nel caso diValerio10. Si ritiene che, per poter pubblicare un quadro come copia da unoriginale perduto, si debba poter attestare l’esistenza di un originale,sulla base di documenti o precise indicazioni delle fonti; si dovrebbe inol-tre avere la possibilità di esaminarlo dal vero11 per constatarne il carat-tere, appunto, di copia, quale frutto di quella peculiare esecuzione stancache si distingue per il tratto diligente, la pennellata forzata, la fedeltà al-l’originale fino al dettaglio propria del copista12. Ancora, per presupporrel’esistenza di un originale perduto, si dovrebbero conoscere almeno dueversioni senza varianti della stessa composizione; e non è certo il casodelle opere presentate in quel capitolo, affollato di generiche derivazionida prototipi valerieschi, quali vere e proprie declinazioni di un para-digma grammaticale evidentemente di grande successo anche di mer-cato13. Chiudo la parte destruens per proporre di affrontare sistematicamentequesto affascinante argomento in altro modo. Constatato cioè che lecopie, derivazioni e declinazioni costituiscono effettivamente un capi-tolo importante nella trattazione dell’opera di Valerio Castello, se nonaltro perchè ne testimoniano la sua fortuna immediata ed enorme e diquesta fortuna ne delineano la specificità come fenomeno; constatando

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inoltre che la produzione di repliche con o senza varianti (repliche auto-grafe) è tipica di Valerio stesso, questo modus operandi e questo aspettodella creatività del pittore è dunque da ritenersi anche un’indicazione dimetodo per i suoi allievi e seguaci14. Di conseguenza si crede necessarial’organizzazione di tutto il materiale “valeriesco” in gruppi, dopo averpossibilmente analizzato le opere dal vero o da buone fotografie e so-spendendo il giudizio sulle opere di “ubicazione ignota” di cui, magari,si possiede solo vecchio materiale fotografico di cattiva qualità.Pur non potendo essere sistematici in questa circostanza, qualche risul-tato si può già anticipare in via ipotetica. Esistono opere delle quali effettivamente si conoscono numerose reda-zioni. Per esempio nel caso delle varie versioni del Cristo e l’adultera, al-cune per mano di autori ben riconoscibili, ossia Biscaino e GiuseppeAntonio Pianca15, e con minime varianti, così da lasciare il serio sospettodi una redazione di mano del maestro16. Esistono poi opere di grandis-sima qualità, condotte con diligenza d’esecuzione, di cui si conosce ef-fettivamente il prototipo di Valerio: fanno gruppo una bella tela con Lamorte di Lucrezia di collezione privata17, dal tratto stilistico ben definito ericonoscibile, derivata dalla nota versione autografa di Valerio18, conopere della stessa mano, di cui invece non si conosce il modello di Vale-rio. Tra esse il San Matteo e l’angelo di Palazzo Rocca19 o una preziosa Ca-rità Romana sottoposta di recente alla mia attenzione come ipotetica operadi Stefano Magnasco20. Ancora, esistono opere valeriesche come le tante tele con la Sacra Fami-glia e con Putti che non presuppongono un originale da cui sono copiate,poiché è più ragionevole pensare che siano varianti delle tante, tantis-sime tele con questi soggetti di mano di Valerio21.Ma si torni alla cerchia di Valerio Castello e agli allievi dalla fisionomiapiù chiara. Bartolomeo Biscaino risulta oggi correttamente inquadrato edi facile riconoscimento. Alcuni begli inediti attendono l’occasione di unmio prossimo lavoro22, e il contributo di Chiara Grasso in questa sedecompleta la conoscenza del pittore con l’importante capitolo della suaproduzione incisoria. Merano e Magnasco sono da trattarsi in maniera diversa dagli altri, senon altro per il fatto che sono sopravvissuti alla peste del 1656-1657; ciòha garantito loro una evoluzione che non ha senso prevedere viceversané per Biscaino né per Cervetto. Il percorso di entrambi non è lineare: inragione degli spostamenti, della molteplicità di stimoli culturali ben oltrela lezione di Valerio, del fatto che scavalcano una generazione artistica esi aggiornano linguisticamente come d’obbligo dopo lo spartiacque dellapeste. A Merano è dedicato il contributo che segue, realizzato a quattromani con Agnese Marengo. Per Stefano Magnasco, chiare ormai le tappedel suo percorso artistico - nella bottega di Valerio Castello dal 1650 al1655 circa, a Roma dal 1655 al 1659 circa23, nuovamente a Genova dal1660 circa al 1672, anno ipotetico della morte - non resta che rendere notinuovi numeri di catalogo, da intervallare alle opere già note lungo il suoiter di maturazione stilistica.

Anna Orlando

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AppendiceAggiunte al catalogo di Stefano Magnasco

Trascorsa quasi una decina di anni dalla pubblicazione della monogra-fia sul pittore, pare opportuno segnalare tutte le opere, edite e inedite, daattribuirsi a Stefano Magnasco e apparse successivamente al 2001. Si è scelto di elencare le opere in ordine cronologico, seguendo lo stessocriterio delle schede della monografia.Nella fase si correzione delle bozze, successiva di circa un anno rispettoalla stesura del testo, non mi è possibile aggiungere le immagini di altridue dipinti inediti comparsi nel frattempo sul mercato antiquario. Sitratta di due tele, delle quali una siglata, di cm 70 x 100, vendute all’in-canto (Genova, Wannenes, 29 settembre 2009), e che saranno pubblicatein A. Orlando, Ritrovamenti dal collezionismo privato. Dipinti genovesi dal‘500 al ‘700. Un’antologia, in c.d.s. (Allemandi, Torino 2010).1. Fanciulla con fiori (Allegoria dell’Olfatto?, Flora ?) (fig. 1)Olio su tela, cm 86 x 62Collezione privataBibliografia: Orlando in Genova 2006, pp. 258-259, n. 92 (misure inver-tite).Primizia tutta valeriesca nella leggerezza di tocco e nelle trasparenze, dadatarsi tra il 1650 e il 1655 non oltre. Opera di grande piacevolezza che

1. Stefano Magna-sco, Fanciulla confiori, collezione pri-vata

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mostra la volontà di Stefano Magnasco di aderire alla poetica del suomaestro, incentrata sulla ricerca pressoché costante di una grazia e diuna piacevolezza sia nella scelta dei temi, sia nel modo di trattarli.Difficile dire, in mancanza di indicazioni circa il contesto d’origine diquesta tela, se si tratti di una allegoria dell’olfatto - eventualmente in seriecon altre opere raffiguranti gli altri “sensi” -, o di una semplice raffigu-razione di una fanciulla con un bouquet da cui giungono gradevoli pro-fumi, priva di ulteriori implicazioni semantiche. In alternativa lapresenza dei fiori può alludere anche a Flora, e dunque alla Primavera,nel caso l’opera fosse stata concepita insieme ad altre con le stagioni del-l’anno; o ancora alla stessa Flora come divinità che si sovrappone all’im-magine di una fanciulla di cui il pittore esegue il ritratto, esaltandone lagrazia e la giovinezza nel parallelo accennato con Flora, secondo un toposdi tanta ritrattistica cinque-seicentesca. In considerazione dell’ampia pos-sibilità di interpretare variamente l’iconografia dell’opera si attendonoulteriori ritrovamenti che ne circoscrivano la genesi e l’ambito di esecu-zione.2. Baccanale di putti (fig. 2)Olio su tela, cm 85 x 147Già Montecarlo, mercato antiquarioBibliografia: Manzitti 2003, pp. 23, 25 nota 24 (come G.L. Bertolotto).Apparso sul mercato antiquario con attribuzione a Stefano Camogli (Mo-naco, Christie’s, 3 luglio 1993, n. 1), è stato poi pubblicato con l’attribu-zione a Giovanni Lorenzo Bertolotto da Manzitti che ne ravvisava laprossimità con i modi di Biscaino e Magnasco. Si ritiene che l’opera vadarestituita a quest’ultimo, per la possibilità di molteplici raffronti con suetele note di analogo soggetto, impostazione compositiva e caratteri stili-stici (cfr. Orlando 2001, pp. 82-84, 86, 112, 132-133, nn. 1-4, 6, 33, 52-53).

2. Stefano Magna-sco, Baccanale dipu*i, già Monte-carlo, mercato an-tiquario

Anna Orlando

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3. Angeli in volo (fig. 3)Misure sconosciuteUbicazione ignotaSi deve la segnalazione dell’opera a Carla e Martino Oberto (Genova),che ne conservano una fotografia nel loro archivio personale. Si trattaverosimilmente di un frammento di una tela di dimensioni più grandi,forse una pala a soggetto religioso di cui costituiva la parte alta a sinistra.La fisionomia degli angeli è ben riconoscibile come pertinente al reper-torio di Stefano Magnasco. Alcuni convincenti confronti si possono isti-tuire sia con il Baccanale di putti (Orlando 2001, p. 86, n. 6), sia con laMadonna con il Salvator Mundi (Orlando 2001, p. 87, n. 7), così da sugge-rire una datazione dell’opera ai primi anni di attività del pittore, intornoal 1650-1655.4. Susanna e i vecchioni (fig. 4)Olio su tela, cm 102 x 137Collezione privataBibliografia: Orlando in c.d.s. (2010)Il soggetto dell’inedito dipinto è stato affrontato dal pittore in almenoun’altra occasione: nella tela verticale di collezione privata per la quale èstato evidenziato il rapporto con l’opera di Rubens della Galleria Bor-ghese (Orlando 2001, p. 101, n. 21). Non molto lontana da quella, maforse un poco antecedente ed entro la prima stagione genovese del Ma-

3. Stefano Magna-sco, Angeli in volo,frammento, ubica-zione ignota

4. Stefano Magna-sco, Susanna e i vec-chioni, collezioneprivata

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gnasco, si pone questa tela che si avvicina moltissimo, per impostazionescenica e per caratteri esecutivi, al Lot e le figlie già Finarte (Orlando 2001,p. 97, n. 17). L’opera va datata approssimativamente al 1655-1656.5. Martirio di santo Stefano (fig. 5) Olio su tela, cm 60 x 90Collezione privataBibliografia: Orlando in Il patrimonio 2008, pp. 102-103. L’opera è stata segnalata da Enrico Cortona (Milano) che ringrazio. In oc-casione di un recente aggiornamento della scheda relativa alle due scenecon il Martirio di san Bartolomeo e il Martirio di san Lorenzo della Banca Ca-rige (Il patrimonio 2008, nn. 57-58, pp. 102-103), si è potuto prendere inconsiderazione quest’opera, determinante per ricostruire le probabili cir-costanze della genesi delle tre tele citate, unitamente ad una Adorazionedei Magi di collezione privata (Orlando 2001, p. 104, n. 25). Per essa già siipotizzava un accostamento con le tele Carige per analogia di dimensionie prossimità stilistica e dunque di cronologia. Si rimanda alla più ampiascheda di catalogo sul volume della Banca Carige, sintetizzando quiquanto ricostruito. Stefano è nome di battesimo del pittore; Lorenzoquello di suo padre; Bartolomeo e Giuseppe Maria (i genitori di Gesùprotagonisti nell’Adorazione dei Magi) quelli di due fratelli. La datazionesu basi stilistiche al momento del soggiorno romano (1655-1660 circa) el’identità di dimensioni e d’impostazione scenica - una folla di piccolefigure - impongono di immaginare le quattro opere dipinte in serie, comeuna sorta di antologia a uso intimo e privato per il pittore, forse per ri-cordare la sua famiglia nel momento di lontananza dalla città natale.

5. Stefano Magna-sco, Martirio disanto Stefano, colle-zione privataAnna Orlando

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6. Adorazione dei pastori (fig. 6)Olio su tela, cm Collezione privataIl dipinto mi è stato segnalato da Daniele Sanguineti, che ringrazio.Stefano affronta qui uno dei temi prediletti dal suo maestro Valerio, in unmomento però in cui le molteplici esperienze formative - in primis il viag-gio a Roma - gli consentono di interpretarlo in modo originale. La bel-lezza classica della figura della Madonna, il singolare neo-caravaggismo,il sapiente equilibrio tra naturalismo e ricercata compostezza composi-tiva, fanno di questo inedito un'opera degna di nota, da accostarsi, stili-sticamente e cronologicamente, all'Adorazione dei Magi di Palazzo Bianco(Orlando 2001, n. 27, p. 106).7. Il carro del Sole (fig. 7)Olio su tela, cm 53 x 62Collezione privataBibliografia: Dellepiane 1971, p. 169 (B. Guidobono); Newcome 2002, p.171, n. R9 (S. Magnasco?); Sanguineti in Genova 2008, p. 330, n. 126 (S.Magnasco).L’idea che si trattasse di un’opera prossima ai modi di Valerio Castello,e più precisamente a Stefano Magnasco, si deve a Mary Newcome, chela scartò dal catalogo di Bartolomo Guidobono cui il Dellepiane la attri-buì. L’ampia scheda di Daniele Sanguineti, nel catalogo della recente mo-stra, argomenta il corretto riferimento attributivo a Stefano e ne proponeuna datazione alla fine degli anni Quaranta, a ridosso della realizzazionedel grande Carro del sole di Domenico Piola oggi in Palazzo Rosso, che ne

6. Stefano Magna-sco, Adorazione deipastori, collezioneprivata

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costituisce indubbiamente la fonte d’ispirazione. Pur tuttavia, poiché ladata di nascita di Stefano Magnasco si aggira intorno al 1635 è molto dif-ficile che egli abbia potuto eseguire un’opera di questa qualità ancoraimberbe. Le prime tele del catalogo del pittore sono assai più incerte emodeste e decisamente più aderenti alla maniera oltre che alla poetica diValerio Castello suo maestro, nonché prossime ai modi semmai di un Bi-scaino, ma non ancora di un Piola. Alla luce delle conoscenze sull’ampiaopera del pittore, ritengo più probabile che la bella teletta sia stata ese-guita nella maturità al momento del ritorno da Roma, intorno al 1659.Lo scenario della sua città natale è cambiato e Domenico Piola è il pro-tagonista di questo cambiamento. Stefano Mgnasco lo ha ben chiaro epare scegliere di aderire allo stile piolesco, vuoi per propria inclinazione,vuoi per ragioni di mercato. Mi piace pensare che questa teletta, per nullaacerba e anzi matura nell’impeccabilità di ogni dettaglio, sia una sorta diomaggio al pittore che domina la scena della Superba e che in gioventùera stato suo compagno di scuola con Valerio. 8. Cupido che suona il tamburello (fig. 8)Olio su tela, cm 110 x 97Genova, palazzo PallavicinoBibliografia: Orlando in Il Palazzo e la collezione Interiano Pallavicino, 2009,n. 44L’inedito dipinto, la cui attribuzione si deve alla scrivente, è stato recen-temente reso noto da chi scrive (Orlando in Il Palazzo e la collezione Inte-

7. Stefano Magna-sco, Il carro del Sole,collezione privataAnna Orlando

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riano Pallavicino, 2009, n. 44). Il putto paffuto si caratterizza come Cupido per la presenza della faretracontente le frecce in ombra sullo sfondo di destra. È in atto di suonare untimpano e volge lo sguardo malizioso lateralmente a sé. Il timpano, otamburello, può genericamente richiamare la musica e quindi sottoli-neare il carattere giocoso e piacevole di questa raffigurazione, ma è ancheattributo del Vizio, e, se così letto, unitamente alla malizia insita nellosguardo di Cupido, starebbe a connotare negativamente un particolaresentimento amoroso. Lo strumento è altresì associato a Erato, musa dellapoesia amorosa, e quindi più genericamente potrebbe rafforzare il ri-chiamo a Eros nella figura di questo putto alato. In mancanza di notiziein merito ala provenienza del dipinto, che si trova nel palazzo nobiliaregenovese probabilmente dal XIX secolo - periodo di maggiore affluenzadi opere e della costituzione di una collezione per funzioni di arredodella dimora -, si dovrà lasciare aperta l’esatta lettura iconografica.Dell’opera si apprezza il buono stato di conservazione sotto gli ingialli-menti delle vernici. Stilisticamente essa si approssima alle opere più ma-ture, caratterizzate da una pienezza di forme e da una pastosità distesura, nel momento in cui Magnasco risente della tendenza di gustodeterminata dal grande successo di Domenico Piola, a partire dagli anniSessanta. Il naturalismo nella trattazione della figura e la ricerca di sa-pienti passaggi chiaroscurali suggeriscono una datazione prossima aopere quali il David e il Saul (Orlando 2001, p. 114, n. 35a-b), eseguitedopo il rientro in patria da Roma, intorno al 1660.

8. Stefano Magna-sco, Cupido chesuona il tamburello,Genova, PalazzoPallavicino

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9. Salomone incensa agli idoli (fig. 9)Olio su tela, cm 120 x 135Collezione privataIl dipinto, segnalatomi nel 2004 dai proprietari, raffigura una libera let-tura dell’episodio dell’idolatria di Salomone, tratto dal primo libro deiRe (11, 1-8): il terzo regnante d’Israele, alla cui corte, famosa per lo sfarzoe la magnificenza, abitavano numerose concubine, si era lasciato in-fluenzare in vecchiaia dalle donne straniere che seguivano culti pagani.Lo vediamo qui intento a venerare una statua raffigurante Diana, ben ri-conoscibile per le sue aggraziate fattezze, per la mezza luna e per il caneche solitamente l’accompagna. La scena è impostata con un taglio ravvi-cinato per cui le figure sono colte a mezzo busto nel loro diverso atteg-giarsi, secondo un modulo tipico del naturalismo della pittura genoveseche anche Stefano adotta soprattutto nella maturità, quando si fondonoinsieme, in un equilibrio piacevole e riuscito, le diverse componenti dellasua formazione e i diversi stimoli. Vicino a opere come il pendant conDavid e Saul (Orlando 2001, p. 114, n. 35a-b), il dipinto dovrebbe datarsialla prima metà degli anni Sessanta del secolo.

9. Stefano Magna-sco, Salomone in-censa agli idoli,collezione privataAnna Orlando

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10. Il sacrificio di Isacco (fig. 10)Olio su tela, cm 109 x 148Già Genova, mercato antiquarioIl dipinto è stato presentato all’incanto (Genova, Cambi, 27 febbraio 2007,n. 1310) con il corretto riferimento a Magnasco, accompagnato da unascheda di catalogo a cura della scrivente, in cui si ipotizza una datazionealla maturità del pittore, intorno al 1665. Intriso di un naturalismo tuttonostrano, Magnasco prende qui le distanze dalla lezione del suo mae-stro Valerio Castello per avvicinarsi, come per il Salomone incensa agli idoliora analizzato (n. 8), a quel linguaggio più tradizionale - anti barocco sipotrebbe fin dire - che evidentemente la committenza ancora ricercavanella seconda metà del secolo. Piolesco l’angelo in volo intento a inter-rompere il sacrilegio, fratello del Mercurio che qui oltre si presenta (n.13). 11. Annunciazione (fig. 11)Olio su tela, cm 137 x 89Ubicazione ignotaLa paletta, che risulta inedita e che mi è stata segnalata nel 2002 da Le-tizia Treves (Sotheby’s, Londra), è ben riconoscibile come opera maturadi Magnasco. Si pone in prossimità con alcune opere pubbliche, quali ilTransito di san Giuseppe menzionata dal Soprani e oggi conservata nellachiesa dell’ospedale di San Martino a Genova (Orlando 2001, p. 134, n.54), databile su basi documentarie al 1666. Una datazione alla metà delsettimo decennio pare convenire anche per l’aggraziata Annunciazione,

10. Stefano Magna-sco, Il sacrificio diIsacco, già Genova,mercato antiquario

11. Stefano Magna-sco, Annunciazione,già Londra, mer-cato antiquario(Courtesy of Chri-stie’s)

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non lontana neppure dalle squisitezze cromatiche e di tocco dell’Angelocustode di San Teodoro o del Crocifisso delle Vigne a Genova (Orlando2001, pp. 130, 136, nn. 50, 56).12. Maddalena in adorazione del Crocifisso (fig. 12)Olio su tavola, cm 31 x 40Collezione privataLa tavoletta costituisce un unicum del pittore dal punto di vista dell’uti-lizzo del supporto. Il volto scorciato della Maddalena, il suo gradualeemergere dall’ombra nella sua pienezza formale, è simile a molte altrefanciulle che popolano le tele del genovese. L’opera comunque più si-gnificativa per un confronto è la Cleopatra di Palazzo Bianco (Sanguinetiin Genova 2008, pp. 330-331, n. 128), in cui si ravvisa l’inserimento diistanze di impronta classicista per il pittore nella maturità. Il dipinto vadatato al settimo decennio del secolo. 13. Elemosina dei santi Andronico e Anastasia (fig. 13)Olio su tela, cm 195 x 145Collezione privataIscrizioni: “1669” (in basso a destra)Bibliografia: Sanguineti in Genova 2008, p. 331, n. 129. Mostrato alla scrivente come opera genovese, ipoteticamente di Dome-nico Piola, dai precedenti proprietari alcuni anni or sono, il dipinto èstato da chi scrive subito riconosciuto come opera tarda di Stefano Ma-gnasco. Più recentemente, in occasione del suo passaggio di proprietà, siè argomentata questa attribuzione in una relazione scritta che ne sotto-

12. Stefano Magna-sco, Maddalena pe-nitente, tavola,collezione privataAnna Orlando

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lineava l’importanza come tassello certo nella scansione cronologica delcorpus del pittore. Il dipinto non è infatti siglato, come indicato nel re-cente catalogo della mostra a causa di un brutto refuso, ma solo datato.Si tratta di un’opera di grande impegno realizzata nel 1669, in un mo-mento in cui Magnasco riceve altri incarichi pubblici o comunque tele digrandi dimensioni che talvolta presuppongono un complesso impiantoscenico, come in questo caso.

13. Stefano Magna-sco, Elemosina deisanti Andronico eAnastasia, colle-zione privata

14. Stefano Magna-sco, Angelo in volocon il caduceo (Mer-curio?), collezioneprivata

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14. Angelo in volo con il caduceo (fig. 14)Olio su tela, cm 74 x 120Collezione privataBibliografia: Orlando in c.d.s. (2010)Quanto mai piolesco, nelle rotondità piene e nel vigore cromatico, que-sto Angelo con il caduceo (un piccolo Mercurio?) costituisce una bella ag-giunta al corpus di Magnasco, contribuendo a chiarire le ben precise sceltedi campo del pittore nella sua estrema attività. L’opera si colloca con ogniprobabilità verso la fine del settimo decennio o già agli inizi del succes-sivo, vicino alle opere siglate della Fuga in Egitto o della Carità Romana(Orlando 2001, pp. 140-141, nn. 60-61). La stesura pittorica è compatta, leombreggiature sono decise e ben contrastate e lo sfumato e la leggerezzadi tocco hanno ormai decisamente ceduto al fare più costruito e più clas-sicista dell’ultima fase del pittore.15. Maddalena penitente (fig. 15)Olio su tela, cm 123,8 x 147,6Iscrizioni: “SM” (in basso a sinistra)Già Londra, mercato antiquarioIl dipinto, apparso nel 2003 sul mercato antiquario (Londra, Sotheby’s, 10luglio 2003, n. 174; Londra, Christie’s, 10 dicembre 2003, n. 93), reca il ti-pico monogramma con la “S” e la “M” accavallate che contraddistinguealcune opere del pittore, soprattutto nella maturità. A questo momento

Anna Orlando15. Stefano Magna-sco, Maddalena pe-nitente, già Londra,mercato antiquario(Courtesy of So-theby's)

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risale senza dubbio l’esecuzione di questa tela di grande qualità, acco-stabile ai capolavori dell’attività estrema del pittore. Il corpo sensualedella Maddalena adagiata al suolo ricorda l’eleganza formale della Cleo-patra di Palazzo Bianco (Sanguineti in Genova 2008, pp. 330-331, n. 128),ma anche alcune protagoniste femminili di alcune composizioni più af-follate, quali le due splendide versioni del Trionfo di David (Orlando 2001,pp. 138-139, nn. 58-59). L’angelo in volo si affratella con il Mercurio quipresentato (n. 13) e ne condivide l’aspetto paffuto, quasi scultoreo nellapiena rotondità. L’importante componente paesaggistica di questo di-pinto ricorda invece da vicino il Sacrificio di Isacco, con cui condivide fi-nanche alcuni dettagli minuti, quali i sassolini e la definizione delle rocce(Orlando 2001, p. 117, n. 38). L’opera può datarsi al 1670 circa.

1 Orlando 2001.2 Sanguineti 2008, pp. 106-129.3 Per Piola: Sanguineti 2004.4 Per Lagorio: Morandotti 2000, pp. 81-92; Orlando 2001, pp. 28-29; Sanguineti2008, pp. 122-124. Non concordo conl’attribuzione a Lagorio - suggerita giàda Manzitti (2004, p. 237, n. C8) - dellaCarità (Sanguineti 2008, p. 124, fig. 40).Serbo qualche dubbio anche in meritoalla Madonna del Rosario (Sanguineti2008, p. 124, fig. 41).5 La “questione” Cervetto fu affrontatacon una certa superficialità nella primamonografia su Valerio Castello, ove pe-raltro veniva indicato il nome di batte-simo in Giovanni Battista invece cheGiovanni Paolo (Manzitti 1972, pp. 304-307).6 Manzitti 1972, p. 304, n. 194 p. 304(Genova, Art, 29-30 maggio 2007, n.480, cm 21 x 73).7 Manzitti 1972, pp. 306-307, nn. 197-198.8 Sanguineti 2008, p. 118, fig. 3. Appro-fitto inoltre per esprimere il mio parere

negativo in merito all’attribuzione ipo-tetica a Stefano Magnsco per il dipintocon Lo sposalizio della Vergine della col-lezione della Banca Carige a Genova,che ritengo non di Magnsco e a parermio fiorentino piuttosto che genovese(cfr. Sanguineti in Il patrimonio, 2008, n.59, pp. 103-104.9 A scanso di equivoci non pare super-fluo ricordare che Soprani (1674, p. 259)menziona un tal Sebastiano Cervettotra i molti allievi di Giovanni AndreaDe Ferrari. Il Ratti (1768, p. 271) ag-giunge che era nato a Sestri Levante eche faceva il copista.10 Manzitti 2004, pp. 235-240.11 Nel suddetto capitolo sono pubbli-cate diverse riproduzioni fotografichedi opere di ubicazione sconosciuta.12 Ciò non accade per la maggior partedelle opere presentate come “copietratta da un suo originale disperso”(Manzitti 2004, p. 235), dove si arrivaaddirittura a presentare come tale unaMadonna con Gesù Bambino che appare adalcuni santi di collezione privata (cm

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Anna Orlando45,5 x 32) come “copia di un modellettodi Valerio, probabilmente preparatorioper qualche pala d’altare” (Manzitti2004, p. 238, n. C10).13 Vale la pena di ricordare, ai fini diquesta auspicabile ricostruzione, ilfatto che un’opera assolutamente vale-riesca quale la Madonna con Gesù Bam-bino e sant’Ambrogio in gloria, già datada Manzitti (1972, p. 301, n. 191) a Me-rano, sia in realtà il bozzetto prepara-torio per la pala di Pietro Raimondi,allievo del Piola nella parrocchia di Bu-salla, come rettificato dallo stesso Man-zitti (Manzitti, Meriana 1974, p. 125;Sanguineti 2004, p. 135 nota 154).14 Cfr. il saggio su Merano in questo vo-lume.15 Manzitti 2004, p. 239, n. C13. SuPianca e il rapporto con i genovesi è infase di elaborazione un saggio di chiscrive all’interno della monografia diF.M. Ferro sul pittore.16 Andrebbe peraltro indagato il rap-porto con l’opera di Valerio conservataa Dresda, non del tutto calzante comeprototipo di avvio per le redazioninote.17 Cm 150 x 195. Potendo visionare

l’opera dal vero, si può affermare che lamano del copista è bene caratterizzata,anche per l’alto livello qualitativo delrisultato, al punto da aprire l’ipotesiche questo artista venga a coinciderecon un pittore a noi già noto. A lungoho valutato la possibilità che possa trat-tarsi di Stefano Magnasco, ma ad ogginon ne sono convinta.18 Manzitti 2004, p. 128, n. 91.19 Manzitti 2004, p. 240, n. C17.20 Cm 100 x 70 (da me visionata nel2007).21 Gli esempi sono numerosi: Manzitti2004, pp. 235-237, 240, nn. C1-C2, C5-C7, C16.22 Cfr. anche il recente articolo: Affronti2008, pp. 4349.23 In occasione della ricostruzione dellabiografia e del percorso artistico di Ste-fano Magnasco nella monografia del2001, non notavo che la morte del suomaestro cade nei mesi di ottobre-no-vembre del 1659. Ipotizzavo un rientroa Genova nel 1660, che ha invece unacerta logica immaginare allo scaderedel 1659, per presenziare alle esequiedel suo maestro.

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