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a Genio e follia Scritti scelti di Cesare Lombroso Storia d’Italia Einaudi

Cesare Lombroso Genio e Follia

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Genio e folliaScritti scelti

di Cesare Lombroso

Storia d’Italia Einaudi

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Edizione di riferimento:Delitto, genio, follia. Scritti scelti, a cura di DeliaFrigessi, Ferruccio Giacanelli, Luisa Mangoni, BollatiBoringhieri, Torino 1995

Storia d’Italia Einaudi II

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Sommario

Il medico, l’alienista 11. Etnografia e medicina sociale in Italia 1

1. Cretinismo 12. Per una geografia medica dell’Italia unita:le Calabrie, il Napoletano, la Lombardia

25

3. Una statistica uniforme 672. «... quella triste piaga e vergogna nostradella pellagra»

72

1. Eziologia, sintomi, profilassi 722. Istruzione popolare 1143. Un appello accorato 134

3. Psichiatria 140l. Psichiatria sperimentale e tecnichemanicomiali

140

2. Il manicomio criminale 1553. L’influenza delle meteore 1754. Claustrofobia e claustrofilia 1845. Nuove conquiste 189

4. Personaggi criminali 1961. Verzeni strangolatore di donne 1972. Gasparone 2113. Il brigante Tiburzi 2204. Luccheni e l’antropologia criminale 2305. L’ultimo brigante: Giuseppe Musolino 2386. Enrico Ballor detto il martellatore 252

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7. Gaetano Bresci regicida 264La scienza della devianza 272

1. Forme e caratteri della devianza 2721. Lo studio dell’uomo 2722. Anomalie e atavismo nei delinquenti 2873. Genio e follia 313

2. Ritorno al primitivo 3391. Come i selvaggi 3392. Il lievito sublime 361

3. Eziologia del genio e del delitto 3801. L’azione della civiltà 3802. Influssi naturali ed etnici 3983. Influssi sociali 420

4. Uguali e diversi 4371. Una razza che si trasforma 4372. Razza e delitto 4443. Il soffio dell’antisemitismo 454

5. Tipi e modelli 4671. L’anello di passaggio: mattoidi letterari,politici, religiosi

467

2. Pazzo morale e delinquente nato 4943. Epilettici ed epilettoidi nel delitto e nelgenio

513

4. Delinquente alcolista e isterico 5455. Delinquente d’impeto 5516. Delinquente d’occasione 5547. Rei d’abitudine, latenti e protetti 5668. L’uomo perfetto 569

6. Una variante: la donna prostituta edelinquente

571

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1. La «schiavitù rosata» 5712. La forma della criminalità femminile 5833. Criminali, epilettiche, isteriche 5894. Ree d’occasione e per passione 5995. A nostro vantaggio 606

7. Devianza e leggi sociali 6101. Natura e funzione del delitto 6102. Le rivoluzioni e il delitto 6313. Gli anarchici 6494. Folla e follia 659

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IL MEDICO, L’ALIENISTA

1

Etnografia e medicina sociale in Italia

1

Cretinismo

Parlare e lagrimar vedraim insieme

L’osservatore cui s’affacci il cretinesimo, non nel quietosoggiorno di un Ospizio, ma nell’umile suo nido fra lecatapecchie delle città e dei villaggi remoti, si sente col-pire da una singolare ambascia. L’occhio angustiato daquell’aria oscura, da quelle vie sucide, da quei volti squa-lidi e torvi degli abitanti, da quell’umida e bigia mise-ria, che traspira dovunque, s’arresta ancor più tristamen-te su quella nuova specie di uomini bruti, che barbuglia-no, grugniscono e s’accosciano sbadati fra li apatici con-giunti, su ’i quali l’affinità del sangue e del morbo sta di-pinta a brutti caratteri nel volto e nella gola. – Che è poiquando ti metti a interrogare quegli esseri, e al meschi-no raggio d’intelligenza, che luce ancor su quelle pocoumane membra, ti è dato scorgere le forme più ignobilidell’egoismo e della cattivezza?

Non è di quei spettacoli, che dalla spigliata acerbitàdel dolore ti sollevino co’l senso della compassione, neche t’acquietano con l’indifferenza –; un senso ti nascead un tempo ed uggioso, ed avvilente, e confuso, a cuinon poca parte hanno le cause stesse, che ingenerano ilcretinesimo; senso che ti s’appiccica quasi, e ti accompa-gna nelle ricerche scientifiche, sicché i fatti più chiari si

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contradicono fra loro, e sfugono alla sintesi, e snatura-no e rabbujano non solo l’essenza e le cause, ma e la for-ma del morbo, – talché spesso non ingrata soltanto, mainutile riescì la fatica.

Che morbo sia il cretinesimo, risulterà sufficientemen-te dal seguito del lavoro senza che ora mi metta in quellepoco giovevoli pastoje della definizione; – solo preven-go considerarlo come un effetto di una discrasia specia-le, che si manifesta da prima con anomalie del corpo edella glandula tiroidea, e da ultimo con la stupidità.

Morbo antichissimo ed esteso per ogni parte del glo-bo (vedi Appendice), gode anche fra i dialetti lombardidi una larga sinonimia, attestatrice della troppa sua di-fusione. – Su ’l Pavese si chiamano i cretini Sor, Beli-no, Libidock (Mirabello); a Cassano, Goj, Tamacol, Sgep,Fat. – A Chiari e in Valcamonica Totola, Toltola, Ma-gotu. – In Valsassina Manan (analogo al francese), Pa-lie. – In Valsabbia Macabri, Maghi1 in generale Cristia-nei, Martorot, Innocent, epiteti questi, come osservava ilVerga, che confermano la parallela etimologia di cretini,e rammentano la strana considerazione in cui erano te-nuti nei secoli scorsi, quando il superbo castellano man-dava i suoi bimbi alla capanna dell’ebete onde, conviven-do insieme contraessero della sua santa innocenza. – Ladifusione dei lumi e forse del male fece succedere ora al-l’ammirazione, od all’orrore (v. Appendice) una stranaindifferenza – ma non sì però che non rimangano e vi-ve ed ostinate le tracce degli antichi pregiudizj; nella po-polosa Treviglio, poco lungi dalla strada ferrata, mostra-vami una madre, con una tal qual’aria di compiacenza, ilfigliulo suo, brutto di tutto il cretinesimo ad ultimo sta-dio – «Gli è proprio un angelo, dicevami, un innocen-te che non ha mai peccato» – e peggio, innanzi alla portadella Università di Pavia, un’altra madre interrogata su lacausa del cretinesimo dei suoi tre figlioli mi accennò mi-

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steriosamente ch’era l’opera di una vecchia maliarda suarivale

Il numero di questi infelici è più grande, che non sipensi communemente. Io non credo errare di molto cal-colandolo a 5000 – un quattro volte meno dei pellagrosi.

Ve n’hanno nelle contrade remote della stessa Milano,a Porta Tosa principalmente –; molti ve n’hanno a Cer-nusco, a Verdello; nella riva destra inferiore del Lago diComo e su le vette dei monti, che mirano il Lago Maggio-re; e a Malpago, e Casto, e Pezasa, e Ludrino, su la Bre-sciana; ma i più si può dire, si aggruppano su la linea del-l’Adda, dalle sue origini nella Valtellina, e nel mezzo delsuo cammino su quella ubertosa pianura, ove giaccionoCassano, Rivolta e Treviglio; fino al suo finire in quellaspecie di delta formato dai vari rami con cui sbocca nelPo, a Camairago, Cavacurta, Bocche d’Adda.

Le contrade assolutamente immuni dal cretinesimosono la Valle Seriana, in cui secondo le ricerche del gen-tile dott. Pietro Lussana, non si rinvennero che due creti-nosi – e la provincia di Mantova su cui diligenti informa-zioni diresse in proposito il carissimo e dottissimo amicodott. Scarenzio.

Su molti punti della Lombardia feci personalmente ri-cerche, che ora pubblico in questa tabella – ma, appuntoperché personali, le riescono più che incomplete, e se ba-stano per le deduzioni patologiche, sono insufficientissi-me per lo statista.

Non così posso dire della Valtellina, le cui notizieaggiungo a quelle raccolte da me. Qui note officiali,passando per le mani del Verga, non lasciano pressochénulla a desiderare allo statista ed al medico a un tempo2.

Su una popolazione di 207721 abitanti si annoverano1306 cretini e cretinosi – o sia 1 cretino su 159 abitanti, epiù particolarmente 1 su 135 abitanti in Valtellina; – 1 su189 nelle varie altre province; ma variano singolarmentele proporzioni da paese a paese vicino. – Così nella Val-

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sassina ad Introbbio abbiamo 1 cretino su 30 abitanti. –A Pasturo pochi metri distante, 1 su 200. – In Valcamo-nica, Artogne ne ha 1 ogni 40; Piano, che ne è quasi unafrazione, 1 su 175. – A Bagolino 1 su 40, a Vobarno 1su 133. – A Collio 1 su 68, ed a Bovegno 1 su 120. – InValtellina, Sondrio, 1 su 91, Chiavenna 1 su 448.

È strano, che quando si voglia con tutta la potenza del-la critica sceverare le vere cause del cretinesimo si vienea concludere che la causa più vicina e potente, è quellache ci sfugge – mentre dell’altre, non possiamo vedere,che la negativa influenza, e ciò con la più sconfortantechiarezza.

a) È impossibile p. es. che le condizioni geologichesieno fra i fattori diretti dell’endemia retinica.

b) Quanto poco influiscano i cibi su ’l cretinesimorisulta dal trovarsene e dove si abusa di maiz (Chiari), edove di castagne (Introbbio), e segale (Valtellina), e dovedi latticini (Collio, Bagolino).

c) Io attribuiva all’abuso di matrimoni fra consangui-nei il cretinesimo di Cassano, popolato da una dirama-zione delle sorelle Tavola, come anche d’Introbbio, do-ve il nucleo della popolazione è dato dalle famiglie an-tichissime Arrigoni e Tantardini; – ma Quistello, borga-ta del Mantovano i cui abitatori son tutti di famiglia Val-vassini, non mostra segni di cretinesimo, e grandi inve-ce ne dà Artogne, che è in Valcamonica, l’unico villag-gio, in cui s’usi condurre mogli dalle lontane Valli Ber-gamasche – ed anzi mi diceano là tutti ad una voce, esserquelle famiglie più infette, che più s’imparentavano al difuori.

d) Questi fatti mettono anco in forse l’influenza dell’e-redità su ’l cretinesimo; la quale è certamente nulla nelcretinesimo in ultimo stadio, stante l’impotenza degli or-gani riproduttori.

e) I medici più distinti dei paesi infetti, il dott. Zura-delli di Bagolino, e il dott. Riva di Chiari, e il dott. Cerri

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di Cassano, e il dottore di Collio mi asserivano con stra-na insistenza, che credevano il cretinesimo originato dal-la pellagra – mi mostravano che quasi tutti i cretini sonofigli di pellagrosi o pellagrosi essi medesimi – e noi anno-verammo 84 cretini pellagrosi e quel che è più 45 fra i ge-nitori – ma il triste fatto dell’infierire il cretinesimo nel-la Valtellina, dove pochissimo domina la pellagra, bastaa distruggere quest’opinione. ...

f) Accagionare la scrofola del cretinesimo è confonde-re per lo meno la causa con la natura del morbo; oltreciò v’hanno paesi in cui la scrofola domina sovranamen-te, per es. Vienna, e pochissimo il cretinesimo.

g) Una congettura, che a primo tratto parrebbe piùche logica, e naturale, attribuiva all’ignoranza e alla sel-vatichezza una grande influenza su ’l cretinesimo. – Co-me un occhio nelle tenebre si atrofizza per mancanza del-lo stimolo naturale – così il cervello, cui non alimenti lacorrente del pensiero. Ma né meno questa congettura,pur tanto verisimile, mi par fondata su ’l vero.

Io dimostrerò in seguito che la questione di cretinesi-mo si riduce a questione di gozzo – ora quanto al gozzol’ignoranza non ci può né molto né poco.

h) La miseria non è direttamente causa di cretinesimo,ma ne è un elemento favoritore, incubatore. È certoche la Valtellina è il paese più misero di Lombardia;il Jacini lo ha dimostrato con parole, e più, con cifreeloquenti. Collio è nella Valtrompia, il paese più misero.Vi allignano solo, e malamente le patate; le miniere,fonte di lucro immenso per pochi, lo sono di miseriaper tutti li abitanti, i quali tutti ragazzi, femine, adulti, siassoldano per lire 1,1/2, 2 al giorno per li scavi e trasportidel ferro; e questa sarebbe lauta mercede, ma la è tuttaritenuta ed assorbita dagli stessi padroni delle miniere,che si tengono (miniera forse più ricca) il monopoliodell’approvigionamento del vitto e del vestito – il qualedi qual maniera sia distribuito, ben lo mostra lo scarno

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e tristo volto dei minatori. Ciò pure succede a Bagolinoper i fornifusori – ma uguali tragedie finanziarie non siripetono pure nelle nostre floride città, senza produrre ilcretinesimo?

Ma è certo tuttavia che l’agiatezza più limitata esclu-de il cretinesimo – non perché la miseria ne sia una cau-sa diretta – ma perché lo seconda, o non si oppone all’a-zione della vera causa endemica – come succede di tut-te l’epidemie in genere e di tutti i contagi – e non è ulti-ma ragione della brevità della vita media del povero, inconfronto del ricco.

i) Quando si riduce la quistione di cretinesimo a que-stione di gozzo e si pensa che il gozzo dispare e ritornasecondo che si allontani l’individuo dal paese infetto, –si viene alla persuasione che non vi può essere che unacausa inerente al suolo che lo produca e riproduca. – Epure la geologia si rifiuta a quest’ipotesi. – Allora il dot-to come il volgo e come l’antichità deve ricorrere subi-to, co ’l pensiero, all’aque. Plinio e Strabone non solo ci-tano fontane che producono e guariscono gozzi, ma fi-no che generano stupidità. Lo stesso pure i cronisti delMedio Evo – (V. Appendice storica). – E tutti li abitantidei paesi infetti in Savoja (Niepce. Traité du goître, I, p.385) in Boemia, [a] Radkersburg (V. Kost. Endem cre-tinism.); in America (forte Mohawk); in India (V. Clel-land. Rise, ecc.), al Mar Polare (Franklin) ripetono aduna voce dall’aque l’origine del gozzo.

L’instabilità delle forme è uno anzi dei caratteri veridel cretinesimo. Non solo il tipo varia singolarmente daindividuo ad individuo, ma da paese a paese.

Cretini, Galeotti o Calibani Tutte le forme di cretine-simo che infieriscono in Lombardia si ponno ridurre aquelle tre principali, – del cretinesimo atrofico, che è ilmeno difuso, – del cretinesimo rachitico, che lo è benpiù, – e del cretinesimo idrocefalico, che poche volte iso-lato (97 su 1000) quasi sempre si complica ai due primi.

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Pure nello studio dei molti individui mi pare avere tro-vata una varietà di cretini, che non può ridursi ad uno deitre caratteri accennati – e che forma un singolare anel-lo fra l’imbecillità, e l’idiozia, ed il cretinesimo, propria-mente detto.

I caratteri di questa varietà sarebbero – cranio micro-cefalico – statura alta, che sorpassa i 2 metri, – barba svi-luppata, – motilità più libera, – istinti e tendenze crude-li e feroci, – espressi da una fisionomia non così stupi-da come si riscontra nei cretini, ma truce, e torva benpiù, – caratteri questi per cui darei loro il nome di cretinigaleotti o meglio di cretini calibani, in memoria di quel-l’immortale psicologo, il quale se nel Re Lear ci ha dipin-ti tutti li aspetti della mania, nel Tempesta ci diede l’ima-gine più netta e più vera dell’idiozia primitiva. – L’ulti-mo carattere è la mancanza assoluta così di anomalie del-l’ossa che a glandula tiroidea, le quali invece ricorrononei consanguinei della famiglia. – Eccone alcuni casi.

A Maleo, paese vicino all’Adda, vive con sufficientimezzi di fortuna una famiglia composta di 8 fratelli; diquesti, tre sono sani di mente, ma affetti dal gozzo, e d’uningegno finissimo, ma misto a molta bizzarria e malizia –tengono un caffè e coltivano i campi. – La loro madreera donna molto maliziosa, anzi cattiva, ed era con tuttala sua famiglia affetta da gozzo. – Il padre non lo aveva,ma era molto bizzarro, e morì apoplettico come l’avo, ilquale, [a] quanto si ricordano quei del paese, era anchemicrocefalo.

Giovannino è il primo dei fratelli cretini ed il tipopiù completo dei miei Calibani, – ha 35 anni, è alto2 m. 59; la testa nella sua circonferenza misura solo0,411, – la curva longitudinale (dalla glab. del naso altubercolo occipitale) 0,200, – la curva trasversale mediasuperiore 0,151, – la curva occipitale media 0,200, –l’altezza del frontale non arriva i 0,025, – la fisionomianon ha quella mancanza d’espressione che è propria ai

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cretini, ma invece ha quel muso sporgente, e solcato dirughe, tipo ignobile e torvo che è proprio dei galeotti.

La memoria e l’abitudine lo facea condurre di nuo-vo alle case ove era solito trovare cibo, mai la gratitudi-ne. Domandato se volea bene a suo fratello Augustino,rispose: «Mi Autin, mi ben, mi baton, mi pan». Feroceepigramma storico del governo popolare. Imperocchépigro ed inerte al lavoro, era il bastone e la paura che in-cutevagli il fratello Augustino, che lo faceva lavorare; eglicovava odio profondo contro costui, ma odio cui frena-va paura. –Un sentimento di vanità si mescea insieme aquello dell’odio. – Ei funziona nel paese come portato-re della bara dei morti, e niuno più di lui fortunato, semuore alcuno del paese; ora ei desiderava e pregava chesi facesse morire il suo collega d’officio, onde essere il so-lo in carica; – egli spesso domandava ai vecchi se volea-no morire e che facessero presto, e collocatasi alle portedei moribondi per timore che gli scappasse la preda. – Inciò si fa chiaro quell’istinto particolare cannibalesco pro-prio di questi infelici, imperocché ei si godeva avidamen-te della vista del sangue, e correva le miglia per assiste-re agli accoppamenti degli animali, e cercava maltrattarei ragazzi e le bestie quando il poteva impunemente3.

Aveva strane idee di religione, la religione era per luiun seguito di esequie e di messe – Dio non esiste perlui; ma sì bene ha idee molto chiare e molto paurosedi Satanasso, e dell’inferno, del luogo, mi dicea, cattivo,dove non c’è polenta.

Franceschino, suo fratello, ha 40 anni circa, alto 2 1/2metri, la testa ha di circonferenza 42 centim. Misura tra-svers. 22, occipitale 9 cent., ha una vera faccia batracia-na. Mangia altretanto che il fratello, e quello che nonpuò mangiare cerca distruggere perché altri non ne go-da. – Odia e serve come il fratello, ma è più taciturno, epiù terribile nel suo odio, – lo si sospettò già di un omi-cidio.

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Rosa di 35 anni, alta 3 1/2 metri, microcefala (craniocirconf. 45 cent.), ha un viso egualmente batraciano,mangia fino alle 9 libbre di polenta ed odia i fratelli tutti.

Maddalena, alta 1 metro 1/2 ed ugualmente microce-fala. – La testa misura 40 centim. di circonferenza, 20 dicurva trasversale, 1 1/2 di altezza frontale, – forma l’an-nello co ’i veri cretini. Ella non mangia più tanto comei suoi fratelli, e non ha quegli istinti feroci, è rachitica eleggermente gozzuta, mestruata. – Se la sua fosse favel-la, più che grugnito di suoni automatici, si potrebbe dirlauna ciarlona. Ella è imitatrice più che una scimmia; neltempo stesso che parla ad uno, imita involontariamentei gesti dell’altro, così che fra molti individui è una veramachina in moto. – Ha anch’essa vanità, ma la più malcollocata; è capace di mettersi del fieno per ornamentodel capo, e delle foglie per vezzo su ’l vestito. Del restocosì corta di senno, che prende un calamajo dipinto perun ritratto.

Colombina, di 44 anni, microcefala, mangia moltissi-mo, non vuol vedere nessuno, e quando alcuno dei suoientra nella stanza dà grida feroci; a 5 anni divenne epi-lettica nel vedere (si dice) un accesso di un altro. – A 40anni dietro accessi di epilessia le si sviluppò un’osteoma-lacia, prima della clavicola, poi delle coste e degli arti.

Uno dei fratelli sani, Pietro, calzolajo, con gozzo trilo-bato, bizzarrissimo, uomo su ’i 39 anni, ha già un figliodi 8 anni gozzuto, stupido e pigmeo.

Mi sono difuso a lungo su questa famiglia, perché of-fre un curioso esempio della stretta analogia del cretine-simo con l’idiozia e l’imbecillità – tanto che la diagno-si differenziale non viene data dall’individuo stesso, madai suoi consanguinei. – Essa offrivami anche un’impor-tanza filosofica, perché osservando quanto co’l pane, co’lbastone e con la paura giungesse il fratello sano a domi-nare e ad utilizzare quelle incerte e reluttanti creature mipareva di ritornare ai primi tempi delle umane società, e

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alle ferocie luttuose ma pure necessarie dei primi tesmo-fori.

Io ritrovai altri undici individui, 8 maschi e 3 femine,simigliantissimi a Cassano, ad Artogne ad Abbiategrasso,e non potrei dire se nella Valtellina abondino di più,e pare probabile che ad Albosaggio. Questa varietàdi cretini merita particolare attenzione medico-legale adifferenza degli altri per il danno ed il pericolo chearrecano nel seno della loro famiglia e del paese, e sonospecialmente meritevoli di sequestro.

In generale le osservazioni necroscopiche così contra-dicenti fra loro riguardo al cretinesimo, parrebbe ci do-vessero ridurre allo sconforto quanto ad avere un lumesu la natura di esso – ma pure una cosa ci indicano, echiarissimamente, che non ha il cretinesimo causa o se-de in uno degli organi o tessuti presi di mira da prevenu-ti autori (cervello, osso basilare, ventricoli cerebrali, cer-velletto, ecc.), ma piglia partenza da un punto che su tut-ti li altri domina e sovrastai solo punto in cui può in milleguise metamorfosarsi e mostrarsi ed in vari organi depo-sitarsi dal sangue e dalla linfa, e che quindi il cretinesimoè una discrasia.

E di quale natura sarà questa discrasia? La scrofola,la rachitide, la sifilide, la pellagra invadono egualmenteed i paesi infetti e li immuni dal cretinesimo. Niuna ma-lattia, niuna anomalia speciale distingue quelli dagli altriabitanti fuorché la tumefazione della glandola tiroidea.

Il carattere, dunque, saliente di questa discrasia, quel-lo che ne congiunge tutte le varietà, è il gozzo. Come nel-la sifilide il primo sintomo e il vero carattere patognomo-nico è l’ulcera, e l’ultimo esito è la sifilide terziaria; comenella discrasia scrofolosa il primo sintomo è l’ingrossa-mento delle glandole abdominali, e l’ultimo esito è la tu-bercolosi, così in questa discrasia il primo sintomo è ilgozzo e l’ultimo è il cretinesimo. E come vi ha una der-matite, un’iritide sifilitica, come v’ha un idrocefalo, un’o-

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tite, un’oftalmia scrofolosa, così vi ha una rachitide, unidrocefalo, un’idiozia broncocelica o cretinosa.

Quando dopo il molto discorso su le forme, su lecause e su la natura del morbo noi vediamo quanto pococi resti a dire su quell’unico argomento, che veramenteinteressi l’umanità, su la cura, abbiamo di che raumiliarcidi questa così pomposa e pure così poco utile potenzad’analisi. Imperocché il cretinesimo propriamente dettonon sia suscettibile di cura veruna radicale – come nonè curabile nessuno degli effetti discrasici arrivati al loroapogeo (tubercolosi, sifilide terziaria, cancro molle, ecc.)

Cura palliativa L’unica cura palliativa del cretinesimosarebbe l’educazione. Se non che per quanto sieno gran-di i risultati ottenuti dal Seguin, dall’Itard e (a quantodicevasi) dal Guggenbuhl, noi non possiamo lusingarce-ne molto in confronto delle grandi masse d i cretini, dipiù di quanto i miracoli ottenuti dall’educabilità di alcu-ni bruti ci dieno a sperare per l’intera rigenerazione diessi.

E la Lombardia fino ad un certo punto non ha di chevergognarsi della Svizzera e della Francia per tentativioperati. Ad Abbiategrasso si stanno prendendo perquesto riguardo eccellenti disposizioni. E finora la caritàdi una povera donna ricoverata rinovò sotto un limitepiù angusto i tentativi di Svizzera. È un fatto questoche mostra la potenza della mente sana. Una poveravecchietta, rachitica, pigmea è giunta a disciplinare conla sola forza della intelligenza un’intera sala di cretine lepiù bestiali del mondo.

Era cosa pur dolce e comica insieme a vedersi quandoella non era contenta della garbatezza di un granatieronedi cretinaccia alta 6 piedi, e detta per antonomasia la ca-valla, prendere una sedia e salitavi sopra arrivare al mu-so di quella infelice e schiaffeggiarla a riprese; e l’altra trevolte più grande e più forte di lei pur mansuefatta o, co-

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me direbbesi ora, magnetizzata dalla potenza della ragio-ne starsene immobile a riceverne i positivi rimproveri.

A Pavia la casa d’Industria, specialmente nell’inverno,conta fra più che 500 ricoverati un 40 cretini e cretine.Vi vanno machinalmente per ripararsi dall’umido e dalfreddo, e ricevono una mercede tenue sì, ma grande inproporzione del lavoro che vi giungono a produrre; in-trecciare della paglia, filare lana e sminuzzare bastoncel-lini – sono già operazioni molto elevate per essi.

Per completare questa cura palliativa non resterebbedunque che fondare uno stabilimento per non più che 50ricoverati, ove sequestrare i cretini (che io dissi galeotti)pericolosi al bene publico o alla publica morale.

Sarebbe poi utile in ciascuna delle valli o dei punti piùaffetti dal cretinesimo promovere delle case d’industriarusticana, dove si potesse, con una carità meno impu-dente e più economica ricoverare per parte della giorna-ta ed iniziare a qualche rozzo lavoro i cretinosi, che resta-no oziando a puro carico delle famiglie o del commune.Si potrebbe fino ad un certo punto giovarsi delle circo-stanze locali e rendere così moltissimo bene con pochis-sima spesa, per esempio, a Chiari e Cassano ed a Trevi-glio vi hanno molte filande, e fabriche di majolica, ecc.In Valsabbia v’hanno fucine di ferro, ecc., e miniere, sipotrebbe con un tenue ajuto ai padroni di quegli stabi-limenti incaricarli di servirsi un certo numero di creti-ni che stanno in quelli e nei paesi vicini. I cretini per laregolarità delle loro abitudini, per l’ignoranza lor stessapotrebbero supplire a molte piccole bisogne, non pocoprofittevoli al benessere generale. – L’esempio che rac-colsi a Maleo su la famiglia di cretini galeotti mi convinseche una certa intimidazione può rendere docili al lavoroanche i più reluttanti.

Cura profilattica Ma se non si può curare il cretinesi-mo, si può bene prevenirlo.

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Questo è l’unico risultato confortante, che ci vengaofferto dalle molte osservazioni raccolte.

Il cretinesimo ed il sordo-mutismo non si manifestanoquasi mai negli individui, mai nell’intere popolazionisenz’essere preceduti dal gozzo.

Ora questo è l’andamento commune di tutte le discra-sie che elle sieno curabili nei primi sintomi (ulcera dellasifilide, scrofola del tubercolo, ecc.); incurabili negli ul-timi effetti. Quanto al gozzo, non abbiamo dubio su lasua curabilità. L’uso di un’altra aqua, il respiro d’un’al-tra aria e sopra tutto l’iodio fanno sparire il gozzo. Sedunque si sottopongano li individui affetti dal gozzo aduna cura continua di iodio noi vedremo mano amano neifigli disparire il cretinesimo e il sordo-mutismo.

Si dovrebbe ordinare che niuno parroco o sacerdotelasci maritare gozzuti se non abbiano fatto la cura del jo-dio. Bisognerebbe importare nei paesi affetti grandi dosidi spongia bruciata e difonderne l’uso con gratuite distri-buzioni. Bisognerebbe nei paesi che si nutrono di lattici-ni, come in Val Sabbia, trasportare una certa quantità dipiante marine onde iodurare il latte del bestiame bovino.Converrebbe promovere delle piccole industrie, cui nonripugnano i montanari, con oggetti marini (come coralli,ossi di seppie, lavori di conchiglie marine). Questi dueultimi provedimenti non sembreranno più favolosi, orache con le strade ferrate, e con le vaporiere si resero cosìvicini i punti lontani, ed i mari ed i laghi s’affrattellaronoco ’i monti.

Una commissione di medici e di chimici dovrebbe esa-minare minutamente le aque sospette di produrre gozzoed otturarle, per es., a Cavacurta, Artogne, Chiari, Ri-volta, ecc. In quei luoghi medesimi converrebbe scava-re dei pozzi artesiani, o meglio con aquidotti condurrefili di aque dai paesi che le vantino buone (così condur-re l’aqua da Piano ad Artogne). Nelle valli ove si hannoaque ferruginose p. es. Val Sassina, Val Sabbia, Valtel-

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lina converrebbe renderne l’uso gratuito a tutti li affetti,essendoché dall’esperienza di Chatin e di Niepce risultache quando si trova ferro nell’aque vi si trova pure iodio.

Io non parlai finora di cura morale. È certo che Paviache pure abbonda di cretini non manca d’istruzione, nepe ’l volgo, ne per la classe eletta, e quando si osservi chel’ultima classe della popolazione vi è forse più lenta e me-no svegliata dagli abitanti di Val Sabbia e Val Trompia siresta profondamente persuasi, che non è la mancanza diistruzione che generi cretinesimo. Pure sarà sempre gio-vevole di promoverne l’istruzione e lo sviluppo intellet-tuale. E per agire su le masse converrebbe facilitare l’in-vio di compagnie comiche, introdurre fiere e feste fra va-ri villaggi e anche moltiplicare vale a dire compensare unpo’ più degnamente i maestri delle scuole communali4.Un’altra causa di questo come di tanti mali è certo la mi-seria, ma qui il soccorso venire ci può più da statisti cheda medici. E v’hanno infatti circostanze locali che beneesaminate dall’agronomo e dallo statista ponno suggeri-re i facili e pronti rimedi. Così un torrente utilizzato peruna fabrica, un rivo per un prato può moltiplicare i mez-zi di sussistenza che vengono sempre meno nelle valli re-mote. Ma dopo converrebbe trovare il rimedio del rime-dio, perché anche le fabriche e le miniere ci apparveroanch’esse fonti di cretinesimo, ed il rimedio è nella faci-lità delle communicazioni. Le strade novelle introdottein Val Sabbia scemeranno ai padroni delle fucine e del-le miniere il monopolio illimitato su ’i grani di cui sonoconsumatori forzosi i poveri opera.

Un grande e supremo giovamento a me parrebbe poil’introdurre uno spirito accorto, sì, ma disciplinato di as-sociazioni fra li operai delle valli, onde si provedessero aspese communi e non communi, e da loro eletti appalta-tori per la propria sussistenza, paralizzando così il mono-polio dei padroni e rendendoli così forzatamente miti.

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Appendice prima. Storia, geografia e sinonimia dei cre-tinesimo Fino dall’epoche più antiche si conobbe il goz-zo, e fino d’allora se n’accagionarono le aque. AccennaVitruvio al gozzo degli alpigiani propter genus aqua quambibunt efficiuntur tumidis guttutribus, VIII, 3 – Plinio pu-re Il, 37, 68, e Ulpiano, 21, Eoque (gutture) laborant al-pium incolæ propter aquarum qualitatem.

I nomi che si diedero ai fatui accennano qualche de-formità e molta voracità; bienni, gurdi, buccones, fungi,moriones (nani) – mucci, bardi e bienni mi pajono nomid’origine celtica, e bardi specialmente più che di originegreca mi pare sia una ironica o superstiziosa applicazio-ne del nome dei vati celti venerati dai cittadini e sprezzatidai vincitori.

In greco sono i fatui chiamati blax, nennos, margos,sannos e kofos, che vuol dire sordo, muto e fatuo.

Nel Medio Evo il gozzo era considerato come punizio-ne celeste come ora in Lombardia si direbbe, segnat deDio.

Nella vita di Santa Gudila, santa del Brabante vissu-ta circa il 664, si legge, che alcuni empi profanatori del-la sua tomba vennero scomunicati da S. Emeberto e pu-niti dal cielo nella posterità, essendoché tutti i loro figlirimasero zoppi e le loro donne di più gozzute – superhaec faeminae gutterium obscenet – e così rimangono, di-ce il buono Uberto, pure ai dì nostri – et manent hodie-que multati, p. 519. Questo passo curiosissimo accennagià alla parentela fino d’allora contratta del gozzo con larachitide e all’eredità del morbo, la quale è rammentataanche nella vita di S. Remigio di Hinemann. Vi si leggedi alcuni altri colpiti per decreto divino dal gozzo «om-nes qui hoc egerunt et qui de eorum germine nati sunt viriponderosi (??) et faemine gutturosae».

Ma nella vita stessa di Santa Gudila si trova un passoche accenna al cretinesimo propriamente detto: «Ellaguarì un figlio di 12 anni, contratto, incurvo, chiragroso,

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che non potea vedere la terra, che era muto e che nonpotea o sapea mangiare» Huberti, cap. IV, S. Gudila V.

Servio Tilleberiensis ( de Imp. Otio, III, 4) accennaa fonte sanatrice di gozzo «Est in provincia Ebredunen-si, quae pars est Arelatensis, castrum de Bartas, in eo ter-ritorio fons scaturit a cujus aquae potu ac iavacro curanturgutturosi».

La stessa nostra parola gosso, come si usa in Lombar-dia e Venezia, si trova usata fino da allora; ipsa babebatgossum et gutturem grossum (Miracuia S. Simonis, p. 9).

Nel 1500 cretini e gozzi sono notati dettagliatamentedal Simlero nel Vallese, da Munster e da Agricola nellaStiria e Tirolo (Malacame, p. 11: Su ’i gozzi e la stupidità,Torino, 1789, Stamperia Reale).

Nazioni Gozzuti e cretini si trovano in tutte le nazionidel mondo.

Nei Pirenei i cretini si chiamano caffre, fol.Nel Vallese tressel, tschingen, tscelling, schaatten, trif-

fe’n e Goich5.In Stiria totteln, gacken.In Savoja marrons, goze, frulitre, o coutou, cretines.In Svezia tropfe, lalle, krallen.In Scozia innocents.Nel Würtemberg si annoverano 4944 cretini. In Stiria

5992. In Francia 7406. In Savoja 7084. In Danimarca2000. A Baden 490, e fino in Islanda 225 (dott. Schropf.Die krankh. in hohen nord, p. 229).

Nella Valachia e nei Monti Carpazi il celebre R. Wel-sh, addetto all’ambasciata inglese, trovò molti gozzuti(gunscka) ed insieme molti cretini pigmei specialmentea Repora ( Voyage en Turquie, tom. 2, pag. 52); e l’uno el’altro male si attribuisce alle aque tolte dallo scioglimen-to delle nevi.

In Lituania le lamie trasformano i bimbi, loro fannovenire la testa grossa e i piedi storti ( Legendes lith, 1858).

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Augusto di Saint Hilaire trovò frequente il gozzo nelpiano di Villa Ricca, in America, e quivi chi sorte dalpaese si libera dal gozzo. I gozzuti di Jundihay del RioMagdalena sono già proverbiali. Paw trovò gozzuti aPanama, Humboldt nel piano di Quito ed al piede delleNovade. Fu osservato a Nuova York e al forte Moawak,dove fino le greggie ne sarebbero affette ( Med. andPhilosoph. Journal, Londra, 1828), e ne sono accagionatele aque.

Ma su la stessa America Meridionale il dottor Mante-gazza, con quella bontà che è in lui pari all’ingegno, micommunica ora le seguenti notizie che più diffusamen-te saranno da lui dilucidate in una di quelle sue sapori-te e feconde Lettere Mediche, che sono modello di studjantropologici.

A Salta vi hanno quartieri intieri pieni di gozzuti e dicretini. Ne sono affetti così li europei, come i meticci edindiani, non però i negri.

I gozzi vi sono detti cotos; i cretini opas, tontos, bovos.È notabile che il gozzo e cretinesimo non si manifestò

colà che da 40 anni circa, cioè da quando il fiume Gacipacorrodendo una roccia giunse a mescere le sue aque aquelle del fiume Arias, delle cui aque usano i Salteni.

Proverbiati in tutta l’America sono i cretini e gozzu-ti di Jujui, coto jujueno, come pure los Lules, nella pro-vincia di Tucuman, ove le aque sono torbide e non sciol-gono il sapone. Invece nella Bolivia e nel Paraguay ovesonovi aque salse non v’hanno gozzuti né cretini.

Il capitano Franklin vide ad Edmonston, molti gozzi,e notò che n’erano privi quelli che spesso scendevanoal mare. Forster ed i suoi compagni osservarono che labibita dell’aqua tolta dal discioglimento dei ghiacci delpolo provocava il gozzo.

Ida Pfeiffer trovò gozzuti tra i principi e i rajah diSingtang. Jacquemont trovò gozzuti e cretini nelle valli

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dell’Hymalaya, a Dhun (4000 miglia su ’l mare) e aSotlidje. Clelland ne trovava al Bengal e in China.

In chinese, infatti, vi sono molti vocaboli sinonimi digozzo, e che rimontano ad epoche antichissime; bien,kien, jeu, choei, son sinonimi di gozzo. Il suo segno imsopratutto è antichissimo; decomposto nelle chiavi pri-mitive – dà lu (carne), niù (femina), pei (conchiglie). Sa-rebbe come una broche di carne attaccata al collo, riguar-dando i chinesi antichi la conchiglia come una gemmapreziosa. Nello modo il segno di im (s. 6571) – dà lu car-ne, e im collana, e ci, morbo. Nel 3° dà collana e carne. Enotabile che anche nel fonetico, collana e gozzo sono si-nonimi, il che attesterebbe che fino da antichissimo tem-po vi dominasse e divenisse abituale il gozzo e che forsenon vi fosse considerato come deformità.

Fom ’x (morbo vento; come il folle dei latini). Chi,Van sono sinonimi di stupidità in chinese. Tien chesignifica morbo articolare e stupidità (n. 6411) accennaprobabilmente al cretinesimo (V. Dict. Sinico-LatinumHongkong. Mongieri, 1858).

Cretinismo ligure Assistendo, nel 1860, alla leva dellaprovincia di Genova mi venne fatto d’osservare non po-chi gozzuti, e qualche cretino; datomi allora d’attorno adinvestigare per vari pii istituti, di cui quella città va de-gnamente superba, e quindi per le vicine vallate m’avvi-di, con non poca maraviglia, esistervi epidemico il goz-zo ed il cretinismo; con maraviglia, io dissi, perché niunoautore ne accenna punto l’esistenza, anzi quell’eruditissi-mo geografo-medico, che è I’Hirsch, formalmente mettela Liguria fra le provincie esenti da quei due morbi, e ta-le dovea renderla quella somma d’ottime condizioni igie-niche, industriali ed intellettive che con raro, invidiabileesempio, ci è dato d’osservarvi.

Ognuno sa come la bella Genova sieda quasi a caval-cione del golfo, appoggiata nei fianchi al declivo di quel-la serie di monti, che si congiungono coll’Apennino, sur

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un suolo in cui predomina il calcare fucoide, il grunste-no, gli schisti, le ardesie e in cui, malgrado la poca fer-tilità delle terre, verdeggiano le acacie, gli olivi, i lauri egli aranci; la temperatura vi è sempre dolce, i giorni sere-ni vi sommano a 165 in media, a 125 i mezzo sereni; soloella è funestata, di quando in quando, da venti di sciroc-co, e di Nord-O., cui le vicine vette alpine rendono asprie violenti.

Le acque vi sono eccellenti, benché scarse, come quel-le che per lunghissimi acquidotti vi sono tratte per variecadute ed ascese dalle valli del Bisagno e della Polcevera.La luce non vi scarseggia in nessun luogo, meno in certivicoli, meglio che vie, avanzi storici dell’antica Genova,come Prè, Sant’Andrea, via Ravecca, Santa Maria di Ca-stello; in cui alla foggia delle antiche città nostre, mari-nare in ispecie, le case a moltissimi piani, sono addossa-te l’una a petto dell’altra a distanza di pochi metri, ed incui, pur troppo, s’agglomera una pane della popolazioneoperaia di quell’industre città.

Gli abitanti intelligenti, sobrii, attivissimi, amanti dellalibertà, e più, del guadagno, dediti alla navigazione,ed al commercio, si cibano di pane poco lievitato, difarina impastata con uova, taglierini, cipolle, pesci, e diverdura.

I monti che fanno letto e corona alla Ligure metropoli,mano mano che s’allontanano da essa, per le due opposterive, occidentale ed orientale, e verso il nord, formanointrecciandosi in moltiformi spire, una vera rete di valli,ora apriche e liete di verzura, e di luce, ora umide, oscuree ristrette, che per lo più prendono il nome del fiume, orivo, o torrentello, che le percorre, prima di gettarsi nelmare.

In tutte queste vallate, l’abbondanza delle ardesie,usufruttate per tettoie e pavimenti delle case, diminui-va, anzi scansava i danni della troppa umidità, che è pro-pria di tutte le valli; e l’attività industriale, lo sfogo dell’e-

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migrazione in America compensava largamente la steri-lità della terra; sicché sarebbe difficile il trovare altre re-gioni d’Italia, che, per ogni verso, possano vantare circo-stanze igieniche e domestiche più favorevoli.

Un fatto topografico importantissimo va pur qui ricor-dato; cioè che le montagne Liguri non giungono mai aquell’altezza, cui toccano le Piemontesi e Savoiarde. Chémentre il Rosa, ed il monte Bianco passano i 4600 metrie il monte Cenisio il 3400, il Varco dei Giovi non giungea 469 m; e quello donde sorge la Bormida, appena passa1100 metri, e quello della Bocchetta tocca i 1061 metri.

Tutti conoscono il fiero tipo Ligure, dalla staturamediocre, dal cranio dolicocefalo6 dal capello biondo-scuro, dal naso arcuato od aquilino, e dai sopraccigli fol-ti, spesso avvicinati, e dal viso leggermente prognato; dalcarattere morale che unisce la attività e la sobrietà del-l’allobrogo, alla scaltrezza, all’eloquenza ed alla vivacitàdel meridionale, e da tutte si distingue per una sua tuttapropria fierezza e personale indipendenza.

Or bene nelle valli più remote, come ad Altare, a Ba-vari, a Campomarrone, a Cravasco, il tipo degli abitantis’altera affatto; il cranio diventa brachicefalo, i capelli, labarba radi e biondi, la statura piccola e spesso pigmea,il naso camuso, le sopracciglia poco arcuate e divergen-ti. All’antica e tipica fierezza e attività Ligure sottentrauna singolare servilità, un torpore nei movimenti e nelleidee; e con esso la più crassa superstizione, e’ conduco-no ai frati la moglie sterile; accagionano le anime dei se-polti nelle stalle delle morti dei loro animali e temono lasbrazoa, befana proteiforme che susurra al predestinatol’annunzio della morte.

Quanto alle malattie predominanti nella Liguria lescrofolose prendono il primo posto; seguono le rachitidi,le dermatiti, le tisi, le pleuriti, i cancri, l’erisipela (ventoservino – da serpere) e nella marina raramente l’elefantia-si e le piaghe scorbutiche, poca gravità v’assumono le in-

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termittenti, meno alcuni paeselli e sezioni vicine alla Fo-ce; poco, anzi nulla v’infierisce la pellagra7.

Già altrove notai, come il gozzo faccia mostra di sé,sporadicamente anche nell’interno della città, special-mente nelle vie di Prè, di Sant’Andrea e di Santa Ma-ria di Castello, fra le donne principalmente. Su 307 figliedella carità di Genova si contarono fino al 3 gozzute.

Ed annotai pure due fatti principalissimi, per questoargomento. In tre soldati del 3° reggimento, ivi stanziati,due dei quali Lombardi ed uno Toscano, si sviluppòsenza causa apparente il gozzo, durante il loro soggiornoin Genova.

Ma il gozzo infierisce ben più nelle vallate, e vi riescequasi caratteristico, endemico.

A Campomarrone, il farmacista m’asseriva, come perla sola cura dei ricchi gozzuti di quella valle andava ognianno consumato un chilogramma di spugna bruciata, emezzo di idrojodato potassico.

Il gozzo endemico domina, senza alcun dubbio ad Al-tare, a Millesimo, a Staglieno, Bavari, Torriglia, Pontede-cimo e Cravasco, ove è divenuto proverbiale8.

Ma qui meglio gioveranno i seguenti dati statisticiinediti e tolti dai rapporti officiali sulla leva del 1863.

Nel 1863 Genova contava 130 riformati per gozzoogni 10000 coscritti, Chiavari ne contava 100, Alberga130.

Sull’eziologia del gozzo e del cretinismo La poca dif-fusione ed intensità della cretinica endemia nella Ligu-ria, mentre non mi dava luogo ad accurate cliniche ricer-che, pure doppiamente mi parve renderne interessante lostudio, per le ricerche eziologiche, essendoci dato di sor-prendere la malattia in elementi molto differenti che ne-gli altri paesi e porre a serio cimento alcune teorie ezio-logiche ch’ebbero già tempo moltissimo grido.

Si è detto, e sostenuto, da dottissimi ingegni, dalChatin, dal Nadler9, da Von Ankum, come la mancanza

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di jodio nell’aria e nell’acqua molto contribuisse allagenesi del broncocele e forse del cretinismo.

Ora il ritrovarsi gozzuti moltissimi e non pochi cretiniin queste regioni marine o almeno certo percorse dacorrenti di venti marini, invalida in gran parte queste purserie opinioni.

Ma v’ha di più. Nelle spiaggie della Calabria, a Bovapaese abitato da coloni Greco-Siculi, giacente in terrenigranitici sabbiosi, cinti da ripidi monti, ultima dirama-zione degli Apennini, trovai diffusissimo il gozzo, di cuis’accagionavano le acque del Dario e del Piscopio, duepoveri fiumicelli che bagnano quelle terre, e non solo viè diffuso il gozzo, ma la rachitide pure ed il cretinismo.

Questi fatti mostrano ad evidenza che gozzo e creti-nesimo può comparire, anche dove il iodio predominanell’aria e nelle acque.

Il dott. Verga mi narrava egli pure aver osservatoparecchi gozzuti vicino alle saline di Salisburgo.

Parrebbe da ciò anzi che il troppo abbondare dell’jo-dio riesca dannoso come la eccessiva scarsezza.

È curioso che la stessa osservazione potrebbe esten-dersi ai sali magnesiaci e calcari la cui troppa abbondan-za (come in Savoia e nel Derbyshire) pare favorevole al-lo sviluppo del gozzo, quanto la totale mancanza comenell’acque delle nevi disciolte o dei ghiacci Polari cui Fi-scher, Foderé e Richter accertano come produttrici digozzo e cretinismo.

Ma quale che siane la causa, il gozzo pare delicato ter-mometro, come assai bene presentiva il nostro dotto Mo-riggia, che indichi il primo accennare delle degenerazio-ni, ed anzi il primo affievolirsi dell’animale economia; esi vede comparire dopo gravi malattie, dopo l’abuso dicoito, dopo il parto, dopo febbri intermittenti, nei gran-di accumuli di genti in piccolo spazio, come nelle caser-me (Lebert); ne’ luoghi umidi ed oscuri; fra i nati da pa-renti consanguinei, o vecchi; e negli animali prediligere

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il mulo, che è l’espressione della vera ed ultima degene-razione della specie. Ora nelle vallate si riuniscono qua-si tutte quelle cause che pur bastano da sole a produr-re gravi degenerazioni, come il freddo, l’umidità, la man-canza di luce, di ossigeno, di elettricità positiva, di ac-qua buona, di correnti d’aria, al che s’aggiunge, non rarevolte, (nelle valli specialmente remote) l’ignoranza, l’al-coolismo, i matrimoni di consanguinei, la fame e la mise-ria; che maraviglia dunque se la degenerazione, procedanelle vallate, sino all’ultima sua espressione, il cretino?

Anche nelle valli Genovesi specialmente nelle piùoscure, remote ed umide per le medesime ragioni do-mina il gozzo e con esso fa capolino il cretinesimo. – Maquest’ultimo vi si accenna appena appena con tanta ra-rezza da potersi a stento chiamare epidemico. E perché?perché varie cause arrestano la diffusione ed i progressidella discrasia broncocelica – l’abbondanza delle ardesie– l’agiatezza indotta dall’emigrazione – la sobrietà deglialcoolici – e, notisi specialmente, la poca elevatezza deisuoi monti che non giungono mai a 2000 metri come ilRosa, il Bianco, ecc. – per cui non vi sono ghiacciai – percui l’acque vi sono più scarse che cattive e per cui le vallisono meno oscure ed umide delle Savoiarde ed Aostane.

Se in medicina a grandi errori conduce la sintesi pre-cipitata e violenta dei fatti, a non minori ci trascina l’a-nalisi cieca, esagerata, miserabile, così da voler disdegna-re e misconoscere certi punti salienti, direi, d’ancorag-gio, che nel pelago immenso e buio del vero, pare sian-ci lasciati dalla natura appunto per guida e per filo: secol voler raggruppare troppo, si strozza, col disgiungeretroppo, si dissolve e si sfrantuma.

L’associarsi del cretinismo endemico al gozzo perfinonegli animali, in tutte le parti del globo, ed in datecircostanze cosmotelluriche, il suo collegarsi con variealtre infermità, ed in varie gradazioni d’intensità, è unfatto saliente, netto e preciso; e per quanto sia difficile

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il trovarne la causa, noi dobbiamo, intanto, ammetterlocome sicuro, e anzi partire da esso per rimontare alleignote sue scaturigini.

Ammesso che il gozzo sia il primo od uno dei primiindizi o dei punti di partenza di una discrasia, che termi-na poi colla rachitide, sordo-mutismo e cretinismo, ver-rà da ciò solo spiegato perché in molti paesi non siasi no-tato che gozzo, ed in altri tutte le altre forme della infer-mità si dispieghino. Dato che l’inquinamento, miasma-tico, secondo Virchow, Dagonet e Reichenhall, secondome minerale, agisca in debole grado, e non associato al-la mancanza di luce, di ozono, di ossigeno e di buoni ali-menti, esso si limita a produrre gozzo, come la scrofolasi arresta alle prime tumefazioni glandulari. Se quelle al-tre cause si aggiungono ad aggravarlo, allora la discrasiapercorre fino al cretinesimo vero, passando nello stessopaese per tutti i gradi intermedi, del semicretinoso, del-l’osteomalacico, del sordo, ecc., fino al vero cretino.

Ciò osservasi nelle valli genovesi, dove appena le con-dizioni d’aria e di luce si fanno peggiori, al gozzo si asso-ciano subito le forme cretinose.

Probabilissimo adunque è: che il cretinismo sia un’ul-teriore evoluzione dell’affezione broncocelica favoritadall’imperversare sempre maggiore delle cause che pro-dussero quest’ultima – (mancanza di luce, ozono, ossige-no e abbondanza o scarsezza eccessiva di sali nell’acque).– Le vallate e le spiaggie liguri presentano appunto il fe-nomeno di un germe di endemia broncocelica-cretinica– strozzato nel nascere appunto dalle condizioni topo-grafiche in parte favorevoli – come la poca elevatezza deimonti – la loro posizione parallela e non trasversale. –Un’ultima deduzione che si trae da queste osservazioniè: che nei paesi ove temesi o fa capolino il cretinesimo(in seguito all’endemia broncocelica) curando il gozzo omigliorando le condizioni topografiche ed igieniche noipotremo arrestare e prevenire il cretinesimo – e le infini-

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te infermità che gli fanno triste corona, come la rachitide,il sordo-mutismo e la osteomalacia.

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Per una geografia medica dell’Italia unita: le Calabrie, ilNapoletano, la Lombardia

Ai medici militari d’Italia Molte e belle monografie par-ziali sulle varie malattie che dominano nella nostra terrasono sparse in effemeridi mediche od in memoriette vo-lanti, come i cenni del Corradi e del Colletti; come le no-te di Torchio, di Timmermann, di Garbiglietti su Tori-no; di Du-Jardin, Granara, ecc., su Genova; di Verga suMilano; di Castelli su Verona; di Berti, Namias su Vene-zia; di Coletti, di Argenti su Padova; di Facen su Bellu-no e Treviso; di Soresina su Mantova; di Pignacca e diTommasi su Pavia; di De Renzi, Postiglione, Flaiani suNapoli; di De Antonio, di Pecco su Alessandria; di Bu-falini su Fucecchio; di Poletti su Catania; di Moris sul-la Sardegna; di Trompeo, Biffi, Verga, ecc., sui cretini diPiemonte e Lombardia; di Ballardini e Lussana, ecc., suipellagrosi lombardi; di Barbi-Soncin, Zambelli e Bene-venti sui Veneti; di Capsoni, Puccinotti, ecc., sulle febbrimiasmatiche; del commendatore Commissetti sulla tifoi-de; di Verga, Amegno sulla lebbra ligure e romagnola; diBonacossa, Castiglione, Bini, Girolami, Miraglia, Bonuc-ci sui matti di Piemonte, Lombardia, Umbria, Toscana,Napoli, ecc. ecc.

Ma, essendosi compiuta da sì poco tempo la nostra so-spirata unità, un trattato completo di geografia medica ditutta Italia, una vera ed intera forma patologica di que-sta penisola, ch’è finalmente nostra, ci manca del tutto.– A me sembra che spetti ai medici militari il compito didarvi principio e fondamento. Disseminati per ogni piùremoto angolo della penisola, animati da uguali sistemi

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o almeno da analoghi metodi di studio, potendo alle le-ve minutamente ripassare le forme ed anomalie patolo-giche delle popolazioni eseguirle più accuratamente ne-gli ospedali e nei reggimenti in cui si hanno esemplari diogni regione, essi posseggono certo i migliori mezzi dianalisi e di sintesi, essi sono i soli che possano distingue-re nelle malattie l’influenza del clima da quella della raz-za,. e cogliere le modificazioni assunte da un morbo nelpassaggio dall’una all’altra regione.

Questo studio sarebbe, a mio credere, di una grandeimportanza pratica, perché potrebbe tracciare basi stabi-li, statistiche comparative per le leve e per le riforme, ser-vire di regola per la fondazione e soppressione di ospita-li, anzi potrebbe giovare direttamente alla cura degli am-malati.

Per esempio, se riesciremo con dati precisi a prova-re l’aggravarsi delle piaghe nelle regioni marine, si potràprovvedere perché gli affetti da queste sieno entro terratrasportati. Se in alcune regioni, come nelle coste siculeper esempio, sembra venire meno o almeno ammansar-si d’assai la fierezza dei polmonari tubercoli, non avrem-mo noi un valido mezzo terapeutico, preventivo controquesto male, su cui finora si spuntò l’efficacia dell’arte,trasportando in quei paesi l’individuo a quel fatalissimomorbo predisposto o che ne fu tocco e colpito?

Così dicasi della lebbra, che sembra al contrario pre-ferire la marina e migliorare entro terra; così del gozzo edel cretinismo, che alligna ostinato nelle valli, ne fa quasimai capolino nelle apriche pianure o nelle vette dei mon-ti.

Non si potrebbe per ognuna di queste specialità mor-bose fondare appositi stabilimenti nei siti più confacien-ti, come si fece per gli ottalmici, pei sifilitici e per gli scro-folosi delle città e diminuire così quelle schiere di croni-ci, che, non morti ne vivi, agonizzano sì pietosamente nelfondo dei nostri civili ospitali?

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So bene che in mezzo al turbinio delle vicende politi-che la gracile voce del medico echeggia ben poco nelleregioni dei potenti, ma in un’epoca ed in un paese dovel’opinione pubblica ha tanto dominio, finiremo bene perfarci sentire; e la massa dei fatti raccolti resta lì muta edeterna ad attendere quell’ora fortunata.

E che tesori non potremo noi rinvenire di fatti in que-sta terra dove tutte, si può dire, riscontransi le varietàclimateriche, dalle nevi del Cenisio ai vulcani delle Lipa-ri; dove si trovano e commisti ed isolati, modelli purissi-mi della razza latina, della greca, della germanica, dellaslava, dell’albanese e della semitica!

Per dare principio ad un simile lavoro a me pare sidovrebbero posare alcune larghe divisioni, le quali poiciascuno degli osservatori riporterebbe in più piccolascala nella zona che gli fosse dato percorrere ed istudiare.

La prima, grande sezione, dovrebbe abbracciare levariazioni che subisce la patologia a seconda del suoloe dell’aria, e sarebbe la zona meteorologico-tellurica.

La seconda, o la sezione alimentare, comprenderebbele malattie sviluppate sotto l’influenza degli alimenti obevande speciali di ciascuna regione.

La terza, o la sezione etnica, tratterebbe delle forme especie che assumono i morbi secondo le varie razze chepopolano la nostra terra.

La sezione meteorologico-tellurica abbraccierebbe va-rie sotto-sezioni o zone, cioè:

Zona delle vallate o zona calcare. – In questa predo-minano il temperamento venoso, il gozzo ed il cretinesi-mo colla triste sequela delle rachitidi, delle anemie, epi-lessie, ottalmie, ecc., osteomalacie e del sordomutismo.– Alcune mie ricerche nelle valli lombarde, liguri, e nel-le Calabrie m’inducono a credere che tutte queste for-me morbose, in apparenza sì diverse fra loro, si ripetonocon singolare uniformità, in tutte le profonde vallate, sie-no esse costituite di terreni giurassici, o terziarii, o mar-

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nocalcari, ecc., ché molto vi contribuisce la qualità e laquantità dell’acqua, ma più la mancanza di luce, di calo-re, d’ossigeno e di elettricità positiva, e l’umido eccessi-vo, difetti non compensati da un vitto sostanziale ed azo-tato. In Lombardia contai 1306 cretini, di cui 464 era-no sordo-muti; 332 rachitici; 270 gozzuti; 96 dei loro ge-nitori erano gozzuti. – Ad Introbbio in Val Sassina v’e-ra 1 cretino ogni 30 abitanti. – A Bagolino in Val Sab-bia uno ve n’era ogni 40. – A Collio 1 ogni 30. Ad Arto-gne in Val Camonica uno ogni 40 abitanti. – A Sondrioin Valtellina 1 ogni 91 abitanti.

In tutti questi paesi il sordomutismo semplice, l’epiles-sia, le coree, le rachitidi, l’arresto di sviluppo ed il gozzosono diffusissimi.

Nella valle d’Aosta si trovarono 2180 cretini e 3554gozzuti su 78,110 abitanti; e moltissimi sonvi i pigmei,i rachitici ed i sordo-muti. – A Saluzzo 4485 erano igozzuti e 325 i cretini. – A Susa 82 i gozzuti e 32 i cretini.

In Sardegna pare che il gozzo ed il cretinesimo sienoaffatto sconosciuti, anche nelle profonde vallate.

Ignoro se nelle complicate catene de’ monti modenesi,umbri e toscani abbianvi, ed è probabilissimo, casi digozzo e cretinesimo endemico; – a voi il confermarlo.

Un’altra zona nettamente disegnata è la miasmatica,costituita di boschi, risaie, paludi, maremme, tonnare.Le maremme di Toscana, le lagune venete e quelle diComacchio; le paludi ed i boschi calabresi, siciliani,sardi, del piano di Spagna, in Lombardia, le risaie dellaLomellina, del Polesine, del Modenese e del Pavese especialmente le terre di Roma, in cui la ieratica manofunesta fino l’atmosfera, sono le regioni sciaguratamentepredilette da quell’X che si disse miasma paludoso.

Se la febbre a tipo terzanario e quartanario, o quo-tidiano, e la perniciosa, è il carattere saliente di questazona, conviene aggiungervi, però anche o come sequela,o come concomitanza, la discrasia scrofolosa, strumosa,

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spesso anche il gozzo ed il cretinismo; e le tifoidee, le mi-gliari, le idropi, le anemie, gli infarti addominali; e spessoanche certe strane affezioni nervose, ripetute e raggrup-pate con tanta insistenza da essere assai probabile la lororelazione e, forse, la loro identità coll’infezione miasma-tica; tali, per esempio, la corea elettrica, così localizzataa Pavia e che pare una vera perniciosa epilettica; tali lefebbri tetaniche illustrate dal Manayra, dal Nicolis e dalGiudici, nei Sardi specialmente, e che sembrano formedi perniciosa tetanica.

A Mantova, terra cinta d’ogni lato da paludi, su 342coscritti 43 furono esentati per infarti addominali; 28 perrachitismo; 67 per gracilità. All’ospitale vennero nel 1855 accolti 98 malati di febbri perniciose; 114 di periodiche(91 nell’autunno); 102 di malattie dell’addome e solo 122per malattie di petto. V’ebbe un morto su 41 abitanti(Soresina).

A Pavia, ove le risaie e le marcite predominano, s’ac-colsero nel 1856 all’ospitale 224 malati di febbri periodi-che; 108 idropici; 416 infarti addominali e solo 59 tisici.Su 1156 autopsie il professore Sangalli notò 148 tisi e 48cancri. Le periodiche costituirono l’1/11 delle affezioni.Si contò un morto su 29 abitanti. Queste cifre darebberoun risultato palese a favore delle risaie in confronto del-le paludi, e chiaramente mostrerebbero la minore quan-tità delle affezioni di petto in confronto a quelle dell’ad-dome.

E qui prima di confermare come si sta per fare in Par-lamento delle leggi che favoriscano la diffusione delle ri-saie e impediscano la distruzione dei boschi bisognereb-be con cifre esattissime della vita media, delle malattie edella mortalità media rilevare se le paludi siano veramen-te più dannose delle risaie e delle marcite, come pare; ese le terre coperte da boschi rechino altrettanto danno al-la salute quanto le paludose, il che a me, da osservazionifatte in Calabria, quasi con sicurezza risulterebbe.

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La zona marittima è contraddistinta dalle malattieglandulari e dermiche, dalla frequenza dell’albinismo,dalla scarsità delle tisi e delle pneumoniti; ed in alcu-ni punti della Liguria (Oneglia, Varazze, Arquata), dellecoste calabro-sicule (palme e Messina) e romagnole (Co-macchio), dall’elefantiasi, quest’ultimo retaggio del me-dio evo che predilige ancora le coste e spare e miglioraentro terra.

Forse a questa ultima tendenza si collega quel fenome-no a cui accenna un curioso proverbio popolare comu-ne alla Liguria, alla Sicilia ed alla Calabria dell’incipri-gnire e peggiorare le piaghe degli arti nei paesi di mare.Fatto è che non vidi mai tanti cronici di piaghe alle gam-be quanto negli ospedali di Genova. Le fasciature bain-toniane, il nitrato d’argento, la cura interna appena fan-no tacere il male per qualche giorno che dopo si ravvi-va in breve tempo e peggiore. Né è raro il caso, a Pam-matone, che una eresipola od una cancrena nosocomialeti venga a rendere grave una pure lievissima lesione delvescicante e fino della lancetta. Nelle coste calabre vidialcune piaghe non solo resistere a tutti i mezzi dell’arte,ma spesso degenerare tutto intorno nei margini in par-ziali ipertrofie ed indurimenti del tessuto cellulare, quasiprimi rudimenti d’incompleta elefantiasi.

Se queste osservazioni si confermassero, se si potràasserire poi con certezza che l’aria del mare danneggiqueste infermità, non sarebbe egli il caso di trasportarequesti pazienti nei paesi più interni e lungi dalle coste?

La zona vulcanica è contraddistinta da malattie di pet-to e di cuore. Quasi tutte le guide del Vesuvio patisco-no di asma. Il dottor Poletti descrive a tratti maestri unaspecie d’ortopnea preceduta da stanchezza generale, chesuole cogliere nell’inverno i contadini dei villaggi ai pie-di dell’Etna, e che dura da tre ad otto giorni, ribelle allecure, recidiva anzi di spesso.

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La zona delle montagne vanta polmoni rossi di sangueossigenato; muscoli erculei, stomachi che ignorano i ga-stricismi – appena è se v’abbondano le malattie di cuore,le pneulmoniti genuine e le apoplessie; frequente questaultima sotto alle grandi variazioni barometriche.

Nella sezione alimentare prima d’ogni altra vorrei di-stinguere:

La zona pellagrosa o del granturco – che mano manopiù si disegna ed estende che dall’Emilia e dalla Toscanasi passi al Piemonte ed alla Lombardia in cui assume lepiù terribili proporzioni.

La Liguria, che si ciba di farina di grano, di segala, dicastagne e cipolle, non ha che casi sporadici di pellagra; enon la conoscono neppure di nome i Siculi e i Calabresi,mangiatori di fichi d’India, di pesce e di pane. A Padovamorirono in due anni 245 pellagrosi; a Verona 38 inun anno. A Firenze da 6 che erano salirono a 150 nelMugello ove si abusa di maiz.

La Commissione sarda notò su 626 pellagrosi del Pie-monte 522 mangiatori di polenta; e Garbiglietti contò nel1846 ben 200 pellagrosi in Alessandria, 403 a Ivrea, 280a Saluzzo, 25 a Cuneo e 40 ad Acqui.

In Lombardia in 10 anni il numero dei pellagrosiraddoppiò; Ballardini ne calcolò il numero a 38,777; lasola Valtellina, che in luogo di maiz usa grano saracenoe segala, ha pochi pellagrosi, 1 su 300 abitanti; mentre aBrescia e Bergamo si conta 1 ogni 30.

Nella Comarca di Roma a Palestrine nel 1861 insiemecol maiz comparve la pellagra. A Bologna dal 1842 al1852 si curarono in S. Orsola 269 pellagrosi.

Ma uno studio tutto speciale meriterebbe, a mio cre-dere, la zona ch’io direi minerale. Nell’occasione di alcu-ne escursioni nei monti lombardi e liguri per studiarvi icretini, un fenomeno singolarmente mi colpiva. – Moltiabitanti dei paesi dov’erano fonti minerali rinomate pervirtù mediche, ferruginose, arsenicali, iodate, ecc., erano

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preda di quelle malattie su cui quelle acque avrebberodovuto avere più o meno benefica influenza. Così formi-colavano gli anemici, gli scrofolosi, i rachitici nei paesi diTaceno e Tartavalle, ov’erano fonti ferruginose e iodate.Così gli erpetici e gli scrofolosi brulicavano a Trescore,dove trovansi buone fonti sulfuree, e molti sono gli ane-mici e scrofolosi, rachitici nelle valli di Reco aro. NellaLiguria la fonte magnesiaco-ferruginosa di Montesigna-no (vicino a Bavari) rende anemiche ed amenorroiche ledonne povere, mentre le ricche, che si servono delle ac-que del vicino acquedotto, non soffrono alcun male.

La sezione etnica finalmente si potrebbe in due grandizone dividere:

La zona italica e la zona straniera. – Opera difficilissi-ma ella è, ma tanto più curiosa ed utile quella di sceve-rare nello andamento e nello sviluppo dei mali degl’indi-vidui di ciascuna nostra regione la parte d’influenza chevi apporta la razza da quella del clima e dell’alimento, equesto tutto può farsi dai medici militari negli ospedali.

Su 50 pneumonici lombardi e 50 siciliani, trattati conugual metodo, in uno stesso ospedale, quanti ne muo-iono, quanti guariscono, ecc., in quanto tempo, quantipassano alla febbre tifoidea, alla migliarosa, ecc.?

Che andamento, che decorso prende una piaga, unaferita, ecc., della stessa natura, nei differenti abitantidella nostra penisola?

Da alcuni studi fatti nel 1859 risulterebbe per esempioche i feriti sardi offrivano le suppurazioni più profuse ele guarigioni più tardive.

Così dicasi delle sifilidi: alcuni, a dir vero, insufficientidati racimolati nel 1862 all’ospitale di Genova, mi indur-rebbero ad asserire che i Napoletani offrono il maggiornumero di blennorragie e il minore di bubboni, e che iToscani offrivano più spesso le ulcere fagedeniche.

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La tendenza alle tifoidee è maggiore nei Sardi e neiSiciliani, o non è che la conseguenza delle influenzemiasmatiche, dei salassi, ecc.?

La tendenza alla migliare e la sua gravità, è maggiorenell’alta Italia e specialmente nella Venezia. A Padova indue anni morirono 106 migliarosi; a Verona 20.

Curiosissimo poi dev’essere lo studio delle malattie cuivanno a preferenza soggetti quegl’individui che, stranie-ri d’origine, ma italianizzati dal clima e dal tempo, for-mano delle specialità etniche nella penisola; tali sono gliAlbanesi che più di 10,000 di numero occupano molteterre dei distretti di Bisignano, Rossano, Matera, Taran-to, Otranto, Girgenti, ecc., e serbano abitudini, istinti,vestiario e linguaggio così diverso dal resto d’Italia; talii Greci di Sicilia, di Bova, di Lecce, di Brindisi, in alcu-ni dei quali potei notare qualche caso di bulimia, che es-si curano con degli scongiuri magici a foggia di Catone(Bova).

E i Tedeschi, dei sette e tredici comuni nel Veneto,e quelli della valle di Gressoney; gli Slavi di Rovigno edell’isola di Veglia; i Catalani di Alghero; i Francesi diAosta; gli Arabi di Malta, certo differiranno anche nellaforma patologica come nel vernacolo e nelle abitudini enell’aspetto. Lo stesso dicasi degli Ebrei i quali, alcunemie ricerche fatte nel Veneto, m’inducono a credere es-sere meno esposti alla tisi, alle perniciose, alle pneumo-niti, alle tifoidi; più invece alle scrofole, alle malattie del-la pelle, all’apoplessia, al cancro e alle manie epilettichee religiose in ispecie, caratterizzate in essi spessissimo datotale mancanza di allucinazioni.

E qui converrebbe aggiungere un’altra zona, quelladelle città in cui le ragioni di clima, di razza, sono dalcontatto degli stranieri, dal tumulto delle passioni, dalleartifiziate abitudini e da vizii così fuse e confuse, dadar luogo a veri gruppi patologici speciali. E sarebbea notare nelle varie professioni la diversa mortalità e vita

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media, che si eleva per es. in Genova da 72 a 87 anni neicontadini e nei preti; a 62 nei commercianti, e discendea 36 nei fabbri, nei braccianti, nelle cucitrici, e 46 neimedici! poveri medici! Vi ha un tisico ogni 12 morti aMantova; uno ogni 12 a Napoli; uno ogni 9 a Cuneo; unoogni 13 a Genova; uno ogni 14 a Verona.

Vi ha un matto ogni 1267 abitanti a Milano; 1 ogni1999 a Pavia; 1 ogni 1000 a Verona, ecc.; nell’Umbria 1ogni 1947 (Castiglioni, Bonucci).

E qui m’interrompo; che tutto il fin qui detto è trop-po, ed insieme troppo poco per un lavoro a cui non isfu-mature e colpi d’occhio, ma cifre si vogliono e linee pre-cise e geometriche; – a voi, o colleghi, sta il tracciarle;solo che lo vogliate.

Io non so se possa esservi argomento più atto ad in-fiammare d’ardore un medico italiano quanto questo dirianimare e riunire le sparse membra della patologia ita-liana; gettando le basi di una etnografia e d’una più adat-ta legislazione igienico-preventiva. Io confesso che perpoter compire o solo iniziare una opera simile, sacrifi-cherei le più care dolcezze della vita.

Ebbene, il compire questo disegno sta tutto, o colle-ghi, nelle vostre mani, né con grande fatica; solo che d’o-gni parte della nostra terra voi spediate l’obolo di qual-che breve notizia geografica-medica, l’opera esce fuori dasé come dai lapilli coloriti il mosaico; e l’Italia vi dovràcosì un benefizio di più.

E qui, se non temessi d’essere tacciato d’impudenza,proporrei di riassumere così alcuni dei più salienti quesitidi geografia medica italiana, a cui manca ancora unavostra risposta.

Nelle vallate dei monti X, ecc., quanti furono riformatisu 100 per gozzo, cretinesimo, corea, sordomutismo,rachitide, arresto di sviluppo, ecc.?

Nel paese X di 1000 abitanti circondato da risaie; nelpaese R di 1000 abitanti circondato da boschi; nel pae-

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se P di 1000 abitanti circondato da paludi; nel paese Tdi 1000 abitanti circondato da marcite, quanti muoionoin seguito a perniciose; quanti si ammalano di periodi-che; quanti sono riformati per gozzo, scrofola, epilessia,infarti addominali, edemi?

Che tipo assume a X, a P, a R, a T la periodica, e chegenere di perniciose dominanvi nella stagione tale, ecc.?

Ove dominano le febbri, dominano pure sempre letifoidi, le coree, le epilessie e le migliari?

Nell’isola R, nel villaggio P in riva al mare, nella cittàG situata a mare, quanti furono riformati per lebbrasu 1000 coscritti; quanti per scrofola, erpete; quantimuoiono di tisi; quanti albini vi sono?

Le piaghe erpetiche, scorbutiche, varicose, guarisconopiù o men facilmente in paesi di mare? – Data una piagadi ugual indole in due individui della stessa tempra, l’unocurato in riva al mare, l’altro entro a terra, chi guarisceprima?

Vi son molti casi di tisi nelle terre di Sicilia, di Sarde-gna, di Capri, ecc.?

Che malattie speciali appaiono, o che indole prendonole comuni a Stromboli, a Pozzuoli, a Bosco Tre Case,Torre del Greco e nei villaggi vicini all’Etna?

Vi sono casi di pellagra in Sicilia, negli Abruzzi, nelleMarche, nella Sardegna?

Che influenza ha sullo sviluppo e sull’andamento deimali l’uso smodato dell’aglio, delle cipolle, delle tomatee della lattuga in Genova, Palermo, Reggio, ecc.?

Che malattie dominano nei paesi vignicoli, ad Asti peres.?

Che malattie, che discrasie si osservano negli abitantidei paesi ove trovansi acque salsoiodiche, sulfuree, ma-gnesiache, ecc., come per esempio ad Acqui, Sales, Giri-falco, Gerace, Peio, Recoaro, ecc.?

Vi sono casi di vero gozzo, di scrofola nei paesi di...sul mare?

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Su 50 pneumoniti, ecc., in Lombardi, ecc., e 50 pneu-moniti, ecc., in Sardi trattati nello stesso paese e col-l’eguale metodo di cura, ecc., quante guarigioni, quan-ti morti si notano?

La sifilide predilige alcune forme nei Napoletani, neiSiciliani, nei Toscani?

La tendenza al tifo è maggiore nei Sardi, nei Napole-tani, od è solo conseguenza delle influenze miasmatichee dei salassi?

La tendenza migliarosa è circoscritta ai Veneti, all’altaItalia, ecc.?

Gli Albanesi, i Greci, gli Ebrei, i Tedeschi, ecc., sparsiin antiche colonie in Italia, vanno soggetti a speciali ma-lattie? – Che indole assumono in loro le malattie comuni,loro mortalità a confronto degli altri concittadini, ecc.?

Nella città X, qual è la media della mortalità secondole varie professioni? – Che malattie dominano; quantifurono riformati su 1000 per scrofola, gracilità, epilessia,ecc.?

A quali malattie soccombono p. e. i Sardi, ecc., curatiin Lombardia, ecc., i Lombardi, ecc., curati in Sardegna,ecc.?

Cento feriti ad uno stesso grado, arto, ecc., nati inSardegna, e cento altri feriti, ecc., nati in Lombardiacurati e trattati con egual metodo nel tal paese, p. es.a Firenze, guariscono tutti circa nella tale epoca od inepoca e con esiti differenti, ecc., ecc.?

l. Giacciono le Calabrie in quel lembo estremo ed ac-cidentato della nostra terra, che per la sua singolare for-ma merita tutto solo il titolo di stivale. Pescano da un la-to nel Jonio, nel Tirreno dall’altro; per tutta la loro lun-ghezza, fino all’estremo punto del fatale Aspromonte, leattraversano gli Apennini, che le limitano in alto; e deiquali, si può dire, le due popolose marine formano i ver-santi; versanti irrorati da piccoli fiumi e torrenti; acquenon utili al commercio, dannose all’igiene, come quelle

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che spesso impaludano o si asciugano, o ingrossano im-provvisamente. – I terreni marno-calcari, o granitici, osabbiosi sotto gli Apennini, sono ricchi di galene argen-tifere e rame a Reggio; di ligniti e carbone fossile a Ge-race ed a S. Eufemia; di piombo a Longobuco; di ferroa Pazzano. – I porti mal sicuri, inetti al grande commer-cio; il mare spesso infido per pericolose e contrarie cor-renti, più che avvicinare (come altrove) isola le Calabriedal mondo civile.

Eccellenti acque ferruginose si trovano al Pizzo, aGirifalco, a Gasperino, a Cotrone; e buone fonti sulfureea Gerace, a Cassano, a Melissa, a Pellagona, Sambiase,Verzia, Cerisano, Fagnano e Palestrine.

Questa ricca terra, che misura l’estensione di 5066 mi-glia quadrate, ne conta pur troppo 490 d’incolte o bo-schive; ma quasi a compenso della trascuranza umananei luoghi coltivati la natura sembra superare se stessa, elà cresce il grasso e spinoso cactus o fico d’India (per 18miglia quadrate nella sola Calabria Ultra I.ª) inerpican-dosi sulle rive più deserte e scogliose; là il lucido olivo,specialmente a Gioja, verdeggia, e l’arancio ed il berga-motto, ed il gelso a Reggio, e il canape a Monteleone, edil cotone a Cotrone, e l’uva zibibba e le uve tutte a S. Eu-femia e a Mileto; nei monti crescono giganti il castagno,la quercia, il noce, il frassino; nelle marine verdeggianobellissime le palme, l’aloe ed il limone.

Ivi s’allevano robusti il capro, il porco, l’asino ed ilmulo – male vi allignano il cavallo ed il cane. Eccellentipesci nuotano nelle onde dei suoi mari, fra cui il tonnoed il pesce spada, fedeli a quell’acque fino dai tempi diPolibio e che si pescano ancora col metodo antichissimodei primi aborigeni.

La massima altezza termometrica nella Calabria Citraè, almeno secondo il Del Re, di gradi 28,10; la minima èdi 2,6 sotto lo zero; nella Calabria Ultra prima 28,8 era lamassima 2,3 la minima.

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Il barometro dava 28,5,7 (pollici) al massimo; e 27,6,9al minimo d’altezza nella Calabria Citra; 29,3,9 era ilmassimo dell’Ultra prima; e 27,8,0 il minimo.

La media della pioggia caduta nell’anno 1834, secon-do il Del Re, era di 28 pollici e tre linee nella CalabriaCitra; di 27,7 nell’Ultra prima.

Gli abitanti sommano ad 1 224 24310. Sono dunquesparsi a 244 per miglio quadrato; povera cosa se si pensiche nella vicina terra di Lavoro ve ne hanno 322 permiglio quadrato, e da noi fino a 400, ma è pure unincremento notevole dagli scorsi anni. – Le femminesuperano i maschi; i nati superano i morti. – Si calcolanoad 8000 i marinaj, o meglio i pescatori; a 540000 icontadini; a 6000, pur troppo, i preti.

2. È un fatto pieno di grande interesse per l’etnogra-fo l’esistenza in questo estremo lembo, di due coloniestraniere alla favella ed ai costumi dai Calabresi. Eranopopoli, i quali ripeterono per uguali vicende e posizionegeografica, quella stessa emigrazione che già ne apporta-va i loro antenati Elleni e Pelasgi; – vo’ dire dei Greci edegli Albanesi.

I Greci, che per un ben singolare sbaglio si confondo-no anche dai Napolitani stessi, cogli Albanesi, occupanoquell’estremo punto della nostra terra, ch’è l’ultima Tuledell’Italia continentale.

Sono sparsi, in numero di 8531 circa, a Bovi, a Roc-caforte, Roccudi, Cardetu, Pondofuri, Galigo, Korio,Amenda ed in un sobborgo di S. Lorenzo.

Essi conservano perfettamente parte della lingua el’antico tipo dei Greci; fronte alta, spazio interocularelargo, naso aquilino, occhi grandi e lucidi, labbro supe-riore corto, bocca piccola, cranio e mento arrotondati,tutte le linee del corpo dolci ed aggraziate.

Il loro temperamento è linfatico o nervoso – finezza edastuzia, lascivia, tendenza al furto e al procaccio, grande

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motilità di idee e facilità al canto11; tale è il loro caratteremorale.

Confinati nell’estremo lembo dell’Italia, su aride roc-cie, a cui s’accede per una sola straduzza; divisi da un ma-re inospitale, non è da meravigliare se si conservarono,come vennero, barbari, sui tristi loro tuguri di legno e dipaglia. Essi hanno quattro chiesette ed un povero ospita-le. Osservano tutti i riti della religione cattolico-romana;tengono a pastura capre e porci – ed affatto trascurano lapesca, che pur potrebbe assai loro giovare – e ciò mi dàa sospettare che non venissero dalle coste, ma dalle terreinterne della Grecia.

I più intelligenti emigrano e coll’antica finezza, e colnaturale ingegno cui stimola povertà, arricchiscono e sifanno avarissimi.

Vivono di latte, di grano, di fichi d’India, e qualchevolta di carne di capro e di porco; usano certe ciambelleche a modo antico fanno cuocere sotto le pietre arroven-tate; si servono ancora per lumi, dei pezzi d’abete (pin-ne), appunto come i nostri antenati, che ce ne lasciaronola traccia nell’invisciar ed impizzare dei nostri vernacoli.

Sogliono piangere, ed era costume di tutta la Calabria,i loro morti con formole prestabilite; e sei giorni festeg-giano con pranzi e conviti le nozze, dette perciò prandia.

Le malattie più comuni sono le febbri periodiche, letifoidee ed una specie di bulimia che coglie i ragazzi,e ch’essi curano con degli scongiuri cantati in coro daibimbi del villaggio armati ciascuno d’una ciambella.

Osservai qua e là sparse nei loro villaggi, traccie dirachitide, di gozzo e di cretinismo, ch’essi attribuisconoalle acque del Dario e del Piscopio.

Tutti gli autori che io consultai, ed essi medesimisopratutto, asseriscono essere questa colonia un avanzodei Locresi Zefiri; – ma l’esame della loro lingua miconvinse, a mio malgrado, (perché l’origine antica suona

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più curiosa) che gran parte di quelli venne in tempi assaiposteriori e quasi moderni.

Tuttociò mi fa inclinare a credere che ad antiche colo-nie greche e romane, quali erano Tropea, Taureana, ecc.,si fossero in varie epoche sovrapposte delle popolazioniappunto d’origine ellenica – e così s’accorderebbero i fat-ti linguistici colla tenace tradizione, e colla completa or-todossia del loro rituale liturgico che non si riscontra piùnelle colonie Albanesi.

3. Gli Albanesi, che già popolarono tante altre terredell’Italia del sud, tengono in Calabria, Maida, Longo-buco, Celso, San Mauro, S. Agata, S. Giorgio, Alpizzato.

È strano che qualche autore li abbia potuto confonde-re coi Greci, coi quali non hanno forse di comune che lesventure e l’origine aria; e dai quali la loro lingua differi-sce più che tutte le altre di Europa.

La fisionomia s’avvicina assai alla slava e più propria-mente alla serba; hanno statura cioè elevata; contornodella testa più alto che largo; direzione della mascellaorizzontale; naso diritto, occhi piccoli e poca barba. –Il temperamento linfatico o muscolare. – Vestono anco-ra alla poetica maniera dell’Epiro, e fino le donne porta-no alla cintura l’inseparabile bedsaq o pugnale. Si ciba-no di fagiuoli, ceci, fave, latte, grano bollito od arrosti-to e di capre – i montanari si preparano pane di granoturco (crocomil). I più sono pastori, ovvero insofferentidell’inerzia emigrano come muratori e mercanti di pan-no. Un’intiera colonia di essi è trapiantata in Napoli e viprimeggia per le doti dei costumi e dell’ingegno. Han-no tutti indole assai differente dall’italiana; animo fiero,anzi feroce; tengono la vendetta come dovere; non ille-cito l’omicidio. Sono taciturni, pazienti, tenaci, implaca-bili. – Milano era Albanese e il Borbone bene sel sapea,che assai diffidandone tenne i suoi compaesani quasi sot-to sequestro fino al 1860. Essi hanno ancora e rispetta-no assai i loro ottimati (bugliar), già principi, ora solo ric-

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chi. – Le donne vi son trattate con un misto di venera-zione e di rispetto; la sposa cinge la fronte di un diadema(chesa), quasi divenisse regina, il dì che comprato lo spo-so colla sua dote, entra nella nuova famiglia, ma pure ètenuta lungi dai conviti e dalle danze, e deve lavorare perl’uomo, anche nei campi.

I loro preti si maritano, e sono fra i più onesti sacerdotidel mezzogiorno. La loro religione è ortodossa in appa-renza, e per la tema, ancora non ispenta, dell’intolleran-za borbonica, ma nel fondo essi appartengono alla chie-sa greca. – Alcuni riti speciali rammentano la fragrantee nitida purezza di cui splendeva davvero il cristianesi-mo nelle sue prime epoche. – Nel giorno dell’Ascensio-ne, i proprietarj di greggie dividono il latte fra la gentedel paese; a memoria della Leggenda della Vergine. Nel-l’alba del giorno dei Morti i poveri di quei paeselli per-corrono le vie gridando: «ude zott, perdona, o Dio» e leporte delle case si aprono e n’escono le vergini recandoa ciascuno un piatto di grano bollito ed un pane bianco.– L’amore di patria, vivissimo in loro, le tradizioni e lememorie giammai spente delle antiche prodezze, e que-sta così semplice ed ingenua religione, mantenne in loroil profumo di quella inimitabile poesia che è propria deipopoli primitivi; e favorì un nuovo genere di letteraturapur troppo ignoto in Italia, ch’assomiglia molto alla sla-va, e di cui sono campioni viventi il De Rada, il Basile edil Bardari.

4. Ma venendo alle popolazioni proprie delle Cala-brie, m’è sembrato dovervi distinguere due tipi principa-li. L’uno il semitico ha il cranio dolicocefalo, compressoalle tempie, rigonfio al centro dei parietali, le palpebreravvicinate, il naso arcuato, la statura alta, i capelli nerio castani, l’occhio nero (questo ultimo carattere che pa-rebbe in contraddizione colle osservazioni tue [di Man-tegazza] e di Retzius, si può spiegare dalla mistione conle razze africane o [ca] mitiche). – Questo tipo si mostra

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più frequente nella marina, ma non così però che spessonon si mescoli e non sia soprafatto dal muso prognato,dai capelli ricciuti e derma bronzino dell’africano o dalpurissimo ovale dei Greci e meglio ancora dal maschioe nobile tipo misto greco-romano, che è il prevalente; ilsolo anzi nell’interno.

È il tipo dalla fronte alta, ampia, dal cranio brachicefa-lico, direi quasi quadrato, dal naso aquilino, dal capellolucidissimo e nero, dall’occhio vivace e prominente.

La statura è alta, il temperamento bilioso. Ad ontaadunque della tanta mescolanza coi popoli Semiti (Fe-nici, Cartaginesi, Arabi) e Berberi, e Nordici (Norman-ni), il tipo greco-romano prevalse forse perché impronta-to dai primi popoli abitatori di quelle terre, Osci ed Opi-sci. E tanto ciò è vero che anche nel dialetto di quei paesise ne possono trovare prove curiose; per esempio, dico-no ciclope al brutto, ultimo vestigio della Leggenda d’O-mero; malapanta – per tutti i mali (παντα), bestem-mia in cui si conserva la ricordanza della fusione dei co-loni romani coi primi indigeni greci; tede alle torcie d’a-bete; mancupatu per meschino; ancille (αγγoς) chia-mano i vasi da portare acqua, che sono fatti alla medesi-ma foggia come quelli di Pompeja; e romane sembranole abitazioni cui non distrusse il terremoto.

A questa influenza greco-romana essi devono certa-mente quella stupenda finitezza di modi che tu trovi an-che nel contadino, la quale assai contrasta colla poca suaeducazione, e che ti fa credere alle volte di parlare a sena-tori romani, direbbe Heine, mascherati alla villana. – Adessa van debitori di quella maschia fierezza, e di quel-l’amore alla libertà, per cui tante volte si ribellarono, edi quello stupendo senso estetico che si rivela nelle lo-ro canzoni popolari, nei loro proverbi, ed in quelle co-sì poco note e così finite poesie vernacole, di cui vannocelebri colà il Cipriani, il Conia e lo Spanò-Bolani.

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Alla molta mescolanza semitica io crederei porre acarico la troppa lascivia, e la conseguente bassa gelosiadella donna, che v’è, si può dire, sequestrata dai rapportisociali12, e le molte superstizioni che improntano d’unostrano carattere tutti i loro costumi.

Al mal seme degli Spagnuoli devono invece le abitudi-ni anti-igieniche, di cui parleremo; e la tendenza all’ozioper cui lasciano le migliori e più produttive loro industriein mano ai Genovesi o agli Inglesi – ozio che mal si sod-disfa colla lascivia, colla caccia, e colla chiesa nei ricchi,e col furto, e coll’accattonaggio nei poveri, e nei maestrid’arte. Spagnuolo certamente è quel ridicolo vezzo deititoli per cui il merciajo abbandona la lucrosa industriaper poter carpire il suo Don – per cui nella proverbialeTropea v’hanno tanti cavalieri quanti uomini vivi. Iberi-co è pure quello sfoggio d’abiti a cui spesso molti sacrifi-cano le più strette necessità della vita.

Ma il danno peggiore fu loro portato dai Borboni. –Non contenti d’isolarli coi passaporti e colle pessime vie,aizzavano essi il loro odio antico coi vicini Siculi con cuipure hanno comune l’indole, il vivere, le origini e la lin-gua; – spedivano nei tempi di rivoluzione i galeotti, neitempi di pace i peggiori impiegati dell’un paese nell’al-tro. – L’odio ne restò così radicato, che per molti anninon successe fra loro alcun matrimonio; e una donna ca-labrese ridotta a secco d’ogni altro argomento contro isuoi poveri vicini osò porre a loro carico gli eroici lorovespri. – Che direbbero i democratici?

Caduto il feudalismo i Borboni ne crearono un altropeggiore, come più ignobile, in ogni villaggio o città, neiloro favoriti, capi urbani, ora mutati pur troppo spesso insotto prefetti, od in capi di guardia nazionale; sicché agliabitanti delle vallate la politica non è già di principj, madi persone. – Essi, col permettere e quasi col promoverela venalità negli impiegati, fecero smarrire il senso dellagiustizia, sicché ora spesso i ricchi negano la mercede agli

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artieri od ai coloro; e questi credono loro diritto alla lorvolta il rubarli. – Uccidere uno a fucilate, come altrovea coltello, è uno scherzo assai poco inconveniente; – edognuno perciò porta il fucile, quando esce di casa, e chil’ha a due canne è più rispettato, è più giusto. Vidi duesindaci e due eletti ed ahi! un cancelliere di pubblicasicurezza, che erano stati già condannati per omicidio!– Il gergo dei ladri (lingua amasca) si parla in Calabriaanche da persone colte. Le scuole poche, insufficienti.Unico pascolo che lasciassero alla mobile fantasia, e allanaturale vivacità di quei popoli erano le pompe e lepratiche di religione. – Un giovine assai istrutto di queipaesi mi disse un giorno, che i liberali veri del paeseerano inscritti nella Confraternita di S. Paolo; e lì aveanocongiurato fino dal 1848!! Questo, e non è tutto, era ilretaggio borbonico.

5. Puoi dunque immaginarti in quale stato sia l’igienefra quei poveri nostri fratelli!

Già ti narrai come un decimo quasi del suolo (490 mi-glia quadrate) giaccia paludoso ed incolto. Questi terre-ni pur troppo apportano un danno gravissimo alla pub-blica igiene, e da questo lato, non saprei se peggiori lepaludi od i boschi. Il bosco di Rosarno, per es., e quellodel Pizzo producono le febbri quanto le paludi di Gioja.– Nella ricchissima Gioja, l’aria è così infestata dal mia-sma, che tutti i ricchi emigrano per sei mesi dell’anno, névi stanno il giorno che poche ore, ritirandosi la sera inPalme. – Ora l’asciugare quelle paludi che la contorna-no costerebbe poco e renderebbe molto; alcune lo furo-no già, e ridotte a frutteti e vigneti da un francese, rese-ro il 25 per 100; e diminuirono l’intensità delle febbri. –E perché non si deve trovare uno che l’imiti fra quei ric-chissimi commercianti di olio, padroni di più milioni difranchi, e che vi troverebbero triplo vantaggio commer-ciale, igienico e domestico?

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La poca conoscenza del drenaggio fa che le pioggieriescano a danno più che vantaggio del suolo e degliabitanti.

Le abitazioni dei ricchi sono abbastanza comode ebene aereate nei paesi dove la lunga serie di terremoti cheinfestò le Calabrie costrinse a rifabbricare ed in larghipiazzali, a cui poter rifuggire al bisogno. – Ma v’hannopaesi, come Scilla, p. e., in cui le case hanno ancorail tipo delle Romane, anzi dell’Osche; agglomerate inpiccolo spazio tra la roccia ed il mare, senz’aria né luce– altre ve n’hanno ad un solo piano come a Laureana.Dappertutto luride sono quelle dei poveri e dei coloni –il pian terreno è la terra umida, nuda; le scale a piuoli;gli altri piani sono impalcature di assi e di paglia, dovea strati successivi come nelle stuoje dei nostri bozzoli onelle cabine delle navi, stanno accasciate intere famiglie.Spesso visitando un infermo, poi che ti eri abituato albujo e al lezzo di quelle umide mura, vedevi sorgerecome dai sepolcri, una dopo l’altra, le numerose testolinedel suo prolifico parentado; – e si noti di più che le bestiedi casa il majale ed il pollo, vi occupano sempre il postomigliore. – Spesso mancano anche quei compartimenti,e v’ha un letto solo di assito per tutta la famiglia sianopure giovinette o spose, o vegliardi.

Il contadino laggiù non è sparso nelle campagne, dovealmeno godrebbe d’un’aria ossigenata e di libero spazioe di una certa nettezza, – ma si raccoglie e si agglomeranelle grosse borgate anche alla distanza di molte migliadal suo campo, e così aumenta il sudiciume e la ristret-tezza delle abitazioni.

Certo dalla triste atmosfera di questi giacigli sorse cosìpotente e diffusa la scrofola; da essa trassero l’inusatorigore i contagi che colà infierivano negli anni scorsi,la peste, il cholera, ecc.; essa più che non il clima e labarbarie, promuove le precoci lascivie, portate alle voltefino all’incesto.

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Latrine, propriamente dette, non esistono, nemmenonegli alberghi della Calabria, e vi suppliscono ignobilivasi.

La pulizia stradale, che perciò tu puoi immaginarequanto difettosa, è affidata in molti paesi alla pioggia delcielo, ed in sua assenza alla voracità dei majali; e v’hannodi questi pubblici funzionari di nuovo genere, che sonomantenuti e rilasciati a ciò dai municipj.

La troppa abbondanza e libertà delle bestie è appun-to uno dei caratteri che spiccano nell’igiene pubblica diquei paesi. Ad ogni passo tu intoppi in un coniglio, inun pollo, in un asino od in un majale. – L’asino ed il mu-lo; i soli che vi s’incarichino dei trasporti, vi sono mol-to in onore, quasi quanto il majale; poco v’allignano in-vece il cavallo ed il cane. – Quest’ultimo, anzi, il piùantico e fedele compagno dell’uomo, costretto a guada-gnarsi il vitto per le immonde vie ed il ricovero pei bo-schi, vi degenerava del tutto. Giammai mi venne fattodi osservare in altre regioni un numero sì grande di ca-ni malati13, scabbiosi, mocciosi, tisici, idrofobi; come nevidi colà. Brutti, scodati, e quasi senza voce, guardava-no timidamente i pochi e nobili levrieri, che soli godeva-no qualche cura dall’uomo; e s’affezionavano assai al sol-dato, che li compativa, s’attruppavano nelle sue casermenelle ore del rancio e mestamente seguivanlo nella par-tenza. Molte bestie muojono di fame e di malattie perle strade, senza che i molto azzimati e corteggiati agen-ti di pubblica sicurezza pensino punto a levarli. – Certoè conseguenza di tanto brulichio ed agglomero di bestie,vive e morte, l’infestare grandissimo delle mosche, dellepulci, e d’altri animali, anche del genere Afide ed Acarus.

Gli alimenti sono appropriati al clima; gli alimentinervosi, come tu [Mantegazza] primo bene li chiamasti,vi sono in singolare onore, tali sono la cipolla, la lattuga,il pepe e fino il caffè. Poco le carni di capra e bue,moltissimo v’è ricercato il pesce spada ed il tonno. Il

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pane è buono, e dai ricchi si cuoce nelle case. – Assaipoco in onore vi è il riso, che pur tanto bene potrebbeallignarvi nelle paludi. – Invece enorme è il consumoche vi si fa dei fichi d’India (cactus) e dei poponi. – Delresto il piatto più comune, così alla mensa del ricco, chea quella del povero, è il proverbiale maccherone col sugo.

Il formaggio caprino, il lardo, il pomo d’oro e il cecearrostito, completano la cucina calabrese.

I vini molto alcoolici, e mal fermentati, produconoai noli avvezzi, fierissime gastralgie, e congiurano collaluce solare all’eziologia delle meningiti negli stranieri chedebban affaticare troppo all’aria aperta.

Bello e generale è l’uso della neve e delle granite,che ti riesce trovare a tuo grande conforto, fino nei piùmeschini paeselli di montagna.

L’occupazione della maggior parte dei Calabresi è lacoltivazione delle terre e la pastorizia. È notevole chemolti possedono del proprio un piccolo campicello, cheessi coltivano. Questa eccessiva divisione delle proprietàè forse più dannosa che no all’incivilimento. – Moltisi danno alla pesca del pesce spada, che vi si fa pertutta la costa coi metodi descritti già da Polibio e congrandissimo lucro. Pochi si danno all’industria dell’olio,dell’essenza di bergamotto e del cotone.

Gli abitanti del villaggio di Serra emigrano ogni annoquali cesellatori e fabbri. – Quelli di Mormanno invecequali mercanti girovaghi.

Il costume di maritare da 9 a 12 anni le donne, fu sug-gerito dal clima, benché alle volte io ne scorgessi pessi-mi frutti in una prole intristita ed atrofica. Bene gli è usoimmorale e poco igienico quello di promettere in matri-monio bimbi da 5 a 6 anni come sio pratica ancora fra larustica, ma non meno tenace, aristocrazia di alcune val-late. Dannoso è pur anco quell’isolamento, per non dirsequestro, in cui si lascia la donna, perché priva gli uo-mini d’un centro sociale e d’un mezzo tanto più poten-

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te perché inavvertito, a mitigare e arrotondare le risenti-te angolature e le passioni implacabili dell’animo virile –toglie al bel sesso una fonte d’istruzione, e il rispetto disé medesimo, e l’influenza e l’attività; e nei lunghi e malsoddisfatti ozj promuove le forme più svariate dell’isteri-smo.

Forse ad equilibrio e compenso di questo costume vicrebbe l’istituzione delle monache di casa, che vere for-miche neutre, godono, meno i soavi piaceri del sesso, tut-te le solerzie della maternità, e quasi tutta la attività degliuomini; e sono sempre pressate, affaccendate, viventi.

L’uso della siesta dalle 12 alle 3 del giorno, comune atutta la Calabria, è certamente igienico; ed io so di mol-ti non indigeni che nella state risentirono il bisogno diubbidirvi che prima ne ridevano come di infingarda biz-zarria; e certo mi è forza di attribuire molte delle malat-tie cui soccombevano i soldati Calabresi colà a preferen-za degli altri, allo aver essi dovuto privarsi di quell’abitu-dine, rifattasi forse più potente nel paese nativo.

Se non che conseguenza poco igienica della siesta siè l’abuso della vita nelle ore notturne, quasi al paro epeggio, che nelle grandi città; – v’hanno moltissimi chepranzano a mezzanotte.

6. Ma ogni lamento sarebbe poco a deplorare lo statoin cui vi giace l’educazione della mente e del cuore delpopolo.

L’ozio vi è eretto a merito e l’odio a sistema; l’accat-tonaggio a mestiere. Io mi sentiva stringere il cuore alvedere tanti vispi ragazzi (nei cui cervelli poteva celarsiil genio di un Vico o di un Pagano) scorazzare seminudilimosinando, e accoccolandosi ai raggi ardenti del sole.

Da noi sogliono i ragazzi giocare ai soldatini ed è buonpresagio d’una vita maschia ed ambiziosa; lì giocano afare i preti.

L’educazione ivi è nulla. A pochi uomini, a pochissi-me donne è dato sapere leggere. Le scuole che esisteva-

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no prima del 1860 vennero soppresse o trascurate; peresempio, Palmi che ha 10 000 abitanti non conta che 20scolari. Gli ispettori scolastici di quei luoghi, pedantis-sima e burbanzosa genia, vanno d’accordo coi comuni, iquali prevalgonsi della troppa libertà loro concessa, persottrarre il denaro destinato ai maestri a proprio profit-to o per impiegarlo, il che loro cattiva maggior popolari-tà, nelle grandi feste, che si danno nel Ramadan Calabro,nel mese di agosto, ad onore dei Santi Patroni del paese.Queste feste che consistono in colpi di migliaja di morta-retti, in illuminazioni ad olio o a pezzi d’abete; in fuochimirabili d’artificio, in distribuzioni di ceci arrostiti, du-rano quindici a venti giorni e costano dai 4 ai 6 ai 10 000ducati all’anno; e sono le sole occasioni per cui tutte legenti del paese si raccolgano in un sito a danzare e canta-re ad onore del Santo e al suono della ciaramella. Da ciòsi comprende l’importanza che v’annettono i capi dei co-muni, che abbisognano della popolarità; anche l’igieni-sta, pure scrollando il capo, deve benedire queste occa-sioni che offrono, almeno, sensazioni energiche e gaje, edun pretesto ai ritrovi sociali, il primo bisogno dell’uomocivile. Ma non pertanto quando si pensi, che non v’è co-sa ch’ecciti più alla venerazione quanto il venerare, e chequeste sono le sole impressioni nuove ed energiche, chesi offrano al popolo, si comprenderà come pure gravis-simi ne siano i danni, restandone così la mente dell’uo-mo informata e preoccupata, da non badare più in segui-to alle altre più serie ed utili vicende, come quelle dellapolitica, e da non poterne più cancellare l’impressione.– La superstizione allora diventa un istinto, che si eredi-ta, e che si fa sovrano sugli altri. – Gli è perciò che ti èdato trovare persone sensatissime, che pure non posso-no, del tutto, spogliarsene; e vedi i ladri offrire la camor-ra dei loro furti a S. Pasquale ed esser sicuri di ottenereil perdono. – A Laureana i popolani adoravano una mo-

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naca di casa, che riceveva ogni notte in sogno rivelazionia favore dei Borboni dall’Arcangelo S. Michele.

I giornali penetrano raramente nei paesi delle coste,ancora meno nell’interno. Sorsero qua e là dei giorna-letti (Fata Morgana, Imparziale provinciali); ed il gover-no avrebbe fatto assai bene a sostenerli, qualunque fos-se il loro colore; se non per ragioni politiche, almeno perragioni di igiene mentale; onde scuotere i torpidi sensi egettare i semi di una sana discussione.

7. L’igiene degli ammalati è assai male interpretata daiCalabresi; v’hanno distinti medici, ma sono soprafatti daipopolari pregiudizj e dai vecchi polifarmacisti infatuatidi galenismo. E sonvi paesi assai ricchi e popolosi comePalme, Scilla, Bagnara, ecc., senza il più magro ospitaleove ricoverare gli infermi poveri. Altri ne hanno, ma siriducono a luride e umide stanze con pochi pagliaricci euna coperta di lana, in cui si porgono rimedi o guasti odi poco prezzo, e poche paste per alimento. Chi sa comegiacciano da noi le opere pie, ed in che mani, faccia leproporzioni e toccherà giusto.

Molti dei pregiudizj medici, che tu [Mantegazza] ri-trovavi fra i gauchos dell’America del sud, si ripetono inCalabria e forse con maggiore insistenza.

L’abuso sopratutto del salasso, che è comune in tuttii popoli su cui passò la bufera degli Arabi14 o degliSpagnuoli vi è portato ad una favolosa esagerazione.

Un giorno io vidi nel cortile di un carcere di quei luo-ghi tutti i prigionieri schierati in corona, intorno al bar-biere che li salassava per turno, e se ne partivano soddi-sfatti come chi avesse ricevuto un dono prezioso. I bar-bieri, che sono gli esecutori di questa fatale operazione,tengono abbonamenti colle famiglie ricche, che si fannosalassare a periodi di mesi e fino di settimane; – ma ilmaggiore guadagno essi carpiscono dal povero popolo,che trae dall’avaro borsello un carlino (40 centesimi) perfarsi cavare il sangue arrabbiato o troppo caldo – al mi-

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nimo malessere che provi, e se non le sono sedici once,non parte contento e non li paga. – Né le febbri perio-diche sono controindicazioni per loro, anzi sempre dopoun accesso sogliono sfogare il male, cioè aprire la vena.

Usano per lo più salassare alla mano, e colla lancet-ta. – Una volta adoperavano l’archetto, specie di mac-chinetta che posta sul vaso vi fa scattare sopra una lamatagliente – ma ora non se ne servono se non coi secchio-ni che si rifiutano alle novazioni, anche a rischio di unascorticatura.

Da questo enorme abuso provengono le molte anemiee le idropi, e forse l’infingardaggine e l’inerzia, che gua-stano quella nobile progenie.

Per un analogo pregiudizio antiflogistico essi negano ilbrodo ai loro malati, dicendolo riscaldante, e danno loroinvece la pasta cotta nell’acqua, e peggio, la lattuga, i fi-chi d’India, i melloni ed i poponi15, della cui virtù rinfre-scante hanno tanta fiducia, che se li serbano nelle cantineper l’inverno a esclusivo uso degli infermi. Forse questobizzarro metodo dietetico, che è adottato anche dai me-dici, si appoggia all’avversione dei cibi azotati, comuneanche nei sani, e che è legge di clima; pure il genio dellemalattie dominanti, le periodiche16 esigerebbe una dietadel tutto opposta; ed io diedi ai miei malati, riso, brodoe carne, e neve, e me ne trovai contento.

Inesplicabile poi mi riescì quel pregiudizio, che vicorre, essere l’acqua gelata o la neve, anzi l’acqua ingenere, dannosa agli ammalati.

Abusano anche i Calabri degli ammollienti locali nel-le piaghe e nelle ottalmie, se non che invece del lino lom-bardo e della mela cotta dei Liguri essi venerano la lattu-ga, e con esiti uguali!

Bello invece v’è l’uso dei bagni di mare, a cui acccor-rono dalle più remote provincie, e dai quali quelle natureeminentemente epatiche, guaste dalla scrofola e dagli an-

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tiflogistici, ritraggono grandissimo giovamento, special-mente le donne.

8. Delle malattie cui vanno soggetti i Calabri, io nonpotrei discorrere con precisione se non limitandomi aquelle che osservai nel breve periodo di pochi mesi diestate, e nella Calabria ultra prima.

Trovai il gozzo ed il cretinismo diffuso nella remotavallata di Pedavoli, ove anche i cani ne erano affetti; netrovai traccie nelle montagne di Bovi e lì se ne accagio-nano le acque del Dario. Ma dove mi riuscì di sorpresa iltrovarne vestigia fu nelle marine di Scilla, ove n’era col-ta una intiera famiglia (Fara); eppure il jodio vi deve ab-bondare, che il mare vi batte da ogni lato, e la pesca è lasola occupazione ed è il solo alimento del popolo.

L’endemia dominante è quella delle febbri ad accessi;tutti gli abitanti dei paesi vicini alle paludi ed ai boschivi sono soggetti, come pure i viaggiatori che trascurino,nell’attraversare quel paese, di tenersi ben desti. Questamaggior facilità di contrarre le febbri nell’ora del sonnoè conosciutissima da quegli abitanti, e bene si spiega daquel fenomeno fisiologico che la quantità dell’acido car-bonico eliminato è minore nel sonno; ed in conseguenzal’energia dei nervi assai più depressa può resistere menoalle nocive influenze, per cui anche il cholera e la pestecolgono a preferenza, nelle ore notturne le loro vittime (Combc. The princ. of phisiol. Edimb., 1860, p. 66).

Le perniciose, rare volte vi si complicano con fenome-ni gastrici, ma più spesso invece con fenomeni toracici ocerebrali; vidi due casi di pleurite e pneumonite, ed unodi febbre tetanica, guarire col solo chinino.

I vecchi pratici preferiscono il citrato al solfato nellefebbri; e la corteccia nelle perniciose. In queste ultimeperò, pur sacrificando a Galeno con salassi e sanguisu-ghe, somministrano il chinino per uso esterno e per cli-stere.

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In genere vanno soggetti alle febbri più gli stranieri,che gli indigeni; perciò mi riesce bizzarro il fatto chedelle truppe che io v’ebbi in cura, più facilmente n’eranocolti i nativi delle Calabrie, che non quelli delle altreprovincie.

Molti degli individui, già da tempo guariti col chinino,benché si tenessero lontani dalle cause occasionali, purevenivano presi da leggieri brividi e febbricciuole a perio-di non bene determinati, su cui nulla più poteva la chi-na. In questi casi mi trovai contento dell’acido arsenio-so ad un trentesimo di grano, anzi alcuni guarirono dopoun sessantesimo.

Ma molti hanno in orrore il chinino e l’arsenico, enon credono che alla lancetta, sicché finiscono, coll’averele febbri tutti i mesi dell’anno, o col morire sotto unaperniciosa, o col ridursi idropici ed edematosi.

La rachitide non si mostra che a Bovi e a Pedavoli;ma la scrofola con tutto il suo triste seguito di adeniti,ascessi, ulceri ed idiozie vi fa capolino per tutto.

L’ottalmia granulosa, sua prediletta congiunta, è dif-fusa in ogni classe di persone, e trattata colla lattuga lo-calmente o peggio intempestivamente col nitrato, perdu-ra o degenera in stafilomi che sono i più, in ulceri e mac-chie della cornea, in ectropi ed entropi, in trichiasi, atro-fie del bulbo, o indurimento e raggrinzamento del tar-so. La causa di tanta diffusione è certamente da ascri-versi alla scrofola, e più ancora a quell’influenza clima-terica e genetica, per cui là abbondano di tanto le blen-norragie uretrali, che cioè tende ad attaccare le mucose;– la causa occasionale vien fornita dall’eredità di queste,dai molti affetti dell’esercito borbonico, che vi si trova-no sparsi per i paesi come congedati o veterani, e dalleristrette e sucide abitazioni. Molto diffuso nelle coste èl’albinismo, anche nelle bestie domestiche.

Udii da molti medici lamentare la diffusione e la gra-vità delle sifilidi; né potrebbe essere altrimenti, quando

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si pensi che visite mediche e sifilicomi appena esistono aReggio; eppure il meretricio dovunque serpeggia. A meperò non accadde osservare che tre casi di sifilide terzia-ria con periostiti, ecc., e due di secondarie; – moltissi-me invece erano le blennorree e le blennorragie e diffi-cilmente domabili.

La pustola maligna vi infierisce invece d’assai, e se nona tempo limitata col ferro rovente, vi conduce alla morte;l’osservai quasi sempre alla guancia destra, in vicinanzaalla pinna del naso. Ne attribuirei la frequenza alle moltemosche e agli altri insetti che ronzano sui corpi morti elasciati putrefare sulle strade.

Trovai molto frequente l’elefantiasi e ribelle al mercu-rio, al iodio, agli acidi vegetali, alle cure locali meccani-che; quattro volte la notai in pescatori, due in mendican-ti, una volta sola in una donna agiata, la quale asseriva disentirsi assai sollevare quando dalla marina poteva recar-si nell’interno dei boscosi suoi monti. Tutto ciò mi in-dusse il sospetto, che l’abuso dei cibi salati e della pescaabbia una grande parte nell’eziologia di questa singolareaffezione, che pare sia diffusa anche nelle spiaggie sicule,per esempio, a Messina. Questo mio giudizio forse col-lima con quell’asserzione che corre nelle bocche di tuttigli abitatori delle coste calabresi, cui i medici pure fan-no eco, che cioè l’aria marina non favorisca la guarigio-ne delle piaghe degli arti inferiori, e che invece assai gio-vi nelle ferite del capo, le quali per gravi che siano, ven-gono sempre a bene; mentre quelle degli arti vegetanoinerti e fungose.

I Calabresi, di temperamento bilioso i più, sono assaisoggetti all’emorroidi, all’itterizia, alle epatiti, ai calcolibiliari e alle ostruzioni viscerali, che finiscono poi cogliedemi e colle idropi.

Nelle donne, anche della plebe, anche vecchissime,l’isterismo è frequente e assume le più strane forme, epur troppo trattato coi salassi e coi purganti degenera in

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amenorree, in stitichezze o diaree ostinate, o in anemie eclorosi.

Il fico d’India, di cui si fa un immenso consumo eche gode immeritata lode di aperitivo, vi produce inve-ce spesso costipazioni ostinate con tenesmo, pneumato-si e indebolimento dei polsi, le quali passano non di ra-do in enteriti o ileocechiti ad aspetto tifoideo. In altrimeno frequenti casi specialmente di bambini l’accumu-lo meccanico dei semi del frutto nel retto provoca mor-tale proctite, se, a tempo avvertito, il medico non riesce avuotarlo.

Il cancro è rarissimo.Un carattere negativo, ma importantissimo della pato-

logia calabra, è la scarsezza delle tisi e delle pneumoniegenuine. Eppure la scrofola vi imperversa, né vi manca-no i tempi variabili, i cibi inadattati, la miseria e gli abusidella vita.

Sarebbe il caso di quell’antagonismo che pretendevatrovare il Rokitanski tra le febbri periodiche e la tisi? Trale malattie a sangue eminentemente fibrinoso, e quelle dasangue ad eccesso venoso, ipinotico?

Certo è che quegli stessi Calabresi giunti fra noi comesoldati, vanno a preferenza degli altri soggetti a quelledue infermità forse per la privazione della siesta e deipreferiti alimenti vegetabili.

9. Ma perché tutto il detto fin qui non riesca ad unavana cicalata accademica, io mi fo ardito di suggerirequei mezzi, che, secondo me, più sarebbero adatti amodificare le condizioni dell’igiene pubblica in quellecontrade.

Niuno più di me rispetta quel sano e santo principiodi lasciar fare, di lasciare che gli errori inducano ai rime-dj, i quali suggeriti e risuggellati dall’esperienza tornanoalfine più efficaci e duraturi. Ma pure qui dove una lun-ga e volpina tirannide riescì a viziare quel nascosto semedi buon senso pratico, che alligna dovunque, e scemò l’a-

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bitudine d’una volontà propria; qui dove tutta l’energiadegli individui e dei comuni è traviata in quistioni di per-sone o di sagrestie; la cosa è ben diversa. Il lasciar fare èdelitto e pericolo.

Converrebbe, dunque, stringere dei contratti con del-le compagnie commerciali, o fornire appositi prestiti aicomuni, onde asciugare le paludi, od almeno ridurle allemeno malefiche risaje; inalveare i fiumi, ridurre a coltivole molte terre non tocche ancora che dalle capre, e dibo-scare le selve in vicinanza alle vie maestre e agli abitati.

La Calabria ha seni e non porti, per cui la lunghissimalinea delle sue coste è più percorsa da pescatori cheda naviganti; – quindi la civiltà ed il commercio nonhanno uno sbocco, ne una via d’entrata. Si dovrebbepor mano a fondare un ampio porto per ambo i lati dellaCalabria; molti mi indicarono sarebbe facile ed utilissimoil costruirne uno nell’antico e già frequentatissimo daiGreci, porto d’Oreste tra Sant’Eufemia e Palme.

I sotto prefetti dovrebbero invitare i grandi proprietarjdei comuni a migliorare le abitazioni dei loro coloni espingerli a stabilirsi fuori della cerchia del villaggio odelle città, all’aria aperta e salubre delle loro ubertosecampagne.

Severe leggi municipali dovrebbero proibire la circo-lazione delle capre e dei porci per le vie, distruggere i ca-ni vaganti senza padrone, e adottare un sistema unifor-me per le latrine, e incaricare uomini e non quadrupedi,della pulizia stradale.

Urgentissimo provvedimento parrebbemi quello di in-vitare i comuni, che abbiano più di 10000 anime e si tro-vino lontani dai centri maggiori, a fondare un Ospitalepei poveri infermi, che spesso son costretti a portare perle pubbliche vie il marchio deforme dei loro mali, o a rin-tanarsi affamati e morenti nei loro giacigli. Basterebbe vispendessero un quarto delle somme che vanno in non ri-chiesti onori ai loro Santi prediletti; – e così si comincie-

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rebbe anche a divezzare, senza troppo irritarla, da quellepompe pagane, la mobile fantasia popolare; in ogni mo-do è indispensabile che vengano tolte alle non pie ma-ni direttrici le amministrazioni di quei magri ospitali cheancora vi reggono in piedi; e vengano affidate a personeoneste, ricche, sicure – possibilmente a medici.

Le molte acque ferruginose e solforose, che già notaipossedere le Calabrie, sono ignorate dalla maggior partedei suoi abitanti, e non si esportano mai; cosicché anchenelle migliori farmacie non t’è dato trovarne. Sarebbeutilissima cosa, il popolarizzarne l’uso a vantaggio deitanti anemici e scrofolosi, che vi brulicano, e cui uccideil salasso.

Io penso che il molto abuso di questo ultimo mezzo dicura, tanto più malefico in paesi infestati dalle febbri, ein temperamenti venosi, finirà col degenerare la nobile eantica razza dei Calabri; né credo troppo ardito afferma-re che esso, al paro della polizia borbonica e della societàLojolesca, contribuì a tenerla tanti anni prona e pazienteall’ignobile giogo; – per ciò non ti sembri ridicola ed esa-gerata la proposta che si prendano severe misure controi barbieri, p. es., una tassa per ogni salasso, – proibizio-ne assoluta, e sotto comminatorie di multe, di eseguirnesenza il permesso del medico. Io proporrei, perfino, sitentasse la graduata abolizione di quel fatale mestiere.

Converrebbe estendere colla solita severità precisionele leggi in vigore sulla visita delle meretrici e sui sifilico-mi, che già portarono così buon frutto nelle nuove pro-vincie.

Un’analoga serie di misure converrebbe poi adottareper le ottalmie granulose. Anzi per la grande estensionedel male, io crederei migliore partito l’organizzare dei di-spensari ambulanti un mese nell’anno per ogni comune,ove provvedere ai casi più gravi, apprendere ai croniciod ai loro genitori i metodi più savj di cura, distribuendoloro i pochi medicamenti riconosciuti utili, la pietra di-

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vina, quella del Desmarres, ecc.; in ogni modo porre inguardia contro il metodo assurdo degli ammollienti e sulpericolo del contagio.

Toccai già prima della necessità grandissima, che sitrovino e si adottino mezzi potenti a migliorare l’igienementale di quelle popolazioni. Una implacabile e impar-ziale giustizia è necessaria per riformare il senso morale,il senso del giusto in quelle popolazioni, e forse anco ildisarmo; e insieme la distribuzione di premj e di ricom-pense onorifiche agli atti di virtù cittadina e famigliare.

Ma per l’igiene della mente converrebbe introdurre apubbliche spese, diffondere e sostenere i giornaletti diprovincia, meglio ancora se scritti in dialetto; affiggerenei caffè principali o alle porte del Municipio, i dispac-ci telegrafici politici, che, se non erro, vengono spediti aisotto-prefetti; e sarebbe ottima misura anche per preve-nire le strane ed assurde novelle fatte circolare dal clero.Utile mi parrebbe l’introdurre dei teatri nei paesi che nemanchino – e il favorire, cedendo loro, per es., pubbli-ci locali; i casini di lettura, le società agrarie, le politicheanche se avverse per esagerato, ed ignorante liberalismo;essendo più utile avere alcuni nemici, che tutti indiffe-renti. – Sarebbe pure assai giovevole, che si celebrasse-ro, con gran pompa e specialmente con fuochi d’artifi-cio, le poche nostre feste politiche. Tutto ciò onde scuo-tere ed alimentare della nuova vita politica, l’inerte cer-vello del popolo, tutto preoccupato dalle cerimonie dichiesa o dalle querimonie di campanile.

Dove assolutamente è d’uopo che il Governo riprendadel tutto l’iniziativa è nel grave argomento dell’istruzioneelementare, che affidata ad un clero avverso ed ignoran-te da sindaci spesso reazionari, è in peggiore condizio-ne che non fosse nel 1858, sicché tutta una seconda ge-nerazione minaccia d’andare perduta per noi. Qui si de-ve esigere che le scuole non figurino solo nei registri, mache esistano, e affidate ai laici, ed in numero proporzio-

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nale alla popolazione giovanile del comune, e questa poisi dovrebbe allettare con premj straordinari, con regaliche dalla minestra di maccheroni e dal fico d’India vada-no fino alle promesse d’impieghi; l’eterno sogno dei Ca-labresi che hanno a proverbio: Dammi ufficiu che mi ve-stu. – L’agglomero della popolazione agricola nelle pic-cole città avrebbe il vantaggio che l’istruzione elementa-re serale si potrebbe loro assai più facilmente, che nonda noi, compartire.

Nell’organamento delle scuole s’abbia sempre presen-te la grande vivacità di sensi, che predomina nel popolo.Si gettino nozioni storiche e politiche in mezzo ad aned-doti piccanti, e le più necessarie idee della geografia ita-liana si accompagnino con figure in rilievo e colorate. Siallettino insieme e si colpiscano i sensi. E siccome non viabbonda né vi eccelle quel principale organo dell’istru-zione, che è il maestro, converrebbe adottare quel par-tito, che già fece buona prova in Savoja ed in Sardegna,delle scuole normali ambulanti, le quali si portassero dipaese in paese a formare od a perfezionare i maestri.

Ma per la esecuzione di queste misure non basta af-fidarsi alle autorità locali. I sindaci sono o borbonici, otimidi, o soprafatti dall’opinione pubblica di campanileche sospetta ed odia quanto viene dal governo. Le auto-rità di pubblica sicurezza sono spesso conniventi, timide,o di una singolare pigrizia.

Ogni altra autorità, se non si vende (e molti degliamministrati lamentano ora di non poter più sedurre)si lascia intimidire, o ingannare, o sotto alla continua enojosa lotta si irrita e poi si stanca.

Non si può d’altra parte esigere che i ministri sienodappertutto, come si dice accadere della provvidenzadivina; ma essi potrebbero stimolare e sorvegliare lo zelodegli impiegati locali con visite improvvise e continuedi ispettori intelligenti, e severi che godessero, in via

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straordinaria, tutte le facoltà di un ministro, e che nonfossero avvinti da nessun legame né da alcun timore.

Solo con ciò si potrebbe ovviare ai danni della neces-saria centralizzazione e immobilità del governo, e ridurresalubre e fecondo un terreno, entro cui germina nasco-sto il seme di assai nobili intelletti, e di cuori magnanimi,antichi.

In un periodo politico com’è questo, in cui tutta l’at-tenzione e la forza morale del popolo d’Italia si concen-tra in quelle provincie infestate dal brigantaggio – nonsarebbe egli opportuno che il medico pure alzasse la suavoce a pro’ dell’igiene morale e più della fisica di quelleterre? La questione del brigantaggio è per chi sa vedercidentro, una questione simile a quella degli entozoi uma-ni, una questione di generazione spontanea – da risolver-si assai più con una ben condotta cura generale, che noncon violenza e con drastici.

V’hanno molti paesi della Capitanata e del Molise chescarseggiano singolarmente di acqua. – V’hanno paesispecialmente in collina, con poche cisterne, od una sol-tanto – la quale deve provvedere bisogni di più miglia-ja di laringi; ora occupata od otturata che sia questa fon-te, i poveri abitanti devono provvedersene a molte mi-glia di distanza, o morire di sete – e questo caso succes-se, se non erro, qualche volta nei tempi presenti, e piùnei tempi passati, in cui imperversava ben più fiero e ter-ribile il brigantaggio. Questa scarsità d’acqua è pure unadelle cause predisponenti della poca nettezza dei colonidi quelle terre.

Un uso pure biasimevole e singolare, corre, nella se-poltura e nei funerali dei morti – e che diffuso già pri-ma anche in Calabria, ora si limita, solo, per quanto iosappia, al Molise ed alla Terra di Lavoro.

Morto che sia un abitante di quelle terre, specialmentese ricco, – donne pagate, a ciò, dette tenderedde – si rac-colgono nella sua casa a farne gli elogi, a benedirlo ed a

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piangerlo con fortissime strida – indi lo trasportano sco-perto e vestito pomposamente, e se nubile, tutto festona-to di lacciuoli colorati alla chiesa ove rinnovano le ceri-monie ed i baci. Fin qui non v’è che antica e fragrantepoesia. Ma in molti di questi paeselli il cimitero non esi-ste propriamente. V’hanno, ad uso etrusco, delle grandicaverne, o camere sotto terra, murate a volta, in cui i bec-chini scaraventano, datogli un ultimo bacio d’addio, ilcadavere come si farebbe di una secchia d’acqua. Quan-do la camera, rimpinza dell’infelice carico, non cape altriospiti, allora separati i corpi da poco tempo morti, dagliavanzi dei vecchi, raccolgono questi ultimi in orribili ca-taste, cui danno il fuoco, conservando solo in lunghe fi-liere quei teschi e quelle ossa, che il tempo benignamen-te inaridisce. Questa operazione dura parecchie settima-ne; nel qual periodo di tempo da quel funebre luogo siesala tanta copia di fumo e di puzzo che infetta l’aria delvillaggio vicino e perfino i casolari più distanti. Nel 1862nell’aprile a Rocca Mandolfi, alcuni giorni dopo, che siera dato principio a questa misura, così poco igienica, sisviluppò un tifo petecchiale, che in breve tempo produs-se terribili stragi; – siccome nessun altro dei paesi circon-vicini venne tocco del morbo né prima né poi – così è as-sai probabile, se non certo, che lo sviluppo della malattialì circoscritta, si dovesse a quella barbara usanza.

Peggio è poi se per uno strano privilegio concedonodi seppellire nel sacrato della chiesa o sotto la chiesastessa – i morti che in vita ebbero vanto di prepotenza,di ricchezza o di virtù.

Sepino, l’antica capitale del Sannio, ha il triste privile-gio, di fornire essa sola, a tutte quelle provincie, i becchi-ni, i quali sono spesati con larghissimi salari, tanto peri-colosa è creduta la loro opera.

Una grande riforma dovrebbe introdursi nelle carceridelle provincie, quasi tutte amministrate con norme as-sai poco ben intese. Situate in luoghi umidi, e bassi, pri-

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ve sempre di ventilatoj, di latrine, o di tavolati, con in-sufficienti alimenti, sono zeppe più che le stive dei ne-grieri, di abitatori tanto più esposti ai mali, che erano av-vezzi alla libera e forte atmosfera dei boschi e dei mon-ti; vi si sviluppava, non poche volte, in questi due anni,il tifo petecchiale e castrense. I prefetti male consigliatidalle commissioni sanitarie, invece di migliorarne le con-dizioni igieniche, facevano vuotare le prigioni infette perriempirne altre vicine, non peranco mal famate, ma al pa-ro malsane, e così propagavano il male invece d’isolarlo,a rischio pure di infettare i paesi, e ad ogni modo, au-mentando d’assai la mortalità dei carcerati. Una disposi-zione architettonica di quelle carceri è altamente danno-sa e alle discipline e alla morale di que’ luoghi e che nespiega le frequenti evasioni dovrebbe subito essere rime-diata.

Voglio dire che molte di quelle carceri sono terrene es’aprono sulla via con delle ferriate, – le quali permetto-no la comunicazione al di fuori – per quanto severe ed at-tente pur vigilino le sentinelle. Non è raro vedervi i pri-gionieri invitare i passeggianti a colloquio, intrattener-li con lazzi indecenti, chiedere e spesso esigere la caritàpubblica come se fossero innocenti o pacifici abitatori diun pio ospizio.

Ognuno comprenderà quanto poco da simili esempjresti vantaggiata l’igiene morale.

Un’altra pratica assai contraria all’igiene è quella deimatrimonj precoci con ragazze di 9 e 10 anni – praticaprovocata in parte dal clima, ma più da mali intesi inte-ressi di famiglia, – e che sfrutta l’albero alla radice dandoluogo ad una atrofica prole.

Una fonte gravissima di mortalità è poi nell’emigra-zione, o, a meglio dire, vagabondaggio dei valliggiani. –Molti dei Calabresi e degli Albanesi, moltissimi Abruz-zesi (circa 20 000) e molti Pugliesi (40 000) emigrano,o meglio girovagano nelle vicine provincie, come ferraj,

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suonatori, pastori o manuali e braccianti – e mal vesti-ti, spesso mal pagati, in climi meno benigni, pochi ritor-nano sani e vivi alle loro vallate, e sono facile preda dellepneumoniti, delle tisi e delle epidemie tifose e morbilloseche fra loro singolarmente infieriscono.

Pur troppo il mondo invecchia, ma non rinsavisce;gli errori vecchi del dotto passano a scienza nuova delvolgo. Gli è così che la panacea cavolesca di Catone erarestata ai poveri schiavi in Roma do o la diffusione deimedici greci. – Gli è così che quella famosa teoria Arabadell’influenza dell’aria, del caldo e del frigido, sui mali esui rimedj, abbandonata da molti anni, per non menoassurde teorie, è creduta e sostenuta da tutto il volgod’Europa dell’India e della China.

Ed ora che si corre dietro alle scoperte di Köliker eWirchow, ed alla severa critica terapeutica di Skoda edi Vunderlich, ora aspettando, che le cellule e le polveridel Dower sieno messe fra le carte antiche, il nostrobuon popolo ha adottato per suo conto, e con maggiorefanatismo, tutto il vecchio ciarpame delle viete teorie, edei relativi rimedi sovrani – i cataplasmi – i purganti –i salassi e le mignatte – con quanto vantaggio, Dio e lastatistica vera, lo sanno!

Dei salassi non parlo. – I flebotomi di professione,non ci sono più che nell’Italia Meridionale; e, spero, pre-sto, anche là cesseranno. Bene è vero, che anche in Lom-bardia il contadino palleggia molto bene quel sacramen-tale termine di infiammazione – e reclama a viva forza ilsalasso dal medico. Ma questi sa resistere, forte dei suoistudj e della sua coscienza, e così impedisce, che agli altridanni s’aggiunga quello tristissimo della lancetta, a gua-stare la nostra povera razza. Il medico si direbbe cheespii in queste lotte, spesso eroe, vittima spesso, il colpe-vole fanatismo degli avi.

Ma così non va la cosa pei purganti. – Una mezz’on-cia di sale inglese, o di olio di ricino – è rimedio innocuo

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che qualunque buona massaja sa prescrivere e a tempo!!!Purgare – sbarrazzare le prime vie – sono parolone e ima-gini così chiare; le si adattano sì bene al cervello più gros-solano, che molte menti del volgo, anche medico, ne re-stano facilmente sedotte e preoccupate. – Non si pensa,che dall’intestino alla strada rotabile, od alla fogna, corregran tratto – che la natura dei mali è cosa meno palpabi-le, che non sieno le feci, non si pensa, che se effetto si ot-tiene da quei beveraggi non gli è che indiretto per controirritazione, per derivazione, ed anche quì c’è molto delmetaforico e dell’ipotetico. – Ma intanto ad ogni picco-lo male si regala una purga, si intacca la sottile e delica-ta tonaca mucosa degli intestini, si fanno irritazioni veree pur troppo croniche, stringimenti intestinali, dispepsieincurabili, stitichezze ostinate, anemie, ernie, prolassi delretto, ecc. – A tutto questo non si pensa, perché l’effet-to non si vede che tardi, mentre invece quella beata sca-rica si vede subito e se ne sognano miracoli che finisco-no a pericoli. – Non sarebbe egli, dunque, da proibire lospaccio di questi lenti veleni, se non sieno espressamenterichiesti da medica ricetta?

E delle mignatte non si fa egli un inutile, un tristissimoscempio ed abuso? – Non è egli, in grande parte, idealeil vantaggio che ci ripromettiamo dalle morsicature diquegli anellidi, e certo completamente sostituibile dallecoppette scarificate.

Il volgo dei non medici, crede che attraggano il sanguecattivo e quindi l’applicano all’epigastrio, alle tempia, al-l’ano, ecc., ma sapessero pure quelle povere bestioline dipatologia chimica e microscopica, non so come le riesci-rebbero a sceverare, lì, i globuli malati dai sani!!! Benè vero che io le vidi propagatrici di infezioni sifilitiche,di flemmoni gravi, dolorosissimi, specialmente alle tem-pie nei meningitici e ai malleoli negli artritici; ma quandomai, il volgo tien conto di queste miserie se può soddisfa-re il suo ideale di un essere che si occupi a cavargli fuo-

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ri con tutta grazia, il male, materializzato, lì, in un puntodel suo corpo; come il N. Zelandese e l’Indiano dal sof-fio, dalle formole, dai maneggi del suo stregone medicoattende, che il male gli venga esportato ed ispento – sottoforma d’una mosca e d’un tafano.

Non sarebbe egli, dunque tempo, se non di impedirnelo spaccio, certo di premunire contro l’abuso, che nonsia autorizzato da medici?

Lo stesso dicasi dei pappini di linseme, di malva, dipatate, ecc., questo genere di specifico chirurgico, di cuitanto abusa il nostro povero popolo e con tanto danno.

Il cataplasma non ha la virtù attrattiva ed antiflogisti-ca, se non nella mente romanzesca del volgo; egli nonagisce che rammollendo e macerando l’epidermide o ri-scaldando per la sua temperatura, od affogando col suovolume, le parti già irritate, con cui è a contatto; evapo-rato l’umor acqueo, e seccato, agisce poi irritando, comequalunque corpo ruvido; nelle piaghe è sopratutto dan-noso, perché l’ammalato vi s’avvezza, così che provatolouna volta non può sopportarne la rimozione, e perché nepromuove la vegetazione, la fungosità, e le mantiene incontinuo insudiciamento. Nelle ferite di palla poi, nel-le fratture, quei cuscini umidi, vegetanti, molli, rendonoimpossibile od inutile un apparecchio; dappertutto, co-me sollievo illusorio, che sono, cullano la naturale iner-zia degli uomini, e quindi dei medici, che prescritto ilcataplasmo, credono aver fatto qualcosa, e invece feceronulla, o male; mentre con più adatto e speciale rimedio,come ghiaccio, jodio, sublimato, ecc., avrebbero potutoportare vantaggio reale.

Non sarebbe egli dunque necessario, limitarne, e proi-birne la vendita a chi non ne abbia prescrizione apposita– e persuadere il popolo a spendere meglio quei preziosisuoi risparmi di cui pur troppo fa un inutile spreco?

Meglio sarebbe che invece direttamente si provvedes-se con igieniche misure all’abuso dello zea-maiz e alla

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mancanza degli alcoolici che minacciano di guastare nel-la lor prole e nella lor vita istessa i nostri poveri coloni.Io odio le teorie dei comunisti a stomaco pieno – ed a fe-gato ipertrofico – io venero la libertà di commercio, manon posso a meno di gemere notando che se la bisognaalimentare del nostro popolo di Lombardia continua diquesto passo, noi tra cretini e pellagrosi ci troveremo de-generata la razza peggio che nol sieno gli Otomachi e iBoschimani. Noi abbiamo un 3000 cretini e un 40 000pellagrosi in Lombardia. Queste cifre parlano. – Io pro-porrei che si obbligasse, con leggi comunali, ad una se-conda cottura e ad una mescolanza con farina di casta-gne, di segala o anche crusca, la panificazione così bar-bara e anti-igienica del maiz – che si popolarizzasse mag-giormente l’uso di cibi animali di poco prezzo, per es.di porco, di porcelli d’India, di cavallo; che si tenesse inserbo il sangue che si getta nei macelli, e che sarebbe uti-lissimo, e il latte che relativamente nutre assai più e co-stando meno, forse il quinto del maiz, è singolarmenteappetito dai pellagrosi.

Si dovrebbe veder modo di distribuire, a minor prez-zo, gli alcoolici ora tanto rincarati fra noi, o almeno so-stituirli con una di quelle tante sostanze, che presso al-tre nazioni ne fanno le veci, come l’oppio, la chica, la co-ca, lo non intenderei, che queste misure si prendessero atamburo battente, e facendo giuocare quei famosi, e vo-ti paroloni di quegli egoisti retrogradi di Francia, che as-sunsero l’eredità degli Adamiti e dei Picardisti – sotto iltitolo di comunismo. – No; bisogna mostrare, ed è faci-le, perché è vero, ai padroni ed ai fattori delle campagne,come il soprapiù in salario od in cibo che eglino conce-dano al contadino lor viene ad essere compensato in au-mento di lavoro – in risparmio di medicine, di gite e didimore all’Ospitale. Al postutto il sangue delle macelle-rie, il latte vaccino viene a costare meno, e nutrendo dipiù, si può vendere a maggior prezzo, e quindi così com-

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pensare l’inesorabile cupidigia dei distributori padroni efattorie con vantaggio delle vittime. – E la beneficenza,poi, si risolve in ben inteso interesse.

Un esempio, praticato da qualche filantropo, o provo-cato segretamente dal governo finirebbe per convincerecui non bastassero le tante chiare ragioni.

I Municipj, i Comuni, e specialmente i possessori digrandi fattorie dovrebbero prendere l’iniziativa di que-ste misure, precisamente come praticasi in Inghilterra!Altrimenti non si parli di progresso, di civiltà, se non perironia. – Non è un epigramma, è una verità fisiologica;che perché un uomo pensi, e quindi s’istruisca – convie-ne si nutra bene. – La prima base di una buona istruzio-ne, dev’essere un buon alimento.

3

Una statistica uniforme

I. – Perché ci manca una statistica Oh! la è pure sciagu-rata la condizione del medico onesto in Italia. – Abusatidal volgo, incompresi dal potente non godiamo nemme-no pei molti sacrifizi, del tepido conforto della gratitudi-ne. Avessimo almeno quello della sicurezza della nostrascienza! E non l’abbiamo; ed impastojati in un linguag-gio sempre più oscuro, in sistemi contraddittorii, discor-di perché infelici, convergiamo contro noi stessi le fittecrudeli che ci scaglia addosso la baldanzosa ignoranza.

Colpa nostra di certo, che dovendo essere, per troppecause, i più tolleranti, il siamo il meno, ma colpa ell’è pu-ranco di quei tanti che non giunsero a comprendere co-me l’efficacia maggiore del medico che è la preventiva, sisfrutta ignobilmente, quando non gli si lasci libera manoal tempo opportuno. Nelle famiglie invece bene spessoe nella nazione quasi sempre il medico viene consultatosol quando ormai non è uopo dell’opera sua né del suo

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consiglio, quando il male è irreparabile. E a lui non restache a dividerne il carico, il dolore, e peggio gli ingiustirimproveri.

Questa è la principalissima causa per cui si riscontrò inmolte delle nostre regioni la mortalità così grave come inpochissime delle nazioni europee17; questa è la causa percui l’igiene in alcune provincie arieggia molto a quelladelle finitime coste barbaresche.

E questa è pure la causa per cui noi non abbiamo unabuona statistica medica18, non che generale, parziale. Ache avrebbe dovuto affaticarsi il medico, quando nessu-no già gli avrebbe dato ascolto. Appena è se allo zelo iso-lato e modesto di alcuni generosi fu dato raccorre qual-che parziale monografia, frammento spezzato del grandeedificio.

III. – Distinzione in zone – zone del maiz – del lathirus– zone cosmotelluriche (delle vallate – miasmatica), zonadelle città Tante e sì diligenti ricerche nostre e stranierenon bastanci, tuttavia, non che a segnare una carta noso-grafica d’Italia, nemmeno a tracciarne le prime linee.

E ciò non tanto perché le cifre difettino; comeché lostatista che s’accontenta alla sola mostra simmetrica di al-cune cifre schierate in colonna farebbe come il pseudo-filologo che per l’amore dell’astruso ribobolo tradisca ilpensiero; ma gli è che spesso le espressioni annesse aquelle cifre mancano di un significato uniforme, passan-do da una all’altra di quelle provincie e pochi anni sonoerano anche in iscienza separate come nazioni. E volerecomporre in un fascio quelle cifre sarebbe un ingannaregli altri e sé stessi.

Tuttavia da questo bujo caos di materiali che attendo-no per divenir cosa viva una mano plasmatrice, noi pos-siamo, alla meglio, intravvedere alcuni fatti, che se saran-no di poca levatura per lo statista aritmetico, nol sarannoper l’igienista.

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Noi vediamo, per esempio, assai nettamente risaltareda quei materiali la divisione d’Italia in due grandi zone;la settentrionale che comprende il Piemonte, una partedi Liguria, il Lombardo, il Veneto, l’Emilia e Romagnae una parte della Toscana, e si distingue per malattiespeciali, come la corea elettrica, il gozzo, il cretinesimo,la pellagra. Queste due ultime infermità, anzi, nellaToscana disegnano appena leggerissime traccie.

La parte meridionale, o meglio la seconda zona, com-prende le isole tutte e parte della Toscana, per esempio,Grosseto, il territorio di Roma e tutto l’ex-regno di Na-poli, e si distingue per la mancanza del gozzo, cretinesi-mo e delle migliari, e pel predominio delle febbri inter-mittenti, perniciose e tifoidee.

Si potrebbe designare intorno alle due zone una sot-tilissima linea costituita dalle marine Ligure, di Comac-chio, di Scilla, di Trapani, distinte per l’abbondare dellascrofola, delle malattie cutanee e della lebbra dei Greci.

Ma meglio ancora, forse, ci gioverà il distinguere lespeciali zone morbose che si organano nelle varie nostreregioni sotto l’influenza di alcune cause costanti.

Tali sarebbero le zone alimentari, come io le direile zone che comprendono le molteplici malattie che siingenerano dall’abuso di speciali alimenti, come dellozea maiz, del cactus opuntia e del latyrus sativus.

Tali sarebbero le zone cosmotelluriche divise in zonedelle vallate, zone vulcaniche, zone alpine e zone mia-smatiche.

Ma una zona importantissima, e che nettamente ci sidisegna dinanzi, è quella delle città.

Nelle grandi nostre città le ragioni di clima, di razzae di alimenti ci sono dal contatto degli stranieri, daltumulto delle passioni, dalle artifiziate abitudini – cosìfuse e confuse da dare luogo a dei veri gruppi patologicispeciali.

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E qui noi dobbiamo soltanto lasciar parlare le cifre, lequali per l’Italia settentrionale non ci difettano e noi da-remo nei seguenti prospettini un sunto dei diligenti lavo-ri redatti per la statistica medica di Torino dal Rizzetti,per quella di Genova dal Du Jardin, per quella di Paviadal Pignacca, per quella di Milano dal Verga, per quel-la di Brescia dal Menis, per quella di Mantova dal Sore-sina, per quella di Verona dal prof. Castelli, per quelladi Padova dall’Argenti, per quella di Venezia dal Berti eNamias, per quella di Treviso dal Liberali, per quella diNapoli dal De Renzi, per quella di Sassari dal Manca.

V. – Proposta per la redazione d’una statistica uniformeChi avrà percorsi questi sunti delle statistiche medichedelle nostre città, avrà subito compreso, come veramentele città costituiscano delle zone speciali, in cui le malattiee la mortalità prendono le tinte più fosche per l’accumulodei vecchi e malati che vengono a morirvi nei suoi PiiIstituti, e per i figli del vizio e del delitto che vi finiscononelle carceri o nelle case, e nei brefotrofi spontaneamenteod immaturamente la misera vita.

Ma già in alcuni di questi prospetti la distinzione deimorti urbani e suburbani avrà mostrato il prevalere inquesti ultimi di speciali malattie come la pellagra e lafebbre intermittente, per esempio in Padova, Genova eTreviso.

Se non che quello che più di tutto deve aver colpitol’attenzione del lettore nel percorrere questi quadrettiè la poca o meglio la nessuna armonia fra di loro, ladisparatezza nei titoli e nei gruppi patologici, e nelledistinzioni loro, per cui sarebbe non difficile solo, maimpossibile il cavarne conclusioni comparative sincere.

È necessario, adunque, che non una città soltanto, matutte pubblichino le loro statistiche mediche, anzi nonsolo le città, ma anche i comuni rurali.

È necessario che tutte adottino un sistema semplice,uniforme di classazioni.

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E perciò parmi sopratutto utile che si elidano certitermini imprecisi che non corrispondono ad una entitàpatologica, come tabe, consunzione, inanizione, dolore,ecc., sostituendovi altre parole che corrispondano a le-sioni anatomo-patologiche, come ulcera intestinale, ecc.

È necessario ommettere certe malattie che la scienzaci insegna ormai essere rarissime fra noi, come epatite,cardite, ecc.

È d’uopo elidere le malattie dei bimbi, neonati o do-dicimestri, le cui diagnosi non riescono pressoche maiprecise, e di cui la principalissima causa è l’entrata stessanel brefotrofio sì malamente detto pio. Volendo calcola-re le malattie dei bambini, converrebbe almeno sempreaggiungere l’epiteto infantile alla intitolazione del morboper poterle calcolare a parte.

Finalmente per aver un ufficio coscienzioso ordinatoed uniforme di statistica medica converrebbe e’ fosse af-fidato gerarchicamente, come lo è quello del vaccino, amedici necroscopi di prefettura, di circondario e di co-mune, gli uni dipendenti dagli altri, e tutti facienti ca-po al medico della città capitale e questo alla giunta sta-tistica. – In calce ai rapporti statistici medici mensili edannuali redatti su un solo modello (come sarebbe quel-lo che segue) il medico necroscopo-statista dovrebbe ag-giungere le cause generali influenti sul numero dei mor-ti, e proporre i rimedj più adatti e più semplici per dimi-nuirli; senza di che tutte queste cifre non riescirebberoche ad un trastullo, aritmetico o burocratico.

Le proposte di questi medici mano a mano che venis-sero trasmesse nei centri comunali, municipali, provin-ciali dovrebbero esservi discusse ed attivate.

Ogni anno la giunta di statistica, raccogliendo dal me-dico centrale i sunti e le proposte statistico-igieniche lepubblicherebbe tenendo nota dei provvedimenti adotta-ti o da adottarsi.

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Tutto ciò porterà qualche piccolo dispendio. Ma aquesto parecchi municipj già da gran tempo sottostaro-no come Torino e le città lombarde, ed or ora Genova,che hanno i medici comunali, i medici ispettori, necro-scopici, ecc.

Il dispendio riescirebbe ad ogni modo lievissimoquando si riescisse ad addossare ed ingranare questa ge-rarchia necroscopico-statistica a quella già esistente pelvaccino o per la sifilide.

Ad ogni modo una spesa che permette di stabiliresolidamente la cura preventiva a favore di uomini validi eutili al paese, servirebbe a decremento di quella ben piùgrande che si sperpera bugiardamente nelle così detteopere pie, in cui non si fa quasi sempre che ospitare deglieterni ed impotenti recidivi, i quali, ove fosse stato in usouna cura preventiva, per esempio, ove si praticasse pelcretinesimo, pel miasma palustre quanto si fa pel vajoloed ora coi bagni marini per la scrofola, non vi sarebberoentrati giammai.

2

«... quella triste piaga e vergogna nostra della pellagra»

1

Eziologia, sintomi, profilassi

Ma mi conforta e m’accieca l’amore grande di questascienza medico-psicologica, a cui, se fortuna mi arrida,tutta desidero consacrare la vita.

E qui io vorrei presentarvene dinanzi e spiegarvene inon lievi pregi e l’alta importanza.

Non dirò come sia utile, anzi necessaria cosa, che ognispecialità clinica, sia in questo Ateneo rappresentata epreferita alle vaste, ma vane teorie; né come fra tutte

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le umane infermità, questa delle alienazioni per il suodecorso, a prima apparenza, così dalle altre differente,per la difficoltà della diagnosi, a cui vengono meno ifisici mezzi d’analisi, e per la molta oscurità ed incertezzanei metodi curativi – esiga ancor di più studi attenti especiali.

Ma noi qui in Lombardia abbiamo un’altra ragione.Negli umili casolari delle nostre vallate, nei popolosi vil-laggi delle nostre verdi pianure, serpeggiano, non abba-stanza studiati ne combattuti, due tristi flagelli; la pella-gra, vo’ dire, ed il cretinismo.

Non sono meno di 38 777 i pellagrosi e di 2000 i cre-tini che la statistica ci rivelava nelle terre lombarde – mamolti più sfuggirono ai non sempre solerti indagatori, emolti furono colpiti da alcune altre crudeli infermità, chesono con quelle due prime in diretta ed affine sequela,come rachitide, l’osteomalacia, il gozzo, la corea, l’epi-lessia, il tifo, il marasmo e la paralisi, ecc.

Tutti questi infelici non figurano ne’ nostri stabilimen-ti, che per una picciola quota – i più s’accasciano mise-ramente negli abituri delle nostre campagne, preda aglischemi od alla fame, atti a null’altro che a propagarvi edeternarvi il lurido seme dei loro mali, guastando alla radi-ce la prole robusta dei nostri coloni. Ora io confido chestudiate che siensi a fondo, e nell’eziologia, e nella lornatura, e nelle lor conseguenze, coteste piaghe, non so-lo riuscirebbesi a moderarne nei colpiti la bruttezza e laferocia, ma, con bene adatte igieniche misure, si giunge-rebbe ad impedirne, nella nuova generazione, la propa-gine e lo sviluppo, e quindi a farle pressoché sparire dal-la nostra terra, come grazie all’igiene ben intesa cessava-no le coree epidemiche e la lebra, triste retaggio dell’evoantico e del medio.

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Diffusione della pellagra in Italia

Passeggiando sulle colline della Brianza e del Canavese,vi sarà certo avvenuto incontrarvi in certi infelici simu-lacri di uomini macilenti, dall’occhio immobile e vitreo,dalle guancie gialle allibite, dalle braccia screpolate e pia-gate quasi da scottatura o per larga ferita. Ecco voi li ve-dete farvisi innanzi, crollando la testa e barcollando legambe come ubbriachi, o quasi spinti da una invisibileforza, cadere da un lato, rialzarsi, correr in linea retta,come il cane alla preda, e ricader ancora, dando in un ri-so sgangherato che vi fende il cuore, od in un pianto chevi par di bambino; pochi giorni dopo quel doloroso in-contro sentite buccinare dagli oziosi del caffè rusticano,fra le notizie di una campana che si rimette a novo, e diuna contadina che va a marito, come quel poveretto siasiaffogato entro una magra pozza d’acqua che non parevasufficiente ad annegare un pulcino; può essere invece, esarebbe ancor peggio, che vi sussurrino come egli abbiafreddato, senza alcuna ragione, i figli e la moglie...; senzaragione, ho sbagliato, la causa ve la trovano subito, ben-ché non vi comprendiate granché sulle prime. – Era unpellagroso! E ve lo dicono colla massima indifferenza,come se si trattasse, che so io, di un’infreddatura; – tan-to poco anche fra noi, l’una casta si commuove alla sor-te dell’altra e tanto facilmente il nostro cuore s’induriscealle vecchie sventure.

Eppure quel male è dei meno sopportabili, è dei piùatroci; che, non s’accontenta di guastare le viscere piùdelicate dell’uomo, di offendere la pelle e l’intestino, ilcervello ed i muscoli, di spegnere, colla forza, la bellezzae l’intelligenza; va oltre ancora, va fino a falciare, nelgerme, la prole.

Né si creda, come dai troppo felici abitatori delle cittànostre può sospettarsi, che si tratti di un fenomeno raro,di uno spèttacolo doloroso, ma circoscritto a poche pla-

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ghe remote; – esso è tanto diffuso, che pure sommandoinsieme i cittadini ed i ricchi borghigiani, che ne vannoscevri, coi poveri agricoltori, che soli ne sono decimati,se ne contavano, pochi anni sono (nel 1856),1 ogni 107abitanti a Bergamo, 1 ogni 154 a Milano, 1 ogni 41 a Bre-scia, 1 ogni 24 a Cremona, e d’allora in poi, fatta eccezio-ne degli ultimi anni il male si vi estendeva sempre più,diffondendo nella Valtellina, nell’Umbria, negli Abruzzi,nel territorio stesso che attornia la nostra capitale. Era-no nel 1839, infatti, 20282 pellagrosi di Lombardia; ora,nel 1856 salivano a 38777; e nel 1869 a 40838. Il Venetoda 20000 che ne dava nel 1853 e 1856, ne contava 29830nel 1879.

La pellagra e l’alimentazione maidica

Tutte queste cifre, che controllano e completano quelleraccolte nell’Inchiesta Ufficiale per opera del Miraglia,messe a confronto colla carta della coltivazione del maizin Italia, pubblicata pure per cura del Ministero di Agri-coltura, basterebbero di per se a dimostrare, oltre al suoincremento, quello che già la storia della pellagra e la suapatologia geografica19 così mirabilmente messa in luce daRoussel nel suo grande Trattato sulla pellagra aveano ab-bondantemente già fatto sospettare: essere la diffusionesua in istretto rapporto e dipendenza col maggior uso delmaiz, specie sotto forma di pani o quando alterato, per-ché le due quote vanno esattamente parallele20.

Se si volessero avere novi dati in proposito a quelli ag-giunti già, confrontasi la tavola grafica della pellagra inItalia con quella sulla rendita del macinato del 2° pal-mento 1877, quasi tutto (salvo l’Italia insulare e meridio-nale) costituito dal maiz21.

Si vede da questo che, tranne gli Abruzzi dove ècominciato già l’uso del maiz, e pochissima è la pellagra,e tranne Firenze, Arezzo e Siena, ove il consumo del

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maiz è scarsissimo, tutte le altre provincie in cui grandeè il numero dei pellagrosi, sono appunto quelle in cuiera forte il consumo del 2° palmento; completa è lacorrispondenza in Padova, Brescia, Cremona, Rovigo,Ferrara, Novara, Lucca, Venezia, Bergamo e in tuttal’Italia insulare.

Se non che nessun vero scienziato dubita più che unrapporto tra maiz e pellagra vi sia; e perciò non vogliamoinsistervi.

Scarsezza d’azoto, ecc. Ma basandosi appunto su questidati, si crede da non pochi che la pellagra derivi dallascarsezza appunto di azoto in quel cereale, scarsezzatanto più perniciosa per chi come il contadino (in cuida tutti si ammette la maggior frequenza della pellagra)è soggetto a maggiori sforzi muscolari.

Questa ipotesi si vuole giustificata dalla minore inten-sità del male in coloro che più si alimentano di carne, icittadini ed i ricchi, e dalla preferenza non ancora scom-parsa fra i fisiologi per le sostanze azotate in confrontoalle carboniose, che fa credere la loro scarsezza pericolo-sa per l’umana salute. Io ho già dimostrato altre volte (La pellagra e la pretesa insufficienza alimentare in Italia,1880) come quasi tutti i proletari e tutti i contadini d’Eu-ropa vivano di vegetali e senza danno, e così le plebi dimolti popoli assai laboriosi, come i Chinesi e i Giavanesi.

Si è parlato dell’uso esclusivo di un alimento comecausa della malattia; ma oltre che questa assoluta esclu-sione in popoli che vivono in mezzo a frutteti, a lattici-ni è un erroneo effetto o della mancanza di osservazio-ne odi logica nella deduzione delle osservazioni stesse; iol’ho mostrato erroneo in una serie d’inchieste sul conta-do stesso nei punti più colpiti (C. Lombroso, Sulle con-dizioni economico-igieniche dei contadini dell’alta e me-dia Italia, Milano, Bernardoni, 1877, e meglio il Bodio inquel suo bello studio Sui contratti agrari e sulle condizionimateriali di vita dei contadini d’Italia, (1879).

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Che se oltre che della bontà chimica si voglia tenerconto della fisiologica, dell’assimilabilità, il maiz conti-nua ad eccellere.

Né, del resto, è punto provato che un alimento checontiene, come il maiz, in notevole quantità, non solo so-stanze carboniose ma azotate e saline debba riesci re dan-noso, anche se dato, per molto tempo esclusivamente.

Le esperienze agronomiche hanno dimostrato che ani-mali nutriti di solo maiz ingrassarono e crebbero di pe-so.

Insistiamo su questo, perché preoccupandosi di que-ste influenze non vere si prendono delle false vie, le qualiimpediscono di raggiungere lo scopo. È evidente, infat-ti, che cogli scarsi mezzi di cui ponno disporre i governise si annette la stessa importanza profilattica a diffonde-re l’uso di carne, fosse pure di coniglio, che ad impedirel’ammuffimento del maiz si troveranno minori fondi di-sponibili quando vogliasi provvedere di forni, di essica-toi e di magazzini meccanici i paesi colpiti.

Solo, del resto, chimici male addottrinati possono so-stenere una scarsezza eccessiva degli elementi più utili al-la nutrizione quali gli idrocarburi e gli azotati nel maiz inconfronto ad altri cereali, mentre anzi è il contrario chedovrebbe credersi solo che si esaminino le analisi date daKonig, da Letheby, da Gühring.22

Una volta dimostrato che il maiz è un alimento tutt’al-tro che insufficiente per sé23, e che d’altronde le sostanzeazotate vi sono più digeribili che negli altri cereali, nonresta altra ipotesi se non che il maiz sia dannoso, perchétroppo facile a guastarsi. E questo emerge da tale serie didocumenti da parere fino superfluo il diffondervisi, spe-cialmente nei paesi in cui la malattia è in istato nascenteod in recrudimento, o che sono contornati da paesi im-muni ciò che rende più spiccato il confronto e più facilel’induzione.

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Così in Udine dove una relazione attestava niun rap-porto correre fra la pellagra ed il maiz guasto, succedenel 1883 un’enorme recrudescenza della malattia; il nuo-vo relatore, che se ne occupa sul sito, lo Zilli, trova chel’innondazione del 1882 costrinse i contadini a mangiaremaiz putrefatto.

Così in Sissa, paese dove una Commissione officialedichiarava non usarsi maiz, malgrado infierisse la pella-gra, io ho rinvenuto non usarsi che la meliga così det-ta americana, mista cioè di quarantina nostrale e di este-ra guasta dal mare, che si vendeva L. 5 lo staio invece diL. 9 che costava la buona, venuta per cabotaggio; più ilpaese, essendo esposto alle continue inondazioni del Po,ha le poche sue raccolte di maiz quasi sempre guaste dal-le inondazioni o dall’umidità che domina il paese (e chepredispone colla malaria e la scrofola all’altra infezione),a cui si aggiunge l’uso di raccoglierlo immaturo; ed un ta-le ivi mi dicea24 che invece di indagare chi ne abbia man-giato di guasto si farebbe meglio a cercarvi chi non ne usio non ne abbia usato.

Il maggior numero dei pazzi pellagrosi osservato daAriani25 nell’Umbria dal 1854 al 1879 fu dato da Peru-gia, 278, mentre eran pochi a Foligno, 11, a Orvieto, 9, 4a Spoleto, 4 a Terni, nessuno a Rieti. Adriani trova unadelle cause del divario nel disboscamento avveratosi dipiù nel circondario di Perugia, e che contribuiva all’umi-dità e quindi all’ammuffimento del maiz; vi esclude affat-to l’insalubrità delle abitazioni, essendo le più sucide neiluoghi dove la pellagra non è insorta, e viceversa, e cosìla qualità delle acque: di 148 sorgenti dei luoghi infesti,9 sole essendoglisi offerte non buone, e così pure il vi-no; che negli anni 1875-6, malgrado il suo buon prezzo,la pellagra aumentò; e nemmeno vi può la miseria.

La pellagra non vi si trova in rapporto colla minorequantità di ricolto. Nel 1860 e 1861, dopo 4 anni d’ab-bondante ricolto di granturco e 2 di copiosissima produ-

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zione d’ogni genere, il numero dei pellagrosi fu maggioreche nei precedenti, e nel 1862 in cui il prezzo dei gene-ri, massime quello del granturco, era nuovamente accre-sciuto. Però non v’ha dubbio che, dove la malattia esiste,la miseria è l’occasione del suo sviluppo. Che se si svolgeanche fra i non miserabili, e perfino fra ricchi, più pre-sto però si mostra nei poveri. Ma perché, si chiede l’A-driani, la pellagra si ha nei poveri della campagna e nonin quelli della città? La fatica non strema forse del parile infralite forze del povero, quale che sia la terra che eitrascina?

Resta unica e sola ragione della pellagra l’abuso nelPerugino del maiz guasto.

Secondo persone meritevoli di fede, sarebbe questo dacerti padroni appositamente guastato, perché, diventan-do di cattivo gusto, i contadini ne mangino meno. Cer-ti altri, quando si guasta, lo danno ai contadini mescola-to con del buono; più spesso lo fanno i fattori per altroscopo, ed i mugnai sostituirebbero la qualità cattiva allabuona (Cildroni).

I più poveri si cibano oltracciò di granturco in focacciamolto erta e poco cotta in quantità di 1200 gr. di farinache presto si guasta se anche sana, oltre che di legumi,fave o di erbe ed in alcuni di ghiande. Non pochi nellastagione calda usano minestra e pane misto di grano e digranturco.

Così dall’inchiesta del Miraglia appare che molti co-muni hanno tentato, ma non riescono ad impedire l’usodel maiz guasto. Alcuni lo dichiarano apertamente: adIvrea, per esempio, dicono: «Come impedire ai contadi-ni, che non hanno altro raccolto che il maiz, di mangiar-selo? Sarebbe sostituire la fame alla pellagra». E a Polo-sella: «Per impedire l’uso del maiz guasto non basta il re-golamento d’igiene, esso è venduto alle famiglie povere;come inipedire vi si mangi?». E così a Candia.

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A Roma si accenna che i lavoratori dell’Agro romanousano sempre maiz di scarto nell’inverno. A Cremona ilmelicotto avariato, ne è la causa non piccola; a Ferrarai contadini di Cento mangiano maiz per solito guasto;a Rovigo (a Rosolina) mangiano maiz cattivo, avariato,che viene dall’estero, e così a Badia Polesine, a GuardiaVeneta ed a Polesella.

A Sant’Apollinare si accusano (inchiesta Miraglia1885) i signori di cambiare il maiz buono in cattivo; aPiacenza si accusa il cattivo maiz che viene dall’Unghe-ria, specialmente a Fiorenzuola d’Arda ed altrettanto adArezzo ed a Siena, per quanto le notizie ne sieno po-co abbondanti. A Città della Pieve, a Lucca, a Chiog-gia, i proprietari separano il maiz buono dal cattivo, equest’ultimo lo dànno ai coloni in conto di roba buona(Idem).

Una nuova prova indiretta e pure gravissima è lo sce-mare improvviso della diffusione della pellagra in parec-chie delle regioni più infette, in contrasto al suo diffon-dersi nelle regioni meno colpite, e ciò per i provvedimen-ti efficaci, specialmente per gli essiccatoi che il governo eil paese seppero applicare nei primi dopoché la cognizio-ne di questa causa specifica venne assodata, come megliovedremo nella parte ultima.

Perché si guasti il maiz Per intendere perché si guasti sìfacilmente questo cereale basta ricordare che la quantitàdi grasso (63% del proprio peso, più dei 2/3 del grassotutto il grano) raccolto nella porzione embrionale delmaiz, porzione la più esposta all’aria, perché sprovvistadi perisperma, predispone più degli altri cereali il maizall’irrancidimento, quando sia esposto all’umidità; oraquesto grano venutoci dalle terre calde ed asciutte delMessico, in molte piaghe matura tardi e male, e non sipuò coglierlo se non a stagione inoltrata, da quando lapioggia autunnale si rovescia in gran copia sui campie sulle aie; oppure si guasta venendo per cabotaggio

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esposto all’acque del cielo e del mare. Talvolta poi inostri magazzini sono di così triste fattura, che la pioggiaspesso vi s’infiltra e li bagna eziandio assai tempo dopo ilraccolto; ed ecco venire l’estate, l’epoca della bollituradel grano, e questo allora se non viene a sufficienzaventato, bolle e poi putrefà. Qualche volta il marcio ènella farina, e ne è la causa non rara il mugnaio, che fascorrere vapore acqueo sulla turbina in movimento, cosìegli ne aumenta il peso, ma ne facilita e provoca semprepiù l’ammuffimento.

Peggiore è il danno che viene dalla confezione diquelle poco sane farine in pani grossi (pan giallo) cometonde di formaggi sì che la cottura non vi passa la crosta,e la parte interna restatane tutta umida, in pochi giorniva a male. S’aggiungano le frodi del fornaio, ahi! moltevolte più tutelate che impedite dal sindaco rusticano, ele avare angherie di certi padroni; ma bisogna sopratuttoritenere causa principale l’umidità.

Ma si domanderà perché in Italia sono così poco dif-fuse anche nelle alte classi queste cognizioni sulla cau-sa della pellagra, e solo per ultima ipotesi sia ammessaquella del maiz guasto?

Molte ne sono le ragioni:l) Il pubblico non è vero che afferri sempre subito la

verità: è il contrario che si potrebbe dire; quando glisi presenti una ipotesi che abbia un aspetto di serietà,che lusinghi le sue passioni, e la cupidigia ne è unaprincipalissima, egli la preferisce a tutte le altre.

2) I clinici più discinti risiedono in città e non nellecampagne e non possono farsi un’idea giusta del morboe delle sue cause.

3) Anche i buoni osservatori delle campagne sonodeviati dal vero da molte cause: la pellagra in alcunicasi è ereditaria e non ha più rapporti col maiz, altrevolte essa infierisce in chi è predisposto dalla mal’aria,dall’alcoolismo, dal puerperio, dai dispiaceri morali, ed

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è allora facile il prendere una causa concomitante per ladeterminante.

E già nei nostri casi si vede che nei paesi in cui lapellagra è comparsa da poco e non invade le interepopolazioni, come p. es. ad Asti e poco tempo fa aRoma ed a Perugia, e come ora in Calabria, si afferrava lacausa assai più recisamente, limitandola al maiz guasto,che non nei paesi, come Milano, Bergamo, ecc., dovela malattia infierisce da secoli e vi si è così complicata emascherata da tante altre malattie.

Ma si chiederà: Se il maiz ammorbato è causa dellapellagra, perché non ce l’accennano mai i colpiti e perchév’è tanta difficoltà a rinvenirne? La causa è, da una par-te la vanità e l’ignoranza e l’eccessiva docilità dei povericonsumatori, dall’altra la tristizia dei venditori. Di maizammorbato se ne trova per tutto, nei fondachi di ognigrosso mercato di grano, anzi anche nei fondachi muni-cipali; ma voi nol troverete che quando ivi siete presen-tato da tali raccomandazioni, che assicurano voi non an-darvi per indagini officiali od officiose, altrimenti i pro-prietari ed i custodi vi negano ostinatamente di averne,per tema che non indagini scientifiche, ma poliziesche, vispingano alla ricerca.

Così mi avvenne quando io faceva le mie prime espe-rienze sugli olii egli estratti del maiz guasto; avendo sa-puto che ad Ancona n’era arrivata una grossa partita daiPrincipati [danubiani], feci richiesta per averne due sac-chi e mi fu risposto, sospettando forse che potessero ser-vire per indagini sanitarie, che due non ne davano, mache ne avrebbero venduto 50; così a Sissa la Commissio-ne Ufficiale della pellagra e il Consiglio Sanitario Provin-ciale avevano dichiarato non essere la pellagra in relazio-ne coll’uso del maiz, essendovi anzi i contadini di tantadelicatezza che non mangiavano del frumento se non so-praffino. Ora io andando sul luogo trovai per tutto usa-ta una certa meliga americana o meglio danubiana, com-

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pletamente guasta, e che vendevasi a minimo prezzo, lorivelai ai Consiglieri sanitari di Parma, e negandolo essirecisamente li condussi io, ivi, dai due granaioli princi-pali, dove, appena ci declinammo negozianti, ci furonoofferte centinaia di sacchi; ma fino a che ci eravamo pre-sentati come Consiglieri sanitari non fu possibile trovar-ne un chicco.<7p> Qualche volta il grano introdotto incommercio pare sano e non lo è, avendo appreso non so-lo i mercanti all’ingrosso, ma gli stessi massari a dissimu-larne la malattia col farlo ventare e poi passare sul gesso,onde resti ricoperta la punta sbocciata o verdognola delgrano.

Altri, senza altra preparazione, lo mettono in vendita,mescolandolo al buono, e nascondendo il peggiore alfondo del sacco.

Qualche volta il maiz ammorbato viene in sì piccolacopia introdotto nell’alimento generale, sopratutto frodidei mugnai, che il contadino non se ne accorge, e quindiè nell’impossibilità di attribuire i suoi mali a questa cau-sa. – L’ignoranza sua, su questo riguardo, non farà, delresto, maraviglia al pratico, che sa quanto [in] rapportoalle cause anche più patenti del proprio male, l’uomo, especialmente l’uomo dei campi, sia inclinato ad inganna-re se ed i medici. Quanti sifilitici non parlano di feriteche sarebbero cagione dei loro mali, quante mamme discrofolosi accennano i pretesi traumi a paure come a solacausa degli ascessi dei loro bimbi? – Che sarà poi qui do-ve la questione è controversa anche fra i dotti, e dove adiffondere l’errore molti medici sono spinti alla comodascusa che ritrovanvisi alla loro colpevole inerzia?

Gli errori de’ secoli passati formano il peculio deipregiudizi del popolo; così ora il popolo inneggia aldefunto metodo antiflogistico. Che maraviglia, se esso,ugualmente, abbia adottato la teoria dei vecchi medicisull’origine erpetica o solare o scorbutica della pellagra. –A Verona, a S. Michele i contadini credono che la causa

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della pellagra sia nei raggi del sole, che ardono la pelle; aParma che sia nell’umido; a Vicenza che sia nell’erpete. –Sono le vecchie teorie scientifiche ora divenute retaggiodelle plebi.

Dissi della vanità come causa delle nostre dubbiezze,e ne ho ben donde. – Nel Cremonese, p. es., guai almedico che osi dire al contadino, che egli ha la pellagra– egli potrebbe riceverne qualche brutta risposta. Egliha il salso, un erpete accidentale, non mai la pellagra.Esso certo non si metterà sulla strada di fare la diagnosigiusta26 – Certo questo dipende perché, ivi, la pellagrapassa per sinonimo di pazzia, male che nessuno vuolammettere di avere, nemmeno in famiglia, e meno ancoraquando non esistono ancora i sintomi.

Di più, dappertutto il misero, che è vano come qua-lunque altro mortale, vorrebbe figurare di mangiarselosano, almeno quel maiz, che è l’unico suo piatto; ed eglidissimula spesso al richiedente di averlo dovuto mangia-re guasto, per vergogna dell’estrema povertà, di cui quelfatto è indizio: tanto più che qualche volta la malattia delmaiz o da trascuranza ed imperizia nel raccolto e nell’a-sciugamento, o, che è peggio, da qualche sua frode.

Molti contadini, siccome non ne furono posti in av-vertenza dal medico, e siccome relativamente i disturbiprodotti, sulle prime, dal maiz malato non sono gravissi-mi, ne presentano analogia stretta coi fenomeni della ve-ra pellagra, non possono accorgersi della correlazione trail male della pellagra e il maiz guasto, e quindi non glienefanno accusa.

Ma v’ha di peggio. – Da alcuni, ignoranti affatto deisuoi effetti, il grano malato è preferito al sano non so-lo per la minore spesa, ma pel gusto piccante, aromaticoche dà, quando è in piccola quota, al pane, ed è mesco-lato perciò deliberatamente al sano. Un altro mi dicevache esso facilitava la digestione. Un fatto simile avvennedella segale cornuta nelle Landes, ove Costallat dice che

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era preferita dai contadini per il sapore forte, piccanteche comunica al cibo.

Altre volte è vero che la pellagra non infesta un paesemalgrado l’uso continuato del maiz, ma le circostanzelocali, che influirono sulla integrità di questo, non furonoabbastanza messe in rilievo. E giova metterle in chiaro.

Perché, si chiede Jacini27, la pellagra, in Lombardia,non si manifestò che tardissima e scarsa nei paesi dimontagna? Perché i mezzi di trasporto dalla pianuraerano, un tempo, molto costosi; e quando una mercecosta non si vende cattiva.

Allora non aveva luogo l’importazione del gran turcodal mar Nero, che si può dare tutt’al più ai maiali.Posteriormente, la facilità dei mezzi di trasporto indussei valligiani più disagiati a far ricerca di granturco di bassoprezzo, e quindi degli scarti del granturco non maturatodel mar Nero.

Col granturco avariato fu così introdotta in quellevalli anche la pellagra, che sin allora non aveva potutopenetrarvi.

Quanto alla bassa pianura lombarda una principalis-sima causa sta nel granturco quarantino, che quando lastagione autunnale non riesce straordinariamente sere-na, non giunge a maturare, e, quand’anche maturi, nonha modo di asciugare.

E siccome diviene più facile vendere merce sana chenon avariata, così, se di questa ce n’è, si procura di con-sumarla in casa, distribuendola ai contadini disobbliga-ti, a cui una parte del salario si corrisponde in natura.I contadini obbligaci poi ricevono, in natura, una partealiquota di granturco per diritto di zappa. Se una certaquantità di quarantino non è ne maturata, né stagionata,essa cade egualmente nella ripartizione, e i contadini so-no troppo poveri per far gli schifiltosi davanti ad una so-stanza alimentare, che da essi si conosce essere scadente,ma che né da loro, né dai conduttori si crede venefica.

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Anche Biella, citata giustamente dalla CommissionePiemontese come esente dalla Pellagra, si ciba, è vero,di maiz, ma la emigrazione, l’industria di quella veraManchester del Nord vi hanno introdotto anche nel piùbasso ceto una relativa agiatezza, quindi il maiz malato sirifiuta, né si mangia in pani.

Indagini chimiche sul maiz guasto

Osservando i grani di maiz guasto che proveniva daiPrincipati, per cabotaggio, posti in digestione nell’alcoola 90°, trovasi che da biancastri che erano assumono uncolor rosso tanto più intenso, quanto più lunga era ladurata dell’immersione; e così pure che l’alcool diventasempre più rosso.

Trattando in egual modo dei granelli di maiz sano28,io e Dupré osservammo che questi non presentavano,anche dopo due mesi, alcuna diversità di colorazione, eche l’alcool si era solo tinto in giallo-citrino.

Dalla tintura del maiz guasto abbiamo potuto29 sepa-rare tre sostanze diverse:

La prima, liquida alla temperatura ordinaria, di uncolore rosso rubino, di un sapore estremamente acre edamaro, di un odore pronunciatissimo di maiz guasto, [...]noi siamo portati a credere non essere altro senonchéla parte oleosa del maiz modificata e colorata da unamateria rossa che si può separare dalla soluzione etereacolla potassa caustica.

Quest’olio per maggiore brevità e chiarezza lo deno-mineremo in seguito olio rosso di maiz guasto.

La seconda sostanza, anch’essa di colore rosso bruno,di consistenza vischiosa, di sapore amarognolo nausean-te, è neutra alle carte di tornasole; è solubile nell’alcooldiluito, insolubile nell’alcool assoluto

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Chiamammo questa sostanza, pelagrozeina o sostanzatossica del maiz guasto, perché, come vedremo, è attivis-sima.

La terza sostanza da noi isolata, sotto l’azione dell’e-tere si rapprende in massa, che diviene di una durezzacornea, quando rimanga a contatto dell’aria.

Questa, per la solita ragione, chiameremo sostanzaglutinosa del maiz guasto.

Esperienze bacteriologiche

Per quanto ancora incomplete già le ricerche crittogami-che, ma sopratutto le chimiche, facevano già sospettareche non stesse nella serie numerosa, ma quasi tutta in-nocua, di rnicrorganismi che infettano il maiz se non lacausa indiretta e lontana del morbo pellagroso mentre lacausa immediata era nella trasformazione chimica, mole-colare, del maiz che avveniva sotto la loro influenza.

È inutile indugiarsi sull’innocuità del frequentissimopenicillum.

Infatti fin dal 1871 avendo somministrato mezzogrammo di sporidi del penicillum glaucum del maiz a3 persone non ne osservai nessuna azione meno saporemetallico e bruciore alla faringe. Io stesso essendomenefatto fare una iniezione sottocutanea di 20 cg. non eb-bi che una infiammazione locale. Due topi nutriti per 20giorni di penicillum glaucum tolto dal pane di maiz, di-magrirono, ma non ebbero nessun sintomo della pella-gra.

Tintura di maiz guasto

Una volta appurato che non era dell’uno più dell’altrobacterio al cui sviluppo nell’organismo animale si potes-se far rimontare l’intossicamento pellagroso, ma sì alletrasformazioni chimiche del parenchima del grano, ed

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una volta osservato che la sostanza tossica più importan-te, e anche l’olio che è pure quasi altrettanto nocivo, sicontengono nella tintura di maiz, mi parve che la migliorvia di studiare l’azione di questi ultimi era quella di espe-rimentare la tintura stessa, tanto più che era quella chepiù si addattava alla somministrazione ad uomini.

Somministrai la tintura di maiz guasto da penicillumglaucum per bocca per una lunga serie di giorni a 12individui abbastanza robusti e sani, che vivevano in cittàe dovevano affaticarsi, come operai e soldati, per tutta lagiornata e non godevano di lauto, ma di sufficiente vitto.

In queste esperienze noi vidimo predominare dopo ifenomeni delle prime vie, diarrea, voracità, schifo delcibo, inappetenza, enteralgia, rutti, feci molli, anchesintomi cutanei, come il prurito, le punzecchiature allacute, il senso d’acqua calda, lo scottore, l’eritema, ladesquamazione delle parti esposte al sole, la comparsa diefelidi, foruncoli, acne e la scomparsa di vecchia psoriasi.

Vengono poi dietro i fenomeni del sistema nervoso emuscolare – sonnolenza, piacere vivo al veder l’acqua, evoglia d’immergervisi, dilatazione della pupilla, cefalea,fracasso agli orecchi, stanchezza straordinaria, diminu-zione della forza muscolare, ptosi della palpebra supe-riore, nebbia negli occhi; e perfino i fenomeni psichici –diminuzione dell’affettività, melanconia senza causa.

Ma due altre serie di effetti mi colpiscono nello studiodi questi casi, l’azione sul cuore e quella sui reni.

Si notarono pure degli effetti sulla congiuntiva palpe-brale.

Si notò infine quale rapida denutrizione sia prodottadal maiz ammorbato, posciaché si trovasse, dopo pochigiorni, diminuzione sì grande del peso del corpo.

Si sarà osservato pure che, benché le esperienze vol-gessero in così piccolo cerchio d’individui, pure svilup-parono in essi una grande varietà di fenomeni, negli unipredominando l’azione sul cuore, negli altri sulla cute,

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negli altri sul sistema nervoso; e come negli uni i sinto-mi sieno stati tardissimi a svilupparsi, negli altri si svol-gessero con spaventevole rapidità; – come in due, infine,fossevi completa immunità dal veleno.

La diminuzione del peso variò dai 2 ai 7 e ai 10chilogrammi, e l’aumento dai 3 ai 4. In un individuol’aumento del peso si giustificò colla guarigione di anticapsoriasi, in altro colla grande voracità, che l’obbligava adivorarsi un mezzo chilo di pane di più al giorno.

I fenomeni gravi, nervosi o cutanei, comparvero inalcuni alla quarta dose, in alcuni alla settima, in alcunidopo due mesi; due individui si mostrarono insensibilial veleno. In un individuo invece, robusto del resto,si mostrò una vera intossicazione acuta, con dilatazionedella pupilla, sincope e profusa diarrea. In un altro sinotò un catarro acuto dello stomaco.

Alcuni disturbi perdurarono dopo due mesi e mezzo,e in uno perfino 9 mesi dopo che si era sospeso il rime-dio, e si dissiparono dopo alcune dosi arsenicali.

Sopra 6 individui, grandi bevitori, che presero la tin-tura, 2 restarono quasi insensibili al veleno, e 2 perdura-rono più a lungo degli altri prima di risentirne l’azione.

Avendo, per un caso fortunato e troppo raro nelle ri-cerche scientifiche, trovato che uno delli 12 esperimen-tati migliorava, sotto l’uso della tintura, da una vecchiapsoriasi, ho potuto completare queste esperienze con 45altre, somministrando la medesima tintura o l’olio diret-tamente cavatone – internamente od esternamente, – adindividui affetti da malattie cutanee, aiutato in ciò daTizzoni, Benasti, Poiteaux, Scarenzi, Husemann, Cortes,Gamberini, Zambon, Generali, Bergonzoli.

Questi casi [...] ci mostrarono la guarigione di 4 [...]e il miglioramento di 6 su 13 psoriasi, la guarigione diuna pitiriasi [...], di 7 su 7 eczemi [...], di due ectimi[...] e di una scrofulide eritematosa [...]; e ciò assai piùsollecitamente nei ragazzi e nei giovani [...], ma pure

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ancora in quell’età senile [...] in cui le malattie cronicheper solito più non guariscono.

Ma quello che più importa nel nostro caso è di consta-tare l’analogia dei fenomeni pellagrosi con quelli offertidai nostri esperimentati. poiché in questi ultimi si ripro-ducono, non solo, come nei primi e negli animali, alcu-ni fra i molti sintomi della pellagra, ma, sì bene, i sintomitutti più caratteristici di quel terribile morbo.

Sintomi patologici del morbo pellagroso

Non abbiamo il còmpito di descrivere qui tutti i fenome-ni sintomatologici della pellagra, ma però, potendo na-scere il dubbio che alcuni dei fenomeni ottenuti speri-mentalmente non coincidano con quelli della pellagra,faremo brevemente notare alcuni dei caratteri, che unesame attento dei pellagrosi ci fece rilevare e che hannouna esatta coincidenza con quelli sperimentalmente ot-tenuti non che con quelli annotati dai grandi pelagrologidei tempi scorsi.

Varietà topografiche della pellagra Un fatto assai singo-lare mi balzò subito all’occhio, nello studio di 600 pel-lagrosi, ed è che parecchi dei sintomi della pellagra, chesi notano con insistenza in alcuni paesi, mancano, quasiaffatto, in alcuni altri.

Così, nella Provincia Pavese abbondano le contratturedegli arti e la tendenza al mutismo.

Nella provincia di Verona sono frequentissime le ano-malie della pupilla; invece le complicazioni maniache visono meno frequenti. Certo la pellagra, detta pelandriao salso, non ha mai assunto tra il popolo quel significatodi pazzia, che ha nelle terre Pavesi, Cremonesi e Brescia-ne; anche il sapor salso della bocca ho trovato esser piùfrequente nel Veneto e nel Tirolo che non nella Lombar-dia, ove pure ai tempi di Strambio era comunissimo; più

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comune ivi è anche il dolore infradorsale, e la dilatazionedei vasi capillari della cute, e più raro lo scorbuto.

Nel Trentino ho trovato rare le alienazioni, e invecefrequentissime le albuminurie, e sopratutto le tisi, chesi rinvengono invece per eccezioni nelle altre regioni; eda questo lato mi par si possa ravvicinare la pellagra delTirolo a quella dei tempi addietro, in ci i nostri vecchitrovavanla così frequentemente associata alla tisi.

Nel Mantovano mi ha colpito a frequenza delle ano-malie craniche, che non si riscontrano invece nelle al reregioni.

Nell’Agro Milanese il pellagro va soggetto ad accessiepilettiformi, che sono rarissimi nel vicino Agro Pavese,e non si osservarono mai nel Tirolo.

Nel Reggiano lo scorbuto è la complicazione più co-mune dei pellagrosi.

In Toscana invece è frequentissimo fra essi il pterigio.Il numero delle mie osservazioni, però, è ancora co-

sì limitato, che vorrebbe essere un grave errore quello diprecipitare, da queste soltanto, un giudizio deciso. Tut-tavia i fatti annunciati metteranno altri più fortunati sul-la via per accertare definitivamente, se esistano anche ingrande scala queste curiose differenze, che fino ad unceno punto potrebbero spiegarsi per la varia qualità delgrano o del companatico, di cui si cibano i contadini,e per le influenze del clima e della razza. Così per es.una razza esposta a cause, che indeboliscono l’innerva-zione del gran simpatico, è facile che, divenendo pella-grosa, presenti la dilatazione e l’ineguaglianza della pu-pilla. Una razza esposta per la malaria alla leucemia, alladissenteria, presenterà più facili le diarree e le anemie.

Varietà individuali della pellagra Come vi hanno dif-ferenze tra paese e paese, ve ne hanno anche tra indivi-duo e individuo, cosicché in nessun altro morbo si po-trebbe meglio dire che in questo: – non esservi malattie,ma malati.

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Un proverbio, assai curioso, ho potuto raccogliere suquesto proposito nella capanna di un povero pellagroso,in vicinanza della Chiusa Trentina, proverbio che nellostesso tempo mostra, come questa verità sia già ricono-sciuta dal popolo, ceno purtroppo per una assai lungaesperienza.

«Dela pellagra – sentenzia il proverbio Veneto – chene xe de sette sorte:

Quella che tirà mattQuella che tira all’acquaQuella che tira indrèQuella che fa scavezzo (andar curvo)Quella che fa fare i pirli (vertigini)Quella che fa mangiareQuella che fa pellar e c...».

Vi sono pellagrosi, in cui nullo è il disordine dellapelle e degli organi digerenti, grandissimo quello dellamotilità, – che soffrono solo di continue vertigini, – e diindebolimento generale.

Ve n’hanno, in cui tutta la fenomenologia consiste ingravi alterazioni psichiche, della motilità o della sensibi-lità, per cui soffrono punture, pizzicore – pellagra cere-brale, gangliare o spinale.

Ve n’hanno, che si distinguono per un rapido e straor-dinario dimagrimento – pellagra atrofica.

V’ha la gastrica, con ribrezzo del cibo, indigestioni,diarree, o stitichezza, o voracità accessiva, – e la cuta-nea, con coloramento per tutta la pelle, con eritema oforuncoli od erpeti.

Ve n’ha una, che si distingue per un singolare eccita-mento dei genitali.

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Pessima, fra tutte, e fortunatamente più rara, quella adecorso florido, precipitoso, e che si potrebbe chiamare– pellagra florida, o meglio tetanica.

Ed anche nell’esperienze fisiologiche noi vedemmocomparire la forma paralitica, ora la tetanica nelle stessespecie di animali, nutriti o meglio intossicati collo stessoalimento guasto.

Fenomeni psichici, idromania e sitofobia pellagrosa Èdifficile, nello studio dei fenomeni psichici dei pellagrosi,lo scernere le anomalie prodotte direttamente dal morbo,e quelle che vengono da accidentali complicazioni, especialmente dalla pazzia; e peggio quelle, che sonoprodotte dalle tristi condizioni di quegli infelici, i pariadelle terre Lombarde, in cui la melanconia non ha, purtroppo, d’uopo di cause morbose per isvilupparsi.

Mi pare che un carattere di molti pellagrosi anche ra-gionanti, e più alienati, è una maggiore impressionabili-tà morale; una maggiore eccitabilità psichica che corri-sponde alla maggior motoria già sopra notata; un picco-lo insulto, una minaccia di lieve pericolo, li fa trascende-re, benché, apparentemente, prima serbassero mente sa-na. – Così una si crede dannata, perché perdette messa;– un altro si dispera, perché un amico, cui prestò una pi-stola, non volle più restituirgliela, e la disse sua, ed im-pazza; – una sente le compagne, che la burlano per il ve-stito, e ne impazza di dolore; un’altra, solo che il maritopescatore ritardi di pochi minuti, dà in grandi smanie.

Questo è un carattere comune agli alcoolisti e ai para-litici in primo stadio, e risponde a quella legge, che vuoleche un organo debole più facilmente soffra e si irriti. Equesta, forse, è una delle cause, per cui il volgo, che stasempre alle prime parvenze dei fenomeni, crede spessola pellagra prodotta da cause morali.

In genere negli alienati pellagrosi raro è il perverti-mento degli affetti; più spesso anzi notai l’esagerazione;

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sicché anche da questo lato si accostano ai paralitici, qua-si sempre affettuosissimi verso i loro parenti.

Molti si lagnano di perdita della memoria, e di debo-lezza di mente, che cessa nel letto o stando supini. In al-cuni pochi invece (e ciò mi rammentò la lucidità psichi-ca, che accusarono alcuni esperimentati col maiz awele-nato) osservai, che il morbo stesso, come suolsi qualchevolta notare nei pazzi, esaltava le facoltà psichiche.

Qualche volta i sintomi del delirio sembrano prenderele forme vere della melanconia, e più raramente dellamonomania. Così ho incontrato una donna, figlia enipote di pazzi pellagrosi, che essendo stata derubata,e avendone accusato non troppo giustamente un tale,temeva di doverne essere perseguitata; impazzì, e corse anascondersi entro un tombino, stando nell’acqua per tregiorni, senza mangiare e senza moversi; ripresa, fuggi conun suo fedele cane in un bosco, dove visse 20 giorni comeuna selvaggia, facendo capanne colle frasche, mangiandoghiande, e fuggendo a tutta gamba alla vista della gente.

Ma queste sono eccezioni, e che ben potrebbero, co-me sospetta Verga, esser casi di monomania innestata inpellagrosi. In genere anche quando la mania pellagrosaassume un tipo, coglie più quello del delirio sistematiz-zato, che non della paranoja; [...]

Un carattere assai più comune della mania pellagrosa èuna reale e, più spesso apparente, stupidità, un mutismoostinato. Ei stanno raggomitolati, immobili, quasi cer-cando sfuggire, il più possibile, non solo i contatti socia-li, ma quasi la vista della luce; sol che, se quel letargo perqualche circostanza venga interrotto, noi siamo fatti ac-corti, non essere quella un’abolizione, ma solo un irrigi-dimento delle facoltà, che pur essendo integre, non pon-no esplicarsi: ed essi vi confidano, allora, che stan così ta-citi, perché non ponno far altrimenti, – che li perdonia-te; – che capiscono che vi adoperate per loro. Ovvero in-

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terrompono i lunghi accessi di questa catalessi psichica,con una verbosità senza fine.

In alcuni poi invece di mutismo, di tristezza, vi è unagaiezza continua, senza causa, o una attività esagerata;e’ seguitano a ripetere cene frasi, certe grida, certi canti,con un’insistenza alle volte insopportabile, e che li fa, inquesto, simili agli alcoolisti.

Molti avvertono allucinazioni, soprattutto chenesteti-che, e che dipendono ceno dalle condizioni anormali deiloro visceri: abbruciano; – hanno nello stomaco dei cani;– vedono acqua per tutto, e sentono voci, che loro diconodi annegarsi; – sono morti. Ma in genere il delirio loro haun carattere sfumato, contraddittorio, come nelle maniesenili ed anemiche, e in questo poi differiscono dagli al-tri pazzi, che non hanno quasi mai lunghi parossismi, chedurino molti giorni di seguito, ma sì bene temporarie edeboli recrudescenze.

Due caratteri particolari alla pellagra sono la sitofobiae l’idromania.

Sitofobia La sitofobia è in alcuni causata dalla perver-tita innervazione del ventricolo, di cui l’inappetenza ela voracità esagerate sono indizio chiarissimo; e diffattimolti vi dicono, nel rifiutare il cibo, che si sentono comeun gruppo all’epigastrio, e che [non] ponno mandar giùil cibo.

Idromania Un fenomeno caratteristico della pellagra èla così detta idromania. Io l’ho studiata in molti indivi-dui, e parmi poter asserire, che parta da cause più com-plesse e contradditorie, che non paia sulle prime.

1) In alcuni la passione per l’acqua esiste veramente,ed è giustificata dal senso di scottore generale della cute,che si allevia coll’uso dell’acqua fredda.

2) In altri l’idromania non ha un rapporto col senso discottore, ma parebbe dipendere quasi direttamente dalvivo piacere che provano alla sensazione dello specchiolucido dell’acqua, certo per qualche particolare modifi-

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cazione della retina, che li fa simili in questo ai ragazzi,ed ai dementi paralitici; è un’impressione forte, che rie-sce forse a scuotere più vivamente e quindi più piacevol-mente un organo indebolito.

3) In altri l’acqua non solo non è desiderata, ma eser-cita un profondo ribrezzo, perché la sua vista determi-na la vertigine, già così facile nei pellagrosi. Se non che,quest’avversione è mal compresa dal più degli osserva-tori, e perché ei vedono effetti così contrari, come quel-li dell’annegamento; e perché gli infelici esprimono col-la frase «l’acqua mi tira» quella specie di vertigine, chel’acqua cagiona loro.

Per convincersene, però, bisogna analizzare meglio leloro espressioni. Uno mi diceva per es.: «Quando ve-do l’acqua, mi vengono foschi gli occhi, mi viene nau-sea; quando sono sul ponte, cerco di chiudere gli occhie camminare nel mezzo, perché altrimenti cadrei». Unaltro mi diceva: «Quando vedo l’acqua, cerco di chiu-dere gli occhi ed aggrapparmi ad un albero o ad un pi-lastro, perché se no, mi sento tirare verso l’acqua stessae cadere». – Un altro mi confessava: «Se al veder l’ac-qua non chiudo gli occhi, essa mi fa piegare il capo versolei, e non posso più sbrigarmene. Qualche cosa di simi-le provo delle volte, quando sono pei campi, dove se nonposso aggrapparmi ad un albero, spesso sono costrettoad andare in direzione opposta al mio intento». Eviden-temente non è un’attrazione per l’acqua, che fa annega-re questi individui, è un effetto opposto. È l’impressionetroppo viva dell’acqua, che, come lo specchio, in alcunedonne delicate, desta nausea, abbarbaglio e vertigine, ele fa quindi cadere.

4) In alcuni il suicidio per annegamento non accadegià per odio della vita, ma per obbedire ad allucinazioni,le quali presero radice probabilmente in reminiscenzepiacevoli idromaniache.

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5) Alle volte il suicidio per annegamento accade peruna specie di moto automatico, d’impulso istintivo, co-me negli epilettici sotto l’accesso. Essi non sanno per-ché lo facciano, e sottratti all’occasione, non rinnovanoin nessun altro modo il tentativo di suicidio.

6) Alcuni si gettano nell’acqua non per sommergervi-si, ma per mitigar alcuni sintomi paresici, ed intanto pre-si da vertigine vi affogano. Io conobbi un robusto pel-lagroso, che non potea escreare, né mingere, se non en-trava nell’acqua della roggia, che sola riesciva ad eccitaregl’indeboli[ti] moti reflessi.

7) Finalmente in alcuni il suicidio accade per ferreadeterminazione della volontà, per isfuggire a sensazionidolorose, che li tormentano crudelmente; e nell’esecu-zione sonovi aiutati da un profondo pervertimento del-la chenestesi, che mentre li rende fin troppo sensibili al-le impressioni dolorose, che partono dallo stomaco e dalcuore, li rende invece [in]sensibili ai traumi i più doloro-si.

Per tutte queste ragioni, si capisce come debba spes-seggiare l’annegamento, sia per accidente sia per suici-dio, nei pellagrosi.

E una prova di questa frequenza, si è che nei paesiove domina la pellagra gli annegamenti, sia accidentaliche volontari, sono più numerosi che non in quelle terre,i cui abitanti, per essere in rapporti continui coll’acquaper ubicazione, e per mestiere, per es. quelli delle isole ecoste di Sardegna, Napoli e Liguria, dovrebbero esserviben più esposti.

Un carattere della pellagra è quello di complicarsia molte malattie, le quali spesse volte la mascheranocompletamente.

Alcoolismo La più comune complicazione è quella del-l’alcoolismo. Io ne vidi parecchi casi, in cui era difficiledistinguere fino a qual punto il morbo era prodotto dal-l’alcool o dal maiz ammorbato. E ciò perché alcuni af-

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fetti da incipiente pellagra cercano, come i paralitici, unmomentaneo rinforzo negli alcoolici. Altri per soddisfa-re il vizio dell’alcool consumano il denaro necessario aglialimenti, e sono costretti a comprare maiz ammorbato,perché più a buon mercato. In altri pochissima quanti-tà d’alcool, trovando un corpo già predisposto dall’avve-lenamento del maiz malato, precipita lo scoppio del ma-le, come lo produrrebbe una qualunque causa seconda-ria. Molte volte è difficile farsi un criterio30 giusto, del-la vera fra le due cause, sì perché le due cause decorro-no parallele, e sì perché il paziente, non volendo confes-sare dovere al vizio il suo male, vi trae forzatamente ininganno.

Pellagra ereditaria Ma v’hanno forme pellagrose opseudo-pellagrose ancor più difficili a diagnosticare, per-ché la pellagra, pure esistendo, non ha potuto manife-starsi in tutta l’interezza dei suoi tristi sintomi. Questa èuna forma, che io chiamerei di pellagra ereditaria.

Ve n’hanno due specie, una gravissima, l’altra assaimite.

La prima si manifesta fino dal second’anno di vita;rare volte con desquammazione, più spesso con doloriall’epigastrio, pirosi, voracità, camminare incerto, facilepaurosità, diarrea, aspetto giallognolo, come nelle febbridi malaria, mancanza e tardanza nello sviluppo; ma solopiù tardi tutti i fenomeni della pellagra, che resistono consingolare tenacia ad ogni cura. In alcuni ho osservatouna mala conformazione del cranio, una straordinariabrachicefalia, o dolicocefalia, fronte sfuggente, orecchiemale impiantate, assimetrie nel volto, anomalie negliorgani genitali.

Ma nelle stesse terre, ove predomina questa forma,se ne osserva un’altra, se in apparenza assai più mite,certo, nel fondo, più degna di studio, dal lato dell’igieneprofilattica. Essa è una vera pellagra senza pellagra.Sono individui che hanno or l’uno or l’altro dei sintomi

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della pellagra, ma non li presentano mai così completicome nei veri pellagrosi.

Nei paesi di Pazzone nel Veneto e Favrio nel Trenti-no, ho veduto centinaia di questi infelici, anche di clas-se agiata, che accusavano: gli uomini, scotture ai piedi,dolor dorsale, pirosi; le donne, leucorree, peso all’utero,menopause, rutti, vertigini, stitichezze, diarree, coloritogiallo della pelle, eppure non avevano avuto desquama-zione, né delirio.

Queste complicazioni mi movevano compassione piùche non la vera pellagra, perché indicavano come il malesi fosse per eredità infiltrato nel germe di tutta la popola-zione, e quindi men facilmente riescisse sradicabile. Suc-cede, allora, della pellagra, come del cretinesimo, che,una volta sparso in un gruppo di famiglie, predispostedalla località, miseria ecc., getta degli sprazzi anche nel-le famiglie che più ne dovrebbero essere esenti, lascian-dovi, se non il corpo, almeno la livrea, come ben dicevail Verga, del morbo endemico.

Profilassi della pellagra

Dati questi fatti che così completamente si accordanoa dimostrarci le origini della pellagra nell’uso del maizguasto, facile scaturisce una sicura profilassi.

Dire, infatti, come si pretese da molti, al colono che, sevuol premunirsi dalla pellagra, bisogna che mangi benee beva meglio, è un affermare una verità, certamente,ma verità inutile, dannosa anzi, e che piuttosto potrebbedirsi una crudele ironia. Il poveretto, a cui noi dalcomodo seggiolone diamo questo consiglio, non puòmetterlo in pratica, e, se lo potesse, non aspetterebbe,no certo, il nostro suggerimento.

Se non che, intanto, da questa idea preconcetta e dif-fusa nasce un grandissimo detrimento; ed è, che quegliinfelici smarriscono l’unica via attuabile per premunir-

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si dal male, e quando una volta ne sono colpiti, abban-donano ogni pensiero di cura, sapendo che quella uni-ca, della buona dieta, non è alla loro portata, cosicchéin molti paesi, dov’io sono andato a studiare i pellagrosi,ho trovato i medici condotti ignorare, perfino, l’esisten-za dei pellagrosi del loro villaggio, i quali si rivolgevano,per soccorso, non più all’arte medica, ma alla limosinadel pubblico e del sacerdote.

Fortunatamente l’esperimento e la clinica e l’anatomiapatologica ci dimostrano che la pellagra non proviene giàdall’uso di sostanze troppo scarse di azoto, ma dall’inge-stione del maiz affetto da varii microrganismi; e per que-gli incrociamenti che non mancano mai quando si cam-mina nel vero, questa nozione ci venne or ora ribaditadalle analisi chimiche. S’aggiunga che, come già toccam-mo; a condizioni pari il maiz fornisce all’uomo, in rap-porto al prezzo, una quantità d’azoto maggiore di tut-ti gli altri alimenti, il fagiuolo eccettuato e con un prez-zo minore. La stessa quantità d’azoto che l’avena, l’or-zo e la segale forniscono all’uomo ad it. lire 1,90, il pa-ne a 2,21, il riso a 3,80, le patate a 2, 77, il latte a 7,39, ilporco a 8,87, il maiz la fornisce a 1,08, [...]

Ora impedire al contadino di mangiare questo maiz,solo quando sia ammorbato, e consigliargli di immagaz-zinarlo e raccoglierlo in modo che non ammorbi, questonon esce punto dalla linea del possibile.

Norme Generali Ecco quali sarebbero i provvedimentida consigliarsi in proposito:

1) Variare o sopprimere le colture secondo le con-dizioni dei vari paesi, sopprimere p. es. la coltivazio-ne del maiz quarantino, laddove non possa maturare, o,raccolto immaturo, non possa seccare, oppure sostituir-vi la coltivazione del grano nano o da polli, che megliomaturai nei terreni sabbiosi impedire la coltivazione delmaiz-bianco, che vi riesce male; tanto più che non dan-neggia punto l’economia.

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2) Nei paesi ove le pioggie sopravvengono all’epocadei raccolti, converrà istituire oltre gli essiccatoi, di cuiparlerò, aje di buone pietre, o di cemento idraulico,circondate da larghi portici, in cui ritirato il grano alsopravvenire dell’acqua, più facilmente poterlo riesporreal sole.

E, circa questa operazione, imitare l’esempio del Mes-sico, dove si espone il maiz al sole, e alla sera, sparito ilsole, lo si ritira; e ve lo si espone e prima e dopo la span-nocchiatura.

3) Gioverà introdurre nei grandi possedimenti le mac-chine sgranatrici31, e nei piccoli il grattugione, il qualenon è che una grattugia in grandi dimensioni, che per-mette di operare la sgranatura, senza esporsi agli acci-denti meteorici. Si aggiunga, che, come dicevanmi duegrossi proprietari, questo sistema, permettendo di impie-gare a questa operazione le donne, può riescire di rispar-mio non lieve.

Nelle piccole proprietà gioverà la istituzione dei telaimobili, a cui appendere le pannocchie, per essere soleg-giate nei giorni sereni, come si usa in alcune vallate delTirolo e della Toscana e Liguria.

4) Devesi poi cambiare completamente il sistema dimagazzinaggio. Io ho percorso quasi tutti i principali de-positi di grano, pubblici e privati, dell’alta Italia, ne miriuscì di vedere (fatta eccezione di un magazzino istitui-to dagli Austriaci in Verona, e, sia detto a poca lode no-stra, trascurato esso pure dalle nostre autorità); né, di-co mi riuscì di vedere uno solo di quei congegni, che pu-re hanno ottenuto l’approvazione di tutta Europa, e chenon solo proteggono il grano dall’umidità, dalla fermen-tazione, dalle offese dei sorci, dei curculj32, e degli alluci-ti, ma diminuiscono in proporzione straordinaria il prez-zo della manutenzione: io non vi ho visto in opera nem-meno quei grossolani apparecchi, che si usano dalle po-polazioni semiselvaggie del Messico. – Ho veduto, qua e

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là, delle eleganti tettoie di vetro, dei granai che potevanoservire da salone o da teatro, spesso non foderati nemme-no di legno; ma in concambio non v’era in estate alcungrosso cumulo di granturco, che non fosse in fermenta-zione, cui invano i custodi tentavano limitare colla venta-tura e rivoltatura, quando pure vi era spazio per l’opera-zione. E noi osiamo vantarci un popolo eminentementeagricolo!

Quando l’igiene s’accoppia all’economia, e ad un’eco-nomia di tanto rilievo, il vantaggio mi par troppo gran-de, perché non si debba passar sopra a quella libertà eco-nomica, che qui si potrebbe chiamare libertà di star ma-le. Io credo che farebbe bene il governo se, prenden-do un’iniziativa troppo giustificata dalle necessità igieni-che, obbligasse almeno tutti i municipi, che hanno gran-di depositi di ano, ad adottare qualcuno di questi con-gegni. Noi in questo modo potremmo offrire il maiz apiù buon mercato per due ragioni, per minori spese dimagazzinaggio, e per la minore dispersione di sostanza,che, in luogo di essere divorata dai curculj, dai sorci e dalpenicillum, andrà tutta nei ventricoli umani.

Poter ribassare i prezzi del grano da 2 a 3 franchiper ettolitro, chi non vede quanto non gioverebbe, ol-treché direttamente, anche indirettamente al pellagroso,fornendogli modo di procacciarsi una più ricca copia dialimento?

5) Nelle terre asciutte, rocciose, ove predomini lasilice, gioverà introdurre perfezionato quel sistema deisili, che fa buona prova in Sicilia e Romagna.

6) Conviene introdurre nuove industrie col maiz; peresempio, diffondere maggiormente l’applicazione delmaiz alla fabbrica degli spiriti, delle birre, e soprattuttoall’alimentazione degli animali; e introdurre quelle nuoveconfezioni alimentari col maiz, che tanto son gustate nel-l’America meridionale, come l’atola, la chica. Un’appli-cazione nuova sarebbe, quando nuovi fatti ne confermas-

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sero l’opportunità, quella del maiz marcito alla terapiadi alcune affezioni cutanee ribelli: questa applicazioneavrebbe il vantaggio di inculcare e di rendere più diffu-sa la nozione della influenza, che può avere il maiz mar-cito nel produrre la pellagra, e gioverebbe, così, a dis-suadere il volgo dal nutrirsene; perciocché è ovvio com-prendere, come una sostanza, che serve da medicamen-to, debba possedere proprietà buone solo pei casi di ma-lattia, e dannose nei casi di salute, così come successe,per esempio, della segale cornuta.

7) Gioverà proporre premi per chi trovi modo di ren-dere utile all’alimentazione o all’industria il mais quaran-tino immaturo, guasto, od ammuffito in modo di rag-giungere davvicino il prezzo dello stesso mais quando siasano, o da essere utilizzato per l’alimentazione senza dan-no e con una spesa non grave, che non richieda cioè ec-cesso di combustibili.

E propongasi un premio a chi trovi il modo di panifi-care il mais e di fame pani che resistano all’ammuffimen-to per 8 o 10 giorni senza una spesa maggiore di combu-stibile di quello che si spenda nel pane normale: premiper coloro che abbiano introdotto in larga scala la tera-pia della pellagra in campagna, a domicilio, senza mutarnotevolmente il regime dei contadini medesimi.

8) Necessarissima cosa sarà formulare leggi contro lavendita e la macinatura di maiz ammuffito. La sorve-glianza dovrebbe limitarsi all’epoca dei raccolti, nellecampagne, e all’epoca dei grandi calori nei grossi magaz-zini di grano dei capo-luoghi e delle città. I grani ricono-sciuti non risanabili dalle macchine essicatrici, dovrebbe-ro immediatamente essere spediti alle fabbriche di spiri-to, o distrutti. Gravi pene dovrebbero colpire i proprie-tari, che obbligassero i contadini ad alimentarsi di maizguasto, anche se frutto dei propri raccolti, ammenochénon gli facessero subire quell’unico processo, che già ve-demmo poter neutralizzare il veleno. E queste commi-

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natorie dovrebbero pubblicarsi per ogni villaggio, ed ap-pendersi alle mura della chiesa. Così si fece nel Venetosino dal 1700; così si fa in Austria. Né vale il citare le leg-gi sugli alimenti guasti, perché i pregiudizi che si aveva-no sull’argomento si tradussero già più volte in assoluto-rie dei Tribunali che restano per caposaldo di altre sen-tenze se una legge apposita non vi fa argine. Anche lapropagazione della sifilide troverebbe nelle leggi una pe-na come di chi inferisce una grave ferita, ma questa infe-zione era troppo pericolosa e troppo diffusa perché nonsi vedesse la necessità di provvedervi con apposite leggiche facilitassero la repressione governativa.

L’onorevole Caccianiga e lo Zanelli mi oppongono lapiena libertà dell’alcoolismo. Rispondo. Non è vero chenon si possa e debba proibire l’abuso degli alcoolici, iquali, anch’io l’ammetto, sono veri veleni; tutti i popo-li veramente liberi, veramente democratici (non noi chepretendiamo di esserlo e in fondo non facciamo che ilvantaggio di pochi tribuni) vi hanno provveduto sul se-rio; veda l’Inghilterra con Gladstone alla testa; veda l’A-merica del Nord che giunge fino ad ordinare il seque-stro, nelle case, degli alcoolici, venendo meno perfinoa quel rispetto del domicilio, che è la base della libertàanglo-sassone.

9) Converrebbe istituire panifizi economici cooperati-vi tra i contadini, onde salvarli dalla rapacità dei fornai edei mugnai.

Ma per prevenire le frodi dei mugnai e sopra tuttoquelle dei fornai, credo che il miglior metodo sarebbequello di far adottare un processo di confezione delmaiz, il quale sottraesse l’infelice colono alle loro ingordespeculazioni. Il metodo che si usa nel Messico, di farcuocere per 24 ore colla calce viva il grano, non mi èparso applicabile se non nei casi di maiz guasto, perché ilconsumo del combustibile è grande, e un nuovo processoalimentare riesce applicabile solo se presenti dei vantaggi

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economici al confronto di quello già in uso. Io hotentato un metodo misto, imitando in parte solo quellodel Messico, e questo meglio parmi convenire anche allescarse risorse economiche del nostro popolo.

10) Ma pur troppo bisogna prevedere il caso che tuttele misure profilattiche proposte non approdino, e chesia impossibile impedire l’uso della polenta ammuffita.In questi casi si deve imitare il processo Messicano giàdescritto sopra, e dopo aver bollito il grano colla calceviva, per 24 ore, a 120°R., conviene arrostirlo nel forno,triturarlo, e la polvere, sciolta nell’acqua o impastatacome pane, non riuscirà più di nocumento; [...]

11) Appena si sviluppino i primi sintomi gastrici e ner-vosi della pellagra nel contadino, immediatamente il me-dico dovrà sottoporlo all’uso di quelle sostanze che me-glio corrispondono alla cura della pellagra, e sono, co-me vedremo poi, l’acido arsenioso se adulto, il cloruro disodio se bambino, ecc., comeché nei primordi i sintomipellagrosi sieno facilissimamente domabili, come lo so-no quasi tutti gli avvelenamenti cronici, e diventino restiialle cure solo quando la infezione sia lasciata invadere,senza ostacolo, per troppo tempo.

Sarà forse troppo pretesa la nostra di esigere che sipratichi per la pellagra come per il vaiuolo e per la sifi-lide? Nell’interesse economico dei Comuni non giove-rà, egli, lo stabilire delle piccole ambulanze, dei piccoliospedali provvisori, per arrestare il male ne’ suoi primor-di, per impedirne la diffusione e l’eredità? Questi indi-vidui, che la spesa di poche lire, qualche volta di centesi-mi, può rendere alla società e al lavoro, non riuscirebbe-ro poi a carico per centinaia di lire al Comune, quando illoro male sia diventato incurabile?

E qui ricordo un progetto del governo austriaco, chemeriterebbe esser preso in considerazione dal nostro,quello delle Giunte comunali per soccorrere i pellagrosia domicilio, dipendenti dalle Delegazioni provinciali.

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12) Quando la miseria costringa, ad ogni modo, a ri-correre al maiz ammuffito per vivere, come, per esempio,dopo inondazioni che abbiano guastato enormi provvi-ste, se i metodi profilattici sopraddescritti non abbianopotuto, ancora, popolarizzarsi o attuarsi, non ci resta al-tro che a promuovere l’emigrazione nelle terre più fortu-nate del sud, ed anche in America. Questa misura, sol-tanto, può eguagliare le condizioni del contadino lom-bardo a quelle del ligure, che in una terra sì povera, pu-re campa tanto meglio. Così, si premuniscono dagli ef-fetti della miseria gli emigranti, e facilitando il rialzo delprezzo del bracciante, si migliora la condizione di coloroche restano.

13) I figli dei pellagrosi ed i pellagrosi guariti sianodi preferenza incorporati nella milizia, o consigliati ademigrare nei siti immuni dalla pellagra, ed a premunir-si soprattutto dall’alimentazione di maiz ammuffito, al-loggiandosi, per esempio, come servi presso persone dicittà.

14) Si cerchi di diffondere, il più presto, queste no-zioni profilattiche e terapeutiche nelle popolazioni agri-cole. È una proposta questa non nuova, e già il Colet-ti, anzi prima assai di lui il Fanzago, aveva consigliato etentato attivarla, e non vi è mancato in ultimo il Ballardi-ni colla sua bellissima Igiene dell’agricoltore. Se non che,pur troppo, tutti questi egregi hanno dimenticato che ilibri nostri, per quanto si cerchino di rendere popolari,non sono pane pei contadini. Molti forse ignorano che ilmondo del popolo, del contado in ispecie, ha una lettera-tura sua particolare, a cui solo s’affida, diffidando di tut-te le altre; è una letteratura che tiene ancora della canzo-ne selvaggia, della tradizione illetterata, a cui, solo da al-cuni anni, si concede l’onore della stampa in certi fogliet-ti magri, sconci, e che pure formano le delizie del popo-lo; letteratura che ha nel Guerrino Meschino il suo Orlan-do e nel Bertoldino il suo Dante. – È questa la forma che

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bisogna sciegliere per propagare queste nozioni, quandonon si voglia ricorrere ad un’influenza ancora più poten-te, alla parola venerata del sacerdote. – Io ho tentato ap-punto questa forma, e non so poi se vi riescii; certo peròne diffusi fra le plebi agricole 10000 esemplari33.

Terapia della pellagra

Ad ogni modo, una volta scoppiato il male, si tratta diguarirlo. E qui di nuovo ritorna in campo la quistionedella lauta nutrizione. – Io, pel primo, convengo che lalauta nutrizione, carnea specialmente, giovi al pellagro-so; che molte volte, non sempre, lo conduca a momen-tanea guarigione. Questa guarigione molto bene si spie-ga pel marasma di alcuni visceri, del cardiaco in ispecie,prodotto dal veleno; e che il vitto carneo arresta o fa ces-sare; ma, sopratutto, perché il vitto carneo e l’alcooli-co diventa per esso un vero metodo del training, meto-do che giova in quasi tutte le malattie croniche; un orga-nismo, sottoposto ad una completa mutazione degli ele-menti dell’alimentazione, e alle volte anche del respiro,deve, naturalmente, subire una trasformazione, che quitanto più è benefica, inquantoché esso, per la molta mi-seria, spesso fu sottoposto ad una vera inanizione, e co-me che, molte volte, il veleno maidico induce l’atrofia dialcuni organi.

Ma questa cura non può attivarsi, altrimenti, che ne-gli ospedali, e quindi appena in un ventesimo, ali volte inun centesimo dei casi, – anche in questi casi non sempretrionfa; comeché vi siano pellagrosi che si alimentarono,prima, sufficientemente bene; ed a questi la buona ali-mentazione non giova più; ed altri pellagrosi vi sieno ro-busti, ben nutriti, e a cui quindi non giova a nulla la lau-ta dieta, e sono forse i casi i più ribelli al trattamento. –D’altronde, io chiamo a testimoni tutti i medici condot-ti ed anche gli ospedalieri. Quanto tempo perdurano in

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buono stato nelle loro case questi pellagrosi guariti collabuona carne degli ospedali? Spesso non più di una set-timana, di un mese, e se ne possono leggere appunto quile prove nelle storie dei pellagrosi curati dal Marenghi edal Cambieri in campagna.

Lo stesso dicasi dei bagni, della doccia fredda, che hoveduto migliorare, bensì, le condizioni paresiche, le cu-tanee, le sensazioni dolorose di scottare dei pellagrosi;giovare a prolungarne, o a renderne più tollerabile, l’esi-stenza, ma non mai guarirli radicalmente.

In alcuni pellagrosi, poi, per quella contraddizione chesi nota in tutta la sintomatologia della pellagra, esiste unavera avversione al bagno, e non è possibile applicarlo, ed,applicato, punto loro non giova.

Io volli esperimentare, colla tenacia ispiratami dallaconvinzione di essere nel vero, se si poteva trovare, aldi fuori della dieta lauta, un presidio contro alla pella-gra, un presidio veramente farmacologico; e tanto più mivi ostinai, dopo che acquistai la convinzione, che essa eral’effetto di una intossicazione, e non di una insufficientealimentazione, e che quindi potea trovarsene un antido-to, come dell’intossicazione alcoolica lo si trova nell’op-pio, della sifilitica nel mercurio, della mercuriale nelloiodio.

Procedetti, nelle esperienze, partendo dall’idea, chein tutte le malattie, anche in quelle per intossicazione,non vi sono malattie tipi, ma sì bene malati, e che si devecercare, nella terapia, quel rimedio, che giova non tanto acurare la radice del male, che è come la causa prima, nontroppo facile a cogliersi, ma, sì bene, il maggior numerodei sintomi.

Ferro Mi rivolsi al ferro, sia ridotto coll’idrogeno,sia nell’acqua di Recoaro, di Peio, sia sotto forma dimalato e di percloruro; e notai molte volte esacerbazioniintestinali, palpitazione cardiaca aumentata, ma nessunmiglioramento, [...]

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Cloruro di sodio In quella forma di pellagra, che giàdescrissi col nome di pellagra con arresto di sviluppo delcorpo e del sistema genitale, e nella pellagra che colpiscei bambini, ebbi stupendi risultati dalla semplice curadelle frizioni di cloruro di sodio.

Devo però aggiungere ad onore del vero, che un gran-de coadiuvante del cloruro di sodio è la giovinezza deipazienti, comeché anche le altre malattie croniche, nonesclusa la pazzia, assai facilmente si vincano nella gioven-tù, sia perché più rapido è lo scambio dei tessuti a quel-l’età, sia perché il morbo non poté prendere ancora salderadici.

Acetato di piombo Io aveva sentito vantare l’acetato dipiombo nella pellagra; l’esperimentai in larga scala, mafinora mi parve riescire utile solo nei pellagrosi moltovecchi, ed in quelli che si lagnavano di dolori vivi allearticolazioni, e nei casi di paresi incipiente, odi tremoliogenerale.

Solfito di calce e soda ecc. I tifi pellagrosi per quanto nevariassi le cure, bagni ghiacciati, vino chinato, aromatici,unguenti mercuriali, belladonna, rhus, aconito, solfito dicalce, ecc., percorsero sempre il loro stadio letale e seguarirono in nulla vi pote il farmaco.

Acido arsenioso La maggior parte dei casi di pellagradegli adulti, sopratutto dei complicati con marasma, ga-stralgie, paresi, resisteva però a qualunque tentativo dicura.

Avendo io letto in un lavoro del Coletti e in altrodel Perugini, come i pellagrosi molto si giovassero delleacque di Levico, [...]

Per gli studi precedenti avendo eliminato, che dei treminerali predominanti nell’acqua di Levico l’elementoterapeutico utile fosse il ferro, venni nel 1867 nella ri-soluzione di tentare l’acido arsenioso nella cura di queicasi, che finora aveano resistito ad ogni trattamento far-macologico.

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Il farmaco venne somministrato sotto la forma di goc-cie del Fowler, da 5 a 10 a 15 a 20 a 30 goccie, oppu-re sotto forma di acido arsenioso puro, sciolto nell’ac-qua leggermente alcoolizzata, nella dose di 1/40 a 1/20di milligrammo, salendo secondo la tolleranza fino ala 2a 3 milligr., rarissime volte ad 1 centigrammo, sempre in-terrompendone per tre a sei giorni la somministrazione;il risultato superò di gran lunga la mia aspettazione.

Io non darò statistiche, perché quando uno pretendeaver guarito 9000 pellagrosi colla dieta carnea, e un al-tro 10000 col metodo antiflogistico, poco peso parmi ab-biano le statistiche. Sì bene darò, quanto più in dettagliopotrò, le storie cliniche.

I casi di guarigione coll’acido arsenioso non mi sem-brano privi di importanza, perché avvennero in individuinei quali non potevasi attribuire la guarigione al decorsointermittente del male; [...]

I miei risultati d’altronde non erano isolati, concios-siaché il Namias a Venezia, il Prof. Tebaldi a Padova,il Dott. Vielmi a Bergamo, il Ceccarel a Treviso, Bot-tagisio a Verona e il Dott. Manzini a Brescia ottenneroaltrettanti risultati nei loro comparti ospitalieri.

Tuttavia io sono ben lungi dal pretendere aver otte-nute guarigioni stabili, o di aver conseguito, sempre, colmetodo arsenicale quel trionfo, che era mancato agli altrimetodi. Non pochi furono i casi che resistettero a que-sta cura, o malgrado questa ebbero a soccombere. E pri-mi annovero i 10 casi di pellagra con arresto di svilup-po, che sotto la cura arsenicale parvero aggravarsi, dima-grire, esser presi da sincopi, palpitazioni, vomiturizioni,bronchiti, mentre migliorarono col cloruro di sodio.

Dall’insieme di queste osservazioni mi pare si possadedurre giovare l’arsenico:

1)Nei pellagrosi che presentano grande marasmo2) Nei pellagrosi con paresi incipiente

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3) Nei sitofobi, gastralgici4) Nelle manie vaghe, senza, cioè, delirio sistematizza-to5) Nei vecchi, quando però non abbiano toccato illimite della decrepitezza.

Non giova, pare, negli impuberi e nei troppo giovani,non giova negli individui ben robusti e grassi (Riboldi,Mezzabarba), né a quelli con delirio sistematizzato, né aquelli, in cui la malattia complicata con alienazione datada 20 o 30 anni; né giova, pare, a quelli, che soffrono dipneumonite cruposa, né ai tubercolosi (Anselmi), né aglialbuminurici, né agli affetti da vertigine.

Cura della pellagra coll’acido arsenioso in contado senzacambiamento di regime Dunque, malgrado le molte ecce-zioni, fra tutti i rimedi tentati per curare la pellagra, quel-li che hanno corrisposto al maggior numero dei casi furo-no il cloruro di sodio negli impuberi e l’acido arseniosonegli adulti.

Se non che per quanto evidenti mi paressero i fatti rac-colti nella mia sala e in quelle del Tebaldi, Namias, delManzini e del Ceccarel, io non rimaneva senza scrupo-lo e dubbio, che in alcuni casi, se non in tutti, la lautadieta ospitaliera influisce esclusivamente sulle guarigio-ni. Mancavami, d’altronde, coraggio di esperimentare ilrimedio, tenendo gli ammalati nella scarsa dieta loro abi-tuale.

Mi decisi, allora, ad esperimentare il rimedio nellecampagne, laddove la scarsa dieta era non che attuabile,dettata dalla necessità. Ed eccone alcuni risultati:

Maggi, d’anni 47, di Costa dei Nobili, alto, macilento,con orecchie mal conformate, soffre di vertigini, rumoriagli orecchi, voracità, peso allo stomaco, prurito, e comeuna sensazione di punture d’aghi alla pelle. Da 9 anni hadesquammazione alle mani, e tale indebolimento musco-lare, che deve interrompere due o tre volte alla settima-

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na il lavoro: ha il figlio e la moglie pellagrosa. Sottopostoin campagna alla cura arsenicale nell’aprile 1868 alla do-se di 1/20 di milligr. al giorno, crescendo dopo una set-timana la dose fino ad un milligr. al giorno, nel giugnonon soffre più le gastralgie, cessa la fame, il prurito; con-tinuano la vertigine e l’indebolimento muscolare, il qualultimo scompariva del tutto nel luglio, né più recidivava.

Rovati, di Verrua, d’anni 46, con parenti sani, da treanni soffre degli arti, di diarrea, eritema, ed edema, vora-cità, e difficoltà di digerire, ed una singolare confusionedi idee, per cui quando vuol porsi ad un lavoro agricolo,pensa ad un altro che dovrebbe eseguire, e non fa l’unone l’altro; ha alle volte cefalea, bisogno di vociare, mo-stra magrezza. – Al 1° giugno 1870 intraprende la cura,all’ultimo di luglio è guarito.

In tutti i casi di gravi vertigini che l’arsenico (v. s.)non migliorava mi sono giovato del cocculus orientalische io presi a prestito dagli omeopatici come molti altririmedi di cui mi giovo nelle cure delle malattie nervosereputando delitto di non approfittare delle osservazionialtrui solo perché appartengono ad una scuola diversadalla mia.

Il caso più caratteristico mi si offerse nel Reg... (anni40) ch’era nato in campagna da contadini e che soffrivadi gastralgia, eritemi e sopratutto vertigini che datavanodall’infanzia e che accortissimi medici curarono invanocol bromuro e col ferro, finche accortomi che era dinatura pellagrosa curai colla tintura di cocculus 5-10centigrammi al giorno e guarì in 25 giorni crescendo di 8chili di peso.

Dunque noi a buon diritto possiamo dire che l’acidoarsenioso e il cloruro di sodio giovano nella pellagra apreferenza di tutti gli altri rimedi, anche con regime im-mutato e se si dovesse usare una parola, di cui alcuni abu-sano, ma che altri usano troppo poco, noi potremmo di-

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re, che essi possono chiamarsi uno specifico della pella-gra.

Risposta ad alcune obbiezioni su questo metodo Se nonche si obbietterà da alcuni avversari: – Voi dite di curarela pellagra coll’acido arsenioso, col cloruro di sodio, mavoi non fate che arrestarne il decorso, che curarne i sin-tomi, ne impedire le recidive. D’altronde, è fino ridicoloil dire che un dato rimedio giovi per tutte le varietà di undato male; come non vi è mai un vero morbo tipo, cosìnon può esistervi uno specifico. Perfino negli stessi av-velenamenti, come di oppio, di belladonna, di stricnina,benché chiaramente una sola sia la causa, pure, secon-do che vedrete predominare i sintomi narcotici o di ec-citamento, spinali o cerebrali, voi dovrete diversamentecurarli.

Queste obbiezioni sono giustissime.Ma io pel primo noto, che non tutti i pellagrosi si

curano coll’acido arsenioso e col cloruro sodico; chei vertiginosi hanno d’uopo d’altri soccorsi (cocculus)come anche quelli in cui prevalga la panofobia (oppio),e la diarrea (doccia, calomelano, bismuto).

Siete anzi voi, miei avversari, quelli che cadete nell’er-rore, che ingiustamente mi rimproverate, quando pre-tendete guarire i pellagrosi tutti col solo soccorso delladieta, non avvertendo poi, che vi sono pellagrosi che so-no assai ben nutriti, e a cui la dieta in nulla può quindigiovare.

Ma d’altronde, potrete voi dire che la dieta carnea èun rimedio più radicale? Non dovete voi, se onesti, con-fessare che la dieta carnea giova al momento, fa cioè ces-sare alcuni sintomi, la denutrizione in ispecie, ma che es-sa spesso è impotente, e che anche quando giova nonmai riesce a tanto da prevenire le recidive, se il pellagro-so rientra nel suo triste regime ordinario? D’altra parteper il suo costo essa è impraticabile al di fuori della cer-chia della carità ospitaliera che va pur troppo, per le con-

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dizioni economiche, sempre più restringendosi addossoalla falange numerosa dei pellagrosi. Ora, ammesso an-che che dei due soccorsi quello della dieta carnea e quel-lo della somministrazione dell’acido arsenioso, ambedueservano a non altro che ad arrestare per qualche tempoalcuni sintomi, che l’uno valga come l’altro, non dovreb-besi ad ogni modo preferire quello che, essendo di pocoprezzo, riesce applicabile anche nelle campagne, e nonsolo durante la malattia ma anche dopo, e può quindiriuscire a prevenire la recidiva.

Ma direte: «Le vostre cure sono sintomatiche». Sì,questo è vero. Ma, pur troppo, quante volte il medicopuò pretendere di far altro nella terapia che una curasintomatica? Forse che noi sappiamo veramente le causeprime di ogni male e la loro natura patologica? E in queicasi (li ignoro) in cui le conosciamo, forse che questaconoscenza basta per saperci additare una cura radicale?Oh! confessiamolo una buona volta! No. Se non che,questo è poi verissimo, che per una felice combinazione,di cui facile è il divinare la causa, i rimedi utili alla curadei sintomi più gravi giovano spesso pure alla cura delmale, di cui i sintomi sono solo i segnali od i compagni,e quindi quanti più sono i sintomi che noi possiamoalleviare, tanto più ci avviciniamo a curare radicalmentei mali.

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Istruzione popolare

Dialogo primo

La pellagra si cura

Tonia(contadina) E così che le pare a lei, signor medi-co, del mi’ uomo?

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Medico Che me ne pare? Pur troppo gli è preso dauna di quelle malattie che noi nominiamo tifo pellagroso,il che vuol dire essere fuori di ogni speranza. Mah! Se ciavesse pensato prima, quell’uomo sarebbe, ancora, collasua zappa sul campo, uno dei più forti lavoratori delvillaggio. Oh che almeno la sua triste sorte giovasse avoi, che cominciaste, a tempo, a curarvi della pellagrache avete indosso voi e il vostro figliuolo e non aspettastepoi a chiedere il mio soccorso quando è diventato inutile.

Tonia Oh sor dottore, lei vuol scherzare; per un po’di rutti che mi prendono dopo il cibo, per un po’ diprudore (smangiazon) alla schiena, per un po’ di scottorealle mani ed ai piedi, io dovrò andare a disturbare lospeziale e vossioria; e poi gli è che io ho da fare e dibuono. Il mio bimbo, poi; che ha? Gli è un po’ gialletto,ha un po’ di fame lupina, e, qualche volta, grida perqualche doloruccio di stomaco, ma tutto poi finisce lì.

Medico Oh! la mia buona donna, ma non vi ricordateche il discorso stesso faceva vostro marito, quando io glidiceva: Pietro, quel vostro occhio invetrato, quelle vo-stre vertigini (stordisca, balordone), quelle diarree (fluss),quelle spelature delle mani e de’ piedi, sono più serie as-sai che non credete... Ed egli scrollava le spalle, pove-retto! Oh! credetemelo; curarsi fin da principio vuoldir guarire e presto: non curarsi subito, vuol dire: nonguarire mai, vuol dire, pur troppo: morire.

Tonia Curarsi, curarsi! Lei ha un bel dirlo; ma comeposso farlo io? Mi piovono forse i salami dal granajo, o ilBarbera e il Chianti vanno a riempire il mio fosso? Comevuol, ella, che mi trovi io, se non la mi vien giù dal cielo,quella benedetta carne e vino, e latte, con cui loro dottorisuggeriscono che debbo curarla? Oh gli è proprio, chelei vuol scherzare con me, e intanto che sua moglie è insul cuocerle un buon pollo e forse delle pernici, la nonpensa che i polli noi li teniamo solo per venderli, – e di

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grazia. O che forse pretenderebbe, lei, che io andassi amendicare dall’un o dall’altro dei meno poveri del paeseun ajuto che mi farebbe venir rossa la faccia, senza perquesto farmi star meglio; perché la carità quella buonagente là non la san fare che una volta tanto, e il mio maleinvece dura sempre, e sempre dura il bisogno di rimedio.

Medico No la mia Tonia, non ho voglia di scherzare;e chi potrebbe averne il coraggio, alla vista di tantedisgrazie! Gli è, mia cara, gli è, che adesso in seguitoa certe esperienze fatte a Pavia, a Cremona e a Brescia imiei colleghi, hanno trovato un altro modo per guarirla pellagra, che è assai meno costoso e più adattatoalla tua sdegnosa e gènerosa povertà. Tu puoi tentarlosenza domandare la limosina a nessuno, e senza che ituoi mezzi t’impediscano di continuarlo; insomma è unrimedio al di fuori della cucina e che non ti guasteràquindi il borsellino.

Tonia Oh quale? mi dica.Medico Pel tuo bambino tu non hai da prendere

che una manata di sale, di quel sale che tu dài aglianimali, e facendola stemperare nell’acqua vi immolliuna spugnetta o due stracci di lino, con cui fai tuttii giorni due o tre fregagioni intorno alla schiena, alleascelle, al petto e al ventre del tuo piccolino e, dopodue mesi, vedrai il tuo Nanetto ridiventato il bel figliolodi prima, né il rimedio non ti sarà costato un gran che,perché il sale, che t’avanza, puoi darlo al tuo majale chese n’ingrasserà anch’egli. Quanto a te gli è un altropajo di maniche; io ti darò una cartolina che contieneuna piccolissima quantità (un centigrammo) di acidoarsenioso: tu la scioglierai in un mezzo litro d’acquabollita con un po’ di spirito di vino, e ne berrai trecucchiai al giorno; vedi che non la è cosa che ti costitroppo, anzi proprio non ti costerà nulla.

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Tonia Ma, signor dottore, la mi dica un po’: la cosam’anderebbe bene per un verso, solo che ho paura,io, de’ veleni; L’arsenico, misericordia! È quello cheammazza i ratti, e non vorrei poi fare la fine dei ratti,oh no! se lo tenga lei, quel rimedio lì, che per me mipare peggiore del male.

Medico Che! Che! La mia Tonia, e puoi credereche io abbia il coraggio di darti una cosa che ti facciamale? Gli è un veleno, e te lo ammetto io pel primo, main piccola quantità egli fa tanto bene, quanto in grandefa male. Vedi: il santonico anch’egli è un veleno se tune prendi molto, eppure tu lo dai in piccola quantità altuo bimbo, e non gli fa male. Eppoi, vuoi una prova,proprio palpabile, che così in piccola dose male ei nonfa? Prendi il miccino di casa e dagliene a bere unascodella di quell’acqua, e vedrai che non se ne sentiràpunto male, a rivederci te poi che sei grande e grossa ene prendi soli due a tre cucchiai. Se tutte le sostanze chein piccola dose sono velenose si dovessero bandire dallafarmacia, allora potremmo chiuder bottega.

Tonia Va bene, sor dottore, la cosa mi va, e doma-ni vengo io a prendere il rimedio; ma, di grazia, non po-trebbe esso giovare un poco pel mio marito? Quello lì,sì, che sarebbe il miracolo.

Medico Oh la mia Tonia! Quanto mi duole dovertidire di no. In quel caso lì non giova più, gli è la miadonna che i miracoli non succedono più, ma sopratuttonon succedono e non successero mai in medicina; e c’è diche ringraziare tutti i santi, se a furia di fatica s’è trovatoquel poco che t’ho detto, e va che te ne puoi contentare.

Tonia La mi dica un poco: Quella mia povera vicinadi nonna Paola: quella buona vecchia che trema tuttadella persona, che si lagna di quel foro dolori alle gambe,alle braccia e alla schiena, se ne prendesse di quella suapolvere, la guarirebbe lei?

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Medico Anche per lei mia cara, gli è un altro pajo dimaniche. Lì c’è di più, l’età, che ci fa guerra; e poi, aquella forma lì del male non giova più l’arsenico, gio-va un altro rimedio che anche esso costa assai poco, ilpiombo (acetato cinque centigrammi), se non che l’effet-to non è così sicuro né così pronto. Come ad ogni terra,secondo che e grassa o magra, si conviene un dato mo-do di concimazione, e all’una va bene la calce e all’altra ilconcime ordinario e all’altra il guano, così anche a voi al-tri poveri pellagrosi secondo l’età, secondo la forma delmale, conviene l’uno o l’altro rimedio.

Tonia E quando ci viene la diarrea che cosa dobbiamofare?

Medico Giusto appunto veh! Mel dimenticavo: laprima cosa per guarire dalla diarrea è di non bevereacqua o il meno che puoi, poi se ne hai degli spiccioli,lascia un po’ la polenta da un lato e comprati un quattrooncie di carne cruda di vacca e pestala, tagliuzzala benee poi inzuccheratala mangiatene un due volte al giorno...Ma tu dei denari non ne hai pur troppo, abbastanza,per queste cure, perciò gli è meglio che tu ti tenga allafarmacia, che per quanto la sia lesta di mano la nonti toserà tanto come fa la cucina. Dunque mandati acomperare un grano di mercurio dolce (calomelano) e ticosterà meno di un soldo; fatti dividere questa piccolaquantità in cinque parti, prendine una ogni due orefinche tu vedi che ti cessa il flusso, oppure se gli è estatefatti cadere dall’adacquatojo a una certa distanza unacorrente d’acqua sul ventre, e finalmente se tutto ciò nonti giova, prendi un po’ d’olio di trementina ed ungiteneil ventre una o due volte al giorno, e se tuttociò nonbastasse prendi un po’ di simaruba e fattene un decotto.A rivederci.

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Dialogo secondo

La pellagra si previene

Il Parroco Don Rebo e Luigi contadinoDon Rebo Oh! Luigi, la sai tu la novella, che mi ha

raccontato, testè, il dottore Marenghi? E pensare che ioera le mille miglia lontano da quella idea!

Luigi Mi dica, mi dica, don Rebo.Don Rebo La novità eh? È che i dottori di lassù pare

che abbiano trovato la causa della pellagra.Luigi E dove l’hanno trovata?Don Rebo Nel grano turco.Luigi Oh la bella nuova che lei mi racconta. E’

son mill’anni che l’hanno detto. Ma ci venissero purea dirmelo tutti i dottori di Bologna e Pavia a ripetermelo,io per me non ci credo un’acca. Quanti e quanti nonv’hanno che mangian polenta tutto il giorno e non hannopellagra. Eppoi, anche, se fosse vero, e che me nefarebbe? Dove trovare un piatto che costi meno per lanostra povera gente di campagna? Oh se quei signorilassù non sanno scoprir altro farebbero meglio invece diinzaccherare le carte col loro inchiostro di venirci a dareuna mano loro alla nostra vanga.

Don Rebo Ma, mio caro Luigi, se tu mi smezzi laparola in bocca avrai certo ragione tu; lasciami finire unpo’.

Io voleva dirti come quei signori hanno trovato che lamalattia è causata dalla polenta, quando questa sia gua-sta, sia perché la tempesta l’abbia tocca prima del raccol-to, sia perché stando nell’aja abbia sentito gli effetti dellapioggia, sia perché nei granai poco ben riparati o troppocaldi abbia sofferto di bolliture nell’estate. Ora se è im-possibile impedire al nostro povero popolo di mangiaredella polenta, perché bisognerebbe anche dargli dei gran

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denari, ed i dotti ne hanno pochi e più poca voglia di re-galarne, tu vedi che a impedirgli di mangiare della po-lenta marcia, solo che il Sindaco ci metta un po’ le mani,non sarebbe difficile.

Luigi Ho una difficoltà, don Rebo, io vedo la miabuona Rosina che mantiene i suoi pollastri allegramente,colla polenta marcita e non mi risulta che se ne siano maitrovati male.

Don Rebo Prima di tutto la tua Rosina non dà lorosempre polenta guasta e fa loro regalo di scorze di frutta,di verze, e poi senza il suo ajuto e’ sanno trovare de’vermi e ne fanno delle corpacciate, e poi li mangi, tu,tutti i pollastri della tua Rosina?

Luigi Eh! per me non ne mangio nemmen uno, edessa meno di me.

Don Rebo Ebbene, quando tu li venditi togli il mododi verificare come e’ finiscano e che pro’ i faccia loroquel tuo cattivo grano; anzi mi diceva giusto il dottore,che per provare come il granoturco cattivo faccia venirela pellagra l’hanno dato appunto ai pollastri per moltotempo: e dopo due mesi, al più, erano divenuti magri,spiumati, colla cresta bianca e bassa e beccolavano collatesta da un lato, e s’inceppavano nelle gambe che era unacompassione a vederli.

Luigi Bene, don Rebo, lei ha ragione. Ma, mi dicaun po’ di grazia, lei sa che buone lane sono il fornajoRampigni e il mugnajo Sgraffotti: come vuole impedire,lei, che e’ mescolino del grano marcito in mezzo al sano,quando noi portiamo loro il nostro raccolto per ridurloin farina o in pane. Ella sa che essi hanno l’uso di pagarsitenendosene per se una porzione, e fin qui han ragione;– ma il grosso del guadagno poi lo cavano dal mescolarela farina cattiva colla buona, e peggio nel restituire farinacattiva per farina buona.

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Don Rebo Te l’ho già detto, che per una parte ciprovvederà il Sindaco, ma poi m’hanno detto che hantrovato un segreto di fare un pane colla polenta che cisalverà dalle frodi del mugnajo e del fornajo quando ilSindaco non ci sappia o voglia metter lo zampino. – Eccocome si fa –.

Tu prendi, oggi, il grano che occorre per il pranzodel domani, mettiamo due chili; lo lasci macerare perun diciotto ore nell’acqua, con uno spizzico di calceviva, quindi lo lavi ben bene e il pesti sopra una polveresimile a quella dei cioccolattieri, ma più piccola dellametà e senza strie, e che costa al più 4 lire, la pesticon un cilindro o bastone pure di pietra: il grano che ègià rammollito dalla concia della calce, dopo una similepestata si riduce in una pasta: con questa tu farai dellesfogliate che si mettono a riscaldare sopra una lamina diferro o un tegame con della brace sotto, e ti vien fuoriun piatto che è molto migliore del pan giallo poiché hail sapore delle nostre chicche di maiz o fioreu. Ecco checosì facciamo a meno di fornajo e di mugnajo e rendiamoimpossibili i loro inganni perché potremo lavorare collanostra farina. Nota bene che pare anche che con questapreparazione, se il maiz è d’un qualche poco guasto, nonproduce più i brutti effetti di prima e che la spesa èminore anche perché così di legna ne brucieresti meno.

Luigi E una bella novità quella che mi racconta, maa me piacerebbe più che ella m’insegnasse il segreto,perché il granoturco non si guastasse.

Don Rebo Oh si conosce già da un pezzo. Bisogna farsì che non entri ne’ granai, se non bene essiccato; quindise tu puoi far fare dei forni essicatori dal padrone, nien-te di meglio; se no, lascia una volta da banda quel maizquarantino che dà più danni che non porti vantaggi eche non finisce mai di maturare. Di più fatti fare un’a-ja proprio di pietra e intorno dei porticati ove ritirare il

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maiz quando la stagione si metta sul piovere. Ritirato-lo in casa sgranalo, non più coi bastoni, ma coi gratug-gioni o con qualche macchina, se denari ne hai di pren-derla; che se piccolo è il tuo raccolto e su quello sia pio-vuto puoi esporre le pannocchie al sole in tanti telai fin-che siano asciuttate. Nei granai guarda che non filtri ac-qua, che non vi sia troppo caldo in estate ad ogni mo-do quando è gran caldo facci prender aria al tuo grano,ventalo. Un certo Valery ha inventato una certa cassa ocilindro per mantenere e ventilare il grano che si ridur-rebbe di 560 volte, la spesa di ventarlo e mantenrlo neimagazzini. Ma il padrone è avaro e non vorrà comprar-la, e intanto tu potresti, quando temi che il tuo maiz bol-la o sia per guastarsi per l’umidità prenderla a nolo comesi fa coi brillatòj del riso. E nota che con questo otter-resti di snidare quelle migliaja di bestioline (curculii) chedivorano il grano a man salva.

Luigi Ma come si fa egli ad accorgersene sul principioche il maiz stia per guastarsi?

Don Rebo Al naso, agli occhi, al tatto. Quando co-mincia a fermentare si sente un umido e caldo da nondire, mettendo la mano nei cumuli; poi, quando ha giàfermentato si vede uscir fuori dal grano una radichettae comparire una macchiuzza o verde o azzurra e il maizperdere il suo bel colore d’oro e tutto raggrinzarsi e di-venire meno pesante e dare un odore che non è più quel-lo della polenta cotta. In questo caso bisogna venderloa quelli che fanno gli spiriti, oppure mescolato a moltosano darlo agli animali, e in ogni modo averne paura dimangiarlo, come se fosse proprio (e tale egli è davvero)un veleno.

Luigi Ora ho capito. Eh! per me, a mangiarne, non mici colgono più! anzi, le dirò il vero, che non mi sento piùil coraggio di darne nemmeno alle bestie, perché sebbene

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non sieno cristiane io ci voglio bene a loro, poverette,come se fossero di casa mia.

Molti al leggere sì grosse cifre si saranno detto: Per certodi un male così atroce, che ha messo radici sì salde enumerose per entro alle viscere dei nostri popoli, gliscienziati avranno ormai approfondito per bene le cause,ed un Governo nazionale come il nostro avrà fatto ognisforzo possibile per torle di mezzo.

Nemmeno per sogno! Il Governo ha ben altro pelcapo; e quanto agli scienziati, per questi la bisogna èancora più difficile.

Infatti il male data dall’epoca dell’introduzione delmaiz, come ordinario alimento; esso si osserva limitatonon già a quei soli paesi dove questo cereale più abbon-dantemente si coltiva e si usa, anzi si abusa (Messico, Pe-rù, ecc.), ma a quelli dove per le pioggie, inondazioni,umidità, esso più facilmente si guasta34.

Gli uomini, che non hanno la ventura di andare per lamaggiore, concluderebbero, subito, che dunque è il maizguasto il padre vero della pellagra. E così dissero quegliosservatori che assistevano, vergini di ogni teoria più omeno fantastica, alla sua prima comparsa, come il Guer-reschi, il Chiarugi, il Sette, il Sachero, ecc.; così s’ingegnòdimostrare il Ballardini, fino dal 184035, facendo amma-lare dei polli, cui nutriva di maiz guasto, e che si fecerotristi, spennacchiati, paralitici.

Questo illustre esperimentatore, anzi, avendo col Ce-sati osservato un certo fungo nuovo, cui chiamarono losporisorio, vegetare di frequente in quel grano tanto fa-tale, credette, propriamente, che solo da quel fungo siderivasse la pellagra.

Ma simili spiegazioni erano troppo semplici e chiare,perché vi si acconciassero le sottili e vanitose cervella deifalsi eruditi; per essi ci volevano di quelle ragioni astru-

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se, recondite, tali, che il volgo non ci raccapezzasse nul-la, e meno ancor se ne potesse giovare. – Non si ha no-mea di scienziati per poco! – Ed eccoli all’opera, costo-ro, e abbandonando la sicura ed unica strada dell’espe-rimento e delle osservazioni, inaugurata dal grande Bre-sciano, si danno a spigolare, fra le pagine polverose del-le biblioteche, pochi casi studiati senza metodo, ed anzicon quello guasto dalla prevenzione o dalla fantasia, dimalattie simili alla pellagra, e vergini da uso del maiz, equindi ad arzigogolare le più strane e ridicole spiegazionisulle cause di quel morbo, dallo scottore del sole (pove-ra Sicilia!), all’onanismo (poveri seminari!), all’inanizio-ne (collo stomaco e intestino dilatati e colle urine alcalinee scarse di urea, poveri fisiologi!), all’abuso del vino (po-veri osti!), fino alla sifilide, alla lebbra, fino a certe muffecrittogame che piovono, giù, giù, dall’alto delle capannesul desco dei contadini!! Vi ebbero, perfino, degli spiri-ti bizzarri, i quali dopo molti e lunghi studi riescirono ascoprire che la pellagra non esistette mai.

In mezzo a tanta confusione, non saprei o vorrei dire,se originata dalla troppa scienza, o dalla troppa ignoran-za, un partito prevalse per qualche tempo in Italia, gra-zia alla temperanza ed dottrina non comune de’ suoi ca-pi, il Morelli in Toscana, il Lussana in Lombardia36; essinon negavano più che un rapporto ci corresse tra la agraed il maiz, ma se lo spiegavano con una certa loro analisiquantitativa del maiz, per cui questo appariva più scarsodi azoto di tutti gli altri cereali, scarsezza tanto più per-niciosa perché l’abuso degli esercizi muscolari richiede-va, secondo loro, più consumo di azoto nei contadini chenegli altri uomini meno accalorati dai lavori.

Se non che la verità, per quanto si infreni e imbavagli,finisce poi sempre per farsi strada dovunque; e più tardiRoussel, Typaldos, Costallat, Hebra37 fra gli stranieri, equello che più monta Manassei, Maggiorani, Michelacci,Pelizzari, Cipriani, fra noi, constatarono che quella teoria

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tanto auspicata era più ingegnosa che giusta, comeché diazoto scarseggino assai più le patate ed il riso; e del maizsano ed asciutto si usasse ed abusasse impunemente daicoloni d’America e dai Borgognoni e Rumeni, tutelatida opportune precauzioni igieniche; aggiungevasi chequella famosa divisione Liebighiana degli alimenti, sucui tanto poggiavansi gli avversarii, era stata in granparte abbattuta da Moleschott, e ad ogni modo l’analisichimica quantitativa del maiz38 non confermava quellatanta sua scarsezza in azoto di cui l’accusavano e chefinalmente dagli esperimenti di Voit e Pettenkoffer eRank riescì dimostrato per gli esercizi muscolari essernecessari quasi altrettanto i carburi del sangue (onde vacosì ricco il maiz) quanto gli azotati.

Doppoiché venne così appianato il terreno, facile riu-scì al dottore Lombroso di fare un passo più innanzi39.

Il Lombroso fece ricerca per le campagne dell’alta Ita-lia di maiz guasto, ne comparò la frequenza a quella del-la pellagra; ne compose una tintura che somministrò inpiccola dose a ben quaranta individui, a dodici dei qualiper varii mesi di seguito, ed ecco manifestarsi nella mag-gior parte di essi (alcuni rimasero indifferenti), ad unoad uno, i tristi sintomi della pellagra; era, ora una voraci-tà incessante, che costringeva i poveretti a mangiare del-le dozzine di pani in più, ora un ribrezzo del cibo, e bru-ciori di ventricolo, scottore e prurito agli arti; in pochi,anche, disquammazione, stizzosità senza causa, dimagri-mento, profluvio, e tale debolezza da strascinarsi le gam-be, e non potere sollevare i soliti pesi, e un piacere sì vivoa tuffarsi nell’acqua, ed a contemplarla, da spiegare trop-po bene quell’idromania, che è veramente il più spicca-to sintomo dei pellagrosi. Né l’arrostitura né la mistionecoll’alcool, né una superficiale bollitura giovavano pun-to a spogliare il maiz guasto dei suoi malefici effetti; nonvi si riusciva che facendolo bollire a 120° con calce viva,e poi riarrostendolo nel forno.

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Voi sarete certo curiosi di conoscere a quali mutazio-ni dell’interno del maiz si debbano tante sventure. L’uo-mo che ha bisogno, quando si trova dinanzi a una se-rie di fatti, di riattaccarli al più presto a qualche cosa diconcreto, in mancanza d’altro, si appiccica al più appa-riscente fenomeno che gli si para dinanzi; perciò aven-do il Lombroso rinvenuto, di frequente, nei grani esperi-mentati, quelle macchiuzze verdi, o bluastre, che il Bal-lardini attribuiva allo sporisorio, crede anche egli sulleprime si trattasse di questo fungo; ma uno studio accura-to gli mostrò come quelle tali macchiuzze eran prodotteda certe muffe comuni, che crescono su tutte le sostan-ze organiche irrancidite, che noi ingoiamo le mille voltein un anno, senza provarne noia, cioè al penicillum glau-cum; per maggiore sicurezza ne raschiava dai grani i pul-viscoli fungosi, e se li iniettava sotto la cute senza aver-ne alcun danno. Qui dunque il fungo era solo l’indizio,forse l’effetto della malattia del grano, ma non la malat-tia stessa, la quale meglio si distingue da un certo colorbigiastro, dal sapore amaro, da un odore vinoso, e dallapresenza frequente di cellule di fermento, [...]

Anche coll’olio di maiz del commercio, ottenuto dacereali poco sani, si provocò nei cani diarrea, rifiuto deicibi, vomito, sbalordimento; e nei pulcini sonnolenza,diarrea, rifiuto del cibo, e quello che più riescì curioso, atre galli, dopo 51 dosi, desquamazione della cresta e deibargigli, apatia, tempellamento, calore aumentato (44°),schifo del cibo e convulsioni cloniche o coree del capocon tendenza ad andare a ritroso e difficoltà notevole alsalto, sicché parean ubbriachi.

Dalla distillazione della tintura si ottenne, oltre ad uncorpo resinoso, affatto inerte, che esiste benché più scar-so nel maiz sano, una certa sostanza rossa, venefica, concaratteri alcaloidei40, che somministrata ai pulcini pro-dusse diarrea, dispnea, paralisi degli arti inferiori, con-vulsioni toniche e morte; nei galli adulti, dispnea, immo-

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bilità, diarrea, paresi dell’ali; nei cani, sonno, diarrea, se-te, rifiuto dei cibi, diminuzione del peso; in un uomo,stordimento, nevralgie, nausee, diarree, schifo del cibo,fenomeni che passarono coll’uso del vino; in un altro, unsenso di peso al basso ventre, bruciore alla gola, perditadell’appetito, prurito, tristezza, onde fu chiamata sostan-za tossica del maiz guasto.

Tanto l’olio irrancidito, esternamente, ma più ancorala tintura, internamente, mostrarono un’efficacia notevo-le in alcune malattie della pelle. Sopra 15 affezioni cuta-nee (psoriasi, eczema) curate colla tintura, 8 guarirono,5 notevolmente migliorarono e due resistettero.

La pubblicazione di questi fatti ha destato nel mondoscientifico di alcune provincie d’Italia, dove non si cre-dette mai alla perniciosità del maiz guasto, una speciedi reazione, quasi si trattasse di una vera eresia scienti-fica. E perfino un corpo scientifico di una cena rilevan-za, avendo fatto rinnovare quelle esperienze41, conclude-va in senso precisamente opposto. Anche un fisiologo,molto in fama fra i più, le ripete ad una ad una e contutta certezza le dichiarava falsate.

Tuttavia pensando che un tanto divario non potevaesplicarsi senza una qualche differenza nelle preparazio-ni del veleno, il Lombroso ritentò le prove con mezzi piùperfezionati, associandosi l’Erba, uno dei chimici più va-lenti della Lombardia, e ne ottenne preparati, che ben-ché ancor differenti nell’azione a seconda delle condizio-ni atmosferiche, pure erano così potenti da rendere im-possibile ogni obbiezione ulteriore42.

Ma voi direte: Se il maiz guasto è causa della pellagra,perché non ce l’accennano mai i colpiti; e perché vi ètanta difficoltà a rintracciarne? La causa del silenziosi deve cercare nella vanità, nell’ignoranza, nella troppadocilità dei consumatori, e nella tristizia dei venditori;di maiz ammorbato se ne trova per ogni fondaco, mail triste mercante o custode non ne rivela facilmente il

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segreto, perché altrimenti mal riuscirebbe a rivenderloper buono mescolandolo col sano o facendolo passaresul gesso.

L’ignoranza, del resto, del contadino a questo riguar-do non desterà meraviglia ai medici che sanno quantosulle cause dei proprii guai l’uomo sia inclinato ad in-gannare sé ed altri; quante mamme di scrofolosi non ciaccennano a certe pretese cadute o paure come a solacausa delle piaghe dei loro bambini!! – Che sarà qui ovela causa era controversa anche fra i dotti; e dove a dif-fondere l’errore molti medici erano spinti dalla comodascusa che vi trovavano alla loro colpevole inerzia!

Ciò malgrado, Lombroso trovò 42 pellagrosi su 472che accusavano il maiz guasto come causa del loro male;e non è raro sentire i contadini della bassa Lombardiachiamare il maiz col funereo appellativo di grano dellapellagra, ed anche solo di pellagra, e nella Relazione dellaCommissione Mantovana si accennano a 14 Comuni oveil maiz guasto si accusa dai Sindaci come causa dellapellagra.

Ma come accade egli, se i popolani se n’accorgono,che seguitano a mangiarne?

È troppo facile il rispondere! Per suprema necessità;per mancanza di altro alimento, per la docilità singola-re, troppa, dei nostri coloni, che credono non aver dirit-to a rifiutare il maiz guasto loro distribuito per dispensadai padroni; e quando ci si provano, vi rimettono il fia-to; per es. in Albignola il carrettiere Binasco andava, nel1861, in giro a comperare maiz guasto che poi distribui-va ai suoi lavoratori, certi Bindolini, Essi protestaronoche l’avrebbero mangiato se l’avessero colto loro a quelmodo, ma che essi avendolo raccolto sano volevano usa-re solo di quello là! Ma fu fiato gittato; che egli disse loro(io ripeto, frasario di quei poveri contadini): «O mangia-re questa minestra o saltare questa finestra, cioè andar-sene via». Ed essi tutto l’inverno mangiarono maiz gua-

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sto, ed ora sono pellagrosi. Peggio ancora poi va la biso-gna pei mendicanti, ai quali una carità crudele, venendoa patti coll’avarizia, fornisce il maiz più guasto che abbiala prudente massaia43.

Cura Se non che tutti questi dati sull’origine dellapellagra non risolvono, per nulla, il problema, che piùdeve starvi a cuore, quello della cura. Si affermavadai vecchi pellagrologhi, ed era in parte vero, il migliorrimedio per quegli infelici essere l’uso della carne e delvino, ma questo era più facile a dirsi che ad eseguirsi; ilpoveretto, a cui, dal comodo seggiolone, si davano questiconsigli, non poteva metterli in pratica, e se l’avessepotuto non avrebbe aspettato chi glieli suggerisse.

Ma, intanto, poggiandosi su quelle idee esclusive, ilmedico del villaggio, che non aveva a sua disposizione lecucine di Lucullo, o di Talleyrand, scoteva tristamentele spalle a chi nel richiedeva di aiuto, e lo rimetteva al-la mercé di una pietà, problematica spesso, e provviso-ria sempre. Il malato medesimo, ben sapendo che quellatal cura non era alla sua portata, lasciava, con disperataapatia, percorrere il morbo fino all’ultimo stadio, e tra-piantarsi nell’infelice sua prole. Il Lombroso, dopo lun-ghe prove, giunse a trovare alcune sostanze che avevanovirtù d’arrestare il morbo nei suoi primordi, senza averricorso agli amminicoli troppo dispendiosi della cucina.

Fra queste mostrarono maggior efficacia l’arsenico ne-gli adulti; il sal di cucina negli impuberi, l’acetato dipiombo nei vecchi, il cocculo nelle vertigini, l’amica ed ilcalomelano nelle diarree.

Ma qui non è tutto color di rosa, come parrebbesulle prime; gli è che una parte di questi, guariti appenada un veleno, non acquistavano punto l’immunità daun secondo avvelenamento; come un bevone a cui unabuona dose di oppio abbia levato le fisime del vino, nonresta meno esposto a subirne gli effetti, appena ritornialla bottiglia.

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L’istituire, adunque, semplicemente, la cura farmaco-logica, senza associarvi la preventiva, è un rinnovare latriste impresa delle Danaidi. Per fare una vera cura radi-cale bisogna salire più in alto. E qui forse cadrà in mentea qualcuno il vecchio ritornello dell’abolizione della col-tura del maiz! – Ohibò! – Voler impedire quella coltiva-zione non sarebbe solamente inutile; ma assurdo; arieg-gierebbe uno di quei consigli, che a mo’ delle grida spa-gnuole, ed anche di certi decreti moderni governativi, co-minciano e finiscono la loro parabola su quel foglio dicarta su cui furono dettati.

Il maiz, per la facilità di propagarsi con pochi semi,per la copia di foraggi e combustibili, che fornisce col-le sue foglie e col suo stelo, per la ricchezza di sostanzegrasse ed azotate che contiene, è un vero tesoro pel con-tadino, il quale deve ad esso, se, da mezzo secolo in qua,non subì più quelle terribili carestie, che lo decimavanonei tempi trascorsi.

E poi, se tuttociò non fosse, già, non baderebbesi,punto egualmente, ad un tale consiglio; tanto lontano ediscrepante suol essere l’umile pratica dalla troppo aulicadottrina dei libri.

Ben più facilmente vi si riescirebbe attuando certemisure che non turbano ma temperano e migliorano lecondizioni della coltivazione maidica; adattandole, peres., alle varie specie di terreno; sopprimendo il sessantinoin tutti, e il cinquantino pei montanini; introducendo inquesti il maiz eliplicum aureum ed il umilio; nei paesifreddi, quando il maiz non sia maturato, al tempo delraccolto, lasciandolo in pannocchia, e non adoperandoloche per foraggi, e sempre sgranando le pannocchie alcoperto (e cogli sgranatoi meccanici o col grattugione),essiccandole al sole, o coll’aeroterme, ecc.

Sopratutto convien provvedere all’acquisto di buonimagazzini meccanici, laddove il terreno umido non per-metta l’uso dei sili; i migliori magazzini sono quelli del

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Valery, di Demaux, i quali non solo proteggono il maizdalla umidità, dalle offese dei sorci, degli uccelli, e deglialluciti, ma permettono la ventilazione continua, il tuttocon un risparmio che può stare in confronto con quel-lo dell’ordinario magazzinaggio, come 1 a 560, se si usi ilvapore, e come uno a 56 senza il vapore.

Quando l’igiene s’accoppia ad una economia di tan-to rilievo, il vantaggio mi par troppo perché non si deb-ba passar sopra a quella libertà economica, che qui si po-trebbe chiamare libertà di far male. Se il Governo dun-que trovasse modo di obbligare e incoraggiare i Comu-ni più colpiti dal morbo a provvedersi di questi appa-recchi per subaffittarli ai proprietarii, gioverebbe nellostesso tempo all’igiene e alle finanze della Nazione, co-me gioverebbe a se stesso ed al paese impedendo con se-vere misure la vendita al minuto della polenta ammuffi-ta, vendita spesso protetta, alle volte perfino eseguita daisuoi diretti rappresentanti, dai Sindaci.

E converrebbe ancora favorire l’erezione di molini edi panifizi cooperativi per salvare i contadini dalla frodedei fornai e dei mugnai, e proibire l’uso dei pani troppogrossi e popolarizzare quelle nuove confezioni alimenta-rie col maiz ancor immaturo, che tanto son gustate nel-l’America del Sud, come pure le industrie che possonotrarsi col maiz immaturo, specialmente quelle degli spi-riti e dell’olio; quest’ultime sopratutto sarebbero di ra-dicali giovamenti, perché nella grande quantità raccoltanella porzione embrionale del grano sta certo una del-le precipue ragioni del facile infracidamento, e spogliatadell’olio, la farina si può conservare assai più a lungo sen-za guastarsi. – Ed ecco perché io vo altero di aver sco-perto le proprietà antierpetiche e cosmetiche dell’olio edella tintura di maiz guasto44, che una volta applicati ingrande scala spero potranno deviare dai commerci moltepartite di maiz putrefatto.

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Nel caso in cui tutte queste misure non approdino, eche sia impossibile, o meglio che non si voglia impedirel’uso del maiz ammuffito, si faccia esso bollire nella calceviva a 120°, e rilavatolo lo si arrostisca del forno.

E appena si sviluppano gli effetti di quel tristo cibo,a spese del Comune il malato sia sottoposto all’uso dellesostanze trovate utili nella cura della pellagra; come l’a-cido arsenioso negli adulti, il cloruro sodico nei fanciulli,l’acetato di piombo nei vecchi, il cocculo nei vertigino-si; l’arnica ed il calomelano nei diarreici. Il Comune fini-rà per trovarvi un vantaggio economico, poiché moltissi-mi che la spesa di pochi centesimi può rendere alla sani-tà ed al lavoro, resterebbero poi a suo carico, per miglia-ia di lire, quando il loro male fosse divenuto cronico edincurabile.

Pur troppo, però, chi è pratico delle nostre condizioninon può sperare di veder mettere in opera neppure unadi queste misure; la indifferenza governativa, per quan-to non sia questione politica, il poco ascolto concesso aiconsiglieri di sanità pubblica, la cocciutaggine del conta-dino, la complicità dei proprietari, l’impotenza dei me-dici della campagna, sono ostacoli innanzi a cui l’uomopiù tenace deve crollare la testa, deplorando fra sé e sé lacolpevole negligenza di tutti, e sopratutto di quelli che siproclamano gli amici del popolo. Mi si permetta di dir-lo! Quando io visitava le campagne di Lombardia e del-le Romagne e del Veneto guaste dalla pellagra fino nellenascenti generazioni, quando vi vedeva i colpiti rifiutarsiai miei consigli, e sospettarne come di un malefizio, e gliospedali intanto respingerne l’accettazione, e gli uominidi governo sorridere alle mie proposte profilattiche, iomi ricordava e non senza dolore come un secolo fa, nongià dei governi nazionali e liberi come il nostro, ma stra-nieri e dispotici, avevano piantato nel centro della Lom-bardia un ospizio per la sola cura dei pellagrosi, e comefino agli ultimi anni del loro dominio essi esigessero ac-

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curate statistiche dei pellagrosi, e istituirono Giunte co-munali che dipendevano direttamente dalle Delegazioniprovinciali per soccorrere i pellagrosi a domicilio; ricor-dando tutto ciò molte volte mi sentii scoppiar dal pettoun senso di sdegno contro certi declamatori che si camuf-fano da filantropi, affaccendati a proteggere gli sbraitan-ti lazzaroni delle bettole cittadine, quasiché costituisserosolo essi tutto il popolo, e che nulla fanno per sollevaredalla triste endemia, che le guasta nelle midolle, le benpiù laboriose ed oneste falangi delle campagne.

Nulla di strano che queste classi, dimenticate tanto danoi, ci sconoscano alla lor volta; esse che non videromai rivolti a loro i nostri sguardi. Bisogna adunque,per persuadere a curarsi il contadino, riuscire, meritaredi conquiderne l’animo colle opere buone, colle cure adomicilio, colla vigilanza sullo spaccio del maiz guasto.

Una volta che è dimostrato esser questo un veleno,il Governo è in diritto, in dovere, di agire, rapporto aquesto, come per la segala cornuta, come per le carniguaste e trichinate, di cui tutti convengono si debbavietare lo spaccio e a cui pur si provvede con zelo perchéchi ne usa di più non è la plebe muta dei campi, ma laoziosa e ricca e turbolenta delle città.

D’altra parte, una volta che all’avido proprietario nonriesca più così facile di smerciare il suo maiz guasto, sidarà attorno per impedirne l’ammuffimento, e introdur-re aie di pietra, e forni, e magazzini, e macchine di Vale-ry.

L’avarizia, la docilità, l’ignoranza del contadino, quan-do egli sia posto in avvertenza, saranno vinte, alla fine,dalla paura della morte e della malattia, sicché finirà colprovvedere alla propria salute rifiutando il grano ammor-bato, denunziandone all’Autorità gli offerenti, e quandoin altro modo non possa, emigrando in terre più ben go-vernate o più ospitali, ultima, benché tristissima, questa,valvola di sicurezza tra l’igiene ed il libero scambio.

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Un appello accorato

Dopoché una poco lusinghiera esperienza mi ha dimo-strato che i miei pesanti volumi sulla pellagra non sonoletti da alcuno, nemmeno da quelli che vogliono combat-terli o riassumerli, mentre gli articoletti critici, o, polemi-ci, adattandosi alle svogliate intelligenze dei più e solle-ticandone, per il lato più triste, l’acre curiosità, riesconoa farsi strada e scuoterne la triste apatia, io mi sono fattouna legge che, in cuor loro, devono maledire tutti i diret-tori di giornali e riviste, ma che seguo colla irremovibi-le tenacia del monomane inglese: quella di rispondere atutte le obbiezioni che vengono fatte alla mia scuola pel-lagrologica, e criticare tutte le memorie che abbiano ap-parenza di serietà e s’allontanino, anche di qualche linea,da quella carreggiata che l’esperienza antica o la vanità il-lusa che sia mi fan credere l’unica buona per domare franoi quel triste flagello.

Non è a credere quindi che io possa tacere quando mitrovo dinanzi una memoria come la sua redatta, in ungiornale così diffuso e rispettato, con tanta erudizione econ tanta disparità dalla meta che mi sono prefissa.

E cominciando dalla quistione più vitale che ci divide,Ella crede che il mio concetto (secondo cui le forzedel governo debbano concentrarsi solo sulla proibizionedell’uso del maiz guasto) sia troppo ristretto e troppopoco applicabile in linea amministrativa.

Ella pur reputando, come parmi, la melica guasta, lacausa principale del morbo, non vuole se ne dimenti-chino le cause secondarie, predisponenti, che se non er-ro, a Lei paiono più facilmente redimibili, tanto più checon ciò si migliorano le condizioni generali, igieniche, delpaese.

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Ora io non disconosco la ragionevolezza delle sue con-clusioni; ma non perciò meno persisto nelle mie perchéuna sperienza oramai inveterata mi prova che in tutti imorbi influiscono è vero delle cause indirette oltre alledirette specifiche; ma che appunto quando si riesce a to-gliere codeste ultime si giunge molto più presto e più si-curamente alla meta.

Così, per esempio, accadde per lo ergotismo, di cuiè vera e sola causa la segala cornuta; e pel cretinesimoin cui la vera causa è nell’acqua, e per la malaria, le cuicause sono le putrefazioni vegetali!!

Quante volte, non se ne vollero eliminare solo le causeindirette, la miseria, le abitazioni e per la malaria, inispecie, la mancanza del vino, delle carni, osservandocome i ricchi ne andavano esenti! – Ma se eliminandole cause indirette si ottenne qualche parziale trionfo maivi si riuscì come quando si seppe attaccare il male allaradice, togliendo cioè la segala cornuta, sopprimendole fonti malefiche, calcari, ecc., essiccando le paludi, ocostruendo le abitazioni per modo che meno vi potesseronuocere.

Ed ancora mi accomoderei di buon grado a questemisure se non avessero a mio giudizio, il doppio torto dideviare l’attenzione dallo scopo non solo, ma di sottrarrei mezzi necessari a raggiungerlo.

Come si può sperare che il padrone onesto, ma ava-ro, il quale somministra melica guasta ai propri conta-dini e così li avvelena, possa ritrarsi dalla triste impre-sa, con danno dei propri interessi, quando nessuna pro-va palpante gli si somministri che quella è la sola veracausa del morbo? E come sperare che i privati e i cor-pi morali e il governo stesso possano provvedere sul se-rio alla pellagra quando invece di limitarsi ad una misuracosì semplice e così eseguibile come quella di far scema-re l’uso dei cereali guasti debbano pensare a migliorarele abitazioni e le acque, ad introdurre tutta una serqua di

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nuovi alimenti e condimenti; quando debba provvederenon ad una ma alle centinaia di concause che veramen-te contribuiscono a rendere più dannoso l’uso delle me-lighe avariate, come la malaria, l’abuso dei salassi, l’abu-so dell’acquavite, dei cibi salati, la miseria, la scarsezzadel vino?

E notisi poi (e questo è l’essenziale), che alcuni di taliprovvedimenti, precisamente quelli in cui più insistonocerti comuni e provincie, ed anche pur troppo m’è forzail dirlo, certi uomini di Stato, come di cambiare le acquee le abitazioni, mentre hanno un rapporto ben scarso equalche volta affatto nullo, il primo, colla pellagra, sonopoi d’una esecuzione così difficile in realtà, che quandosi volessero attuare finirebbero per spossare i bilanci na-zionali, e far nascere, dopo verificatane la impossibilità,un completo e disperato abbandono della vera cura dellapellagra.

Come filantropo e statista, Ella illustre signore, ha pie-na ragione di dire: «Ma intanto però se ciò si facesse, sa-rebbe assai bene anche per l’igiene dei più», ma quandoil farlo non è possibile e quando il tentare di farlo intan-to mi distoglie dai provvedimenti più pratici non devocredere il suggerimento un errore?

Ella però soggiunge che qualche consiglio provincialeo qualche corpo morale ha già fatto delle pratiche inproposito. Ma sa cosa? Essi hanno fatto, sì, moltee molte ciarle; hanno nominato delle commissioni lequali non si sono coperte di ridicolo che per una solacausa, perché nessuno vi ha badato tranne il sottoscrittonell’umile ed ignorato suo Archivio45.

Ed infatti come, Ella così pratico e saggio uomo, puòcredere che sia una bagattella il cambiare le acque nondico di una regione ma anche di un solo distretto? Iole potrei in prova addurre questo solo aneddoto. In unagrande provincia che ha molte vallate infette da cretinesi-mo e gozzo, mali di cui veramente la causa principale è la

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condizione delle acque, in cui dunque il mutare le acqueè essenziale, io feci la proposta di introdurre dei pozzi; ela non si accolse nemmeno per uno dei centri più infettie più popolati. Tanto ne parve spaventevole la spesa!

E poi mettiamo la impossibile ipotesi che queste acquefossero tutte mutate, che le case fossero divenute tantimodelli di nitidezza igienica, consumando perciò nel bi-lancio il ventuplo di quanto occorrerebbe per mutare icereali avariati in cereali sani, siccome tuttociò non po-trebbe che lenire le apparenze del male e non togliere lasostanza, non pensa Ella quanto griderebbero poi queicomuni e provincie che fossero venute in tali risoluzionisenza vedere risultati corrispondenti agli enormi dispen-di?

E come riescirebbe Ella poi ad indurle a fare l’altraspesa che è la più necessaria per la soppressione dellemeliche guaste, per gli essiccatoi, pei forni cooperativi,per la cura arsenicale?

Che se queste misure le appaiono difficili ad attuare,cosa non dev’essere se invece di queste volesse attuarequelle altre, la cui spesa non è nemmeno prevedibile e icui risultati lo sono ancor meno?

Ella mi dirà: «Ma le difficoltà di proibire il maiz gua-sto non sono elle gravissime, peggiori ancora di queste?»No. Esse sono gravi, gravissime, ma non di impossibi-le esecuzione. Quando si vede che la differenza di prez-zo tra la melica sana e la guasta non sorpassa le tre lire alsacco vi è da meravigliare come tra i provvedimenti cosìinconsultamente suggeriti dalle provincie, non figuri maiuna volta quello del cambio di codeste meliche. Eppureesso è più facile che l’aprire un pozzo artesiano o il rifareun migliaio di case46.

«Noi non possiamo entrare nella casa privata del con-tadino per impedirgli che ne consumi, Ella dice, ed ioammetto che per ignoranza o per avarizia molte volte egline faccia uso». Ma quali, replico io, provvedimenti, non

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dico il ministro di agricoltura che ha appunto per suaispirazione molto fatto per ciò, ma altri ministeri hannomai adottato in proposito?

Il senatore Bargoni, che prefetto, tentò inutilmenteaiutarmi nella guerra alla pellagra, pochi mesi fa videofferto alla Società Adriatica di sicurtà una grossa partitadi melica così putrefatta che un solo campione di essagli infettava l’ufficio per parecchi giorni di seguito. Enel 1881 tutto il raccolto di Mazzè venne colpito dallatempesta. Io ordinai che di quell’orribile gran turco misi mandassero tre sacca; ma non ne potei avere che dueperché in breve tempo quel raccolto era stato divoratodagli abitanti. – Io aveva proposto alla provincia chemutasse quel cibo a quegli infelici in uno più sano, masi rise della proposta, la quale ad ogni modo sarebbevenuta troppo tardi.

Questi esempi provano quanto si potrebbe otteneresenza grandi spese e con sicuro risultato, solo che gli al-tri ministeri non facessero lo gnorri ma cospirassero conquello dell’Agricoltura a strappare questo veleno dallabocca dei poveri coloni, per esempio, ordinando che lasanità marittima vieti e sequestri sul serio le grandi par-tite di meliche che vengono guaste dai Principati; ese-guendone il sequestro nei mercati pubblici e nei mon-ti frumentari. – Questo si può ottenere non con un mi-gliaio di ufficiali, come pare ch’Ella tema, ma con pochiispettori di buona voglia. Ma sopra tutto occorre, dopoavvisati e padroni e coloni che la melica guasta si deveconsiderare un veleno, occorre ottenere che dai procura-tori del re si proceda contro coloro che n’usano, a guisadi stipendio, contro i loro contadini. Io ho già narrato alpubblico che un dottore Fallerone fu cacciato dalla suacondotta medica per aver denunziato come avvelenatoricoloro che distribuivano tali sostanze. Né so che questifossero mai puniti né so che mai le mie istanze presso iprefetti e ministri di grazia e giustizia abbiano raggiunto

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lo scopo47. E che difficoltà vi è a ordinare che il quaran-tino non possa coltivarsi là dove non può dare frutti eco-nomici buoni, almeno quando non sianvi quegli essicca-toi la cui introduzione può accordarsi con le borse le piùmeschine? – Oh! me lo lasci dire, egregio Miraglia, Ellache ha fatto tanto perché qualcuna di queste misure fos-se attuata; se non si parla mai di codeste applicazioni lequali esigono la cooperazione anzi l’iniziativa non già delMinistero di agricoltura ma di quello dell’interno, ecc., ese piuttosto si parla di quelle misure vaghe ed impratica-bili, dell’acqua potabile, delle carni ecc. gli è che coll’at-tuare quella proposta si ledono interessi colpevoli sì mapotenti; gli è che la plebe muta dei campi non ha partenei suffragi politici mentre l’hanno e grandissima coloroche così l’avvelenano; gli è che nel parlamento siedonomolti di coloro che si fanno complici di tali tristizie; gliè che non vi ha un governo che sappia e possa spezza-re codeste pastoje o piuttosto gli è che non vi ha un verogoverno. – E baloccandosi colle statistiche, proponendoora una or un’altra misura, la quale sia lontana da quellaradicale si ha il modo di non inimicarsi gli uni e mostrar-si, se non essere, amici degli altri. – Badi bene che nonalludo a lei egregio comm. a cui solo devo se almeno unaparte delle mie proposte ebbe un principio di esecuzionee che solo fra gli uomini politici d’Italia col Jacini, Massa-rani, Bertani e Luzzatti, qui lo dichiaro solennemente, haintravveduto, a tempo, la gravità del problema e tentatoprovvedervi48.

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Psichiatria

l

Psichiatria sperimentale e tecniche manicomiali

Qualunque volta ci si affaccia un’opera od un problemadi medicina legale delle alienazioni mentali, ci sentiamoinvolontariamente sorpresi da un senso di sconforto e diribrezzo. Gli è che ai termini misurati, precisi, a cui lamedicina moderna ci ha abituati, noi vediamo sostitui-te delle espressioni vaghe, indeterminate, mal compreseda quegli stessi che le hanno inventate, e che non han-no nessuno di quei riscontri obiettivi a cui tutta la edu-cazione medica ci ha abituati, e per i quali soltanto il giu-dice intende interrogarci. E così accade che, o per ec-cessiva precauzione, o per una non ingiusta reazione alladiffidenza dei giudici, gli uni non vogliono trovare pazzonessun criminale anche alienato, come qualche volta in-cappa a fare il Casper, egli altri abbondano in senso con-trario così da convertire in manicomio tutte le prigioni.

Memore ed allievo della vera scuola italiana, di quel-la che mise a stemma il gran motto: provando e riprovan-do, io volli darmi d’attorno a vedere se potessi sostitui-re a que’ termini vaghi ed indecisi, e così spesso oppu-gnabili, di ragione umana, di libero arbitrio, di passionifocose, di istinto prepotente ecc. ecc., delle espressionipiù concrete che rispondessero a fatti obiettivi di facile edi sicura constatazione. Sono solo le cifre egli istromentidi precisione quelli che hanno fatto fare alla scienza queipassi da gigante che noi tutti ammiriamo, che ci hannodato in mano sì larga parte di dominio nella natura. Eperché non si dovrebbe egli applicare questo meraviglio-so metodo anche alla scienza psichiatrica, postoché l’a-

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lienato, oltreché di spirito, è composto anche di corpo; epostoché alle variazioni della forza psichica e quindi del-lo spirito deve accompagnarsi anche quella della forma?

Io mi son messo quindi a studiare gli alienati che aveasott’occhio come un oggetto di storia naturale, ed hotentato di descriverne e riassumerne in quadri statisticii caratteri principali, omettendo quelli che vennero giàprima d’ora minutamente descritti.

Peso degli alienati Cominciando dal peso, il quale conuna formola grossolana riassume lo stato di nutrizionegenerale dell’individuo, noi abbiamo rilevato che, men-tre il peso di venti maschi sani, bene alimentati, della sta-tura media di metri 1,59 cent. risultava di 64 chil. e 580grammi, invece:

La media di 15 maniaci della statura media di metri1,61 e bene alimentati, era di chil. 56,140.

La media di sei pellagrosi uomini, della statura mediadi metri 1,58 era di chil. 48,483.

La media di due idioti, della statura media di metri1,55, era di chil. 53,370.

Il peso medio di 20 donne popolane, sane, della statu-ra media di 1,55, era di chil. 60,100.

Invece il peso di 29 maniache della statura di metri1,52, risultò di chil. 45,280.

Quello di 12 idiote e dementi della statura media dimetri 1,47, risultò di chil. 46,600.

Quello di 10 pellagrose della statura media di m. 1,52è risultato di chil. 42,230.

La pellagra più di tutti; la demenza poi, e finalmentela mania scemano il peso del corpo.

In complesso, nessun alienato, per quanto da lungo elautamente sia stato alimentato, ci ha offerto il peso de-gli uomini sani. Devo però soggiungere che in genere glialienati ricchi, comparativamente ai poveri, diedero unpeso assai maggiore, il che deve corrispondere probabil-mente ad un fatto fisiologico49.

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Fino qui però i dati sarebbero troppo vaghi per unadeduzione medico-legale; ma un fatto caratteristico re-lativo al peso degli alienati si è la singolare diminuzionedi peso del loro corpo, dopo qualche giorno di parossi-smo furioso, e lo straordinario aumento nel ritorno dellacalma e nella definitiva convalescenza.

Una variazione di peso, indipendente quasi assoluta-mente dalle circostanze esterne di alimentazione e di re-spirazione, è un carattere impossibile a simularsi e chepuò divenire prezioso pel medico-legale.

Capelli, denti ecc. ecc. Varii autori asserirono moltogiustamente che il capello degli alienati ha qualche cosadi speciale per un certo suo riflesso rossastro, per la facilesua fragilità e per la poca sua plasticità.

Tre altri caratteri però ci colpirono specialmente nel-l’esame dei nostri alienati, cioè le chiazze pigmentali, laprecoce canizie, e l’assenza frequente di barba sul mentonegli uomini e la sua presenza nelle donne.

Si direbbe, insomma, che questo tessuto corneo subi-sce la influenza della mala nutrizione di quel prezioso or-gano che serve a coprire.

Meno importanti sono certi altri caratteri notati nei107 alienati, dei quali, maniaci erano 30, pellagrosi 11;maniache erano 24, pellagrose 22; idioti e dementi ma-schi 3; idiote e dementi femine 9 (idiote 3).

Cinque volte notammo nelle maniache e tre volte nel-le dementi una forma oblunga e quasi tubolare dell’un-ghia; in un pellagroso notammo l’ipertrofia del tessutounghiale che rendeva l’unghia del pollice simile ad unartiglio d’uccello.

Più comuni assai sono le irregolarità e i difetti delladentatura; [ ...]

L’occhio, questa vera fenestra dell’animo, offre piùspesso ancora appariscenti anomalie. In 2 maniache sinotò il singolare bagliore dell’occhio all’avvicinarsi degliaccessi; in 6 maniaci maschi e in 2 femine si notò il

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nictitamento del globo, e in 2 maniaci con tendenza allademenza, si notò il suo movimento laterale dall’alto albasso.

In 9 maniaci, 2 donne, 7 uomini, di cui uno lipemania-co, l’iride si mostrò dilatata; in 2 epilettiche, e in 3 ma-niaci furiosi l’iride si conservò ristretta durante gli accessifuriosi.

Le leucorree erano quasi fisiologiche nelle nostre alie-nate, cinque volte notavasi nelle dementi, e diciassettevolte nelle maniache; questa frequenza delle leucorreebene ci spiega come l’erotismo fosse così frequente nelledonne e sì raro negli uomini.

Le menstruazioni mancavano sei volte nelle maniachegiovani, fra cui quattro pellagrose, e otto volte nelleidiote e dementi.

La anemia si è notata in cinque maniache, di cui unaepilettica e tre pellagrose, e in quattro maniaci di cui unopellagroso ed un melancolico.

Craniometria dei sani e degli alienati Ma un criteriopiù costante e più caratteristico di tutti i sopra accenna-ti deve rinvenirsi nell’organo stesso, centro precipuo del-l’intelligenza e quindi più specialmente affetto dalla alie-nazione di essa. E qui l’argomento si fa davvero spino-so, comeché tutti comprendano doversi trovare questelesioni di forma, essendovi lesioni di funzione, ma all’at-to pratico spesso ogni aspettativa venga frustrata.

La prima causa sta in ciò, che la lesione della funzioneavviene quando tutta la evoluzione del cervello è com-pleta, quando le suture sono più o meno saldate. Be-ne ha luogo, (come noi verificammo in quasi tutti i ca-si di morte), l’atrofia del cervello stesso, ma questa atro-fia non risalta abbastanza agli occhi, perché ad essa qua-si sempre corrisponde un’ipertrofia concentrica delle os-sa craniche, che crescono in ispessezza internamente, re-stando eguali nella forma esterna.

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Pure molte volte, per non dir sempre, la differenzac’è, e noi non la sappiamo ritrovare, perché non ci siamoformati un tipo preciso e fisiologico delle linee esternedel capo ad uomo vivo e sano, e siamo abituati a nonvedere nelle differenze che puri effetti d’accidentalità.

Un esame accurato di più migliaja di teste, mi ha resosicuro del fatto, che le differenze dei diametri cranicihanno una causa principalissima nelle diversità di razzae di regione. Nell’esame di più di due mille teste nonmi riuscì mai di trovare differenze notevoli in individuidella stessa regione. Vi ha adunque un tipo costanteper ogni nostra regione, un tipo così invariabile da poterservire di criterio per le deduzioni medico-legali, cosìnelle quistioni d’identità, che di capacità intellettuale –.Studiamolo adunque.

Per fissare un punto di paragone sufficientemente ap-prossimativo fra le teste sane e quelle degli alienati, perfissare specialmente il tipo cranico regionale, io mi die-di a raccogliere misure sopra i soldati ventenni delle va-rie provincie, come quelli che, per avere uniformità dietà e di condizione intellettuale, mi parvero offrire il ti-po più approssimativo della media intelligenza normaledelle masse. Scelsi individui viventi, perché appunto lamedicina legale opera in gran parte anch’essa su indivi-dui vivi; e perché così mi era dato di fare gli studii su lar-ga scala, e sopra individui di cui poteva indagare il gra-do di intelligenza. La seguente tabella riassume il risulta-to delle mie indagini fatte sopra venticinque individui diciascuna delle nostre provincie.

Gli è con un senso di non ingiusto conforto che iodò uno sguardo a questa tabella, che mi pare riassumain poche cifre fatti gravidi di molta importanza. Forsequeste cifre, maneggiate da mente più esperta e piùdotta, riveleranno un giorno la storia etnografica d’Italia,il segreto del genio dominante in ciascuna regione, e

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quello delle vicende che il tipo nostro ebbe a subire dallevarie mistioni di razza e dalle trasformazioni telluriche.

Ma noi dobbiamo ritornare alla severa carreggiata del-la medicina legale, la quale indaga i fatti come tali enon bada alle induzioni più remote. È evidente, a chidia un’attenta occhiata a questa tabella e specialmente alquoziente dei diametri, che ogni regione non solo, maquasi ogni provincia ha un tipo cranico a se, tutto spe-ciale. Così la Liguria, la Sicilia e il Napoletano presenta-no tre tipi doligocefalici, ma nella Sardegna stessa, nellaSicilia ecc. ciascuna provincia ha poi un quoziente diffe-rente, per es., Girgenti ha 720 per indice cefalico, e Ca-tania ne ha 760, e Caltanisetta 777.

Invece, quando dalla provincia passiamo agli individuidi ciascun comune, queste differenze proporzionali deidiametri non si riscontrano più affatto. Individui dimolta o poca cultura, di città o di campagna, alti obassi, potranno variare di circonferenza, di curve, manon variano quasi mai nel rapporto dei diametri, purché,almeno, appartengano alla medesima razza.

Anche le circonferenze e le curve hanno una mediaspeciale per ogni regione e provincia, così la Sardegnaavrebbe dato 1165 mill., il Napoletano 1190; gli Abruzzi1186; mentre il Veneto invece avrebbe oscillato dal 1190al 1210.

Ma queste cifre non hanno un valore rigoroso se nonper individui della stessa età, sesso, statura, o profes-sione, od almeno grado di coltura, poiché gli individuiche esercitarono l’intelligenza presentaronmi quasi sem-pre una media d’assai superiore, che può sorpassare nellasomma complessiva più di 70 a 90 mill.

La misura della fronte in larghezza ed in lunghezzanon ha un’importanza scientifica appunto per questagrande variabilità, a seconda dello sviluppo intellettuale.

Una volta che abbiamo fissata (come ci sembra esserviriesciti) la media dei diametri e delle circonferenze dei

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cranii delle varie parti d’Italia, si fornisce un dato nuovoe preciso al medico-legale per le quistioni d’identità,dappoiché trovandosi un cranio o una testa doligocefalad’individuo sconosciuto, noi avremo già una grandissimaprobabilità che appartenga ad una di quelle provincie incui domina la doligocefalia ad esclusione di tutte le altre.

Ma l’importanza massima di queste misure è per la ca-pacità civile; le deformità craniche che prima non conta-vano se non come casuali coincidenze, qui prendono as-setto di leggi fisiologiche, quindi possono avere un lar-go significato nelle questioni della capacità intellettuale.Veniamo ad un esempio. Un’idiota pellagrosa presenta-va la strana doligocefalia di 63, e la capacità cranica di1080; se questa donna fosse nata in Calabria ultra prima,o in Sardegna meridionale, essa avrebbe presentato unaleggiera esagerazione del tipo regionale; ma nella Lom-bardia, dove il quoziente è 81 invece di 63, questa donnaaveva già nella sua forma cranica la ragione e la giustifi-cazione della sua deficienza intellettuale.

Orine degli alienati Un carattere fisico più costantedi tutti, e più difficilmente simulabile è fornito dallasecrezione renale. Se nelle ceneri il chimico ritrova iprecipui elementi dell’essere che fu vivo, nelle orine eipuò rinvenire, i principii di riduzione e sorprenderlied arrestarli durante il loro circolare turbinoso per laroteante carriera della vita. E l’acido fosforico, e il pesospecifico aumentato delle orine segnano con caratterispeciali perfino le anomalie del pensiero.

Disordini della motilità Un carattere comune a presso-ché tutti gli alienati e che potrebbe bastare a distinguerlia prima vista dagli uomini di mente e corpo sano, è quel-lo dell’eccessiva o deficiente sinergia muscolare. E un ca-rattere così saliente da fare sospettare ( Prelezione al cor-so di Clinica di mali mentali 1863 pag. 10) esistere tra inervi di senso e di moto relazioni e analogie più stretteche l’antica scuola di Bell non ammettesse.

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E sensazione e movimenti e forza sono modificazionidella stessa materia.

Ma lasciamo le teorie e torniamo alle cifre, le sole cheabbiano attualmente il diritto di concludere e di parlare.

Sopra 107 alienati esaminati, 29 erano in preda a mo-ti clonici, coreici od epilettici. 19 femine, fra cui 2 epi-lettiche 2 pellagrose 15 maniache, 10 maschi 3 epilettici2 alcoolici e 5 maniaci.

Sensibilità tattile, dolorifica, cenestetica ecc. Sensibili-tà ai rimedii Benché le parvenze della sensibilità tocchi-no troppo le regioni di quel campo subbiettivo così pe-ricoloso pel medico-legale, pure non tutte sottraggonsi aquei mezzi di osservazione ed esperimento che possonooffrire sincero argomento a solido giudizio.

La sensibilità tattile esperimentata coll’estesiometronon ci diede alcun risultato ben chiaro.

La precisione dei colori apparve alterata in due soliindividui, un pellagroso ed un alcoolista; [...]

La sensibilità sessuale ci apparve quasi abolita [ne]gliuomini, avendo notato anomalie per eccesso solo in ungiovane maniaco, in un vecchio alcoolista, ed in un pel-lagroso.

Le donne invece mostrarono pervertimento in più del-la sensibilità sessuale, forse per la maggiore quantità dicripte mucose sparse negli organi sessuali, o forse per lanotata frequenza di leucorrea. Undici alienate offersero,benché vecchie, tendenze genetiche, fra le quali due de-menti una mania acuta, ed una cronica sessantenne, af-fetta però da cancro ovarico.

Tutti dementi e maniaci si mostravano singolarmen-te sensibili alle variazioni ozonometriche e dell’elettrici-tà atmosferica, per cui all’avvicinarsi degli uragani nelleprime ore dell’alba (ozono in più) e in un giorno di ter-remoto, le manie croniche e fin le demenze sembraronoacutizzarsi. Quasi tutti i dementi sembrano affetti da una

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maggiore sensibilità pel freddo per cui tentano di porsinei punti più esposti ai raggi solari e più vicini alla stufa.

Ma un carattere tutto proprio degli alienati è la insen-sibilità alle sostanze medicamentose, agli alcoolici ed aicaffeici. Sopra 95 individui, appena quattro, cioè dueisteriche e due alcoolisti, mi parvero sentire gli effetti del-l’opio, della belladonna, dell’hashish, alle dosi che sonoavvertite dai sani. Tutti gli altri non li avvertivano che adenormi dosi quali sarebbero state capaci d’avvelenare unsano.

Sensibilità affettiva ed intelligenza Fra tutte le forme disensibilità, quella che più lesa si addimostrava fu la sen-sibilità affettiva; la vista d’un parente, d’un antico amico,bastava per rendere furiosi non rare volte individui calmie che prima avevano parlato dei loro parenti coll’espres-sioni più tenere.

Sopra 117 alienati 77 volte si ebbe a notare questaavversione, vale a dire in 6 dementi, 3 idioti e 68 maniaci;sommando si ha 77 e tutti i 33 pellagrosi meno 2 uominie 4 donne giovani ed un alcoolismo.

L’intelligenza era abolita in= 12 dementi e 21 maniaci (f. e m.) e in 4 epilettici;era normale in= 26 maniaci, in 1 alcoolista, 6 pellagrosi ed 1 epiletti-

coera esagerata in= 6 monomaniaci, 1 isterica, 2 pellagrosi, 2 maniaciUn giovane maniaco impubere improvisava delle stu-

pende arie musicali; un maniaco alcoolista, della classevolgare, suonava varii stromenti, scriveva in bellissimaprosa, ed in versi non malamente rimati. Un pellagro-so vicino alla demenza, due maniaci cronici ed una pella-grosa rompevano i lunghi silenzii con epigrammi di unasingolare vivacità. Un monomaniaco, ambizioso, vecchiobirro in ritiro, scrive rapporti polizieschi, ed alcune volteracconti pieni di fantasia. Un monomaniaco suona pu-

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re al clavicembalo concerti difficilissimi, e compone lon-tano dal pianoforte pezzi musicali degni di qualunquegrande maestro. Un maniaco fabrica senz’averlo mai ap-preso delle graziosissime statuette di creta. Un altro mo-nomaniaco inventò degli strumenti d’ottone ingegnosis-simi. Un’isterica sembra il vero genio della cartoleria.

Tutti però questi genii parziali accennano negli attistessi alla triste malattia che li preoccupa e paralizza. Co-sì uno nel comporre tradisce un bel pensiero nascenteper far delle rime. Un altro sottoscrive sempre con unaformola identica le sue lettere per es. la data manca mala metterò in altra mia. Altri si preoccupano d’atti o fattiinsignificanti e vi danno grande importanza, per es. allacollocazione di una tal sedia, all’iscrizione della tal boc-cetta, alla raccolta di brandelli di carta, o si godono a fardelle cassettine e suddividerle infinitamente o disfannotele per procurarsi che potrebbero aver altrove più facil-mente.

I furiosi si potrebbero confondere a primo tratto coidementi pel rotto e disordinato frantumarsi e succedersidelle idee e delle parole. Ma una forte improvisa scossainterrompe e spesso fa rientrare in sé stesso il maniaco,non già il demente; il primo ogni tratto ragiona bene,anche troppo, forse, non mai il secondo o almeno perbrevissimo tratto.

Eziologia Se le manie scoppiassero tutto ad un tratto osempre per causa morale come i non pratici imaginano,certo l’eziologia sfuggirebbe del tutto al criterio medico-legale. Ma non è così; e sopra 95 casi, o più propriamente84, dei quali si poté scrutare l’eziologia, un solo caso ciavvenne incontrare di mania istantanea, senza influenzeereditarie e senza cause, ma anche questo portava giàchiara l’eziologia nella mala conformazione del cranio.

Le cause morali [...] furono pochissime e furono po-che anche le morali associate alle fisiche; mentre inve-ce le cause fisiche, il puerperio specialmente e l’eredità,

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furono così predominanti da formare più che sei ottavidelle cause medesime.

In complesso è cosa più difficilissima il poter racco-gliere e scemere in tutta l’interezza il vero, ma quando losi può si trova che le cause non solo non iscarseggianoma abbondano di troppo ed imbarazzano nella scelta.

Fra tutte le cause l’influenzi ereditaria spicca in unmodo saliente così che credo poter affermare che ottovolte su dieci la si possa riscontrare; e notisi bene, nonsolo nei genitori, ma anche nei più lontani congiunti, neiquali ti vien fatto a poco a poco rilevare tutta la protei-forme schiera delle nevrosi e di quelle modificazioni edaberrazioni della mente sana, come la bizzarria, la ten-denza a crimini ed alle bevande spiritose, che formanodelle varie gradazioni dell’alienazione stessa.

Della mania criminale La questione più capitale e piùdifficile nello stesso tempo a risolversi nella medicinalegale degli alienati, non istà tanto nella distinzione deitipi maniaci o dementi, quanto in quelle tali vie di mezzo,in quelle panneggiature che tengono della mente sanae della alienata, specialmente poi in quanto siano esseportate al crimine.

Fino a qual punto il delitto è pazzia e la pazzia è undelitto?

Rifacciamoci anche quì all’amminicolo delle osserva-zioni.

Noi, come risulta dalla seguente tabella, abbiamo,sopra 107 alienati 10 con tendenze al furto

Abbiamo 13 individui con tendenze libidinoseAbbiamo 19 individui con tendenze all’omicidio, spe-

cialmente della moglie, del fratello e dei bambiniAbbiamo 16 individui con tendenze al suicidioNé queste tendenze, già sì gravi per sé, erano isolate,

ma associavansi bene spesso tutte nello stesso individuo.Tuttavia è desiderabile ad ogni modo che sorga da

noi, pei casi più difficili, quella stupenda istituzione dei

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manicomii criminali, la quale può torre alla società, algiudice ed anche al perito, il pericolo, il rimorso, dicondannare un malato o di assolvere un colpevole. Ivi simanderebbero tutti i casi meno accertabili di rei maniacie maniaci rei, si terrebbero custoditi tutta la vita; e lasocietà ne resterebbe molto meglio guardata che nolsia dagli ergastoli, dai quali esce il reo punito, ma nonguarito, con la tendenza irresistibile alla recidiva ed anziall’impeggioramento.

La moda ispirata dalla mansuetudine dei tempi, e for-s’anche da quello smodato andazzo per le antitesi chepredomina in coloro che non sapendo fare e nemmenotrafare cercano almeno disfare, ha proclamato come ulti-mo e nuovo farmaco delle alienazioni, la dolcezza, la per-suasione, l’astinenza da ogni mezzo contentivo e perfino,che Dio li perdoni, l’assoluta libertà. Illusione ben singo-lare, quando si pensi come questo supremo bene riescadannoso anche pei sani quando non sieno squisitamen-te educati ed onesti; e noi ben ce ’l sapiamo! E si tesso-no, intanto, delle tele di Penelope che si disfaranno poifra pochi giorni, ma intanto hanno giovato a so disfarequegli eterni proci che sono la vanità e credulità umana.

Per parte mia io credo che pei pazzi occorre tanta se-verità quanta dolcezza, e forse più della prima che del-la seconda; massime quando si tratti di alienati ricchi,avvezzi, prima, ad usare ed abusare della loro volontà,cosicché imbizziti poi, di sopraggiunta dall’alienazione edal vedersi obedire ad ogni minimo cenno, finiscono pertrasmodare in modo spaventevole, mentre invece per ilsolo fatto di trovare una ferrea volontà opporsi recisa-mente alla loro, essi qualche volta risanano od almenomitigano nel delirio, e sempre riescono poi a diventareossequiosi alle cure del medico, e più facili quindi a con-durre a guarigione col mezzo dei farmaci.

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Fortunatamente pei partigiani della non restraint esi-ste un mezzo commune agli avversari, e che ne tempera idanni – la doccia ed bagno freddo.

La doccia è, come la chiama l’egregio mio maestro,il Verga, nient’altro che una bastonata liquida, che ma-schera però ogni intenzione repressiva con una verniceterapeutica così densa da restare quasi velata ai profani,e qualche volta anche alla trepida coscienza del medico;essa, ammessa anche dai partigiani della non restraint,pei pretesi suoi effetti terapeutici, finisce per temperarnemolto saviamente li abusi.

Se non che un ostacolo s’oppone, in molti manicomi,all’uso della doccia; è quello di dovere per porla in operanon solo maltrattare l’ammalato, ma anche li infermieri, iquali partecipano, loro malgrado, alla liquida sferzata, ecosì ripugnano ad eseguirla o la eseguiscono co’ modiviolenti che lasciano trasparire di troppo l’intenzionepunitrice.

Per ovviare a questi inconvenienti, ho adottato nellamia clinica uno speciale apparecchio, la cui prima ideami venne suggerita dai bagni di Charenton, ma che do-vrei perfezionare in grazia agli abilissimi consigli dell’e-gregio ingegnere Dagna, a cui comunicai il mio progetto.

Esso consiste in una vasca commune di marmo inca-strata da u lato nelle pareti della stanza e che porta uncoperchio di robusto larice.

Questo coperchio è composto di quattro pezzi; unpezzo consistente in una striscia o travicello è aderenteed incastrato in parte nel muro, e si articola col secondopezzo che costituisce propriamente il coperchio, e che sipuò alzare ed abbassare come il coperchio di qualunquecassa, e quando è alzato si può tener fisso con appositaserratura al muro.

Questo coperchio finisce, all’uno dei capi con una lar-ga apertura quadrata di tal larghezza da passarvi commo-damente un uomo, apertura la quale è limitata ai lati da

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due robuste braccia o guide di legno le quali nella loroparte interna presentano una scanalatura.

Entro questa scorre il 3° pezzo che è una paratoja,che si può, a volontà, con un congegno praticato nelcoperchio grande fissare a quel punto che si desideri.Questa paratoja finisce con una apertura semicircolare.Il 4° pezzo consiste in una robusta asta di ferro o gancio,che si articola con un anello nel mezzo del coperchio,e quando il coperchio è abbassato fissandosi coll’altraestremità nel muro lo tiene completamente immobile.

Pei casi di grandi e robusti individui capaci di gran-di sforzi ho aggiunto una cinghia, le cui estremità esco-no fuori dalle pareti della vasca in alto, e si restringonoappena vi si è collocato per entro l’ammalato. – Per co-loro che fossero troppo piccoli e quindi non giungesserocol collo all’apertura semicircolare, fo collocare un pic-colo sgabello al fondo della vasca. Per lasciare poi libe-ro sfogo all’aqua della doccia, feci praticare parecchi fo-ri imbutiformi colla base all’esterno – nel coperchio suc-citato.

Prima del bagno si lascia scoperchiata la vasca o alme-no si tira indietro la paratoja; quando il paziente vi è ada-giato, si abbassa il coperchio, lo si fissa coll’asta di ferro,si fa scorrere la paratoja in modo da circondare come conun collare il collo del paziente, il quale si trova framez-zo al margine della paratoja semilunare, e della estremitàpure semicircolare della vasca.

Tirata la paratoja, immediatamente la si fissa col con-gegno praticato nel coperchio. L’ammalato, posto in talicondizioni, si può lasciare solo a bagnarsi senza alcun ti-more, si può assoggettare alla doccia senza che possa fa-re la più piccola resistenza, e il medico può assistervi sen-za mancare a quei dilicati riguardi del pudore che devo-no rispettarsi anche nel triste recinto dei pazzi; si può ri-sparmiare l’ajuto di parecchi infermieri, ma quello che è

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più, questo metodo rende assai più facile e più semplicel’alimentazione forzata.

Infatti l’ostacolo più grande che s’incontra nell’ali-mentazione forzata è nella straordinaria resistenza chepresenta il malato, che può fin rendere qualche volta pe-ricolosa e crudele l’operazione ed obliga ad ogni modoad uno sviluppo di forza contentiva, con lacci e bracciad’uomini tale da rendere più odiosa l’operazione al pa-ziente e più incommoda agli altri.

Ora, collocato in questo bagno ove è già solito adentrare l’ammalato, non devia dalle abitudini, non escedalla solita prescrizione terapeutica ed è sottoposto aduna contenzione così completa che basta ad impedirneli sforzi, senza che si renda però più evidente la violenzaesterna.

Ma io non voglio finire queste linee senza dire due pa-role a favore dell’alimentazione forzata. Io posso com-prendere anche l’abolizione della doccia, non quella del-l’alimentazione forzata.

Prima di tutto si hanno alienazioni che dipendonoda anemia, da mancanza di alimentazione, ed io noncomprendo come l’alienato se non si alimenti possa, nonche guarire, vivere. Poi anche quelli la cui mania èscevra da anemia peggiorano ugualmente coll’astinenzae peggiorano soprattutto le tonache gastriche che unavolta accatarrate ed atrofizzate non riescono più atte allabuona digestione.

Ma quello che è più, il rifiuto dell’alimento spesso siaumenta e si eterna quando non lo si contrasti coll’ali-mentazione forzata. Io lo posso affermare recisamente:sopra 290 alienati io applicai a 37 individui l’alimenta-zione forzata col catetere esofageo e non l’ebbi a replicarmai più di sei volte, anzi raramente più di tre. Gli è cheanche il pazzo ha sempre un barlume di logica, e quan-do si accorge che la manifestazione della sua volontà rie-sce sterile, che è vinta ad ogni modo, e con qualche do-

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lore per giunta, egli cede e non rinnova più in seguito lasua opposizione.

E non solo io non ebbi a notare alcun danno dall’usodel cateterismo esofageo negli alienati, non solo io conquesto vinsi la sitofobia e impedii il progresso delle ane-mie cerebrali o generali, ma in un caso ho potuto osser-vare dietro il cateterismo stesso perfino la guarigione del-l’alienazione.

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Il manicomio criminale

Si può discutere a lungo da un lato e dall’altro sulla teoriadella pena; ma in un punto ormai tutti convengono: chefra i delinquenti e quelli creduti tali, ve n’ha molti che,o sono, o furono sempre alienati, per cui la prigioneè un’ingiustizia, la libertà un pericolo, e a cui mal siprovvede da noi con mezze misure, che violano ad untempo la morale e la sicurezza.

Gli Inglesi, cui la pratica della vera libertà non rese,come noi, cavillosi e ideologi, ma condusse alle riformeper la via più pratica e più corta, hanno già da un seco-lo tentato, e da sessantasei anni, quasi riuscito, a colma-re dal lato più spinoso questa sociale lacuna coll’istitu-zione dei manicomj criminali. Forse a questo passo s’in-dussero più facilmente anche grazie alla speciale struttu-ra del loro governo. Un paese che è monarchico ad untempo ed oligarchico; che ama il suo re come un sim-bolo, e che, come l’antica Roma, ha ne’ suoi Lordi unvero senato di re; un paese in cui la libertà ha un cam-po sconfinato d’azione, e la giustizia preventiva uno as-sai limitato, offre ai colpi degli alienati omicidi, religio-si, ambiziosi, che mirano sempre a chi è più in grido, unfianco troppo aperto perché non si dovesse provvedervi:quando non solo il re, ma quasi tutti coloro che più in-

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fluivano sui destini e sulle fantasie popolari, Drummond,Peel, Palmerston, furono spenti od assaliti da pazzi, com-prese che grande pericolo incontratasi lasciando questifantastici amici in piena libertà o solo reclusi in manico-mj, donde avrebbero potuto uscire tanto più facilmenteche dai processi stessi risultava come, quando si astraes-se dal delirio politico od omicida, quegli sciagurati ra-gionavano fin troppo lucidamente. Si venne quindi pri-ma (nel 1786) al mezzo termine di confinarli in un ap-posito comparto di Bedlam, donde non potevano usci-re senza il beneplacito50 del gran cancelliere, che annual-mente pagava per soli 140 di questi la non lieve somma ditremila sterline a quell’istituto. Né questa misura poi ba-stando, nel 1844 lo Stato si assunse di mantenerne 235 inuno stabilimento privato a Fisherton-House, dove, dap-prima completamente reclusi, negli ultimi anni finironoa godere dei comodi, ed in pane della libertà concessaagli altri alienati.

Ma crescendo sempre più la triste schiera di quegliinfelici, si finì coll’erigere dei manicomj speciali a Dun-drum in Irlanda nel 1850, a Perth per la Scozia nel 1858,a Broadmoor nel 1863 per l’Inghilterra; e l’accoglienza vifu regolarizzata da nuovi e minuziosi decreti51, ordinan-dosi di ricevervi non solo coloro che avessero commes-so un delitto in istato di pazzia, o che fossero impazzitidurante il processo, ma anche tutti quei carcerati che, oper alienazione o per imbecillità, fossero incapaci di sot-tostare alla disciplina carceraria; questi ultimi sono divi-si dagli altri in apposite sezioni; tutti hanno a guardia-ni uomini fidatissimi, riccamente retribuiti, militarmen-te disciplinati, e sono dimessi, in genere, soltanto dopoun anno di prova, dietro proposta del medico, e con de-creto del segretario di Stato, godendo però, salve le pre-cauzioni maggiori per prevenire le evasioni, di quasi tut-ti quegli agi di cui sono larghi gli Inglesi agli alienati: la-voro nei campi e nei giardini, biblioteche, biliardi. Il nu-

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mero di questi maniaci criminali e pericolosi andò sem-pre più crescendo; da 257 che erano nel 1844, a 924 nel1864, a 1244 nel 1868.

In America, l’omogeneità della razza e degli studj, l’u-guale tendenza alle riforme pratiche fece sorgere da po-chi anni simili istituzioni; un grandioso manicomio cri-minale è annesso al celebre penitenziario di Auburn, unaltro sorse nel Massachusetts, un altro nella Pensilvania.

Ora io mi chieggo: è egli possibile che un’istituzioneche fu trovata utile dalla nazione più oligarchica e dallapiù democratica; un’istituzione la quale, una volta fonda-ta, si andò ampliando per modo da sestuplicare in ven-tiquattro anni, senza che perciò abbia sembrato colma-re appieno la triste lacuna; è possibile, dico, che una taleistituzione sia un puro oggetto di lusso, un capriccio an-glosassone; e non risponda invece ad un bisogno sociale,così che noi dobbiamo desiderare che venga trapiantatae diffusa fra di noi? E impossibile, parmi, il tentennarenella risposta.

Ben è vero, sì, che la cifra ufficiale degli alienali cri-minali impazziti nelle nostre carceri è molto scarsa; mala stessa sua eccessiva esiguità indica appunto quanta la-cuna nasconda. È egli possibile, infatti, che un fenome-no sociale in un popolo di numero inferiore. al nostro siesplichi colla cifra di 1244, e da noi si arresti a quella di55? E possibile, che mentre Thompson trova un aliena-to ogni 150 nelle carceri inglesi, e Glower il 35 per 100, eDelbruck e Scholz in Germania tra il 3 ed il 5 per 100, danoi siano sì scarsi da discendere alla misera proporzionedi 0, 38/100?

I fenomeni sociali, in popoli di civiltà pressoché ugualied in climi poco differenti52, si manifestano sempre conuna costante proporzionalità.

Ben più adunque che in Inghilterra, in Italia, deve dir-si rappresentare la statistica ufficiale solo una parte de-gli alienati criminali. E come ciò accada, ben si capisce:

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non essendosi fatta strada nel pubblico l’idea che unagran parte delle azioni criminose muovano da un impul-so morboso, molti di quelli passano per pigri, riottosi,cattivi, e non per alienati; che se la pazzia fu riconosciu-ta per movente solo del reato e annulli ogni procedimen-to, l’autorità non se ne preoccupa e non ne tiene conto,cosicché questo dato manca nella pur sì bella e recentis-sima Statistica giudiziaria penale del Regno; alcuni, poi,di questi infelici manifestando, come è loro proprio, del-le forme miste di alienazione e di mente sana, sono pre-si per simulatori; non pochi altri, anche essendo credutipazzi, non sono denunciati, sulla lusinga che possano inbreve guarire; più che tutto, perché non è facile ne eco-nomico il loro collocamento; rifiutandosi molti manico-mj a riceverli, o esigendo rette triplici delle carcerarie, eche sono per gli impresarj e pei direttori un vero spaurac-chio. Io infatti, nell’esame di sole sei case di pena, ne hopotuto trovare una cifra rilevante. Notai un microcefalo(0,50 di circonferenza) che stando a G. si lagna di esse-re continuamente magnetizzato dai carcerieri di Brindisiche gli rubano il fiato. Un tal P. credeva che il direttorelo volesse far morire con macchine; un R. si diceva affa-mato ed avvelenato da lui; un altro era preso da tale unterrore, od odio che fosse, de’ suoi carcerieri, che cadevain convulsioni ogni volta che entrassero nella sua cella.Un Romagnolo si rifiuta ad ogni lavoro, si dice parentedel re, capo di tutti i repubblicani romagnoli, e tratta conprofondo disprezzo i più alti impiegati del penitenziario.

Tutti ricordano in A... quel terribile V. che un giorno,collocatosi dietro una latrina, si mise a ferire con un ferroaguzzo quanti gli capitassero fra mano, e che, incatenatonel fondo d’una segreta, cantava allegramente: «Non èver che sia la morte il peggior di tutti i mali»; e con quellostrano canto andava al patibolo.

A P. E., oste, processato per furto, e già due altrevolte alienato, si dà all’improvviso a gridare contro i

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giudici, protesta che è amico del re, cui scrive stranissimelettere, si appiccica al berretto delle fascie di carte che lodesignano, a suo dire, colonnello; un giorno asserraglial’entrata del camerotto coi banchi e colletto, e ce ne vollea poter farsi strada fino a lui!

A., un omicida, col capo aguzzo, oxicefalico, che hapadre e fratello alienati, fu preso due volte da accessifuriosi che si credettero simulati!

La stessa relazione ufficiale parla di sei suicidi che die-dero segno di pazzia; d’uno fra gli altri condannato perfurto, unione in banda armata ed evasione, che era affet-to da un vero furore ogni volta vedesse i guardiani, chepretendeva causa della ruina di un suo fratello, anch’es-so, si noti, demente e pur detenuto nella casa di pena.

E la stessa relazione ufficiale accenna a un 7 per 100 diuomini e 12 per 100 di donne criminali incapaci di istru-zione alcuna, che da sole basterebbero a far presumereuna proporzione ben più grande di alienazione fra essi.

Ora, pur lasciando da parte l’offesa che reca al sensomorale la dimora di questi infelici nella casa di pena, lanon vi è d’altronde scevra di danni e per la disciplina eper la sicurezza; essi non vi si ponno curare perbene, per-ché mancano gli opportuni locali, l’apposita disciplina,gli specialisti: rimanendo in mezzo agli altri, questi scia-gurati che hanno perduto, grazie alla alienazione, quelpudore del vizio che è l’ipocrisia, si abbandonano ad at-ti violenti ed osceni, tanto più pericolosi perché scoppia-no improvvisi, e spesso o per futili cause o ragioni, comequello di A. che uccise un compagno perché non gli vol-le lucidare le scarpe, e quell’altro... che si dié a ferire dueo tre della sua cella perché erano nati in Ferrara, paesea lui antipatico; e sempre resistono con tenacia ostina-ta alle discipline carcerarie, mostrandosi indifferenti al-le punizioni, scontenti di tutto, diffidenti degl’impiega-ti, che credono i proprj nemici, e su cui gittano spesso lecolpe da loro stessi commesse e che annojano con conti-

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nue istanze e reclami; in breve, si fanno centro e pretestodi continue ribellioni. Che se, come pur troppo si usa53,tengansi isolati e incatenati nelle celle, non riescono piùdi noja ad alcuno, ma per l’inerzia, pel vitto che s’assotti-glia a chi non lavora, per la scarsa luce, si fanno idremici,scorbutici, quando colla violenza non abbreviino, ancorpiù presto, la triste loro vita.

D’altra parte, l’invio loro ai manicomj è seguito da altrimalanni. Essi vi portano tutti i vizi e le abitudini delleclassi immorali d’onde sortirono; continui vociferatori edattaccabrighe, pieni di una morbosa idea di sé medesimi,si mostrano scontenti sempre del trattamento dell’asilo,e reclamano come un favore il ritorno alla prigione; sifanno apostoli di sodomie, di fughe, di ribellioni, difurti, a danno dello stabilimento e degli ammalati stessi,a cui coi loro modi osceni e selvaggi e colla triste nomea,che li precede, destano spesso paura e ribrezzo, come ildesta nei congiunti il sapere accomunati con essi i proprjcari; chi non sentirebbe orrore di avere avuto un figliocompagno nel dormitorio con Boggia?

Quegli altri, poi, alienati che non hanno ne ebbero leprave tendenze abituali di questi, che non passarono neidelitti la vita, ma che furono o sono vittime di un impul-so delittuoso isolato, spuntato in una data epoca dell’e-sistenza, benché non destino il ribrezzo dei primi, nonne sono meno pericolosi; essi non possono, spesso, con-tenersi dal compiere quegli atti feroci, cui li spinge unacrudele natura; feriscono, incendiano; superano, per lamaggior lucidezza di mente, quanti ostacoli voi loro frap-poniate. Altri fingono la calma più completa, ma solo perpoter persuadervi a porli in libertà, o per combinare allasordina un’evasione, un complotto, poiché questo han-no di speciale i pazzi criminali e molti di quegli istintivio pericolosi, che non rifuggono, come altri alienati, dallasocietà, cui pure tormentano colle loro violenze, ma ten-dono ad associarsi fra loro, e siccome conservano quel-

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lo spirito di continua irrequietudine e di incontentabili-tà che li animava prima d’essere pazzi o delinquenti, co-sì credono che voi siate sempre sul maltrattarli, insultar-li; riecono quindi a istillare queste idee false negli altri,e dare a poco a poco corpo alle idee di fughe, di ribel-lione, ai cui sarebbero incapaci i comuni alienati, isola-ti nel proprio mondo come sonnambuli: in questo s’ac-cordano appieno tutti gli alienisti, il Roller, il Boismont,il Delbruck, il Reich, il Solbrig, ed io n’ebbi delle provepalpanti nel mio manicomio.

R..., monomaniaco omicida, dal fronte sfuggente al-l’indietro, dalla fisionomia dolce e dilicata, aveva strozza-to colle proprie mani, quando ancora si credeva di men-te sana, una tenera nipotina. Siccome erano molte le ra-gioni che ci adduceva per mostrarsene innocente, ed eglici appariva docile, laborioso ed innocuo, noi, scorsi alcu-ni mesi, credendolo guarito, lo rimandammo. Due giornidopo tentava di strozzare il sindaco che lo aveva speditoal manicomio, e minacciava nella vita la moglie. Ritorna-toci di nuovo, si rifaceva l’uomo più quieto del mondo,ma noi, fatti accorti dall’avvenuto, non ce ne fidammo, efacendolo sorvegliare più minutamente, si venne a sape-re che tutta quella mansuetudine era una lustra allo sco-po di meglio soddisfare il bisogno di nuocere, per poterfar man bassa sui vecchi e i malaticci, o sui deboli, e aiz-zare i forti fra loro, od istigarli ed ajutarli alla fuga: un dì,per es., egli finse ajutare un infermiere al trasporto di unepilettico col quale avea vecchie ruggini, e appena si videsolo, sbalestrò sopra lui, inerme e legato, un pugno sì for-te che gli franse le reni; tanto era poi il terrore ch’egli sa-peva inspirare ai compagni ed anche agli infermieri, chel’orribile fatto non si venne a sapere se non dopo moltotempo da un convalescente che, uscendo, non avea più atemere della sua vendetta. Ebbene, questo alienato, cheaveva nelle viscere incarnato l’odio dell’uomo, non pote-va far senza della società umana; e quando io, temendo-

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ne nuovi misfatti, volli isolarlo in una cella, e anche so-lo in un cortile, prima minacciò e poi tentò strangolarsi,finche m’adattai a lasciarlo ancora cogli altri, sotto rad-doppiata guardia.

Di tutto ciò, però, poco avrebbero a soffrire queifortunati che non mettono mai il piede in quei tristirecinti; ben peggio va la bisogna per tutta la società, ingrazia dei molti pazzi inclini a mal fare, che (mancandouna legge od un istituto apposito che li riguardi) passanoi loro giorni in mezzo ad essa, sempre attendendo a’ suoidanni, e senza che alcuno sospetti, pure da lontano, dellebieche loro intenzioni.

Sono, in genere, monomaniaci che sanno assai accor-tamente dissimulare il delirio per modo che a mala penane sospetta la stessa famiglia, ovvero, sono pazzi preco-cemente dimessi dai direttori dei manicomj, spesso pernon incorrere in accuse di violata libertà personale, op-pure sciagurati, che avendo commesso, in un primo de-lirio, azioni criminose, furono condannati, e scontata laimmeritata pena, tornando in mezzo agli altri più amma-lati di prima, o riconosciutasi la loro pazzia, furono pro-sciolti da ogni accusa emessi in libertà. Gli è che, consta-tata anche, che siasi, in un accusato l’alienazione comecausa del reato, non ne segue che esso debba essere spe-dito ai manicomj, o quando ve lo sia, niuna legge impo-ne che vi abbia ad essere ritenuto indefinitamente e sot-to speciale responsabilità dei direttori; sicché questi fini-scono col dimetterlo, cedendo alla continuità della calmaapparente, alle replicate richieste dei malati e delle illusefamiglie, non mai abbastanza persuase della realtà dellapropria sventura.

Accade sì che quando la pazzia si palesi durante il pro-cedimento (819 Cod. Proced. Penale), esso viene sospe-so, e il reo sia spedito al manicomio; ma molte volte e’ne approfitta per evadere, come ne vedremo fra poco unesempio; più spesso ne perturba, come già dimostram-

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mo, l’andamento, e ad ogni modo, se perduri indefinita-mente l’alienazione, il procedimento non ha alcuna so-luzione, e come la giustizia rimane insoddisfatta e sem-pre sulla ricerca di un problema, con danno dell’impu-tato o della sua vittima, così ne rimane scontenta la pub-blica coscienza, ed eccitatane la malignità umana a falsie tristi sospetti, che, certo, non si incorrerebbero per uninvio ai manicomj criminali così, paralleli ad un carcere.

Il più sovente, però, essi si trovano liberi in mezzo anoi, e tanto più pericolosi perché, sotto l’apparenza dellapiù perfetta calma, della più lucida intelligenza, tenace-mente conservano gli impulsi morbosi, dandone, quan-do meno si sospetta o alla più lieve occasione, irrepara-bili prove. Esempj di questa facile recidività della ten-denza morbosa si trovano in tutti gli autori, nel Gianel-li, nel Brierre, nel Delbrück, nel Solbrig, nel Poli, nelMiraglia, nel Verga, nel Biffi; in tutti quanti, insomma,ebbero a trattare questo argomento: poco sopra io stes-so vi confessai come, ingannato dalla apparente docilitàd’un alienato, ebbi a dimetterlo con gravissimo pericoloaltrui. Or ora, i fogli raccontarono che il borgomastro diGratz fu vittima d’un monomaniaco religioso che alcunianni prima aveva minacciato un’altra esistenza. – Haltd-field, prima di attentare a re Giorgio III, aveva cercato diuccidere la moglie e i suoi tre figli; rinchiuso in Bedlamammazzava un alienato.

Il danno di questa libertà sconfinata lasciata ai pazziragionanti finisce coll’estendersi, in dati momenti, all’in-tera nazione.

E ciò non solo perché (come abbiamo veduto per gliassassini di Lincoln e di Giorgio III) quegl’infelici volgo-no il pensiero omicida verso i maggiorenti della nazione,ma anche perché, dotati come sono d’una lucida mente ed’una grande tendenza all’associazione, quando trovinoil momento favorevole, riescono a formare un nucleo set-tario, tanto più terribile, che non avendo a moderatore la

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mente sana, non è capace d’arrestarsi nel suo cammino edi temperarsi, ed agendo sulle menti dei volghi per il fa-scino stesso della sua stranezza, riesce a trascinarli cieca-mente dietro di sé; sono, direi, molecole di fermento, im-potenti per sé, ma terribili negli effetti quando possanoraggrupparsi ed agire in una data temperatura, entro unpredisposto organismo. Noi n’ebbimo un esempio nellestoriche pazzie epidemiche del medio evo, che si ripeto-no nei Nichilisti di Russia, nei Mormoni e nei Metodistid’America, negli incendiarj di Normandia del 1830, e orora in quelli della così detta Comune parigina.

Poiche è ormai dimostrato che, toltane l’influenza dipochi furbi e più pochi ideologhi, essa fu l’effetto d’unapazzia epidemica a cui prestarono mano le passioni con-citate dalla sconfitta (così come la paura nelle follie deicontagi), l’abuso dell’assenzio, ma più di tutto il gran-de numero di alienati ambiziosi, omicidi e fino paraliti-ci, liberati troppo presto dai manicomj, e che rinvenendoin quella popolazione commossa, un terreno propizio, siassociarono e posero in atto gli sciagurati loro sogni.

Laborde ( Les hommes de l’insurrection de Paris devantfa Psychologie, 1872) enumera ben otto membri dellaComune, notoriamente alienati o figli di alienati.

Anche gli orrori dell’89 ebbero spesso a movente delirjdi monomaniaci e omicidi, come Marat e La Terroigne.

Certo noi Italiani non siamo ancora guasti dall’alcoole dalla superbia, e sapremmo colla temperanza latinaopporre maggior resistenza alla sventura. Ma tuttavia,quando pensiamo agli orrori che la paura del colera pro-vocò nell’Italia del sud, e ai torbidi suscitati nell’Emiliadal macinato, nei quali, secondo uno studio accuratissi-mo dello Zani, appunto presero parte sette alienati54, do-vremmo dubitare, anche noi, che, continuando a lasciarein libertà certe specie di alienati, potremmo vedere peropera loro turbata la nostra ammirabile calma, quando sipresentasse uno di quegli avvenimenti atti a commuove-

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re le fantasie popolari e a dar corpo a quelle molecole disedizioso fermento, che sono i pazzi criminali.

Ma solo l’istituzione di un manicomio criminale mi pa-re capace di far cessare quell’eterno conflitto colla giu-stizia e colla sicurezza sociale, che si rinnova quasi ognigiorno, quando si tratta di giudicare quegli infelici, chenon si può o non si sa precisare se veramente furonospinti al delinquere da un impulso morboso o da per-versità dell’animo loro.

Posti nel dubbio, in simili casi, i giudici, cui la leg-ge non offre una via di mezzo con qualche istituzione,e nemmeno con qualche articolo di codice, se ne cava-no ora con una ingiustizia, ora con una imprudenza, as-solvendo quando la follia appaja loro evidente, e quan-do meno, diminuendo di qualche grado la pena... ed ahi,bene spesso anche condannando, e condannando perfi-no a morte, quando la follia appare chiara soltanto agliocchi dei medici55. Voi ricordate quella Jeanneret, au-trice di nove avvelenamenti, commessi senz’alcun lucro,senz’altro movente che il piacere maniaco di sommini-strare agli altri, come a sé stessa, delle sostanze medica-mentose, e poterne predire i terribili effetti: era un mo-dello di monomania impulsiva, come ben la chiamò Po-li, jatroliptica: – eppure fu condannata; e quasi contem-poraneamente era condannato il Chorinzki come avve-lenatore, un uomo che, epilettico fin dalla fanciullezza,avea dovuto segregarsi dai parenti, perché tentava mor-dere e colpire i primi venuti, e fino i fratelli, e che, po-co tempo dopo la condanna, morì con accessi furiosi eparalitici; ed erano pur condannati il Jeanson, che sen-za alcun chiaro movente colpiva il proprio intimo ami-co e dava fuoco al seminario, e contava padre, zii, fratel-li alienati, e quel Jobard che, per morire coi benefizj del-la religione, uccide la prima persona che trova in teatro,e contava sette parenti impazziti; e ben era alienato quelVerger, fratello e figlio di un suicida, che uccideva l’arci-

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vescovo di Parigi, da cui avea ricevuto continui benefizj,mentre risparmiava il superiore che solo l’ebbe a punire;quel Verger, che, poco tempo prima, si era mostrato sul-le pubbliche piazze con un cartello bizzarro, appiccica-to alle spalle, e che, dopo compito l’orrido fatto, si eramesso a gridare: Anatema! Anatema! Ed alienato è pu-re quel nostro Costa, parricida a 18 anni, con nonno e ziipazzi, e semipazzi i fratelli e la madre, che, colpito dal-la lettura d’un certo testo greco, uccide a colpi di martel-lo suo padre dormente, lo mette in una cassa, cui, senzauna ragione al mondo, spedisce ad un prete suo amico,e poi, invece di fuggire, passa la notte a ballare ed a suo-nare il violino. E quell’altro, osservato da Delbrück, cheammazzava a colpi d’accetta la moglie ed i suoi cinque fi-gli, perché potessero godere delle delizie del paradiso, esentiva in prigione le voci di loro che lo ringraziavano.

Forse anche dovrebbero imbrancarsi tra costoro an-che que’ sciagurati la cui vita fu tutta un seguito di de-litti, ma in cui rivelaronsi profonde anomalie dell’organi-smo, cerebrali, in ispecie. I cranj di Benoist, di Lemai-re, di Freemann, di Preedy56 presentavano, dopo morte,le suture saldate precocemente, e le meningi così ispessi-te e aderenti alla sostanza cerebrale, come solo si trovanonegli ammalati da cronica meningite. Io non credo cheil più fanatico giurista della vecchia scuola avrebbe cuo-re di condannare a morte un uomo, di cui avesse avu-to la certezza che nel commettere il crimine era affettoda infiammazione della meninge. E quel Villella, puni-to quattro volte per furto e per incendio, avrebbe potutocondannarsi, senza esitanza, da giudici che avessero rile-vata in vita quella straordinaria anomalia che io rinvenninel suo cadavere, d’un cervelletto mediano, d’un organocerebellare che non esiste nemmeno negli antropomorfi,che l’abbassava al di sotto dei pitechi?

Io so che da molti si objetta, che, lasciandosi trascina-re da simili dubbj, si finirebbe col non punire nessuno:

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ma ricordo che analoghe objezioni si alzarono, un tem-po, a chi s’opponeva alla bruciatura di quegli altri alie-nati che si chiamavano stregoni. Mi pare anche che peressi potrebbe ancora ripetersi l’arguta sentenza di Mon-taigne, che, «ad ogni modo, è un pagare a troppo caroprezzo un dubbio, col farne arrostire degli uomini vivi».

D’altronde, qui, non si tratta d’una pietà sentimenta-le e pericolosa all’altrui salute, si tratta anzi d’una misurapiù di precauzione che umanitaria, poiché, se son mol-ti i condannati, sono anche molti gli imprudentemen-te prosciolti; equi si tratta invece di disporre in modoche non possano ritornare, se non quando sieno perfet-tamente innocui, frammezzo a quella società a cui sonodi tanto pericolo.

Si opporrà che molte volte si confonderanno insiemecoi veri alienati molti simulatori; il numero infatti di co-storo fra i delinquenti è grandissimo; ma gli ultimi stu-dj vanno sempre più rivelandoci che tale soltanto ci ap-pare per la ignoranza in cui sono i più sui rapporti dellapazzia col delitto, e per la difficoltà di fare una diagno-si giusta; che una gran parte dei creduti simulatori sono,o predisposti alla pazzia, sicché in breve vi ricadono sulserio; o veri e proprj pazzi che, ignorando la propria ma-lattia, ne simulano una artificiale, al che, com’è naturale,riescono mirabilmente; o più spesso, ammalati che, pre-sentando forme affatto nuove o rarissime di frenopatia,destano ingiustamente la diffidenza del medico.

Il Wiedemeister57 oppone che, coll’istituzione dei ma-nicomj criminali, si verrebbe a ledere la giustizia, poten-dosi dare dei casi di pazzi delinquenti che guariscono deltutto, e cui sarebbe ingiustizia tenere reclusi; se non chequesti casi (salvo le forme acute) sono assai rari, la stati-stica di Broadmoor dandoci la povera cifra di 39 guari-ti su 770 ricoverati, in cinque anni; e ad ogni modo poi,a questo inconveniente si può rimediare, concedendo lalibertà a quei pochi, cui una lunga osservazione dimostri

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completamente guariti. Che se nell’intervallo qualcunodi questi abbia a soffrire, la è ben povera cosa in con-fronto ai moltissimi che potrebbero patirne per sempre,e in confronto alle molte e non temporanee e spesso ir-reparabili ingiustizie che con queste nuove istituzioni siriuscirebbe a prevenire.

Il Wiedemeister objetta, ancora, che i manicomj crimi-nali d’Inghilterra offrono tristissime scene di sangue, edesigono pel mantenimento dei ricoverati una spesa tripladegli altri. Ed è vero: infatti, nel 1868 a Broadmoor 72furono i ferimenti degli infermieri, di cui due gravissimi,e la diaria vi si elevava, specialmente per i grassi stipen-dj degli infermieri, a cinque lire per alienato. Ma ciò nondesta alcuna meraviglia, né può provocare una seria op-posizione. È naturale che l’accumulo di tanti individuipericolosi, con tendenza ad associarsi nel mal fare, ge-neri un vero fermento malefico, e dia luogo a gravi acci-denti, specialmente a spese dei poveri guardiani, i qua-li, malgrado la ricompensa più elevata, vi abbandonanopresto il servizio58. Ma se questi sono gravi inconvenien-ti, essi ne riparano molti e molti altri, che accadrebberonei singoli manicomj se quella istituzione non esistesse.

Le evasioni, le ferite che si deploravano tanto nel ma-nicomio criminale, si osserverebbero, allora, un po’ dap-pertutto negli altri manicomj, evi renderebbero impossi-bile la nonrestraint, come ho potuto dimostrare più so-pra; invece, insomma, di uno, avremmo avuto cinquan-ta manicomj contristati da scene di sangue, nessuno deiquali provveduto di guarentigie speciali per le evasioni.Ma va pur contemplato a questo proposito il fatto singo-lare, rivelato dallo studio statistico dei manicomj crimi-nali, che dappertutto la mortalità vi è minore della me-tà circa di quello che nei manicomj comuni, così in In-ghilterra come in America – il che è uno stimolo non lie-ve alla loro istituzione, e insieme una prova che le brutte

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scene che pur vi si lamentano, non sono così gravi negliultimi effetti, come si vorrebbero dipingere.

Coloro cui nulla sa di buono che non porti il bollofrancese o prussiano, potranno objettare: che nulla di si-mile sia mai stato fatto nel Belgio, in Francia od in Ger-mania; noi potremmo ben rispondere come quelle nazio-ni, più innanzi di noi in alcuni lati della vita intellettua-le, siano più indietro in alcuni della sociale, la Germa-nia in ispecie; e che, ad ogni modo, il bene, quando siaevidente, si deve adottare anche se non sia stato accol-to dagli altri. Ma, del resto, quasi tutti questi popoli, senon hanno un vero manicomio criminale, hanno leggi oistituzioni che in parte vi suppliscono.

Noi invece, non solo non abbiamo alcuno stabilimentospeciale, ma nemmeno un rigo di legge in proposito;noi ebbimo finora, come ben dimostrò già da tempo ilGianelli, alcuni articoli del codice, che sono l’espressionedella più strana contraddizione umana; in uno (94) siammette non esservi reato quando siavi pazzia, ecc.;nell’altro (95) si ordina di scemare di qualche grado lapena, ma di punire quando la pazzia, l’imbecillità, ilmorboso furore non siano in tal grado da rendere nonimputabile! frase che, se non fosse assurda, almeno peipsichiatri, sarebbe, ad ogni modo, pericolosissima nelleapplicazioni pratiche, come tutte le astrazioni che, perla loro elasticità e imprecisione, sfuggono al criterio deimolti.

Or io credo si debba chiedere, in nome del progressoumano, che si modifichi quel fatale paragrafo nel sensodel paragrafo 28 (paragrafo restato quasi sempre letteramorta), che commina la custodia ai criminali minori di14 anni e di poco discernimento, perché appunto i paz-zi delinquenti sono presso a poco altrettanto responsabi-li quanto costoro, e si ordini «la custodia fino a completaguarigione, in case apposite di salute, di coloro che com-misero reati in istato di pazzia o di altra infermità, che

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possa anche in leggier grado impedire l’uso della ragionee della volontà, come pure di quei condannati che diven-tino pazzi durante la loro detenzione, e che non abbianopotuto guarire dopo tre mesi di cura prestata in appositeinfermerie nelle case di pena».

E alla legge dovrebbe seguire dappresso la fondazionedi un manicomio criminale, capace di almeno 300 letti.In questo dovrebbero essere ricevuti:

1.º Tutti i servi di pena impazziti, e con tendenze pe-ricolose, incendiarie, omicide od oscene, dopo trascorsolo stadio acuto del male.

2.º Tutti gli alienati che, per tendenze omicide, incen-diarie, pederastiche, ecc., vennero sottoposti a inquisi-zione giudiziaria, restata sospesa per la riconosciuta alie-nazione.

3.º Tutti quelli imputati di crimini strani, atroci, senzaun movente chiaro, o con un movente sproporzionato aldelitto.

4.º Quelli che furono spinti al delitto da un’abituale,evidente, infermità, come: pellagra, alcoolismo, isteri-smo, malattie puerperali, epilessia, massime quando ab-biano parentele con alienati o con epilettici, e presentinouna mala costruzione del cranio.

5.º Gli alienati provenienti dalle carceri, che notoria-mente passarono una parte della loro esistenza nei vizi,nei delitti, dovranno essere segregati in appositi compar-ti. Gli altri alienati non saranno riuniti che a piccoli grup-pi, a seconda dei ceti e delle abitudini; dormiranno cia-scuno in una cella; la disciplina dovrà essere severa, la vi-gilanza maggiore che nei manicomj comuni, e analoga aquella delle case penali, ma il lavoro proporzionato alleforze, all’aria aperta, alternato da lunghi riposi, da diver-timenti, biliardi, ecc.

La direzione dovrebb’essere medica, il personale car-cerario.

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Gli individui riconosciuti abitualmente pericolosi, egià sottoposti a varj processi, non potranno essere dimes-si mai; gli alienati a follia istantanea, od intermittente,che offrano segni di perfetta guarigione, saranno segna-lati per la dimissione dopo uno o due anni di osservazio-ne, ma sottoposti, dopo la loro uscita, a visite medichemensili per molti anni di seguito.

Ma la lentezza, con cui in Italia s’accolgono tutte le se-rie riforme, e la indifferenza della stampa per tutto chenon si infanghi nelle questioni personali o di partito, esopratutto la grettezza o la strettezza delle nostre finan-ze, saranno ostacoli grandissimi all’impianto degli appo-siti manicomj criminali, che certamente esigerebbero unaspesa maggiore degli altri manicomj. Lo chiederei che,almeno fino a quel giorno in cui si possano fondare, sistabiliscano nelle grandi case di pena dei comparti peicondannati impazziti, in cui la sorveglianza esteriore purrestando uguale, mutasse la disciplina, il metodo del vit-to, di convivenza, di lavoro; e che nei manicomj provin-ciali dei grossi centri, regionali almeno, si aprissero deicomparti speciali per le forme intermedie di pazzie cri-minali, sorvegliati da un apposito personale, e in cui ladimissione non possa aver luogo se non con istraordina-rie cautele.

Queste ultime proposte, d’assai facile attuazione, sa-rebbero utili ad ogni modo, anche se si fondasse il ma-nicomio criminale, onde evitarvi l’affluenza dei ricovera-ti, e ridurla alla pura necessità; onde impedire l’odiosa epericolosa mescolanza degli onesti ed innocui coi vizio-si: ma da sole non raggiungerebbero però quell’altissimoscopo a cui un giorno è destinato a toccare il manicomiocriminale, quello di gettare alla chetichella la base d’unariforma penale, in cui la pena non sia più una vendetta,ma una necessità di difesa.

Io non saprei abbastanza ringraziare l’egregio dott.Biffi, per il potente ajuto che porge colla sua Memoria

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a quel progetto, che tanto mi sta a cuore, dei manicomjcriminali in Italia. Ma per quanto grande sia la miagratitudine, non posso però tacere su alcune discrepanzeche ci dividono.

Egli dubita che vi siano tanti alienati delinquenti,quanti io ne suppongo, e si fa forte delle indagini di pa-recchi manicomi che ne scarseggiano; ma egli non pensache così, inconscio, si aggira in una petizione di princi-pio; scarseggiando gl’individui riconosciuti alienati nel-le carceri, è naturale che essi debbano scarseggiare negliospedali; ma resta sempre probabile che individui vera-mente maniaci non sieno riconosciuti tali, e quindi nonvi vengano spediti. E giustissimo quanto egli dice, chemolti sono gli individui i quali dovrebbero accorgersene;medico, direttore, cappellano, guardiano, ecc.; ma il me-dico non specialista, non si capacita se non delle formele più grossolane di alterazione mentale; il direttore è incontatto co’ suoi condannati, tanto poco, come un co-lonnello coi suoi soldati; i guardiani che soli lo sono ve-ramente tendonono sempre a credere cattiveria, maliziala pazzia, come del resto tutte le persone del volgo. D’al-tronde vi è un personaggio, misterioso, che spiega anchela rarità degl’invii nei manicomj; è l’impresario, alle cuispalle ricade la manutenzione del condannato divenutoalienato, e che in luogo di 60 centesimi deve spendercidai 2 ai 3 franchi al giorno. Se l’egregio dott. Biffi, in-vece di un manicomio privato, dirigesse un manicomiopubblico, si sarebbe accorto delle noje che danno que-sti messeri, degl’intrighi che tessono per ritirare prestogli alienati dal manicomio, o per fare che essi non v’en-trino. [...] Oltre a ciò, l’idea del manicomio criminale sideve fecondare, non tanto per provvedere ai delinquen-ti divenuti pazzi, i quali, finché sono in prigione, in qual-che modo sono tutelati essi stessi e poco pericolosi; masibbene per collocare quella specie intermedia tra il de-litto e la pazzia, di cui Agnoletti, la Jeanneret, Verger,

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Jeanson sono terribili esempj, e che si vedono raramen-te nei bagni, ma che pur troppo folleggiano liberi e fataliin mezzo a noi, quando con un’ingiustizia troppo giusti-ficabile non si condannino a pene da cui come ammalatidovrebbero essere esenti, violando così l’umanità o tur-bando la sicurezza sociale. Egli crede che i delinquentiitaliani non sieno di natura feroce e inclinati a pazzia, co-me quelli degli altri paesi, e lo deduce dalla propria espe-rienza; ma io reputo che appunto questa l’abbia tratto inerrore, perché egli non ebbe a bazzicare se non coi de-linquenti minori dei riformatorj e delle carceri giudizia-rie. Se avesse avuto a trattare coi condannati delle gale-re o dei bagni, egli, così sagace e fino osservatore, avreb-be tenuto ben altro giudizio. Sopra un esame di 835 de-linquenti dei bagni, ho trovato

90 individui con la testa di cent. 53 di circonferenza42 individui con la testa di cent. 52 di circonferenza15 individui con la testa di cent. 51 di circonferenza7 individui con la testa di cent. 50 di circonferenza1 individui con la testa di cent. 49 di circonferenza

Sono in tutto 155 microcefali o submicrocefali sopra835. Ciò mi dimostra che uno dei caratteri fisici più sa-lienti, la microcefalia, osservata dagli Inglesi nei delin-quenti così spesso, si osserva pure da noi con eguale fre-quenza: e il dott. Biffi converrà che con testa piccola èfacile avere intelligenza sbagliata.

Né io posso ammettere, com’egli propenderebbe, cheil carattere morale di questi immoralissimi uomini sia mi-gliore da noi che non altrove. In genere, i fenomeni psi-cologici si presentano, come i fisici, con una sorprenden-te uniformità da per tutto, e se vi è qualche carattere dif-ferenziale, per esempio nel delirio degli alienati, è solonella parvenza, nella forma, ed è spiegato dall’indole spe-

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ciale del popolo; per es., dalla docilità e disciplinatezza eservilità del popolo russo si spiega la tranquillità che do-mina in alcuni manicomj di Russia; ma noi non abbiamonemmeno da questo lato di che sperare: non siamo néun popolo troppo disciplinato o servile, e neanche, a dirvero, troppo morale.

Era italiano quell’Orsolato che stuprava le ragazze, epoi ne faceva salcicce; quel Soldati che stuprava, deruba-va, e poi abbruciava le sue vittime; quel Dacosta che ta-gliava a fette il proprio padre, per pochi soldi che gli ne-gava. E pur troppo è in una delle capitali italiane che sivendette a rotoli sulle piazze la carne dei carabinieri.

Io non posso ricordare senza terrore, come, riuscitoa infingere dimestichezza con un tal S., dimorante nelbagno di P., e chiestogli se egli od i suoi compagniavessero mangiato orecchie umane: «Oh io, rispose, nonci trovava gusto, perché eran troppo salate».

Quanto al progetto del dottor Biffi, di erigere delle in-fermerie alienistiche per ogni carcere giudiziario, invecedi fare un grande manicomio criminale, esso sembra pre-sentare qualche difetto, poiché le carceri giudiziarie so-no più di 71, e ad esse conviene unire le 33 case di pe-na: che certo anche in queste, anzi più in queste che nel-l’altre, occorrerebbero simili infermerie; ora, quando eglimi avrà fatto 104 stanzine da bagni e doccie, e 104 cor-tiletti, 104 infermerie, esso avrà moltiplicato almeno 20volte la spesa di costruzione che esigerebbe un solo ma-nicomio. [...] Ora, le nostre condizioni economiche so-no tali che, davanti ad una grave spesa, il governo smetteogni più vitale proposta di riforma, anche di quelle cheson richieste dalle esigenze della politica. Si immaginipoi una istituzione come questa dei manicomj criminali,la quale non può essere apprezzata nella sua importan-za se non da uomini specialisti o di profondo istudio, eche non farà battere le palme a nessun partito politico.Gli è per questo che, secondo me ci dovremmo adattare

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in sulle prime ad un manicomio costrutto così alla buo-na e di poca spesa, tanto per gettare la prima pietra e perprovvedere all’urgenza; se no, pur troppo io temo che,per avere il meglio, non si otterrà nemmeno il bene.

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L’influenza delle meteore

Molte volte mi balenò nella mente un dubbio assai triste;se, cioè, quell’indefinito progresso scientifico, di cui me-niamo tanto scalpore, non sia spesso una vana illusione;se noi, in luogo di percorrere una linea ascendente, nonriesciamo spesso che a tornare per una linea ricurva alpunto, donde baldanzosi ci dipartimmo; e ciò soprattut-to in grazia alla boria dei dotti (come bene la chiamavaVico), ai quali non pare mai di accogliere nel sacro grem-bo quello che è ammesso da secoli e popoli meno civili;a cui non pare credibile una dottrina, per ciò solo che èo fu troppo creduta.

Così è che da molti si discute ancora sull’influenzadell’eredità nei malati e nei sani, sull’azione specifica deifarmachi, sull’importanza del cervello per l’evoluzionedel pensiero, sull’erpetismo ecc., tutte questioni passatein giudicato, e da un pezzo risolte non solo dai dotti deitempi addietro, ma puranco dal popolano, a cui non v’èdimostrazione scientifica, per ricca di fiori di rettorica edi lacci di logica, che gli tolga dal capo e dal labbro lefrasi di salso per erpete, di bella testa per uomo di bellamente ecc. Così pure non s’ebbero astronomi ai dì nostri,ne psichiatri di tanto potere, da torgli dal capo le ubbiesull’azione della luna sulle meteore, e quella che a me piùinteressa sulle alienazioni mentali.

A questa ultima relazione, pure sì singolare, credonocon istrana unanimità i popoli più disparati, arii e semi-tici, e qui le prove non solo sarebbero molte, ma troppe.

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In Europa vediamo lo Spagnolo e l’Italiano dare alpazzo del lunatico59, che corrisponde al mondsuchtige mondig dei Tedeschi e al lunatique dei Francesi e allunatic degli Inglesi; il nostro patir la luna od i quarti diluna corrisponde all’avoir ses lunes e avoir un quart delune dans la tête, senza dire del Napoletano mal de la lunaper epilessia, che ha il suo omologo nelle lingue finniche,ungheresi ed armene.

Che gli antichi Indostani partecipassero a queste cre-denze bene ce lo rivela il Sushrata, l’Ippocrate sanscri-to; esso nota come caratteristica di molte specie di fol-lie il subire l’influenza delle fasi lunari; per es. la maniareligiosa o devagraha recidiverebbe al plenilunio, la ma-nia furiosa o psihagraha invece 15 giorni dopo dei sizigi,e 5 dopo il novilunio la mania paralitica: la mania omici-da scoppierebbe solo di notte. (Whyse. Hindu System ofMedic. 1846. Calcutta).

Nell’arabo hilal – novilunio, è molto affine all’halalebreo – insanì; anzi l’halal stesso ebreo congiunge ilsignificato di demenza e di luna.

Secondo il singolare sistema comune agli Egizi e aiCaldei (ed in parte agli attuali Chinesi) il pianeta Martepresiede all’udito, Mercurio all’epilessia, e la luna allaparola, al cervello, e non so poi perché, anche ai lombricied al fegato.

Quanto poi i nostri vecchi padri Romani e Gre-ci credessero alle relazioni tra la luna e le alienazioni,ce ne fanno fede la parola lunaticus dei Latini, e me-glio il σεληνóβλητoς e il βεχχεσεληνóς e ilσεληνιαχóς dei Greci, anzi secondo il Nonno lastessa parola µηνη per luna deriverebbe da mania, co-meché egli facesse dire in un monologo alla medesima lu-na «Sono la luna furente, e ciò son detta non solo perchéimpero sui mesi, ma perché anche presiedo alle pazzie,ed eccito i furori» ´αλλ’ óτι χαι µανιης µεδεωχαι λυσσαν γειρω (Dyonis. XLIV).

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Areteo ci dice che molti credono l’epilessia essereinflitta dalla luna agli uomini tristi, e perciò dirsi morbosacro ( De morb. comit., cap. IV).

Anche i nostri santi padri attinsero alquanto a questagenerale e tradizionale credenza, e S. Matteo e S. Tom-maso affermano, che i demoni scegliono i giorni delle fa-si lunari per colpire gli alienati od epilettici, onde ne ri-dondi odio al creatore delle cose terrene e celesti; curiosae fina interpretazione, che è poi riprodotta e largamentecommentata nei consulti di Zacchia e Apollonio. Gli al-chimisti invece spiegavano la relazione tra gli accessi ma-niaci ed epilettici e le fasi lunari per lo influsso specia-le, che, eredi delle teorie caldee, credevano possedesse laluna sul cervello umano.

Ma per venire propriamente all’evo moderno, il Pla-ter, così spoglio del resto dei pregiudizi volgari, anno-ta un caso di una amenorroica soggetta ad epilessia, cherecidivava più spesso ai noviluni ( Opera, lib. I).

Bartholon, questo fortunato copiatore del nostrogrande Toaldo, nella sua opera premiata ( De l’électri-cité du corps humain. Lyon 1780) porta le osservazionifatte giorno per giorno sopra gli accessi di un vecchiosoggetto a follia intermittente; egli notò nei 194 giornidella quadratura una completa calma, un’ostinata diu-turnità ed accessi furiosi in 184 giorni corrispondenti al-le sizigie.

Sauvages credeva tanto a questa influenza, che creòuna così detta mania lunare recidivante ai pleniluni. (Nos. méthod. Vol. VIII).

Daquin dopo aver registrato il caso di un alienato,il quale soffriva accessi epilettici ai primi quarti e aipleniluni, ed i maniaci ai noviluni ed ai secondi quarti;dopo aver citati casi di apoplessie e paralisie recidivateai sizigi, finisce perfino col dire: «I fatti che io allegosono certi; e non vi sarebbe nulla di certo in fisica, se tali

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osservazioni fossero tenute per chimere» ( Philos. de laFolie, 2ª ediz. p. 207).

Chiarugi, il Pinel dell’Italia, più volte ritorna su questeinfluenze lunari. «Non pochi pazzi, egli scrive, osservaiesacerbarsi alla prima quadratura, altri all’apogeo o pe-rigeo, benché questi siano più rari» ( Della pazzia, 1793,p. 108), e segue narrando di un sacerdote, che impazzivasoltanto ai noviluni.

Lanzonius nell’Ephemerides Germanicae narra il casodi una donna soggetta a mania solo nei pleniluni, efinalmente Engelken, Portal, Cullen e Frank portanoanche essi fatti simili.

Ma se veniamo però all’epoca non solo moderna, marecente, contemporanea, l’accordo su questo propositosi rompe; gli è che alla fede troppo cieca era sottentra-ta per reazione una tendenza al dubbio tanto tenace, dacondurre all’errore per troppo amore del vero; gli è an-che che mano mano fra i medici, agli studi più o menoesatti, ma attenti, sulle circostanze esterne, cause sì fre-quenti di malattie, eranvi sottentrati studi fisici accura-tissimi sulle condizioni proprie interne dell’uomo mala-to; studi molto più fecondi, ma che sgraziatamente non sivollero associare ma fare eccellere, con totale esclusionedei primi; cosicché in molte scuole germaniche si giunsead escludere quasi l’eziologia dall’esame del malato, ed amigliore ragione quindi l’astronomia, che putiva, quan-do si fosse voluta rimescolare a cose mediche, di eresiaparacelsiana e galenica.

Bacone da Verulamio aveva detto che non bisognaabolire l’astronomia applicata alla medicina, ma purgar-la. Il Gatt, aveva tentato l’astro meteorologia sana, ma,come vedemmo, i tentativi d’avvicinare la meteorologiae l’astronomia alla medicina abortirono nel nascere o nonriescirono almeno agli effetti se ne attendevano. La cau-sa certo ne fu il dominio di pregiudizj astrologici da cuinon potevano spastojarsi nemmeno più spregiudicati, e

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poi il cattivo ed imperfetto uso delle cifre, conciossiachési raccogliessero da una parte i dati barometrici, termo-metrici, ecc., ma senza porli a confronto cogli altri datistatistici e patologici, accontentandosi, invece, di vedu-te generali, che erano poi facilmente contraddette da piùesatte osservazioni.

Ma tutti questi egregi scrittori si occuparono delle in-fluenze meteorologiche, prese, dirò così, all’ingrosso, agrandi masse; nessun volle seguire, se si eccettui il Ber-tholon, passo passo, ora per ora, le variazioni metereolo-giche e le frenopatiche. Ora io credo che questo studioera strettamente necessario a chi voleva far passare, colrigore che esigono le moderne discipline, dallo stato diverosimiglianza, di probabilità, a quello di legge e di fat-to – la opinione, pur tanto comune, dell’influenza dellemeteore sull’alienazione.

Questo studio io l’ho potuto eseguire, sì per avereavuto nel prof. Golgi, dott. Sergenti, dott. Stefaninoe nel prof. Tamburini una serie di zelanti, come acuticooperatori.

Quanto più andai completando queste parallele osser-vazioni metereologiche e psichiatriche, mi andai convin-cendo che potevano riuscire giovevoli alla scienza teoricaed alla pratica.

Le modificazioni singolari, che subisce il cervello ma-lato sotto le meteore, confermano, sempre più, essere l’a-lienazione una malattia del corpo, essere il pensiero sog-getto come tutto il corpo, come tutta la materia viva, al-l’esterne influenze e quindi emanare dalla materia – an-zi essi ci offrono il solo mezzo diretto, incontrovertibi-le, per afferrare la vera influenza della natura sulla men-te umana, influenza di cui ogni buon osservatore, ogniuomo, anzi, poteva esibire una qualche prova individua-le, come la maggior svogliatezza in giorni asciutti o, tem-poraleschi, ma inesatta appunto perché individuale, in-fluenza di cui le recenti statistiche, sui suicidj, omicidi

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ecc. davano un’idea ancora incompleta, perché essi rap-presentano li effetti di una sola nostra facoltà, che non èforse la più nobile.

Quanto alla pratica, mi parvero utili queste osserva-zioni per le cure profilattiche e terapeutiche dell’aliena-zione, per servire di norma alla fondazione dei manico-mj, il supremo fra i soccorsi psichiatrici.

Conoscendo, infatti, che nelle rapide variazioni baro-metriche si esacerbano li epilettici, noi tenteremo render-ne, costoro, più che sia possibile indipendenti e tutelati,certo ne aumenteremo la vigilanza in quelle epoche.

Vedendo, invece, che dopo le grandi variazioni ba-rometriche guariscono molti maniaci cronici, noi ne ca-veremo il corollario di collocare questi ultimi in siti, incui la pressione atmosferica sia il più possibile soggettaa queste alterazioni. Sapendo che li alienati muoiono so-pratutto nei giorni in cui la temperatura è molto bassa,ne caveremo per corollario di fornire, più che sia possi-bile, di caloriferi i manicomj, di raddoppiare di vigilanzasugli ammalati nella stagione fredda, e sopratutto di nonesporli in quell’epoca all’aria aperta dei campi, che purenelle altre stagioni è loro tanto benefica.

Toltone dunque i maniaci, gli alienati in genere anchegli epilettici, presenterebbero un numero molto maggio-re di accessi a luna calante e qui amo ricordare quel fat-to, sfuggito ai molti biografi del Tasso, che Costante, l’a-mico intimo suo, nello scusarlo per un pessimo sonet-to, dichiarava ciò dipendere dall’essere stato compostodal Tasso a luna calante, epoca in cui nulla gli riescivafatto di buono ( Lettere di Costante. Pisa, Tip. Nistri1872), e devo soggiungere conoscere io un valente poetaed un profondo pensatore, ai quali le ispirazioni più ro-buste vennero, sempre e solo, nei plenilunii e che a lunacalante si sentono impotenti ai lavori psichici intensi.

Tuttociò potrebbe essere un’accidentalità fortuita,uno scherzo di casi e di cifre! e certo ci vogliono per ac-

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certarlo molti e molti anni di analoghe osservazioni fat-te con metodo uniforme. – Ma quando all’ipotesi, ormaiabbastanza assodata per non parere assurda, si sostituis-se la certezza, il dotto dovrebbe confessare d’essere sta-to vinto dal volgo, non perché il volgo fosse più sapiente,ma perché in lui il tempo tenne luogo del senno; e le se-colari, ripetute, osservazioni, tramandate colla tradizio-ne, colle favole e colle canzoni, di padre in figlio, tenneroluogo dei meditati calcoli del genio; e perché se il popoloha dei pregiudizi che gli fanno nebbia allo sguardo, an-che il dotto, pur troppo, ne è impastoiato, come quando,per abuso di critica, smarrisce le traccie giuste del vero;come quando ingolfatosi nei nuovi e fecondi studi sullecause interne dei morbi, ne rinnega e disdegna lo studio,pure tanto necessario, delle cause esterne.

Tuttavia una ricerca, condotta per pochi anni, non po-teva dare ancora delle conclusioni accertate; essa baste-rà, appena, a dimostrarci la opportunità e la giustizia delmetodo, e a farci da lontano intravvedere timide e riser-vate induzioni.

E’ si pare, per esempio, dallo spoglio delle cifre mie eda quelle del Tamburini, affatto nulla, l’azione dell’elet-tricità positiva e negativa, dell’ozono e del magnetismo,nulla od impossibile a cogliersi quella dell’umidità o deiforti venti, salvo il dubbio che l’Est abbia una benignainfluenza ed il Sud una maligna.

Poco chiara è l’azione dell’eclisse, degli solstizii e deiterremoti, o certo in questi, più retroattiva che diretta.

Spiccata, invece, è l’influenza dei vari mesi dell’anno,crescendo gli accessi in ragione del corso solare, essen-do scarsi nei primi freddi, più frequenti nei primaverili,e più negli estivi, per ritornare un po’ più scarsi nell’au-tunno, riescendo più spesso il Marzo dannoso ai mania-ci; l’Agosto ai melanconici; Settembre e Ottobre ai para-litici; Luglio ai pellagrosi.

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La proverbiale azione lunare, benché ancora sia assaidiscutibile, pure comincia ad intravvedersi, con un au-mento degli accessi a luna calante, specie nei dementi,epilettici e monomaniaci; ma quest’azione, se pure è si-cura, si risolverebbe in un’influenza barometrica delica-tissima, coincidendo colla prevalenza dei tempi nuvolosie burrascosi.

Ancor meno di preciso e di sicuro ci offersero le dif-ferenze delle pressioni atmosferiche. Bene spiccata, in-vece, risulta, per quanto mal comprensibile, l’influenza,che dirò retroattiva, delle loro variazioni.

Quando il barometro offre notevoli oscillazioni siad’elevazione che di abbassamento, si osservarono 1, 2,3 giorni prima e alcuni giorni, dopo, un numero direcrudescenze maniache, tanto più grande quanto piùspiccata e più improvvisa fu l’oscillazione; più sovente,pare, prima dell’elevazione che dell’abbassamento.

Questo fenomeno che più emerge nei dementi e ne-gli epilettici ben si congiunge e forse si spiega con quel-la speciale sensibilità meteorologica, che sembra in anta-gonismo colla vigoria delle funzioni cerebrali, comechéessa non si rinvenga squisita che negli animali inferiori enegli uomini meno eccellenti per facoltà cerebrale, nonultima, forse, questa fra le cause di quelle bizzarre adora-zioni in cui vennero gli idioti e gli animali e i loro visce-ri, presso i popoli rozzi e negli antichi, i quali suppone-vano una sapienza riposta e rivelata là dove era proprioeffetto di causa contraria.

Queste grandi variazioni barometriche esercitanoun’influenza benefica sul decorso delle alienazioni men-tali, probabilmente, acutizzando le croniche, il che cispiega le guarigioni più numerose dell’autunno e dellaprimavera.

Un’azione, altrettanto sicura, è quella del calore.I suicidi come li accessi maniaci sono in maggior fre-

quenza nelle ore mattutine, nei giorni e mesi più caldi,

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e nei mesi caldi; i crimini che sono più in rapporto col-le passioni umane, accadono con frequenza maggiore neimesi caldi, e probabilmente analoghe ragioni fanno spes-seggiare in questi mesi le rivoluzioni popolari, sicché lameteorologia apparrebbe un amminicolo prezioso dellaumana storia.

Coloro, che sono predisposti allo sviluppo e alla reci-diva di una alienazione mentale, devono guardarsi, so-pratutto, dai grandi calori, come pure dalle grandi varia-zioni barometriche.

I dementi incurabili, e forse anche gli epilettici devo-no, collocarsi nella stagione calda in siti freschi, e dovemeno risentano le variazioni della pressione atmosferica.

L’applicazione più ardita di questi studi dovrebbe ca-varsi dal fatto da noi osservato delle maggiori guarigionidei pazzi nei mesi delle grandi mutazioni barometriche,guarigione dovuta, con grande probabilità, all’esacerbar-si della forma cronica; comeché si parrebbe che l’espor-veli, ripetutamente, possa giovare a guarirli.

Il metodo più semplice, perciò, sarebbe il sottoporli,alternativamente, agli apparecchi ad aria compressa e adaria rarefatta od almeno ai primi; e ciò tanto più, dacché,ora è noto come questi siansi mostrati utili in malattiegravissime dei centri nervosi.

Certo questi tentativi non devono disdegnarsi in unamalattia che resiste tanto ai rimedi più disparati; sopra-tutto non dovranno rifiutarsi da coloro, che, con una im-prudenza non giustificata pur dal bisogno, tentano, an-che oggidì, di curare le pazzie col vecchio e sciupato me-todo della trasfusione che in null’altro può agire, fuor-ché producendo avvelenamenti infettivi60 dannosi sem-pre e non di raro mortali – mentre l’innocuità di questiapparecchi almeno sino a 2 atmosfere (quando preceda esegua l’opportuna graduazione) è incontrovertibilmenteaccertata.

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Claustrofobia e claustrofilia

L’egregio professore Raggi ci ha rivelato una forma nuo-va di malattie mentali, il cui speciale carattere consistenell’orrore del riposo e nel bisogno del movimento.

Da alcuni fu messa in dubbio quella bella scoperta; maper parte mia io non posso che riconfermarla, con tuttaesattezza, estendendone, anzi, a più larga meta i confini;ecco riassunti i casi che riconfermano l’esistenza di quellanuova specie:

1° Rasa...mi Maria, levatrice, d’anni 48, di Torino, cheperdette i genitori di malattie polmonari e che conta solouno zio materno e tre nipoti rachitici, patì da giovane diexsema al capo, che si rinnovò dopo il secondo parto,mentre nel primo sofferse di mastite e di eruzioni allegrandi labbra che si rinnovavano ogni anno, e, dopo ilterzo, di paralisi vescicale e dolore alla clavicola.

Ora questa donna, la quale in tutto il resto non avevanulla di singolare, pesava 75 chili, essendo alta 1,62, pre-sentava la circonferenza cranica di 560, l’indice cefalicodi 84, dinamometria di 28 e 1012 di urometria, da quel-l’epoca in poi cominciò a sentire un senso di soffocamen-to stando nella stanza, tanto da dover aprire le finestre inpieno inverno per dormire; questo senso degenerò a po-co a poco nella impossibilità di star ferma nella stanzae di camminare di continuo, cosicché non dormiva dueore per notte dovendo scendere e ascendere dal letto, ovestirsi, e in piena notte fare 8 volte la piazza d’armi, op-pure andare direttamente a Superga, oppure salire dalleclienti che stavano più lontano ed in alto e che ricevevancosì visite inaspettate e spesso inopportune; qualche vol-ta di queste visite era io stesso regalato e non era anco-ra entrata nel mio studio che pregavami di aprire le fine-

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stre, e dopo pochi lagni, senza quasi aspettare la risposta,ripartiva.

«Quando cammino, diceva, sto bene; quando mi fer-mo sto male. Se devo sedermi anche ora, per freddo chesia, bisogna che apra le finestre», e nello stesso tempoaccusava un dolore nel capezzolo che, a suo dire, si ri-gonfiava, e mi narrava come un medico a quegli stranisuoi lagni, credette portar giovamento traforandole il se-no con un grosso setone!!

Dopo 5 o 6 visite questa donna non mi comparve più,sicché non saprei se la cura incominciata di muschio enoce vomica abbia giovato.

2° X. Y..., uno dei più autorevoli personaggi d’Italiache stabilì primo una speciale amministrazione e n’eb-be gloria e dolori, è un uomo sui 45 anni, magro, giallo-gnolo, alquanto rachitico, bruno, dal cranio dolicocefa-lo, dalla scarsa barba e dalla voce alquanto esile e qua-si soprana; entra dentro nella stanza, pregando che subi-to si apra la finestra, e parlando si muove continuamen-te e quasi quasi corre per la stanza. Indi racconta comeda alcuni mesi esso provasse una oppressione allo sternoche diveniva angoscia insopportabile quando stava fer-mo e miglioravasi quando movevasi e più ancora quandostava in carrozza scoperta e messa a gran velocità.

Perciò s’era accaparrata una vettura con un poveroronzino che lo trascinava tutto il giorno dall’uno ad unaltro paese del Lago Maggiore; ma solo che il poveroronzino si fermasse alquanto l’angoscia ritornava violen-ta, ed in uno di questi accessi tentò il suicidio. Siccomesi sentiva in continuo pericolo di rinnovarne i tentativi,perché gli era impossibile trovare cavalli che resistesse-ro a quella corsa infernale, egli si faceva guardare da unadonna. Consultava continuamente medici, ma poi nonparmi che ne seguisse i consigli.

Questi due casi mi sembrano sufficienti per dimostra-re come la nuova specie creata dal Raggi esista, per quan-

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to almeno possano esistere le specie che sono labili cometutte le opere umane e come quindi le classificazioni.

A questi casi, assai probabilmente, si collega quellaspecie d’inquietudine che succede a certi forti dolori, eche spinge a muoversi perché il variare delle sensazioni,e l’esercizio forzato dei muscoli scema l’intensità deldolore. E su questo rapporto allora i casi di claustrofobiadiventano frequentissimi.

Qualche volta questo del camminare è una necessitàin chi soffre, perché il dolore diminuendo l’ossidazionedel sangue l’organismo prova una specie di bisogno disupplirvi con una respirazione artificiale quale si ha mo-vendosi rapidamente, e questo può notarsi già in coloroche sono oppressi da un dispiacere, che immediatamen-te sentono il bisogno di andare all’aria aperta e di muo-versi, senza di che, dicono essi, si sentirebbero soffocaredal dolore.

Dalle esperienze infatti del Mantegazza ( Fisiologia deldolore, pag. 117) risulta che sotto l’azione del dolore siha una diminuzione dell’acido carbonico espirato che vasino al 67 per 100 negli animali, e nell’uomo il dolore im-provviso arresta il movimento respiratorio; quando peròi moti muscolari sono molto forti, l’azione del dolore èvinta dall’influenza del moto.

Alcune volte questo della corsa e del vagabondaggio èuna vera specie di scelotirbe come nel caso seguente:

Maria G., figlia di una cretinosa e di un apopletico,con cranio mal conformato, faccia assimetrica, cretino-sa, d’anni 30, affetta già nella giovinezza di corea mino-re, venne presa da una corea generale che non le lascia-va tregua un sol minuto e per la quale fu mandata all’o-spedale. Essa vi venne presa da una irascibilità contro lecompagne che la indusse ad atti di furore, dopo i quali sisentì spinta ad esci re dalla porta e camminare, e cammi-nò tanto che dall’ospedale di Pavia si trovò nella piazza

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del Duomo di Milano senza ricordarsi quanto le avvenis-se durante la strada.

Arm., d’anni 21, figlio di un padre bevitore, di madreisterica, cranio piccolo, ben conformato, 51, con este-siometria normale, è ora affetto da incipiente demenza,che segue ad una mania acuta suicida; giovinetto, salvoalquanta apatia ed eccentricità, s’era mostrato di coltu-ra più che ordinaria, ma il primo sintomo della malattiafu quello di correre da Torino a Cuneo a piedi, abbando-nando il vapore alla prima stazione ferroviaria. Scompar-so il ticchio di vagabondaggio, insorse la tendenza suici-da e la mania acuta, che ora ancora lo domina.

In questi casi non si può dire fossevi claustrofobia,ma scelotirbe, bisogno irresistibile di muovere le gambecome in altri di vociare.

Meno ancora può confondersi questa claustrofobiacolla nuova specie descritta da Koster di pazzia dei va-gabondi, che insorgerebbe quasi sempre ereditariamen-te in tre quarti dei casi, e nella pubertà o fanciullezza, opiù tardi solo dopo cause traumatiche, dispiaceri, e checonsisterebbe nella mancanza del senso, dell’onore, del-la moralità, dell’amore di famiglia, tendenze agli eccessisessuali e alle bibite, idee ipocondriache miste ad orgo-gliose, a sprezzi, a insulti verso altrui, esagerata facondia,non di rado simulazione con tendenza all’intrigo, e so-pratutto a girare da un paese all’altro senza posa. ( Allg.Zeits. F. Psich., xxx. 21)

Qui si tratta piuttosto di una follia morale comune,la quale s’innesta però in un gruppo d’uomini specialiche formano il primo anello della delinquenza e forseinsieme il punto di congiunzione con la follia, e che sonoi vagabondi.

Quelli che studiano l’uomo criminale conoscono comeil primo sustrato e il primo gradino della delinquenza èil vagabondaggio, il quale raggiunge una quota enorme,circa il decimo dei delinquenti comuni. La statistica degli

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ammoniti c’insegna ora, che, mentre una piccola partedi questi è un prodotto di necessità sociali o politiche,di mancanza di lavoro, scioperi, mala salute; la maggiorparte, invece, è costituita da uomini tutt’altro che male insalute ed incapaci, anche, di veri delitti, che avrebbero,anzi, orrore del sangue e perfino dei grandi furti, ma nonforse del manutengolismo, del meretricio, ma che sono,sopratutto, incapaci di un lavoro continuato; si sentonole braccia molli e perciò non possono trovarsi d’accordocolla società normale, che vuole uno stabile lavoro, equindi sono insensibilmente spinti verso ai criminali chesono i loro amici naturali. Essi ne adottarono, anzi necrearono il gergo e qualche volta ne aiutarono l’impresae sempre ne allettarono le brigate, essendo i giullari diquesti eroi del delitto.

Una parte poi di costoro non è tanto spinta all’ozio e alvagabondaggio da questa mollezza dei muscoli, da que-sta inerzia al lavoro, quanto da una specie di bisogno ir-resistibile di continua locomozione che non permette lo-ro di star a lungo in un dato sito, per cui appena appre-sa un’arte e toccata una data posizione sociale, nella qua-le molte volte anche emergono, senza causa, alcuna l’ab-bandonano; essi provano il sentimento inverso della no-stalgia, per cui un dato luogo, una data serie di personee di operazioni diventa loro uggiosa e per cui un officio,se non dà loro agio a muoversi e a mutare di sito, diventainsopportabile.

Siccome poi molti dei veri delinquenti cominciano aquesto modo la loro carriera61, e siccome in alcuni alie-nati la pazzia appunto comincia, come nell’Arm... succi-tato, in questo modo, anzi, in alcuni, come vedemmo, innessun’altra manifestazione che in questa consiste; cosìabbiamo, possiamo dire, nella claustrofobia uno di queipunti singolari di passaggio tra l’uomo delinquente e l’a-lienato e perfino coll’uomo normale colpito da passionedolorosa, che giovano a mostrare quanto spesso, anche

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nei fenomeni psichici, la fisiologia e la patologia si fon-dano insieme.

Forse un punto di contatto storico ed affatto normalecon queste tendenze si avrebbe nella antica vita nomadedella prima umanità, di cui l’emigrazione dei popoli nor-dici nel medio evo e le crociate e i pellegrinaggi, e final-mente l’attuale emigrazione irlandese e cinese, potrebbe-ro essere nuove manifestazioni; così le sette ed i riti neicoribanti antichi e, poi, nei flagellanti e in quei contadinidel medio evo che percorrevano il mezzogiorno d’Euro-pa vagabondando in onor di Dio, in quei veri alienati epi-demici che postosi a capo un’oca, una pecora, ecc. la se-guivano per migliaia di miglia gridando e cantando, nellasicurezza ch’essa li condurrebbe in terra santa; e così pu-re in quella specie di frati vagabondi che nel v secolo do-po Cristo infestarono l’Oriente e qualche parte d’Euro-pa sotto nome di Rhemobot, Gyrovagi, Sarabanti, in cuila religione e la delinquenza e forse la pazzia si fondeva-no insieme, che correvano di qua e di là senza arrestarsiin nessun luogo, e che sotto pretesto di cercare una vitaperfetta, obbedendo al Vangelo62, si facevano mantene-re in ozio e in lussuria mescolandosi agli uomini più tristicol pretesto di convertirli.

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Nuove conquiste

Vi è un argomento che più mi sta a cuore e che attiral’attenzione, se non la simpatia generale – quello delleconquiste recenti della Psichiatria.

Sì! – Questa scienza, da umile ancella, da Cenerentoladelle discipline mediche, si è infiltrata in tanti rami delloscibile, che poche le possono stare d’appresso per abusod’inframmettenza. – Essa diede alla medicina tutta unanuova e perfetta classificazione dell’isterismo; allargò la

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cerchia dell’epilessia; additò all’igiene nella pellagra, nel-l’alcoolismo, nell’ergotismo e nel cretinesimo tutta unaserie di endemie, centro di ignorate, estese degenerazio-ni, e il modo di prevenirle e curarle. – Essa diede allaletteratura, con Daudet, Dostoyewski, Tolstoj e Zola, uncampo ubertoso, dove per la prima volta l’estetica si spo-sava legittimamente alla scienza; spiegò alla storia la for-mazione di molti genii, di molte sêtte, di molti fantasmiepidemici; rivelò all’uomo di Stato ed al giurista esser gliindemoniati e le streghe, ch’ei curavano con le fiamme ei flagelli, dei poveri pazzi, e i pazzi non essere rei ma ma-lati: come ora appunto, continuando, per una via inver-sa, l’orbita iniziata, cerca dimostrare malati molti dei cre-duti colpevoli, cui bisogna la cura più che la pena. – Es-sa, novello Prometeo, tenta, infine, strappare un segre-to che pareva negato agli umani, quello della natura delpensiero.

Non v’è dunque, da meravigliarsi se molti, fra i menoarditi o più miopi studiosi, bisbiglino ogni tratto: Guar-datevi da questi alienisti, che sconfinano e invadono i no-stri campi! – Potrebbero invero questi ultimi, a loro vol-ta, rispondere: Che male vi ha se applichiamo una scien-za, tutta desunta dai fatti, a spiegare dei fatti che ma-le prima si comprendevano? Chi si lagna, ora, per l’in-trusione della chimica, della meccanica nei congegni del-la nostra vita, se non sono i nemici di ogni movimen-to civile? Chi non ricorda con gioia i nuovi lumi porta-ti dal Darwinismo alla linguistica, dalla geologia alla sto-ria antica, e le glorie mietute, qui, da alcuni di voi inne-stando la zoologia all’economia politica, la sociologia aldiritto?63 E non si direbbe, anzi, che da questi connubi,come dall’incrociamento delle razze meno omogenee, siottengano frutti più robusti e più rigogliosi?

Ma giova meglio loro soggiungere: «Se noi invadiamo,gli è che siamo forti». – Né sarebbe spavalderia: che,essi si prepararono alle nuove conquiste, spogliandosi

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d’ogni tendenza aprioristica, corazzandosi coll’anatomia,colla patologia, colla fine istologia dei centri nervosi, dicui un italiano fu il sommo perfezionatore64, e nonchécacciarsi impazienti e invadenti pei sentieri altrui, vivennero condotti, trascinati dalla forza (direi) di gravitàdelle ricerche spassionate cui s’abbandonavano.

Vediamo, per esempio, come vennero le applicazionial diritto penale ed alla psicologia.

Alcuni alienisti, avendo inspirato a pieni polmonil’atmosfera dello sperimentalismo clinico, compreseroquanto fossero disadatti i vecchi metodi, fin allora inonore, in Psichiatria, capirono che, come nella clinica,essi dovevano studiare più il malato che la malattia, e nelmalato le alterazioni corporee e funzionali quasi tanto epiù che le psichiche. Da qui nacque una vera e nuovascienza psichiatrica sperimentale, che per quanto com-battuta sulle prime dagli eterni avversari d’ogni novazio-ne (ci chiamavano i medici della stadera e ci irridevano semisuravamo la temperatura di un pazzo) finì per essereaccolta dovunque65. Forti dei primi passi ei continuaro-no nell’iniziata carriera, sperando trovare delle linee fis-se atte a distinguere il pazzo dal delinquente. Quelle li-nee, invero, non furono trovate; scomparvero, anzi, quel-le che prima parevano più chiare; – ma intanto si trovòciò, cui meno si pensava: un nuovo metodo per gli stu-di penali. S’intravvide, cioè, che alla ricerca aprioristi-ca, fino allora condotta con singolare acume dai giuristi,specie in Italia, sul reato in astratto, dovea preferirsi lostudio analitico, diretto, dei rei confrontati agli uomininormali ed agli alienati.

Quella sintesi, che potenti ingegni spesso riescivanoa creare di un balzo, ma non senza pericolo d’errore,perché il genio è pur sempre un uomo ed un uomo spessopiù degli altri fallace, essi la dedussero a poco a pocodalla anatomia, dall’esame del selvaggio e del fanciullo,che, riducendo i problemi penali alla espressione più

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semplice, ne facilitava la soluzione, così come lo studiodell’embriologia ha sciolto in gran parte il quesito, inapparenza misterioso e bizzarro, della teratologia.

Essendo ormai sbandita l’ipotesi di forze ed energieindipendenti dalla materia, si volle col microscopio allamano strappare dal cervello l’enigma del pensiero uma-no sano o malato, spiegare l’eterno mistero dell’umanacoscienza. Ma questi sforzi non furono coronati da unacompleta vittoria. Però Deiters, Gerlach, e sopratuttoGolgi, Cajal, Flechsig e Weigert, illuminandoci su tut-ta la trama del sistema nervoso; Nissl, Schultze, Luga-ro, Donaggio, sull’intima struttura della cellula nervosaci hanno portato ben avanti. Ci hanno mostrato che es-sa, a cui fan capo tutte le funzioni sensorie, psichiche emotorie, appare, salvo lievi differenze, uguale dall’ultimoal più nobile degli animali; fornita cioè sempre di una so-stanza colorabile, cromatica, e di una non colorabile, am-masso di fibrille intrecciate, e di un nucleo; e tutta rive-stita ed anche compenetrata da una e forse più reticel-le sottilissime. Essa irradia una doppia specie di prolun-gamenti; di questi: gli uni, i protoplasmatici, o dendriti,sua diretta continuazione, si biforcano e intrecciano e inmille diramazioni, arboriformi, pare trasmettano gli ecci-tamenti nervosi dalla periferia alla cellula, mentre un al-tro prolungamento, il cilindrasse, provvisto di pochissi-me ramificazioni, invece, propaga gli stimoli dalla cellu-la alla periferia; quanto più si innalzano le energie dellapsiche più aumenta il numero di questi elementi nervo-si, delle loro connessioni, e soprattutto delle loro ramifi-cazioni terminali.

Ma se un qualche progresso si è fatto dal lato fisiolo-gico, troppo più scarso è il patologico.

Nella idiozia il Pellizzi, come nei criminali ed epiletti-ci Roncoroni, scopersero il disordine degli strati cortica-li, la scarsità, l’obliquità, le forme embrionali delle cellu-le piramidali; e nella prima l’aggrovigliamento o l’isola-

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mento dei dendriti ne paralizza, assai probabilmente, lefunzioni: raro se non unico reperto in cui l’istologia com-bini completamente coll’osservazione psicopatologica.

Però questi risultati faticosamente ottenuti sono an-cora poca cosa innanzi alla grandezza del problema. Inmolti si nota una strana contraddizione ed antitesi; peresempio, nelle cellule dei gangli spinali grandi del coni-glio vediamo seguire al taglio dei nervi le cromatolisi cen-trali e la lateralizzazione del nucleo, e nelle vorticose in-vece il contrario. E ora si va intravvedendo che moltedelle alterazioni cellulari che si credevano caratteristichedelle malattie più gravi, o successive al taglio dei nervi,sono ritorni atavici od embrionali.

Così tra le cellule in via di sviluppo embrionale e quel-le in reazione pel taglio del cilindrasse vi è completo pa-rallelismo, così l’eccentricità del nucleo si riscontra in pe-sci e batraci, la sua depressione nel centro della cellu-la con accumulo cromatico si riscontra pure nei pesci,l’addensamento cromatico perinucleare nei gangli spina-li delle testuggini; sicché paiono l’indice di un proces-so di rimbambinimento, d’infantilismo cioè della cellulaparalizzata nella propria funzione specifica (Lugaro).

Gli studi isto-patologici insomma ci apprendono as-sai meno di quanto ci apprenda lo studio del cranio nelmicrocefalo, della faccia nel criminale e nel cretino e delcervello in tutti. Gli è che pel cranio e pel cervello ilmetodo d’analisi era perfetto, passato al crogiolo del-l’embriologia, dell’anatomia comparata, dello studio del-le razze, mentre qui ci venivano meno, molte delle nozio-ni in proposito e soprattutto sulla istochimica, della qua-le questo solo sappiamo – che tutto abbiamo da appren-dere.

Ma nel campo del sentimento e dell’idea restavanoancora, ad ogni modo, innumerevoli abissi.

Il primo passo a colmarli fu il parallelismo che lapsichiatria ci additava tra il fenomeno dell’ideazione, il

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più elevato e più lontano dal controllo e dai contattidella materia, e quello più umile e più controllabile dellasensazione.

È noto, per esempio, il fenomeno della persistenzadelle impressioni sensorie troppo energiche, o troppocontinuate, anche lungo tempo dopo che ne cessava lacausa; chi ha fissato, per un istante, i vivi raggi del solene serba l’immagine subbiettiva, per vari minuti.

Ebbene: questa legge della durata delle impressionitroppo energiche o troppo continuate si ripete pure nelcampo intellettuale nei pazzi.

Così un mio malato, impazzito dallo spavento chegl’incusse uno scoppio subitaneo di polvere, delirava diessere in mezzo alle vampe di un incendio.

Un’altra alienata vedeva tante maschere in coloro chele si avvicinavano: era impazzita, ad un tratto, ad unballo.

Un soldato in una rissa fu ferito ad un occhio; guariva,ma d’allora in poi aveva sempre dinnanzi alla mente ilferitore, e ne udiva le feroci minaccie.

Codesti fatti attestano succedere nella cellula corticaleche pensa, un movimento perfettamente analogo a quel-lo che succede nella cellula retinica ed acustica, suggel-lando l’analogia che il microscopio ci rivelava tra cellulache pensa e che sente.

La lentezza, la difficoltà con cui percepiamo le sen-sazioni nuove, aiutandoci sempre sulle precedenti, rifiu-tando con ribrezzo quelle che di precedenti difettano,ci era fatta presagire in nube dal linguaggio infantile, eda alcune antiche etimologie (elefante, che corrispondea bue coi denti, in fenicio: cavallo che corrisponde a grancane, in chinese), e dalle persecuzioni a cui vanno sogget-ti sempre gl’inventori. Ora essa ci viene stupendamenteillustrata da quanto accade nei dementi. Così io ne co-nobbi uno che quando usciva di casa restava così colpitodalla prima persona che gli si parava davanti, che l’imagi-

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ne sua subito si sostituiva e innestava a quante gli appari-vano poi; < la confusione diventava ancora più comple-ta e si trasformava in supplizio, quando la seconda per-sona gli fosse affatto ignota. Quando si doveva recare inuna regione nuova, provava tale un ribrezzo, da cerca-re la morte. E da questo fatto io ho cavato la legge delmisoneismo, compreso, cioè, come l’uomo, eternamenteconservatore, non sarebbe progredito mai se circostanzestraordinarie non l’aiutavano a superare il dolore dellanovazione.

Così gli studi psicologici, precisamente come quelliistologici, ci rivelarono una meravigliosa unità nel pia-no della organizzazione psichica umana e degli animali,fornendoci così il modo di spiegare con l’atavismo tuttauna serie di anomalie mentali.

Così molte delle idee deliranti dei monomani, deiparanoici riproducono i sentimenti speciali ai selvaggi edai bambini, nella personificazione, per esempio, di coseinanimate, nella adorazione dei pianeti e degli elementi,nelle persecuzioni diaboliche o nelle rivelazioni ultraterrene (Tanzi).

Così pure le strane aberrazioni nel linguaggio comenella scrittura degl’idioti e dei dementi, ricevono facilespiegazione nel glossario dei selvaggi e dei fanciulli, enella scrittura di questi.

Ed il simbolismo così speciale alla paranoia, trova unacompleta analogia e spiegazione nell’uso dei popoli pri-mitivi, di esprimersi con simboli che finiscono per dive-nire i loro idoli, grazie a quell’arresto ideomotore dei di-versi atti psichici che è speciale ai deboli ed ai degenera-ti. E quando questo arresto avviene nella rappresentazio-ne dei diversi atti con cui s’inizia e si compie il fenomenodella generazione, ne nascono gli strani feticismi cui vansoggetti i degenerati. Il tatuaggio è pure così frequentenel selvaggio come nel pazzo morale, nel criminale, per-ché effetto delle medesime cause, come l’imitazione, la

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vanità, lo spirito di setta, l’erotismo e la ottusità dolorifi-ca; esso si riproduce, insomma, nel criminale, perché co-stui è un primitivo che vive in mezzo al mondo modernocoi gusti, le tendenze e le passioni dell’uomo selvaggio.

Queste analogie trovano la loro interpretazione imme-diata nella disintegrazione che provoca la malattia nellefunzioni, che ultime vennero in luce nell’autogenia psi-chica, facendo ripullulare i vecchi strati mentali caduti indissuetudine (Tanzi).

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Personaggi criminali

Classificazione dei delinquenti adulti Prima di studiare icaratteri della delinquenza negli adulti dobbiamo ben ri-cordare che sarebbe un grandissimo errore il confonde-re in uno stesso quadro le varie specie di delinquenti,le quali notevolmente differiscono l’una dall’altra. Nonavendo, come già abbiamo detto, in mira il reato ma irei, noi non li distinguiamo come fa la legge a seconda,semplicemente, dell’entità e della sorta di reato che han-no commesso: ma invece a seconda dell’intima natura lo-ro, e quindi del grado di temibilità che ne dipende, a se-conda del modo con cui l’hanno compiuto e degli stimo-li da cui furono spinti. Dobbiamo, dunque, distingue-re anzitutto: 1º il delinquente, che diremo antropologi-co, ossia quello che è nato con cattivi istinti (il Garofaloli chiama delinquenti naturali) o delinquente-nato; 2° daldelinquente occasionale; 3° da colui che commise azio-ni perniciose in istato di pazzia cioè dal delinquente paz-zo; 4° dal delinquente per passione; 5° dal delinquented’abitudine, che per la costanza nella criminalità s’avvici-na al delinquente-nato, senza averne però le stigmate fi-siche né la corruzione profonda, ma che è spinto e man-

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tenuto nel delitto piuttosto dalle condizioni esterne dellasua vita.

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Verzeni strangolatore di donne

Verzeni Vincenzo del vivente Giacomo, nato a Bottanu-co l’11 aprile 1849, ed ivi domiciliato, contadino, dete-nuto dall’11 gennaio 1872, fu accusato dei seguenti rea-ti, che nel corso del dibattimento si affermarono eviden-temente.

«1. Di tentato strangolamento di sua cugina Marian-na Verzeni, or son quattr’anni, mentre essa, appena do-dicenne, era in letto ammalata, ed abitava nel piano su-periore a quello di dimora del medesimo Verzeni.

2. Di tentato strangolamento di Barbara Bravi marita-ta Arsuffi di anni 27.

3. Di tentato strangolamento di Margherita Espositomaritata Gala, da lui afferrata con ambe le mani pel colloe rovesciatala mentre le comprimeva il ventre con unginocchio. – Una lunga lotta dell’energica donna la salvòda morte sicura.

Questi fatti avvennero sul finire del 1869.Nel dicembre 1870 Giovanna Motta, dell’età di circa

quattordici anni, tenuta per le ottime sue qualità dai co-niugi Giovanni Battista Ravasio e Maria Elisabetta Lec-chi al Cascinone Previtali in Comune di Bottanuco, piùqual figlia che come servente, fra le 7 e le 8 antimeridia-ne del giovedì 8 dicembre 1870 (giorno della MadonnaImmacolata) avuto il loro permesso, dirigevasi al vicinopaese di Suisio per visitarvi i propri congiunti.

Niuno però la vide colà, dove il Ravasio credeva sifosse fermata: per ciò inquieto ne andò in traccia la seradel sabbato 10 dicembre.

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E arrivato insieme con altri ad una tettoia comune-mente detta Tabiotto, esistente su di un fondo lungo unastradella campestre a cinquanta passi circa dalla via chedal cascinone Previtali conduce a Suisio, orribile spetta-colo presentavasi alla loro vista. L’infelice giovinetta ivigiaceva sul terreno affatto nuda, avendo soltanto coper-ta da calza la gamba sinistra, e del di lei corpo erasi fattoil più miserando scempio. Deformato da moltitudine diferite, quasi spaccato a mezzo pel lungo; mancante di al-cune parti, ed in specie dei visceri. Questi erano stati neldì precedente trovati entro il cavo di un gelso da BattistaMazza che al momento non sospettò nulla di male. An-tonio Sala aveva nel giorno 8 rinvenuto entro una capan-na di paglia, sempre in quei dintorni, un’effigie del Pa-pa Pio IX appartenente alla sventurata Motta. – Sotto lastessa capanna Giacomo Previtali reperiva nel 13 un bra-no di polpaccio della gamba destra dell’infelice fanciulla.– E finalmente la sera di quel medesimo dì Luigi e Gio-vanni Albani ne scoprivano sotto un mucchio di gambidi frumento i vestiti, meno un fazzoletto che Emilia Bif-fi aveva già la mattina dell’8 dicembre circa le 8 e mez-za, tornando dalla seconda messa detta nella Chiesa Par-rocchiale di Bottanuco, raccolto dalla strada sulla neve auna settantina di metri dalla porta di detta Chiesa.

Singolare è inoltre a notarsi, che su di un sasso pressoil cadavere scorgevansi dieci spilli quasi sistematicamentedisposti.

Se per quanto fin qui si disse è indubitato, che lapovera Giovanna Motta fu vittima dell’altrui ferocia, laquantità e la natura delle lesioni non lasciarono campoai periti di giudicare con sicurezza, quali siano staterecate a corpo vivo, e quali dopo morte; per cui incertarimase la precisa e diretta causa della stessa, non essendoescluso il dubbio, che quella giovinetta sia stata anzi tuttosoffocata, vieppiù che le si trovò piena di terra la bocca.Così pure, per la mancanza degli organi sessuali non

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fu possibile constatare se dalla fanciulla siasi abusato,solo avendone i periti tratta induzione, troppo incertaperò, da alcune graffiature alle coscie, e dalla frattura delcubito destro.

... Ancor viva ne era la memoria negli abitanti di Bot-tanuco, quando altro terribile avvenimento sopraggiun-geva a vieppiù conturbare gli animi.

Elisabetta Pagnoncelli, moglie di Giovanni AntonioFrigeni, d’anni 28, nella mattina della domenica 27 ago-sto 1871, dopo essere stata alla Chiesa parrocchiale, sidipartì poco oltre le 6 dalla sua casa posta nell’internodi Bottanuco per andare a riporre alcuni pulcini, che se-co portava entro due cesti, nel fondo Campazzo lavora-to dalla sua famiglia alla distanza di circa 35 minuti dalpaese. Siccome verso le 8 non aveva ancora fatto ritor-no, il marito, temendo qualche disgrazia, ne andò in cer-ca. E pur troppo quell’infelice donna fu trovata già cada-vere, completamente nuda, in mezzo ad un campo colti-vato a frumento detto Zamnino poco lontano da quelloove aveva posto i pulcini, a circa cinquecento metri dellastrada comunale per Madone. Mostrava alla regione delcollo una echimosi lunga 26 centimetri e larga uno, conlacerazione e depressione della cute prodotta dallo strin-gimento di una corda rinvenuta sul luogo stesso, che ledeve essere stata gittata per di dietro ad uso laccio, cau-sando l’altra echimosi riscontrata sotto la mammella de-stra, e ch’ella indarno sarebbesi sforzata di allentare co-me additarono le graffiature ad ambedue i lati del collo.E la soffocazione infatti fu la causa unica della di lei mor-te, a giudizio dei periti. Ma spirata appena, non rispar-miavasi la salma della sventurata. E invero si rilevaronoampie ferite al braccio destro, alla regione lombare, allanuca, al ventre, dalla qual ultima usciron fuori gli intesti-ni ed il ventricolo, recisi dopo estinta con robusto stru-mento da punta e taglio, qual sarebbe un falcetto. Neldorso le si trovarono infissi tre spilli egli altri si rinven-

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nero a breve distanza nel formentone. Del resto non sipoté stabilire se di lei si fosse abusato.

... Ma ancor meglio spirano le tendenze del Verzeninel fatto seguente:

Maria Previtali, d’anni 19, filatrice, intorno al mezzodìdel sabbato 26 agosto 1871 (festa di S. Alessandro patro-no della Diocesi) partiva dalla sua dimora in Cerro diret-ta a Suisio, passando per Bottanuco. Arrivata che fu cir-ca mezz’ora dopo in principio dello stradale per Suisioalla distanza di 700 metri dal centro di Bottanuco, sentìdietro di sé le pedate di una persona, che a passo piutto-sto accelerato la seguiva. Allorché detta persona la rag-giunse, e le si portò a fianco, s’accorse che era suo cu-gino in secondo grado Vincenzo Verzeni, a lei ben no-to, quantunque non avesse con lui alcune relazioni. Néil Verzeni certamente deve averla conosciuta, poiché ledomandò, s’era di Suisio, e a quale famiglia appartenes-se. Al che dessa pensò bene rispondere, che dei Crip-pa di Suisio. Appena ebbe ciò detto, il Verzeni la afferròper la vita, e la condusse a forza in un sentiero esistentepresso lo stradale, e precisamente in un fondo coltivatoa frumentone, alto a quell’epoca, denominato Gerone, etenuto a mezzadria dalla famiglia di esso Verzeni.

Tostoché la Maria Previtali venne atterrata, cominciòa gridare e lamentarsi; ei la gittò a terra, per modoche le si sollevarono le gonne e il suo corpo rimanevaper intiero entro il grano turco, soltanto coll’estremitàdelle gambe toccando il sentiero. Persistendo ella nelgridare, il Verzeni con una mano le chiudeva la bocca, ecoll’altra la stringeva al collo talmente forte, che a stentopoteva tirare il fiato. Per circa tre minuti la tenne inquella posizione; ma poi, allontanatosi recavasi sul vicinostradale probabilmente per vedere se sopraggiungevaqualcuno. Tornava poco dopo presso di lei, che, appenalibera, si era rialzata, ma stava là ferma perché nonsapeva da qual parte fuggire: le prese ambedue le mani,

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che tenne qualche tempo strette fra le sue senza maiproferir parola; indi, alle sue preghiere, la lasciò andare;ed essa, non avendo più coraggio di recarsi a Suisio,retrocesse a Bottanuco, dove si trattenne alle funzioni delvespro in quella Chiesa Parrocchiale.

... Per questi fatti la Corte d’Assise di Bergamo neldì 9 aprile p. p. al seguito di verdetto dei Giurati,condannò Vincenzo Verzeni alla pena dei lavori forzatiin vita, salvandolo dalla morte un solo voto».

1.º Il Verzeni che a prima vista dai suoi atti dovreb-be giudicarsi un feroce monomaniaco, offre alle indagi-ni antropologiche molti dei caratteri dell’uomo sano diBergamo.

Ha 22 anni, alto m. 166, pesa 68,300 gr., più dellamedia dei lombardi della stessa statura. Ha fina e roseala cute, scarsa ma non deficiente la barba; biondo-scuri,abbondanti e finissimi i capelli (i pazzi invece ne scar-seggiano). Il cranio presenta una capacità maggiore del-la media, tolta da 100 soldati ventenni di Bergamo, cioè1577.

I dati craniometrici sono i seguenti:

Circonferenza 561 mm.Curva longitudinale 360 mm.Curva biauricolare 315 mm.Fronte larga 130 mm.Fronte alta 62 mm.Semicurva anteriore 316 mm.Semicurva posteriore 251 mm.Linea facciale 180 mm.Diametro longitudinale 192 mm.Diametro trasversale 151 mm.Diametro frontale 116 mm.

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Diametro frontomenton. 191 mm.L’angolo facciale è di 80.

L’indice cefalico 780 differisce di 9 soli mm. dallamedia di 100 bergamaschi, d’anni 20.

Tre sole anomalie si rinvengono in questo cranio; lagobba frontale a sinistra è bene sviluppata, mentre è ap-pena accennata a destra; e a destra pure si scorge una cre-sta ossea, che dal mezzo del sopraccigio sale verso l’altodella fronte e si unisce alla linea arcuata del temporalequi molto più pronunciata che non a sinistra. Tutto ilfrontale destro è molto più basso e più piccolo del sini-stro. Le orecchie partecipano di questa anomalia; piùlunga (36) e larga (35) la sinistra della destra (35-32) emancanti ambedue della metà inferiore dell’elice; di piùnella tempia destra si nota leggera ateromasia dell’arte-ria. Robustissima la muscolatura della nuca e rilevate lecreste occipitali: enormi gli zigomi (140); e la mascellainferiore sviluppata in modo singolare, i canini superiorimolto appuntati; poco lungo il naso (50); lunghe e robu-ste le braccia (83); le gambe invece più corte, misurando93 cent. dalla cresta alla pianta dei piedi, e mostrando-si più accorciato il destro del sinistro; la pianta del piedelunga 28 e larga 11 centimetri; larghe ed allungate le ma-ni (lunghe 200 e larghe 170); pene ben sviluppato e fog-giato a becco di flauto; prepuzio leggermente arrossatoe libero da frenulo, il che prova l’uso ed anche l’abusodell’organo. La forza muscolare risultò al dinamometroscarsa (solo 105 a destra, 80 a sinistra): la sensibilità tatti-le, esplorata coll’estesiometro, è normale dappertutto: lasensibilità al dolore, esplorata con una macchina d’indu-zione, in cui la distanza di due rocchetti ne dava in mil-limetri la misura, risultò squisita alla fronte (29), alla lin-gua (31), al mento (41); solo manchevole nel dorso dellemani.

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L’oftalmoscopia eseguita dal collega prof. Quaglinodiede i seguenti risultati:

Leggero strabismo alternante divergente, che pare do-vuto ad una insufficienza dei muscoli retti interni, comesi nota nei miopi, specialmente quando fissano oggetti vi-cinissimi qualche tempo: infatti gli occhi sono ambeduemiopi, in grado però leggero.

I raggi diottrici e la papilla sono normali e trasparenti.L’acutezza visiva è pressoché normale, e così la esten-

sione periferica del campo visivo. Non sono palesi i fo-sfeni, anzi mancano i superiori, e nel destro si presenta-no come una linea nera, e come una linea bianca nel si-nistro. Questo fatto è eccezionale e non si accorda collaintegrità del campo periferico esaminato funzionalmen-te.

In complesso adunque qui si troverebbe un’anomaliain una porzione circoscritta del lobo destro frontale, ilquale ha probabilmente sofferto al pari delle orecchiee dell’occhio, nella vita intrauterina, ed è attualmenteanche mal nutrito, come conferma l’ateromasia dei vasitemporali ed anche l’esame oftalmoscopico: – ma questeanomalie possono avere solo un limitato valore perchécompensate dal largo sviluppo del capo e dell’altro lobofrontale, maggiore che non negli altri contadini dellastessa età: tanto più che anche i diametri cranici sonoquasi fisiologici.

Lo stesso dicasi dell’eredità: esso ha veramente due ziicretinosi. Uno zio, specialmente il Battista, ha un ango-lo facciale di 72, il cranio a pan di zucchero, schiacciatoai lati e alla fronte e piccolissimo di volume (52 circon-ferenza), ha enormi zigomi, è mancante di barba e di untesticolo, e atrofico ha l’altro. Ma la madre e la nonnanon offrono malattie di rilievo, e nessuna ne offrono gliavi e i bisavoli paterni e materni. Il padre solo ha alcuneleggiere traccie di pellagra, la quale non giunse che perpochi giorni e nel 1871 a produrre una lieve tinta di de-

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lirio o meglio d’ipocondriasi. I matti non fan soldi, dice-va molto bene un testimone a proposito di questa fami-glia. Si aggiunga, però, un cugino che patì d’iperemia ce-rebrale ed un altro recidivo nei furti. Consta, oltrecciò,che tanto i genitori quanto il reo mangiarono per avariziaper tutto il 1866 polenta di maiz marcito.

D’ingegno l’accusato ne mostra più che non il comu-ne dei delinquenti, quantunque risulti che non approfit-tasse alla scuola. E difatti, benché solitario e taciturno,nessuno ha mai affibiato a lui ne ai suoi, quegli epiteti dimatto o di strambo, che con tanta facilità il mondo ap-piccica a chiunque paia inclinato alla pazzia, ne ha sof-ferto, mai, che si sappia, in modo sicuro, di cefalee e divertigini: pare, solo, di leggiere diarree, in estate. Tacee parla a proposito, inventa menzogne da uomo provet-to, sta fermo solo nel diniego di quelle parti d’accusa, incui gli pare d’essere più compromesso, accusa l’alibi, at-tribuisce altrui le proprie colpe: combina i misfatti conarte così infernale che passano mesi ed anni pria di sco-prirne l’autore: studia lo strumento e il metodo più adat-to per colpire ciascuna vittima, la corda per la Pagnon-celli, la terra per la Motta. E gli affetti pure non sem-bra abbia alterati pei suoi. Si caverebbe, dice egli, il pa-ne di bocca pei suoi nipotini; rispetta il padre e gli zii fi-no a lasciarsene battere senza reagire. Rotta una relazio-ne amorosa, ne riannoda subito un’altra; è taciturno, èvero, con quei del villaggio, ma nelle carceri, cogli omi-cidi e stupratori pari suoi, s’apre, dice egli stesso, rom-pendo l’usata prudenza, come a fratelli, perché realmen-te trova in quelli per la prima volta un eco alla sua tem-pra. Ora i matti non sono espansivi né fuori, né dentrodel manicomio.

Benché pochi assai siano i dati che parlino per un’alte-razione mentale, pure io sarei costretto ad ammetterla senon trovassi una ragione dei feroci e strani delitti di cui sirese colpevole. Ma lo sviluppo del processo e le indagini

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finissime dell’Alborghetti e Previtali, l’esame delle partigenitali, le testimonianze del capoguardia e dei condete-nuti, il denudamento delle due vittime, e, orribile a dirsi,il ripulimento, dopo morte, di una di quelle, l’accusa cheegli mosse altrui di avere stuprato la C... e in cui sfoga-va, addossandolo altrui, il bisogno di parlare del propriodelitto, che stimola tutti i delinquenti, dimostrano assaibene quale fosse il movente.

Si hanno attestazioni che esso si masturba, che è incli-nato alle donne al punto da farsi punire in prigione persolo vederle, e che ebbe rapporti sessuali precoci perfinocon bambine.

Ora a Bottanuco, e più nella famiglia Verzeni, oltre ilcretinesimo e la pellagra, domina sovrana la bigotteria el’avarizia. La morale vi si fa consistere nelle pratiche re-ligiose e nell’astinenza giovanile. Una copula non legit-tima v’è considerata come un delitto quasi grande al pa-ri della strangolazione, tanto che la madre rabbrividivaquando io le chiedeva se il figlio avesse polluzioni invo-lontarie; e le ragazze dal Verzeni assoggettate ai, chia-miamoli pure, tentativi, ne tacquero, perché trovavanopiù necessario il nasconderli che impedirli e il vendicarli.

Si aggiunga la sordida avarizia della famiglia che nongli lasciava tempo né danaro per soddisfare gli istinti la-scivi egli vietava il matrimonio, ed irritava coll’assolutoimpedimento una precoce e prepotente libidine. Que-st’uomo, a cui era stata insegnata la sola morale del fre-quentare la chiesa e di lavorare, messo nel bivio tra ilcomprimere un violento prepotente appetito od il com-mettere un crimine, scelse questa via senza d’altro pre-occuparsi che di tenerlo celato. Dallo stupro fu condot-to allo strangolamento, anche, pel bisogno, doppiamen-te forte, in quel paese, di tener nascosti i rapporti sessua-li, ma più ancora pel pervertimento delle facoltà genitalie insieme affettive, a cui certo contribuiva quello attossi-camento cretinoso e pellagroso che si riscontrò nei suoi

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parenti, e che lasciava impronte nel suo lobo frontale de-stro, e che rompeva l’equilibrio delle facoltà affettive.

Vi contribuiva, poi certo, una influenza che è stataosservata da molti medico-legali, vale a dire la facilità cheha di associarsi la libidine del sangue a quella di Venere,massime nei troppo o troppo poco continenti.

Mantegazza sentì confessarsi da un amico che si tro-vò ad uccidere parecchi polli; che dopo la prima uccisio-ne provava una barbara gioia a palpare avidamente le vi-scere calde e fumanti, e che di mezzo a quel furore erastato assalito da un accesso di libidine. Questo fatto hauna grande importanza perché fa prevedere che l’istintodell’assassinio e la facoltà di generare, devono avere nelcervello un rapporto anatomico o fisiologico. La storia,d’altronde ci mostra come fra gli orrori del saccheggio,la crudeltà si associ sempre ali: più sfrenata libidine, ecome dal sangue delle vittime sorgano fumi che accieca-no la mente, cambiando l’uomo in un bruto, che fa pau-ra e ribrezzo. ( Fisiologia del Piacere, p. 394-395, quintaedizione).

Il primo e più grande descrittore della natura, Lu-crezio, aveva osservato come anche nei casi ordinari dicopula può sorprendersi un germe di ferocia contro ladonna, che ci spinge a ferire quanto si oppone al nostrosoddisfacimento66.

Questa ferocia si nota, certo, negli animali all’epocadegli amori, dove il rivale più forte uccide o colpisce ilpiù debole, e resta padrone del campo.

Qualche cosa di simile avveniva all’epoca preistoricaanche nell’uomo, sia per domare le renitenze della don-na, a cui il matrimonio era una nuova forma di schiavi-tù, sia per vincere i rivali in amore: una traccia ne restònelle feste dei selvaggi. Sappiamo che in molte tribù del-l’Australia si usa dall’amante aspettare in agguato la spo-sa dietro le siepi, colpirla con un colpo di clava, e cosìtramortita trasportarla nella casa nuziale. Di questi usi

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una traccia restò nei riti nuziali di molti popoli anche danoi; è certo poi che una traccia ne restò nell’orribile festadel Jagraate nelle Indie e nei baccanali Romani, ove chi,anche maschio, resisteva allo stupro, era tagliato in pez-zi così piccoli da non potersi rinvenire il cadavere. (TitoLivio, XXXIX, cap. VIII).

Ora gli istinti primitivi, scancellati dalla civiltà, posso-no ripullulare anche in un solo individuo, quando in luiè deficiente il senso morale per l’ambiente in cui vive, edè pervertito il senso carnale per l’eccessiva continenza. Icasi o isolati o epidemici, di bestialità e di carnalità, sfo-gate sui cadaveri umani, casi accompagnati da atti san-guinari, si sono notati, diceva il Lunier, sempre in mili-tari ed in sacerdoti; p. e., il prete Mingratche a 27 an-ni uccise due ragazze, e le tagliò a pezzi per nasconderlenei boschi; e quell’altro frate che violò una donna credu-ta cadavere, mentre poi era viva e divenne madre. Solda-to era il Bertrand, di cui è nota l’orribile istoria. È notocome i soldati nei saccheggi associno stupri ai delitti disangue.

Era pastore ed isolato nelle rupi, e da lungo tempocontinente quel feroce Legier, che tutto ad un tratto sisente spinto a strappare le viscere di un bambino, chepassava pel bosco, stuprarlo, beverne il sangue.

Soldato (caso comunicatomi da Tarchini-Bonfanti)quel feroce, che dopo stuprate tre donne, strappò loroil perineo colle dita facendo una cloaca della vagina e delretto.

Tardieu narra di una donna sessantenne a cui il bestialstupratore, inviperito della resistenza, strappò colle manicacciate in vagina porzione di intestino che si rinvennenella strada.

Qualche volta questa associazione delle libidine e fe-rocia si manifesta per una specie di vera pazzia.

Mainardi descrive il caso (era però semi-imbecille) diquel Grassi, che accesosi una notte di una povera cugina,

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e questa resistendo alle sue voglie, le cacciò più volte uncoltello nel ventre, e con quello successivamente subitodopo uccise il padre suo e lo zio che tentavano fermarlo;ricoperti indi i caldi cadaveri, si diede in braccio allamoglie di un bifolco ch’era sua ganza; ma non calmatonel furore omicida, colpiva il proprio padre e perfinoalcuni buoi nella stalla.

E Philippe che godeva, indi strangolava le meretriciper derubarle, un giorno ebbe ad esprimersi. «Io le don-ne le amo, solo mi piace dopo godute di strangolarle».

Gille di Rays, già maresciallo di Francia, uccise persoddisfare infami libidini più di 800 giovani – associandoalla lussuria una tinta strana di religione.

Il Sade godeva fare spogliar nude le meretrici, batterlea sangue e medicarne le piaghe, e delle libidini miste aferocia s’era fatto una specie di ideale, avrebbe volutofarne un apostolato.

Brierre de Boismont narra di un capitano che obbliga-va l’amante ad appiccarsi sanguisughe alla pudende ognivolta voleva procedere ai replicati concubiti, finche que-sta cadde in profonda anemia e fu condotta al manico-mio. E così accadde al marchese S... che facea legare da’suoi una meretrice e dopo fattile molti tagli pel corpo eper la pudende e svenatala nuda, si apprestava a violarla.

Questa specie di furore sanguinario che s’associa allalibidine del casto o del pazzo, insieme alla atrofia di unaporzione del cervello e all’influenza ereditaria indiretta,spiegherebbe alcuni fatti che restano inesplicabili.

1.º Come questa ferocia sanguinaria si sia sviluppatain lui dopo la pubertà e tutta ad un tratto, essendo quasiprovato come prima fosse di carattere docile e avessemostrato ribrezzo all’uccisione degli animali domestici,tanto da uscir di casa quando si eseguiva.

2.º Come sparpagliasse i brani dei cadaveri, e special-mente il polpaccio della Motta, e come non si curasse didistruggere il ritratto di Pio IX, in modo contrario al suo

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interesse, e ponesse quei tre aghi tanto misteriosi sull’ul-tima vittima, probabilmente senza saper che si facesse.

3.º Come compisse gli atti feroci così complicati, incosì breve tempo (non più di 3/4 d’ora).

4.º Come gli atti si ripetessero su molti individui, abrevi intervalli ed in alcune epoche, e precisamente neimesi più freddi e più caldi dell’anno. (Dicembre 1869-70e agosto 1871).

5.º Come sciegliesse a vittime sempre donne è vero,ma disparate, e alle volte ributtanti, dall’impubere e gra-cilissima cugina che tuttora convalescente del colera do-veva essere ancora più deforme, alla troppo matura ac-quavitaia, conciossiaché quella libidine furiosa dei conti-nenti non guardi che al sesso senza badare all’età e allabellezza.

6.º Come sviluppasse nell’esecuzione degli omicidiuna forza muscolare (frattura di radio della Motta) laquale non si riscontra punto col dinamometro.

7.º La precocia speciale nelle esagerate tendenze ses-suali si può spiegare per la pellagra e cretinesimo dei pa-renti; che da questi spesso provengono appunto le duetendenze opposte ora alla anafrodisia, ora all’erotismo.

Io concludo, quindi, ad una diminuzione di responsa-bilità pel Verzeni per quanto concerne, almeno, l’ultimaparte dell’atto.

Che vi sia stato qualcosa di morboso nella insolita fe-rocia in questo atto si ammette e si spiega colle anomaliecraniche e coll’eredità, ma che l’ebbrezza spermatica e lainfluenza pellagrosa e cretinosa abbiano potuto comple-tamente renderlo inconscio di se prima e dopo quell’at-to, troppo bene lo confutano la nessuna fama di bizzar-ro o di matto, la capacità cranica, la ricchezza di capel-li, le poche alterazioni della sensibilità al dolore, l’affet-tività ben conservata, la calma e l’astuzia con cui subitodopo l’atto comincia a preparare un alibi, la perspicacianelle negative, ecc.

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Questa perizia era stata già pronunziata e la sentenzada vari giorni emanata; sentenza che, per un solo voto,non fu di morte, quando io potei intrattenermi, parec-chie ore, collo sciagurato, e coglierne l’intera rivelazionedel movente dei suoi misfatti.

«Io ho, disse, veramente uccise quelle donne e tentatodi strangolare quell’altre – perché provava in quell’attoun immenso piacere in quantoché appena metteva lorole mani addosso sul collo avea l’erezione e ne sentivaun gran gusto (un vero piacere venereo); – la prima (lapiccola cugina Verzeni) non la strozzai del tutto perchéil piacere lo gustai subito appena toccatole il collo; perla stessa ragione restarono salve le cinque altre assaltate;invece le due M. e P. restarono soffocate perché il piaceretardando a manifestarsi io le stringeva sempre di piùed esse morivano. [...] La Motta la spaccai non collafalcetta ma con in rasoio (??), con cui il giorno primam’ero sbarbato, provai nello spaccarla un gran piacere;le graffiature che si trovavano sulle coscie non eranoprodotte colle unghie ma coi denti, perché io, dopostrozzata, la morsi (piar) – e ne succiai il sangue ch’erasalato, con che godei moltissimo. – Esportai il polpacciodella Motta dopo averlo succiato per poter continuare agustarlo a casa e arrostirmelo, perciò me lo misi in tascadentro il fazzoletto – ma poi, temendo che la madre me lotrovase, lo nascosi entro la paglia del tabiotto onde venirea riprendervelo. Le spadine od aghi di capo dispostia cerchio sulle pietre le disposi io, estraendoli dal capodella morta, il che mi dava pure un gran diletto; – levesti, le viscere le esportai perché godeva nel fiutarlee palparle. La forza che mi veniva in quei momentidi immenso piacere, era così grande, che io sarei statocapace si sollevare una casa (e nessuno avrebbe potutoresistermi. – Anche la Pagnoncelli io non la strozzai collacorda (??) ma colle mani; colla corda io non feci che

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strascinare su e giù per la melica il cadavere con granpiacere. [...]»

Qui mi studiai ad indagare per qual modo avessetrasceso a tali atroci libidini; (egli mi disse che nessunoebbe ad accennargliene o ad istradarvelo; che però da 12anni in su (all’iniziarsi della pubertà) avvertì che mentrestrangolava i pollo provava un gran piacere, sicché moltevolte ne faceva degli strazi, dando poi ad intendere aisuoi che la faina era penetrata nel pollaio e li aveva uccisi;colle due amanti non provò il piacere che provò collevittime, né mai pensò di saltar loro al collo, si contentavadi vederle – senza stringere loro la mano.

Quello che vi è di straordinario in questo caso, e chegiustifica, fino ad un certo punto, la sentenza ed anche laperizia mia, è la perfetta lucidità di mente dell’accusato,la sua tenacia a nascondere anche al confessore il delittofin dopo emanata la sentenza; la coscienza, quindi, del-la sua gravità – ma nello stesso tempo l’irresistibilità del-l’atto. – Se il racconto una volta che fosse accertato, nonriuscirebbe a cancellare del tutto la sua responsabilità,certo gioverebbe a diminuirla notevolmente, e non solodopo l’atto, ma anche prima di esso, perché rientrereb-be in quei cinque o sei casi che si possedono nella scien-za della necrofilomania o pazzia per amori mostruosi osanguinari – e sarebbe un esempio di più della necessitàdei manicomi criminali in cui collocare questi esseri, incui non esiste più quasi una linea di confine fra il delittoe la pazzia.

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Gasparone

Devo alla cortesia dell’illustre collega prof. Golgi, a cuila fama e la dottrina non scemò la gentilezza dell’ani-mo, di possedere il cranio e la fotografia del Gasparone,

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morto in Abbiategrasso ad 88 anni per broncoalveolite,ateroma diffuso dell’aorta, insufficienza valvolare, fegatonocemoscato67, insomma per fenomeni dovuti probabil-mente solo all’età.

Il cranio di Gasparone presenta i caratteri di una avan-zata senilità nella faccia per l’usura completa degli alveo-li, ma non chiaramente nel cranio se non forse nella ipe-rostosi (non però avanzatissima – spessore massimo mill.9 – peso del cranio grammi 845), specialmente alla vol-ta e nell’assottigliamento delle pareti orbitali: però, gio-va ricordare che in tutta la vôlta cranica si notava anco-ra la presenza della diploe e che vi era traccia di avanzodi sutura medio-frontale, e ben persistenti la sutura co-ronaria esterna – la sagittale e la lambdoide. – Nella nor-ma facialis notavasi lo sporgere degli allontanati zigomi(mill. 112); la grande capacità delle orbite, le quali pre-sentavano nel margine esterno un cercine e molto spic-cato il foro sottorbitale. – Seni frontali ed archi sopraci-gliari molto pronunciati – fronte notevolmente fuggentee ristretta con sviluppo enorme dell’angolo orbitale del-l’osso frontale, così come notasi nei microcefali.

Lo sfuggire della fronte riesciva più appariscente perla singolare salienza del parietale che formava una speciedi cupola, costituendosi così una vera oxicefalia, chemeglio si rileva alla norma lateralis.

L’occipitale, dopo aver descritto una sporgenza spic-cata e presentato una vera spina al tubercolo occipitalesuperiore, scendeva bruscamente al basso.

Fra le anomalie notevoli vi ha la traccia di un osso vor-miano corrispondente alla fontanella anteriore, leggeris-sima asimmetria più saliente all’occipitale, ed il rilievomediano del fronte a schiena di mulo.

Notevole è l’allungamento del cranio, indice cefalicomill. 72,8, che però può dirsi in parte corrispondente altipo del paese.

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Sarebbe al più un’esagerazione del tipo etnico. Im-portante è l’altezza dando un’indice verticale di 72, e ildiametro verticale di 137; nell’isola del Liri trovo 88, 87,80, 79, 75, 73, 70, 66, (media 77) che non mi porgono inproposito alcun confronto.

La lunghezza del parietale è piuttosto notevole, nonperò nelle proporzioni che si pretendono da alcuni.

In complesso adunque si tratterebbe di una doligoce-falia esagerata con oxicefalia e con submicrocefalia fron-tale, la quale, se spiega molto bene le attitudini feroci68,la criminalità, di cui è carattere così frequente, non gio-va certo a darci ragione della grande sua intelligenza,tanto più che anche la capacità cranica, 1450 cc., nonera straordinaria, era anzi di poco inferiore alla comune,(tanto più trattandosi d’uomo alto 1,80), anche ammet-tendo che alquanto prima della sclerosi senile (vedi Lom-broso, Cranio di Volta) quella capacità fosse maggiore69.

Forse quella sua fu, più che grande intelligenza, gran-de astuzia, la quale spesso è in antagonismo col genio ecolla continuata attività psichica. Infatti l’avversione allavoro egli l’ebbe fino all’estrema vecchiaia, come vedre-mo.

L’egregio dott. Storti gli osservò una cicatrice di feritaal collo, ed il tatuaggio all’avambraccio di un [A], conaltri geroglifici poco chiari.

Quanto alla fisonomia, essa ci dà assai più del cranioun’idea dell’astuzia straordinaria e della ferocia del vec-chio masnadiere, che ha potuto lottare tanti anni col Go-verno pontificio, e che solo la malafede pretina poté co-gliere – nelle orbite incavate, negli occhi sopracigliari esopraciglie spiccatissime, nello sviluppo del naso, nonosservandosi del tipo criminale, oltre a ciò, che l’orec-chio più voluminoso del normale.

Secondo la storia70, Gasparone era vaccaro e commer-ciante di Sonnino, ove nacque nel 1794; educato dal fra-tello Gennaro, che anch’egli si era fatto brigante per

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sfuggire alla leva, poiché il padre gli era morto da gio-vanissimo, durante il brigantaggio del fratello s’innamo-rava di Maria, contadinella, che era anche amata da untale Claudio. Dopo lunga contesa, Antonio strappò uncoltello di mano al rivale e glielo piantò in corpo. Al mo-mento che egli rientrava in casa, la madre, inferma damolto tempo, spirava.

Rimproverato, da un certo Giuseppe, della morte diClaudio, lo uccise. Fuggì ai monti, e stava per consegnar-si alla giustizia, quando le lusinghe del brigante Massoc-co lo decisero a gettarsi fra i briganti. Non molto do-po era capo di una banda, invece del Massocco divenutocapo-arciere e da lui per tradimento, poscia, ammazzato.

«Gasparone (è pregio dell’opera citare il testo) fece al-lora ricerche di Maria, la sua amante; la trovò, la invitòa recarsi secolui, e questa accondiscese. Così gli amo-reggiamenti fra Maria e Antonio furono ripresi e non in-terrotti che dalle milizie, che ogni anno disturbavano labanda. Ma una sera insorse litigio fra i due amanti. Do-po molte parole irritanti, Maria si lasciò sfuggire il grido:– Assassino di Claudio!... – Il nome del suo rivale, ram-mentato in quel punto, riempì di furore il bandito, chebrandì uno stile e più volte lo immerse nel suo seno. Rag-giunti i compagni, li pregò di darle sepoltura. Essi scava-rono una fossa e vi deposero l’infelice». Nel 1815 il gene-rale austriaco avendo concessa un’amnistia, egli ne pro-fittò, e fu incaricato di approvvigionare l’armata, o me-glio di trovare, o, a dir meglio, rubare per essa le vaccheche occorrevano.

Sono famose le burle che fece ai gendarmi mandaticontro di lui; le vendette che prese dei denunziatori al-lettati dalla taglia di 400 scudi posta sul suo capo; i ri-catti che impose al convento di Velletri, al colonnello au-striaco Cotenofer, ai frati del monte Duchessa, al cardi-nale Lante, al figlio di Ruinetti colonnello dei gendarmi.Aveva una polizia destra, numerosa, attivissima, la qua-

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le trovava amici e protettori nelle stesse file della sbirra-glia: per essa scampò molte volte da insidie tese con lapiù grande accortezza.

Con astuzia rara, finge di essere in collera col banditoMassocco onde ottenere che il Pontefice liberasse il fra-tello e cognato per aiutarlo ad ucciderlo, ed invece cosìingrossò di due potenti reclute la banda; quando quattrogendarmi s’infinsero birbe, (e grassarono un passegge-ro appositamente) per entrare nella sua masnada, egli dàordine di non fidarsene, e dopo quattro giorni li uccide.

Per vendicarsi della spia Domenico, fa una spedizioneapposita, e sorpresolo lo taglia a pezzi e obbliga i suoigarzoni a mangiarli... Più volte ricattò interi conventi difrati.

Si racconta che il cardinale Ippolito Cappello fu ob-bligato da lui a restituire casa e campo a una famigliadi poveri contadini, debitori insolvibili, con l’aggiunta dicento scudi d’oro. Un giovane pastore abruzzese pagòil cambio della leva coi danari che Gasparone tolse a unprete usuraio di Rocca Massima. Due eccentrici ingle-si, che desideravano conoscerlo, furono accolti gentilis-simamente e trattati da gran signori per cinque giorni.Un infelice sarto era caduto nella più grande miseria:

Una sera si vide in casa entrareUn uom con un sacchetto sul groppone,Che nel posarlo fece risuonareIl tintinnìo dell’oro, e a SimeoneDisse: Questo vi prega d’accettareIl famoso bandito Gasparone,Onde possiate migliorar gli affari,Riaprir bottega e guadagnar danari71.

Egli molto rispettò braccianti e contadini, profusetesori fra essi, pigliandosela solamente con «ricchi, pretie frati», e punendo i poveri solo quando «tradivano».

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Alla fine Gasparone e i suoi compagni si lasciaronoadescare dalle promesse di monsignor Pellegrini, cheprometteva loro salvi la vita e gli averi, purché abban-donassero lo Stato romano. Il brigante si piegò per leinsistenze della leggiadra Geltrude, sua amante, la qua-le era rimasta abbagliata dalla speranza di sposarlo e vi-vere con lui vita tranquilla. Le trattative furono condot-te innanzi solennemente, come tra due potenze. Ma ilGoverno pontificio mancò alla promessa: dopo quindi-ci giorni di penitenza in Castel Sant’Angiolo, la banda,invece di ottenere la libertà, fu chiusa nella fortezza diCivitavecchia.

E non curarono di processarli almeno per figura! (Leg-genda).

Nel 1849 Gasparone ebbe a nuova residenza Spoleto,e dopo due anni Civita Castellana, dove gli giunse, nel1870, la notizia della caduta del papato temporale. Chie-se la libertà.

Di 22, dopo 46 anni di prigionia, erano rimasti sette.Gasparone, venuto nella capitale, vi trovò le più clamo-rose accoglienze. Certo era uno scandalo, e tale parvealle autorità, che lo mandarono nel ricovero di Abbiate-grasso, dove morì.

Riassunto Gasparone ci porge il vero tipo del delin-quente nato, anatomicamente nella microcefalia frontalee nell’anomalia dell’o. vormiano, nell’eurignatismo, nel-la maggior capacità orbitale, nell’oxicefalia, e fors’anchenella esagerazione della doligocefalia; psicologicamentenella mancanza d’emozioni, di sensibilità, nell’eccessivalibidine, ferocia, incapacità al lavoro continuato.

Senza dubbio egli per intelligenza superava la mediacomune; è impossibile non meravigliarsi del colpo d’oc-chio con cui indovinava chi stava per tradirlo; ed è gari-baldesco il tratto quando, veduto che i 20000 soldati au-striaci e napoletani che lo circondavano, per non ferir-si mutuamente s’erano cinti di un fazzoletto bianco sul

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cappello, egli faceva adottare ai suoi quel segnale e pas-sava per alleato. – Ma pure il più delle volte questi segnidi genio sono piuttosto tratti di astuzia resi potenti dallostraordinario sangue freddo, che è speciale a coloro chemancano di sensibilità emotiva.

Come tutti gli uomini sanguinarî, era libidinosissimo,il che gli fece commettere eccessi a Gaeta e a Monticelloper mantenere le numerose sue drude.

Una donna trovata da lui sulla strada opponendosiai suoi desiderî, promesse, minaccie, e dichiarandogliche preferiva la morte ai suoi baci, egli la pugnalavad’un colpo. – Una donna fu prima causa della sua vitabrigantesca, ed un’altra della sua resa.

Non comprese mai cosa fosse rimorso ne colpa; il suosegretario vanta la sua delicatezza nel respingere un par-ricida che si faceva forte dell’enorme delitto, rincaratopoco dopo dal matricidio, per entrare nella sua banda;ma egli stesso spiega troppo bene che lì non agì se nonper un concetto giusto ma affatto utilitario – l’idea, chefu provata poi troppo vera dal fatto «che un uomo similenon baderebbe più ad uccidere e tradire i compagni».

Generosissimo era coi pastori, è vero, ma per beneinteso interesse, ed infatti, e per la stessa causa, egline era pure implacabile uccisore quando li sospettavacontrarî.

Dopo 40 anni di prigionia non modificava il caratterene i sentimenti del brigante.

Cause fisiche e sociologiche Che la sua tendenza vizio-sa fosse ereditaria e congenita, il dimostrano le alterazio-ni craniche e l’aver avuto un fratello maggiore pure bri-gante; ma che oltre all’eredità, alla cattiva organizzazio-ne che ora verificammo, vi potesse l’occasione, è indubi-tato. Anche lasciando a parte i tradimenti amorosi e lacircostanza che mentre stava per costituirsi gli si presen-ta un brigante celebre che lo trascina seco e lo arruola, vi

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poté molto l’essere nato in una terra sacra dalla natura,può dirsi, al brigantaggio.

La valle di Sacco che attraversa il Frosinonese fu ilpunto di passaggio delle invasioni straniere: è chiusada due catene di monti Lepini ed Appennini, ricchidi boschi e roccie, di difficile accesso, e con acque epastorizie sufficienti da alimentarvi le popolazioni cheivi sfuggivano ai barbari, come pure chi ivi ora ricoverasiper sfuggire alla giustizia. Ivi, fin quasi ai giorni nostri, lagiustizia legale non aveva presa; nessuna polizia, un solcodice, quello della vendetta72: ivi prendere un fucile evivere di rapina, era il solito modo di sfuggire ai tribunali,e chi riesciva, era un eroe, e se preso, un disgraziato, sucui si riversavano le lagrime delle donne e i canti dei poetipopolari.

Ogni crisi politica era potente occasione per rinforza-re i briganti ed estenderne l’azione fin nelle regioni uffi-ciali. A Frosinone nel 1799 si divisero in papisti e repub-blicani, ma eran ladri tutti: un dì l’uno saccheggiava lecase dei preti e un altro questi le case dei ricchi; badan-do piuttosto alle proprie vendette che alla patria. Torna-to l’ordine, i più tristi sfuggiti alle pene si fusero insiemeed esercitarono il brigantaggio quasi impunemente (Ma-si, pag. 56).

Quando Terracina volle difendersi dai Napoleonici,aveva affidato una porta al capo brigante Bernabò e a 23dei suoi, che, contro promesse subito violate tradironoed apersero le porte ai Francesi.

A sua volta, nel 1815, Gasparone ha l’indulto e diventail provveditore dell’armata austriaca. Nel 1820 egli eMassaroni diventano veri alleati militari di Carrascosae poi dell’Austria sicché a Monticello, di cui Massaronivien fatto ufficialmente il comandante, si accumularonoin poco tempo 150 briganti.

Più ancora li favoriva l’ambiente sociale: onde moltiabitanti se n’eran fatti complici od istigatori – così l’ucci-

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sione di Cerboni, governatore di Pisterzo, eragli stata ri-chiesta e preparata dai Pistorzesi irritati dalla sua onestaausterità; eppure nessuno di costoro venne punito, men-tre invece fu impiccata una guardia campestre che nonne aveva colpa.

Gasparone, da quanto racconta Masi, era, sotto ilgoverno del Palotta, festeggiato da tutti i gentiluominidi campagna. A ciò contribuiva non solo la debolezzadell’armi, ma la mancata giustizia, che è una delle causedell’attuale mafia e camorra. Il debole che non potevatrovare giustizia contro al potente, si voltava al briganteper ottenerla o almeno non vedeva di mal occhio questaingiustizia popolare volta contro gli oppressori.

Il brigantaggio vi era così antico che vi si codificava,come ora la camorra: avevano un ricco e speciale unifor-me, le treccie pendenti all’orecchio, grandi bottoni d’ar-gento, galloni, cappello conico. Si era ammesso alla ban-da quando si era più giovane di trent’anni, con temprarobusta, quando non si aveva alcuna educazione fina (te-mendosi un tradimento nei più inciviliti), e quando nonsi era parenti di birri o spie, non si aveva fatto l’arciere,gendarme o spia o poliziotto, e si era commesso un reato.

Il bottino non toccava: al novizio che in minima parte,il resto entrava in gran pane nelle tasche del capo. Quan-do il capo voleva eseguire qualche ricatto sottometteva ilprogetto agli anziani, senza fissare il giorno e l’ora, masolo i mezzi e il nome; se il progetto dispiaceva ai più,era messo da parte. Non si marciava che di notte prece-duti dal capo che ad ogni minimo rumore metteva il gi-nocchio a terra e il fucile inarcato. Passandosi un ponteod un guado, il capo s’impadroniva d’un contadino cheera costretto a passare prima e restare con lui in osserva-zione sulla riva opposta. Si marciava di notte in modo diraggiungere il luogo di dimora per lo più in boschi eleva-ti. Le donne parenti dei briganti erano rispettate, ma lealtre passavano in preda a tutta la banda. Se uno cade-

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va ammalato veniva deposto in luogo recondito in guar-dia a tre compagni (ma i mali erano rarissimi e in 25 annisolo 2 morirono di febbre); i manutengoli poveri eranoconosciuti da tutti, ma quelli dell’alta società, come puregli armaiuoli e i sani, erano noti al capo solamente.

Evidentemente a formare di Gasparone il masnadieretipo, concorsero, oltre all’eredità e alla speciale organiz-zazione, l’ambiente topografico sociologico e l’occasio-ne; quell’ambiente che, lui spento, fecevi rinnovare finoai nostri giorni il triste flagello e ne lasciò una leggendapiena di venerazione nei canti e nelle favole di quei po-poli. Nato ai nostri tempi, forse Gasparone non sarebberiescito un masnadiere, forse sarebbe stato uno di queifaccendieri politici, che, egualmente dannosi alla giusti-zia ed alla patria, pure non hanno a che fare col codicepenale. Tutt’altro!

3

Il brigante Tiburzi

L’uomo Pochi giorni fa un telegramma del dottor Mat-teini, uno di quegli ignoti amici, lontani, che sono il piùgrande conforto dello scienziato in un paese come il no-stro dov’è quasi delitto l’uscire dalle vie battute, mi av-vertiva che potendo fare qualche ricerca sul cadavere diTiburzi si metteva a mia disposizione, e mi richiedeva suquali punti procedere nelle indagini.

I consigli furono dati subito; e per parte del Matteini sitentò di eseguirli in tutti i modi; ma in circostanze troppopoco favorevoli, per cui non posso dire che tutta la cu-riosità dello scienziato fosse appieno appagata. Le pra-tiche dell’egregio collega, però, furono sufficenti perchéalmeno quello che più importava – il cervello di Tiburzi– potesse venire diligentemente studiato secondo le nor-

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me scientifiche; e perché si potesse escludere la presenzadi importanti anomalie somatiche.

Dall’esame infatti che l’egregio dottor Matteini haportato sui visceri di Tiburzi non risultò alcuna anorma-lità, salvo la polilobulazione dei reni e della milza, feno-meno atavico, ma che pur si riscontra in molti cadave-ri di galantuomini; si notava pure la saldatura delle sutu-re craniane che però si spiega coll’età; non v’eran rugheal fronte ne alle tempie; la capigliatura era fine e ondeg-giante per quanto grigia. Il cranio era ultra-brachicefalo– 91 d’indice, e con un’enorme circonferenza – 61 cm.e col mento sfuggente. La fronte era altissima, 80 mm.,assai più della media normale. Il piede era piatto.

Il cervello era assai voluminoso, e più specialmente ilvermis del cervelletto; il che pure notai più frequente-mente nei criminali emisi in rapporto colla grande agilitàmuscolare che era invero grandissima in Tiburzi.

Le caratteristiche principali del cervello di Tiburzi so-no insomma il lobo frontale con cinque circonvoluzioni,e le molte anomale anastomosi che hanno fra loro le scis-sure cerebrali, caratteri che, per quanto criticati dagli uni(Giacomini), esagerati dagli altri (Benedikt), pure si ve-dono ripullular con grande insistenza ed in proporzionimaggiori nei delinquenti che nei normali73.

Ma se qualche anormalità trovavasi nella forma ma-croscopica grossolana del cervello, mancava però quel-la più importante che la mia scuola, grazie al dot-tor Roncoroni74, ha scoperto nella fine struttura del-la corteccia cerebrale, in una proporzione massima neidelinquenti-nati; mancavano, cioè, l’atrofia degli stratigranulari, la esagerazione delle cellule piramidali, e l’ab-bondanza di cellule nervose nella sostanza bianca: fattiquesti completamente atavici e che segnalano una gran-de inferiorità nei centri nervosi umani.

Né può non mettersi in colleganza questa assenza dianomalie istologiche con quella che al pubblico dev’es-

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ser apparsa ancora più importante, quella del tipo fisio-nomico criminale.

Dalle fotografie speditemi, infatti, dal dottor Matteinie dal fotografo Ulivi, e dalla descrizione che mi inviavapure l’egregio collega risulta sicuro che il Tiburzi avessenon solo un grande sviluppo scheletrico e muscolarecome di atleta, ma bella proporzione in tutte le partidel corpo, nelle mani in ispecie, ed una fisonomia chenulla presentava di anormale, sicché molto arieggiava (eparrebbe una triste ironia) a quell’illustre e mite statistaitaliano che fu Cesare Correnti.

Questo fatto che parrebbe a molti inforsare una dellepiù importanti affermazioni della nuova scuola, quelladel tipo, può spiegarsi, non difficilmente, dopo altrericerche fatte in casi analoghi.

Prima di tutto: il Tiburzi, da quanto si possiede inproposito, e confesso il vero che non ho se non i daticomunicatimi dal Matteini, e le belle e minute ricerchedel Rossi Adolfo ( Nel regno di Tiburzi) e qualche paginadi Sighele (Il mondo criminale italiano), pare non fosseun delinquente-nato, ma un criminaloide.

Infatti è vero che del nonno di Tiburzi nulla si cono-sce; ma del padre e della madre si sa che certamente era-no brave persone, per cui mancherebbegli l’eredità diret-ta; vero è che due fratelli ed uno dei figli furono condan-nati, ma per delitti più sorti per istigazione sua che peristinti propri; e così dicasi dei suoi generi e nipoti. So-lo in un figlio, Nicola, e in un fratello, Paolo, pare chedegli istinti almeno prepotenti esistessero precocemente;tanto che pascolavano il bestiame gratis solo perché suoiparenti, e il figlio Nicola con dannato per una lieve con-travvenzione a poche lire di multa, gittò spavaldamente idenari sul tavolo del pretore dicendo: Pagatevi (Rossi).

Da giovinetto si buccina che Tiburzi avesse indole per-versa, il che parlerebbe per un delinquente-nato; tuttavianon risulta, all’esame più diretto della sua vita, altro se

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non che da giovane era violento, ed era pronto a reagirecontro chi lo urtasse o gli facesse qualche malestro.

Ma questi sono dati poco assodati; il fatto certo è chefino a trent’anni egli non aveva commesso alcun delittoe nemmeno alcuno di quegli atti feroci in cui incappa-no sempre, e precocemente, i rei-nati; fu a trentun’an-no, nel ’67, che egli perla prima volta uccise un guardia-no con cui aveva litigato; e pare che per quelle tristi abi-tudini del Governo pontificio non venisse arrestato chemolto più tardi e condannato solo nel ’69 a diciotto an-ni di galera. Ma nel ’72 fuggiva e si imbrancava in unabanda brigantesca. Da allora in poi commise due assassi-ni, cinque omicidi o tentativi di omicidi, tre grassazioni,due furti, due ferimenti, quattro incendi; sopratutto lesue erano estorsioni, ventiquattro circa; ne mai commet-teva, almeno negli ultimi anni, grassazioni nella pubblicavia; perciò sdegnò, dopo i primi anni della triste carriera,di associarsi a briganti di professione come Menichetti eAnsuini. In genere tutti i suoi delitti di sangue non furo-no effetto di quella libidine di ferocia di cui sono affet-ti i rei-nati, ma di quelle vendette e di quelle rivendica-zioni che rappresentano la giustizia nei paesi barbari, esenza cui la triste professione brigantesca non potrebbeesercitarsi.

Uccise, per esempio, un pastore, il Pecorelli, perchéaveva ammazzato un maiale al figlio Nicola, ma prima neverificò, contando i chiodi delle scarpe e confrontando-li colle orme lasciate nel terreno, la sua identità, comeavrebbe fatto un giudice qualunque; uccise il collega Pa-storini in una specie di vero grossolano duello provoca-to da insulto; uccise il Becchinelli per metter fine agli ec-cessi che commetteva e che lo avrebbero compromesso;uccise il Gabrielli perché lo credette una spia. Insomma,i delitti suoi non erano a scopo di rapina, ma esecuzionidi spie e di neobanditi che pretendevano invadere il suo

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dominio e che turbavano la tranquillità dei suoi feudatari– vulgo mantenitori.

Più volte, potendo uccidere impunemente nella mac-chia guardie e carabinieri, se ne astenne e mandò ad av-visameli poi (Rossi).

«Egli», dice bene Sighele, «trasformò il crimine in uncontratto, il furto in una tassa. Metamorfosi strana, incui non sai se più ammirare l’astuzia di chi la compie ola vigliaccheria di chi vi si presta». Ed un procuratoredel Re confessava a Sighele che, «dopo che c’è Tiburzi, icrimini nel comune di Viterbo sono notevolmente dimi-nuiti, perché i malfattori hanno più paura di lui di quelloche non ne avessero per la giustizia» (Sighele, Il mondocriminale italiano).

Ed al processo di Viterbo un delegato di pubblica si-curezza di Acquapendente disse che i proprietari consi-deravano il Tiburzi come un male necessario, e gli paga-vano le tasse sia per non essere molestati, sia perché era-no i briganti che facevano realmente il servizio di pubblicasicurezza – confessione che equivale a dire che il brigan-taggio adempieva una vera missione sociale o politica.

E non solo purgava le macchie dai banditi e vi tenevauna relativa giustizia, ma esercitava perfino la polizia ne-gli scioperi, obbligando i mietitori scioperanti a tornareal lavoro, col solo dispiegamento delle forze sue proprie.

Coi castellani, coi cacciatori viterbesi conversava dagentiluomo, del più e del meno, senza che alcun trattoindicasse l’uomo sanguinario (Rossi, Nel regno di Tibur-zi). Come i land-lords inglesi, molti mesi dell’anno s’as-sentava egli dai suoi domini e viveva a Roma, a Parigi dagran signore, senza che mai atto alcuno vanitoso o im-pulsivo (come è proprio dei rei-nati) lo tradisse, il che èprova di quella forza di inibizione che si vede solo fra icriminaloidi, e non nei delinquenti-nati.

Per tutto ciò, per esercitare per più di ventiquattr’anniun dominio incontrastato, occorse anche una singolare

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intelligenza, una abilità amministrativa e strategica, eduna temperanza, una facoltà di inibizione, come nonhanno certo i criminali nati; ed anche una relativa, forseun’assoluta genialità d’azione; è il secolo propizio che glimancò per divenire uno Sforza, un Piccinino, un Medicidelle Bande Nere; ma quanto all’abilità personale l’avevatutta, e forse era già pronta la dinastia.

E son tratti veramente Sforzeschi quelli in cui egli, soloaccompagnato da Fioravanti, si presenta in un cascinaleove son cinquanta (il Rossi dice anzi ottanta) mietitori,certo armati di falci o di flagelli, e intima loro di farsi daparte e lasciargli uccidere il Gabrielli.

L’assenza del tipo fisionomico in Tiburzi si spiega ap-punto anche per questa relativa genialità; perche io hogià dimostrato e più volte nel mio Delitto politico (vol. I)e meglio nel mio Uomo delinquente (vol. II) che quandoil genio si innesta alla criminalità, ne spegne in gran partei caratteri esterni, sostituendovi i propri anzi, non sonoio che ho trovato questo fatto, ma un grafologo di genio,il Michon, che, dopo aver osservato come le scritture dicerti criminali assai intelligenti (Lacenaire, per esempio)non avevano alcuno dei soliti caratteri criminali, conclu-se «che la genialità scancella od offusca i caratteri grafo-logici criminosi» (Le graphologue, 1859).

Gli è che il tipo criminale si nota sopratutto fra quel-li che commettono dei delitti atavici in cui si risveglianotutti i feroci istinti degli uomini primitivi e perciò ne han-no molti dei caratteri fisionomici i quali mano a mano siesagerano coll’esercizio delle tristi imprese, sommando-sene allora il carattere professionale al congenito. E ciòbene si spiega.

Tutto il loro mondo psichico si riduce a poche notedi postribolo e d’osteria, mondo per cui una intelligenza,e quindi una capacità craniana limitatissima possono ba-stare e in cui, quindi, è maggiore lo sviluppo della facciache del cranio. Gli altri rei, invece, in cui l’intelligenza

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raggiunge un grado elevato, come presentano una largacapacità cerebrale, così una forma regolare del capo, poi-che esercitandosi attivamente l’ingegno, impedisce quel-l’enorme sproporzione che esiste negli uomini primitivitra lo sviluppo del frontale e lo sviluppo della faccia, emettendosi l’individuo a contatto con molti uomini e co-se e con pensieri e abitudini non tutte crudeli e immora-li, non si formano molti dei caratteri che insorgono dal-l’abito di atti feroci e dalla vista di cose lugubri e tristi:l’occhio feroce, le rughe, ecc.

Ma se mancavano in costoro i caratteri esterni fisiono-mici, non mancavano molti almeno dei caratteri interni.Così in Gasparone, che aveva fisionomia normale rego-larissima, abbondanza di barba e capelli, trovammo unosso vormiano nel bregma, che è uno dei fatti più ataviciche esista, e molte anomalie delle circonvoluzioni.

E nel nostro Tiburzi le anomalie ataviche dei reni emilza e della circonvoluzione frontale e sopratutto laricchezza di anastomosi delle scissure cerebrali segnanol’anomalia, che manca affatto nella fisionomia: perchéè ben inteso che se il Tiburzi non è un reo-nato, non èperò un uomo normale, è un criminaloide – specie questadi rei che ha assai minori, ma pure ha ancora alcuni deicaratteri del reo-nato.

L’ambiente Ma v’hanno altre ragioni che spiegano me-glio così la sua impunità come la regolarità della sua fi-sionomia: è che egli in gran parte riproduceva il colorlocale e l’indole degli abitanti del suo paese.

Le strade in quel di Lamone sono letti di torrenti spes-so impermeabili in cui il cavallo rifiuta di procedere;s’immagini una estensione montuosa (la sola parte bo-schiva nel Viterbese è di 16435 ettari), in cui le eruzionivulcaniche gettarono a mucchi dei massi enormi, scuri,ricoperti di muschio, e su quei mucchi piante rampican-ti ed ogni specie di spine e qua e là tronchi di vecchi cer-ri, e sotto di essi buche, caverne, conosciute dai brigan-

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ti, ignote alla forza. «Mettete un uomo pratico qua den-tro», dicevano al Rossi i guardiani, «e poi ditemi chi puòandare a scovarlo?»

Ma peggiore dell’ambiente climatico era l’ambiente ci-vile. In quelle terre che furono chiamate «il regno di Ti-burii» regna ancora la civiltà, come la chiama giustamen-te Guglielmo Ferrero, primitiva, a tipo di violenza, do-ve la lotta per la vita si combatte colla forza75. Il poterepolitico e la ricchezza sono conquistati e mantenuti col-l’armi a danno dei deboli, e come la concorrenza fra unpopolo antico e l’altro era combattuta cogli eserciti, cosìqui coll’espulsione violenta degli antagonisti dai mercati,e le liti giudiziarie sono prevenute o risolute col coltello.Il brigantaggio è una specie di adattamento naturale al-le condizioni infelici di un popolo mal governato. Quan-do la polizia non riesce a difendervi dai briganti, quandola giustizia, pesando sui deboli, chiude gli occhi sui for-ti, allora il brigantaggio, come la camorra, sono una spe-cie di adattamento alla vita, consono alle tristi condizio-ni; il brigantaggio diventa una specie di selvaggia giusti-zia, di selvaggia polizia che si sostituisce alla polizia e allagiustizia civile mancante.

Così al tempo della servitù in Russia, il mugik non ave-va altra difesa dalle sofferenze continue dei suoi padroniche l’omicidio, sicché non v’era famiglia grande di Rus-sia che non contasse un assassinato fra i suoi membri. –«I cafoni», diceva il Govone alla Commissione d’inchie-sta dell’Italia del Sud, «veggono nei briganti dei vindicidei torti che la società loro infligge».

«Abbiamo», scriveva il Franchetti, «una classe di con-tadini quasi servi della gleba e un gruppo di persone chesi ritiene superiore alla legge, cosicché l’altra che ritie-ne la legge inefficace, ha preso la consuetudine di farsigiustizia da sé».

E dove la maestà della legge non è rispettata, comepossono rispettarsi i suoi rappresentanti? Essi sono blan-

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diti finche si spera averli conniventi; insidiati, avversati,se pretendono fare il proprio dovere. (Rossi Adolfo, op.cit.).

S’aggiungano i pregiudizi selvaggi, per cui chi non sivendica di un insulto non è uomo, e per cui la dignitàvirile impone di farsi giustizia da se e non mai col mezzodel Governo; e per cui la violenza è una virtù. E pochianni fa, una popolana romana non avrebbe sposato unoa cui non fosse mai uscito di tasca il coltello; né lo sposoavrebbe aiutato mai il Governo a mettere le mani su unladro, su un assassino; l’ucciderà egli stesso o lo lasceràandare, come cosa che non lo tocca, ma non vorrà maiattestare se l’avrà veduto assassinare un altro (Gabelli).

Mancando il concetto vero della morale ed essendoscemata la distanza fra lo strato equivoco del popolo equello onesto, è naturale che il malandrino trovi facil-mente un complice tra i contadini e anche fra i proprie-tari, che riguardano il delitto come una nuova specie dispeculazione e il brigante come uno strumento per im-porre ricatti, falsare testamenti, acquistare predominiosui cittadini, impedire scioperi (il caso, come accennam-mo, si avverava in Tiburzi); e la denuncia appare piùimmorale che l’omicidio; sicché si son veduti moribon-di dissimulare il nome dei loro feritori. Non è insommal’omicidio, il brigante che destan ribrezzo, ma bensì lagiustizia.

Cellere, infatti, dove Tiburzi nacque, è una terra cele-bre per antica criminalità (Rossi); fu popolata, pare, daAlbanesi, che diedero, e in grande e in piccolo, in tuttele sfere, nelle alte, ministeriali perfino, e nelle basse, unaquota fortissima alla criminalità italiana; ed è in un borgodi Cellere, a Paniano, che pullularono altri criminali fa-mosi, il famoso Veleno, per esempio, ucciso, notisi, assaipoco divotamente ma molto opportunamente dal viven-te curato di Cellere, che si accorse, per caso, di avere insaccoccia un pugnale, e consigliando l’assalitore a ben-

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dargli egli stesso gli occhi, approfittava del momento op-portuno per freddarlo; ed egli, il Tiburzi, che molto sen-tiva il patriottismo celleriano, mai o quasi mai toccò uncapello ai cittadini del suo paese. S’aggiunga, a spiegareil potere e il prestigio suo, che appunto perché quelle ter-re avevano tendenze assai più primitive, la giustizia collesue proverbi ali lentezze, l’amministrazione colle sue bu-rocrazie corrotte e impotenti, non potevano nulla controlui; mentre la prepotenza materiale, brusca, ma adatta alluogo, perché energico, di un uomo solo vi aveva una in-fluenza più diretta e più efficace, e da questa a sua vol-ta ritraeva tanto prestigio, da adempiere veramente unafunzione sociale.

Aggiungasi ancora che mentre le autorità mostravanouna taccagneria incredibile nel pagare le spie (e il sotto-prefetto di Viterbo si vantava al tribunale di Viterbo dinon aver dato che quindici lire una volta e dieci un’al-tra per fare una buona spia del segretario comunale diFarnese), egli, il Tiburzi, regalava somme a chi gli tra-sportava un solo bariletto d’acqua e distribuiva scudi aipoveri. E per di più, oltre ad essere taccagna, l’autoritàera imprevidente, e non si curava di garantire la vita deiconfidenti quando il colpo era fallito; così, per quantosi fosse raccomandata la famiglia del confidente Vestri,che per la delazione mal riuscita era designato alle ven-dette tiburziane, ve lo lasciò esposto senza far nulla persalvarlo. Senza dire dell’errore di avere esclusi dal bene-ficio della taglia i reali carabinieri, così che questi aveva-no, nel perseguitare Tiburzi, tutto da perdere e nulla daguadagnare – senza dire che colà si eran mandati più vol-te non i migliori ma i peggiori – quelli in punizione – esempre in numero troppo scarso e quasi mai stabiliti instazioni speciali nei luoghi della macchia più opportunialle sorprese.

Se poi tenete conto del fascino personale, che sale aduna straordinaria potenza così nel bene come nel male, in

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quelle terre, e tanto più se giustificato, come nel Tiburzi,da un corpo robustissimo, da un ingegno non comune,la lunga impunità sua vi sarà largamente spiegata.

Non voglio finire questi cenni senza un’anticipata di-fesa contro coloro i quali, non comprendendo nulla delmovimento che si è fatto negli ultimi trent’anni su que-sti studi, e dando tutta l’importanza al delitto e non aldelinquente, troveranno scorretto e, che Dio li perdo-ni, immorale che un uomo così coperto di delitti co-me il Tiburzi non sia stato addirittura battezzato perun criminale-nato invece che per un criminaloide. Sonoquelli stessi che m’avevano fatto, con quella giustizia chetutti sanno, un delitto di giudicare Passanante un mattoi-de. Ora, per chi studia il reo più che il reato, non sem-pre la gravità o la molteplicità del delitto corrispondonoa quella congenita o precoce e continuata ferocia che co-stituisce il delinquente nato. Se si stesse al numero dellevittime, chi più delinquente di Napoleone, le cui vittimenon son più ventisette come quelle d’Holmes odi Tibur-zi, ma milioni? E se si stesse al danno portato dalla no-biltà della persona offesa, chi più delinquente di Ravail-lac e di Damiens, i quali malgrado ciò non erano che paz-zi? – Ma guai, anche ai nostri tempi, a quel povero alie-nista che avesse l’idea di voler affermare simili conclu-sioni! – Ora è questo andazzo che si deve modificare, senon si vuol sostituire l’apriorismo ed il sentimentalismoalla ricerca del vero.

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Luccheni e l’antropologia criminale

Non v’è anima eletta nel mondo che non deplori il nuovodelitto anarchico compiuto dal Luccheni in Ginevra sullapovera Imperatrice d’Austria. Ma insieme al doloresi associa il bisogno di chiedersi quale origine abbia

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un misfatto che, oltre ad essere crudele, ha il torto diessere assurdo, trattandosi di una povera donna vicinaalla tomba, desiderosa di morte, che non aveva alcunainfluenza politica, per mano d’uno che non aveva subìtoalcuna offesa, né da questa, né dal suo Governo, e chepure ha l’impudenza di vantarsi del proprio delitto comed’una opera eroica.

Cominciamo a cercarne la spiegazione nello studiodella persona del reo in conformità alle norme dellaScuola antropologica.

Luccheni Luigi nacque da un connubio illegittimo diuna serva parmigiana, vivente ora in America, col suopadrone, pure vivente sul Parmense, prete, squilibratoe beone, che mandò lei, incinta, a sgravarsi a Parigi,dove la madre abbandonò il neonato ai Trovatelli. Daqui venne mandato nel nativo paese e affidato fino a9 anni ad una famiglia povera del Parmense, a certiMonici, calzolaio il padre, poverissimo e ubbriacone,immoralissima la madre.

Dopo i 9 anni fu affidato a certi Nicasi, buona gente,ma poverissima, contadini, o meglio mendicanti, sicchévisse anch’egli mendicando, girando per le strade e ru-bacchiando frutta coi compagni fino a 13 anni. Pare, co-sì mi scrive il dott. Guerini di Parma, che in quel tempoavesse accessi epilettici.

A 12 anni andò a scuola, dove si mostrò svogliato, maanche impulsivo, avendo rotto una volta per dispetto ilritratto del re.

Dai 14 anni fino ai 19 fu servitore presso due padronie girovagò in Liguria, in Isvizzera, in Austria, dove fu ar-restato e rimpatriato e ritardò a presentarsi alla leva. Pe-rò, una volta entrato al servizio militare, vi si comportòbenissimo, non avendo avuto che leggiere punizioni peraver graffiato un compagno e per aver aiutato un sergen-te a uscir di notte dalla caserma. Era tanto amato dai su-periori e dai compagni che quando, tre anni dopo, nel

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1897, uscì dalla milizia, lo pigliò al suo servizio il capi-tano Principe di Vera; vi si mostrò affezionatissimo ver-so i bimbi; e, ciò che è più strano, tanto buon monarchi-co, da scandalizzarsi che, commemorandosi in Napoli ildefunto Cavallotti, lo si fosse lasciato lodare in pubblicocome uomo politico, senza che il Delegato interrompessel’oratore.

Un giorno, però, irritatosi per un permesso che gliera stato negato, si licenziò bruscamente, dichiarando dinon esser nato per fare il servitore, e ritornò in Isvizzeraa fare il pulito re di marmi; ma anche dalla Svizzera,seguitò fino agli ultimi tempi a pregare ripetutamentel’antico padrone perché lo riprendesse, dichiarandogli inuna lettera, che accenna ad un delirio persecutivo, «cheprobabilmente non l’accettava più perché egli non andavaa messa», il che indica in fondo che non aveva per la vitacosì anti-anarchica del servitore quella ripugnanza cheegli stesso manifestò e prima e poi76.

Se non che all’improvviso divenne un’anarchico esage-rato: firmò e compose inni anarchici: sospettato dai com-pagni di non aver abbastanza zelo e forse anche di esse-re spia, si decise a fare un colpo contro qualche Princi-pe; mancatogli con Orléans scelse l’Imperatrice, proba-bilmente solo perché nell’Austria ebbe i primi dispiace-ri. Egli, che non aveva mai ucciso una mosca, fece prepa-rare un rozzo strumento, una lima, si esercitò per lungotempo al colpo, quasi per un mese, e, commesso il reato,tentò di fuggire. Fermato da due cittadini non resistet-te, e si comportò in modo ben diverso dai comuni crimi-nali, presentando anzi qualche tinta pazzesca: pretende-va, per esempio di avere negli interrogatori un interpre-te, egli che sapeva benissimo il francese, e poi vi rinunciò:cantava e rideva continuamente, contento di aver colpi-ta bene la vittima e d’esser penetrato con lo strumentoben addentro nelle carni; e dichiarando d’aver adopera-to una lima e non il pugnale; si preoccupava inoltre della

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pubblicità, dichiarando ai reporters e ai giudici che ave-va fatto tutto da solo, che aveva lasciato il suo capita-no per servire l’idea, che era anarchico fino dai 13 anni,ecc. In due lettere sgrammaticate e prolisse, a un giorna-le di Napoli, il Don Marzio, scelto ceno per averlo vedu-to presso il suo padrone, dichiara: «che egli non era undelinquente-nato, come vuole Lombroso, ne un pazzo, eche non era spinto da miseria, ma da convinzione, per-ché, se tutti facessero come lui, la società borghese sareb-be presto scomparsa; sapeva che questo assassinio isola-to non serviva a nulla, ma intanto l’aveva commesso peresempio».

Al Presidente della Confederazione scriveva che vo-leva essere giudicato a Lucerna perché là vi è la penadi morte, e così ripeteva ai giudici; al padrone scrivevache era più che mai degno di lui; ai reporters e ai giudiciche gli opponevano aver egli ucciso una povera vecchia:«Che cosa monta», rispondeva, «se fosse stato un bimbo,ma principe, l’avrei ucciso ugualmente». Un’altra voltadisse pazzescamente: «L’ho uccisa perché non lavorava;chi non lavora non deve mangiare, e io non volevo lavo-rare per lei», ragione che potrebbe valere per ammazzareparecchi milioni di persone.

E curioso e importante poi che abbia detto: «Cri-spi non l’avrei ucciso perché era un ladro»; evidenteprova della completa mancanza di senso morale neglianarchici77, i quali come gli uomini primitivi confondonoil delitto coll’azione e trovano che l’essere delinquenti siaquasi un merito, un suggello di confraternita: il che di-mostra essere la pratica, se non la teoria, anarchica, unaequivalenza del delitto.

Richiesto se egli non avesse mai commesso reati disangue, rispose che mai aveva avuto a fare colla giustizia,nemmeno come testimonio (il che risultò poi vero): «Mastavolta trattavasi dell’idea, e per l’idea ha agito».

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Esame diagnostico E un uomo di media statura, m.1,63, di capelli castagni chiari, foltissimi, tarchiato, conocchio grigio velato, mobile, orecchie un poco ad ansa,arcate sopracigliari voluminose, zigomi e mandibola vo-luminosi, prognatismo, fronte bassa, esagerata brachice-falia (indice cefalico 88). Ha dunque molti caratteri de-generativi comuni agli epilettici e ai criminali pazzi. Vi-ceversa però la grafologia ci indica, coi caratteri picco-lissimi, specialmente negli scritti degli anni passati, unatempra mite, femminea, con scarsa energia di carattere,come si vede da questo autografo del 1896 procuratomidal dott. Guerini e avuto dal suo fratellastro. Questascrittura, salvo la firma sproporzionata, non solo contra-sta colla sua fisonomia, col suo reato e colla sua condottadopo il reato, ma con l’altra lettera spedita al Don Mar-zio, a cui accennammo, scritta dopo il delitto con caratte-ri cubitali e con una vanità eccessiva del delitto, proprioin contrasto con la mitezza e con l’umiltà della lettera quiriprodotta.

Ora questo carattere, che abbiamo veduto straordina-riamente spiccato anche in Caserio nel momento che siavvicinava al delitto, si vide anche nel ferito re del gene-rale Rocha.

Ed io l’ho veduto pure spiccatissimo negli epiletticie negli isterici, e corrisponde, a seconda che sono nel-l’accesso psichico o fuori dell’accesso, a una vera dop-pia personalità provocata dalla malattia. Nell’una, comeio ho mostrato nell’Uomo Delinquente, essi giungono atracciare firme che occupano una pagina intera nel suodiametro maggiore, mentre la firma allo stato normale èspesso inferiore alla media.

La stessa doppia personalità che si trova nella scrit-tura si verifica anche nella psicologia. Abbiamo vedutoche egli era buono coi bimbi, che era un buon servito-re, carattere, questo, affatto opposto all’indole anarchi-ca, buono coi compagni, e che, come mostrano la lettera

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e la fotografia coll’uniforme e medaglia d’Africa, era en-tusiasta della vita militare: e che finalmente poco tempoprima, quando era al servizio del capitano, provava sen-timenti monarchici eccessivi; e finalmente che, anche di-ventato anarchico, domandava ancora al suo padrone diritornare al suo servizio: questa doppia personalità è unaltro dei caratteri essenziali dell’isterismo e dell’epilessia.

Abbiamo dunque nel Luccheni un individuo degene-rato e probabilmente epilettico discendente da padre al-coolista; egli ha un bel affermare non essere pazzo nedelinquente-nato, ma è un po’ dell’uno e dell’altro, per-ché è epilettico od isterico: anzi il suo negare è già unprincipio di prova del morbo. Anche il Luccheni con-ferma quanto ho tentato dimostrare nel Crime Politi-que, che la causa organica più frequente di simili impul-si morbosi a carattere politico è l’istero-epilessia; perchénon solo le dichiarazioni di alcuni compaesani accenna-no all’epilessia, e lo confermano i caratteri degeneratividel cranio, ma sopratutto l’eredità da padre alcoolista, equella impulsività e quella doppia personalità, che lo fapassare dal più mite degli uomini al più crudele, e che sirispecchia nella macrografia alternantesi colla microgra-fia fuor degli accessi.

Io dimostrai il fondo epilettico od isterico negli anar-chici e regicidi, Felicot, Monges, Caserio, e specialmen-te in un anarchico vagabondo, pieno di anomalie crania-ne, che mi diceva, quando io lo interrogavo sulle sue ri-forme politiche: «Non me ne parli, perché appena mivi caccio dentro a pensarvi sono preso da vertigini e ca-do per terra»; sicché mi parve di poter fissare un equiva-lente psichico-epilettico negli esagerati novatori politici,equivalente dimostrato anche dalla loro vanità, anzi me-galomania, dalla genialità intermittente e sopratutto dal-la grande impulsività. Covava poi anche in Luccheni ilsuicidio indiretto, che ho trovato in tanti criminali poli-tici, come nell’Oliva, nel Nobiling, nel Passanante78, che

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attentò al re essendogli venuta in uggia la vita; [...] ancheLuccheni credeva infatti di essere condannato a morte, equando sentì che nel Cantone in cui egli aveva commessoil reato non v’era la pena capitale, assai se ne dolse.

Vi poté la vanità morbosa, per cui fu sentito dire:«Vorrei uccidere qualche pezzo grosso per andar nellastampa nominato» (Gautier, o. c.).

Ma se nel delitto del Luccheni agì per un buon ter-zo una causa organica, individuale, molto più vi influìl’ambiente in cui visse. Figlio illegittimo, lasciato in queiBrefotrofi che sono il vero nido dei delitti e dei morbipiù gravi, affidato poi a famiglie poverissime e non sem-pre morali, quasi mendicanti, non avendo appreso che amendicare e a vagabondare, se trovò poi un qualche mo-do di sussistenza (si notino l’incertezza e la pluralità del-le occupazioni che indicano scarsa assiduità: fu servito-re, soldato, pulito re di marmi e prima contadino); trovò,si può dire, più costante l’infelicità che gli s’irradiava in-torno da oni parte e che spiega il pessimismo che lo spin-se a questa sorta di suicidio. Ricordiamo anche qui cheil Fratti diceva: «E la fame chi me la levava?»; e l’anar-chico di cui parla Hamon: «Quando mi posi a interro-gare gli infelici dell’ospedale ne ebbi un effetto spaven-toso, compresi i bisogni della solidarietà e divenni anar-chico»; e come un altro dicesse allo stesso Hamon: «Di-venni anarchico, vedendo i compagni mendicare lavorocol volto bagnato di lagrime e sentirselo respingere»; Ca-serio piangeva pensando alla Sorte dei suoi compagni dimiseria di Lombardia: questi criminali per passione, peraltruismo, sono, come scriveva Burdeau, dei veri assassi-ni filantropi. È per amore degli uomini che essi li ucci-dono all’impazzata.

L’epilessia o l’isteria spiegano perché egli sia passatoall’improvviso dall’uno all’altro partito e perché la pas-sione di setta in lui si sia convertita in un atto crimino-so. Ma di epilettici e di criminali ve ne sono dappertutto,

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e questi malati in Norvegia e Svezia non si trasformanoin anarchici, e nemmeno in Isvizzera e in Inghilterra, do-ve ne accorrono tanti da tutte le parti del mondo, e do-ve pure, se l’anarchico agisce, è come un bolide che cadedalle regioni extraplanetarie sulla terra, completamenteisolato e in contraddizione col mondo che lo circonda.

La causa più grande di questa trasformazione è l’infe-licità che incombe sul nostro triste paese e che si irradiada ogni parte anche su chi non è per sé stesso infelice.

Anche se negli ultimi tempi il Luccheni avesse avutoqualche cosa per vivere, coll’eccessivo altruismo morbo-so che lo dominava, non poteva non sentire quest’infeli-cità così profonda e generale in Italia.

Non c’è bisogno di molta erudizione per dimostrarel’immensa difficoltà economica d’Italia in confronto de-gli altri paesi, quando si sa che noi paghiamo il sale cir-ca 500 volte il suo prezzo, ed il pane ogni giorno più ca-ro, e che i consumi vanno restringendosi ogni anno daun decennio a questa parte.

Giustamente diceva dunque lo Scarfoglio spiegandol’origine dell’anarchismo: «Un buon quinto della popo-lazione d’Italia vive ancora allo stato selvaggio, abita intuguri a cui non si rassegnerebbero i Papuas, si adattaa un cibo che i Scillucchi rifiuterebbero, ha del mondouna visione e una nozione non molto più ampia che quel-la dei Cafri e corre la terra desiderando e ricercando laschiavitù».

Si aggiunga che appunto per questo, per la mancanzacioè di coltura che ne deriva, si ha dappertutto una minorreazione e un minore orrore dei reati di sangue, tanto chesi hanno 96 omicidi ogni 100 mila abitanti.

Di qui si capisce quali sono i veri rimedi. Il crederedi vincere l’anarchia uccidendo gli anarchici non serve,perché ad ogni individuo epilettico se ne sostituisce benpresto un altro, e più perché i delitti anarchici non sonoin gran parte che suicidi indiretti e perché gli anarchici

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calcolano poco la propria come la vita altrui. Bisognainvece mutare la direzione del morbo mutando le tristicondizioni in cui esso sorge.

Dunque, non per umanità, non per elevate teorie so-ciali, ma nell’interesse nostro diretto dobbiamo cambiarerotta una buona volta: il sopprimere una dozzina di anar-chici è come uccidere un migliaio di microbi senza disin-fettare l’ambiente che ne contenga dei migliardi; è a que-sto che dobbiamo provvedere se vogliamo star meglio,spezzando il latifondo, migliorando le condizioni gene-rali dell’agricoltore e dell’operaio industriale, e ciò nel-l’interesse stesso delle classi dirigenti.

Il tifo, il colèra, la peste attaccano veramente assai piùi più poveri, ma da questi il contagio si estende ancheai ricchi: e dalle abitazioni malsane in cui il ricco lasciaaccalcarsi e agonizzare il mendico, il miasma quasi pervendetta si propaga ai palazzi marmorei.

Quanto poi a quell’imbecille idea di alcune nazionieuropee che, invece di disinfettare l’ambiente, trovanomeglio sopprimere i medici che propongono i rimedi,essa non può annidarsi che fra popoli destinati a perire79.

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L’ultimo brigante: Giuseppe Musolino

È noto in qual modo sia stato arrestato il già troppo ce-lebre brigante Musolino, pel quale era indetta una tagliadi 50000 lire e furon messi in 1902 moto fin 1000 tra sol-dati e carabinieri; ed eransi esauriti tutti gli espedienti –dell’agguato, del ricatto, della donna ammaliatrice, per-fino dell’oppio – e speso più di un milione. E stato coltoproprio quando le ricerche cominciavano ormai a rilas-sarsi, quando ormai erano state rimandate le guardie e latruppa, tranne i carabinieri.

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Il merito dell’arresto non si dovette invero ad alcunadelle armi della pubblica sicurezza, poiché fu preso daicarabinieri in iscambio di non so qual malvivente neidintorni di Cagli, a quasi mille chilometri dal suo paesee, sopratutto, grazie ad un filo di ferro da cui eranosostenute delle viti, il quale impedì al bandito di sfuggireloro a tempo con la sua solita velocità.

Un merito solo, però, ebbe l’autorità: quello di averperseguitato senza tregua parenti, amici, favoreggiatoridi tutti i gradi, per modo da rendergli impossibile la di-mora nel vecchio nido. Finché era difeso dalle roccie, daiboschi e sopratutto dalle simpatie vivissime dei compae-sani, egli era assolutamente imprendibile.

Dalle fotografie che ho di lui e dalle osservazioni cheraccolse il prof. Patrizi, non mi pare che abbia il com-pleto tipo criminale; ha esagerato, però, il tipo della suaregione, dolicocefalia, prognatismo, robustezza grandedella mascella inferiore; presentando dei caratteri dege-nerativi, solo la fronte sfuggente, l’esagerazione delle ar-cate sopraciliari e l’asimetria facciale, fatto questo chediventa però importante, perché si somma a quella deltronco e degli arti, così frequente negli epilettici. Appun-to in relazione con questa scarsezza di caratteri criminali,che si potrebbe anche spiegare, secondo alcuni miei stu-di, con la sua maggiore intelligenza, avendo trovato80 chenei forti ingegni criminali il tipo vien meno, io ne fareila diagnosi, non di un puro criminale-nato, ma di un chedi mezzo fra il criminaloide ed il criminale-nato, tenendoperò più del primo che del secondo.

Più del primo:1° Perché nacque in un paese dove l’omicidio non è

considerato così grave reato come negli altri paesi e lavendetta è creduta un dovere;

2° Perché non percorse tutta la gamma del crimine(furti, per esempio, ecc.): ne sempre faceva il male per ilmale, come è proprio del reo-nato, ma solo per vendetta;

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3° Perché, nella sua barbara giustizia poneva spessouna certa proporzionalità: per esempio, feriva nelle gam-be, invece di uccidere coloro che gli parevano meno col-pevoli verso lui;

4° Perché mostrò qualche raggio di affetto verso lamadre e la zia;

5° Perché, avendo pur qualche spiccato carattere de-generativo (asimetria, fronte sfuggente), non ha il tipocompleto criminale.

Ma è pure un delinquente-nato, per quanto attenuato;lo è per aver mostrato l’istinto feritore e vendicativo, finodalla prima giovinezza; dagli 11 anni ai 21, commise vio-lazione di domicilio, porto d’armi e reati di violenza, e fe-rimento persino contro il proprio padre, che lo fecero se-veramente ammonire e che l’avevano messo a capo dellamaffia del suo paese; lo è per l’inettitudine a continuatolavoro, mentre con la sua agilità e forza avrebbe potutoguadagnar molto come boscaiuolo; lo è per l’incoscien-za completa, ch’egli mette nei reati, spesso da lui anziconsiderati come un dovere; e che mescolandosi a quellaspecie di megalomania, così frequente nei criminali-nati,giungeva al punto di fargli chiedere al prefetto, prima diconsegnarsi, il permesso di freddare due nemici che glierano fuggiti di mano.

È ancora un delinquente-nato per l’eredità, avendocriminali lo zio e tre cugini materni, nonno e zio materniapoplettici. Annunziata Romea, figlia della zia Filasto, èepilettica; il nonno paterno alcoolista; il padre di Muso-lino ha vertigini, che costituiscono la forma embrionaledella epilessia; delle tre sorelle di Musolino, Vincenza edIppolita soffersero in carcere l’accesso epilettico classico,ed Anna gravi fenomeni nervosi.

Anche la sorella Ippolita è proclive alle risse, carattereche si mostra ancor più spiccatamente nel fratellino,sì che lo si doveva tempo addietro rinchiudere in unacasa di correzione. Giorni or sono, giocava con un

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suo coetaneo, il quale gli vinse un soldo; egli glieloconsegnò, ma dopo un po’ lo costrinse a restituirglielo,minacciando... di tagliargli la testa!

E criminale-nato, sopratutto perché, come mi risul-ta da relazioni mediche, va soggetto ad insulti epiletti-ci, malattia che è, come ho dimostrato81, la base dellacriminalità-nata e i cui accessi sofferse sei mesi primadi commettere i due mancati omicidi pei quali fu con-dannato; epilessia che in forma motoria si manifestò piùspiccata dal 12° al 15° anno, epoca in cui divenne in-correggibile e crudele contro il padre e così attaccabrigache ne acquistò il nomignolo di Peddicchia; e che, essen-do quasi sempre preceduta per otto o dieci ore da aura,gli diede modo di nascondersi a tempo durante l’epocadell’incoscienza82.

Dell’epilessia ha anche, oltre l’agilità straordinaria percui superava i precipizi più spaventevoli, l’eccessiva im-pulsività e il carattere contraddittorio, ora eccessivamen-te agitato e verboso, ora muto e istupidito come un idio-ta, notava il tenente Lovreno; ora sospettoso, diffidente,ora fanciullescamente ingenuo, e l’intermittente, bestialeferocia sanguinaria alternante con una certa bonarietà.

È criminale-nato, perché la nota più sicura della suapersonalità psichica è la vanità morbosa (Renda). È sma-nioso di sapere se la stampa si occupa di lui; si atteg-gia a personaggio di grande importanza, vuole che l’u-niverso lo giudichi; pensava persino di farsi eleggere de-putato; pretendeva di essere protetto da un santo spe-ciale, san Giuseppe, anche in grazia di una allucinazio-ne in cui questi gli sarebbe apparso, nei primordi dellasua carriera carceraria, promettendogli assistenza, salvopoi a dispregiarlo, quando si vide arrestato; intende par-lare al Re; esclama talvolta con profondo orgoglio: «So-no Mugolino»; saluta la folla con dignità regale, dicendo:«Addio, popolo». Si paragona al conte di Montecristo.Scendendo dal cellulare a Catanzaro, non vuole metter-

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si un cappello sciupato, e, costretto, male vi si rassegna,perché indegno di lui.

Fu detto che egli non era un vero delinquente perchéaveva risparmiato parecchi carabinieri – che egli avrebbepotuto colpire in agguato – e perché qualcuno dei prete-si suoi nemici non colpiva mortalmente, ma alle gambe,misurando, si potrebbe dire, con una giustizia barbarica,ma misurando la pena; se non che ciò si spiega per quellaintermittenza e contraddizione degli istinti, che è specia-le appunto agli epilettici; e così, mentre conservava amo-rosamente un ciuffo dei capelli della zia Filasto e mentrepare così amoroso dei suoi, specie delle sorelle, quandoil Raffo tentò persuaderlo a presentarsi per poter libera-re i suoi parenti per causa sua incarcerati: «Lasciatevelimarcire – rispose – io voglio essere libero».

Il fatto, però, è che uccise anche delle donne, solo per-ché erano vicine ad uno dei pretesi suoi nemici, come laCrea, che nulla gli aveva fatto di male; e ammazzò Martedinanzi ai suoi parenti, incrudelendo, in compagnia di al-tri due banditi, su lui agonizzante, dopo avergli promes-so di perdonare un tentativo di tradimento e dopo avermangiato insieme delle frutta; e non solo uccise il fratellodello Zoccolo pel solo fatto di essere suo fratello, ma spa-rò più volte sul suo cadavere, messo a bersaglio contro almuro, e immerse le mani nelle sue viscere sanguinanti.

Il fatto è che di 24 fra omicidi o tentati omicidi, nonuna volta egli sentì rimorso; e che se egli beneficò di10 lire una povera ragazza che gli aveva parlato bene dilui non conoscendolo, sono di quei tratti di generositàche usano sempre tutti i banditi – Buffaleri, per esempio– per farsi perdonare dagli uni i delitti contro gli altri,regalando sempre del danaro che non costa loro nulla.

La sua grande intelligenza è dimostrata dall’abilità percui, ancora giovanetto, seppe emergere su tutta la maffiadel circondario e divenirne il capo, con cui poté evaderedal carcere e con cui poté sfuggire a tutte le insidie,

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subodorando a minimi indizi il traditore; cosi quandola polizia gli fece dare un appuntamento da una delle sueamanti, egli vi andò, ma la notte prima, e portò via ladonna per tre giorni sui monti. E quando due agentidi emigrazione gli proposero un piano di fuga soprauna nave ancorata al Capo Bruzzano, egli subodorò iltradimento e tutto ad un tratto ruppe le trattative; daun mese soltanto, comprendendo, dopo l’arresto dei suoipiù intimi favoreggiatori e della sua famiglia, non poterpiù sperare aiuto, si decise ad abbandonare i suoi monti.

L’intelligenza si vede anche in certi suoi versi non peg-giori di quelli di molti poetastri d’Italia, versi che rifletto-no, come quasi tutti i poemi criminali, l’egocentrismo ec-cessivo, l’eccesso di sentimento della propria personali-tà, e, in questo, spesso riescono di una singolare energia,come nel verso:

Pe tia la libertà, per autri la morte.(Per te la libertà, la morte agli altri).

La sua intelligenza si vede anche nell’arte con cui ave-va organizzata la propria difesa. Pare, per esempio, chedormisse coi piedi appoggiati ad un albero, in modo chei più piccoli rumori venivangli subito trasmessi nel sonnodal terreno; adoperava pure due cani, uno vicino a se eduno a grande distanza dal covo che aveva adottato, moltevolte nella cavità degli alberi, qualche volta perfino nelletombe dei cimiteri, così che, avvisandosi l’un l’altro coilatrati, gli permettevano di dormire intanto tranquillo.

Spesso, per rifocillarsi e riposarsi, entrava in una ca-panna a notte alta, si faceva dare un po’ di formaggio, dipane e d’acqua, si sdraiava a terra con le spalle all’uscioe il fucile tra le gambe, dormiva così due o tre ore senzache solo uno degli astanti avesse a fiatare, e poi via di fu-ga, verso altra cresta del monte ed in altra capanna peraltre due o tre ore. Mai nella prediletta capanna, provvi-

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sta di tutto quanto si potesse desiderare, egli riceveva gliamici, ma in luoghi lontani ed ignorati, nelle radure dellamontagna. – «Quando qualcuno – scrive Lorenzo Bena-rola – sequestrato da lui per farne il suo storiografo – do-veva abboccarsi con lui, era accompagnato da una gui-da fidata del bandito, il quale, lasciando alla distanza dimezzo chilometro l’amico che conduceva, faceva perve-nire notizia dell’arrivo al brigante, emettendo un fischioche, sentito da un altro fido situato in altro posto più lon-tano, era trasmesso ad un altro, e così via finché perveni-va all’orecchio del re della montagna, il quale dava il suoassenso a che quegli s’inoltrasse, battendo forte le mani».

L’intelligenza sua straordinaria gli aveva dato modo diorganizzare un completo servizio di spionaggio, miglioredi quello che avesse il Governo, per cui non solo guar-dava se stesso, ma pare anche guardasse dai delinquen-ti minori i proprietari di terre, che perciò gli erano tantopropizi.

Se non che, secondo un’osservazione profonda delRenda83, in questa intelligenza così acuta era una falla,l’ossessione della vendetta.

«Dopo la prima incarcerazione, e dopo, e forse inseguito all’allucinazione religiosa della comparsa di sanGiuseppe, con promessa di aiuto, si inizia in lui unvero delirio megalomanico, crede d’avere la missione divendicarsi contro tutti quelli che deposero contro di lui:a poco a poco si persuade che la prima condanna fu nonsolo sproporzionata, ma completamente ingiusta, e chequindi a lui tocca farla cancellare col sangue.

Dei deliri la sua condotta ha l’inizio patologico, l’ir-resistibilità, la tenacia, la polarizzazione sopratutto delleemozioni vive, il rinnovamento della personalità, l’inco-scienza valutativa della sua condotta».

Il punto di partenza del delirio suo non è pazzesco: ènel difetto delle prove, nelle deposizioni non completa-mente veridiche, al suo credere, di alcuni testi. Pazzesca

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è l’importanza che dà a queste minuzie: è un fatto que-sto che osservai in molti criminali ai cui occhi il minimosbaglio nella procedura fa scomparire la gravità dell’attocommesso, e ciò perché in fondo la coscienza del malenon esiste in costoro.

La personalità si muta, da quel momento: dal puntodi vista psichico, Musolino diventa davvero, innanzi al-la sua coscienza medesima, l’eroe vendicatore che la co-scienza barbara del popolo ama e circonda di simpatia;si cancella in lui il ricordo delle delittuose gesta dei primianni, egli si sente con sicurezza un galantuomo.

La vanità e la megalomania di Musolino hanno percontenuto la fede d’esser egli un onesto giudiziere: ta-citurno, ordinariamente, si dilunga a far l’apologia di semedesimo, a dettare le sue memorie. Ha fede così pro-fonda nella sua onestà, o meglio è così invasato dalla suaartificiosa personalità novella, che crede e spera davve-ro di ottenere la grazia reale, e non fa che domandaredi telegrafare e scrivere al Re; al comm. Doria, che glirimproverava di avere ucciso un carabiniere che faceva ilsuo dovere, risponde: «Anch’io avevo un dovere da com-piere». Accusato di violenza e di rapine, esclama: «Misarei ucciso se avessi rubato o violentato». Spesso dice-va, con la soddisfazione dell’uomo virtuoso: «Sono ungalantuomo!»

Quel che è triste, è che questa specie di delirio sor-to sul suo fondo morboso, epilettoide, si sia alimentatoe moltiplicato, come spesso accade e come avviene deimicrofiti che prolificano sui tronchi malati degli alberi,secondo una nota legge psicologica, per il consenso e lasimpatia di un popolo, in cui la permanenza di sentimen-ti barbari e il peso dell’ingiustizia sociale educa criteri esentimenti quasi selvaggi. Se Musolino avesse visto intor-no a se il silenzio, la ripugnanza e l’ostilità, avrebbe de-linquito, ma non avrebbe mai osato elevare la sua perso-na all’altezza dell’eroismo.

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Ma si domanderà: perché e come nacquero questevive simpatie?

A parte il fatto che dappertutto il popolino minuto hauna venerazione per questi, da lui creduti eroi, che san-no opporre una resistenza energica all’autorità armata eprendono indirettamente sui ricchi le vendette dei pove-ri, e non offendono questi, da cui nulla possono cavare,a parte ciò, per cui ogni brigante ha sempre avuto nelleplebi un partito favorevole, la ragione qui è che nei bas-si strati popolari, specie delle vallate più remote calabre-si, la vendetta è considerata come un diritto e anzi undovere.

Le vendette di Musolino parevano a molti giustificabi-li, inquantoché egli voleva vendicarsi di coloro che ave-vano contribuito a fargli avere una pena creduta spro-porzionata, vent’anni di galera per un tentato omicidio.Si aggiunga, a rinfocolare quella specie di compiacenza,direi quasi patriottica o di classe, con cui i suoi conval-ligiani vedevano un uomo resistere ad un’intera nazione,che egli non commetteva mai rapine, ne stupri, ne fur-ti, che sono ancora considerati delitti anche dai popolipoco civili; al contrario, anzi, pare che impedisse i pic-coli reati di campagna, incutendo un salutare terrore neimalfattori, che erano diminuiti nel suo territorio del 50per cento; il che spiega come i grossi proprietari, non so-lo lo mantenessero segretamente, ma avessero già espres-so il desiderio di fare una supplica al Parlamento in suofavore, e che in suo favore si fosse mosso il sindaco delsuo paese, mentre d’altra parte le associazioni crimino-se, pullulanti nei bassi fondi di Palmi e Reggio, s’ispira-vano a lui come a un eroe e portavano il suo nome e loacclamavano presidente onorario.

Da ciò una specie di leggenda intorno a lui che face-va innondare tutta l’Italia di romanzi, fiabe e canti in suoonore, e che eragli di schermo e protezione contro l’intie-

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ra polizia italiana, più che non avrebbe potuto una gran-de schiera d’armati.

E a questo ha contribuito non poco il Governo, esa-gerando negli inutili, costosi, rumorosi conati prima perprenderlo, poi per assicurarne la custodia, adoperandofreni speciali, doppi muri, ecc., invii speciali di direttoridi carceri, procuratori, ecc., quasi si trattasse di un for-midabile avversario, di un De Wett, di un Garibaldi, enon ricordando un detto di Napoleone, il quale, da quelgrande brigante che era, di briganti era pratico, cioè nul-la favorirne più l’incremento quanto il rumore che il Go-verno fa intorno a loro.

E ciò tanto più che, per prendere un uomo solo, imolti sono più d’impaccio che di vantaggio, allo stessomodo che una mosca si colpisce più facilmente con unpiccolo cencio che con una cannonata.

Ma vi hanno anche motivi d’indole sociale, topografi-ca ed etnica, che rendono ragione della simpatia dei suoicompaesani e della sua lunga invulnerabilità.

Mentre la Calabria ha qua e là dei terreni meraviglio-samente fertili, in cui crescono l’ulivo, l’arancio, il croco,il gelso, il cotone, pure ha su circa 3000 miglia quadra-te, 490, il decimo circa, di boschive e malariche; e la ma-la condotta dei fiumi e l’abbandono dei boschi han fattorovinare una grande quantità di vallate.

La popolazione, intelligentissima, perché deriva da unmisto di Romani, Greci e Fenici, di cui serba traccia nel-la forma allungata del cranio, nel dialetto, nei canti, è au-dace, eroica, desiderosa di dominio fino alla prepoten-za; ha però nel suo seno una cifra non indifferente di co-lonie albanesi e greche, specialmente verso la punta d’I-talia, dove Musolino imperava, che, discendendo da po-poli imbarbariti nel medio evo, sono in uno stadio vera-mente inferiore di senso morale.

E malgrado la notevole fertilità, la coltura del suolo viè trascurata.

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Le olive si lasciano marcire spesso sugli alberi, sacri-ficando la qualità alla quantità, sicché gli olii non servo-no spesso che pei saponi; l’irrigazione essendo trascura-ta, quando manca la pioggia, le bestie muoiono a centi-naia e le vacche restano senza latte. La rotazione si fa insei anni e la terra non viene concimata e lavorata suffi-cientemente: al che aggiungendosi la mancanza di dre-naggio, molti prodotti vanno a male. Esistevano i bo-schi, ma all’ombra della legge si distrussero perfino colfuoco, non potendosi utilizzare per la mancanza di seghemeccaniche e di strade. Le montagne si denudano, e siimpoveriscono le terre in pendio.

Alle tristi condizioni del suolo si aggiunse la malainfluenza dei cattivi governi.

Il Governo spagnuolo favorì la tendenza all’ozio, percui i più lasciavano Ile migliori industrie in mano astranieri, e per il vezzo dei titoli l’attivo merciaiuoloabbandonava il suo commercio per guadagnarsi il don.

Tanto gli Spagnuoli che i Borboni, poi, dapprima fa-vorirono il feudalismo, concentrando la proprietà in po-che mani; caduto il feudalismo, ne formarono uno anco-ra peggiore nei capi urbani; il nostro Governo non feceche cambiar nome e titoli a questi, chiamandoli sindaci,deputati e già colonnelli di guardia nazionale; e mentrela rivoluzione francese aveva iniziata la ripartizione deibeni demaniali, non solo l’arrestò, ma permise ai gros-si proprietari di aumentare sempre più il latifondo, conl’acquisto dei beni comunali che servivano al pascolo elegnatico del popolo minuto.

Estinte o divenute borghesi le famiglie nobili, quelleche ne avevano occupate le rocche feudali discesero daqueste alle città, circondate da un esercito di guardiani inpieno assetto di guerra; superbe della propria forza, sde-gnarono confondersi con le classi borghesi, per indiriz-zarle sulla via del progresso. Quindi la ricchezza si ridus-se nelle mani di pochi i quali, mentre isterilirono la pro-

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duzione, estendevano inutilmente i loro possessi usur-pando alle popolazioni le terre demaniali.

I proprietari, godendo enorme estensione di terre,sdegnavano coltivarle intensivamente. Di qui la pover-tà estrema degli agricoltori, ridotti a meri strumenti dilavoro, mai elevati a mezzadri.

Nel solo tribunale di Catanzaro si ebbero 701 esecu-zioni immobiliari per debiti, di cui 80 non superiori a lire50.

Il grande proprietario o il suo agente, circondato daisuoi compari, esericita in molte vallate remote una tiran-nia pari a quella dell’antico barone. Circondato da unesercito di guardiani in pieno assetto di guerra, sdegnadiscendere (scrive Ruiz) fra le classi povere, e così indi-rizzarle sulla via di progresso. Gli agricoltori, ridotti amero strumento di lavoro, sono di uno straordinario ab-brutimento. «Nella prepotenza dei ricchi sui poveri, inu-tilmente protetti dalle leggi», continua il procuratore delRe E. Ruiz, in un mirabile discorso inaugurale, che inaltre sedi e tempi avrebbe procurato all’oratore qualcheanno di carcere per eccitamento all’odio di classe, tan-to da noi si sa provvedere ai mali punendo chi li denun-cia, «si intende la forza e il perché del brigantaggio am-mirato dal popolo, poiché le sue violenze vendicavanoaltre violenze; altre ingiustizie, che l’autorità non sapevareprimere».

«A questo stato di cose, scriveva Oliva ( Discorso inau-gurale giuridico dell’anno 1896), creato dalla violazionedelle più comuni leggi economiche, si aggiungano le pre-potenze e violenze usate dai ricchi, che tutto potevano,sui poveri impotenti a sostenere i loro diritti, pur rico-nosciuti dalle leggi, e s’intenderà il perché del brigantag-gio rimasto leggendario, per le sue gesta feroci e gene-rose ad un tempo, che si ricordano dal popolo con ac-cento di paura e di ammirazione, riconoscendo che tante

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stragi e saccheggi rispondevano ad altre ingiustizie, chel’autorità sociale non valeva a reprimere.

Le condizioni sono tristi: vi ha la miseria più squal-lida degli agricoltori, disagi mal dissimulati della mediaborghesia, che vive del lavoro sul proprio e sull’altrui po-dere; ricchezza di pochi, più o meno ingiustamente accu-mulata, e stupidamente conservata quasi infruttifera, condanno degli stessi Nababbi e iattura delle classi lavoratri-ci, cui si toglie, insieme col lavoro, la sorgente della pro-duzione, cioè della prosperità pubblica. Di qui l’abbru-timento loro, derivato dal non poter aspirare a sollevarsicon le forze proprie dalla miseria che le logora, quindi losvolgersi in esse delle tendenze criminose, per sottrarsi aquella che si dice ingiustizia della sorte ed è ingiustiziadegli uomini».

Quindi i reati di omicidio, di lesione, di libidine, chegià vi davano le cifre più alte dell’Italia, sono andate inCalabria aumentando anno per anno invece che calare, ele frodi, che sono di poco superiori alla media del regno,aumentaronvi anch’esse.

Chi legge le cifre della criminalità calabrese, vede chei delitti in genere sonvi maggiori che in tutta la mediadel regno: i furti 405 su 100 000, mentre la media inItalia è di 259; egli omicidii sono 250, mentre la mediaè 105; e quello che è peggio, questi ultimi reati tendonoad aumentare invece che a diminuire; evi si sono andatiformando col nuovo Governo italiano dei reati speciali.

L’analfabetismo non calò in vent’anni che a 80 percento. E vero che scuole vi sono in numero sufficiente,e costano più che nell’alta Italia; ma essendo a troppadistanza dalla coltura generale, restano inattive, sonocioè poco frequentate, avendo solamente 37 iscritti su10000 abitanti; mentre nel regno sono 91; i maestri sonoamministratori di famiglie ricche, commessi di agenzie e,sopratutto, agenti elettorali; quindi un’enorme ignoranzae infiniti pregiudizi, al punto da vedere riguardati profeti

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dei monaci e persino adorati degli ulivi sacri, micidialia chi vi si approssima. Ciò sia detto in genere dellaCalabria di pochi anni fa.

Se non che, un paese così nobile come la Calabria hagià saputo da sé incominciare a trovare i rimedi. Cosìi giornali salirono da 3 a 50; le scuole quadruplicarono;l’emigrazione, aumentando da 500 individui che era nel1878, a 17 000 nel 1895, rendeva meno disagiati i rima-nenti; anche le ferrovie si unirono a grandi strade mae-stre, per portare la civiltà in punti lontani. E quindi èche il calabrese dei capoluoghi e delle capitali come Ca-tanzaro, Cosenza, Reggio, non differisce dal cittadino diMilano o di Torino.

Ma se questi vantaggi si ebbero nei grandi centri edove la topografia permetteva la formazione di strade ela mescolanza coi popoli del nord, questi vantaggi van-no amano a mano diminuendo nei luoghi più remoti,specialmente nell’estrema punta d’Italia, quelli in cui si-gnoreggiava Musolino, resi quasi inaccessibili dai boschie dalle montagne; qui, alla selvatichezza della regione,s’aggiungeva l’influenza delle semi-selvaggie colonie al-banesi e greche, molte delle quali ancora coi costumi, lalingua e la moralità dei tempi di Scanderberg.

In questi paesi, come Africo, Bova, Santo Stefano,dove mancano quasi affatto la scuola, il giornale e perfinola strada, la moralità è ancora allo stadio primitivo, incui tra delitto e azione, ricordiamo il facinus latino, ladistanza non è grande; anzi l’uno si confonde con l’altro,tanto più poi quando si tratta di reati di sangue, o pervendetta, che nei popoli poco civili non sono riguardaticome reati, ma considerati spesso come dovere84.

Invece di spendere enormi somme nelle pur tristi, senon inutili, conquiste, era meglio profondere il nostrooro e le fatiche dei funzionari a rendere più civili, piùricche d’industrie e di vie quelle regioni; così sarebbe-si avuto il vantaggio di prevenire, dopo tolto di mezzo

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il primo, un secondo od un terzo avvento di simili eroidel male, che non possono mancare finche il terreno visia propizio, come ha dimostrato ora l’esempio della Sar-degna, ove dopo la strage creduta definitiva dei brigan-ti, questi ripullulano di nuovo al pari, se non peggio, diprima.

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Enrico Ballor detto il martellatore

Enrico Ballor, di 27 anni, è stato condannato recente-mente dalla Corte d’assise di Torino all’ergastolo peraver ucciso a colpi di martello un vecchio suo prozio,Massimino Ballor, da lui attirato fuori di casa a tarda oradi notte, col pretesto di un’improvvisa malattia della pro-pria figliuola, allo scopo di depredarlo di quanto aveva incasa e, certo, di quanto aveva indosso; essendo stato pro-vato che nella notte stessa dell’assassinio egli tentò ven-dere un orologio appartenente alla vittima e ne nascoseentro le falde del proprio soprabito la catenella che pri-ma vi era appesa.

Altri indizi del reato furono: di essersi egli trovato, apoca distanza dall’ora in cui fu consumato il delitto, inun caffè, dove lasciò in pegno il suddetto orologio ad uncameriere per ottenere tre lire d’imprestito, e con le fal-de del soprabito bagnate, certamente per averne lavate lemacchie di sangue, senza dire di una sua mezza confes-sione all’atto dell’arresto seguito il giorno dopo il delitto,ch’egli però negò poi ostentatamente. Altrettanti indi-zi, forse meno sicuri, si ebbero per un altro assassinio: ilmartellamento, cioè, di certa Orsola Filippini, portinaiad’una casa di via Magenta in Torino.

Al dibattimento risultò, infatti, ch’egli in quel tempoabitava in questa casa, ne frequentava la portieria, porta-va i fiori alla povera Orsola e con essa chiacchierava. La

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sera del delitto fu là dentro e fu visto a discorrere con es-sa; ed il giorno dopo si constatò che dalla somma di de-naro che l’Orsola doveva avere, mancavano lire 8,50; chela firma di Ballor sul quaderno, sul quale s’inscrivevanoi pigionali, era stata messa in quella sera, mentre egli in-vece pretende averla scritta prima, smentito in ciò dai te-sti che prima e dopo lui sottoscrissero; s’aggiunga chein quella sera fatale fu visto uscire dalla portieria da unacasigliana, mentre essa rincasava.

Altri indizi si hanno nella vita scioperata e criminosatenuta fin dalla prima giovinezza, e nell’aver detto, pochigiorni prima del reato: «Se mi va bene un affare, aggiustotutto».

Sono, è vero, indizi che possono parer discutibili di-nanzi alla sua franca negativa e alla scarsità dei testimo-ni, e che appena potrebbero avere un nuovo amminico-lo nella condotta spavalda, cinica e, nello stesso tempo,astutissima durante il dibattimento alle Assise.

Ma è lecito chiedere, dopo la creazione della nuovascuola antropologica criminale, che studia nella psiche enel corpo del delinquente, più che gli spesso fuggevoliindizi del delitto, i veri e durevoli moventi che ve lo spin-sero: – Non v’è qualche altra prova molto più precisa esicura da cogliere nell’esame del delinquente medesimo,esame che, come è costume in Italia, non fu notato nédall’Accusa e nemmeno dalla Difesa?

Esame somatico Come giustamente notava il P. M., ilprimo esame, anche suffragato dagl’istrumenti opportu-ni, non ti dà alcun indizio di anomalie nel Ballor, nonpotendo comprendersi in queste un’ernia acquisita do-po l’asportazione quasi completa delle glandule sessua-li. Barba e capelli sono abbondanti; fisionomia armoni-ca, bella, aperta, di un comune garzone di negozio, chediventa solo truce in alcuni momenti. La capacità crani-ca (1420 c.c.) come la circonferenza (545) sono un po’più scarse della media virile; forma del capo elittica; do-

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licocefala (78,9); una leggera iperostosi al bregma; solosi potrebbe rilevare un lieve prognatismo alveolare; unleggero grado di stenocrotafia (diametro frontale 110 D.,zigomatico 125); orecchio sessile; il pollice del piede piùcorto delle altre dita; una cicatrice da una martellata alfronte riportata a dieci anni.

Più importanti sono le anomalie funzionali, e prima ditutto la riduzione del campo visivo e lo scotoma enormea destra.

Importantissimi i risultati dell’urocoscopìa, specie peifosfati:Fosfati totali gr. 2,484 – P205

» alcalini » 2,124

» terrosi » 0,360

ossia, mentre nell’uomo medio la formola è di85:

Alcalini 1: 0,12 terrosi

essa è invece in Ballor di:Alcalini 1: 0,03 terrosi

Si riscontrò anche in lui una particolarità singolarissi-ma, che venne pure rinvenuta da me in varî criminali-natie negli epilettici: una differenza di 20 gradi nella pressio-ne al braccio destro in confronto al braccio sinistro.

Riflessi cutanei e tendini mancanti, salvo al tendined’Achille ed ai radiali. Tremore delle mani per abusoalcoolico. Tardivi riflessi pupillari. Sensibilità perfetta-mente normale; tatto 1,5 a sinistra e 2,5 a destra, con ungrado leggero di mancinismo.

La sensibilità generale presentava alla slitta Du BoisR: 63 mm. a destra e 65 a sinistra, con poca differenzaquindi da un lato all’altro. Anche la sensibilità al doloreera normale; solo più accentuata e viva a destra, 45, chea sinistra, 40 millimetri.

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Egli stesso confessava che bevette vino fin da bambinoe, più tardi, liquori, come del resto usavasi per abitudinein famiglia.

Aveva forza notevole: 70 chilogrammi del dinamome-tro, e, quel che è più, singolarissima agilità, per cui ora,malgrado che l’ernia non sia contenuta da uno specialeapparecchio, come già prima, fece per suo capriccio duevolte il salto mortale; e la grande agilità è in gioco in qua-si tutti i suoi delitti giovanili e nell’ultimo, contro lo zio,avendo dovuto fare un salto da un muricciuolo.

Psicologia Dalle informazioni che attinsi dai compa-gni, dalle famiglie che lo ebbero operaio e dai suoi, appa-re che egli mostrava un ingegno svegliatissimo, ma un’o-perosità intermittente.

Dalla signora Massola, fioraia, raccolsi che non lavoròpiù di un mese, ma che in quel tempo lavorava per tre.Anche dal Castiglione non stette più di un mese, falsoessendo il pretesto, con cui si licenziò, che l’ernia gliimpedisse ogni sforzo muscolare.

Appena trovava denaro, lo spendeva in liquori, nelgiuoco e nelle donne, e, come molti colleghi di crimi-ne, in giornali giudiziari, dove attingeva idee a nuove im-prese; per quanto guadagnasse, non era capace di rispar-mio. Si vantava coi compagni di ricchezze immaginarieaccumulate coi fiori; pretendeva disporre di interi basti-menti a Tolone, di avere somme enormi in banche a Ge-nova e a Nizza, di essere stato decorato in Africa, dovenon era mai andato, di vendere i garofani a cinque lirel’uno a Parigi.

Non mostrò una vera disaffezione ai parenti; però,dopo aver loro promesso di correggersi, di ravvedersi,ecc., scompariva e per anni interi non lasciava più tracciadi sé.

Dalla condotta tenuta durante i procedimenti appareuna singolare furberia: grande sangue freddo e nessunasensibilità affettiva, nessun pentimento davanti alla mor-

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te del suo simile e, quel che importa, nessuna proporzio-ne tra l’entità del guadagno e la enormità dei suoi delitti,quasi che egli li commettesse più pel piacere di farli chenon per un guadagno che ne potesse trarre.

Egli, poco dopo ucciso lo zio e la portinaia, nonmostrava il più leggero turbamento; la morte dello zioera stata premeditata a lungo, come dimostra la visitafattagli prima ed il discorso con un amico suo: «Se miriesce un affare, dopo starò bene».

Ora questa è veramente la condotta del delinquente-nato, per cui nel gergo le parole che alludono alla mortepropria ed altrui hanno termini burleschi: far la grinta,raccorciare; l’imprevidenza del succitato discorso a unamico e quella per cui disse al brigadiere Soro: «Erosolo» (si intende nel fare il delitto) sono proprie deldelinquente-nato.

Così Philippe, dopo commessi i suoi strani omicidisulle serve, diceva ad una sua ganza: «Io le amo le donne,ma a modo mio, perché uso soffocarle dopo... Oh!sentirete parlare presto di me!». E Lachaud, poco primadi uccidere il padre, diceva: «Questa sera gli scavo unafossa e lo metto a dormire per sempre!». L’avvelenatriceBusceni si firmava: «La tua Lucrezia Borgia», e Berard,prima di assassinare tre ricche signore, diceva: «Voglioattaccarmi a qualche cosa di grosso!».

E del delinquente-nato è speciale quel cinismo umo-ristico di cui egli fece così strana prova alle Assise; percui nel gergo la mano diventa la zampa e maslè è il medi-co, gesuita il cappone e beccaria l’ospedale; être dans l’in-fantérie: essere incinta; apaier: assassinare. E per cui Al-lard, mentre gli si pronunciava l’ultima condanna, fuma-va: «E fumo – diceva – con premeditazione ed agguato».Ed uno volle scegliersi fra i suoi tre carnefici il suo, comelo chiamava, professore. Al prete, che gli raccomandaval’anima, Dumolard ricordava una promessagli bottiglia86.

E così si contenne Ballor alle Assise.

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Si vantò in tête à tête col sostituto-procuratore gene-rale, avvocato Avellone, d’essere un avidissimo ladro, di-mostrando cupidigia di un ricco anello ch’egli aveva indito: «Quando – gli confessò – una cosa mi piace, biso-gna ch’io l’abbia, anche se dovessi far di tutto per pren-derlo». Pare che cominciasse così a voler fargli confes-sioni sui propri delitti; ma quando si trattò di porle iniscritto, vergò circa diciotto pagine piene di scarabocchiridicoli e osceni.

Se fisicamente, dunque, in lui non spiccano i caratte-ri del delinquente-nato, essi emergono nelle funzioni vi-sive, motrici e sopratutto nell’anomalìa del senso morale– già provata, del resto, dalla precocità e frequenza, e, daultimo, dalla ferocia dei crimini.

Eredità Ho indagato quali cause ereditarie potesseroaver influito a dare al mondo un mostro simile, che,appunto perché mostro, non può non avere un’anomalaorigine.

Le prime indagini furono negative; tutti i parenti di-retti ed indiretti, di cui si potesse aver notizia, non soloerano onesti, ma perfettamente sani. Senonché ho volu-to accertarmi di persona del fatto, e, a furia d’arrampi-carmi per le soffitte e pei pianerottoli di Torino, Pinero-lo e dei dintorni, ho potuto farmi un’idea precisa dellafamiglia.

I fratelli tutti non presentano alcuna anomalìa ben ca-ratteristica. Una sorella però si suicidò e teneva condot-ta poco corretta; un giovane fratello, ubbriaco, restò ab-bruciato nel fieno e una bimba morì per trauma.

Il padre è un bravo e buon uomo; presenta però unostrabismo dell’occhio destro, e, quel che è più, una vastaacne rosacea sul viso, propria di quelli che sono troppoamici di Bacco; e tale egli è, e nell’azienda di casa, comeverso i figliuoli, mostrò una specie di strana apatia, di cuil’amore di Bacco forse era prima causa.

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Non fece che un solo tentativo per collocare il figlioEnrico – che fin da bambino aveva lasciato istradareall’amore del vino – in un istituto di correzione, dove,appunto perché agiato, non fu ammesso.

Un fratello del padre era, più che bizzarro, un veropazzo morale. Tre mesi dopo che si era sposato con unabella e brava donna, amoreggiata da anni, l’abbandonò,dopo maltrattatala, per gettarsi in una vita avventurosa:tre volte si fece pagare dai parenti ricchi l’imbarco perl’America, liquidandone i fondi in tanto vino e vivendonel frattempo bevone e sciupone in Italia. Fu egli che,essendosi, come al solito, ubbriacato e avendo ubbria-cato un giovanetto Ballor, fu causa che questi bruciassenel fienile, ove lo lasciò appena si manifestò l’incendio,salvandosene egli, che ai tristi casi dell’ubbriachezza eracorazzato dall’abitudine.

Un altro fratello, invece, era abile, economo; un altrobravissimo, abilissimo, ma spendaccione e bevitore.

Ma più importante anomalìa offre la madre. Essaha fisonomia simigliantissima al figlio peccatore, conalcune linee che la rendono più anomala; vale adire:canizie precoce (fin dai 40 anni), ed una singolarissimapel Piemonte, dolicocefalìa, stenocrotafia, prognatismo,che ha pure il figlio reo, e, quello che più ci interessa,paralisi spastica della guancia, palpebra superiore destrae della lingua; forte cefalea e vertigine: fenomeni che siaggravarono dopo le tristi notizie del figlio. Un nipote diquesta ebbe a soffrire, dopo dispiaceri, gravi psicosi, dicui pare guarito.

Dunque un’influenza notevole ereditaria esiste; il solofatto del concepimento in una notte d’ebbrezza bastereb-be, del resto, a spiegare l’origine della delinquenza-nata;oltreché si aggrava l’eredità anche per essere dal lato pa-terno e dal lato materno.

Causa organica. Meningite nell’infanzia Ma, più im-portante ancora di questa doppia influenza ereditaria, è

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il fatto rivelatomi dalla madre, e che controllai con al-tri testimoni, che l’Enrico Ballor, nel 1878-1879, nell’etàdella prima giovinezza, tra 9 e 10 anni, ebbe una malattiagrave dei centri nervosi, in cui, dicono i parenti, parevapazzo: rifiutava di veder la gente, saltava sui mobili, ri-fiutava le sanguisughe e le vesciche di ghiaccio sul capo,presentava digrignamento dei denti e convulsioni; maleche durò più di 40 giorni e per cui si tentarono persinogli esorcismi; dopo il quale restò per qualche mese com-pletamente calvo e crebbe come un individuo che avessetoccata la pubertà; sicché a 11 anni mostrava lo sviluppoe la statura di 18: fenomeno questo della precoce ed esa-gerata crescita che io e Marro trovammo nei degeneratie nei criminali.

Ebbe dunque una meningite o una poliencefalite de-gli infanti; ed è cosa importantissima il notare che pri-ma di quest’epoca egli non avrebbe presentato nulla disingolare; era anzi un bravo e buon figliuolo.

A 9 anni, dunque, solo dopo quella malattia, cominciòa rubare denari in casa per giocare al di fuori, ed egli, chefino allora aveva frequentata la scuola, cominciò nei gior-ni di mercato di Moncalieri a simulare con alcuni giova-ni la storpiatura di un braccio per raccogliere l’elemosi-na; e a 10 anni, secondo lui, cominciò i tentativi erotici,resi completi a 12, e coronati da una blenorragia a 14; ilche conferma la precocità singolarissima già dimostratadalla statura; precocità che è propria, come l’agilità, diquesti degenerati. A 11 anni circa commise un grave fur-to di un orologio in un albergo vicino, ove egli era statochiamato per guardare una bambina.

A 18 anni fu condannato per ferimento, e poco dopoper furto; a 19 anni commette un altro furto con iscala-ta, e poco dopo un altro di notte; da allora in poi, me-no i mesi o gli anni in cui era in prigione, continuò a ru-bare; nel 1897, anzi, con scasso e rottura, ed usando disingolare agilità nello scavalcare un altissimo muro.

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Tra un carcere e l’altro fece il ferraio, il muratore, ilgiardiniere e sopratutto l’ozioso e il ladro, essendo a capoo a parte di associazioni criminose, che gli rendevano,pare, fortissime somme.

Più tardi ritorna a Torino, dove in parte è aiutato dal-le sorelle, in parte da alcune monache che l’avevano as-sistito nella tubercolosi dei testicoli, che dovettero essereasportati, e delle quali carpiva la protezione con ipocrisiaraffinata.

Grazie a queste, è impiegato prima dalla Massola,poi dal Castiglione; ma, benché mostrasse qui abilità edattività straordinarie, non vi restò più d’un mese, perchénon l’abilità gli mancava, ma, come nei delinquenti-nati,la tenacia e la stabilità del lavoro.

Conclusione Da tutte queste ricerche l’enigma del Bal-lor appare completamente spiegato, egli indizi colti nel-le finissime indagini giudiziarie ricevono un ben più sal-do controllo e fondamento. E, prima di tutto, eziologi-camente questo orribile fenomeno criminoso non nasce,come prima credevasi, come un fungo senza una gravis-sima e ben determinata causa. Causa ereditaria prima,nella degenerazione, sparsa nella famiglia, per influenzaspecialmente alcoolica dalla parte dei maschi, del padree dello zio, e psico-neurotica dalla parte della madre; ilche spiega le torbide fini di due fratelli e della sorella, lecause del cui suicidio si spiegano con lo stesso veleno su-blimato, che essa prescelse e che ebbe così facilmente...alla mano.

Ma più ancora vi ha avuto influenza la meningite in-fantile fra i nove e dieci anni, di cui un rimasuglio sonol’abolizione dei riflessi, la scarsa reazione pupillare e so-pratutto le anomalìe del campo visivo, l’asimmetria, cioè,le riduzioni e, in ispecie, il profondo scotoma periferico,dopo la quale malattia datano il manifestarsi dell’eccessi-vo sviluppo corporeo suo e delle sue tendenze criminose.Questa meningite, come in alcuni casi lascia dietro se la

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paralisi degli arti o della favella, qui ha lasciato, diremocosì, la completa paralisi del senso morale e dell’affetti-vità; essa spiega la tendenza criminosa di costui, il biso-gno di fare il male pel male, quasi fosse uno scherzo, an-zi una buona azione, e tanto più allo scopo di cupidigia,di guadagno, per quanto esso potesse essere scarsissimo.Gli è che i rei-nati se commettono reati senza causa, peril piacere di commetterli, tanto più è naturale che li fac-ciano per qualche scopo, per quanto sproporzionato agliocchi degli onesti.

Ed ecco come la psichiatria, l’antropologia criminale,mentre devono, fino ad un certo punto, attenuare la re-sponsabilità di costoro nel senso adottato comunementedai più, a loro volta offrono un indizio preciso, sicuro delreato commesso, e spiegano perché, malgrado un’intelli-genza non comune, egli abbia sciupata la vita senza unastabile e procaccevole occupazione, mentre in alcuni la-vori era abilissimo: «Lavorava per tre – diceva la signo-ra Massola –, ma non poteva continuare nel lavoro piùdi un mese»; e spiegano perché egli abbia da orticultoremutato il mestiere in fabbro-erraio e muratore, mentreavrebbe dovuto durare nel mestiere di fiorista, in cui eracosì abile; mestieri i penultimi che gli furono fatali per isuoi delitti, apprendendogli il maneggio del martello: es-sendo proprio di tutti questi criminali-nati il mutare me-stiere, quando pure uno ne devono fare, mentre il delittoe l’orgia sono la sola loro occupazione prediletta.

Questo studio ci fa sospettare che non solo egli ab-bia martellato lo zio e la portinaia di via Magenta, maanche due donne del Circolo Caprissi, di cui era rima-sto finora ignoto l’assassino; è noto che non solo esse fu-rono colpite con lo stesso modo, metodo e strumento,ma che vennero trovate tutte oscenamente denudate, co-me lo era la portinaia di via Magenta; il che è indizio diun altro movente del crimine, di quel movente che par-te dal soddisfacimento erotico che provano i degenera-

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ti, semi-impotenti, nella strage, che è in loro non solo uneccitamento, ma un soddisfacimento libidinoso.

Quando si rinnovarono questi fatti, io avevo già dettoad alcuni giuristi e giudici che il reo doveva trovarsiin uno che avesse anomalìe negli organi genitali; maessi hanno altro da fare che badare alle bubbole degliantropologhi; l’ultimo e il più inesperto dei poliziotti haper loro un valore cento volte maggiore; noi viviamo inItalia, non già nel Nord d’America o in Inghilterra!

In questi casi il delitto sanguinario sostituisce il con-giungi mento carnale; è l’anomalìa sessuale che ritornaall’uomo alle epoche primitive e animalesche, in cui ilcongiungimento non aveva luogo che in mezzo alle lot-te sanguinose coi rivali e, alle volte con la stessa femminariluttante. Lotte di cui rimasero tracce in molti usi nuzia-li contadineschi. Ora noi abbiamo visto che Ballor da al-cuni anni è stato operato di orcheotomia, e che traccia disadismo egli abbia, ho potuto cogliere in qualche confi-denza, raccontandomi com’egli spesso arrivasse a morsiferoci coll’amata e come una volta avesse meditato di uc-cidere una prostituta poco dopo godutala, perché – di-ce egli – gli aveva sottratti i denari; e questo spieghereb-be anche l’enorme sproporzione tra l’entità dei delitti eil frutto che poteva coglierne, tanto più trattandosi di unindividuo di non comune intelligenza. E la meningite so-pravvenuta nella tarda fanciullezza, quando già cranio efaccia avevano assunto il loro tipo definitivo, spiega an-che il perché un individuo, che è un vero criminale-nato,la cui vita fu una serie di delitti, non abbia anomalìe cra-niche e facciali, abbia una normale fisonomia, non essen-do congenita in lui la criminalità, ma acquisitane dopo lamalattia. La meningite, se attenua la responsabilità, se-condo la vecchia scuola, se non in quella iniziata da me,che dice: «Tu non hai colpa di aver peccato, ma noi nonabbiamo colpa se per difesa ti sequestriamo ed anche tiuccidiamo», a sua volta dà una salda base a quegli indi-

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zi sporadici raccolti dall’indagine giudiziaria; poiché ap-punto molte volte la meningite, privando l’uomo del sen-so morale o della inibizione, lo induce e lo spinge a com-mettere i delitti più feroci, come lo rende incapace al la-voro continuato, pure conservandogli tutte le apparenzedella mente sana e una finezza di ingegno, specialmen-te di astuzia non comune, che può confinare persino colgenio.

Ora apprendo aver egli confessato l’assassinio delledue donne al Circolo Caprissi, non senza – aggiungo –reticenze e bugie. Infatti, a me almeno, dichiara ora checommise quei delitti per mandato di due signori, chegli avrebbero dato 50 lire per ogni reato e una grossachiave per compierli; il che, almeno per tutt’e due idelitti, è inverisimile: mi confessò che, dopo uccise ledue donne, provando viva erezione, praticò il coito conla più giovane e rubò poi alcuni oggetti per poter provareai mandanti l’assassinio!

Seppi, dopo, che al giudice istruttore confessò – equesta volta era nel vero – d’aver commessi i tre assassinîdi donne a solo scopo di rapina, libidine di sangue edi Venere, e soggiunse che, quando egli ha bevuto unagrande quantità di vino, invece di restare ubbriaco, vienpreso da una violenta smania di sangue, di furto e diVenere che non gli lascia posa.

Ciò conferma completamente la nostra diagnosi. Lecellule nervose corticali, guaste dall’antica meningite, re-stando più irritabili, come spesso accade, al veleno alcoo-lico, trascinano ad atti violenti, specialmente sanguinarie lascivi, ritornando l’uomo agli stadi primitivi.

Quindi anche nella nostra epoca Verzeni, i Tozzi, iMangachi, Vacher, Ballor, ecc., riproducono l’uomo sel-vaggio, mentre invece, pur appartenendo ad una delin-quenza sanguinaria, Gasparone e Tiburzi, forse in graziad’una intelligenza maggiore, presentano molti caratteridi modernità e non commettono reati se non per conse-

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guire alti vantaggi; mai, come in quelli, l’uccisione è sco-po a se stessa.

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Gaetano Bresci regicida

I fatti tristissimi che accompagnarono e precedettero ilregicidio di Monza sono troppo noti, perché occorra tor-narvi su. Meno noti sono i dati 1902 sulla biologia e psi-cologia del regicida, che più interessano l’antropologiacriminale, la quale studia il reo più che il reato: essi nonsono sufficientemente numerosi da offrire una completaidea della figura der reo; tuttavia ne abbiamo abbastanzaper un abbozzo approssimativo.

E cominciamo dalla:Biografia Il Bresci, d’anni 35, nacque a Goiano, frazio-

ne di Prato; suo padre, morto poco tempo fa, era agri-coltore; un fratello, quasi scemo, è calzolaio; un altro giàseminarista, poi tenente; una sorella sposò un falegna-me. La famiglia era dapprima poverissima; divenuta, do-po qualche tempo, più agiata, sperperò di nuovo quantopossedeva per l’ambizione, non rara nella campagna, dieducare a prete prima e poi a militare uno dei figliuoli.Il Gaetano Bresci perciò sofferse assai per la miseria fa-migliare negli anni della prima fanciullezza; ma, ammae-strato poi nella tessitura, se la cavava sufficientemente,anzi a 25 anni poteva guadagnare fin 20 lire alla settima-na. Verso i 16 anni sentì a Prato alcune conferenze anar-chiche, che, accordandosi troppo con lo stato suo e deisuoi, lo colpirono straordinariamente; anche perché ciòcoincideva con la pubertà.

Infatti, da affabile che era prima, divenne strano equasi violento; dichiarava a tutti che non poteva, senzaprotestare, vedere il trionfo dei ricchi, mentre tanti era-no poveri; e l’irritazione crebbe quando ebbe a soffrire

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quindici giorni di carcere per oltraggio alle guardie, mal-grado che una sopravvenuta amnistia ne cancellasse ogniconseguenza giuridica. Quattr’anni sono (a 31 anni) emi-grò in America (e probabilmente scelse la dimora a Pa-terson, perché ivi era un gruppo di fanatici come lui),tanto più volentieri, che le sue idee anarchiche l’aveva-no messo in cattivi termini con la famiglia, specie col te-nente, con cui si bisticciava, sino a venire a vie di fatto,perché monarchico e perché, a suo dire, «quel suo milita-re nell’esercito non era un vero lavoro, mentre gli uominionesti bisogna che lavorino per campare».

Caratteri fisici Non si nota in lui alcun carattere chelo designi per pazzo, degenerato o criminale. La staturaè media, la pelle è pallida, la muscolatura è forte, i baffineri, gli occhi neri, piccoli e infossati, lo sguardo freddo;appena havvi una leggera esagerazione di sviluppo del-lo zigoma e un po’ d’impicciolimento del fronte. È in-somma il fisico degli uomini medi: la parola è lenta, qua-si stentata, senza scatti; anche la scrittura è poco decisa,ineguale, quasi infantile, e con due correzioni nella fir-ma, senza immaginazione, senza energia, ma almeno neltaglio dei t e nelle ampe a clava dei p e dei q con violen-za e impulsività, come dalla [...] lettera all’avv. FilippoTurati, speditagli dal carcere.

Psicologia Anche psicologicamente, predominano inlui i caratteri dell’uomo medio. Senza essere stolido,è di una intelligenza molto mediocre, come si vede giàdall’idea che, sopprimendo il capo di un paese, si possacambiarne assolutamente l’indirizzo governativo, legatoa tante molle economiche, sociali e politiche. Merlino,anch’egli, notava che la sua affermazione di aver uccisoil re, perché aveva firmato lo stato d’assedio, dimostravache egli dava un peso enorme alla materialità, alla forma-lità dell’atto, senza approfondirne le cause. E questo sivede meglio dall’importanza che dà ai fatti minimi, dailamenti esagerati pei maltrattamenti delle guardie, per

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la perdita di un bottone dorato; e quando si sbraccia asmentire di essere giunto improvviso a Prato; il che, do-po la confessione della premeditazione, non aveva alcu-na importanza; e quando si sbraccia per una piccola mul-ta, e quando insiste per far sapere che un dato telegram-ma gli fu spedito da Piacenza, non da Biella, come vuo-le l’accusa insidiosa e falsa, secondo egli dice; e che nel-la lettera del Turati c’era il francobollo per la risposta; eche a Monza non era nelle prime file davanti al re, manella folla.

Che il suo senso morale fosse diminuito od ottenebra-to sotto il monodeismo fanatico, lo prova il nessun rimor-so, la lunga premeditazione del reato, avendo comperatala rivoltella fin da quando era in America, avendola pro-vata al bersaglio più volte su assicelle e avendo, con det-taglio crudele, intaccato più volte con una forbice i pro-iettili, onde riescissero più micidiali; ed è provato anchedalla risposta che diede a chi dicevagli aver egli solo fe-rito il re: «Andar sicuro d’averlo ucciso, avendolo colpitotre volte»; mentre il reo per passione, come è per lo piùil reo politico, non commette che esitando e con ribrez-zo il reato, e sempre in un momento di turbamento qua-si sonnambolico, da cui esce con terrore e con rimorso.La scarsa affettività appare poi dall’abbandono perpetuodella compagna sua e della figlia; dalla scarsa commozio-ne con cui egli ne parla; dal non dividere, nemmeno inpiccola parte, gli effetti destati nel pubblico dalla mor-te della sua vittima; e da quella specie di preoccupazionecontinua e egocentrica che si vede assai bene nel suo me-moriale 26 agosto 1900, che voleva leggere al pubblico,e che G. Bianchi comunicò nel Corriere: «Il fatto da mecommesso non si deve attribuire totalmente ai miei prin-cipî, all’intento di protestare in nome di tutte le vittimedel malgoverno d’Italia (il che avrebbe potuto parere senon una giustificazione, almeno una spiegazione del rea-to), ma fu diretto sopratutto a rivendicare specialmente

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me stesso, le mie subìte miserie e quelle della mia fami-glia». Parole quasi identiche a quelle di Caserio87, ma chenon sono egualmente giustificate dai fatti, poiché le suesventure e la sua miseria erano infinitamente minori diquelle dell’anarchico lombardo, e perché le persecuzionisue furono, in linea giudiziaria e politica, leggerissime.

Anche le altre sue passioni sembrano poco violente:era donnaiolo, ma finì con una specie di matrimonio;aveva la velleità di essere un fotografo, ma nulla più.

Conclusione Per l’assenza di tutti i caratteri anorma-li fisici o psichici si esclude in lui il reo-pazzo, il reo perpassione e il reo-nato. Resta il delinquente d’occasione,che è una specie intermedia fra il criminale, il passiona-le e l’uomo medio; ma che ha per le circostanze ester-ne un’iperestesìa maggiore del normale. E probabile chele conferenze anarchiche, udite nell’epoca dello sviluppodella pubertà, in cui si fissano le fino allora oscillanti88 eincerte tendenze dell’uomo, abbiano avuto un’esageratainfluenza sul suo contenuto mentale, tanto più che nellesue condizioni poteva credere di vederne una dimostra-zione pratica. Da allora in poi, infatti, egli, che non era senon un uomo medio, divenne un appassionato, special-mente per ciò che riguarda le condizioni non certo feli-ci del popolo d’Italia. D’allora bazzicò nei Circoli anar-chici, cominciò a litigare con tutti per la causa dell’anar-chia; la passione sua dovette rinfocolarsi in mezzo al cen-tro fanatico di Paterson, e quindi si capisce come colàabbia sentito, secondo dichiarò al processo, più di moltialtri, il dolore per le reazioni sanguinarie della Lunigia-na, della Sicilia e di Milano, di cui milioni di onesti han-no certo sofferto, ma senza giungere a propositi così ec-cessivi di vendetta. Però anche questa passione che par-rebbe doverlo far catalogare fra i rei per passione, sem-bra non fosse eccedente e predominante come è in que-sti, perché egli dichiarò di occuparsi più delle propriecondizioni che di quelle del paese, e perché egli si pre-

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occupò di minuzie che non preoccupano mai i passiona-ti. Inoltre il passionato è molto più violento nelle espres-sioni e passa, quasi sempre89, al pentimento subito dopocommesso il reato.

Insomma, costui non è né un pazzo, né un passionato,né un criminale-nato; è quello che noi chiamiamo undelinquente d’occasione, un criminaloide.

Ed è ciò molto più imponante che non paia sulle pri-me in linea politica. Finora, che io sappia, tra gli anar-chici regicidi90 ve ne furono parecchi pazzi: Passanante,Acciarito, ecc.; moltissimi criminali: Ravachol, Pini, Par-miggiani, ortiz, ecc.; più numerosi ancora quelli per pas-sione: Caserio, Vaillant, Henry, ecc., nei quali tutti piùpoté l’organismo interno dell’individuo che non la cau-sa esterna. Qui invece è l’occasione che prevalse sullecondizioni dell’organismo.

Una grande causa occasionale certamente fu quella diprovenire da un paese libero ed economicamente felice.È un’osservazione giusta che quasi tutti i regicidi anar-chici sono Italiani che dimorarono per qualche tempoall’estero. Ciò può dipendere da parecchie cause, per-ché, fino che essi dimorano nell’interno, lo sfibramentoprovocato dalla miseria è tale, che toglie la forza e l’au-dacia di reagire. Infatti, come ho notato nel Delitto po-litico, spiegando come i ben nutriti contadini romagno-li siano più inclini alla ribellione dei più immiseriti con-tadini lombardi, occorre un ceno grado di agiatezza perpoter essere ribelli.

L’altra ragione è che passando dall’infelicissima Italiaalla Svizzera e all’America, in cui i generi di prima neces-sità non sono più così enormemente tassati, in cui il lavo-ro è più rimunerativo, essi trovano i mezzi per rendersipiù agiati e quindi più adatti alle azioni violente. Si puòaggiungere che la dimora in un paese veramente liberofa sentire un ribrezzo, un orrore per le violazioni statu-tarie molto maggiore di quello che può risentire un cit-

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tadino immerso nell’atmosfera narcotizzata della servitù,così da far credere e reputare, anche ad un uomo medio,che un atto così nefando, come il regicidio, possa esseregiustificato.

La causa impellente più grande, sta, dunque, sia pureindirettamente, nelle gravissime condizioni politiche delnostro Paese, le quali sono tali che il solo descriverle, an-che a man leggera, basterebbe a farne condannare il pit-tore; poiché è diventata ora massima delle classi dirigen-ti, non di guarire i mali che ci guastano, ma di colpire ine-sorabilmente coloro che li rivelano; strano rimedio, inve-ro, che basterebbe da solo a mostrare fin dove siamo di-scesi! Ma, del resto, dicano meglio di me le serene e ge-nerose parole che allora dettava il Lucchini91 sulle con-dizioni morali, giuridiche, economiche del nostro Paese,mettendole in rapporto col deplorato reato, parole che,in bocca a qualunque altro che non fosse consigliere diCassazione, procurerebbero una non lieve condanna al-l’autore dall’«imparziale» autorità giudiziaria italiana!!

Complotto? Da molti si chiede: Ci fu qui un complot-to?

Ad ogni regicidio, o tentativo di regicidio, le Polizie,credendo giustificare la loro imprevidenza (mentre inve-ce l’aggravano, essendo assioma di polizia che, dove son-vi più cospiratori, vi è un delatore), pretendono che essisiano l’effetto di un complotto. Viceversa, invece, i com-plotti, così di moda nei paesi e nei tempi dispotici, anda-rono sempre più scomparendo in quelli che permettonole libere manifestazioni. Certo, né Acciarito, né Passa-nante agirono in seguito a complotti, come si pretese, fa-cendo un’infinità di arresti e di processi. Ed altrettanto sidica di Vaillant, di Henry e di Caserio. È ridicolo il pen-sare che uomini moderni si espongano a una morte sicu-ra, od a una prigionia peggiore della morte, per obbediread una estrazione a sorte, mentre gli anarchici hanno permassima suprema l’individualismo e l’amorfismo, più an-

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cora poi quando sono criminali, o pazzi, o criminali perpassione che, per loro natura, sfuggono ad ogni freno.L’avvocato Merlino, che fu già anarchico, afferma chefra gli anarchici chi andasse a parlare ad un compagno diun progetto simile, sarebbe considerato come un agenteprovocatore, sapendosi che un individuo veramente de-terminato a dare la sua vita, può far da se, senza compro-mettere altri. Perciò quando si leggono nei giornali noti-zie di complotti per uccidere il papa, la regina d’Olanda,Guglielmo, per opera di tre o quattro, fin quattordici co-spiratori – né più, né meno –, le sono tutte fiabe di po-lizia, come le lettere criptografiche che si fanno scopriree che son sempre fattura degli agenti mal pagati di que-stura. Basti ricordare la lettera firmata Speranza, manda-ta a Turati; la lettera Esperance, scritta per compromet-tere Picquart; la cartolina trovata tra le carte del Varaz-zani e poi scomparsa, e che fu evidente opera poliziescaper poterlo far condannare; e il recente caso in cui un na-poletano fece arrestare un suo rivale in amore allo sbar-co in America, denunciandolo come presidenticida, nelfatto per toglierselo dai piedi.

Or ora in America, dopo analogo misfatto di Czolgoszcontro MacKinley, subito si fantasticarono dieci o dodicicomplici e vennero arrestati; ma in un paese, in cui nonsolo di nome la giustizia esiste, furono subito prosciolti,mentre, viceversa, anche adesso in Italia, dopo più di unanno, permangono in carcere diversi pretesi complici diBresci fantasticati dalla nostra ignorantissima Polizia emantenuti dalla pronuba Giustizia.

Nel caso di Bresci, però, trattandosi di un reo d’occa-sione, non passionale, un’influenza suggestionante gran-de vi deve essere stata. – Non vi fu un complotto, ma sìla suggestione di molte persone influenti, che, coltivan-do quella specie di ossessione nata in lui dalle conferen-ze udite da giovanetto e ribadite dalle sventure sue e delpaese, lo indussero, almeno per via indiretta, a commet-

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tere il reato, dipingendolo come un atto eroico. La let-tera a lui spedita dagli anarchici di Vienna al 31 luglio, eannessa al processo, in cui si dice che la sua opera porte-rà grandi frutti, e che egli sarà annoverato fra gli operaiche liberarono un popolo affamato, dà un’idea del gene-re di suggestione e di esaltamento con cui possono aver-lo ubbriacato prima altri compagni: senza aver veramen-te cospirato nel modo classico che sognano le Polizie eu-ropee, ignare dei metodi di costoro, anzi di tutto il movi-mento moderno, così da confondere – almeno in Italia –cogli anarchici amorfisti d’azione i socialisti, che ne sonoi loro più decisi e trionfanti avversari!

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LA SCIENZA DELLA DEVIANZA

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Forme e caratteri della devianza

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Lo studio dell’uomo

La tendenza al bene, la virtù, è naturale e fisiologicanell’uomo; i moralisti lo dicono, ed io lo credo, non soloperché ciò nobilita il povero bipede, ma perché non mipar contrastabile. V’ha, come diceva il nostro Cattaneo,un vero mondo intermedio tra il vizio e la malatia – chesi chiama delitto. Fra le tentazioni della colpa e l’impulsodella mania, tra la violenza delle passioni e la subitaneaferocia degli istinti morbosi, v’ha una linea così brevee sottile di divisione, che spesso anche l’occhio meglioesercitato è incapace a distinguerla. Sonvi manie chesembrano delitti, come la cleptomania, la piromania, ev’hanno delitti che si dovrebbero, per la loro inumanaed assurda e disinteressata crudezza, credere effetto dialienazione, e nol sono. Da un lato i colpiti da maniasubitanea o ragionante, per la rapida scomparsa o perla mancanza di sintomi, possono essere dai più giudicaticolpevoli – dall’altro, anche i veri colpevoli non si puòdire che posseggano una mente sana; difatti moltissimisono nelle galere i maniaci, li epilettici, i suicidi.

Né qui vorrei rattenermi dal soggiungere, che gravissi-mo parrebbemi il difetto nei medici studj, se mentre consì fina e mirabile analisi, vi si fa scrutare per entro all’evo-luzione delle crittogame e degli infusori, ed alla strutturadegli epiteli, – non si dovesse degnare d’un’ora di studio,

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quella sovrana funzione dell’intelligenza, che dà sola al-l’uomo lo scettro sulla natura, e che, non foss’altro, pos-siede e subisce tanta e sì grande influenza sull’organismosano ed ammalato.

So bene che si suole objettare, quanto v’abbia in que-sti studj di poco preciso ed esatto e palpabile, di poco og-gettivo insomma e quindi di meno conciliabile colle altremediche discipline, tutte più o meno ai soccorsi dei sensiappoggiate; – ebbene è appunto per questo che dovreb-besi favorire lo studio clinico delle alienazioni mentali, ilsolo che fornisca al psicologo fatti objettivi, palpabili enon architettati dalla mobile fantasia o dalla acuta, pro-fonda, ma pur spesso fallace meditazione. Come l’anato-mia comparata e la patologica, riescono non di rado adillustrare il campo della normale e dell’istologica; come,per esempio, lo studio dei neoplasmi e della formazio-ne del callo schiarisce viemeglio la istologia dei norma-li tessuti, e come in mano a Tomati, ad Owen, a Geof-froy di S. Hilaire, le stesse bizzarre parvenze teratologi-che riuscirono a conferma delle grandi leggi embriogeni-che, così pure la mentale patologia, non solo può daglistudj psicologici venire dilucidata, ma può, essa mede-sima maravigliosamente disferrarci la chiave dei misteridella fisiologia del pensiero.

Così l’importanza che hanno su questa funzione i gras-si fosforati, che tanto abondano nel cervello degli anima-li più intelligenti e dell’uomo, era già stata sospettata daCouerbe, da Lassaigne, dal Bibra e dal Moleschott – orbene stupendamente la confermano le analisi di Suther-land e di Bence Jones, che trovarono nelle urine degliidioti e dei dementi scarseggiare il fosforo e aumentareassai più del normale nei maniaci, nei momenti del pa-rossismo.

Così la grande solidarietà tra tutte le sezioni del siste-ma nostro nervoso, e di queste coi visceri, e viceversa,non mai altrove appare più chiara ed evidente come nel-

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le alienazioni, in cui raro è vedere disordini di moto, epi-lessie, corea, ecc., senza alterazioni del senso e del pen-siero, come raro è trovare manie, lipemanie, che non siaccompagnino a coree, a ballismi, a convulsioni, a para-lisi; in cui gravissime alterazioni della sensibilità e dellafacoltà di giudicare e sentire, vediamo sorgere in seguitoad affezioni di cuore, di fegato, degli intestini, ecc. L’im-portanza della sostanza grigia delle circonvoluzioni cere-brali, in rapporto alle funzioni intellettuali, è pure assaibene dimostrata dalle necroscopie dei dementi, in cui sivede quella sostanza a preferenza degenerata o atrofica.

E per venire alla pura psicologia, le allucinazioni deipazzi, di cui le ipnotiche e l’ipnagogiche dei sani, sonovere gradazioni fisiologiche, ci spiegano e ci analizzano,più che molti e molti volumi, il fenomeno dell’idea.

L’abitudine di alcuni matti, di parlare di se in terzapersona, di ripetere le stesse parole, di personificare lecose inanimate, la luna, il sole, ecc., fu trovata dal miomaestro, il Marzolo, nelle lingue di tutti i popoli primi-tivi: lo stesso dicasi di quella in apparenza, così bizzarratendenza di formulare giudizi a seconda delle assonanze,e delle associazioni dei suoni, come quel nostro pellagro-so del Tonale che nel 48 sparò contro il suo povero cura-to, dicendo ch’avea ordine di tirare contro i croati92; eb-bene, questa tendenza è istintiva nell’uomo e ne venne-ro appunto i proverbj e le rime, e non pochi fatti stori-ci ebbero da questa pretesto e fondamento; Tiberium inTiberima gridava, per esempio, la plebe di Roma.

La strana mescolanza od alternativa di erotismo o disuperstizione, che si osserva in alcune forme di demo-nomania, di mania isterica, spiegano assai bene certi ritimisteriosi communi a tutti i popoli antichi.

Quell’acutissimo ingegno di Séguin, rimarcò, che liidioti suoi discepoli, potevano con grande facilità ap-prendere a tracciare triangoli, ma difficilmente cerchi oquadrati. Ora appunto nei monumenti dell’antico Egit-

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to e della China, i triangoli sono le figure più usate e fre-quenti.

Tutte insomma le gradazioni dell’intelligenza, dallatabula rasa del selvaggio nell’idiota, ai lampi di genio nelmonomaniaco, voi le troverete nei manicomi, e potreteapprendere in essi la sincera psicologia, colla precisionedell’esperimento e colla sicurezza del fatto.

Che se la psicologia e la psichiatria non fecero i rapidiprogressi che hanno fatto altre scienze, anche miste, co-me la elettro-fisiologia, la chimica patologica – la causaappunto è nell’avere esse voluto lavorare divise, ciascunanel proprio campo, ignorando che appunto nella barrie-ra ond’erano separate nascondevasi la chiave dei proble-mi, il tesoro del vero, ch’essi cercavano; gli uni si archi-tettarono un mondo di materia, che non era né viva, némorta, gli altri un mondo che non saprei dire nemmenofantastico, perché anche la fantasia lavora sui sensi. Que-sti non sapeansi render ragione dei rapporti del pensie-ro coll’organismo, dell’eredità di alcune tendenze intel-lettuali, delle cause delle aberrazioni della mente, e fini-rono con Heinroth a confondere la mania col peccato.

Li altri vollero, colle stramberie frenologiche93, cerca-re nello spazio, quel ch’era nel moto, quasi che il molti-plicare fosse spiegare; – e s’incocciarono nel volere tro-vare nel solo tessuto cerebrale, anzi in una data parte diesso, come la glandula pineale, o il corpo calloso, o lecorde midollari del Bergmann, la sede dell’anima, la se-de quindi della pazzia, e si maravigliarono quando nel-le necroscopie, la natura non rispose alle loro precipitateasserzioni; e trattarono molti fenomeni frenopatici, comeaccidenti ed aneddoti bizzarri, e non come effetti neces-sarj di grandi leggi psicologiche.

Noi cercheremo adunque di ravvicinare li anelli del-la spezzata catena, e rasentando terra terra, sul campodei fatti clinici, non abbandoneremo mai, per quanto siapossibile, la scorta della vera psicologia, non già di quel-

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la, che s’abbandona ai fragili vanni della metafisica, madi quella, che a stento, e con lunga lena, si racimola neglistudj parziali degli umani prodotti; colla linguistica, col-la storia e coll’osservazione continua, sopra noi stessi esui nostri simili.

Un esame accurato di più migliaja di teste, mi ha resosicuro del fatto, che le differenze dei diametri cranicihanno una causa principalissima nelle diversità di razzae di regione. Nell’esame di più di due mille teste nonmi riuscì mai di trovare differenze notevoli in individuidella stessa regione. Vi ha adunque un tipo costanteper ogni nostra regione, un tipo così invariabile da poterservire di criterio per le deduzioni medico-legali, cosìnelle quistioni d’identità, che di capacità intellettuale. –Studiamolo adunque.

Per fissare un punto di paragone sufficientemente ap-prossimativo tra le teste sane e quelle degli alienati, perfissare specialmente il tipo cranico regionale, io mi die-di a raccogliere misure sopra i soldati ventenni delle va-rie provincie, come quelli che, per avere uniformità dietà e di condizione intellettuale, mi parvero offrire il ti-po più approssimativo della media intelligenza normaledelle masse. Scelsi individui viventi, perché appunto lamedicina legale opera in gran parte anch’essa su indivi-dui vivi; e perché così mi era dato di fare gli studii su lar-ga scala, e sopra individui di cui poteva indagare il gra-do di intelligenza. [...] Forse queste cifre, maneggiate damente più esperta e più dotta, riveleranno un giorno lastoria etnografica d’Italia, il segreto del genio dominan-te in ciascuna regione, e quello delle vicende che il tiponostro ebbe a subire dalle varie mistioni di razza e dalletrasformazioni telluriche.

Finora noi non pretendemmo esporre che dei fatti: iquali potrebbero assumere veste di legge, solo dopo cheil poderoso amminicolo d’altri e migliori osservatori l’ab-bia a confermare. Ben pretendiamo aver fatto intravede-

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re un metodo meno incerto per le indagini medico-legalidelle alienazioni. Ma sarebbe un fallire subito a questometodo il voler trarre dai pochi casi esaminati una qual-che conclusione. Noi dunque non vorremmo conclude-re, ma riassumere:

1° Il peso dell’uomo alienato è minore del peso del-l’uomo sano della stessa statura e condizione; la demen-za e la pellagra e la mania scemano il peso del corpo; lademenza più di tutto. I maniaci furiosi durante gli acces-si soffrono una diminuzione di peso, indipendente anchedalle circostanze di respirazione ed alimentazione.

2° I capelli negli alienati soffrono spesse volte depig-mentazione, canizie e calvizie precoce. Gli alienati spes-so difettano di barba sul mento, mentre invece spesso neabbondano le alienate anche giovani.

3° Nei maniaci, e più ancora nei dementi, la dentaturaè irregolare, cariata, manchevole anche in giovane età.

4° L’impianto dell’orecchio e la conformazione dell’e-lice molte volte si mostra irregolare nei maniaci e nei de-menti.

5° L’occhio qualche volta riflette una luce abbagliantenei maniaci, qualche volta la pupilla è ristretta e piùspesso dilatata, spesso anche il globo dell’occhio è incontinuo movimento di lateralità.

6° Caratteri meno frequenti sono l’eritema pellagroso,l’abbassamento di temperatura della pelle, le verrucheegli eczemi ed i tumori cistici del cuoio capelluto, leernie; frequentissime son le leucorree, o le amenorree,ed i broncoceli e le anemie anche in individui di floridoaspetto.

7° Gl’individui sani di ciascuna delle varie provincied’Italia hanno, purché appartengano alla medesima raz-za, caratteri craniometrici speciali, che li fanno distingue-re dalle provincie vicine. Questi caratteri consistono inalcune proporzioni del diametro longitudinale riferito aldiametro trasverso, proporzioni che non variano che leg-

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gerissimamente per le condizioni di statura, educazione ecoltura individuale; mentre invece soffrono singolari dif-ferenze sotto l’influsso della alienazione mentale. In ge-nere vi abbiamo notato esagerazione della brachicefalia edella doligocefalia. I dementi e gli idioti poi tendono piùspecialmente alla ultra brachicefalia, i maniaci maschi al-la doligocefalia; i monomaniaci s’avvicinano più alla me-dia brachicefalia. La capacità cranica varia da provinciain provincia, ma più ancora da individuo in individuo aseconda della coltura intellettuale. Essa è diminuita as-solutamente in tutti i maniaci, molto più ancora nei de-menti e negli idioti, specialmente nei dementi epilettici.La differenza è data specialmente dalla curva longitudi-nale che nei sani è di 340 mm, nei maniaci è di 329 mm,nelle maniache di 315 mm, e negli idioti di 305.

La capacità cranica è invece aumentata nelle monoma-nie, e nelle manie suicide.

8° Questi caratteri craniometrici sfuggirono finora allericerche degli alienisti, per ciò solo che non si era pensatodi compararle alle medie tolte da individui sani dellastessa provincia.

Le teste degli alienati presentano molte volte parec-chie altre anomalie, l’asimmetria in ispecie, la quale è in-dizio quasi sicuro della saldatura precoce delle suture edell’aumentato spessore delle ossa craniche, circostanzaquest’ultima che coincide spesso con estrema doligoce-falia, e con un’estrema brachicefalia e spesso con una ri-levatezza in corrispondenza alla sutura sagittale.

9° Il colorito delle orine dei maniaci e dei dementi nonsorpassa quasi mai il 4 Vogel; il loro volume è in genereminore del normale; nei pellagrosi invece è maggiore delnormale. Il peso loro specifico è minore del normale neipellagrosi e nei melanconici, quasi normale nei maniaci, enei dementi si accresce notevolmente e improvvisamenteall’avvicinarsi degli accessi furiosi; in questi casi l’orinadiminuisce di molto nel volume, aumenta relativamente

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di urea, d’acido fosforico e solforico, è acidissima e pre-senta qualche volta acetone ed albumina ed un’intensitàdi colore che può giungere al 6 Vogel. L’orina dei pel-lagrosi distinguesi specialmente perciò che, anche sottogli accessi furiosi, presenta il medesimo peso specifico,volume e composizione.

La quantità d’acido fosforico, dell’urea, del clorurosodico è minore nel maniaco fuori dell’accesso di quel-lo che sia nell’individuo sano; è minima poi nel melanco-nico, nel quale pure è minore il peso specifico.

10° Quasi tutti gli alienati presentano disordini nellamotilità; i dementi e i maniaci con tendenza alla demen-za tendono alla immobilità. I pellagrosi in genere pre-sentano una caratteristica rigidità muscolare.

11° La sensibilità dolorifica è abolita nelle manie fu-riose, la sensibilità cenestetica è pervertita nel maggiornumero degli alienati, tanto maniaci che dementi, esal-tata nelle isteriche e nei melanconici; in tutti poi si notauna sensibilità singolare per le variazioni dell’elettricitàatmosferica.

12° Quasi tutti gli alienati, meno le isteriche, presen-tano una singolare insensibilità alle sostanze medicamen-tose, agli alcoolici ed ai caffeici.

13° Tre quarti di maniaci presentano l’abolizione degliaffetti, pochi altri li hanno esagerati, pochissimi normali.

14° L’intelligenza è abolita nelle demenze, nell’epiles-sia, in quasi tutte le manie pellagrose, in metà dei mania-ci; alcune facoltà sembrano più attive nei monomaniaci,ma in questi nello stesso tempo si riscontrano vaste defi-cienze in altre facoltà.

15° Più di tre quarti delle alienazioni di cui si puòindagare la causa, inclusa la stessa pellagra, hanno radiciereditarie; e le cause fisiche, il puerperio specialmente, vipredominano assai più delle cause morali nell’eziologia;anzi queste ultime, rigorosamente parlando, sarebberouna eccezione.

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I parenti degli alienati, o sono alienati essi medesimi(66 su 164), o hanno patito gravi nevrosi, come epilessia,isterismo, ecc. (23), o mostrarono tendenze ai crimini(22), o tendenze all’alcoolismo, alla pellagra, a bizzarriedi carattere (53).

16° Se molti alienati mostrano tendenza al crimine, es-si distinguonsi per molti caratteri dai rei non alienati; peres., dai ladri, perché rubano oggetti di nessun valore; da-gli omicidi perché colpiscono persone a cui erano affe-zionati, o senza un motivo sufficiente; da tutti per unagrandeinsensibilità affettiva, per la nessuna precauzioneprima o dopo il delitto, e per l’incapacità ad associarsi al-trui nel commetterlo. Se vi hanno casi dubii (e ve ne han-no nel caso concreto ben pochi) l’istituzione del manico-mio criminale dovrebbe scemare il pericolo di condanna-re infelici, tutelando nello stesso tempo la società, meglioassai e più umanamente che non faccia l’ergastolo.

Antropologia. L’antropologia se si bada alla sua eti-mologia, ´ανθρωπoς uomo e λoγoς discorso, vor-rebbe dire studio dell’uomo, definizione affatto generi-ca, comune a molte di quelle scienze, poco positive, chesono dette morali. Platner infatti, adoperò spesso que-sta parola come sinonimo di psicologia. Burdach, puredefinendola per il complesso delle nozioni fisiche e psi-cologiche relative all’uomo, intendeva però, che questascienza a preferenza si doveva occupare dei fenomeni in-tellettuali dell’uomo.

Negli ultimi anni, soltanto, l’antropologia prese un in-dirizzo e un carattere ben più positivo, che io definirei:lo studio dell’uomo come individuo e come specie condot-to col metodo e coi mezzi delle scienze esatte: in perfettaopposizione a quanto era l’antropologia dei tempi anti-chi che considerando l’uomo come qualche cosa di bendiverso dagli altri animali, rifuggiva da quanto pareva vo-lesse accomunarlo ad essi, nelle ricerche.

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Le prime linee dell’antropologia moderna furono se-gnate dal grande Linneo nel 1735, quando, con un co-raggio non abbastanza ammirato, segnava negli antropo-morfi insieme al bradipo e alla scimia anche l’homo sa-piens, contando fra i caratteri naturali il nosce te ipsum,al pari della conformazione delle dita e dei denti, e quan-do chiamava homo nocturnus ed homo caudatus due spe-cie di scimia. Nella quarta edizione della sua opera lostudio delle razze umane vi è molto più perfezionato.Egli distingue l’uomo biondo o europeo, lurido o asia-tico, negro od affricano, rosso od americano; e nota diqueste razze non solo la differenza del colorito, ma del-le abitudini e del vestire, e distingue l’uomo dagli anima-li per il linguaggio e la facoltà d’ammirare; se non cheegli commette dei gravi errori, parlando di parecchie sci-mie e comprendendo fra gli uomini mostruosi insiemeai monorchidi i chinesi. Egli nella Fauna svegica descri-ve la razza svedese che distingue in Goti, Finni e Lap-poni e misti, ma quello che più monta egli, l’infaticatoe il primo classificatore, l’analitico per eccellenza, ebbeun lampo dell’idea Darwiniana che pure è la più fieranemica delle classificazioni. «Non rare volte, scriv’egli,nell’Amoenitates academicae, mi venne il pensiero che lespecie constino di una sola; in principio il numero deigeneri corrispose, forse, a quello degli individui e le spe-cie originarono dalla fecondazione fra i vari generi. Sivedono, infatti, aggiunge egli, tuttora sparire delle specieantiche e nascerne delle nuove, per esempio, la VeronicaSpuria nata ai miei tempi».

Nelle pagine eloquenti di Buffon troviamo descritticon stupenda eloquenza i caratteri fisici principali dellevarie nazioni, ma non vi vediamo che in barlume l’ideadelle razze.

Camper e Blumenbach ne piantarono le vere basifondando l’anatomia delle razze umane sullo scheletroe sulla craniologia, e chiedendo agli animali il segreto del

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problema delle origini umane con un processo simile aquello della x nella regola del tre.

Blumenbach, pel primo, stabilì divisioni metodiche,che se anche non sempre giuste, pure sono sempre uti-li per la suddivisione del lavoro nei primi studii: esso lediede poi la nomenclatura che nelle scienze è un istru-mento prezioso per accelerare gli studii.

Intanto nasceva la linguistica comparata con Eichoff,Bopp, Guglielmo Humboldt: essa irradiò nei penetralidelle origini umane, come il microscopio in quelli deitessuti.

Morton pubblicava, nel 1839, quel suo studio sui craniamericani, e più tardi sugli egiziani, che non trovanoaltro confronto se non nella stupenda monografia diDavis pei crani britannici e nelle sintetiche ma spessoerronee vedute di Retzius.

Ma prima ancora che si accumulassero questi materia-li il Prichard pubblicava un’opera rimasta la più eccellen-te ancora sulla razza umana in cui la storia naturale, l’et-nografia e la linguistica si davano la mano per dimostrarel’origine unica della specie umana.

Al contrario coi materiali di tre razze umane, che of-friva spontanea l’America, e colla collaborazione dei piùgrandi antropologhi europei, Gliddon e Nott pubblica-rono Sulle razze indigene della terra e Sui tipi dell’uma-nità, due vere enciclopedie antropologiche, dirette al-l’intento di dimostrare la pluralità e l’ineguaglianza dellerazze umane: tema quest’ultimo che con materiali mol-to meno ricchi, ma con molto più acume seppe tentar dirisolvere il Gobineau.

Malgrado che fin dal 1839 si fosse fondata dall’Ed-wards una società etnologica a Parigi, a cui presto suc-cesse una simile a Nuova York e a Londra, malgrado sifondasse nel 1859 la società antropologica di Parigi, pre-sto arricchita di uno stupendo museo e fatta nota per-la pubblicazione dei Bullettini e delle Memorie, pure la

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vera era nuova dell’antropologia comincia dopo il 1860,dopo, cioè, che il Broca pubblicò le sue norme per le in-dagini antropologiche, le quali indirizzarono ad un’unitàdi concetto le varie indagini dei moderni antropologhi,sicché ricerche fatte anche con forze men robuste riesci-rono più profittevoli perché informate ad un medesimoindirizzo, e con uguali misure.

Di più in quest’epoca coincide una serie di scoperteche si sono quasi data la mano per illustrare quei proble-mi sulle origini umane su cui da tanto tempo si discutevacon semplici ipotesi.

Chaillu scopriva il gorillo, quell’ultimo intermediarioche mancava fra le razze umane e le scimie, e Owen,Huxley e Martins scoprivano nuovi caratteri anatomiciche ravvicinavano la scimia all’uomo.

Boucher di Perthes rinvenne dei coltelli di pietra neglistrati del diluvio d’Alberville, e ne dedusse per il primo,o meglio, diremo noi italiani, il secondo dopo Lamarmo-ra, che la razza umana esisteva diffusa prima e dopo ildiluvio, fatto che divenne poi sicuro colla scoperta dellamascella fossile di Moulin Quignou.

E da quell’epoca, il che prova la cortezza delle uma-ne vedute, quei crani fossili, di cui al tempo di Cuvier sa-rebbe stato bestemmia asserire l’esistenza, si rinvenneroin quasi tutte le parti del mondo, a Neanderthal, ad En-gis, in Egitto, e in Arezzo e, nella terra dei Patagoni, danostri Italiani, dallo Strobel. Lartet trovò ossa di cervusmegaceros e rinoceros tricorrhinus, con impronte di frec-cie di pietra, e finalmente nei laghi di quasi tutta Europae in alcune terre paludose o da poco seccate, e nelle ca-verne si rinvennero avanzi di popolazioni umane e di raz-ze domestiche, le une e le altre con alcune notevoli diffe-renze di scheletro (ossa più piccole, perforazione dell’o-lecron nell’uomo, ecc.); studiando questi avanzi si rinvie-ne un nuovo punto di passaggio fra gli animali e l’uomo etra l’uomo europeo e il suo selvaggio confratello dell’Au-

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stralia e dell’Africa col quale esso aveva, allora, comune,il cranio e i costumi.

Un’altra scienza creata dal Quetelet nel 1839, la fisicasociale, veniva a completare, anch’essa, con dati nume-rici gli studii sulla fisiologia e psicologia dell’uomo, chegli altri studii ausiliari offrivano sulle sue fisiche parven-ze. Il Boudin, il Broca, occupandosi della statura dei co-scritti, della distribuzione e del colore dei capelli, del pe-so del corpo, della dinamometria, nelle varie provincieeuropee, e delle malattie a cui vanno soggette od esen-ti alcune razze, ne trassero nuovi caratteri distintivi dellemedesime.

E perché nulla mancasse alla soluzione del problema,indagini fatte dai geologhi nella Svezia, in terre già sepol-te sotto ai ghiacciai, in Egitto in terreni alluvionali, collo-cati al disotto delle piramidi, e in America in istrati allu-vionali del Mississipì, attestarono che l’esistenza dell’uo-mo rimonta ad epoche straordinariamente antiche, comeil facevano sospettare già le tradizioni credute favolosedegli Indostani, degli Egizii e dei Chinesi.

Che parte ebbero gli Italiani in queste ricerche? Quel-la ch’essi ebbero si può dire in tutte le scienze, la parte dipionneri più innanzi di tutti, ma più isolati. Le scoper-te di Darwin, di Huxley, di Vogt furono divinate da Bru-no, da Vanini, da Cardano, e la stessa parola antropolo-gia si deve ad un italiano, ad un veneto. Anche nei nostritempi quando nessuno sognava ancora la possibilità del-la esistenza dell’uomo all’epoca del diluvio, il Lamarmo-ra negli Studii sulla Sardegna lo ebbe a dimostrare, col-pito, come fu, da alcune fusaiole trovatevi in uno stra-to del diluvio, e che egli molto giustamente attribuì adabitanti primitivi contemporanei dell’epoca quaternaria.In un’epoca di poco posteriore, il Maggiorani pubblica-va alcune pagine preziosissime sopra i crani degli antichiromani; e lavori altrettanto preziosi pubblicava il Nico-lucci sulla razza ligure in Italia nei tempi antichi e mo-

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derni, sulla stirpe Japigica e sui crani fenicii della Sarde-gna e sulle armi di pietra dell’Italia del sud, egli che gio-vane pubblicò un trattato Sulle razze umane, in un’epocain cui in Italia appena conoscevasi, di nome, l’etnologia.Gaddi, Garbiglietti e Canestrini pubblicavano pure im-portanti studii su crani preromani dell’Emilia, del Vene-to, del Trentino, e il prof. Lombroso schizzò uno studiosulla craniometria di 2000 italiani viventi, e sul peso e ladinamometria degli italiani sani ed alienati, egli suggerìun mezzo semplice di precisare in cifre, misurando la di-stanza di due bobine della macchina di Rhumkorf appli-cata all’uomo, la sensibilità dolorifica delle varie regionie dei vari individui. Il Calori studiò un cervello negro ela dolicocefalia e brachicefalia nell’Emilia. L’Albini pub-blica uno studio sui crani Pompejani. Il Mantegazza nelsuo viaggio nell’America Meridionale forniva alcuni datipreziosi per l’antropologia, la quale egli tentò di studiareda un nuovo punto di vista, dalla fisionomia; illustrò conmolto acume la razza dei Guanchos, e ci dipinse con li-nee nitide ed evidenti quelle popolazioni nuove e singo-lari che sorsero nell’America del sud dall’incrociamentodel sangue guarani col sangue spagnolo. A lui dobbiamoil globulimetro che può darci una idea abbastanza pre-cisa della quantità di globuli nei vari individui, a lui sideve un nuovo metodo per misurare la capacità del fo-ro occipitale. Al Cortese, al Lombroso, ed al Commis-setti devonsi studii accurati sulla statura, e sull’infermitàdei coscritti italiani, studii agevolati dalle statistiche delTorre. Il non mai pianto abbastanza De Filippi sacrifi-cando sull’altare del vero le più intime convinzioni, col-l’operetta L’uomo e la Scimia, popolarizzando le idee diVogt ancora poco note all’Italia, iniziò un periodo nuovoall’antropologia in Italia, seguito con arditezza e succes-so dal Canestrini, dall’Herzen, quand’anche combattutidal Bianconi.

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L’Italia fece di più: essa diede un uomo che ha fattoper l’antropologia più forse che non questi studiosi unitiinsieme; in un’opera michelangiolesca, restata pur trop-po a mezzo nella pubblicazione, Marzolo riesciva a col-mare quel vuoto che restava pur sempre tra lo studio del-la mente umana, e lo studio del corpo, penetrando ne’ se-greti del pensiero col mezzo delle lingue e facendoci conesse assistere alla culla dell’umanità, e porgendoci per in-dagare i segreti moti della cellula cerebrale uno strumen-to così prezioso che il termo-galvanometro di Schiff pa-re rozzo a suo confronto; egli riforniva di carni e di vitalo scheletro di Blumenbach.

Riassumendo. L’antropologia ha ereditato e raggiun-to lo scopo della filosofia, cercando nelle cifre, nelle mi-sure, nei fatti, quelle conclusioni che si cercavano invanocolle combinazioni astratte, e peggio coll’ajuto delle sci-pite tradizioni: essa, più che una scienza per se, è una sin-tesi dell’anatomia, della geologia, della archeologia, del-la linguistica, della storia e della statistica. Vero è cheora tende ad occuparsi più d’uno che d’altro argomento,e prima si occupava della differenza tra l’uomo e la sci-mia, ora predilige lo studio degli utensili di pietra e dellemisure craniche; ma lo studio dei fatti, per quanto pajagretto, isolato, è preferibile alle più gigantesche teorie.

Per la medicina questa nuova scienza ha un’applica-zione evidente e che non ha bisogno di essere dimostra-ta. Essa, avezzandoci a introdurre le cifre e la misura an-che nello studio della psiche, apre alla medicina legale edalla psichiatria un campo tutto nuovo d’indagini, in cuisostituendo a vane fraseologie lo studio della craniome-tria, del peso del corpo, ecc. rende il medico, finalmente,a sé medesimo.

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Anomalie e atavismo nei delinquenti

L’anomalia che ora vado ad esporre, può dirsi unicanella storia naturale e patologica dell’uomo; e non posso,perciò, cominciare a parlarne, senza rendere le più vivegrazie all’egregio professore Zoja che tanto contribuì adillustrarla94.

Occupandomi da qualche tempo nello studio dell’uo-mo criminale, nel visitare il penitenziario di..., fui colpitodalla vista di un tristissimo uomo, che vi degeva da pochigiorni. – Era certo Villella, di Motta S. Lucia, circonda-rio di Catanzaro, d’anni 69, contadino, sospetto di bri-gantaggio e condannato tre volte per furto, e da ultimoper incendio di un molino, a scopo di furto.

Uomo di cute oscura, scarsa e grigia la barba, foltii sopraccigli e i capelli, di colore nero-grigiastri, nasoarcuato, alto della persona (1m, 70): però, in grazia nonso bene se di acciacchi reumatici, o che altro, era tuttostortilato, camminava a sghembo, ed aveva torcicollo,non so bene se a destra od a sinistra.

Ipocrita, astuto, taciturno, ostentatore di religiose pra-tiche, negava aver commesso alcuna disonesta azione, main fatto era così appassionato pel furto, che derubava fi-no i compagni del carcere.

Questi, cui interrogai a lungo, mi dissero, che nell’inti-mità loro non si mostrò punto libidinoso; raccontava, sì,di qualche oscenità commessa nella gioventù, e di averusato con donne sodomiticamente, ma non più che nellaprima gioventù, e non più che non sogliano gli altri uo-mini di quella risma; del resto i suoi discorsi eran d’uo-mo di senno maturo e calmo di passioni; mai si mastu-prò, giammai attentò ai compagni, e non mostrò agilitàmuscolare straordinaria, ne ferocia, ne spirito vendicati-vo.

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Morì in poco tempo per tisi, scorbuto e tifo.La sezione non avrebbe rilevato di spiccante altro che

la tubercolosi polmonare, ma io, però, non posso garan-tire di altro che del cranio che ho sott’occhio. Questocranio presenta:

Circonferenza mm. 520

Curva longitudinale mm. 370

Curva trasversale mm. 320

Diam. longitudinaleesterno

mm. 196

Diam. biparietale mm. 135

Diam. frontale mm. 11

Diam. bizigomatico mm. 130

Diam. longitudinaleinterno

mm. 188

Diam. bicipitale mm. 130

Diam. frontale mm. 111

Altezza verticale mm. 138

Spessore medio mm. 19

Lunghezza dell’ossofrontale

mm. 120

Lunghezza dell’ossoparietale

mm. 143

Lunghezza dell’ossooccipitale

mm. 122

Altezza del frontale mm. 70

Semicurva anteriore mm. 265

Semicurva posteriore mm. 261

Diam. fronte-mentoniero mm. 200

Diam.occipite-mentoniero

mm. 210

Larghezza occipitale mm. 170

Capacità in cent. cubi dimiglio

mm. 1030

Cervello del peso di gr. 1340

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In complesso era un cranio doligocefalico, prognato,con sutura non ancora saldata, della forma e capacitàordinaria delle razze Calabresi, solo un po’ differenteper un maggiore sviluppo dei seni frontali e degli archisopraciliari, e per la ricchezza di quelle digitazioni nellatavola interna, che corrispondono all’atrofia cerebrale.

Ma esaminando più addentro, coll’ajuto del professo-re Zoja, questo cranio, ben altre e più gravi anomalie mispiccavano all’occhio, e sono:

1º La fusione congenita colla parte corrispondentedell’occipite, dell’atlante, i cui archi anteriori e posteriorisi presentano atrofici e rudimentali; anomalia rara, e chepuò spiegare, secondo la teoria del Sangalli, una speciedi torcicollo dell’uomo.

2º Mancava la cresta occipitale interna, e dalle bracciaorizzontali della spina crociata dell’occipite, ai lati dellaprotuberanza occipitale interna, partivano due rilevatez-ze ossee, che decorrevano, dapprima parallele, poi trian-golari, e si disperdevano al segmento posteriore del fo-ro occipitale, dopo avervi, alla distanza di 8 millimetri,formato un piccolo promontorio, osseo, triangolare. Lospazio occupato ordinariamente dalla cresta occipitale èconvertito in una cavità lunga 34 mm., larga 23 mm., pro-fonda 11 mm.; viceversa, all’esterno di questo si osserva-va un proporzionato rialzo convesso, in corrispondenzadel quale l’osso si presentava notevolmente assottigliato.

La cresta mediana mancando in questo caso ed essen-do sostituita da due vere creste laterali, terminate in unpromontorio, la falce pure dovea essere bipartita.

Questi bipartimenti della cresta, e le risultanze dell’a-natomia embriologica e della comparata dei lemurini, el’estensione e la forma di quest’infossatura mediana (fat-to corroborato dal sapere che il cranio si modella quasisempre sul cervello), la mancanza di rugosità, di osteofi-ti, di irregolarità che accennino a che questa cavità fos-se occupata da tumori oda ispessimento delle meningi, e

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che siasi formata al di fuori dell’epoca embrionale, l’ana-logia di questa porzione ossea coll’altra del resto del cra-nio normale, l’accompagnarsi questa lesione ad un’altracertamente congenita come è la fusione dell’atlante, e so-pratutto la forma che assume il getto di cera nella cavitàcranica, da cui risulta un cervelletto trilobato regolarissi-mo, come nei feti di 5 mesi, ci rendono certi che quell’in-fossatura serviva al ricetto di un lobo mediano del cervel-letto.

In questo caso si ebbe probabilmente nello sviluppodel cervelletto un arresto dello stato fetale, perché ènoto che se nei primi 4 mesi il cervelletto presenta piùsviluppati i lati laterali del mediano, che è anzi allora unsemplice solco, invece dopo la 16ª settimana e fino al 6°mese, il lobo mediano prende uno sviluppo maggiore, sidivide nei lobuli costitutivi, mentre intanto i lobi lateralirestano lisci (Gratiolet, Anat. Comparée du Syst. Nerv.Vol. II, p. 250).

Questa anomalia non deve confondersi colla biforca-zione della cresta occipitale interna, che pure non è mol-to frequente: in questi casi non solo l’ossatura in cor-rispondenza alla cresta occipitale interna, esternamente,non solo, non è incavata, ma è anzi assai compatta, e pre-senta il massimo spessore fino ai 22 millimetri.

Questa anomalia non si trova notata in nessuna operadi anatomia speciale: non nel Barkow ( Anat. Abhandl.)che è la più vasta raccolta di anatomia cranica umana,comparata e patologica; non nell’esattissimo Henle –Handb. der Anat. 1867; non nell’Otto, in quel suotrattato delle Anomalie umane che s’avvicinano a quelledei bruti, in cui l’unica anomalia accennata di questo ossoè lo spartimento trasverso dell’occipitale.

Ma il singolare si è che questa particolarità manca nel-le scimmie superiori, nei bimani, certo nei chimpanzé,gorilla, orango, in cui, anzi, l’osso occipitale presentasiancor più appiattito, che in noi; manca anche in molte

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delle scimmie inferiori, nei macachi, per esempio. L’uni-ca traccia d’una fossa occipitale mediana e il chiaro svi-luppo di un lobo cerebellare mediano comincia a veder-si in alcune scimmie Plattirine e nei Lemuridi, nell’Jac-kus, per esempio, e nel Lemur Albifrons (vedi Blainville,Ostéographie, t. V.)95, nel Lemur Psylodactilus od Aye diMadagascar, animale che molti ora escluderebbero daiquadrumani, e classerebbero tra i roditori.

Questo reperto contraddice, apertamente, l’ipotesi deifrenologhi che vorrebbero nel lobo mediano e nell’ap-pendice vermicolare riporre l’organo dell’appetito vene-reo, perché nel Villella non esistevano esagerati appetitivenerei; che, se fossero esistiti, i compagni di carcere cene avrebbero edotto, come degli altri malvagi suoi istinti,e nei lunghi tre processi, qualche cenno ne sarebbe pu-re emerso: e di ciò, del resto, la scarsezza della barba èun segno indiretto, essendo notorio che gli uomini a fa-coltà genitali molto sviluppate, sono anche assai ricchi dibarba.

Importante potrebbe essere questo caso per la filoso-fia naturale, poiché, stando a rigore di logica, il ritrovarsinell’uomo quella fossa occipitale mediana, che manca neibimani e si rinviene nei più infimi quadrumani, giova – alparo di quei casi di idioti e microcefali senza corpo cal-loso, e con permanente sutura intermascellare – giova asostenere quella teoria, così abilmente palleggiata fra noidal Canestrini, secondo cui l’uomo non sarebbe già unatrasformazione di qualche animale antropomorfo (comevuole Vogt), e nemmeno di qualche animale intermediotra gli antropomorfi e l’uomo, ma sì bene una trasforma-zione successiva di un animale capostipite ad un tempodei bimani e di quadrumani, il che s’appoggia già ad ana-logie anatomiche cogli uni e cogli altri; che se pel cervel-lo l’uomo s’assomiglia all’orango e pel piede al gorilla, eper la mano al chimpanzé, per lo scheletro si avvicina al

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sciamango, e per il cranio, o meglio pel volto, ai cebi edagli ovistiti.

Ma queste son metafisicherie dei naturalisti, forse cosìpoco utili, come quelle dei filosofi.

Ben è importante, però, il notare che questa anomaliacranica, come altre che spero di esporvi, siansi scopertein quella varietà, infelice, d’uomo, che è, a mio credere,più patologica dell’alienato, nell’uomo criminale.

Chi ha percorso questo libro, avrà potuto forse con-vincersi, come molti dei caratteri che presentano gli uo-mini selvaggi, le razze colorate, sono, anche, propri deidelinquenti abituali. Essi hanno comuni, p. es., la scar-sezza dei peli, della forza, e del peso, la poca capacità cra-nica, la fronte sfuggente, i seni frontali molto sviluppati,la frequenza maggiore delle suture medio-frontali, le si-nostosi precoci, specialmente frontali, la salienza della li-nea arcuata del temporale, la semplicità delle suture, lospessore maggiore dell’osso cranico, lo sviluppo enormedelle mandibole e degli zigomi, l’obliquità delle orbite,la pelle più scura, il più folto ed arricciato capillizio, leorecchie ad ansa o voluminose96, la maggior analogia deidue sessi, la meno pronunciata attività genesica, la po-ca sensibilità dolorifica, la completa insensibilità mora-le, l’accidia, la mancanza di ogni rimorso, l’impreviden-za, che sembra alle volte coraggio, e il coraggio che si al-terna alla viltà, la grande vanità, la facile superstizione, lasuscettibilità esagerata del proprio io e perfino il concet-to relativo della divinità e della morale.

Le analogie vanno fino ai piccoli dettagli, che male sisaprebbero prevedere, come p. es.: l’abondanza dellemetafore e delle onomatopeie del linguaggio, le leggi im-provvisate dentro le associazioni, l’influenza tutta perso-nale dei capi, (Tacito, Germ., VIII), il costume del ta-tuaggio, la stessa speciale letteratura che ricorda quelladei tempi eroici, come li chiamava il Vico, in cui si de-cantava il delitto e il pensiero tendeva a vestire, prefe-

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rentemente, la forma ritmica e rimata. (Vedi Cap. III,VIII, IX, XII).

Questo atavismo spiega l’indole e la diffusione di al-cuni delitti. Così mal si saprebbe spiegare la pederastia,l’infanticidio, che coglie intere associazioni, se non ricor-dando l’epoche dei Romani, dei Greci, in cui non solonon erano considerate come un delitto, ma anzi qualchevolta un morale costume; ed ecco forse intravveduta unaspiegazione del frequente associarsi dei gusti estetici (ve-di p. 2) nei pederasti, appunto come nei Greci.

Spingendo le analogie atavistiche ancora più innanzi,fino al di là della razza ci possiamo spiegare qualche altraparvenza del mondo criminale che sembrerebbe da solainesplicabile anche all’alienista; p. es., la frequenza del-la saldatura dell’atlante coll’occipite, che ripetesi in alcu-ni cetacei fossili, quello della fossa occipitale mediana eil suo sviluppo straordinario, precisamente come nei Le-murini e nei Rosichianti: la tendenza al cannibalismo an-che senza passione di vendetta, e più ancora quella for-ma di ferocia sanguinaria mista a libidine, che ci manife-starono il Gille, il Verzeni, il Legier, il Bertrand, l’Artu-sio, il marchese di Sade, pari affatto ad altri casi raccon-tati dal Brierre, dal Mainardi, in cui l’atavismo era favo-rito però da epilessia, da idiozia o da paresi generale, mache sempre ricordano il tempo, in cui l’accoppiamentodell’uomo, come quello dei bruti, era preceduto ed as-sociato a lotte feroci e sanguinarie, sia per domare le re-nitenze della femmina, sia per vincere i rivali in amore.In molte tribù dell’Australia si usa dall’amante aspetta-re, in agguato, la sposa dietro le siepi, stramazzarla conun colpo di clava, e così tramortita trasportarla nella ca-sa maritale. Di questi usi una traccia restò nei riti nuzia-li di molte nostre vallate, e nell’orribile festa del Jagraatee nei baccanali romani, ove chi, anche maschio, resistevaallo stupro era tagliato in pezzi così piccoli da non poter-

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si rinvenirne il cadavere (Tito Livio, XXXIX, cap. VIII).– Ed una traccia ne restò tuttavia latente fra noi.

Il primo e più grande descrittore della natura, Lu-crezio, aveva osservato come anche nei casi ordinarj dicopula può sorprendersi un germe di ferocia contro ladonna, che ci spinge a ferire quanto si oppone al nostrosoddisfacimento97. – So di un distinto poeta che appenavede sparare un vitello o solo appese le carni sanguinan-ti è preso da libidine; e di un altro che ottiene ejacula-zioni solo strangolando un pollo od un colombo. – Man-tegazza sentì confessarsi da un amico, trovatosi ad ucci-dere parecchi polli, che dopo la prima uccisione prova-va una barbara gioja a palpare avidamente le viscere cal-de e fumanti, e che di mezzo a quel furore era stato assa-lito da un accesso di libidine (Fisiol. del piacere. Milano,1870).

Questi fatti ci provano chiaramente, che i crimini piùorrendi, più disumani, hanno pure un punto di parten-za fisiologico, atavistico, in quegli istinti animaleschi, cherintuzzati, per un certo tempo, nell’uomo dall’educazio-ne, dall’ambiente, dal terror della pena, ripullulano, a untratto, sotto l’influsso di date circostanze: come la ma-lattia, le meteore, l’imitazione, l’ubbriacamento sperma-tico, prodotto dall’eccessiva continenza, ond’è che si no-tano sempre nell’età appena pubere, nei paresici od in in-dividui selvaggi o costretti ad una vita celibe o solitaria,preti, pastori, soldati.

Sapendosi che alcune condizioni morbose come, itraumi del capo, le meningiti, l’alcoolismo ed altre in-tossicazioni croniche o certe condizioni fisiologiche, co-me l’età senile, provocano l’arresto di sviluppo dei cen-tri nervosi e quindi le regressioni atavistiche, compren-diamo come debbano facilitare la tendenza ai delitti.

Sapendosi come tra il delinquente, e il volgo ineduca-to, ed il selvaggio la distanza è poca, ed alle volte scom-pare del tutto, comprendiamo perché gli uomini del vol-

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go, anche non immorali, abbiano pel reo sì spesso unavera predilezione98, se ne foggino una specie di eroe egiungano fin ad adorarlo dopo morto99, e perché i ga-leotti, alla loro volta, si mescolino così facilmente coi sel-vaggi, adottandone i costumi, tutti, non escluso il canni-balismo (Bouvier: Voy. à la Guyane, 1866), come accadein Australia ed alla Gujana.

Osservando come i nostri bambini, prima dell’educa-zione, ignorino la distinzione tra il vizio e la virtù, ru-bino, battano, mentano senza il più piccolo riguardo, cispieghiamo, come tanta parte dei figli abbandonati, or-fani ed esposti si dieno al male – ci spieghiamo la grandeprecocità del delitto.

L’atavismo ci ajuta, ancora, a comprendere l’ineffica-cia della pena; ed il fatto singolare del ritorno costante eperiodico d’un dato numero di delitti; le più grandi va-riazioni che abbia offerto il numero dei reati contro lepersone (scrivono A. Maury e Guerry), non sorpassaro-no un venticinquesimo, e per quelli contro la proprietà,un cinquantesimo; a proporzioni pari si vede in dati me-si predominare un dato gruppo di delitti, p. es., di libidi-ne in luglio e giugno, di avvelenamento e vagabondaggionel maggio, di furto e di falso in gennajo, secondo, dun-que, una data variazione del termometro o del prezzo diviveri100. Si vede, osserva assai bene Maury, che siamogovernati da leggi mute, ma che non cadono in dissue-tudine, mai, e che governano la società più sicuramentedelle leggi scritte nei codici.

Il delitto, insomma, appare, così dalla statistica comedall’esame antropologico, un fenomeno naturale, un fe-nomeno, direbbero alcuni filosofi, necessario, come lanascita, la morte, i concepimenti.

Questa idea della necessità del delitto, per quanto ar-dita possa sembrare, non è poi punto un ’idea nuova necosì poco ortodossa, come a molti può apparire sulle pri-me. Molti anni fa l’avevano propalata Casaubono, quan-

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do scriveva «L’uomo non pecca, ma è dominato in varjgradi» e Platone che attribuiva la perversità del reo allasua organizzazione ed educazione, tanto da rendere re-sponsabili i suoi maestri e parenti, e S. Bernardo che det-tava: «Chi è di noi, per quanto esperto, che possa distin-guere nei suoi impulsi l’influenza del morsus serpentis daquella del morbus mentis. Ed altrove: il male è minorenel nostro cuore, incerto è se noi dobbiamo ascriverlo anoi o al nostro nemico; è difficile sapere quanto il cuorefa e quanto è obbligato a fare». E più ancora chiaramen-te la manifestò S. Agostino, quando scriveva che nemme-no gli angeli potrebbero fare, che uno che vuole il malevoglia il bene. E ceno il più audace e il più caldo soste-nitore di questa teorica è un fervido credente cattolico, oanzi sacerdote, e sacerdote tirolese, G. Ruf101.

Indirettamente poi l’affermano tutti gli autori anchedei sistemi più opposti, che quando vengono sul terrenodei fatti e perfino in quell’elastico delle definizioni con-traddicono se stessi o i colleghi e non riescono a conclu-dere nulla.

Sulla fisonomia dei delinquenti corrono idee molto er-ronee fra i più. I romanzieri ne fanno degli uominj spa-ventevoli d’aspetto, barbuti infino agli occhi, con isguar-do scintillante e feroce, con nasi aquilini. Più seri os-servatori, come il Casper, passano all’eccesso opposto, enon trovano alcuna differenza fra loro e l’uomo normale.

E gli uni e gli altri hanno torto.Certamente che, come v’hanno dei delinquenti a capa-

cità cranica notevole ed a bellissime forme del cranio (ve-di sopra), così ve n’hanno, massime fra gli abili truffatorie anche fra i capi di masnade, di quelli a fisonomia per-fettamente regolare. Tal era quell’assassino di cui parlaLavater e Polli ( Saggio di Fisiognomonia, 1837), che nel-la faccia arieggiava uno degli angeli di Guido. Tal eraquel preteso colonnello, Pontis di S. Elena102, che potéper tanto tempo ingannare le autorità e la corte sotto le

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spoglie di colui che aveva probabilmente ucciso; e taleera il Streitmatter-Weiler, uno dei più begli uomini delsuo tempo; tali erano l’Holland, e Lacenaire e Bouchet,Lemaire, il Sutler, e il brigante Angelo Gallardi di Ce-spoli; tali quelle celebri avvelenatrici Lafarge e Eberze-ni, e i fratelli Jacovone e Malagutti, e il capo-banda Car-bone, una delle fisonomie più gentili del Napoletano; ta-le il ferocissimo Franco, il Volonnino di Rionero, e laganza di Guerra, la Decesari; la druda del Luongo, Ma-ria Capitania, potrebbe primeggiare per venustà di formenell’Italia del sud; e bellissima d’aspetto era quella fero-ce Filomena Pennacchio, che salvò due volte il suo dru-do Schiavone, uccidendo i nostri soldati. Il ladro Rosa-ti, uomo d’ingegno singolare, mi presentava la fisonomiacalma ed armonica d’un nostro uomo di Stato.

Ma queste sono eccezioni, che ci colpiscono e ci tra-scinano, appunto per il contrasto contro la nostra aspet-tazione, e che si spiegano per il verificarsi quasi semprein individui d’intelligenza non comune, alla quale spessosi collega una certa gentilezza di forme.

Ma quando, anziché quegl’individui isolati, o quei rariesemplari, che formano l’oligarchia del delitto, si studia-no le masse intere di questi sciagurati, come a me occor-se di fare nelle varie case di pena, concludesi che, sen-za avere sempre una fisonomia truce o spaventosa, essine hanno una loro tutta particolare e quasi speciale perogni forma di delinquenza, e che appunto alcuni di queicaratteri proprî della loro fisonomia, come, per esempio,la mancanza della barba, la ricchezza dei capelli, è causadel trovare noi più gentile e più delicata, che non sia ve-ramente, la loro figura; tal è il caso di Campanella, Mira-bello, Palestra, De Martins, Farace, briganti siculi, e delCanal, coltelli e Cavaglià, assassini torinesi, affatto im-berbi.

In genere, i ladri hanno notevole mobilità della facciae delle mani; occhio piccolo, errabondo, mobilissimo,

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obliquo di spesso; folto e ravvicinato il sopracciglio; ilnaso torto o camuso (vedi fig. 2), scarsa la barba, nonsempre folta la capigliatura, fronte quasi sempre piccoloe sfuggente. Tanto essi, come gli stupratori, hannosovente il padiglione dell’orecchio che si inserisce quasiad ansa sul capo.

Fig. 2. Ladro milanese, condannato 13 volte

Negli stupratori, quasi sempre, l’occhio è scintillante,la fisonomia delicata, le labbra e le palpebre tumide; perlo più sono gracili, e qualche volta gibbosi; i cinedi si di-stinguono spesso per una eleganza femminea nei capel-li, spesso lunghi e intrecciati, e negli abiti, che conserva-no fino sotto l’uniforme delle carceri un tal quale vezzomuliebre.

La morbidezza della cute, aspetto infantile, l’abbon-danza de’ capelli, lisci e discriminati a guisa di donna,mi è occorso di osservare anche negl’incendiari, uno deiquali, curiosissimo, di Pesaro, incendiario e cinedo ad untempo, era chiamato la femmina (Fig. 3), e aveva abitu-dini ed aspetto da donna.

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Fig. 3. Incendiario e cinedo di Pesaro, chiamato la Femmina

Fig. 4. P. C. brigante della Basilicata detenuto a Pesaro

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I pochi falsarî che io potei studiare avevano occhi pic-coli, fissi a terra, naso torto, spesso lungo e voluminoso,non di rado canizie o calvizie anticipata e faccia femmi-nea.

In genere, molti delinquenti hanno orecchi ad ansa,capelli abbondanti, scarsa la barba, seni frontali spicca-ti, mandibola enorme, mento quadro o sporgente, zigo-mi allargati, gesticolazione frequente, tipo insomma so-migliante al Mongolico e qualche volta al Negroide.

Le misure antropometriche sul cadavere, benché nonmolto feconde, pure bastarono a dimostrarci in modosicuro l’inferiorità dei criminali, specialmente dei ladri;presentandoci per capacità e circonferenza, per minorsviluppo di curve e diametro frontale, di proiezione ante-riore, caratteri di submicrocefalia, indice cefalico esage-rato, specie nei brachicefali, eurignatismo, singolare ca-pacità orbitale e sviluppo notevole della mandibola inpeso, diametro e maggior altezza della faccia. Vi sononei rei indici facciali e cefalo-orbitali più bassi del nor-male e anche del pazzo e viceversa indice cefalo-spinalesuperiore.

Ma singolarissime furono le anomalie che anche a cal-colo numerico risultarono più frequenti di molto che neipazzi, là dove mancava ogni origine atavistica, come nelleinfossature Pacchioniane, osteiti, sinostosi, sclerosi, assi-metria cranica e facciale, plagiocefalia, osteofiti del cli-vus, ricchezza dei wormiani. In forme analoghe e in pro-porzioni pari a quelle dei selvaggi (e spesso anzi più fre-quenti) furono altre alterazioni atavistiche, specialmen-te della faccia e base, come seni frontali spiccati, frontesfuggente, fossa occipitale mediana, saldatura dell’atlan-te, aspetto virile dei crani di femmine, la doppia facciaarticolare del condilo occipitale, l’appiattimento del pa-lato, osso epactale, orbite voluminose od oblique. Que-ste lesioni che variano da 2 a 58% si trovarono raggrup-pate nello stesso individuo, in modo da formare un tipo,

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nella frequenza del 43% ed isolate in uno, o nell’altro nel21 %.

Il cervello segue nelle anomalie un ordine analogo,presentando in genere un volume minore del normale,salvo pochi casi d’ipertrofia; le circonvoluzioni offronoanomalie frequentemente atavistiche come la separazio-ne della scissura calcarina dalla occipitale, la formazionedi un opercolo del lobo occipitale, il vermis conformatocome nel lobo medio degli uccelli, oppure deviazioni af-fatto atipiche, come i solchi trasversi del lobo frontale, lamaggior tendenza alla confluenza.

Le poche osservazioni istologiche parlano tutte peresito di antiche iperemie, specie dei centri nervosi, co-me la dilatazione dei vasi linfatici, l’ispessimento dellaavventizia, la pigmentazione delle cellule nervose e del-le connettive; queste preesistenti iperemie ci conferma-no con assoluta certezza lo studio macroscopico, che cimostra frequenti focolai di rammollimenti, cisti da pro-cesso embolico, meningiti, nella proporzione del 50%;osteomi nella frequenza del 4%; e frequentissime le affe-zioni croniche dell’endocardio, pericardio e cuore (pre-valendo l’insufficienza valvolare), e non rare quelle delfegato, che appaionvi nel quintuplo degli ammalati noncriminali.

Con tante anomalie sorprende il verificare nei cadaveriuna maggiore superiorità nella statura e non di rado nelpeso.

Riassumendo, per gli esami sul vivo, in poche parole,quello che una indeclinabile necessità scientifica mi co-strinse ad esporre con tanto spreco di aride cifre, con-cluderò che il delinquente ha una statura anche nel mi-norenne più alta, braccia più lunghe e un torace più am-pio, un capello più scuro e un peso, salvo nel Veneto,maggiore del normale, e ancora di quello degli alienati;che presenta, specie nei ladri, anche minorenni e nei reirecidivi in genere, una serie di submicrocefali doppia del

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normale, ma minore dell’alienato, il quale è poi supera-to nella ricchezza di teste voluminose, benché non mai algrado dei sani; che l’indice del cranio, conformandosi ingenere all’etnico, è più di questo esagerato; che presentaassimetrie craniche e facciali frequenti, specie negli stu-pratori e nei ladri, ma più scarse che non nei pazzi, pre-valendo su questi per maggior copia di lesioni traumati-che al capo e di occhi obliqui, ma offrendo, con una fre-quenza minore, l’ateromasia delle anerie temporali, l’im-pianto anomalo dell’orecchio, la scarsezza della barba,il nistagmo, l’assimetria facciale e cranica, la midriasi, emeno spesso ancora la canizie o calvizie precoce, e coneguali proporzioni il prognatismo, l’ineguaglianza dellepupille, il naso tono, e lo sfuggir della fronte; che, piùfrequentemente dei pazzi e dei sani, ha più lunga la fac-cia, più sviluppati gli zigomi e la mandibola, castano oscuro l’occhio, folto e nero il capello, massime i grassa-tori; che i gibbosi, rarissimi fra gli omicidi, sono più fre-quenti fra gli stupratori, i falsari e gli incendiari; che que-sti ultimi, e più ancora i ladri, hanno spesso l’iride grigia,sempre una statura, un peso ed una forza muscolare mi-nore dei grassatori e degli omicidi.

Uno studio sulle fotografie dei criminali ci diede mo-do di farne controllare dal lettore e di fissare la frequen-za del tipo fisionomico criminale nel rapporto del 25%col massimo del 36% negli assassini, un minimo di 6 a8% nei bancarottieri103, truffatori e bigami, ed a questoproposito giova il notare come anche le anomalie crani-che e facciali studiate nei vivi dal Ferri e specialmente laminore capacità, la più scarsa semicirconferenza anterio-re, la maggiore lunghezza della faccia e maggiore svilup-po dei zigomi siansi verificate in proporzioni assai minorie quasi pari a quelle degli onesti nei rei feritori e in quellid’occasione.

La fotografia ci rivelò come venga meno il tipo etniconei criminali, come nei Tedeschi, sicché i Tedeschi sem-

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brino uguali agli Italiani, mentre molti mostrano una ve-ra parentela fra loro. Ci rivelò pure la frequente femmi-nilità dell’aspetto, specie nei ladri e nei rei di lascivia104.

Uno studio su 815 creduti onesti ha dimostrato nonverificarsi il tipo criminale con 4 a 6 caratteri che in 14,di cui 8 sospetti di vita equivoca. Su 400 di questi, la cuibiografia era più nota, 8 soli presentarono la fisonomiatipica criminale, e di questi uno solo era di onestà sicura.Contando per tipici anche quelli da tre caratteri ne avre-mo 47 con 19 sospetti su 800, e fra i 400 biografati 31, dicui 18 con vita equivoca.

Non pochi, invece del tipo criminale, avevano special-mente nello sguardo, che è la nota più caratteristica, untipo pazzesco; ed è importante qui il conoscere che lamaggior pane dei pochi pazzi rei fotografaci avevano, vi-ceversa, tipo criminale.

Lo studio sui vivi, insomma, confermò, benché conminor esattezza e costanza, quella ricchezza di microce-falie, diassimetrie, di orbite oblique, di prognacismi e diseni frontali sviluppaci che ci fu rivelata dalla tavola ana-tomica. Mostrò nuove analogie e differenze tra gli alie-nati e i delinquenti.

Il prognatismo, la ricchezza e l’increspatura dei capel-li, la scarsezza della barba, il frequente color oscuro del-la pelle, l’oxicefalia, l’obliquità degli occhi, la piccolezzadel cranio, lo sviluppo della mandibola e degli zigomi, lafronte sfuggente, il volume delle orecchie, l’analogia frai due sessi, la maggior apertura delle braccia sono nuoviamminicoli che si addentellano ai necroscopici per avvi-cinare il criminale europeo all’uomo australe o mongoli-co; mentre lo strabismo, le assimetrie craniche e le gra-vi anomalie istologiche e meningee cerebrali e cardiacheci additano nel reo un uomo anomalo prima di nascere,per arresto di sviluppo in vari organi, specie dei centrinervosi, ed insieme un malato cronico.

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Dall’insieme di questi fatti si dedurrebbe come tutte levarie specie della sensibilità siano assai più ottuse nel cri-minale, anche in quello d’occasione, in confronto al nor-male, solo esagerandosi, come negli alienati e nelle iste-riche, la sensibilità ai metalli, al magnete, e la metereolo-gica.

La insensibilità al dolore ricorda assai bene quella deipopoli selvaggi che possono sopportare, per le iniziazionidella pubertà, torture non tollerabili da un uomo bianco.

Tutti i viaggiatori sanno, come la sensibilità dolorificanei negri e nei selvaggi d’America è così torpida, che sividero i primi segarsi, ridendo, la mano, per isfuggire illavoro, ed i secondi lasciarsi bruciare a lento fuoco, can-tando allegramente le lodi della propria tribù. Nelle ini-ziazioni, all’epoca della virilità, i giovani selvaggi d’Ame-rica si sottopongono, senza lamento, a tali crudeli tortu-re, che farebbero morire un Europeo: si appendono, peres., con uncini per le carni al soffitto, col capo all’ingiù,in mezzo a dense colonne di fumo. A questa insensibilitàsi devono i dolorosi tatuaggi, che pochi Europei potreb-bero sopportare, e l’uso di tagliarsi le labbra e le dita, ocavarsi i denti nelle cerimonie funebri.

Anche la maggiore acutezza visiva, come ben osserva-va il Bono, è un fenomeno atavistico, dandosi la massimanegli abitanti della Terra del Fuoco, e un’analoga ai no-stri criminali, nei semiselvaggi Caucasici, il doppio e piùdei nostri. Ma forse più che l’atavismo qui influisce il bi-sogno maggiore di adoperare ed acuire la vista a scopo dipreda, come accade negli animali rapaci, che presentanoappunto anch’essi così grande la cavità orbitale.

Questa diminuzione della sensibilità, in ispecie dolo-rifica, e la meno frequente reazione vasale ci danno for-se in mano la chiave della relativa maggiore vitalità di co-storo, malgrado che siano malati, si può dire, fino e pri-ma della nascita. Certo, se noi compariamo la vita mediadei carcerati con quella dei liberi, la troviamo inferiore;

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ma tante sono le cause malefiche inerenti al carcere, cheè inutile l’insistervi per spiegarne la differenza; però, da-te eguali condizioni, sembra che le differenze si mutino,e precisamente in favore dei criminali.

Generale quanto la dolorifica (e forse un effetto indi-retto di essa) è nei criminali la insensibilità morale. Nonè già che in costoro tacciano completamente tutti gli af-fetti, come dai cattivi romanzieri s’immagina; ma certa-mente, quelli che più intensamente battono nel cuore de-gli uomini, più in essi invece sembrano muti, in ispecie,dopo lo sviluppo della pubertà. – Primo a spegnersi èquel sentimento della compassione per le disgrazie al-trui, che ha pure, secondo alcuni psicologi, alla radice nelnostro stesso egoismo. – Lacenaire confessava non avermai provato ribrezzo alla vista di alcun cadavere, toltonequello di un suo gatto: «La vista di un agonizzante nonproduce in me nessun effetto. Io uccido un uomo co-me bevo un bicchier di vino». E difatti la completa in-differenza innanzi alle proprie vittime e innanzi alle san-guinose testimonianze dei loro delitti, è un carattere co-stante di tutti i veri delinquenti abituali, che basterebbea distinguerli dall’uomo normale. Martinati mirava, sen-za batter ciglio, la fotografia della sua propria moglie, neconstatava l’identità, e tranquillamente aggiungeva, co-me dopo inflittole il colpo mortale, avesse osato chieder-le un perdono che non gli venne concesso. La Maquetgettò in un pozzo la figlia per poterne accusare una vi-cina che l’aveva offesa. Vitou avvelena padre, madre efratello per ereditare poche dozzine di scudi.

Militello, pur giovanissimo, appena commesso l’omi-cidio del suo povero compagno ed amico, era sì pococommosso, che tentava sedurre i camerieri che gli impe-divano il passo (Cacopardo).

E così si spiega come Troppmann dal carcere chiedes-se al fratello, come si chiederebbe un arancio, dell’acidoprussico ed etere per uccidere i suoi guardiani (Ved. Ma-

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xime du Camp, nell’ Archivio di psichiatria e scienze pe-nali, vol. I), e come avesse animo di riprodurre, creden-do anzi di giovare alla propria difesa, la scena dell’orribi-le strage di cui egli fu il solo autore ed il solo spettatoresopravvissuto come vedesi in questo grossolano disegnoautografo donato al mio Archivio dal Maxime du Camp.;in cui due delle vittime sono già cadaveri ai suoi piedi e lealtre quattro alzano le mani disperatamente sotto i suoicolpi (Ved. Tav. XIV).

Anzi per aggiungere un ultimo strazio, ei vi calunniala vittima dopo uccisala, egli tenta provarvi o meglioasserisce come l’autore della terribile carneficina nonfosse già lui, ma lo stesso padre, il povero Kink, colladicitura che l’incornicia.

«C’est comme c’est arivé que Kinke le père misérablequi ma perdu, il a tué toute sa famille» (sic).

(È così che accadde che Kink, il padre miserabile chemi perdette, uccise tutta la sua famiglia).

Qualunque reo di impeto o d’occasione sentirebbe or-rore di una simile scena e avrebbe bisogno di scancellarladalla memoria di tutti, ed egli invece vi si indraga e tentaeternarla, nel che entra un po’ di quella compiacenza delcrimine che è speciale a costoro.

Questa insensibilità è pur provata dalla frequenza de-gli omicidi poco dopo le condanne capitali per opera dichi vi assisteva, dalle scherzevoli parole in cui nel ger-go si trattano gli strumenti e gli esecutori del supplizio, edai racconti che si fanno nelle carceri, in cui l’impiccatu-ra è il tema favorito105; questo, anzi, è uno dei più potentiamminicoli per l’abolizione della pena di morte, che cer-tamente dissuase dal crimine un numero assai scarso disciagurati, minore forse di quanti invece vi indusse, gra-zie a quella legge di imitazione, che domina tanto nei vol-ghi, e a quella specie di orrendo prestigio che crea intor-no alla vittima della giustizia quella ressa di popolo, quel-l’apparecchio lugubre e solenne e troppo adatto a solle-

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ticare la strana e fiera vanità dei criminali suoi pari e chegiunge perfino a far venerare i loro corpi, come di martirie santi (Vedi Sui crani dei criminali. – Appendice).

Su 167 condannati alla pena capitale in Inghilterra,164 avevano assistito agli ultimi supplizi (Livi, Della penadi morte, 1872). Nel Catalogo ms. dei giustiziati chesi conserva all’Ambrosiana trovasi registrato il suppliziodi tal Maggi, condannato per omicidio: – Era statopresidente della Compagnia di S. Giovanni Decollato.

In complesso l’aberrazione del sentimento è la notapiù caratteristica del criminale-nato come del pazzo, po-tendo una grande intelligenza coincidere con una ten-denza criminale e pazzesca, ma mai con integro senti-mento affettivo. Ciò era stato intravveduto dal Puglia (Archiv. Di psich., III, p. 392) e poi dal Poletti (Il senti-mento del diritto penale, 1883, 2° ediz.); e ciò s’accordacon quel fatto che certo avrà colpito i miei lettori fin daiprimi capitoli, che cioè nelle alterazioni della testa pre-dominano assai più quelle della faccia che quelle del ca-po – e quelle dell’occhio su tutte le altre – gli è che alleanomalie craniche corrispondono assai più quelle dellaintelligenza; nelle facciali, specie oculari, invece, quelledel sentimento, che tanto sono frequenti, anzi insepara-bili dal vero criminale-nato – e che hanno, d’altra parte,una base organica e certo una connessione in quella ottu-sità della sensibilità e in quella ora eccessiva ora tropposcarsa reazione vasale, di cui raccogliemmo prove speri-mentali (Vedi pag. 345-348 e seg.).

Pazzi morali L’analogia e l’identità completa tra il paz-zo morale ed il delinquente-nato pone in pace per sem-pre un dissidio ch’era continuo, fra moralisti, giuristi epsichiatri, anzi fra l’una e l’altra delle scuole psichiatri-che, dissidio in cui per istrano caso tutti avevano ragio-ne, perché da un lato era giusta l’obbiezione che i ca-ratteri che si adducevano pel pazzo morale erano pro-prii del criminale, come dall’altro era giusto che i carat-

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teri dei delinquenti-nati si riscontravano esattamente inalcuni veri pazzi morali.

Così si comprende perché uomini, al certo rispettabiliper dottrina, siansi trovati discordi nel diagnostico di undelinquente e abbiano dichiarato criminali individui checertamente erano pazzi o mattoidi, come Guiteau, Me-nesclou, Verzeni, Prunier, Agnoletti, Lawson, Militello,Garayo, Passanante: e che Cacopardo concludesse dal-l’esame dei casi di follia morale di Pinel che si trattava dicriminali, come criminali sono quasi tutti i folli anomalidi Bigot.

Krafft-Ebbing confessa che molti folli morali si trova-no nei bagni, perché si cercava l’essenza della pazzia nelturbamento dell’intelligenza, e quindi pei meno praticimolti pazzi morali sembrano rei comuni.

Il vero è che tutti avevano ragione perché erano l’unoe l’altro insieme.

Influenza della malattia E così si completa e si correg-ge la teoria dell’atavismo del crimine, coll’aggiunta dellamala nutrizione cerebrale, della cattiva conduzione ner-vosa; s’aggiunge, insomma, il morbo alla mostruosità; co-me avevano intravveduto, partendo dalla pura ma genia-le induzione, Sergi ( Rivista di filosofia scientifica, 1883)e Bonvecchiato (op. cit.).

La malattia ci spiega la plagiocefalia, la sclerosi cra-nica, gli osteofiti del clivus, gli opacamenti e le emorra-gie meningee, le aderenze della dura madre, le aderen-ze dei corni posteriori, i rammollimenti e le sclerosi ce-rebrali, le frequenti insufficienze valvolari, le carcinosi etubercolosi del fegato, le carcinosi dello stomaco, le pig-mentosi delle cellule nervose, l’iperplasia cellulare lun-go i fasci nervosi, che indicano vecchi processi congesti-zi ed emorragici, e così l’edema in placche dello stratocorticale, l’ateroma delle temporali; e queste, a loro vol-ta, spiegano l’ineguaglianza o dilatazione della pupilla,gli errori nei riflessi tendinei, le contratture muscolari, le

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coree, le analgesie e anestesie, la mancanza di riflessi va-sali, l’incoerenza e bizzarria pazzesca, la crudeltà, il pia-cere del male pel male, la perdita dell’affettività, la lesio-ne del sentimento che campeggia tanto in costoro da for-marne il carattere patognomonico, esclusivo, e da poteresistere anche senza apparente lesione della mente e dalasciare traccie nel prevalere delle anomalie, alla faccia,all’occhio in ispecie, più che nel cranio.

Arresto di sviluppo Mi sarebbe facile spiegare la ge-nesi del morbo, riunendomi a quella schiera, ormai fat-ta falange, di alienisti, che sostengono il concetto delladegenerazione, della deformazione della specie somaticae psichica, in seguito all’eredità morbosa, che andrebbesempre più progredendo nelle successive generazioni fi-no alla sterilità, schiera che esagera, anzi, questo concet-to, fino a contentarsi di uno dei segni degenerativi anchedei più insignificanti nell’organismo, per ammetterne l’e-sistenza.

Ma, in un’epoca in cui la scienza mira sempre all’anali-si, mi pare che questo concetto sia stato allargato di trop-po, comprenda troppe regioni del campo patologico, dalcretino fino al genio, dal sordomuto al canceroso, al tisi-co, per potersi ammettere, senza restrizioni; mentre, in-vece, trovo più accettabile quello dell’arresto di svilup-po che abbiamo veduto avere una base anatomica, e checi concilia l’atavismo colla morbosità, la quale insorge daciò, che appunto per l’arresto di sviluppo, alcuni organi,specialmente dei centri psichici imperfettamente nutriti,offrono alle occasioni esterne un locum minoris resisten-tiae, da cui si originano i fenomeni iperemici, infiamma-tori, pigmentazioni, ecc., e dall’altro le idee fisse che nel-le loro indefinite bizzarrie non lasciano più intravvedereuna connessione coll’atavismo.

E così si spiega l’infinita varietà nelle forme di delin-quenza e di pazzia morale – prodotta dall’arrestarsi unadata provincia dell’organismo, specie dei centri psichici

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– restando l’altre immutate o quasi; perché, come benemi appresero gli studi sulla fossa occipitale mediana nel-le varie razze (vedi sopra, pag. 188 ed Archivio, IV, pag.507) e sul mancinismo nelle nostre, se, in genere, le ano-malie atavistiche s’associano spesso l’una all’altra, pureve n’hanno di isolate in razze ed in individui, avanzatissi-mi nello sviluppo e che non offrono altre abnormità106 –e viceversa possono non trovarsi in razze basse: sicché nenasce un vero mosaico che non lascia intravvedere, cometutto faccia capo all’arresto di sviluppo anche quando sihan condizioni, come, per es., intelligenza grande, svi-luppo di statura e peso normale o maggiore del normale– che sembrano parlar chiaramente contro questo.

Ciò aiuta a spiegarci perché alcuni caratteri biologici,atavistici, singolarissirni si trovino in rei (p. es., manci-nismo nei truffatori) che non ne offrono di anatomici, ecome la perdita dell’affettività, che è il carattere salien-te del pazzo morale e del reo-nato, possa trovarsi senzaapparente lesione dell’intelletto.

E il fenomeno della colonia lineare, che lascia unatraccia nelle funzioni come nei tessuti dell’uomo delin-quente, fa che anche una sola, isolata, anomalia possa indati casi contare al pari di molte riunite, e presentarsimentre tutte le altre mancano.

Atavismo del delitto E l’arresto di sviluppo così ci con-cilia la malattia con quell’atavismo che vedemmo tan-to predominante. L’atavismo, resta, quindi, malgrado omeglio insieme alla malattia, uno dei più costanti carat-teri nei delinquenti-nati.

E mentre alcuni, specialmente stranieri, mal leggen-doci o mal comprendendoci, ci accusano ora di essereesclusivamente atavistofili, ora di essere esclusivamenteepilettofili nella genesi del delitto, non badando che leaccuse si elidono, ve ne hanno, per istrano evento, diquelli, e sono i più ed i migliori, che non possono darsipace che io, ammettendo l’atavismo, ammetta pure l’ori-

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gine patologica, l’epilettica, quasi questa escludesse quel-lo; e non pensano che perché l’atavismo si mostri in unorganismo attuale, bisogna che esso sia determinato dauna causa patologica.

Qui è bello il notare che coloro che più accanitamentee con maggior copia di fatti ci combattono a questo pro-posito, come il Féré, sono proprio essi che ci porgonoi fatti che meglio provano i rapporti dell’atavismo collapatologia; è precisamente il Féré che tentava dimostrarcifino nell’ernia un fenomeno atavistico107, così come nel-l’orecchio ad ansa.

Né d’altronde sarebbero questi i primi casi; nella mi-crocefalia, nel cretinismo, nei nervi pilari e nella ipertri-cosi, ecc., l’atavismo e la patologia si innestano insieme,e son spiegati da arresti di sviluppo che, alla loro volta,producono anomala nutrizione.

Chi pretende che la degenerazione escluda la forma-zione di tipi speciali (Féré), non pensa a quei tipi di de-generati che sono i cretini e gli idioti.

Si obbietta: Nei criminali non troviamo mai l’atavi-smo completo; e ve n’hanno che non sono niente canni-bali (Biswanger), né tatuati, ecc.: ma chi può credere al-l’esistenza dell’atavismo completo in razze ed individuiattuali?

Dell’atavismo non vediamo nell’uomo attuale che unaforma, che una parvenza parziale, altrimenti non avrem-mo sotto i nostri occhi un uomo, ma un mammifero; an-che nel cretino, anche nel microcefalo, o il viso, od il cra-nio, od il tronco sono normali. Ben è vero che per lalegge di correlazione e corrispondenza tra gli organi diGeoffroy Saint-Hilaire, o per la legge d’adattamento diDarwin, di raro una anomalia resta assolutamente isola-ta, ma più spesso s’associa ad altre, ma che sia generalela regressione atavistica è impossibile.

Atavismo Né, ben inteso, la fusione della pazzia mora-le coll’epilessia esclude l’atavismo. Tutte le malattie men-

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tali producono già una intermittente pazzia morale, mal’epilessia una più costante, più continua, essa che, insie-me ai motori, offende i centri psichici; e ciò perché si ar-resta o si perde prima quella attività la quale è comparsapiù tardi nell’organismo mentale dell’umanità.

Se una lesione del cervello abolisce la proprietà di ri-conoscere i colori, il primo colore a scomparire è l’ulti-mo venuto nel processo di differenziazione (il violetto).Ultimo a comparire il senso morale nella evoluzione delcervello, è primo a scomparire nella sua infermità.

Ma, notisi, non solo più costante, ma, direi, più chein tutti gli altri alienati, completo e caratteristico è l’ata-vismo degli epilettici, per la religiosità, che ha forme co-sì primordiali, per la ferocia, l’instabilità, l’impetuosità,per l’agilità, pel cannibalismo, per l’iracondia, precocità,ecc., ed anche per veri istinti animaleschi.

Gowers, notando alcuni atti frequenti negli epilettici,come abbaiare, miagolare, bere sangue, divorarsi col pe-lo animali vivi, come fece un bambino con un gatto dopoaverlo preso pel collo fra i denti, aggiunge: «Sembra chequeste siano manifestazioni di quella istintiva animalitàche possediamo allo stato latente» ( Epilepsie, London1880).

Confessione preziosa, perché in bocca ad un medicopratico che non aveva la più lontana idea di queste teorie.

Né vale il dire che i selvaggi non sono epilettici e chequindi da questo lato vien meno l’atavismo. Prima ditutto neanche i selvaggi hanno l’assimetria, la meningitecranica che noi trovammo infiltrarsi in mezzo ai caratteriveramente atavistici (della stenocrotafia, sclerosi, ecc.);e poi nessuno dei casi umani atavistici s’intende legatoad una completa riproduzione della categoria animaleod umana che essi richiamano, ma sì di alcuna delle sueparvenze. Così la Krao e la Gambardella riproducevanola distribuzione pilare delle scimmie inferiori, e la primala borsa-guanciale di alcune scimmie, come la seconda

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la steatopigia degli Ottentotti; le si dicono riproduzioniatavistiche; ma nessuno pretende per ciò che la Krao e laGambardella siano veri quadrupedi in tutto il resto delcorpo, o veri Ottentotti in carne ed ossa.

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Genio e follia

È bene una triste missione, la nostra, di dovere, colla for-bice dell’analisi, ad uno ad uno, sminuzzare, distruggere,quei delicati e variopinti velami, di cui si abbella e s’il-lude, l’uomo, nella sua boriosa pochezza, e non poteredar in cambio degli idoli più venerati, dei più soavi so-gni, che l’agghiacciato sorriso del cinico! Tanto, è fatale,anche, la religione del vero! Così il fisiologo non rifuggedal ridurre, a poco a poco, l’amore ad un gioco di stamie di pistilli... ed il pensiero ad un arido movimento dellemolecole.

Persino il genio, quella sola potenza umana, innanzia cui si possa, senza vergogna, piegare il ginocchio, fu,da non pochi psichiatri, confinato insieme al delitto, frale forme teratologiche della mente umana, fra le varietàdella pazzia.

Questa profanazione, spietata, non è, però, tutta ope-ra di soli medici, o frutto del scetticismo dell’età nostra.

Aristotile, il gran padre, ed ancora, pur troppo, il col-lega dei filosofi, notava, come sotto gli accessi congesti-vi al capo, «poeti divengano, profeti e sibille, molti indi-vidui, e come Marco Siracusano poetasse assai bene fin-ché era maniaco, e rinsanito dappoi, non sapesse più det-tar versi» ( De Pronost. 1, p. 7). Spesso, altrove egli ri-pete, «si osservò che gli uomini illustri nel canto, nellearti o nel governo erano melanconici e matti, come Aja-ce, o misantropi come Bellerofonte. Anche nelle recen-ti età vedemmo Socrate, Empedocle, Platone e più altri,

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dotati di questa natura; specialmente poi i poeti. Quelliche avevano la bile molle e fredda erano poltroni e stoli-di, quelli che l’avevano calda erano procaci, ingegnosi edeloquenti» ( Problemata. Sect. XXX).

Nel Fedro Platone afferma «essere il delirio tutt’altroche un male: essere un dei più gran doni dei numi; neldelirio le profetesse di Delfi e di Dodone resero ai citta-dini di Grecia mille servigi; mentre a sangue freddo essefecero assai poco di bene, anzi nulla del tutto. Qualchevolta accadde che quando gli dèi affliggevano i popolicon gravi epidemie, un santo delirio impadronendosi diqualche mortale, lo rendesse profeta e gli facesse trovareun rimedio a quei mali. Un’altra specie di delirio, quelloispirato dalle Muse, quando eccita un’anima semplice epura a rabbellire dei vezzi della poesia le gesta degli eroi,giova all’istruzione delle età future».

Certo l’osservazione di analoghi fatti, interpretati, poi,malamente, e ridotti, come dal volgo suolsi, in ubbie,indusse i popoli antichi a venerare i pazzi come personeinspirate dall’alto, del che, oltre la storia, fan fede leparole mania in greco, navi e mesugan in ebraico e nigratain sanscrito, in cui il senso di pazzia e di profezia trovasiconfuso ed assimilato.

Felice Plater asseriva aver conosciute persone, le quali,abbenché eccellessero in qualche arte, pure erano pazzee tradivano la loro stoltezza col ricercare, stranamente,le lodi con atti sconci e bizzarri; tra gli altri egli avevatrovato alla Corte un architetto e uno scultore celebre, edun musico insigne, che pure erano pazzi ( Observationesin Hom. Affect, 1641. Libr. 10, p. 305).

Pascal, più tardi, ripeteva, come l’estremo ingegno èassai prossimo all’estrema follia, e più tardi ne offriva inse stesso una prova.

Recentemente il Lelut nel Demone di Socrate, nell’A-muleto di Pascal e Verga nella Lipemania del Tasso,provarono, come fosservi stati uomini di genio, allucinati

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e maniaci, per lungo tempo; altri v’aggiunsero studî suSwift; su Lutero, su Cardano, su Brougham. Moreau,che predilige e sa cogliere i lati meno verosimili del vero,nella sua recentissima opera, la Psicologia morbosa, eSchilling finalmente nelle sue Psychiat. Briefe tentarono,con copiose, ma non sempre severe ricerche, stabilire,che il genio è sempre una nevrosi, anzi, a dirla schietta,una alienazione.

Se non che; – è egli giusto il precipitare dalla somma diquesti fatti la conclusione essere sempre il genio una neu-rosi, una pazzia? Ecco dove comincia l’errore; – vi han-no momenti, è vero, comuni nella tempestosa, e passio-nata carriera degli uni e degli altri; comune è in essi l’e-saltamento, intermittente, della sensibilità, e il suo conse-cutivo esaurimento; vi hanno individui di genio, che so-no o diventano pazzi; vi ebbero pazzi che diedero i lam-pi di genio; ma il volere dedurne, che tutti i genî debba-no essere pazzi, è uno storpiare, per troppa fretta, i giu-dizî, rifacendo l’errore dei selvaggi, che adorano, comeesseri inspirati da Dio, tutti gli alienati. Se uno, osser-vando la corea dei ciechi del nostro Puccinotti, corea incui si imita il moto di chi suona il violino, e collegando-la colla frequenza di bravi violinisti fra i ciechi, conclu-desse, che tutta l’abilità nel violinista consiste in una co-rea, non commetterebbe bizzarrissimo errore? Potrà be-nissimo darsi che quella corea giovi molto al suonatore,e potrà darsi, che molti anche la contraggano ripetendoquei movimenti, ma non perciò dedurrassi, che coreico eviolinista siano la stessa cosa.

Se il genio è sempre un’alienazione, come spiegheretevoi che Galileo, Kepler, Colombo, Voltaire, Napoleone,Michelangelo, uomini che, oltre il genio, ebbero a sop-portare grandi e troppo reali sventure; non dessero il piùlieve segno d’alienazione?

Che se noi vediamo parecchi matti far mostra di gran-de intelligenza – noi, poi, li vediamo, anche più spesso,

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incapaci di seria applicazione e di stabilità di carattere,d’attenzione, di memoria, che sono le doti essenziali on-de si feconda l’ingegno. – Dessi vivono isolati, insocie-voli, indifferenti, insofferenti della vista degli altri, quasirespirassero una loro, tutta propria, e speciale atmosfera.

Se noi, poi, analizziamo, per bene, la vita e l’opere diquei grandi ingegni malati, di cui rumoreggia la storia,troviamo come essi distinguansi, per nettissimi tratti,dagli altri genî, che percorsero, netta d’ogni follia, lagrandiosa parabola della lor vita.

Quanta differenza non havvi tra essi e gli altri grandiche, fiduciosi, sereni, completarono la parabola dell’in-tellettuale carriera, cui non iscuotea la sventura, né deviòla passione!!!

Tali furono Spinoza, Bacone, Galilei, Dante, Voltaire,Colombo, Machiavelli, Michelangelo e Cavour. – Nonve n’è uno, che non abbia mostrato nell’ampio, ma nel-lo stesso tempo armonico volume del cranio, la forza delpensiero, frenata dalla calma dei desideri; non uno cui lagrande passione del vero e del bello abbia soffocato l’a-mor di famiglia e di patria. – Essi non mutarono mai difede o di carattere, non divagarono mai nello scopo; nonlasciarono a mezzo, mai, l’opera loro. Quanta compat-tezza, quanta fede, quanta efficacia non mostrarono es-si nelle loro imprese, e sopratutto quanta moderazione equanta unità di carattere non serbarono nella loro vita!

E bene, anch’essi dovettero provare, oh! Pur troppo,ed il sublime eretismo dell’estro, e la tortura dell’odioignorante, e lo sconforto del dubbio o dell’esaurimento,ma essi non deviarono, mai, perciò, dal retto cammino.

La sola, l’accarezzata idea, scopo e trionfo della lorovita, per la quale ognun d’essi pareva nato, quell’idea,fatto centro d’ogni loro sforzo, essi la condussero a ter-mine, senza lagnarsi degli ostacoli, sempre calmi e sicu-ri, non commettendo che pochissimi errori – errori, chesarebbero scoperte per un uomo volgare.

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Concludiamo: V’hanno tra la fisiologia dell’uomo digenio e la patologia dell’alienato non pochi punti di coin-cidenza. – V’hanno pazzi di genio e genî alienati. – Mav’hanno e v’ebbero moltissimi genî, che, meno qualcheanomalia della sensibilità, giammai patirono d’alienazio-ne. – Anzi, quasi tutti i genî alienati hanno caratteri loroproprî e speciali.

Intanto con queste analogie e coincidenze tra i feno-meni degli uni e degli altri, pare abbia voluto apprender-ci la natura a rispettare quella somma delle umane sven-ture, ch’è la follia; ed a non lasciarci, d’altra parte, abba-gliare dalla luminosa parvenza dei genî, che invece di ele-varsi sulla gigantesca orbita delle sfere, potrebbero, po-vere e perdute stelle cadenti, affondarsi entro la cortecciadella terra, fra precipizî ed errori.

Se noi colla scorta delle autobiografie e della osserva-zione, indaghiamo più addentro, in che distinguasi la fi-siologia d’un uomo di genio da quella d’un uomo volga-re, noi troviamo, che, in grandissima parte, la prima si ri-solve in una squisita, ed, alle volte, pervertita, sensibilità.Il selvaggio e l’idiota sentono pochissimo i dolori fisici;hanno poche passioni, e avvertono soltanto quelle sensa-zioni, che più direttamente li interessano, per i bisognidell’esistenza. Quanto più si procede nella scala morale,cresce la sensibilità, che è massima negli elevati ingegni,ed è fonte delle loro sventure come dei loro trionfi; sen-tono ed avvertono più cose e più vivacemente, che nongli altri uomini; – e più tenacemente, e più cose ricorda-no e nella mente combinano. Le parvenze, gli accidentiche il volgo vede e non nota, sono da loro sorpresi, ravvi-cinati, per mille e mille guise, che l’uomo chiama creazio-ni; e non sono che combinazioni binarie e quadernarie disensazioni.

Haller scriveva «che mi rimane altro, se non la sensi-bilità, questo forte sentimento, che è un effetto del tem-peramento che subisce con vivezza le impressioni dell’a-

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more, le meraviglie della scienza? Anche ora, mi movele lagrime il leggere un fatto generoso! Questa sensibili-tà diede, certo, alle mie poesie un tono appassionato, chealtre non hanno» ( Tagebuch, 2°, 120).

Per questa esagerata e concentrata sensibilità così dif-ficile ci riesce il persuadere o dissuadere tanto i pazzi co-me i grandi uomini. Gli è che le radici dell’errore, comequelle del vero, piantaronsi in essi più profondamente epiù numerose che non negli altri uomini, pei quali l’opi-nione è come una veste, un affare di moda o di circostan-za; il che ci apprende da un lato la poca utilità della curamorale nei pazzi, ci insegna dall’altro a non credere maiciecamente, – nemmeno ai grandi uomini.

Questo esaurimento e questo concentramento eccessi-vo della sensibilità e certo la causa di quegli atti bizzarridi apparente od intermittente anestesia ed analgesia, chei grandi ingegni hanno comune coi matti. Così si narradi Newton, che un giorno caricasse la pipa col dito d’u-na sua nipote, e che quando esciva dalla camera per cer-care un oggetto, vi ritornava sempre senza di quello ( Li-fe. Brewster, 1856) – e si narra di Tucherel, che una vol-ta si fosse dimenticato perfino del proprio nome (Arago,111).

Beethoven e Newton messisi a compor musica l’uno,a risolvere un problema l’altro, dimenticarono così com-pletamente di aver fame da sgridare i servitori perché lo-ro andassero apprestando del cibo mentre reputavanoavere già pranzato.

Il Gioia, nella foga del comporre, scrisse un capitolosul tavolato dello scrittoio invece che sulla carta. –L’abate Beccaria, tutto preoccupato delle sue esperienze,si lasciò sfuggire, nella messa di bocca: Ite, experientiafacta est.

San Domenico, trovandosi ad una cena principesca,tutto ad un tratto gridò, battendo sul desco: Conclusumest contra Manichaeos.

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Senso comune e degenerazione Obbiettanmi alcuni:«che il genio deve essere il massimo dell’equilibrio e del-lo sviluppo mentale, che la genialità indica, superiorità,eccellenza, ipersviluppo dei poteri umani, che nel genioha luogo una specificazione, talvolta eccessiva, di alcu-ni di questi poteri umani: che qui la variazione indivi-duale, per rapporto al tipo medio non è sempre un’ati-pia néun arresto (come porterebbe la dottrina della de-generazione), ma un grado più avanzato, per così dire, diumanizzazione»; e che quindi doveva conchiudersi l’in-verso di quanto io tentavo dimostrare (Morselli). Sono leesplosioni del buon senso.

Ma costoro fingono di ignorare che tali problemi nonsi possono risolvere aprioristicamente partendo da qual-che ingegnosa premessa, a guisa dei fisiologi e dei meta-fisici d’un tempo, ma dall’esame dei fatti.

Una volta che i fatti da ogni parte ci dimostrano l’esi-stenza quasi generale di uno squilibrio, di un arresto par-ziale di sviluppo da un lato, che compensano gli sviluppidall’altro lato, è inutile schermeggiare su basi aprioristi-che, fossero anche sostenute, anzi, perché sostenute dalsenso comune. E non v’è scienziato che non abbia pro-vato come ogni volta egli s’affacci ad un grande proble-ma da risolvere, bisogna combattere, non seguire il buonsenso, ed il senso comune, che tracheggiando terra ter-ra fra le umili alghe, non può alzarsi a quelle elevatissi-me sintesi in cui sta la scoperta del vero; col buon sen-so, col senso comune troverete che la terra sta ferma, chel’elettricità, il calore, il magnetismo, la luce non possonoessere la manifestazione della stessa energia, che la crea-zione avvenne d’un tratto e dopo cataclismi spaventevoli:ebbene, è il contrario che la scienza conchiude.

D’altronde, l’idea della nevrosi degenerativa, che sa-rebbe la base del genio, se ripugna a primo aspetto, achi vede accumulati insieme due termini apparentemen-te opposti, come il massimo della grandezza umana e la

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sua più bassa degradazione, non ripugna più quando sipensi che la degenerazione nel senso della moderna psi-chiatria e anche della zoologia moderna, è ben diversadal concetto comune.

Recenti ricerche, specie le teratologiche di Gegen-bauer, ci hanno indicato che molte regressioni sono com-pensate da un grande sviluppo in altre direzioni, e si as-sociarono perfino ad una nobilitazione, ad un aumento,diremo, di grado: i rettili hanno più coste, più vertebre,le scimmie più muscoli ed un organo intero (la coda) piùdi noi, che perdendo quei privilegi, ne acquistammo benaltri.

Posto, ogni ripugnanza, aprioristica, ad ammettere quila degenerazione cessa ad un tratto. Come i giganti del-la statura pagano il fio della loro grandezza colla sterili-tà e colla relativa debolezza intellettuale e muscolare, co-sì i giganti del genio pagano il fio della loro potenza in-tellettuale colla degenerazione e colla follia; e perciò i se-gni degenerativi sonvi più frequenti che non, forse, neipazzi.

Coloro che hanno troppo buon senso – non sentonoche questo distrugge ogni grande vero, poiché al verosi giunge più per le vie remote che per le vie piane enormali – mi si obbietta pure: «Molti di questi, difettiche voi appuntate ai grandi uomini, li hanno tutti, anchei non genii». È verissimo, ma è nella qualità e quantitàloro che spicca il carattere anormale. È sopratutto nellacontraddizione con tutto l’insieme degli altri caratteridella loro personalita, che sorge l’anomalia.

Per quanto il paradosso che confonde il genio collanevrosi, sia crudele e doloroso, pure, esaminandolo an-che da alcuni punti di vista sfuggiti ai più recenti osserva-tori, non manca, come parrebbe in sulle prime, di solidofondamento.

Una teoria, infatti, da alcuni anni si è fatta strada nelmondo psichiatrico, che ammette come una buona parte

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delle affezioni psichiche e anche delle somatiche, sia ef-fetto della degenerazione, dell’azione, cioè, dell’eredità,nei figli di bevoni, di sifilitici, di pazzi, di sordi, di tisici,ecc., o dei colpiti da altra causa accidentale, grave al pa-ri di queste, come quella del mercurio, dei traumi al ca-po, di forti patemi che alterando profondamente i tessu-ti, perpetuano le nevrosi o gli altri morbi nel paziente, equel che è peggio li aggravano, nei suoi discendenti, fi-no a che la projettoria sempre più celere e più fatale del-la degenerazione non è arrestata dal suo stesso eccesso,dalla completa idiozia e dalla sterilità.

Gli alienisti fissarono alcuni caratteri, che più fre-quentemente, benché non costantemente, accompagna-no queste fatali degenerazioni. Sono moralmente: l’a-patia, la perdita del senso morale, la frequente tendenzaimpulsiva o dubitativa, le ineguaglianze e le sproporzionipsichiche per eccesso di alcune facoltà (memoria, gustoestetico) e difetto di altre (calcolo, per esempio), esagera-to mutismo, o verbosità, vanità pazzesca, ecc.: l’eccessi-va originalità e l’eccessiva preoccupazione della propriapersonalità: l’interpretazione mistica dei fatti più sempli-ci, l’abuso dei simboli, delle parole speciali che diventa-no alle volte il modo esclusivo d’esprimersi; – nel fisico:le orecchie ad ansa, la scarsa barba, i denti male impian-tati, le assimetrie della faccia e del capo, frequentemen-te questo di enorme o scarso volume, la precocità i ses-suale, la piccolezza e le sproporzioni del corpo, il manci-nismo, la balbuzie, la rachitide, la tisi, la eccessiva fecon-dità neutralizzata poi dagli aborti, o la completa sterilità,preceduta da anomalie sempre maggiori nei figli. – Cer-tamente, non pochi qui esagerarono, sopratutto coloroche da un solo di questi reperti vennero alle conclusionidella degenerazione108.

Statura E, prima di tutto, è notevole nei genii la fre-quenza dei caratteri fisici, degenerativi, mascherati solodalla vivacità dei tratti del volto e più dal potente presti-

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gio della fama che ci diverge dall’attendervi e dal darviimportanza.

Il più semplice, che aveva già colpito i nostri vecchi,ed è passato in proverbio, è la piccolezza del corpo.

Famosi per piccola statura, oltre che per genio, fu-rono Orazio (lepidissimum HOMUNCULUM dicebat Au-gustus), Filopemene, Narsete, Alessandro (Magnus Ale-xander corpore parvus erat), Aristotele, Platone, Epicuro,Crisippo, Laertio, Archimede, Diogene, Balzac, Thiers,Louis Blanc, Ippoponace, Epitteto che soleva dire: Chison io? Un piccolo uomo; fra i più moderni Erasmo,Socino detto l’Ometto, Linneo, Lipsio, Gibbon, Spino-za, Hay, Montaigne che scriveva: Je suis d’une tailleau-dessous de la moyenne, Mezeray, Lalande, Beccaria,Von Does, detto il Tamburo perché alto quanto un tam-buro; e così Pietro de Laer, detto perciò il Bamboccio,Lulli, Pomponazzo, Cujacio. Baldini era piccolissimo epiccoli erano Niccolò Piccinini, Dati filosofo, e quel Bal-do che rispondeva al motto di Bartolo: Minuit presentiafama coll’Augebit coetera virtus; infine Marsilio Ficino dicui si disse: Vix ad lumbos viri stabat. Alberto Magnoera di così piccola statura che ammesso dal Papa al ba-cio del piede, questi gli ordinava di alzarsi credendo chefosse in ginocchio. Pope che doveva sedere a tavola conun cuscino sopra la sedia.

Invece, di grandi uomini d’alta statura non mi soccor-re alla mente se non Volta, Petrarca, D’Azeglio, Helmol-tz, Foscolo, Bismarck, Monti, Mirabeau, Dumas padre,Schopenhauer, Lamartine, Voltaire, Pietro il Grande, Ri-beri, Panizza, Carlyle, Washington, Flaubert, Tourgue-neff, Krapotkine, Tennyson, Whitmann.

Rachitici, gobbi, zoppi, piedivalghi erano Esopo, Cra-te, Aristomene, Tirteo, Agesilao, Pope, Leopardi, Scar-ron, Talleyrand, Walter Scott, Owen, Byron, Dati, Bal-dini, Goldsmith, Parini, Brunelleschi, Magliabecchi.

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Il pallore fu detto il colore dei grandi. Pulchrum subli-mium virorum florem (S. Gregorio, Orationes, XIV). Orè accertato dopo Marro109 che questo è uno dei caratteridegenerativi più frequenti nei pazzi morali.

Magrezza Lo sperpero dei fosfati, e più ancora quel-la legge di compenso delle forze e della materia, che do-mina in tutto il mondo vivo, ci spiega altre anomalie piùfrequenti, come la precoce canizie e calvizie e la macilen-za del corpo, e la scarsa attività genesica e muscolare, chesono proprie degli alienati e che, pur assai di frequente,occorrono nei grandi pensatori.

Cranii e cervelli Frequenti furono in essi le lesioni delcapo e del cervello: il celebre romanziere dell’Australia,Clark ( Revue Britannique, 1884) toccò da bimbo uncalcio di cavallo che gli fracassò il cranio e così si narradi Vico, di Gratry, di Mabillon, di Clemente VI, diMalebranche e di Cornelio detto perciò A Lapide; questiultimi due anzi, sarebbero da imbecilli diventati geniali,dopo il trauma.

Dissomiglianze Quasi tutti differiscono tanto dal pa-dre che dalla madre (Foscolo, Michelangelo, Giotto,Haydn). E questo è uno dei caratteri trovati nei dege-nerati.

È per questo che parecchi genii si assomigliano fraloro, benché appartengano a tempi e a razze diverse,p. es. tra Casti, Sterne e Voltaire, e tra Giulio Cesare,Napoleone, Giovanni dalle Bande Nere; mentre moltevolte differiscono dal tipo del loro paese, succedendoqui, benché con linee nobilissime, e quasi sovrumane(altezza del fronte, sviluppo notevole del naso e delcapo, vivacità grande dello sguardo), quello che perlinee ignobili accade del cretino, del criminale e spessodel pazzo. Humboldt, Virchow, Bismarck, Helmoltz,Holtzendorf non hanno fisonomia tedesca. Byron nonaveva fisonomia né carattere inglese. Manin non avevafisonomia veneziana, né D’Azeglio, né Alfieri faccia e

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carattere piemontese. Carducci non ha fisonomia italica.Però qui vi sono notevolissime e frequenti eccezioni.Michelangelo, Leonardo da Vinci, Raffaello, Cellini sonotipi italiani.

Precocità Un altro carattere, che il genio ha comunecolla pazzia e più colla pazzia morale, è la precocità.Comte e Pascal erano grandi pensatori a 13 anni ( RevuePhil., 1887, p. 72). Raffaello era grande a 14 anni.Restif de la Brétonne a 4 anni avea letto molti libri, a 11aveva sedotto ragazze, a 14 componeva un poema sulleprime sue dodici maîtresses. Eichorn, Mozart, Eybler,G. Crotsh tennero concerti a 6 anni110. Bacone a 15 anniaveva concepito il Novum Organum (Ribot, op. cit.).

Rameau imparò la musica contemporaneamente al lin-guaggio; a 7 anni suonava mirabilmente, in iscuola riem-piva i quaderni di composizioni musicali – ne fu scudi-sciato per ciò, ma senza effetto. Durante le battiture, di-ceva egli scherzando, piangeva in cadenza.

Dettero prove d’ingegno grande: Fournier a 15 anni,Niebhur a 7, Gionata Edwards a 12, Michelangelo a 19,Voltaire a 13. Gassendi predicava a 4 anni, Bossueta 12. Goethe al 10 anni conosceva parecchie lingue,Meyerbeer a 5 anni suonava benissimo al pianoforte.Ennio Quirino Visconti eccitava l’ammirazione a 16 mesie predicava a 6 anni. Mirabeau a 10 anni pubblicava deilibri e faceva dei discorsi a 3 anni; Haendel a 19 anni eragià Direttore del teatro di musica di Amburgo.

Il poeta Pope era piccolo, delicato, malaticcio, ne ave-va gusto che per i libri. Copiando le lettere imparò a scri-vere; passò l’infanzia nella lettura e si trovò poeta quasidacché seppe parlare (Taine, Hist. de la Littér. Angl., II);a 12 anni aveva composto una tragedia sull’Iliade e un’o-de sulla solitudine, da tredici a quindici anni un grandepoema epico di quattro mila versi, l’Alcandre.

Precocità atavistica Questa precocità è atavistica. Dé-launay, in una comunicazione alla Società francese di

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Biologia, affermò che la precocità indica inferiorità bio-logica e addusse a prova i bambini Esquimesi, Negri, Co-cincinesi, Giapponesi, Arabi; anche nella scala zoologicale specie più basse sviluppansi più rapidamente che quel-le d’ordine più elevato; l’uomo è il più lento di tutti nellosviluppo, arriva più tardi alla maturità, e la donna primadell’uomo.

E questa precocità si lega alla frequenza della pazzianel genio e la conferma.

Misoneismo111 E, al pari degli uomini volgari, dei bim-bi e degli idioti, essi, che creano nuovi mondi, sono es-senzialmente misoneici; portano un’enorme energia nelrifiutare le nuove scoperte degli altri, sia perché la satu-razione, direi, del loro cervello non permetta altra sopra-saturazione, sia che, avendo acquistato una specie di sen-sibilità specifica per le proprie idee, non sieno più sensi-bili per quelle degli altri.

Così lo Schopenhauer, che pur fu uno dei più grandiribelli in filosofia, non ha che parole di pietà e di sprez-zo per i rivoluzionari politici; sentiva, in questo, così vi-vamente, che legò tutta la sua vistosa fortuna a favore dicoloro che nel 1848 avevano contribuito a reprimere col-l’armi i nobili conati rivoluzionari.

Federico Il, che inaugurava una politica tedesca, e vo-leva iniziare un’arte e letteratura nazionale, non sospettònemmeno, il valore di Herder, di Klopstock, di Lessing,di Goethe ( Rev. Des Deux Mondes, 1883, pag. 92); egliaveva tale ribrezzo di cambiarsi gli abiti che non ne ebbein tutta la vita più di due o tre.

Incoscienza. Istantaneità La coincidenza del genio col-la follia e colle alterazioni cerebrali, giova a spiegarci lagrande incoscienza, l’istantaneità, e l’intermittenza dellesue creazioni che gli dànno una forte analogia (di che ve-dremo poi l’importanza grandissima) coll’accesso epilet-tico – e ce ne segnano tutta la distanza dal talento.

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«Il talento, dice Jurgen Meyer ( Genie und Talent,1875) si conosce da sé; sa come e perché concluse aduna data teoria; non il genio, che ignora perché e comevi giunse. – Nulla di più involontario dell’idea geniale».

«Uno dei caratteri del genio (scrive Hagen) è l’impul-siva irresistibilità dell’atto. Come l’istinto trae l’anima-le ad alcuni atti anche a pericolo della vita, così il ge-nio, quando è pieno della sua idea, è nell’impossibilitàdi pensare ad altro. Napoleone, Alessandro conquistanonon per amore della gloria, ma per obbedire ad un po-tente istinto, e così il genio scientifico non ha posa, e lasua attività sembra, ma non è, effetto di libera volontà. Ilgenio crea non perché voglia, ma perché deve creare».

Lamartine dicea spesso: «Non sono io che penso, sonle mie idee che pensano per me» (Ball, Leçons des mal.Mentales, 1881).

Lo stesso Alfieri, che si diceva un barometro, tantovariava di capacità nel poetare, secondo la stagione, asettembre non ebbe forza di resistere ad un nuovo, omeglio, rinnovato impulso naturale fortissimo, che gli sifece sentire per più giorni; ei finalmente dovette cedergli,scrivendo sei commedie ( Vita).

In un suo sonetto ( Un vecchio in bianca veste) il pro-fessore Teza, che ne sviscerò gli autografi, trovò questanota di suo pugno: «A spasso non volendolo fare».

Montesquieu abbozzò il suo Esprit des Lois in unavettura.

In Alfieri, Goethe, Ariosto la produzione avvenivaistantanea; spesso nello svegliarsi della notte (Radestock,p. 42).

Questa specie di dominio dell’inconscio nel genio fuavvertita del resto già da molti anni.

Socrate ( Apolog.) notò, primo, che i poeti creano, nonper scienza inventiva, ma per un ceno istinto naturale,«come gli indovini predicono, perché dicon cose sì belle,ma non hanno coscienza di quello che dicono».

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«Tutti gli atti del genio, scrive Voltaire a Diderot,sono effetti dell’istinto. Tutti i filosofi del mondo unitiinsieme non potrebbero far l’ Armida di Quinault, o gliAnimali malati di peste, che dettava La Fontaine, senzaben sapere cosa si facesse: Corneille fece la scena degliOrazii, come un uccello il suo nido».

I concetti più grandi, dunque, dei pensatori, prepa-rati, per dire così, dalle già ricevute sensazioni e dallosquisitamente sensibile organismo, scoppiano d’un trat-to, o svolgonsi, come direbbesi ora, per cerebrazione in-cosciente (e ciò spiega le profonde convinzioni dei pro-feti, dei santi e dei demoni), come gli atti impulsivi deipazzi.

Il genio indovina quasi i fatti prima di conoscerli ap-pieno, come Goethe, che descriveva l’Italia tale e qualeprima di averla veduta, che prevenne Darwin nella sco-perta dell’origine delle specie.

Codesta originalità si osserva anche, non di raro, ben-ché quasi sempre senza scopo, nelle azioni dei matti (co-me presto vedremo), e specialmente dei letterati, i quali,per ciò solo, giungono qualche volta alle divinazioni delgenio, come Bernardi, che, al manicomio di Firenze nel1529, volle provare che le scimmie avevano un linguag-gio (Delepierre, Histoire littéraire des fous, Paris, 1860).E gli uni e gli altri hanno, in grazia di quella dote fata-le, la stessa ignoranza delle necessità della vita pratica,sempre, per essi, meno importanti dei loro sogni, e insie-me l’abito del disordine che rende loro sempre più fatalequesta ignoranza.

Persecuzione dei genii Ed appunto per queste veduteche vanno più innanzi delle comuni, e, perché il genio,occupato in ricerche troppo sublimi, non ha l’abitudinedelle volgari, e perché, come il pazzo, ed al contrario deltalento (Bettinelli, op. cit., 1878), è spesso disordinato,i genii sono disprezzati e misconosciuti dai più, i qua-li non vedono i punti intermedi che li soccorsero nella

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creazione, ma vedono, sì, la differenza dalle loro conclu-sioni a quelle ammesse dagli altri e la bizzarria della lorocondotta.

Follia morale Più frequente è nel genio un sintomo cheè particolare alla così detta follia morale ed all epiessia: lamancanza quasi completa d’affettività e di senso morale.

«L’artiste, selon moi, est une monstruosité, quelque-chose hors nature; tous les malheurs dont la Providen-ce l’accable lui viennent de l’entètement qu’il a à nier cetaxiome: il en souffre et en fait souffrir. Qu’on interrogelà-dessus les femmes qui ont aimé des poètes et les hom-mes qui ont aimé des actrices» (Flaubert, Correspondan-ce, 1889).

Anche del genio si disse, come del pazzo, che nasce emuore solitario, freddo, insensibile agli affetti di famigliae ai convegni sociali.

«Le génie est une orrible maladie. Tout écrivain por-te en son cœur un monstre qui, semblable au taeniadans l’estomac, y dévore les sentiments à mesure qu’ilsy éclosent. Qui triomphera? La maladie de l’homme, oul’homme de la maladie? Certes il faut être un grand hom-me pour tenir la balance entre son génie et son caractè-re. Le talent grandit, le cœur se dessèche. À moins d’ê-tre un colosse, à moins d’avoir des épaules d’Hercule, onreste ou sans creur, ou sans talent» (Balzac, Scènes de lavie de Province, tom. II, pag. 126).

Del resto, chi assiste nelle Accademie e nelle FacoltàUniversitarie ad un’accolta di uomini che non sieno puregeniali, ma solo eruditi, si accorge subito che il pensierodominantevi è il reciproco disprezzo e l’odio anzi control’uomo di genio o chi vi s’avvicina.

È un sentimento così uniforme che non ha bisognonemmeno di accordi preventivi: emerge spontaneo e per-dura per la vita intera d’un uomo. Che se gli interessi, idoveri del mondo, la menzogna convenzionale, divenutafortunatamente una seconda natura, ne smorzano e sof-

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focano gli scoppi, basta attendere un’occasione favore-vole, come i processi di... a Pa... a, ecc., per vederlo anudo in tutta la sua triste energia.

Il genio, a sua volta, sprezza tutti: e tanto più credesiin diritto di ridersi di ognuno, quanto meno tollererebbedi essere non solo deriso, ma nemmeno tocco dalla piùlieve critica: ed anzi si offende delle lodi fatte altruicome di un biasimo diretto a lui stesso. Onde non trovinelle Accademie d’accordo i migliori che nel lodare unsolo... il più ignorante di tutti. Abbiam visto poco soprache Chateaubriand si offendeva al veder lodato il suocalzolaio. Io conobbi un filologo che spifferava cogliamici i loro difetti, esagerandoli fin all’insulto; ma se unodi questi s’attentava alla critica più leggiera dei suoi attipiù censurabili, andava in gravi escandescenze.

Longevità Questa morbosa apatia, questa diminuzio-ne di affettività che corazzano il genio dalle molte offe-se, le quali in breve polverizzerebbero quelle fibre tan-to dure e tanto fragili, spiegano la grande longevità deigenii, malgrado la iperestesia loro in altre direzioni. Es-sa fu notata infatti in 134 su 143: Sofocle morì a 90 an-ni, Petrarca a 90, Erodoto a 75, Pericle a 70, Tucidide a69, Ippocrate a 103; ma ciò non esclude la degenerazio-ne, quando questa, come nei pazzi morali, si congiunga aquella apatia che rende anestetiche quelle tempre mobi-lissime ai dolori più forti, onde è che io dimostrai ( Hom-me criminel, 1884) che i criminali nati fuori del carceresarebbero più longevi. Aggiungiamo del resto che la lon-gevità non è generale; e 9 fra i genii sommi, come Raf-faello, Burns, Byron, Mozart, Pascal, Bichat, Pico dellaMirandola, Mendelssohn, Bellini, ecc., morirono avanti i40 anni. Fontenelle a 100.

Il Fiorentino ci dà l’età precisa di 35 fra i musici ce-lebri. Orbene la loro età media raggiunse la bella cifradi 63 anni e 5 mesi: cinque morirono prima di aver rag-giunto gli anni 40; nove tra 41 e 60 anni; diciotto tra 61 e

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80 e tre da 81 a 90. Epperò sembra che i musici raggiun-gano un’età non solo superiore agli uomini normali, maanche a quella trovata per gli altri uomini di genio, e adogni modo conferma quanto io scrissi.

Beard calcolò la vita media di 500 genii a 64 anni –quella anzi di 100 genii moderni di 70 anni – mentrela media normale moderna è di 51. Questo caratteresi estende anche alle classi intelligenti, che sono anchepiù longeve, i preti 64, i legali 58, i medici 57; è stranoche dopo aver addotto questi fatti egli non li spieghicoll’anestesia morale lasciata dalla nevrosi, ch’ei pureammette. È giusta l’altra causa, poi, che ne adducedella longevità dei genitori dei genii: io aggiungo chequesta longevità mi conferma la frequenza dei genitorivecchi nei genii. Ed essa è ad ogni modo un fenomenoatavistico.

Caratteri speciali degli uomini di genio, che furono,nello stesso tempo, alienati. Se noi, infatti, analizziamola vita e le opere di quei grandi ingegni malati, di cuirumoreggia la storia, troviamo come essi, sulle prime,distinguansi, per molti tratti, dall’uomo medio e anche inparte dagli altri genii, che percorsero, netta d’ogni follia,la grandiosa parabola della lor vita.

Questi genii alienati non hanno, infatti, pressochépunto carattere. – Il carattere intero, completo: Che mainon piega per soffiar dei venti, è il distintivo degli uominionesti, completi.

Invece il Tasso declama contro le corti, eppure, finoall’ultima ora, ritorna a mendicarne gli scarsi favori. –Cardano s’accusa, egli stesso, di bugiardo, maldicente egiuocatore. – Rousseau, pur sì sensibile, lascia nell’ab-bandono la più tenera e benefica amica; fa getto de’ fi-gliuoli; calunnia gli altri e se stesso, e si fa tre volte apo-stata della religione cattolica, della protestante, e, quelche è peggio, di quella dei filosofi.

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Swift, ecclesiastico, scrive l’osceno canto degli amoridi Strafone e Clöe, denigra la religione onde è dignita-rio; demagogo, propone la carne umana come succeda-neo del pane; orgoglioso fino al delirio, si trascina nellebettole fra gli scozzoni.

Lenau, credente fino al fanatismo nel Savonarola, simostra, negli Albigesi, scettico fino al cinismo; lo sa, loconfessa, e ne ride.

Schopenhauer gode delle persecuzioni inflitte a Mo-leschott; declama contro la donna e ne è troppo caldoamatore; professa la felicità del nirvana e poi si predicepiù di cento anni di vita.

Il genio sente se stesso, si apprezza e non possiede,certo, la fratesca umiltà; tuttavia l’orgoglio, che cuoceentro quei cervelli malati, supera la misura del vero edel verosimile. – Tasso e Cardano, copertamente, eMaometto, apertamente, dichiarano di essere ispirati daDio; le più lievi critiche, quindi, alle loro opinioni sonomortali persecuzioni. (pp. 534-351)

Quasi tutti costoro erano preoccupati, dolorosamen-te, da dubbii di religione, cui suscitava la mente e com-batteva, come delitto, la paurosa coscienza ed il cuoreammalato (pag. 76). – Tassò era tormentato dalla pau-ra d’esser eretico. Ampère diceva sovente i dubbi esserela peggiore tortura dell’uomo. – Haller lasciò scritto nelsuo giornale: «Mio Dio, dammi, dammi, dammi una stil-la di fede; la mia mente crede in te, ma il mio cuore si ri-fiuta; questo è il mio delitto». – Lenau ripeteva negli ul-timi anni: «Nelle ore in cui il cuore mio sta male, l’ideadi Dio mi vien meno». L’eroe infatti del suo Savonarolaè il dubbio (Schurz, I, 328), e l’ammettono ormai tutti isuoi critici.

Tutti quanti, poi, i genii alienati s’occupano e preoc-cupano del proprio io, e conoscono e proclamano, allevolte, la propria malattia, e quasi sembrano volere, con-fessandola, trarre conforto dai suoi inesorabili colpi.

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Era naturale cosa, ch’essi, grandi uomini, e quindiacuti osservatori, finissero per avvertire anche le propriecrudeli anomalie e restassero colpiti dallo spettacolo delproprio io, che loro, in sì dolorosa guisa, si parava dinan-zi. Tutti gli uomini, in genere, ma i matti più che tut-ti, amano parlare di sé medesimi, ed in questo argomen-to diventano eloquenti [...]; ora tanto più devono riescir-vi coloro in cui il genio s’accoppia e vivifica colla mania.Si hanno, allora, quegli scritti maravigliosi di passione edi dolore – monumento di poesia frenopatica, in cui do-vunque spicca la grande ed infelice persona dello scritto-re!

Ma il carattere più particolare della follia di costoroparmi si possa ridurre ad un’estrema esagerazione di queidue stadî alterni, di eretismo e di atonia, – di estro e diesaurimento, che noi vedemmo manifestarsi fisiologica-mente, in pressoché tutti i grandi intelletti, anche i piùsani, – stadî che essi ugualmente male interpretano, aseconda dell’orgoglio solleticato od offeso. – «Un ani-mo pigro che si spaventa ad ogni affare, un temperamen-to bilioso, facile a soffrire, e sensibile ad ogni molestia,non pare possano combinare in uno stesso carattere, ep-pure formano il fondo del mio», confessa Rousseau nel-la sua Lettera II. Quindi, spesso, a modo dell’ignoran-te, che spiega, con oggetti materiali ed esterni, le modi-ficazioni del proprio io, essi attribuiscono ad un diavolo,ad un Genio, ad un Dio, la felice ispirazione dell’estro.– Tasso, parlando del suo folletto, o genio, o messagge-ro che fosse: «Diavolo, dice, non può essere, perché nonmi ispira orrore delle cose sacre, ma natural cosa neppu-re, perché mi fa nascere idee che prima non aveva maiavuto». – Un Genio ispira a Cardano le opere, le cogni-zioni nelle cose spirituali, i consulti, a Tartini la sonata,a Maometto le pagine del Corano. – Van-Helmont asse-riva aver veduto comparirsi innanzi un Genio in tutte lecircostanze più importanti della sua vita; nel 1633 scoprì

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la propria anima sotto forma di un risplendente cristallo.– Lo scultore Blake spesso si ritirava in riva al mare perconversare con Mosé, Omero, Virgilio, Milton, che cre-deva aver dapprima conosciuti, e a chi lo richiedeva sullaloro figura: «Son ombre, diceva, piene di maestà, grigie,ma lucide e più alte assai del comune degli uomini». –Socrate era, da un Genio, consigliato nelle sue azioni; unGenio, a suo dire, migliore di diecimila maestri; e spessoavvertiva gli amici di ciò che dovevano o non dovevanofare, secondo ch’egli ne aveva ricevuto istruzione dal suoδαιµoνιoν . – Palestrina, nel comporre, fantasticavadi porre in iscritto i canti di un invisibile angelo.

E certo lo stile colorito e vivace di tutti questi gran-di, la evidenza con cui espongono le più bizzarre lorofantasticherie, come le accademie lillipuziane o gli orroridel Tartaro, denotano ch’essi vedevano, toccavano col-la sicurezza dell’allucinato, quanto descrissero; che in es-si, insomma, l’estro erasi fuso colla follia, in uno stessoprodotto.

Ad alcuni, anzi, di questi, come a Lutero, a Maomet-to, a Savonarola, a Molinos, ed or ora al capo dei ribel-li Tai-ping, questa falsa interpretazione dell’estro di assaigiovava, dando ai loro discorsi, alle loro profezie quellatinta di vero, che solo una profonda convinzione procu-ra, e che sola riesce a scuotere e rimorchiare la popola-re ignoranza, ed in questo i pazzi di genio ed i più trivialimattoidi si confondono insieme.

Quando poi la gaiezza e l’estro vien meno, e tetre egrigie soprannuotano, alla loro volta, le melanconicheturbe, allora quei grandi infelici, più bizzarramente in-terpretando il proprio stato, si credono avvelenati, comeCardano, – o dannati alle eterne fiamme, come Haller edAmpère, – o perseguitati da accaniti nemici, come New-ton, Swift, Barthez, Cardano, Rousseau. (Vedi pag. 3, 5,29, 37, 64, 66, 79, 95, 104, 106).

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In tutti, poi, il dubbio religioso, che la ragione susci-ta a dispetto del cuore, compare innanzi ai loro occhi co-me delitto, e diviene causa e stromento di nuove, realisventure.

Però la tempra di costoro è tanto differente dalla co-mune, che imprime un carattere suo proprio alle variepsicosi (melanconia, monomania, ecc.) da cui sono col-piti, tanto da costituire una psicosi speciale.

Ma a chi ben ricorda quanto sopra esponemmo, que-sti caratteri non sono affatto speciali ai soli genii alienati,ma si trovano, per quanto meno spiccati, nei genii menosospetti, di cui quegli alienati non sono che un’esagera-zione, una caricatura. – E così il carattere intero, se pu-re eccelse in Socrate, Colombo, Cavour, Cristo, Spinosa,non si nota più in Napoleone, in Bacone, in Cicerone,in Seneca, in Alcibiade, in Alessandro, in G. Cesare, inMachiavelli, Carlyle, Federico II, Dumas, Byron, Comte,Bulwer, Petrarca, Aretino, Galileo.

L’orgoglio portato fino all’inverosimiglianza fu notatoin Napoleone, in Hegel, in Dante, in Victor Hugo, inBalzac, in Comte, e, come vedemmo, perfino nei talenti,senza genio, come nel Cagnoli.

E la precocità non manca nei genii normali comeMozart a 6 anni, Raffaello a 14, Michelangelo a 16, CarloXII, S. Mill, d’Alembert, Lulli.

Né mancano gli esagerati abusi alcoolici, i difetti e glieccessi sessuali seguiti dalla sterilità, né la tendenza alvagabondaggio, né gli atti impulsivi violenti alternati oassociati a moti convulsivi; esempio il Bismarck che aBeust diceva: Avete anche voi voglia di rompere qualcosaper divertimento? e che si esercita spesso a colpir tronchid’alberi come uno spaccalegna. E noi trovammo inalcuni non poche anomalie craniali (pag. 8, 97, 230, vedipure Tavola I-II).

E i segni degenerativi abbondano negli uni e negli altri(pag. 9, 1 3, 14, 15, 101, 103, 141, 214).

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Né manca in essi quell’invasione, o meglio invasamen-to del soggetto che trasforma la creazione fantastica inuna vera allucinazione od in un’autosuggestione (pag.28, 63, 86, 95, 98, 103, 105, 121, 127, 140).

Flaubert scrive: «Le creazioni della mia fantasia micolpiscono, mi perseguitano, o meglio sono io che di lorovivo. Quando descrivevo come Madama Bovary morisseavvelenata, sentivo il sapore dell’arsenico sulla lingua;anzi ero io stesso avvelenato fino a vomitare». Balzacdava agli amici notizie dei suoi personaggi come fosserovivi: più ancora, dopo che un amico gli aveva parlato diuna sorella malata gravemente, l’interruppe: Torniamoalla realtà: il mio personaggio deve ammogliarsi, e seguitòa parlare delle sue creature di fantasia. Dickens provavadolore e compassione pei casi dei suoi personaggi comese fossero figli suoi proprii.

E giunge l’invasamento del genio a tanto da sdoppiareveramente la personalità, da formare d’un filantropo unuomo crudele (pag. 440, 455).

Finalmente non manca in essi quella perdita dell’affet-tività (pag. 89, 91, 99, 100, 124, 130, 137, 138) (Sterneabbandona la moglie e la madre vecchia; Chateaubriandl’amante; Milton, Galba, Shakespeare, la moglie), che so-la spiega, come toccammo, la loro longevità (pag. 93,142), la loro resistenza, malgrado tanta fragilità, agli ur-ti avversi; né manca l’iperestesia psichica localizzata neipunti delle loro ricerche e accompagnata anche da ane-stesie e parestesie (pag. 27, 32, 34, 35, 39, 64, 99, 100,143).

Anch’essi hanno affezioni morbose per gli animali.È nota l’affezione strana di (353) Maometto per la suascimmia; di Richter per gli scoiattoli; di Byron che avevacon sé 10 cavalli, 8 cani, 3 scimmie, 5 gatti, 1 asino,1 corvo, 5 pavoni, 2 galli, 1 orso; Bentham, Crébillon,Elvezio e Marzolo per gatti; Erichsen pei cani, Sterneper gli asini.

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Noi trovammo, finalmente, anche nei genii i più inte-ri, le forme incomplete e rudimentali delle pazzie, me-lancolie (pag. 2, 3, 5, 29, 37, 64, 65, 66, 79, 95, 104, 106,115, 122, 128), megalomanie (pag. 41, 98, 100, 115, 129,139), allucinazioni (v. sopra), per es., che ci spiegano leconvinzioni di alcuni profeti e fondatori di dinastie, co-sì profonde da giungere, innanzi al volgo, a far le vecidell’estro.

«Una disposizione (scrive Maudsley) ad essere scon-tento dello stato di cose esistenti, è una condizione es-senziale dell’originalità geniale».

Né manca l’uso di parole speciali che è così propriodei monomani (pag. 48, 73, 433, 440, 449), né quelleincertezze che vanno fino alla follia del dubbio (pag. 7,75, 76)

La sola differenza si risolve in fondo in una mino-re esagerazione dei sintomi, in un minore distacco delladoppia personalità, in una minore frequenza nella sceltadei temi pazzeschi (Shakespeare, Goncourt e Daudet ec-cettuati), e nella minore frequenza della nota assurda chenon manca però (pag. 42, 43, 44) quasi mai, sicché nul-la è più vicino al ridicolo del sublime; e Taine ha dimo-strato l’assurdo dei grandi concetti napoleonici; e Dumas(v. sopra) ci dimostrò l’idea megalomaniaca dominantenell’Hugo a cui non manca poi la notta assurda, come inquella frase dei Miserabili, in cui una donna, non sapendoil latino, lo comprendeva assai bene.

V’era una vera megalopsia nel Wiertz, che faceva neisuoi affreschi gruppi di giganti, sempre più grandi, sic-ché si dovettero elevare a torre le pareti su cui dipinge-va; e nel Berlioz che avrebbe avuto bisogno, per esegui-re i suoi concerti, di un vero esercito di musicisti, nonescluso, diceva egli, il cannone.

L’analisi optometrica ci mostrò la frequente irregolari-tà del campo visivo nei genii, e l’estesiometria la loro fre-quente ottusità sensoria (v. sopra), e l’orologio di Hipp

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ci mostra il ritardo nella equazione personale e lo studiografologico i caratteri pazzeschi della scrittura juxtaposi-zione).

E non è senza importanza, anche, il vedere che do-vunque il genio si eleva in una razza, ivi si eleva il nume-ro dei pazzi, del che offersero anche prove singolarissi-me gli ebrei italiani (pag. 208, 209) e tedeschi, e anchegl’inglesi; tanto che si è giunti a calcolare in Germanianei manicomii il genio dei genitori fra gli elementi etio-logici della pazzia: e in questa, come nel genio, influi-scono le violente passioni durante il concepimento, l’etàvecchia112 e l’alcoolismo dei genitori; e come in tutti i de-generati il genio non si trasmise che per eccezione, qua-si sempre trasformandosi in neurosi sempre più gravi neifigli criminali, imbecilli, epilettici, e rapidamente finen-do mercè quella sterilità con cui la natura sempre prov-vede allo sparire dei mostri; e a chi non ricordasse quan-to sopra accennammo (pag. 13, 214, 218, 219, 221, 222),basterebbero a dimostrarlo gli alberi di Pietro il Gran-de e quelli dei Cesari e di Carlo V che riproduco da Ire-land e da Jacoby113, dove gli epilettici, i genii e i criminalis’alternano sempre più fin che finiscono stupidi e sterili(Vedi Tavole XVII e XVIII).

E in tutti e tre, pazzi, genii pazzi e genii integri, conpressoché uguale intensità, si vedono influirei climi caldi(pag.136, 138, 154, 176, 178, 185, 186), alcune meteore(pag. 151, 154) e le non esagerate diminuzioni di pressio-ne (pag. 179), e non rare volte le malattie accompagnateda febbri acute (V. Parte II, cap. IV).

Ma la prova più sicura è offerta precisamente dai pazziche non sono di genio e che lo diventano, per qualchetempo, nei manicomii, e che ci additano la genialità,l’originalità, la creazione artistica ed estetica formarsisolo in grazia dell’alienazione nei meno predisposti (pag.274, 275, 276, 313, 315). Né ultima delle prove ci vienporta da quel fatto singolare del mattoide che, all’inverso

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dell’alienato, ha tutte le apparenze, senza la sostanza, delgenio (Parte II, cap. III, pag. 355 e seguenti).

Infatti essi danno disintegrati e divisi i due iati oppostidel fenomeno. Gli uni, i pazzi, ci danno la sostanza ol’eccitazione, almeno geniale, senza la forma. n mattoide,invece, l’apparenza del genio senza la sostanza. Chemeraviglia che un terzo gruppo, il genio, riunisca i duefenomeni insieme?

Dopo tutto questo, noi possiamo, con sicurezza, af-fermare essere il genio una vera psicosi degenerativa del-la famiglia delle follie morali, che può temporanamenteformarsi in seno ad altre psicosi e assumere la forma diqueste, pure serbando caratteri suoi speciali, che la di-stinguono da tutte le altre.

La natura, identica a quella della follia morale, si ve-de in quella generale alterazione dell’affettività (v. sopra)che si scopre, più o meno mascherata, in tutti114 La folliamorale si trova perfino in quei rari fenomeni altruisticiche sono i genii della bontà, e che si chiamarono i santi.Noi vedemmo in Giovanni di Dio, in Lazzaretti, in SanFrancesco d’Assisi (p. 489 e seg.) come la santità in essifosse in perfetto contrasto, in quello stato che ora si di-rebbe giustamente di polarizzazione psichica, colla lorovita anteriore, in cui spiccava la tendenza al male; del re-sto, anche l’esagerato altruismo non è che un’anomalia,benefica, ma grande; è una ipertrofia dell’affetto, sì che,come sempre accade nelle ipertrofie, si associa a perditeed atrofie psichiche in altre direzioni.

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2

Ritorno al primitivo

1

Come i selvaggi

Uno dei caratteri più singolari dell’uomo primitivo od inistato di selvatichezza è la frequenza con cui si sottoponea quella, piuttosto chirurgica che estetica, operazione, laquale appunto da una lingua oceanica prese a prestito ilnome di tatuaggio.

Anche in Italia si trova diffusa, sotto nome di marcan-zito, segno, devozione, questa pratica, ma solo nelle in-fime classi sociali, nei contadini, marinai, operai, pasto-ri, soldati, più ancora fra i delinquenti, di cui essa, perla grande sua frequenza, costituisce un nuovo e specialecarattere anatomico-legale, e di cui quindi dovrò a lungooccuparmi, ma non senza avere prima toccato ed esami-nato, partitamente, pei giusti confronti, in che modo siesplichi nell’uomo normale.

A questo potei giungere con uno studio su 7114 in-dividui, di cui 4380 soldati, 2734 criminali, o meretricio soldati delinquenti, e ciò grazie all’aiuto e alle indagi-ni pazienti di quel valentissimo fra i nostri medico-legaliche è il Tarchini Bonfanti.

Già dalle prime cifre si intravede come anche in Italia,così come troveremo accadere fra i selvaggi, le donnediano le minime proporzioni di tatuati, e come anche fragli uomini non delinquenti, quell’uso tenda a decrescere,trovandosene nel 73 una quota dieci volte più scarsa chenel 1863. – Invece l’usanza permane non solo, ma prendeproporzioni vastissime nella popolazione criminale, siamilitare, sia civile, dove su 1432 esaminati trovaronsene115 di tatuati, il 7,9 per cento.

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Il maggior numero dei militari tatuati appare in Lom-bardia, Piemonte e nelle Marche; il minore fra i Sar-di, i Toscani e Napoletani; la causa potrebbe benissi-mo essere in parte storica, e rimontare fino all’epocadei prischi-Celti, i soli che nell’antica Europa occiden-tale avessero questo costume; ma vi può assai il santua-rio di Loreto, ove un divoto mercimonio, come tanti al-tri, anche quest’uso conserva, tramanda e propaga, poi-ché nelle sue vicinanze trovansi appositi marcatori, chericevono per ogni tatuato da 60 ad 80 centesimi; prezzoenorme se si pensi alla miseria degli operati ed al pocovantaggio, anzi al danno che a molti ne viene, costrettialle volte alletto da 3 a 15 giorni per risipola, flemmone,adenite, e non rare volte gangrena, come attesta il Ber-chon, che s’incontrò in casi di amputazioni, rese neces-sarie dai guasti portati dal tatuaggio.

Ma la prima, primissima causa della diffusione di que-st’uso fra noi, io credo sia l’atavismo, e quell’altra speciedi atavismo storico che è la tradizione, comeché il tatuag-gio sia uno dei caratteri speciali dell’uomo primitivo, e diquello in istato di selvatichezza.

Nelle grotte preistoriche dell’Aurignac e nei sepolcridell’antico Egitto si rinvennero quegli ossicini appuntatiche servono ancora ai selvaggi moderni per tatuarsi. GliAssirj, secondo Luciano, i Daci e i Sarmati, secondo Pli-nio, si dipingevano di figure il corpo, e nella fronte e nel-le mani i Fenici e gli Ebrei con linee, che chiamavano isegni di Dio. Nei Britanni l’usanza era così diffusa, chelo stesso nome Bretoni (da Brith pinge), come quello diPicti; Pictones, pare ne derivasse: essi tracciavano, diceCesare, figure col ferro nelle carni dei teneri bambini, ecolorivano i loro guerrieri coll’isatis tinctoria per render-li più terribili in guerra. Gli Scoti, dice Isidoro, si di-segnano con ferri sottili ed inchiostro delle strane figuresul corpo ( Etymol. IX. Vedi Luciano, De Dea Syra 1840;Ewald, Die Jud. Alterth, pag. 102; Cesare, De Bello Gal-

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lico 14). I soldati Romani, attesta Vegerio portavano in-ciso al braccio destro il nome dell’imperatore e la datadell’ingaggio (De re milit.).

Non vi è, credo, popolo selvaggio, che non sia più omeno tatuato. I Payaguas si dipingono la faccia di az-zurro nei giorni di festa, e si disegnano triangoli e arabe-schi sul viso. I Negri si distinguono fra tribù e tribù, spe-cialmente fra i Bambari, praticandosi dei tagli orizzonta-li o verticali sul viso, sul petto, e sulle braccia. I guerrie-ri Kaffir han il privilegio di far un lungo taglio sulle gam-be, che rendono indelebile colorendolo in azzurro. – IBornoues dell’Africa centrale si distinguono per 20 taglida ciascun lato della faccia: 6 per ogni arto, 4 nel petto,ecc.; in tutto 91(Lubbrok, On the Orig. p. 43, 46).

Nella Nuova Zelanda il tatuaggio è un vero blasone dinobiltà: fino i capi non possono fregiarsi di ceni segniche mano mano e dopo aver compita qualche grandeimpresa. Toupee, quell’intelligente Zelandese portato aLondra, insisteva presso il fotografo perché attendesse afar spiccare il suo tatuaggio. «L’Europeo, dicea, scrive ilsuo nome colla penna, Toupee lo scrive qui».

Alle Isole Marshall le donne sono tatuate alle spallee alle braccia; gli uomini, i capi in ispecie, alle coste, ailombi, al torace.

A Taiti le donne si fan tatuare solo nei piedi e nelle ma-ni, o all’orecchio, a mo’ di collana odi polsetti; poche al-la vulva e all’addome (una v’avea disegnato simboli osce-ni); gli uomini per tutto, perfino sul capillizio, sul naso,sulle gengive, e spesso ne nascono flemmoni, gangrene,alle gengive e alle dita in ispecie; per prevenire le qualisi tien l’operato a dieta severa, e riposo. Il tatuato re viè rispettato e accolto, come fra noi i trovatori del medioevo, o ricompensato con piume, con porci (Berchon, Surle Tatouage 1872), equivalenti a lire 10.

I Giapponesi si tatuano il corpo, disegnandovi leoni,dragoni e gruppi osceni: ora le donne nol fanno più,

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ma in antico si disegnavano, proprio come le nostremeretrici, sulle mani iniziali e figure allusive alloro vago,che ricoprivano d’inchiostro cambiando d’amante.

Nulla di più naturale che un’usanza tanto diffusa fra iselvaggi e i popoli preistorici torni a ripullulare in mezzoa quelle classi umane che, come i bassi fondi marini,mantengono la stessa temperatura, ripetono le usanze,le superstizioni, perfino le canzoni dei popoli primitivi,e che hanno comune con questi la stessa violenza dellepassioni, la stessa torpida sensibilità, la stessa puerilevanità, il lungo ozio, e nelle meretrici la nudità, chesono nei selvaggi i precipui incentivi a quella stranacostumanza.

L’influenza poi dell’atavismo e della tradizione misembra confermata dal trovare quest’uso tanto diffusofra i contadini e pastori, così tenaci delle antiche tradi-zioni, e dal vederlo già adottato in Italia, specialmen-te dai Piemontesi, Lombardi e Marchigiani, veri popo-li Celti; ed i Celti erano isoli dell’antica Europa che aves-sero conservato quest’uso fino ai tempi di Cesare.

Ad ogni modo, il fin qui detto basta a dimostrare almedico legale ed al giurista, che essi debbono giovarsicome di indizio lontano di pregressa detenzione, dellapresenza del tatuaggio, massime se in persona estraneaalla classe di marinaj, dei militari, dei casari lombardi,dei pescatori marchigiani e napoletani, e che abbia adot-tata una dipintura oscena o molteplice, oppure incisa-la in parti invereconde, più ancora se alluda, in qualchemodo, a vendetta, o a disperazione.

Certamente poi la predilezione per questa costumanzabasterà a distinguere il delinquente dal pazzo, che, mal-grado abbia comune con essi la forzata reclusione, e laviolenza delle passioni, e i lunghi ozj, ricorre ai più stra-ni passatempi, arrota delle pietre, tagliuzza i vestiti, for-s’anco le carni, scarabocchia sui muri e su intere rismedi carta, ma assai di rado si pratica veri disegni sulla pel-

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le. Io, sopra 800 pazzi di Pavia e di Pesaro osservai solo4 tatuati, tutti molto prima dell’insorta alienazione, e al-trettanto accadde allo Zani a Reggio, al Livi a Siena, chemi comunicava come i pochi fra i suoi ammalati, ch’era-no tatuati, erano prima stati a lungo nelle carceri, e lì sierano conci a quel modo115. E questa sarebbe una nuovaprova dell’influenza sul tatuaggio dell’atavismo, comec-ché la pazzia è malattia quasi mai congenita e ben di raroatavistica.

Brigantaggio, Mafia e Camorra Questo dell’associazio-ne al mal fare è uno dei fenomeni più importanti del tri-ste mondo del crimine, non solo, perché anche nel ma-le si verifica la grande potenza che dà l’associazione; maperché, dall’unione di quell’anime perverse si genera unvero fermento malefico, che facendo ripullulare le vec-chie tendenze selvagge, rafforzandole per una specie didisciplina e per quella vanità del delitto di cui toccammopiù sopra, spinge ad atrocità a cui gran parte degli indi-vidui isolati ripugnerebbe; e per noi pur troppo è questoun argomento palpitante, talché spesso si confonde conla questione politica.

Come è ben naturale, cotali sodalizj si formano piùfrequentemente là dove più abbondano i malfattori, col-l’importante eccezione, però, che essi scemano di tena-cia e di crudeltà nei paesi molto civili, trasformandosi inassociazioni equivoche, politiche o di commercio.

Lo scopo delle associazioni, malvagie, ora, è quasisempre l’appropriarsi l’altrui, associandosi in molti, ap-punto, per potere far fronte alla difesa legale. Nei tempiantichi, però, si videro associazioni per aborto, o per av-velenamento, equa e là se ne sono osservate, spesse vol-te, per iscopi, i meno presumibili; da quello della pede-rastia, che rivestiva il vizio colle apparenze della più de-licata virtù, fino a quello dell’omicidio senza alcuna miradi lucro, pel solo piacere di far sangue, com’era la ban-

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da degli accoltellatori di Livorno, fino al cannibalismo eallo stupro, per fanatismo religioso, dei settari Russi.

Uno dei caratteri particolari dell’uomo delinquente re-cidivo ed associato, come lo è sempre nei grandi centri, èl’uso di un linguaggio tutto suo particolare, in cui, men-tre le assonanze generali, il tipo grammaticale e sintatticodell’idioma conservasi illeso, è mutato completamente illessicale.

Questa mutazione avviene in più modi116. Il più diffu-so ed il più curioso, e che ravvicina il gergo alle lingueprimitive, è quello di chiamare gli oggetti col mezzo deiloro attributi, come saltatore il capretto, magra, cruda ocerta la morte.

Il che giova anche al filosofo per penetrare nei secretidell’animo di questi sciagurati, mostrandoci, p. es., cheidee si facciano della giustizia, della vita, dell’anima e del-la morale. L’anima è detta la falsa; la vergogna rubicon-da o sanguinosa; velo il corpo; veloce l’ora; moucharde ospia la luna; incomodo il riverbero (fanale); imbiancatoreo blanchisseur l’avvocato, come quegli che ha da lavar leloro colpe, e a Torino il ciaciaron; santa la borsa; uva oraisiné il sangue; santina la prigione; santo il pegno; bir-ba l’elemosina; tediosa la predica; cara la sorella; devotoil ginocchio; brutale il cannone; caméléon il cortigiano;createur il pittore.

Qualche volta la trasformazione metaforica consiste inun processo che si potrebbe dire di «similitudini rove-sciate»; come p. es., sapienza per sale; maronte (ossiamarito) per becco, maldicente per lingua salata, influen-dovi qui quel sale epigrammatico di cui abbondano i de-linquenti, più ricchi di spirito che di senno.

Più curiosa, e men facile a comprendersi, a chi non ab-bia la penetrazione divinatoria dell’Ascoli, è quella crea-zione gergale, in cui alla ragion metaforica si aggiungeun travestimento fonetico; come prophète per tasca o percantina, alludendo a profondo; philosophe, cattiva scar-

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pa, per arguta allusione all’omofonia di savant e savate, eforse insieme alla povertà, detta appunto philosophie!

Esempi d’altre curiosissime ed ingegnose sostituzionisono pure: soeurs blanches ai denti; centre il nome pro-prio, il punto di mira del loro naturale nemico, il giu-dice o il gendarme; cravate l’arco baleno; bride la cate-na del forzato; prato il bagno; planche au pain il tribuna-le; juge de paix il boia; carlina (dal muso schiacciato) lamorte; sorbona la testa; suvagia la calce; cierta (spagnuo-lo) la morte; lycée la prigione; carquois, faretra, per gerladel cenciaiolo, detto alla sua volta Cupido od Amour; franoi ducato per piacere; morsa per farne; troppo il mantel-lo; cantaron il carnefice; casa felice l’ergastolo; bosco delmento la barba; rami le gambe; denti le forchette; polental’oro (Pavia); occhiali di Cavurro le manette (Pitrè), curio-sa frase che ci indica la strana logica politico-giudiziariadei bassi strati popolari di Palermo.

Qualche volta, infatti, il traslato costituisce una veramedaglia storica che meriterebbe restare (e vi riuscì inparte) nella lingua comune, come quel curiosissimo juil-letiser, detronizzare; franzoso per bevitore e spagnolo perpitocco; forlano borsaiolo o ubbriaco; grec truffatore digioco; bolognare per ingannare e rubare; murcio in spa-gnuolo per ladro, dalla Murcia, regione ove spesseggianoi ladri.

Molte parole sono create, come fra i selvaggi, peronomatopeia; come, tap marche; tuff pistola; tic orologio;onomatopeia di simpatia è il nostro guonguana amante;taf diffidenza; fric-froc l’estrazione, ecc.

Né mancano gli automatismi; papà, capitano di giusti-zia; nona, guardia; pipet, castello; babi, spedale; pipetti,denari.

Un’altra fonte di questo lessico viene dallo svisamentofonetico delle parole, il più spesso per uno di quei pro-cessi che il grande Marzolo chiamava di falsa riduzioneetimologica, per esempio orfèvre per orphelin; philanth-

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rope per filou; e da noi alberto, ovo, da albume; cristianala berretta, da cresta; mandare a Legnago da legno.

Qui evidentemente vi è un doppio gioco etimologicoe fonetico, vale a dire si ricordano e quasi direi si fondo-no insieme due nomi o attributi, p. es., Legno e Legna-go; il bianco dell’albume ed il nome proprio in alberto.Già in quest’esempio, ma ancora meglio nell’erdmann,uomo-terra, per pentola; in darckmann, uomo-scuro, pernotte (vedi Ascoli), nel père noir, bottiglia; Bernarda, not-te; Martino, coltello, père frappart martello, ritorna a gal-la quel processo che personifica ed umanizza le cose ina-nimate, e che è speciale dei bimbi e dei popoli selvaggi,e donde sorse tanta parte della mitologia.

Meno frequente è lo svisamento delle parole per in-frammissione di una sillaba. È questo il procedimentoesclusivo, a quanto pare, dei gerghi de’ zingari vagabon-di fra i Pirenei Baschi, e di qualche popolazione russa ecircassa; oltreché di quei gerghi apocrifi, così ben chia-mati dal Biondelli «gerghi di trastullo»; ma non mancapur fra i veri nostri gerghi; esempi: dorancher per dora-re, pitancher per picter, bere.

Un po’ più frequente è l’invertimento delle sillabe;p. es., taplo, nel gergo spagnolo, per il plato o tondo;malas nei muratori piemontesi per salam; lorcefé per laforce. Ma assai più che fra i nostri delinquenti invalequesto modo fra i rivenditori di commestibili di Londrae fra i capi di certa schiatta nomade dell’India, i Bazegur,mentre i lor sottoposti non usano che mutare una lettera.

Uno svisamento assai frequente, è quello per cambiodi vocale, p. es., boutoque per boutique, ecc.

Ma una fonte vasta del lessico sono le parole straniere:ebree nei gerghi germanici; tedesche e francesi in quel-li italiani; italiane e zingariche nell’inglese. Così noi re-galammo ai francesi il mariol, il furfante, il boye, garzoneche fustiga i galeotti, il tabar, il fuoroba (fuori roba) gridocon cui gli aguzzini indicano di fare lo spoglio; ed agli in-

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glesi madza per mezzo; beong ossia bianco, denaro; cate-ver cattivo affare; screeve lettera (Ascoli): ed i tedeschi cidiedero lo spilare per giuocare, pisto per prete, faola perdeforme, conobello per aglio.

Gli zingari diedero ai francesi il loro sanscritico bergeper anno; chourin per coltello. Ai tedeschi diedero maro,pane; e agli inglesi gibb per lingua, mooe per bocca(Ascoli).

Nello spagnuolo troviamo l’italiano parlar, formage, ilfrancese aller belitre.

La lingua ebraica, o meglio giudeesca, diede la metàdelle parole del gergo olandese, e circa un quarto deltedesco; ove io ne contai 156 sopra 700.

Anche nell’inglese l’Ascoli ed il Wagner ne intravvi-dero delle tracce, come nel cocum per astuto; schoful permoneta falsa; gonnof per ladruncolo. Nell’italiano sacagnper coltello è d’origine ebraico, come forse catoffia perprigione.

Ma il più curioso contingente dei gerghi è dato dalleparole antiquate e smarrite completamente nei lessicivivi. Così noi abbiamo l’arton pane; lenza acqua; stroccameretrice (Calabria); marcone il mezzano; cubi per letto;crea e criolfa per carne, gianicchio il freddo; benna perosteria; bolda cascina; pivella ragazza; nicolo per no; ruffoper fuoco (il rosso); zera per mano; archetto fucile; biettaper scure. E i Francesi être chaud diffidarsi, da cautum;juste vicino; cambriole camera, che secondo Ascoli èantico provenzale; e gli Spagnuoli milanes le pistole delleantiche fabbriche di Milano, e joyos la spada, dal nomedel brando del Cid.

I ladri inglesi, scrive Latham, sono i più tenaci conser-vatori delle dizioni anglo-sassoni, adoperano ancora frowper ragazza; muns per bocca.

Un avanzo arcaico, che ricorda perfino i tempi deigeroglifici, è quel curiosissimo nostro serpente per anno,

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come lo è certo il sabbato dì del vecchio, e mamma perterra e mammella.

Questi arcaismi sono tanto più singolari, quando sipensi alla grande mobilità e mutabilità dell’espressionigergali, così in pochi anni ho veduto in Pavia e Torinointrodotte e mutate una quantità di significati, per es.,gra per ladro; michino per ragazzo; pila denaro; guffiquesturini; spiga via; stec coltello; gian soldato; piotaosteria; scuro avvocato; caviglia 100 lire; gamba 1000;busca 50; vecia manustupro.

Un carattere pur curioso dei gerghi è la molta diffusio-ne loro. Mentre ogni regione italiana ha un proprio dia-letto, e un calabrese non potrebbe comprendere il dialet-to di un lombardo, i ladri di Calabria usano lo stesso les-sico come quelli di Lombardia. Così ambedue chiamanochiaro il vino, arton il pane, berta per tasca, taschi per fi-co, lima la camicia, lenza l’acqua, crea la carne. E il gergodi Marsiglia è eguale a quello di Parigi.

Questo fatto, se è agevole a comprendersi per la Ger-mania e per la Francia, lo è assai meno per l’Italia, mas-sime per l’Italia di alcuni anni fa, divisa da barriere po-litiche e doganali, che avrebbero dovuto riuscire anco-ra più aspre pei delinquenti, ma che invece pare non nerallentassero punto le mosse.

L’analogia è più strana quando si vede stendersi frapopoli affatto diversi (l’italiano e il tedesco chiamano tickl’oriolo; l’uno bianchina e l’altro blanker la neve); tantoche Borrow venne nel dubbio che tutti i linguaggi fur-beschi avessero una medesima origine. Ma la spiegazio-ne, almeno per le molte simiglianze ideologiche, sta nel-la analogia delle condizioni. Difatti, anche il gergo deiTug indiani presenta una completa analogia ideologicacoi nostri gerghi, eppure è escluso, ad evidenza, ogni rap-porto con loro dei nostri furfanti. Quanto alle somiglian-ze fonetiche (molto, del resto, più rare), vi contribuisceanche la continua mobilità dei criminali, che, o per sfug-

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gire la giustizia, o per sorprendere incogniti le lor vittime,o per una vera passione congenita di vagabondaggio, pri-mo movente per cui disertano la propria casa, cambianosempre di residenza, ed importano le espressioni di unpaese nell’altro; nel rotwelsch il vagabondo è chiamatostrohmer, quasi un’onda di fiume.

Tutti spiegano l’origine del gergo furfantesco colla ne-cessità di sfuggire alle indagini della polizia: è certo,che questa ne fu principalissima causa, specialmente perquelle inversioni delle parole che abbiam visto così co-muni, e nella sostituzione di nomi diversi al pronome,come mamma per io – otto per sì. Nel sardo, il gergosi chiama cobertanza. – Quando il Latude preparava colsuo compagno le funi e le scale per l’evasione dalla Basti-glia, s’era accordato, per eludere le indagini degli sgher-ri che spiavano dietro i muri i discorsi, di chiamare conun nome metaforico ciascuno di quegli oggetti. Ma chequesta causa non sia la sola, basterebbe ad apprenderce-lo il vedere il gergo usato in poesia, quando non vi è biso-gno di sfuggire l’attenzione dei più, quand’anzi si cercacol canto di ridestarla, e il vederlo adoperato cogli e dagliarnesi stessi di polizia e dai rei nell’interno della propriafamiglia, e il pensare che per quello scopo, ad ogni mo-do, basterebbe, al più, invece di mutare completamente ivocaboli, l’enigmatizzarli, come ben dice il Pott, col frap-porvi delle sillabe convenzionali; eppure questo è il me-todo meno seguìto nei gerghi furfantini, e lo è piuttostoin quelli di trastullo.

Gli è che il gergo, se non la genesi spontanea, certoha simile l’organismo e la natura alle lingue ed ai dialetti;questi si sono formati e sformati da sé, secondo il luogo,il clima, le abitudini, ed i nuovi contatti. E così i gerghi,i quali non sono, come si crede, un fenomeno ecceziona-le, ma sì bene universale; ne hanno uno, in certo modo,tutte le professioni, gergo che dalle applicazioni tecnichesorvola ad altre di qualunque natura: per esempio, un

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medico vi dirà che l’amore è un vizio cardiaco, un chimi-co che il suo amore è a 40 gradi; ogni famiglia, quasi, neha uno tolto dagli avvenimenti che ebbero più a colpirla,e diedero origine a speciali associazioni di idee. Noi neplasmiamo uno speciale coi nostri bambini. Così tata peralcune famiglie suona zia, per altre sorella o bambina.

La tendenza a formulare un gergo suo proprio si ve-de crescere negli individui dediti ad uno stesso mestiere,massime se equivoco, e più in quelli costretti ad una vi-ta nomade o ad un soggiorno temporaneo, specialmentese sottoposti ad una qualche soggezione, di faccia a tut-to il pubblico; con quello speciale linguaggio affermanocostoro la propria comunanza, o si sottraggono all’altruivigilanza. Così io trovai, in una stessa vallata, un gergoproprio degli spazzacamini, un altro dei vignaioli, dei ca-merieri, degli imbianchini; e poco presso dei muratori ecalderai, gergo analogo e spesso identico al criminale; edAvé-Lallemant parla di un gergo dei venditori di com-mestibili, delle prostitute, degli studenti di medicina, deicollegi ali di Wincester, dei ciarlatani, che parlano convoci rimate; e in Vienna dei garzoni d’albergo (che ado-perano e storpiano voci inglesi e francesi), dei fiaccheri-sti, barcaioli, cacciatori.

Quanto non devesi sentir spinta a formulare in unlinguaggio suo particolare le proprie idee, una gente cheha abitudini, istinti tanto speciali, e che ha tante personeda temere e da ingannare!

S’aggiunga che codesta gente si raduna sempre nei me-desimi centri, galere, postriboli ed osterie, e non ammet-te comunione se non con quelli che hanno le medesimetendenze; e con costoro si affratella con un’imprevidenzae facilità straordinaria, trovando appunto nel gergo, co-me bene mostrava il Vidocq, un mezzo di riconoscimen-to, una parola d’ordine. – Che se non usassero il gergo,il bisogno di espandersi tumultuosamente, che è uno dei

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loro caratteri, li esporrebbe troppo presto, oltre che alleindagini della polizia, alle previdenze delle loro vittime.

Deve anche contribuirvi la grande mobilità di spiritoe di sensazioni, per cui, afferrata una parola nuova, nellemolte circostanze dell’orgia, od una frase strana, assurdapur anche, ma vivace, piccante o bizzarra, la mettono ingiro, e quindi l’eternano nel loro lessico. E come i pedan-ti raccolgono, amorosamente, anche le sgrammaticatureo le espressioni più bislacche e più lontane dall’uso co-mune di qualche trecentista, così essi tesoreggiano quel-le di qualche studentello perdutosi in mezzo a loro (e nelquartiere latino di Parigi il caso è tutt’altro che raro), etendono a rimetterle in circolazione e a farsene belli. – Ea ciò li stimola lo spirito epigrammatico, ironico, che sicompiace delle trovate, quanto più sieno strane, oscenee bislacche.

Potrebbe pure darsi che alcune stortilature, o anchele creazioni di certe parole, fossero, come le torture deltatuaggio, un effetto del desiderio di novità, un trastullodell’ozio nelle lunghe detenzioni.

Vi hanno parte, e notevole, i contatti con personestraniere alla regione ed alla nazione, a cui li costringe lasciagurata e quasi sempre nomade professione: questo,da una parte, spiega la frequenza delle parole ebraiche,zingariche nei gerghi tedeschi, inglesi, ecc., dall’altra puòspiegare l’unità del gergo italiano, in mezzo alla varietàde’ suoi dialetti.

E questo succede ancor più adesso, inquantoché, piùancor del soldato, ora il delinquente, per ragioni di sanapolizia, vien trasportato fuori della propria provincia.

Ma quanta influenza vi abbia la tradizione, tramandatada secoli in secoli, basterebbero a dimostrarlo quelle cu-riose parole, antichissime, trovate nel gergo, come arton,lenza, ecc., a cui abbiamo sopra accennato. E ce lo in-segna il fatto, che il gergo coi caratteri che offre qualchevolta, proprio colle espressioni attuali, rimonta ad epoca

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antichissima, trovandosene traccia fino nel 1350 in Ger-mania (Avé-Lallemant, op. cit.). Il lessico gergale inti-tolato Modo novo da intender la lingua zerga, stampato aVenezia nel 1549, ci mostra che quasi tutte le espressio-ni usate allora si conservano ancora, come maggio Dio;perpetua, l’anima; conovello, l’aglio; cuntare per parlare;dragon per dottore.

Come possano tramandarsi così fedelmente le loro tra-dizioni questi sciagurati che non hanno famiglia, non èben comprendibile. Ma un fatto analogo, anzi ancora piùevidente, essi ce l’offersero nel tatuaggio; l’offrono anchein certe specie di geroglifici detti zink, segnali che usanogli incendiari per darsi la posta, o per accennare i puntida colpire, e che furono tramandati da tempi antichissi-mi, forse anteriori alla scrittura (Avé-Lallemant, op. cit.;Schlemm, Die Prakt. Criminal Polizei. Erlangen, 1842).

E non vediamo noi d’altronde, nei soldati, nei mari-nai, anch’essi senza famiglia, e molte volte senza patria,circolare ancora usi e tradizioni di tempi molto remoti?

Ma più di tutto vi può l’atavismo. Essi parlano diver-samente, perché diversamente sentono; parlano da sel-vaggi, perché sono selvaggi viventi in mezzo alla fioren-te civiltà europea; adoperano quindi, come i selvaggi, difrequente l’onomatopeia, l’automatismo, la personifica-zione degli oggetti astratti. E mi giova qui adoperarele belle parole del Biondelli: «Come mai uomini di va-rie stirpi, separati da barriere politiche e naturali, nei se-greti loro conciliaboli hanno calcato una medesima via,e formato segretamente più lingue, comeché dissimili disuono e di radici, affatto identiche nella loro essenza? –L’uomo rozzo, privo di ogni morale istituzione e abban-donato alle prave inclinazioni di natura, che si forma unanuova lingua, è poco dissimile dall’uomo selvaggio chefa i primi sforzi per rannodarsi in società. – Le lingueprimitive abbondano di onomatopeie: i nomi di animalivi sono espressi nello stesso modo, sebbene figurato, con

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cui nel gergo; così, nello zingarico, l’anitra è quella dellargo becco». – Io aggiungerei (ma forse sarò troppo ar-dito), che perfino lo svisamento per riduzione etimologi-ca e quello per invertimento delle sillabe è naturale nel-le lingue, come per esempio lupo da wolf; tener con te-ren; inchiostro che si muta in vinchiostro - e così pure lafusione di due significati etimologici: capello da caput epilus.

Perciò quell’espressioni gergali di mammella per ter-ra, che ci riproducono la mitologia Cibelica, e di serpeper anno, che ci rinnova il geroglifico egizio, io li inter-preterei piuttosto che a ripescatura di eruditi, a ritornopsicologico dell’epoca antica.

Come hanno un gergo, così i delinquenti hanno unavera letteratura loro speciale. I libri osceni di Ovidio, diPetronio, di Aretino sarebbero i modelli letterari antichi.Ma ve n’è una forma, nella quale la letteratura si presentaspoglia di ogni fiore rettorico, una letteratura umile e na-scosta come quella degli almanacchi popolari, quasi unacronologia, che s’è sempre conservata, all’insaputa forsedelle persone colte. Tale era il Liber vagatorum del 1509,tradotto in tutte le lingue europee; l’ Histoire des Lar-rons, 1647, di Lyon Didier; la Legende ofte bystorie vande snode practjique, ende de bebendige listicbden der Die-ve, Leyden, Lopes de Haro, 1645; fino all’abbondantis-simo canzoniere criminale, di cui va dotata l’Inghilterra,e di cui dà una pagina intera di titoli il Mayhew117.

Di queste letture sono avidissimi i ladri, e, pur troppo,esse alla lor volta generano i ladri.

Noi abbiamo il Trattato dei Bianti del 1600, edito, par-mi, in quel d’Urbino, che descrive 38 specie di truffato-ri e di vagabondi della media Italia, fra cui i più curio-si sono i testatori, che fingono morire, lasciando in ere-dità agli altri il proprio; gli affarfanti, che fingono esse-re stati tratti da grossi peccati a penitenze dolorose; i for-migoti o soldati finti di false guerre in Palestina; gli sbri-

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sci, che vanno ignudi, fingendo d’essere stati assassina-ti e presi dai Turchi; i ruffiti, che fingono di fuggire dal-la propria casa incendiata. A questo libro, nell’edizione«Italia, Didot, 1860», sono uniti sei piccoli poemi in ger-go toscano, che paionmi di quell’epoca. Uno di questitratta appunto del gergo, e comincia:

Fu dai dragon de’ furbi il contrappunto (gergo)Trovato sol per canzonar (parlar) tra loro.

Un brioso poemetto in gergo milanese fu pubblicatodal Biondelli. Migliaia sono pur troppo le storie di de-linquenti, edite rozzamente, in quella specie di bibliote-ca anonima, che con assai scarso vantaggio del popolo, espesso molto suo danno, continua, col mezzo della stam-pa, quell’opera semistorica, semifantastica, che un tem-po tessevano le canzoni dei poeti ciclici, e più di recentequelle dei clefti.

Non v’è processo, anzi delitto grave, che non ne facciaspuntare qualcheduna. Io ne ho del Verzeni, del Marti-nati, dell’Agnoletti, del Norcino, del Gnicche, del Chia-vone, del Nuttoni, del Mastrilli, del Porcia, del Marziale.

In complesso, sopra 92 canzoncine o storielle edite, infogli volanti, che potei acquistare sulle piazze, le più indialetto, 20 trattavano di omicidi o di furti, di cui 14 inversi e 6 in prosa.

Ma accanto a questa specie di letteratura criminale,che è una creazione del popolo, ve n’ha un’altra, più an-cora interessante, che emana direttamente dal carcerato,frutto dei lunghi ozî e delle sue mal compresse passio-ni. Queste canzoni sono numerose assai in Spagna, e piùin Russia, ove sono cantate dal popolo anche fuor dellecarceri.

Benché sia grande in apparenza il divario fra le regioniinsulari e continentali in rapporto alla ricchezza di que-sta letteratura, io credo tuttavia che nemmeno in queste

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siasi perduta quella strana specie di canto, le cui ragionid’esistere permangono nelle passioni e negli ozi dei con-dannati; solo che ivi la distanza fra le classi popolari, one-ste ed equivoche, essendo aumentata, le prime non fan-no più tesoro dei prodotti delle seconde; e così a noi nonle tramandano. Difatti, cercando con un po’ di pazien-za fra i carcerati di Pavia, io potei raccogliere parecchiecanzoni, rimastevi in tradizione da delinquenti usciti.

I

O Giovanin cosa t’è fatt?Ho rubatt n’occhetta;Alla ristretta – me tocca andà.O maledetta occhin! occon!Che me tocca morì in preson,Me tocca morì in questa presonChe sorze aqua in tutti i canton –Ma la giustizia l’è trop infammaLa me condanna – senza rason.

(Fu composta da un ladro di oche).

II

S’era in bottegaChe lavorava;Mai più pensavaD’andà in preson;Di là ghe passaLa sbirraria;Me mena viaSenza reson.

III

Quanti amici che mi volevan bene!Adess ch’son in queste peneNessun mi vien trovà! –

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Quanti pid...? na quantità infinitaMe morden nella vita,Non posso riposà. –

IV

Se voi direte la verità,Mi vi prometto la libertà.Povero merloDentro in la gabbiaTutta la causa la palesà

I miei studenti raccolsero a Torino alle Cellulari daun contadino, analfabeta, parricida, cui la paura dellacondanna avea messo in delirio, una serqua di canzonianaloghe, fra cui, questa, da cui traspare, come sotto ildelirio, permanga l’accortezza del malfattore a sottrarsialla giustizia.

Bastian l’è un fieul alegher,Bastian l’è disgrassià;Ma l’ha na testa bounaE ’s tre uva mai ambarassà;

e quest’altra:

Bastian, con na bel’aria,Sautrà fora an cantand;La Catlinota belaAl mandrà a ca piorand;

da cui appaiono i sensi mal dissimulati di vendetta controall’amante infedele. E notevole poi, che mai prima dellaprigionia costui ebbe a poetare.

A Pavia raccolsi pure quest’altra (simile ad una canzo-ne siciliana), da cui traspira la mescolanza di sentimen-ti gentili verso la madre ed i fratelli, e l’ignobile tenaciadella negativa, e quella descrizione dei piccoli patimenti

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fisici e delle piccole vicende del carcere, che formano lapreoccupazione continua dei rimatori criminali:

Alla mattin buon’oraMi viene il secondino,Mi apre il finestrinoMi porta di mangiè;Mi porta una michetta (pagnotta)Con tun boccal de acqua,Mi chiude l’usc in facciaCome fudesse un can.Poi dopo il mezzo giornoMi mena sui scaliniE giù per i scaloniDavanti quei birboni.«Se tu dici la veritàTi prometto libertà».«La verità è questaChe mi non so di niente,Vi prego solamenteDi darmi libertà». –«La libertà è questaChe qui hai da morire». –Benedetta la mia mamma!Che quando mi cullavaPoteva soffogarme!E farmivi morire!Addio padre! Addio madre!E tutti miei fratelli!– E anche i miei sorelliChe non li vedo più!– Ma la giustizia l’è troppo infamaLa mi condana senza ragion.

(Ritornello questo ultimo di quasi tutte le canzonicriminali).

Come ben si vede da questi brani, una grande par-te della letteratura carceraria è in versi, ed è fattura deidelinquenti medesimi, che prediligono la forma poetica,forse perché meglio risponde al bollore delle loro pas-

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sioni, comeché essi vi portano sempre l’impressione delproprio io, i sentimenti del loro dolore dipinti con unaforza ed una eloquenza straordinaria. Corani prima diessere appiccato declamò dal palco un poema sulla pro-pria morte; il brigante Milana chiese ed ottenne di farela sua difesa in versi. E ben lo può provare questo scrit-to, dettato da un calzolaio, dapprima analfabeta, dell’er-gastolo di S. Stefano, che giova leggere, anche, perchériproduce stupendamente la fotografia di una galera:

L’ergastolo di S. Stefano

Dante, le bolge tue più non vantare,Né tu o Maron d’Averno il nero foco,Né le ceraste, né l’Arpie, né l’are,Tabe stillante di quel tetro loco;

Qui, qui, si sente il gorgogliare fiocoDi quell’empie, perverse anime avare,E qui s’ascolta il suon tremendo e rôcoChe gorgoglia di Pluto in di l’altare.

Un mostro sul canil qui s’addormentaE vien da un altro mostro divorato,E questo a un altro rabbioso addenta...

Sangue gronda la terra; e l’acre spiraVendetta, strage tradimento innato;Qui mentre muore l’un, l’altro cospira.

Il volgo ed anche il mondo scientifico credono in buo-na fede che il carcere, specie il cellulare, sia un organi-smo muto e paralitico o privo di lingua e di mani, perchéla legge gli ha imposto di tacere e di restare immobile.Ma siccome nessun decreto, per quanto sostenuto dallaforza, può contro la natura delle cose, così quest’organi-smo parla, si muove e qualche volta ferisce ed uccide adispetto di tutti i decreti; solo che, come avviene semprequando una necessità umana è in conflitto con una leg-ge, esso si esplica per le vie meno note e sempre sotter-

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ranee e nascoste: sulle mura del carcere, sugli orci da be-re, sui legni del letto, sui margini dei libri che loro si con-cedono nell’idea di moralizzarli, sulla carta che ravvolgei medicamenti, perfino sulle mobili sabbie delle gallerieaperte al passeggio, perfino sui vestiti, in cui imprimonoi loro pensieri col ricamo.

E da ciò nasce un vero giornale, anonimo, ma conti-nuato, qualche volta, in estate, bidiurno, che ragguagliail detenuto di quanto avviene intorno a lui, di quanto glista per accadere – ed una vera collezione di autobiografiesenza pretese, ma perciò appunto più importante.

Ora a me venne in mente che questi veri palinsesti delcarcere, ignoti ai più, proibitissimi dalle leggi, e quindinon destinati certo alla pubblicità davanti alle classi one-ste, come gli antichi non erano destinati all’epoca che poili illustrò, potesse fonirci preziose indicazioni sulla tem-pra vera, psicologica, di questa nuova, infelicissima, raz-za, che vive accanto a noi senza che noi ci accorgiamopunto dei caratteri che la differenziano.

Lo studio loro, infatti, intrapreso in due carceri cel-lulari e un ergastolo : femminile per quattro anni di se-guito superò le mie aspettative, poiché, come vedremo,non fu solamente il cuore dei criminali che così si mise anudo con documenti che non lasciano l’animo aperto adalcun dubbio, ma, come vedremo, tutto l’insieme, cosìmal compreso e sfatato dall’organismo carcerario, crea-to, anche questo, come le leggi penali, con sistemi aprio-ristici senza uno studio serio e sperimentale e che quindidoveva dare i mali frutti che esso fornisce.

Quanti immaginano, per esempio, che le bibliotechecarcerarie, allestite per confortare e moralizzare l’animodel detenuto, lo irritino, e lo viziino sempre più; chi cre-derebbe che le comunicazioni fra criminali nei carcericellulari, creati apposta per sopprimerle, sono tanto pe-ricolose e frequenti come quasi al di fuori, e che, vicever-sa, sonvi più rare le propalazioni e le confessioni?

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Ma non anticipiamo sui risultati di questo lavoro chedesidero emergano spontanei e parlino da se all’occhiodel lettore spassionato e imparziale.

Dirò solo due parole sulla distribuzione di questosingolarissimo testo. Presentandomi esso un materialedifforme, incoercibile, vi ho dato un ordine pur chesia, più per una guida al lettore che per vere ragionipsicologiche, le quali emergeranno spontanee al fondodel libro.

Molte volte inserii il frammento delle opere stampate,entro cui era la nota del reo, per mostrarne la stranacontraddizione, l’ispirazione alla rovescia.

Un’altra osservazione devo aggiungere, per rispetto aun pregiudizio invalso nel mondo letterario e che nonpuò tenersi in non cale. I criminali non possono parlareil linguaggio degli uomini onesti, meno ancora mostrarequel riserbo che è convenzionale nello scritto delle per-sone a modo.

Se nel fingere il linguaggio dei demoni il Poeta non po-té non esprimersi in versi sudici, a me, ch’ero il paleogra-fo, il trascrittore dei pensieri di questa specie di demoniterrestri, non era certo dato far meglio.

L’oscenità di costoro io la subisco come il lettore, manon la posso nascondere senza falsificarli.

Ma, avvisandolo prima e dichiarando che indirizzo,esclusivamente, questa raccolta agli uomini di scienza,spero evitare ogni danno ed ogni taccia.

SEZIONE I. – I COMPAGNI.a) Comunicazioni segrete e avvertimenti ai compagni.Avvertimento ai ladriAh! poveri ladri! i suma (noi siamo) circondà da tante

spie e da tanti sbirri che non possiamo più rubar nulla. Visono delle spie che la fanno per un divertimento e ancoradei nostri amici. State pure attenti miei cari compagniprima di rubar qualche cosa con chi vi ficcate.

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Mi dica quanti giorni sono che ha saputo che va aldebà (Assisie), e se torna ancora nella medesima cella seviene condannato; ma spero che verrà assolto118.

Alzate la gamba che un dì o l’auter furajemo (sortiremo)tutti.

Guarda 41 di non stracciare i fogli, che se ne accorge ilbibliotecario. Addio sono il tuo amico (il 41 è il numerodella cella).

Saluto il 265 che non so il suo nome. Arrivederci oggi119

camerata di sventura.Me car 63 i suma ben pià tuti dui per le feste: fatevi

coraggio che struvruma poi fora da si a 2 o 3 meis.Addio.

Pietro pensa pur prima per poter parlare perché paro-la poco pensata potrà portarti perpetuo pregiudizio120.

D’una cosa a proposito d’onestoAvvisar ti debboE si è di emendarti prestoE non certuni imitar che han fatto i sordiFinché a lor non toccò botte da orbi121.

Che sgonfion chi tses (sei). Gli ammaestramenti biso-gna prenderli dai ladri, essi sì che sanno darteli buoni122.

2

Il lievito sublime

Dopo tanti esempi, constatati, anche sotto i nostri occhi,e nelle più disparate nazioni, chi dubitasse ancora cheil genio possa coincidere colla pazzia, farebbe segno diessere o cieco o caparbio.

Un monomaniaco di Bicêtre si doleva, con questi beiversi, della sua triste prigionia (Moreau):

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Ah! le poète de Florence – N’avait pas dans son chant sacréRêvé l’abîme de souffrance – De tes murs, Bicêtre exécré.

Esquirol racconta come un maniaco, durante il pe-riodo acuto del male, inventasse un cannone che venneadottato.

Morel curava un pazzo, soggetto avere ebetudini inter-mittenti, prima delle quali, componeva delle belle com-medie.

Un altro pazzerello, curato dal Verga, avea fantastica-to, nel e pel suo delirio, con molto ingegno, se non converità, l’etimologia di Senavra, da Senavrà; un medico, fi-glio d’un grand’uomo, colpito dalla follia, inventava, conmolto ingegno, e, non dirò, per onore dell’armi, giustez-za, che farmacia deriva da far-marci, e medico da ocidem.

Io ebbi in cura, a Pavia, un povero contadinello dodi-cenne, inventore di arie musicali originalissime, che ap-plicava ai suoi compagni di sventura così ben adatti so-prannomi, che tuttora restaron loro addosso. Gli eracompagno un vecchietto pellagroso, e contadino pur es-so, che richiesto da noi se fosse felice, «Tutti (disse a mo-do di un filosofo greco) lo sono, anche i ricchi, purché lovogliano essere».

Molti dei miei scolari ricorderanno quel B..., ora com-pletamente guarito, che si potea dire un vero genio delpopolo; già suonatore, domestico, facchino, oste, chin-cagliere, maestro, soldato, scrivano, mai fortunato; eglici lasciò una sua biografia, – cui, se togliete qualche er-rore ortografico, non siederebbero male gli onori dellastampa, e mi chiedeva l’uscita con queste rime, che perun popolano incolto sono pur belluccie:

Il sottoscritto – chiede al caro suo dottoreOr come padre nostro – la libertà del chiostroE come il suo dottore – nutre nel seno un’almaPura, sincera, intera, perciò senz’alcun dubbioEi della grazia spera, ecc.

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Ed ora veniamo ai poeti veri del manicomio, pochi concoltura letteraria iniziata – molti più veramente appaionoispiraci e quasi educaci dal morbo; potrei addurne esem-pi moltissimi, se non che l’economia necessariamente ri-chiesta dall’opera non mi permette esporne, qui, che po-chissimi (lasciando gli altri in apposita appendice), i qua-li io scelgo specialmente per mostrare il contrasto specia-le con se medesimi, comeché d’un tratto si vedano passa-re non solo dal genere più tetro al più gaio, e fin all’osce-no, ma dall’eleganza e dalla finezza più squisita, all’insul-so e sgrammaticato chiaccherio del demente.

Il signor M... G..., poeta di grido prima d’ammalare, efratello ad un grande poeta, precipitò, per eccessi alcoo-lici e di studio, in mania, usava violenze contro la pro-pria moglie, – gridava e insultava a pretesi persecutori;passati i primi accessi, trasformatosi in megalomaniaco,si mise a tirar giù dei versi armoniosissimi ma senza sen-so; scarabocchiò una tragedia di 60 personaggi, fra cuisi vede mescolato Archimede con Garibaldi, EmanueleCarlo Felice con Eva e con Davide, Teja e Saulle; vi era-no dei personaggi invisibili, astri e comete, i quali nonperciò si astenevano dal declamare. – Ecco, p. es., unastrana domanda ad Archimede:

Dall’Erebo uscito, rispondi ove sei?O forse t’involi pei balzi cruenti?Se un giorno lanciasti, atleta agli deiUn angiol dai vanni di fuoco lucentiAncor non è stanco dei cieli il tiranno...Se più della luce la notte t’abbella,Si tinga di nero la vecchia tua stella.

Archimede risponde:

Io sono il Lione che rugge e si schioma.

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Tutti i metri barbari eran stati tentati già da molti annida lui, e più ancora dei barbari gli impossibili, che egli (ilquale spesso si credeva mutato in Orazio) intitolava orametri or olimetri.

Né meglio parmi il barbaro suo, come lo chiama,

Ametro

Italiche muse, versi cantatemi al Vero;Non tutti al falso, non tutti all’infanda menzognaDanno i poeti il suon dell’antica zampogna,E non i popoli tutti son monchi a un pensiero.

Eterna stette, eterna sui cardini suonaLa terra coi cieli, il sole, la luna, e le stelle;Le donne, gli uomini, le cose per quanto mai belle:L’eternità sola fulmina fra i nuvoli e tuona.

Cogliete i pianti, le lagrime ovunque adunate:Versatele in fiori sull’urne dei martiri nostriPei cimiteri le lire al mio genio piegate!

Che se risorti tutti, siam tutti alla vitaDitemi a me, voi ditemi su quale ala di ostri (?)Da qual mai forza la morte veniaci rapita.

S. M.

Ebbene, poco dopo, costui dettava alcuni sonetti chenon avrebbero perduto molto al confronto di quelli delBerni.

Sonetto

Medicina di salute

Non lane al mattin primo! ma due fetteSode di buon prosciutto e di salame,Con foglie d’insalata all’uopo eletteChe tolgon l’appetito e metton fame.

S’intende: masticar la refezioneFacilitata da un bicchier di vino

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Che sia spillato da bottiglie buone,Di sapor tondo, secco e non di spino.

A mezzogiorno, lesso e peperoniBroccoli, erba fritta e un molle arrostoE per dolce, un sollucchero a citroni.

Nella sera un gelato in brodo caldo,Un petto brillo di gallo in arrostoE: più vino che acqua ... e il corpo è in saldo.

M. S.

Mentre non solo gli uomini di Stato ma anche alieni-sti, più o meno serii, dubitarono che il Lazzaretti fos-se alienato, gioverà meditare questo giudizio preventivodi un lipemaniaco, cliente dell’onorevole dottor Toselli,che me lo comunicò:

In questo secolo – di vie ferrateD’imposte e debiti – e barricateDi luce elettrica – di magnetismoDi carta straccia – di comunismoE mentre i popoli – son tutti in piantoNon ci mancava – che questo Santo.

Nasceva il Davide – nel MontelabroFra muli ed asini – villano scabroCon Garibaldi – si fe’ soldatoEd in Sicilia – ha guerreggiato.Poi cinse il tragico – coturno e mantoInfine il furbo – si fece Santo.

Di scilinguagnolo – sciolto dotatoSi fa proseliti – nel vicinatoTutti il salutano – nuovo ProfetaE Santo dicono – l’AnacoretaEi si ravvoltola – nel nuovo mantoGode del titolo – dato di Santo.

Nuovo decalogo – come MosèScrive il fatidico – Profeta e Re;Ha suoi Apostoli – con MaddaleneE cerca il Golgota – croce e catene

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Del Nazareno – ei veste il mantoI gonzi applaudono – a David Santo.

Ed il suo Golgota – ad ArcidossoIncontra il misero – meschin colossoLa benemerita – gloriosa armaLui cogli Apostoli – scioglie, disarma;Ecco un proiettile – forogli il mantoE cadde esanime – il nostro Santo

Terra dei fiori – gentil ToscanaCura il tuo cerebro – il cuor ti sanaA tempo debito – nel manicomioChiudi i maniaci – plauso ed encomioDaratti Italia – ed il suo piantoSarà pei martiri – non pel tuo Santo.

Eppure egli poco dopo dettava questi altri versi scon-clusionati:

Al Direttore del Manicomio

Chi pecora si fa, il lupo lo mangia

Dottore stimatissimo,Io già tel dissi in prosaChe l’aria a me del carcerePer nulla si confà,E che è brutta cosaPerder la libertà.

Fui chiuso il giorno trediciIn questa ria magione,E già son giorni dodiciChe vivo in schiavitù:Se perdo la ragioneTi mando a Belzebù.

Il celebre LombrosioMaestro a te e collega,La Trossarello miseraAl boja consegnò;Per te la mia bottega

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In Emaus n’andò.

Ma dunque, un pazzo proprioMi credi in tua coscienza? ...Allor dammi una cameraPari a’ miei servitor;Non chiedo che decenza,Né cerco lo splendor.

Forse ci vuole un secoloUn pazzo a giudicare?!!!!Ma allor la scienza medicaNon è che derision!Invece di sanareFa’ perder la ragion.

Forse gli eminentissimiBalordi miei parentiTi diêr la mancia pinguePer farmi tormentar?Dimmelo fuor dei denti,Saprommi regolar.

Già nei passati secoliLa santa InquisizioneDava capestro e baveroAl genio, alla virtùIn or questa magionePer me creata fu!!?

Ma allor non vuoi che stupidiA popolar la terra?Ed un che scrive carminiSi ha da tormentar!!Vivo m’inghiotti o terrache duro m’è il penar!!!!

GIOVANNI GI... Chimico-Poeta e Farmacista.

Ancora più singolare e più dimostrativa del nostro as-serto (dell’esservi un vero estro poetico che sorge peropera della malattia mentale) è la stupenda poesia co-municatami dal Tarchini-Bonfanti, e dettata quasi sotto isuoi occhi da un demente:

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Ad un uccello del cortile

Da un virgulto ad uno scoglio,Da uno scoglio a una collina,L’ala tua va pellegrinaVoli o posi a notte e dì.

Noi confitti al nostro orgoglio,Come ruote in ferrei perni,Ci stanchiamo in giri eterni,Sempre erranti e sempre qui!

CAV. Y.

Per ben capire le bellezze di queste strofe bisognaricordare ch’esse alludono al cortile dov’egli dimoravacoi suoi fratelli di sventura, ove era in mezzo una granpianta; «Ivi passeggiano (mi scrive il Tarchini), moltoa lungo, i malati, girando sul marciapiede di pietra chevi sta intorno. L’autore che dimora qui da 20 anni, sicrede cavaliere, principe, ecc.; vede in tutto del mistero;continuò per anni a voler sempre toccare colla sua pipale chiavi del direttore, ama essere attillato per quello chepuò, e si picca di bei modi. Disegna, talora bene, taloraa scarabocchi, quando non copia ma inventa, e semprecose allusive a certi misteri che ha sempre in testa».

È insomma un demente con follia ambiziosa già siste-matizzata.

È curioso, che, toltone quel giorno, costui, che èuno dei più assidui scribacchiatori, dettò prose e versimen che mediocri, scorrettissimi, e che alludono, conconvinzione profonda, a quei sogni vanitosi, i quali, eglistesso in quei versi flagella, come può vedersi da questiframmenti, raccolti a caso fra i suoi manoscritti:

Bestia o uomo, per un Capelloverso la mia decorazione d’onoreche fu baciata dal Capellajo –.Casati! onde voglio passeggiare

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a piacer mio perché ho il dirittoper legge che voi lo sapete senzadubbio! il suddito con la vostra chiave!

Del resto, che anche nello scrivere quei bellissimi versiperdurasse nel suo delirio ambizioso, ci dimostra la firmacui è appicciccato, indebitamente, il nomignolo di cava-liere.

Ma un esempio che interessa in doppio modo la psi-chiatria legale, perché mostra il genio letterario intermit-tente che può provocar la pazzia, e come possano i paz-zi simulare la pazzia, pur essendone affetti, in specie in-nanzi al terrore adella pena, mi fu offerto da un pove-ro calzolaio; era certo Farina, figlio, nipote e cugino dipazzi e di cretini, che, monomaniaco, allucinato, fin dal-la giovinezza, ma in apparenza tranquillo e sereno, fred-dò, con un coltello, una donna di null’altro colpevole senon d’essere la immaginaria istigatrice dei suoi nemici in-visibili, che lo tormentavano colle voci, e madre ad unabella ragazza, di cui egli, in quella specie di delirio eroti-co dei pazzi, che uso chiamare amor muto123, si credevaamante riamato, malgrado non avesse avuto con lei quasialcun rapporto.

Costui, commesso l’omicidio, fuggì a Milano; e niuno,pur da lontano, ne l’avrebbe sospettato reo, se egli a bellaposta, ritornando a Pavia, e presentandosi alla Questura,non se ne fosse accusato e avesse mostrato, per meglioconvincerne gli increduli, il fodero del fatale strumentoomicida; più tardi, messo in prigione, si pentiva dellostrano suo passo e offriva i sintomi di una forma dipazzia, che veramente non avea, la demenza; sì che ame, richiesto come perito, occorse non lieve fatica avenire in chiaro del vero suo stato e accertarmi come,cioè egli, malgrado infingesse la pazzia, fosse pur mattoegualmente124.

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Questa autobiografia del Farina, che volli lasciare intutta la sua integrità, salvo solo alcuni sogni e gli erro-ri ortografici, mi sembra uno dei più preziosi frammentidella anatomia patologica del pensiero. Essa prova, contutta evidenza, potervi esistere allucinazioni con la con-servazione di tutte le altre facoltà psichiche; impulso ir-resistibile al reato colla coscienza della gravità dell’atto,come già accennò il nostro Herzen nelle sue belle paginesul Libero arbitrio.

È singolare, poi, che un uomo, non avvezzo alla coltu-ra letteraria, abbia potuto esprimersi con tanta chiarezzae spesso con tanta eloquenza, e che vi mostri tanta tena-cità ed esattezza di memoria, da ricordare la grossezza diun sapone comperato 3 o 4 anni fa, da ricordare dopo an-ni, dei discorsi, sogni, luoghi, nomi proprii, che pochis-simi sani ricorderebbero dopo pochi giorni; e, a propo-sito dei sogni, di cui molti dovetti omettere perché egline avrebbe riempito delle risme di certo, è notevole lagrande vivacità della loro riminiscenza, vivacità non co-mune nell’uomo sano, la quale ben accusa l’importanzapatologica che assunsero in quell’infelice.

Ed è notevole l’assennatezza, con cui, sulle prime,combatte il pregiudizio del prognostico dei sogni, comu-ne ai compagni di carcere, e come finisca per cedervi piùper una forza d’imitazione, che per quella supina e pas-sionata ignoranza, a cui essi, senz’esser alienati, erano piùinclini di lui.

E quanto non si eleva l’infelice al confronto dei piùsani, ma più tristi colleghi di carcere, quando ad essi cherimpiangevano l’Austria, quasi l’Italia fosse più ingiustane’ suoi giudizi, obbiettava: «E forse che l’Austria noncondanna anch’essa i birbanti?»

È pur curioso ch’egli avesse qualche volta la completacoscienza di alcune sue allucinazioni – e d’altre no – ecome avvertisse il loro aggravarsi colla stanchezza, colladebolezza, coll’alzar il capo, avviso ai medici salassatori ed

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agli spiritualisti. E non è notevole pure, il vedere ch’eglichiami istinto l’impulso omicida, quasi si fosse consultatocon un psicologo dalla vecchia scuola alemanna – e cheabbia tanta coscienza della gravità dell’atto – che perpoco non si arrestò al pensiero della giustizia e che ilpungesse sì forte il disonore della catena e la compagniadei carcerati?

Si saranno notate le molte parole ch’egli adopera nelsuo manoscritto con sensi tutti suoi, come: prerogativa,diporto, insistenza, ecc., che sono caratteristiche dellaforma monomaniaca.

Ma per la medicina legale molto interessa il vederecome ci confessi che aveva tutto disposto per andare inIsvizzera, se non fosse stata la stanchezza ad impedirlo ela tema di essere inseguito dalla caterva de’ suoi nemici.Se si fosse calmato, subito, il parossismo allucinatorioe gli fosse riuscito di fuggire in Svizzera, quanto piùdifficile per il non psichiatro poteva riescire il giudiziosulla realtà dell’alienazione?

Quanto alla simulazione della manìa egli avea preso adimitare una forma la cui simulazione eragli più facile, lamania allucinatoria istintiva e notturna; – il cui modellotrovava in sé medesimo: ma non è egli sicuro che se nongli fosse venuta la stramba convinzione, che noi medicivolevamo proteggerlo ad ogni costo, egli avrebbe conti-nuato a fingere anche davanti a noi? Ad ogni modo, sen-za questo inaspettato soccorso, non correvamo noi il pe-ricolo di crederlo maniaco quando non l’era o simulato-re anche allora quando esso più non fingeva? Nuova edeloquente prova del poco valore che hanno i giudizi pe-ritali basati esclusivamente sulle facoltà psichiche, e dellautilità della nuova scuola psichiatrica esperimentale125.

E chi alla lettura di queste belle pagine può dubitare,più, che vi sieno casi, in cui la pazzia dà agli intelletti vol-gari un lievito sublime che li solleva dal livello comune?

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Un’altra fra le tendenze che segna il carattere specia-le dell’arte nei pazzi, è la mescolanza dello scritto col di-segno, e, nei disegni stessi, la ricchezza di simboli, di ge-roglifici; il che tutto molto bene ricorda le pitture giap-ponesi, indiane e le antiche pitture murarie egizie, e ri-monta, in parte, alle cause stesse: il bisogno di soccorre-re, di rinforzare la parola o il pennello impotenti entram-bi ad esprimere, in tutta la desiderata energia, l’irrompe-re o il persistere di una data idea. – Quest’ultima ragionebene spiccava in un caso fornitomi dal Monti, in cui undisegno architettonico, ben fatto e preciso, era reso in-comprensibile dalle molte epigrafi e iscrizioni che vi ave-va aggrovigliato entro ed intorno un afasico, demente da15 anni, che vi dettava le risposte, spesso in rima, cui nonavrebbe potuto dar a voce.

In alcuni megalomaniaci ciò avviene, pel vezzo diesprimere le proprie idee con un linguaggio diverso dal-l’umano, il che in fondo è dunque in doppio modo atavi-stico. Tale era il caso del Padrone del mondo, illustratodal Toselli e da me126.

Era certo Ga... L. di 63 anni, contadino, dal porta-mento sicuro, zigomi prominenti, fronte spaziosa, sguar-do espressivo e penetrante, capacità cranica 1544. Indice82, temp.ra 37°,6.

Nell’autunno del 1871, divenne girovago, parolaio,fermava le persone più notevoli del paese per le piaz-ze, pei pubblici uffizi, lagnandosi di ingiustizie sofferte,distruggeva le viti, devastava i campi e correva per le vieminacciando terribili vendette. Poco a poco diviene eglistesso Dio re dell’universo; e predica dalla cattedrale diAlba sull’alta sua destinazione; nel manicomio di Racco-nigi parve calmo finche durò nella ferma fiducia che ilsuo alto potere fosse da tutti riconosciuto; ma alla primaopposizione minacciava, padrone come era e personifi-cazione degli elementi, ed ora fratello, ora figlio, ora pa-

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dre del sole, di sconvolgere la terra, distruggere gl’imperie farsi un piedestallo delle immani rovine.

Ma più di tutti questi ticchi era caratteristica nel Ga...la manifestazione grafica del delirio. Egli aveva imparatoda giovane a leggere e scrivere, ma ora sdegnava l’usodella scrittura volgare. Vergava spesso lettere, ordini,cambiali, ora al sole, ora alla morte, ora alle autoritàcivili e militari, ed aveva sempre una tasca piena di questifogli. La sua scrittura consiste, essenzialmente, in grosselettere maiuscole, a cui di tratto in tratto frammischiasegni e figure indicanti gli oggetti o le persone. Leparole sono per lo più separate da uno o due grossipunti, e d’ogni parola tracciava solo alcune lettere, quasisempre le consonanti, senza alcun rispetto alle norme delsillabario.

Così per dire: «Domine Dio Sol è ricoverato all’ospe-dale di Racconigi fa sentire al prefetto del tribunale diTorino se vuol pagare i debiti della morte. Prima di mo-rire venga di presto all’ospedale di Racconigi», egli riem-pie un gran foglio a questo modo:

La firma poi è sostituita da un’aquila bicipite con unafaccia in mezzo, che è uno dei suoi prediletti stemmi, eche porta anche sul cappello e sugli abiti.

È chiaro che, oltre il salto di alcune lettere, specie vo-cali, come normalmente fra i semiti, vi ha qui l’uso diquelli che nei geroglifici egiziani si chiamano determina-tivi. La morte, per es., è segnata con l’ossa da morto, e

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il prefetto del Tribunale di Torino da un molto bruttoprofilo, o da una mezza luna.

In altre comunicazioni è andato più addietro atavisti-camente; e l’alfabeto è quasi scomparso sotto le figuredestinate a supplirlo.

Questo miscuglio di lettere, di geroglifici e di segni fi-gurativi costituisce una scrittura interessante, perché ri-corda il periodo fono-ideografico per cui passarono cer-tamente i primi popoli (certissimo i Messicani ed i Chi-nesi), prima di inventare la scrittura alfabetica, siccomene fanno testimonianza la parola grafo (dipingere o scri-vere) e la forma stessa delle lettere, che ricorda quelladegli astri e dei pianeti.

Ne’ selvaggi di America, di Australia, la scrittura con-siste in una pittura più o meno rozza: p. es., per indicare:– avessi la celerità di un uccello, dipingono un uomo colleali invece di braccia (Steinthal, Entwicklung der Schrift,1852). Due canotti con un uomo dentro, ed un orso e seipesci, indicano che dei pescatori pescarono dal fiume unorso e dei pesci. Sono, piuttosto che scritture, aiuti mne-monici, però più legati insieme e vivificati da canzoni odalle tradizioni.

Alcune tribù però giunsero a qualcosa di meno im-perfetto, e che s’avvicina ai nostri rebus: per esempio, iMayo d’America, per significare un medico, dipingonoun uomo con un’erba in mano e due ali ai piedi: chia-ra allusione alla sua pur troppo forzata abitudine di ac-celerare il passo e trovarsi dappertutto ove lo si richieda;dipingono un cerchio con piedi umani o un sole coper-to di croci; per indicare la pioggia dipingono un secchio(V. Boddaert, Paleography of Amer., 1865, Londra).

Così gli antichi Chinesi per esprimere malizia disegna-vano tre donne, per significare luce, il sole e la luna, e unorecchio in mezzo a due porte per il verbo ascoltare.

Questa rozza scrittura ci rivela che i tropi retorici, dicui mena tanti trionfi il pedante, sono espressioni del-

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la povertà e non della ricchezza dell’intelletto; difatti sivedono spesseggiare nei parlari degli idioti e dei sordo-muti educati. Dopo aver adottato per molto tempo que-sto sistema, alcune razze più incivilite, come le chinesie messicane, fecero un passo più innanzi: quelle figure,più o meno pittoresche, se le catalogarono, e giunseroa formare delle combinazioni ingegnose, che, senza rap-presentare direttamente l’idea, pure ne suscitavano indi-rettamente la reminiscenza, come nelle sciarade. Di più,per non lasciare troppo incerto il lettore, faceano segui-re o precedere quei segni da un abbozzo dell’oggetto chevoleano esprimere, e che era un misero avanzo dell’anti-ca scritturazione tutto affatto pittorica. Ciò avvenne, cer-to, dopo che, fissato il linguaggio, si osservò come parec-chi, nell’abbattersi in un dato segno, si rammentavano ilsuono delle parole di cui questo suscitava la ricordanza.Così Itzlicoatl, il nome d’un re del Messico, si scrivevadipingendo un serpe, in messicano detto Coatl, ed unalancia che si chiama Istzli. Così noi vedemmo in chinesetscheu significare barca, lancia, ciarla (Lombroso, Uomobianco e uomo di colore, 1871).

Col rinnovare questa pratica il nostro megalomaniacoprova ancora una volta che nell’estrinsecazione del pen-siero i pazzi, come i delinquenti, spesso fanno un ritornoatavistico alle epoche preistoriche dell’uomo primitivo.

Questo esagerare gli emblemi rende confusa anche l’o-pera di pittori abilissimi, ma allucinati ( Les fous littérai-res, 1880).

Minuzie In alcuni invece, monomaniaci in ispecie, viè un carattere opposto, l’esagerazione delle minutaglie,dei particolari, per cui raggiungono l’oscurità a furia dicercare l’evidenza; così in un quadro di paesaggio chefu esposto fra i rifiutati a Torino, non solo si vedevala campagna, ma quasi i fili d’erba si discernevano unodall’altro; così pure in un altro quadro, che doveva essere

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grandioso, si avevano i tratteggi come in un quadro amatita.

Atavismo È già questo, come il simbolismo, un feno-meno atavistico. E non basta; in altri, come in questoche qui riproduco, insieme all’esagerazione delle minu-zie (Tavola XII), si nota che la prospettiva manca affatto,mentre tutto il resto è così ben chiaro da mostrare nel-l’autore un forte senso artistico. – Si direbbe un pitto-re vero, ma educato in China o nell’Egitto antico – e quipienamente si intravvede una specie d’atavismo spiega-bile con ciò che ad un dato arresto nello sviluppo d’unorgano corrispondono uguali prodotti.

Tav. XII

Ne ho trovati tre di questi pittori: un monomaniacoincendiario di Pavia, che aveva anche il vezzo di scrive-re le parole quasi in stampatello, e due dementi, uno deiquali segnalatomi cortesemente dal dott. Filippa, ripro-duce esattamente il metodo del primo, ed è lo stesso chesegnava i curiosi arabeschi con figura umana, a cui sopraaccennai (Tav. XIII).

Un capitano francese, paresico, disegnava delle figu-re stecchite come i profili egiziani. Quel megalomaniacosodomitico di Reggio, che si costrusse gli stivali, fece pu-

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re un bassorilievo a colori, in cui la sproporzione enormedei piedi e delle mani, e la picciolezza della faccia e l’irri-gidimento degli arti, ricordano completamente i bassori-lievi del 1200 (vedi Tav. XIII). Un altro da Genova purefa bassorilievi su pipe e su vasi, analoghi affatto a quellidell’epoca della pietra polita (Maragliano).

Queste minuzie, e l’uso dei geroglifici e dei simboli dicui sopra, è affatto atavistico, è l’uso dei Caldei antichi edegli Egizii.

Raggi mi regalò delle selci lavorate da un monomaneche era affatto ignaro di archeologia: ripetono nella scel-ta delle figure, degli emblemi tutto il fare degli amuletidegli Egizii e Fenici (vedi Tav. XIII).

Criminalità e pazzia morale Ed a questo proposito èimportante il notare che il maggior numero di questiartisti aggiunge agli altri delirii, spiccata follia morale,pederastica in ispecie. L’autore del quadro Delira (vedipag. 348) era un pederasta.

Chi eseguì il meraviglioso modello del Manicomio diReggio, di cui toccai a pag. 331, non fu mai disegnatore,ne scultore, ne ingegnere: era un pazzo e ladro pergiunta, con tendenze contro natura; costui quando glisalta il ticchio, se ne scappa via, vagabondeggia perqualche giorno coi pochi denari che ha indosso; rubaappena diede loro fondo; e quando è in carcere, dichiaradi essere quello che è, cioè un matto, e si fa assolvere,e riportare a Reggio, salvo a rifare dopo qualche mese ilsuo colpo.

Il Tamburini, a cui ne scrissi, mi disse di essere statocolpito anch’egli dalla coincidenza della tendenza artisti-ca e della follia morale in pazzi affetti da altre malattiementali – paranoia in ispecie.

E il lettore ricorderà che folli morali erano le duericamatrici e disegnatrici di quadri osceni.

Fra le opere d’arte più curiose (mi scrive Frigerio)che fanno parte della copiosa raccolta del Manicomio

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di Alessandria, devonsi annoverare quelle di X..., pazzomorale, vero tipo di degenerato, famoso tra i suoi com-pagni di clausura per i molti tentativi di evasione con fi-nissima arguzia escogitati, e abilissimo nel costrurre gri-maldelli ed altri strumenti; fra l’altre noto una piccolacarretta da trasporto di forma elittica in perfetto equili-brio sull’asse della ruota, mentre le stanghe sostengonol’asse medesimo alle due estremità. Mirabile per la suasemplicità e leggerezza.

Inutilità Un carattere comune a molti è la completainutilità dei lavori a cui attendono (e qui ricordo il dettodi Hécart: «è speciale ai pazzi di lavorare a cose inutili»);così una tale M., ginevrina, affetta da monomania perse-cutoria, consumò interi anni in lavori sopra fragili uovae su limoni, lavori che, malgrado fossero bellissimi, nonpoterono giovarle nella fama, perché essa li teneva gelo-samente nascosi, ne io, a cui pure era affezionata, poteivederli, se non dopo la sua morte. Così toccammo sopradi quegli che si costrusse con gran cura un solo stivale ela propria crocifissione. – Si direbbe qui proprio, comeaccade nell’artista di genio, l’amore del bello pel bello edel vero pel vero. – Solo che la mèta è invertita.

Musica nei pazzi Anche l’abilità musicale, come e piùche la pittorica, si scorge assai spesso offuscarsi in coloroche, prima di ammalare, la coltivarono con troppa pas-sione. – Adriani osservò che i maestri, da lui curati perfollia, perdevano quasi affatto la loro abilità, che esegui-vano, sì, qualunque pezzo musicale, ma senza vita; altripoi, venuti a demenza, ripetevano monotonamente alcu-ni pezzi, sempre gli stessi e talora soltanto alcune frasi;Vigna (op. cit.) nota che Donizetti, nell’ultimo stadiodella demenza, non avvertiva più le melodie predilette; ele ultime sue opere sentono già quell’influsso fatale – chei critici notano pure nella sinfonia della Sposa di Messi-na di Schumann, composta durante gli accessi maniaci(Clement, Les musiciens célèbres, 1868).

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Ma ciò non contraddice al nostro asserto, che la folliadesti nuove qualità artistiche in chi non le aveva; mostre-rebbe, solo, in più, che è impotente su chi già fornitone,come pur vedemmo pei pittori di professione (v. sopra),forse per l’abuso di esse, impazziva. E già Mason Cox,mentre trovò che molti virtuosi avevano perduto colla ra-gione ogni abilità, notavane alcuni che, all’inverso, vi di-vennero più abili (Vigna).

Certo è, però, che l’abilità musicale si vide manifestar-si, quasi spontanea, in molti melanconici, in alcuni ma-niaci, e qualche volta perfino nei dementi; mi ricordo diun malato che aveva perduta la parola, eppure suonavacontinuamente, ed a prima vista, pezzi musicali diffici-lissimi; e di un melanconico, matematico di molto inge-gno, che improvvisava al pianoforte delle arie degne diun maestro, senza conoscere musica, ne contrappunto;un altro, demente, in seguito a monomania, che avevaperò studiato musica da giovane, e continuava a suonaree ad improvvisarne fino a che morì paralitico.

E ciò in parte spiega perché si trovi tanta copia dipittori e poeti fra costoro, anche in ispecie fra quelli dacui meno si aspetterebbe – i dementi; perché la fantasiaha più sciolto il freno, quanto meno domina la ragione,la quale, reprimendo le allucinazioni e le illusioni, toglieall’uomo normale una vera fonte artistica e letteraria. –Si copia bene ciò che si vede bene.

E da qui si comprende come l’arte stessa possa, asua volta, produrre, fomentare lo sviluppo delle malat-tie mentali. Vasari narra di uno Spinelli, pittore Aretino,che essendosi studiato di dipingere le deformità di Lu-cifero, se lo vide apparire nel sogno e rimproverarlo diaverlo fatto sì brutto; e il pittore restò, con quell’imma-gine, per anni e fu ad un punto da morirne. – Verga neconobbe un altro che esercitandosi a tracciare linee ser-pentine, a poco a poco le sognava di giorno e di notte,convertite poi in veri serpenti; e sotto l’incubo di quel-

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l’immagine cercò di annegarsi (Verga, Lazzaretti, Mila-no, 1880).

In alcuni casi non influisce nemmeno più la fantasia,ma una specie di automatismo, che prende più forzaquando tutte le altre attività psichiche vanno scemando,come nei bambini che scarabocchiano disegni più degliadulti, – per un vero movimento automatico.

Potrebbe essere che lo studio di questi caratteri del-l’arte nei pazzi, oltre a manifestarci una nuova faccetta diquesti misteriosi malati – giovasse all’estetica od almenoalla critica dell’arte – nell’apprendervi che la predilezio-ne esagerata dei simboli, delle minuzie, per quanto esat-te, e la complicazione delle scritture, la prevalenza esa-gerata di una data tinta (e tutti sanno come v’ha ora unnostro pittore di genio che in questo pecca, e di molto),l’indecente lascivia e la stessa troppa originalità entranonella patologia dell’arte.

3

Eziologia del genio e del delitto

1

L’azione della civiltà

Il Brièrre de Boismont ed il Guislain ( Leçons Orales 1,15) e con loro e dopo loro una lunga schiera di psichiatrifrancesi e tedeschi (Griesinger, Path. Der Psyck. Kran-kh., p. 66, 1845), hanno elevato quasi ad assioma, la ci-viltà originare spesso, sempre fecondare la follia, co ’lmaggiore agglomero degli individui e co ’l maggiore svi-luppo ed esercizio dell’intelligenza: – perciò si asserì che«l’alienation, adopero le stesse parole del Guislain, ne serencontre guère chez les nations nomades asiatiques, afri-caines, et chez les sauvages d’Amerique» (pag. 7, T. 1), e

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correndo su’i fragili trampoli delle statistiche si osò di-re, le nazioni men culte d’Europa essere meno affette daquesto morbo, e portando fino nei nostri manicomi l’of-fesa che si gettò già alle nostre memorie ed ai nostri mo-numenti, si disse scarseggiare noi di pazzi, perché di menfiorente civiltà.

Il problema dell’influenza della civiltà su la follia, seè uno dei più vitali per tutti li Europei che si agitanosuperbi della loro civiltà, senza conoscere qual terribileveleno stilli dentro i suoi fiori, è per noi Italiani di piùvivo interesse, perché comprende la difesa della nostraantica civiltà.

Per risolvere questo problema, forse più che non dalleteorie cui la passione può dare le più strane direzioni,converrà partire dai fatti speciali.

Il pazzo nei popoli barbari non ha un’importanzaclinica, ma storica; è temuto, adorato dalle masse, espesso ne tiene lo scettro. – Nell’India alcuni maniacisono amati e consultati dai Bramini, e molte sette neportano le tracce. – Negli Ebrei parecchi passarono perprofeti, e navì significò l’uno e l’altro, come nigrata inSanscrito. – Nei loro discendenti, negli Arabi, e negliEgizj moderni, intere e feroci tribù stanno al cenno deiMedidubi o dei convulsionarj, ed i Berberi accolgono iloro detti come rivelazioni, e si lascerebbero accopparedai pazzi. – I Turchi li chiamano figli di Dio. – In Chinala setta di Tao consulta come oracoli i pazzi. – I Negri licredono presi dal sacro Feticio. I Patagoni, i Peruvianiaveano profeti epilettici. – Fino nella recente Oceaniascoprimmo pazzi adorati e consultati dal popolo, anche adispetto dei Capi, precisamente come da noi nel Medio-Evo.

È un fenomeno questo che colpisce ad un tratto chis’occupa di storia umana, che non solo le grandi leggi in-tellettuali si riproducono egualmente in tutte le epoche,in tutti i popoli, come le grandi funzioni fisiologiche in

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tutti li organismi, ma questo isomerismo storico s’esten-de ai più minuti detagli, e fino alle aberrazioni più ca-pricciose. – Uno scettico potrebbe ridurre alla legge de-gli istinti la curva di Vico. – Chi sa qual potente influen-za su le mobili masse abbiano esercitato i primi tesmofo-ri, pensi quali violenti passaggi e regressi debba aver por-tato alla condizione dei popoli barbari la venerazione peipazzi. – Difatti noi li vedemmo nel Medio-Evo compli-care ed originare continui rivolgimenti, e anche nei tem-pi a noi più vicini, nella Rivoluzione Francese per es. incui le masse furono ridonate alloro dominio, spesso la ve-ra pazzia non solo complicò, ma trascinò il fanatismo, epunì l’opposizione dei pensatori.

Se non che quando discendiamo ai tempi recenti pergiudicare dell’influenza della civiltà nostra su la follia, ilproblema si fa sempre più complicato – e per i molti espesso contrari elementi che la prima costituiscono – eperché l’unica guida, la statistica – non di rado come unfaro infedele ne mena nella via più lontana dal vero. Lastatistica, per esempio, mostrerebbe che l’agglomero del-le popolazioni aumenta il numero dei pazzi, – ma la sto-ria invece oppone che l’agglomero, quando è frutto divera civiltà, impedisce la pazzia d’imitazione [...], la qua-le può invadere non più individui, ma intere masse. Ar-roge che mentre nelle grandi capitali la vicinanza dei ma-nicomj, la vigilanza delle Autorità tutorie, l’onta e l’in-quietudine dei parenti e dei vicini, concorrono a non la-sciare quasi nessun alienato a piede libero, nelle campa-gne ragioni precisamente opposte contribuiscono a man-tenerveli, e contuttociò il numero dei contadini è sempreconsiderevole nei manicomi. – Esaminiamo tuttavolta lecause della pazzia, onde scorgere fin dove vi influisca laciviltà.

Se partiamo dai fatti che meglio abbiam sott’occhiodei manicomj d’Italia, niun dubio ci resterebbe che lecause fisiche molto più delle morali contribuiscano al-

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la genesi dell’alienazione. – Dal Saggio di Statistica del1851-53 del chiarissimo Bonacossa, risulterebbe che To-rino in quel triennio le cause fisiche sommarono per ledonne a 253 – per li uomini a 393; le morali per le don-ne a 135 – per li uomini a 164. A Milano, secondo il Re-soconto del chiarissimo Direttore Cesare Castiglioni, lecause fisiche nel 1854 ammontarono a 239, le morali a154 – nel 55, le prime a 234, le seconde a 162. – A S.Orsola in Bologna, nel decennio 1842-1851, sopra 1476mentecatti (esclusi li epilettici ed i pellagrosi), se ne eb-bero 634 per cause fisiche – 559 per morali.

Lo stesso rapporto si mantiene in climi e nazioni bendiverse ed in cui non penetrò mai la pellagra.

Nell’Ospizio di Winnenthal su 1304 pazzi, se ne con-tarono 897 per cause fisiche e 407 per cause morali (Da-merow, Zeitschrift, 1844). – Nell’Ospizio di Bedlam(1847) si ebbero 1047 cause fisiche e 834 cause morali(Prag. Viertel Jahres-Schrift., p. 15). –

Nell’Asilo di Stokton in California su 305 pazzi del1854, se ne contarono 132 per cause morali e 173 percause fisiche ( Wien. Medizin. Wochenschr., 1856, n.13), e questo fatto, raccolto da uno dei più diligenti dot-tori Alemanni, mi pare di non lieve importanza, perchél’emigrazione della California sarà segnata probabilmen-te nella storia, come lo furono i pellegrinaggi, quale unodei vivi caratteri del secolo nostro.

Né queste cifre vanno scompagnate da quei fatti ge-nerali che soli possono offrire alla statistica in questi ca-si una solida autorità. – Tutti convengono complicarsiquasi sempre alle cause morali, l’eredità, la predisposi-zione. – Spesso contrarietà morali le più lievi maschera-no le cause fisiche della pazzia, come le veglie eccessive,il celibato, le secrezioni soppresse, o le alterazioni pato-logiche viscerali. Narrò, non è molto, il Verga, di quelmelancolico che si sarebbe dovuto credere impazzito percausa di un vestito mal fatto e nel quale la sezione mo-

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strò diverse alterazioni organiche e fra queste una mela-nosi difusa degli organi digerenti; – narrò Esquirol di ra-gazza che sarebbe impazzita per paura di un tuono; eraamenorroica.

Ora su le cause fisiche della pazzia la civiltà non hainfluenza veruna; e probabilmente ne ha una beneficasu l’abuso dei liquori o di sustanze narcotiche, che èspaventevole nei popoli barbari. – L’ubriachezza nelMedio-Evo era una regola di galateo; ed i gjudizj e leassemblee si teneano fra le tazze; l’abuso di aquavite di-strusse intere tribù dell’America Settentrionale, e nell’In-die ed in Java una specie di mania detta Hamuck è pro-dutta dall’abuso di opio.

Passimo ora alle cause morali. – Fra queste, mentrele passioni occupano il maggior posto, li eccessi intellet-tuali vi sono appena avvertiti; – in questo convengonoEsquirol, Guislain, lo stesso Brièrre, e tutti li statisti.

P. es. Esquirol su 472 pazzi per cause morali, ne trovò13 per eccesso di studio. – Brièrre su 1049 per cause mo-rali, 49 per abuso di lavoro. Parchappe 4 pazzi per abu-so di studio, su 474 per altre cause morali (V. Guislain –Leçons Orales, – p. 391). Il Guislain non ne riscontrò némeno uno. – Alcuni partendo dalle leggi teoriche per cuiun organo deve esser più suggetto ad ammalare in ragio-ne dell’esercizio – vollero ammettere che lo studio con-duca alla pazzia. – Ma non avvertirono che è tutt’altroche dimostrato che la pazzia abbia unicamente e semprela sua sede nell’organo dell’intelligenza; mentre che ven-gono spesso i pensatori colpiti nell’organo che formò leloro delizie e le loro glorie, da malatie più specifiche eterribili – specialmente da meningiti e da apoplessie. –Così Petrarca, Copernico, Malpighi, Linneo, Cartesius,Leclerc, Corvisart, Daubenton, Cabanis, Schlegel, Vol-ta, Bichat, Gioberti ed altri grandi moderni ci venner ra-piti dall’apoplessia (v. Réveillé Parise, Physiol. et Hygiè-

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ne des hommes de lettres, ecc., pag. 235, e Gazzetta Med.Ital. –Lombardia, Appendice Psichiatrica, 1854).

In alcuni pochi esseri singolari la pazzia non fu effet-to degli studi, ma ne fu anzi la causa; non fu rapitrice,ma compagna dell’intelligenza, della vita; tali erano cer-tamente Cardano, Swift, Rousseau e quel Lenau che mo-rì delirante all’Ospitale di Vienna e che fu poeta e pazwa 13 anni (Dörring, Lenau-Leben, 1855, p. 20).

Se qualche volta la mania ambiziosa con paralisi pro-gressiva colpiva illustri vittime nel fiore del loro senno;non ne fu l’abuso del pensiero giammai l’unica causa;quasi sempre vi concorse l’abuso dei sensi, sempre quel-lo delle passioni, dell’ambizione o dell’amore – Ne siaprova il sacro nome di quei sommi che sovra citai e neiquali il pensiero fu prima spento che non alterato127.

In ogni caso le non troppe vittime dell’abuso intellet-tuale sarebbero da rimproverare alla civiltà. Se non chela divisione de i studj e dei lavori, che il progresso va sem-pre più difundendo, tende a distribuire l’esercizio a se-conda delle forze; la cultura delle scienze, di più, ammor-za e distrae dalle morbose passioni, che facilmente dege-nererebbero in follia; spesso, come è facile osservare ne-gli specialisti, una scienza diviene pe ’l suo cultore unamonomania direi artificiale, che lo preserva dalla vera, oche l’utilizza.

Quanto alle passioni, si dee ben convenire che il pro-gresso umano influisca su ’l loro sviluppo, su la loro dire-zione, ma non però che le moltiplichi, che le crei, come leidee. – I materiali della memoria e quindi delle idee del-l’uomo variano secondo il numero e la qualità delle sen-sazioni che gli vengono offerte, e quindi su esse la civil-tà ha diretta influenza; ma non è così delle passioni; – uncerto numero di passioni è dato a tutti li uomini, è senti-to da tutti egualmente; e le sensazioni esterne non ponnoche determinarne la direzione.

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L’amor patrio ardeva forse più nei tempi antichi chenei moderni facendo luogo ad un più caldo amore difamiglia – e a quello dell’oro.

Nei nostri contadini la paura e la superstizione e l’a-more domestico predominano, come nei cittadini l’am-bizione e l’avidità di possesso.

La civiltà aumenta il numero degli oggetti su cui sisvolgono le passioni, offre alcune volte combinazioni ta-li, per cui queste invano ed a lungo suscitate ed irritatepossono degenerare in pazzia – ma la barbarie non eser-cita migliore influenza. – L’ignoranza della natura del-le cose moltiplica le vicende della paura, ben più che laconoscenza di esse non aumenti le vicende dell’avidità.– La barbarie non sa porre un limite alle proprie passio-ni, e i più falsi raziocini ispirati dalla loro veemenza ten-gono luogo di leggi; ne sia esempio il duello. Ogni pro-gresso civile invece è segnato dalla vittoria della ragionesu le passioni. – Se la civiltà aumenta il numero dei bi-sogni, aumenta anche i mezzi di soddisfarli con le nuoveinvenzioni e con la facilità delle communicazioni.

La prostituzione ed il sistema penitenziario delle pri-gioni contribuiscono una certa quota di alienati, – ma liindividui che vi sono suggetti erano già prima fuori dellasfera normale degli esseri, – ed il numero di questi alie-nati è certo compensato da quello fornito dal sistema divita monastica, che è sì difuso nei popoli meno civili. – IRomanzi, che qualche volta si credettero causa di aliena-zione, non sono già opera della nostra civiltà; esistetteroin tutti i tempi ed in tutte le popolazioni; ne sian provale Novelle Arabe e le Novelle del Boccaccio e le Cavalle-resche, che non cedono ai romanzi francesi per oscenitàe per inverosimiglianza; fra i Negri, negli Oceanici e fi-no fra noi (nelle classi illetterate, negli opifici e nelle stal-le) tengono luogo di romanzi le storie, fiabe (märchen),che narrate e gestite innanzi a molti individui aumentanol’effetto con l’effetto, ed eccitano le passioni, l’avidità, la

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lussuria e la paura, spesso con forza energica e contagio-sa.

Come capitale argumento della sua teoria, offriva ilBrièrre un quadro statistico, dal quale risulterebbe che ilnumero dei pazzi aumenta in ragione diretta del maggio-re sviluppo nelle varie nazioni.

Se non che non solo quel quadro ribocca di errori, manella sua inesattezza conclude precisamente il contrario.– Napoli, p. es., secondo il suo calcolo (1 pazzo per 79abitanti), dovrebbe essere più civile che Milano e Parigi(1 per 222 abit.). – La Scozia e la Norvegia (1 a 550)sarebbe più civile che la Francia (1 a 1000) e l’Italia. – LaSpagna, agitata da una guerra di mezzo secolo e guerracivile, ha (1 ogni 7480) 7 volte meno pazzi della quieta efeudale Germania (l a 1000) – Nel Cairo si contano soli14 pazzi e quindi quella strana cifra di 1 pazzo su 300000abitanti; e pure il Pruner ne avea osservati 75 solo negliOspedali. – Così all’Italia si assegnano 3441 pazzi, o sia1 ogni 4879 abitanti. Ora secondo i calcoli raccolti dalVerga, il numero ammonterebbe a più che 14610 – e ilrapporto sarebbe di 1 su 1500 abitanti.

Alla Francia si assegnano 32000 pazzi, o sia 1 su 1000abitanti. Ora dai calcoli ben più minuti e coscienziosidel Parchappe risultano essere 21844 ed il rapporto 1 su1625 abitanti; il che ognun vede quanto poco differiscadalla cifra assegnata all’Italia, anzi la differenza sarebbea tutto nostro vantaggio ( Des principes à suivre dans lafondat. et construct. des Asiles, 1853).

L’unico dato logico e vero sarebbe quello dell’Inghil-terra, alla quale, secondo Brièrre, si assegnerebbe 1 paz-zo su 783 abitanti, e secondo il Parchappe 1 su 559. –Che se anche tutti i calcoli fossero esatti, non perciò sipotrebbe venirne a qualche giusta conclusione, perché leciviltà delle varie nazioni non differiscono solo di gradoo di forma – ma di elementi e d’essenza, sopratutto per

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le tendenze delle razze, le quali niun avvenimento storicoriesce a cancellare.

Così per es. mentre la Germania è nel massimo pro-gresso quanto alla difusione e alla cultura delle scienze, sitrova ancora nello stadio del Medio-Evo quanto alla con-dizione politica e commerciale, e le passioni sono per na-tura meno robuste in quella razza, e le restrizioni di castache vi si estendono fino all’ultimo artefice – ancor più leraffrenano.

L’Italia, in cui la cultura delle scienze è molto menoestesa, ha passioni molto più violente. – La razza è piùcivile, più antica pe’l sangue romano che circola nelle suevene, e niuna legge più vi distingue innanzi all’opinionechiunque sia dotato d’ingegno od onore.

Nell’Inghilterra li estremi delle barbarie e della civiltàsi accozzano insieme – il feudalismo e la licenza, – e men-tre la libertà d’opinione e di commercio e la concorrenzaillimitata aguzzano ed irritano alcune passioni – il fanati-smo religioso (metodisti), l’egoismo e la naturale rozzez-za d’una nazione storicamente pressoché barbara e mi-sta, ve ne aguzzano dell’altre, non meno potenti e fune-ste.

Queste differenze poi dominano non solo fra nazionie nazioni, ma fra le classi di ciascheduna, e mentre nellaCapitale avrai qualche pazzo per effetto della civiltà, adue miglia di distanza ne avrai altri per effetto dellabarbarie, anzi nella stessa Capitale ne avrai per effettodell’una e dell’altra, sol che dai palazzi tu scenda nei trivj.

Concludiamo. – La pazzia non solo si manifesta difrequente fra i popoli barbari – ma ella vi è circondatad’ammirazione, vi diviene un avvenimento storico – espesso degenera in epidemia.

La civiltà, indebolendo la forza d’imitazione nellemasse ed il prestigio negli alienati, rende impossibile lafollia epidemica.

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Per questo riguardo si potrebbe asserire che essa ten-da a diminuire il numero dei pazzi fornito dalla barbarie.

Impotente, e forse benigna, quanto alle cause fisichedelle pazzie individuali, non ne accresce o, almeno assaipoco, le cause morali – essendo che se alimenta nonpoche violente passioni, ne fa tacere alcune altre edinsegna, co’l maggior dominio della ragione, a reprimerletutte.

Niun calcolo statistico ha potuto dimostrare che v’ab-bia un rapporto tra lo stato civile di un popolo ed il nu-mero dei suoi pazzi; anzi niun calcolo è possibile da que-sto lato.

Dove veramente influisce la civiltà è nella forma dellapazzia. – La pazzia si modella sempre su l’imagine dellaciviltà, in mezzo alla quale imperversa. Nei popoli bar-bari prende la trista larva della licantropia, della maniaomicida, – di poi quella meno feroce, ma non meno fa-tale della demonomania e della mania religiosa; – ora vaassumendo le forme gaje e dignitose della mania ambi-ziosa; ora le scoperte o le illusioni del magnetismo, del-l’elettricità, ecc., sostituirono le suggestioni diaboliche; iprogetti di communismo, di falansterianismo subentra-rono ai sogni sensuali degli Anabattisti e degli Adami-ti. Se la mania non cangiò di essenza, perché una nevro-si non può essere che una nevrosi, ella nobilitò di formee rese l’uomo alienato quasi meno indegno dell’uomo dimente sana.

Non pochi mi biasimano, perché studiando i fattoridel genio, poco mi sono fermato sull’influenza della ci-viltà e delle circostanze storiche.

Non è già che io non le ammetta, ma esse spesso sonostate esagerate.

Sono l’effetto della beccata che dà il pulcino al guscio,non è lo spermatozoo che determina l’embrione. Noi ve-diamo che Firenze, ai tempi delle agitazioni repubblica-ne, diede il massimo della genialità italiana; ma agitazioni

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molto simili nell’America del Sud, e anche in parte nellaguerra degli Stati Uniti, in Francia nel 1789, non ci for-nirono grandi uomini, ma solo uomini utili in quelle cir-costanze, e che passarono per grandi più pei vantaggi re-cati che per una grande potenza psichica. Non rare volteparve l’occasione aver dato luogo allo sviluppo del genio.

Così, per un rimprovero che Muzio Scevola fece a Ser-vio Sulpizio di ignorare le leggi del proprio paese, som-ma vergogna per un oratore e per un patrizio, quest’ulti-mo divenne un grande giureconsulto.

Spesso i tagliatori di pietre, da lavoranti nelle cave in-torno a Firenze, sin dai più felici tempi della Repubbli-ca, riuscivano scultori di vive figure, quali Mino da Fie-sole, Desiderio da Settignano e il Cronaca. E GiovanniBrown, scalpellino, datosi a studiare i fossili delle pietreche picchiava, riuscì uno de’ più vantati geologi.

Andrea del Castagno, stando a guardia degli armentinel Mugello, rifugiatosi un giorno dal diluviar della piog-gia entro una cappelletta ove un imbianchino stava scom-biccherando una Madonna, si sentì attratto ad imitarlo;cominciò col carbone a disegnar figure dappertutto, e siacquistò fama tra i paesani; poi da Bernardino de’ Mediciposto a studiare, riuscì pittore insigne.

Vespasiano da Bisticci, libraio o cartolaio a Firenze,dovendo pel suo negozio maneggiare libri molti e averche fare con uomini di lettere, lo divenne egli stesso.

A rendere però probabile che l’occasione fosse solola determinante, l’ultima goccia che fece traboccare ilvaso, il quale sarebbe ugualmente traboccato più tardi,giovano i casi più numerosi in cui il genio manifestossimalgrado le occasioni avverse. Basti ricordare Boccaccio,Goldoni, Muratori, Leopardi, Ascoli, Cellini, Cavour,Petrarca, Metastasio (sarto), e Socrate, obbligato a farelo scalpellino, come Spinoza l’occhialaio.

È vecchia l’osservazione:

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A cui natura non lo volle dire,Nol dirian mille Ateni e mille Rome.

Le circostanze, dunque, e lo stato di civiltà fannoaccettare e tollerare i genii e le loro scoperte, che inaltre condizioni sarebbero passate inosservate o derise,e, peggio, perseguitate.

Dunque non è la civiltà che sia causa dei genii edelle scoperte; ma essa determina la uscita, lo sviluppodell’embrione, o meglio, ne determina l’accettazione.Quindi è probabile che de’ genii sieno comparsi in tuttele epoche, in tutti i paesi, ma come, grazie alla lottaper l’esistenza, una quantità di esseri non nasce cheper soccombere, invendicata, preda dei più forti, cosìmoltissimi di quei genii, quando non trovarono l’epocafavorevole, restarono ignorati, o misconosciuti, o peggio,anzi, puniti.

E se vi hanno civiltà che aiutano, ve ne hanno anchedi quelle che danneggiano la produzione dei genii; peresempio in Italia, dove la civiltà è più antica, e dove sene rinnovarono parecchie, una più forte dell’altra, ivi,se la tempra del popolo è più aperta, in genere tutto ilmondo colto è più restìo ad ogni novità ed innamoratoe quasi incatenato nell’adorazione del vecchio. Invece,dove la civiltà è più recente e dove dominò finora labarbarie, come in Russia, le idee nuove si accolgono convero furore.

Quando il ripetersi della stessa osservazione ha resomeno ostica l’accettazione dei nuovi veri o quando lanecessità rende utili, anche necessari, un dato uomo oduna data scoperta, si accetta e si finisce poi col portarlaall’altare.

Il pubblico che vede la coincidenza tra una data civil-tà, ed il manifestarsi del genio, crede che l’una dipendadall’altra, confonde la leggera influenza nel determina-re lo sgusciamento del pulcino con la fecondazione che

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rimonta invece alla razza, alla meteora, alla nutrizione,ecc.

E non è a dire che ciò non accada nei nostri tempi;l’ipnotismo è lì per dimostrare quante volte, anche quasisotto i nostri occhi, si rinnovò, e fu presa per nuova, unasempre uguale scoperta.

Ogni età è immatura egualmente per le scoperte chenon avevano, od avevano pochi precedenti: e quandoè immatura, è nell’incapacità di accorgersi della propriainettudine ad adottarle. Il ripetersi della stessa scoperta,preparando il cervello a subirne l’impressione, trova manmano sempre meno riluttanti gli animi ad adottarla. Persedici o venti anni in Italia si è creduto pazzo dalle mi-gliori autorità chi scopriva la pellagrozeina; ancora ades-so il mondo accademico ride dell’antropologia crimina-le, ride dell’ipnotismo, ride dell’omeopatia; chi sa che ioed i miei amici che ridiamo dello spiritismo, non siamoin errore; poiché noi siamo, appunto come gli ipnotizza-ti, grazie al misoneismo che in tutti noi cova, nell’impos-sibilità d’accorgerci di essere nell’errore, e proprio comemolti alienati, essendo noi al buio del vero, ridiamo diquelli che non lo sono.

Civiltà Fra i tanti problemi sociali, uno desta più ildesiderio di una soluzione sicura e precisa: quello dellainfluenza che esercita la civiltà sul delitto e sulla pazzia.

Se noi ci atteniamo alle nude cifre, ceno il problemapar bello e risolto, perché esse ci mostrano un aumentonel numero dei delitti e delle pazzie, quasi per ogni an-no che corre, aumento sproporzionato a quello della po-polazione. – Ma molto opportunamente il Messedagliafa, in proposito, riflettere la grande probabilità di errorecui va incontro chi voglia risolvere, su semplici dati nu-merici, problemi complessi, in cui entrano parecchi fat-tori ad un tempo. Potrebbe, infatti, il maggiore aumen-to, così dei reati come delle pazzie, spiegarsi per le modi-ficazioni delle leggi civili e penali, per una maggiore faci-

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lità alla denuncia ed al ricovero, specialmente dei pazzi,vagabondi e minorenni, e per una maggiore attività dellapolizia.

Una cosa par certa [...], che la civiltà abbia la sua, co-me ben la chiama il Messedaglia, criminalità specifica, eduna n’abbia, a sua volta, la barbarie. Questa, ottunden-do la sensibilità morale, scemando il ribrezzo agli omi-cidi – ammirati spesso come atti d’eroe – considerandola vendetta un dovere, diritto la forza, aumenta i delittidi sangue, le associazioni dei malfattori, come fra i pazzile manie religiose, la demonomania, le follie di imitazio-ne. Ma i legami domestici sonvi molto più forti, l’eccita-mento sessuale, le smanie dell’ambizione assai minori, equindi molto meno frequenti i parricidî, gl’infanticidî edi furti.

I tipi di civiltà che l’uomo ha finora creato – scrive-va Guglielmo Ferrero – sono due: la civiltà a tipo di vio-lenza, e la civiltà a tipo di frode. L’una e l’altra differi-scono fondamentalmente per la forma che assume in es-se la lotta per l’esistenza. Nella civiltà a tipo di violen-za, la primitiva, la lotta per la vita si combatte essenzial-mente con la forza: il potere politico e la ricchezza sonoconquistati con le armi, sia a danno dei popoli stranieri,sia a danno dei concittadini più deboli: la concorrenzacommerciale tra un popolo e l’altro è combattuta sopra-tutto con gli eserciti e le flotte, cioè con l’espulsione vio-lenta degli antagonisti dai mercati che si vogliono sfrut-tare comodamente da soli; le liti giudiziarie sono risolutecol duello. Nella civiltà a tipo di frode, la lotta per l’esi-stenza è combattuta invece con l’astuzia e con l’inganno;ai duelli giudiziari subentra la guerra di cavilli e di raggi-ri degli avvocati; il potere politico è conquistato non piùcon gli scudi di ferro, ma con gli scudi d’argento; il dana-ro è attirato dalle tasche altrui con frodi e con malìe mi-steriose come i giuochi di borsa; la guerra commerciale ècombattuta con il perfezionamento dei mezzi di produ-

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zione e più ancora dei mezzi di inganno, vale a dire conabili falsificazioni che diano al compratore l’illusione delbuon mercato128.

Alla civiltà del primo tipo appartengono od apparten-nero la Corsica, in parte la Sardegna, il Montenegro, lecittà italiane del Medio-Evo, e in genere quasi tutte le ci-viltà primitive. Alla seconda invece appartengono tuttii popoli civili moderni, quelli cioè in cui il regime capi-talistico borghese si è interamente sviluppato in tutte leparti del suo organismo.

La distinzione fra i due tipi – però – non è così assolutanella realtà come nella teoria, perché talora nel seno diuna stessa società si mescolano alcuni caratteri di un tipoe alcuni dell’altro.

E poiché la patologia segue anche nel campo socialeidentico processo della fisiologia, noi ritroviamo questidue mezzi di lotta anche nella criminalità.

Che la civiltà non possa fare di più, che essa nonpossa altro che cambiare l’indole, e forse accrescere ilnumero dei delitti, per quanto spiacevole, sarà facile acomprendersi, da chi ha veduto, quanto poco giovi alladifesa e quanto più all’offesa la progredita istruzione.

Ed alle ragioni toccate qui, vanno aggiunte altre diordine diverso.

La civiltà, grazie alle ferrovie, alle concentrazioni bu-rocratiche, commerciali, ecc., tende sempre ad ingrandi-re i grossi centri, ed a popolare sempre più i capo-luoghi.E, come è noto, è in questi, che si condensa la maggiorparte dei delinquenti abituali. Questo malaugurato con-corso si spiega per i maggiori profitti o le maggiori im-munità che offrono ai rei i grandi centri. Ma questa cau-sa non può esser la sola, pecche se nella capitale è mino-re la vigilanza, più attiva e concentrata è la repressione, ese vi sono maggiori incentivi alle seduzioni, si aprono an-che più larghe le vie al lavoro. Io credo vi agisca un’altra,

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un’influenza più potente di tutte, quella dell’agglomero,il quale spinge da per se solo al delitto od all’immoralità.

La civiltà introduce ogni giorno nuovi reati, menoatroci degli antichi, ma non meno dannosi. Così a Lon-dra, il ladro alla violenza sostituisce l’astuzia; agli scassi,i furti alla pesca; alle scalate, i ricatti e le truffe col mezzodella stampa ( Quart. rev., 1871). L’omicidio allo scopodi approfittare dei diritti d’assicurazione è un esempio diuna nuova forma di delitto commesso, in ispecie, da me-dici, che trova pur troppo incremento nelle nuove cogni-zioni scientifiche: così la nozione che i sintomi del colerasono simili a quelli dell’avvelenamento per acido arsenio-so, suggerì a due medici l’idea di avvelenare, dopo assi-curatili, molti clienti, durante l’epidemia colerica a Mag-deburg ed a Monaco (Pettenkoffer, Theorie des Cholera,1871).

A Vienna si creò il nuovo crimine, detto Kratze, checonsiste nell’appropriazione di merci fatte spedire a ditteimmaginarie ( Rundschau, Wien, 1876).

Gli anarchici misero di moda la dinamite contro edifi-ci e persone.

Or ora a Chicago si è introdotto l’ assommoir elettricoe le piccole torpedini che messe in tasca alle vittime lefulminano emettono a brani.

La civiltà, rallentando i vincoli della famiglia, non soloaumenta i trovatelli, che sono semenzai di delinquenti,ma anche l’abbandono degli adulti, e gli stupri, egliinfanticidi.

Finalmente le condizioni speciali in cui si sviluppa lagrande civiltà nordamericana fanno sì che anche per ibianchi si possano avere attualmente affratellati e molti-plicati i danni della massima civiltà e della massima bar-barie, in cui la violenza è la regola.

I tipi, infatti, di civiltà dei popoli Arii sono due. Inquella a tipo di violenza, in cui la lotta per la vita sicombatte con la forza, il potere politico e la ricchezza

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si sono conquistati e mantenuti con le armi a danno deideboli, e come la concorrenza fra un popolo antico el’altro era combattuta con gli eserciti, così qui è toltadi mezzo con l’espulsione violenta degli antagonisti daimercati e le liti giudiziarie sono prevenute o risolte colcoltello.

Il brigantaggio è una specie di adattamento natura-le alle condizioni infelici di un popolo mal governato.Quando la polizia non riesce a difendervi dai briganti,quando la giustizia, pesando sui deboli, chiude gli occhisui forti, allora il brigantaggio come la camorra sono unaspecie di adattamento alla vita consona alle tristi condi-zioni, il brigantaggio diventa una specie di selvaggia giu-stizia, di selvaggia polizia che si sostituisce alla polizia ealla giustizia civile mancante.

Così al tempo della servitù in Russia il mugik nonaveva altra difesa dalle sofferenze continue inflitte daisuoi padroni che l’omicidio, sicché non v’era famigliagrande di Russia che non contasse un assassinato fra isuoi membri.

«I cafoni – diceva il Govone alla Commissione d’in-chiesta dell’Italia del Sud – veggono nei briganti i vindicidei torti che la società loro infligge».

«Abbiamo – scriveva il Franchetti – una classe dicontadini quasi servi della gleba e un gruppo di personeche si ritiene quasi superiore alla legge, cosicché l’altra,che ritiene la legge inefficace, ha preso la consuetudinedi farsi giustizia da sé».

S’aggiungano i pregiudizi selvaggi, per cui chi non sivendica di un insulto non è uomo, per cui la dignità virileimpone di farsi giustizia da sé e non mai col mezzo delGoverno, per cui la violenza è una virtù. Ancora pochianni fa, una popolana romana non avrebbe sposato uno,cui non fosse mai uscito di tasca il coltello, ne lo sposoavrebbe aiutato mai il Governo a metter le mani su unladro o su un assassino. L’ucciderà egli stesso, o lo

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lascierà andare come cosa che non lo tocca; ma nonvorrà mai attestare se l’abbia veduto assassinare un altro(Gabelli).

Mancando il concetto vero della morale ed essendoscemata la distanza fra lo strato equivoco del popolo equello onesto, è naturale che il malandrino trovi facil-mente un complice fra quei contadini e anche fra queiproprietari che riguardano il delitto come una nuova spe-cie di speculazione e il brigante come un nuovo strumen-to per imporre ricatti, falsare testamenti, acquistare pre-dominio sui concittadini e fra quelli cui la denuncia pa-re più immorale dell’omicidio, sicché si son veduti anchemoribondi dissimulare il nome dei loro feritori.

L’altro tipo di civiltà, più moderno, tende, con gli uf-fici governativi, universitari e fin con le Opere pie, gliospedali, le Lodging Houses, a disertare i piccoli centri ea popolare sempre più i capiluoghi, dove si concentranosempre più i criminali per i maggiori profitti e la mag-giore impunità e perché l’agglomeramento spinge di persé solo al delitto ed all’immoralità, come può vedere chistudia sé stesso e i propri amici nell’ambiente domestico,poi nei clubs e nelle assemblee.

In questa civiltà la lotta per l’esistenza è combattutacon l’astuzia e con gl’inganni: ai duelli subentrano icavilli degli avvocati, il potere politico è conquistatonoli più con le armi, ma col denaro, e questo è attiratodalle borse altrui con frodi ufficiali e con giuochi diborsa, e la guerra commerciale è combattuta non solocol perfezionamento dei mezzi di produzione, ma anchecogli inganni e con le falsificazioni, che diano l’illusionedel buon mercato.

A ciascuno di questi tipi di civiltà corrisponde un tipodi criminalità: alla civiltà a tipo di violenza corrispondeuna criminalità atavica, con cui si ritorna ai tempi primi-tivi. La barbarie, ottundendo la sensibilità morale e sce-mando il ribrezzo degli omicidî, considerati anzi spes-

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so come atti eroici, stimando la vendetta come un vele-no, come un diritto la forza, aumenta i delitti di sanguee le associazioni dei malfattori; considerando più forti ilegami domestici, rende minori gl’infanticidî e i parrici-dî; avendo minore la smania dell’ambizione e del sesso,diminuisce i furti e gli stupri.

Nella civiltà avanzata la nostra coltura introduce nuo-ve forme di reato, come l’omicidio a scopo di godersil’assicurazione, l’uccisione coll’acido arsenioso nei tempidi colèra; ed è in America che si è inventato di adoperarepiccole bombe in diciottesimo, che si pongono in tascaalle vittime, fattene subito a brani; e gli anarchici miserodi moda la dinamite contro gli edifici e contro le perso-ne; e in Chicago l’assommoir elettrico, piccolo congegnoche, applicato al fronte della vittima, la paralizza con unafortissima scarica elettrica.

La civiltà, rallentando i vincoli della famiglia, nonsolo aumenta il numero dei trovatelli, che sono semenzaidi delinquenti, ma anche l’abbandono degli adulti, glistupri e gli infanticidî.

Le leggi politiche, le nuove forme di governo, la stam-pa più diffusa favoriscono la formazione di sodalizi, incui, all’impresa amministrativa o di mutuo soccorso, s’in-filtra la politica, ottenendo così l’impunità, come a NewYork e a San Francisco, dove alcuni Reng giunsero alpunto di commettere delitti e farli legittimare dai giudi-ci da loro stessi eletti. Questi due tipi di criminalità, co-me i due tipi di civiltà, si trovano negli Stati Uniti comenell’Italia del Nord e del Sud.

2

Influssi naturali ed etnici

Una serie di indagini, minuziose, condotte per tre annidi seguito nella mia clinica129, mi ha dimostrato, con si-

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curezza matematica, come la psiche degli alienati si mo-difichi in modo costante sotto all’influenze barometrichee termometriche. Quando cioè la temperatura s’innalza-va sopra 25°, 30° e 32° cent., massime se tutto d’un trat-to il numero degli accessi maniaci, da 29 cresceva a 50;nei giorni in cui il barometro segnava brusche variazio-ni – massime di elevazione – la cifra degli accessi maniaciaumentava rapidamente da 34 a 46.

Or bene una influenza, affatto analoga, si nota in co-loro, a cui, una, non so se benigna o maligna, natura con-cesse, in più generosa copia, la potenza dell’intelletto. –Pochi v’hanno fra questi che non confessino come il lo-ro estro sia singolarmente soggetto alle influenze meteo-riche. – Chi li avvicina o chi legge le loro corrisponden-ze s’accorge, anzi, che le subiscono, che le soffrono tan-to, d’aver bisogno, e sovente, di farne, loro malgrado,non chieste lamentele, o di lottare, qualche volta, corpoa corpo, con congegni speciali contro quelle influenzeper disarmarle, per togliere il maligno influsso che smez-za o impastoia il libero volo della loro mente. Montaignescrisse: Si ma santé me sid et la clarté d’un beau jour, mevoylà honnête homme. Diderot diceva: Il me semble quej’ai l’esprit fou dans les grands vents.

Maine de Biran, il filosofo spiritualista per eccellenza,scrive nel suo Jour. de ma vie intime: «Non so compren-dere come nei giorni di cattivo tempo io mi senta l’intel-ligenza e la volontà affatto diverse che nei giorni sereni».

Alfieri «io mi confronto» dettava «con un barometro.Trovai sempre maggiore o minore facilità al comporre,secondo il peso dell’aria, stupidità totale nei grandi ventisolstizi ali ed equinoziali, ed una infinitamente minoreperspicacia di sera che di mattina, e attitudine a inventarenel sommo inverno e nel sommo estate, più che non nellestagioni di mezzo; ciò mi fece umile, essendo pienamenteconvinto che non era quasi in me il poter in quei tempifare altrimenti».

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Tutto questo ci fa intravedere già un’influenza notevo-le del barometro, e molta analogia a quella trovata per lealienazioni. Ma ben più chiara ed evidente riesce quelladel termometro. Napoleone che aveva detto, esser l’uo-mo un frutto dell’atmosfera fisica e della morale, Napo-leone, che soffriva ad ogni minimo vento, amava così ilcaldo, che faceva accendere il fuoco anche nel mese diluglio; Voltaire pure riscaldava il suo gabinetto in tuttele stagioni; Rousseau diceva che l’azione del sole in cani-cola gli giovava a comporre, e se ’l lasciava dardeggiaresul capo in pieno meriggio.

Chi ben considera questa prepotente influenza dellapressione atmosferica e del calore sulla produzione de-gli uomini di genio, comprende subito come quelle con-dizioni atmosferiche di tanto influiscano anche sulla lorogenesi.

È innegabile che la razza (per esempio da noi dove larazza latina e la greca più abbonda di grandi uomini),che le condizioni politiche e scientifiche come i centriletterarî, che molte altre circostanze poste ora a caricodel fato, ora della provvidenza, abbiano una gran partenella comparsa degli uomini di genio; ma egli è pureindubitato che la più grande spetta sempre all’aria ed alclima.

Per convincersene basta porre a confronto il risultatodelle leve, in Italia, in questi ultimi anni; si vede, subito,che i paesi che appunto per la bontà del loro climaforniscono il maggior numero di alte stature ed il minoredi riforme, sono quelli che più abbondarono di uominidi grande ingegno, come Toscana e Romagna.

Invece le terre che più scarseggiano di uomini alti evalidi alla milizia, Sardegna, Calabria e valle d’Aosta,offrono pure un numero esiguo di uomini di genio.

Questa coincidenza fu presentita già da un pezzo dalpopolo e dai dotti, tutti d’accordo ad ammettere la fre-

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quenza della produzione degli uomini di genio ne’ paesi,che essendo montuosi offrono una temperatura mite.

Uno studio su 23602 pazzi mi dimostrò che lo svi-luppo dell’alienazione mentale coincide, generalmente,coll’aumento mensile della temperatura, presentando uncurioso parallelismo, solo che anche qui il calore primoagisce pel contrasto ancor più del calore intenso; e il ca-lore ormai abituale dell’agosto riesce assai meno funesto;e notandosi infine il minimo dei nuovi alienati: per esem-pio, nei mesi più freddi:

Giugno pazzi 2701 – calore 21° 29

Maggio » 2642 – » 16° 75

Luglio » 2614 – » 23° 75

Agosto » 2261 – » 21° 92

Aprile » 2237 – » 16° 12

Marzo » 1829 – » 6° 60

Ottobre » 1637 – » 12° 77

Settembre » 1604 – » 19° 00

Dicembre » 1529 – » 1° 01

Febbraio » 1490 – » 5° 73

Gennaio » 1476 – » 1° 63

Novembre » 1452 – » 7° 17

E meglio ciò si vede nelle statistiche francesi pubblica-te da Quetelet, perché l’entrata dei pazzi è men ritardatadalle pastoie burocratiche.

Or bene, una influenza affatto analoga nota in coloro,a cui una, non so se benigna o maligna natura, conces-se, in più generosa copia, la potenza dell’intelletto. – Po-chi v’hanno, fra questi, che non confessino essere il lo-ro estro stranamente soggetto alle influenze meteoriche.Chi li avvicina o chi legge le loro corrispondenze, s’ac-corge tosto che le subiscono, le soffrono tanto, d’aver bi-sogno, e sovente di farne, loro malgrado, non chieste la-mentele, o di lottare, qualche volta, corpo a corpo, con

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congegni speciali, per disarmarle, per scemare, almeno,il maligno influsso che smezza o impastoia il libero volodella loro mente.

I paesi che diedero maggior numero di musici dopol’Italia sarebbero il Belgio, la Germania, la Francia el’Olanda; il minimo sarebbe offerto dalla Svezia, Russia,Irlanda e Spagna. L’influenza del clima vulcanico e dellarazza latina non appare ben chiara, se si badi alla scarsaquota della Spagna, ed alla grande della Germania edell’Olanda.

Però, venendo a studiarne la diffusione in Italia nellevarie regioni, troviamo emergere immediatamente le piùcalde, non insulari, il Veneto e l’Emilia (200 per un milio-ne d’abit.); spicca notevolmente la scarsezza del Piemon-te, Marche ed Umbria, e l’assenza completa della Sar-degna; ma benché le cifre sieno maggiori, pure non misembrano poter dare un’idea abbastanza chiara delle in-fluenze orografiche quanto quella per provincia; in que-sta spiccano in modo singolare i centri più grossi, tuttequasi le regioni con città capitali, tranne le Piemontesi,Sarde e Siciliane; cioè Venezia, Napoli, Bologna, Roma,Lucca, Parma, Firenze, Milano, Ferrara, Modena: evi-dentemente i paesi più salubri, più caldi e marini, speciese colligiani; lottando spesso quest’influenza con quelladella civiltà e dei grandi agglomeri, prevalendo con 6 su10 le città capitali. Ed infatti, in seconda linea dopo que-ste si vedono emergere altre città capitali o grandi centrimarini, laghigiani o vulcanici: Mantova, Verona, Cremo-na, Reggio E., Piacenza, Siena, Pisa, Ravenna, Bergamo,Pesaro, Brescia.

L’influenza etnica, qui, già s’intravvede: evidentemen-te la razza berbera e semita non pare favorisca l’arte, spe-cie nei paesi più caldi, dal che solo spiegherebbesi la scar-sezza dei maestri fra i Sardi, Calabresi, Siciliani.

Invece la razza greco-romana ed etrusca parrebbe piùfortunata, donde la prevalenza di Napoli, Bologna, Ro-

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ma, Lucca, Firenze; donde quel fiorire in provincie co-me Modena, Ferrara, Mantova, dove ne clima, ne condi-zioni sociali favoriscono l’arte. Ed ora una carta del Bel-lio (v.s.) dimostra che la maggior frequenza degli artisticorrisponde alla carta della razza etrusca.

L’azione dei terremoti e vulcani, che, secondo Buc-kle, dovrebbe avere tanta parte nella creazione dell’ar-te, è sempre poco spiccata. Che se Napoli, ed Aversa inispecie, sono primeggianti (e la razza ed il clima lo spie-gano senz’altro), nol sono le Calabrie, che pur tanto nefurono flagellate dai terremoti.

Grandi maestri E non sempre la quantità rispondeall’eccellenza; e basti dire che per numero di maestri lepatrie del Bellini e del Rossigni sembrerebbero le piùsterili nell’arte musicale, eppure la creazione di un solodi questi genii, vale per centinaia di musici mediocri, cheformano la folla, ma una folla anonima e ingloriosa.

Tenendo nota della distribuzione speciale dei grandimaestri, vediamo essere i paesi caldi, marini, e ancora,specialmente Napoli, i più prediletti, a cui seguono Ro-ma, Parma, Milano e Cremona. Qui (in 3 su 5) l’influen-za dell’agglomero, della scuola, viene in terza linea – do-po quella del clima.

Così spogliando il Clement, Les musicicns célèbres,1868 e Florimo, La scuola musicale di Napoli, 1883, tro-vo che su 118 grandi maestri, 44, più che il terzo, toc-ca all’Italia – e che di questi ultimi, più della metà, 27,sono dati dalla Sicilia (Scarlatti, Pacini, Bellini) e da Na-poli e suoi dintorni, Aversa in ispecie (Jomelli, Stradel-la, Piccinni, Leo, Feo, Vinci, l’inventore delle opere buf-fe Fenaroli, Speranza, Contumaci, Sala, Caffaro, Duni,Sacchini, Carafa, Paisiello, Cimarosa, Zingarelli, Merca-dante, Traeta, Durante, i due Ricci e Petrella) evidente-mente grazie alla razza greca e al clima tepido. Degli altri17, pochi appartengono all’Alta Italia: Donizetti, Verdi,Allegri, Frescobaldi, i due Monteverdi, Salieri, Marcello,

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Paganini (questi 3 di plaga marina); gli altri tutti all’Italiacentrale: Roma (Palestrina, Clementi), Perugia e Firenze(Spontini, Lulli, Pergolesi)130.

Confrontando, come nelle Tavole geografiche qui an-nesse [...], i paesi che diedero i più grandi maestri di mu-sica, e relativamente minor numero dei mediocri, van-no contati Pesaro, Catania, Arezzo, Alessandria. Coinci-de il maggior numero di numerose mediocrità e di geniimusicali a Napoli, Roma, Parma, Firenze, Milano, Cre-mona, Venezia, con prevalenza evidentemente anche quidei climi caldi o marini, della razza greco-etrusca e deigrandi centri (5 su 7).

Quanto alla pittura vediamo prevalere tanto per le ce-lebrità, come pel numero, le capitali tutte, tranne in Sar-degna e Sicilia; Bologna, Venezia, Ferrara, Siena, Firenzeeccellendo pel numero, e, in seconda linea, Pesaro, Mo-dena per ambedue; anche qui, dopo le capitali, i paesicolligiani e laghigiani dànno cifre elevate pel numero deipittori, e basti il ricordare Siena, Verona, Parma, Arezzo,Perugia, Brescia, Vicenza, Udine.

Presso a poco lo stesso vale per gli scultori e per gli ar-chitetti, in cui pure emersero i grandi centri civili e so-pratutto i paesi di collina, e con laghi o mari, Firenze inispecie, Milano, Venezia, Napoli, Como, Siena, Verona,Massa, e in terza linea Arezzo, Perugia, Bologna, Vicen-za, Bergamo, Macerata, Catania e Palermo.

[...] Troviamo che eccelsero i paesi caldi, i centri digrandi civiltà, i colligiani e marini con qualche influenzadella razza etrusca e greca; che non v’è un rapporto co-stante tra i paesi che diedero grandi genii e quelli che die-dero maggior numero di cultori mediocri, tranne a Na-poli e Firenze, nella quale ultima pare influissero la sto-ria del Comune che suscitava e fecondava le forze indivi-duali, la razza così artistica e la bellezza del clima, comeun tempo Atene; certo nella pittura e nella scultura essaha un incontestabile primato, e basti il ricordare Dona-

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tello, Michelangelo, Verrucchio, Baldinelli, Coccini, Cel-lini, Ammannato, Giotto, Masaccio, Andrea del Sarto,Salviati, Allori, Dello, Bronzino, Guido da Siena, Nello,Bernardo, Pollaiolo, Stefano Fiorentino, Frate Angelico,Cherubini, Lulli.

Influenza orografica Evidentemente dopo il caldo e igrandi centri un’influenza speciale è data dalla minorpressione dell’aria, dai paesi colligiani o non troppo ele-vatamente montani.

E certo quest’influenza meteorica aiuta a spiegare per-ché sulle montagne toscane, nel Pistoiese, in ispecie inquel di Buti, di Valdontani, si trovino fra i pastori e con-tadini tanti poeti e improvvisatori in ispecie, fin nelledonne, e basti per tutti quella pastora citata dal GiulianiSulla lingua parlata in Toscana, e quella singolarissima fa-miglia Frediani, con un padre, nonni e figli poeti, fra cuiuno tuttor vivo che detta versi degni dei vecchi e grandiToscani; eppure i contadini della stessa razza che abitanoil piano non hanno offerto, ch’io sappia, nulla di simile.

Tutti i paesi di rasa pianura, il Belgio e l’Olanda, equelli che, per essere incassati fra troppo elevate monta-gne, hanno endemico gozzo e cretinesimo, come la Sviz-zera, Aosta, Savoia, difettano di uomini di genio, ma piùancora poi ne scarseggiano i paesi paludosi e maremma-ni: i pochi genii che conta la Svizzera vi nacquero quan-do la razza e l’innesto climatico vinsero l’influenza gozzi-gena, cioè da emigrati francesi od italiani, Bonnet, De laRive, Rousseau, Tronchin, Tissot, De Candolle e Burla-maqui.

Urbino, Pesaro, Forlì, Como, Parma, hanno dato uo-mini di genio di maggior numero e fama che non Pisa,Padova e Pavia, tre fra le prime e più antiche città uni-versitarie d’Italia; e basti citare Raffaello, Bramante, Ros-sini, Morgagni, Spallanzani, Muratori, Falloppio, Volta,Plinio.

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Ma per venire ad esempi un po’ più minuti, noi ve-diamo Firenze, la città mite di temperatura, ma colligia-na per eccellenza, aver fornito all’Italia la più splendi-da coorte de’ suoi grandi, e basti citare Dante, Giotto,Machiavelli, Lulli, Leonardo, Brunellesco, Guicciardini,Cellini, Beato Angelico, Andrea del Sarto, Nicolini, Cap-poni, Vespucci, Viviani, Lippi, Boccaccio, Alberti, Dati,Alemanni, Ruccellai, Ghirlandaio, Donati.

Invece Pisa, che è in condizioni scientifiche per lo me-no sì favorevoli come Firenze, essendo sede di una fio-rente università, non offerse (eccezione fatta di qualcheguerriero e politico, e non in sì gran numero e vaglia co-me a Firenze, e prova ne sia la sua caduta malgrado i po-tenti alleati), Pisa, dico, non offerse di uomini grandi cheNicola Pisano, Giunta e quel Galileo, che ben nacque aPisa, ma da parenti fiorentini. Ora Pisa differisce da Fi-renze soltanto per la sua posizione pianigiana.

Noi già vedemmo come la montanina Arezzo fossericca di genii, essa che ci diede Michelangelo, Petrarca,Guittone, Guido Reni, Redi, Accolti, Vasari ed i tre Are-tini. Tra Asti che ha Alfieri, Oggero, S. Brunone, Belli,Natta, Gualtieri e la Cotta, e Solari, e Allione Giorgio eVentura; Alessandria può appena opporre Meruda, Ben-cio dei Guaschi, Clario; e Casale: Bellano e Della Rove-re, mentre la colligiana Torino si gloria giustamente diRolando, Caluso, Gioberti, Balbo, Beretta, Marocchetti,Lagrange, Bogino e Cavour131.

Spiegazione Tutto ciò non vuol dire altro se non che ilgenio non alligna in paesi di aria malsana.

Questa coincidenza quasi completa del genio col cli-ma fu presentita già da un pezzo dal popolo e dai dotti,tutti d’accordo nell’ammettere la frequenza degli uomi-ni di genio nei paesi, che essendo colligiani offrano unatemperatura mite. Il proverbio toscano dice: Montani-ni, scarpe grosse e cervelli fini. Il Vegezio, libro I, cap.II, lasciò scritto: «Plaga coeli non solum ad robur cor-

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porum sed etiam animorum facit». Il clima influisce nonsolo sulla robustezza dei corpi, ma sì bene anche neglianimi. «Atene, egli continua, fu scelta da Minerva, per lasua aria sottile, che vi fa nascere uomini prudenti». An-che Cicerone più volte ripete come ad Atene, in cui spi-ra l’aria tenue, nascessero uomini saggi, e torbidi a Te-be dall’aria grossa; e Petrarca nell’ Epistolario, in quellaspecie di riassunto che ci lasciò di sua vita, fa, con mol-ta insistenza notare, come tutti i suoi capolavori fosserodettati, od almeno immaginati, in quei suoi ameni collidi Val Chiusa. – Michelangelo diceva al Vasari: «Gior-gio, se io nulla ho di buono dal mio ingegno, egli è ve-nuto dalla sottile aria del vostro paese d’Arezzo» (Vasa-ri, Vita, p. 29). Zingarelli, a chi gli chiedeva come aves-se composta la melodia della Giulietta e Romeo: «Guar-date questo cielo e ditemi se non vi sentite capace di faraltrettanto» (Florimo, op. cit.).

Sulle prime, certo, stona il fatto che una degenerazio-ne eccella dove vi è il massimo della salubrità, ma oltre-ché come vi sono i microbi anerobi ve ne sono anche diaerobi, oltre che molte degenerazioni hanno un terrenospeciale, come la gozzigena, la malaria e la lebbra; quiè evidente che si deve contare coll’azione speciale dina-mogena della luce e dell’aria eccitante, ozonizzata dellacollina e della temperatura tepida; il che possiamo com-prendere, avendo noi già visto quanto il calore aumentila produzione geniale (vedi cap. I), e sapendo che il cer-vello abbisogna di sangue molto ossidato per poter lavo-rare.

Fatto è che nei paesi di montagna eccessivamente ele-vati oltre i tremila metri, non crebbe alcun genio. Che senei grandi altipiani dell’America, rigogliarono le grandiciviltà Messicane, Peruviane, esse non vi nacquero, comedimostrò stupendamente nel mio Archivio, vol. III, fasc.III, il Nibbi, poiché la vera civiltà messicana viene daiToltecas che provenivano dall’Oriente, ed i pretesi gran-

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di uomini Messicani, fra i quali 60 suoi presidenti, nac-quero fuori dell’altipiano, e così gli uomini che vi conta-no, per quanto poco giustamente, per i più illustri, comeEcheverria nella pittura, Moizzos e Cervantes nella Bo-tanica, l’Ixtlihcochitl (Libri, Histoire des mathématiques,vol. III); alcune vere celebrità come Garcilasso della Ve-ga e l’Alvares de Vera (De Candolle, Histoire des scien-ces, 1873) nacquero alquanto disotto ai tremila metri, aQuito e Bogota.

Del resto anche questa azione indiretta della naturasulla produzione del genio non manca di qualche analo-gia colle alienazioni. Proverbiale è il detto che nei paesicolligiani gli abitanti sono esposti alla pazzia più che neipianigiani – quindi l’aria di Monte Baldo – i matti di Col-lio, di Tellio – sono comuni espressioni di un fatto pas-sato nella parlata volgare e posto in sodo dalla statisti-ca psichiatrica e dalle osservazioni rinnovate pur ora difollie epidemiche assai più frequenti nei monti che nellepianure e città; ricorderemo solo negli ultimi anni, e sot-to i nostri occhi, l’epidemia di Monte Amiata (Lazzaret-ti), di Busca e Montenero, di Verzegnis; ed è bello notareche nei colli di Giudea son germinati i profeti, e nei mon-ti di Scozia i dotati della seconda vista che erano matti digenio o profeti pazzi. Questo parallelismo fornisce unanuova prova ed anche la spiegazione dei rapporti tra ilgenio e la pazzia.

E nei grandi agglomeri, e nelle città spesseggiano più ipazzi che nelle campagne.

Tuttavia per quanto queste leggi sembrino sicure, pu-re a studiarvi dentro, colla scorta della storia dell’arte, sitrova che le conclusioni si devono accettare con granderiserbo, perché vi ha una serie di fattori diversissimi, iquali intercettano e confondono tutte codeste influenze,non escluse quelle dell’agglomero e dell’orografia.

Abbiamo veduto, per es., poco sopra, come i grossiagglomeri, qualunque sia il clima e la razza, bastano ad

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aumentare il numero degli artisti e talenti; ma non po-trebbe essere questo un effetto al tutto fittizio, compa-rendo come originari dei grossi centri, individui che tra-slocaronvisi dai loro paeselli nativi, come accade pei neo-nati e pei malati, ma che non vi ebbero origine? Il fattodi essersi stabilita una scuola di pittura, per importazio-ne, fa diventare artistico un centro che prima non l’era,e se vi si stabiliva da molto tempo, allora le cifre si fannogrossissime e viceversa. Vedasi, per es., il Piemonte, do-ve, certamente, l’educazione militare, rinforzata dalla ge-suitica, e più ancora dal clima e dalla razza, ritardaronoper molto tempo il fiorire delle belle arti, sopratutto del-la musica; e fino al 1460, in pittura le celebrità sonvi po-che e straniere, Bono, Bondiforte; ma al Bondiforte, fattovenire da Milano, tengon dietro subito Sodoma, Martini,Giovannone Vercellese, e al Ferro di Valduggia il Lani-ni e il Tansi di Valduggia, così come al Viotti, violinista,tennero dietro in poco tempo 5 violinisti celebri.

E così, poi, appena comparvero su quel di Novara,d’Alba e Vercelli, maestri distinti, Macrino, GaudenzioFerrari, tosto ne sorsero altri; ed ora in questi ultimi anni,quando l’influenza militare fuvvi soverchiata affatto dallasociale, esso ne diede proporzionatamente tanti e più chele altre provincie, così in numero come qualità, per es.,Gastaldi, Mosso, ecc.

Chi avesse fatta la statistica dei pensatori 300 anni fain Iscozia non ne avrebbe trovato forse un solo; eppu-re, sollevatasi dalla cappa di piombo dell’intolleranza re-ligiosa, essa divenne uno dei centri più ricchi in Europadi arditi e originali scienziati.

Viceversa, la Grecia, a cui la natura e la razza diederonei tempi antichi il primato nelle belle arti in Europa, oramalgrado che l’una e l’altra siano pure le esse, non nediede più traccia, sia perché la schiavitù, prima, la lottapolitica poi, ne assorbirono tutte le forze, ma più ancoragrazie alla deficienza di agiatezza e di scuole. Perché un

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popolo non si concede il lusso dell’arte e del pensieroelevato quando non ha sicura ne facile e rigogliosa la vita;ed ecco che l’influenza dell’agglomero potrebbe esseremascherata da quella dell’agiatezza.

Ben inteso, non perché l’influenza della razza e del cli-ma sia soppressa, ma perché le sue manifestazioni resta-no latenti; e la vivacità dell’ingegno che la razza e il cli-ma colligiani mantengono nella Toscana, dopo la fata-le influenza spegnitrice della dominazione Medicea, delprete e dei pedanti linguai, si esplica, più che nelle ope-re di Machiavelli e di Michelangelo, nelle improvvisazio-ni delle contadine del Pistoiese e negli arguti epigrammidel popolo fiorentino equa e là solamente in qualche uo-mo geniale, come Giusti, Betti, ma che vi sono in formasporadica e non endemica.

Razza L’analogia che trovammo somma per le influen-ze meteoriche (sul genio e sulla pazzia) va parallela aquella della razza, spesso insieme associate, tanto chenon potemmo divincolamele: e vedemmo che in Italia,ove la razza Etrusca e Greca s’associa al clima tepido ecolligiano, moltiplica gli ingegni: li suscita, anzi, dove ilclima è infelice; ne io saprei spiegarmi altrimenti i grandiingegni dati da Modena, Mantova, Lucca, e la esorbitan-te preponderanza, in antico, di Firenze; prova eloquen-tissima ce ne offersero le note del Bellio, da cui si vedela genialità seguire esattamente la diffusione della razzaEtrusca persin nelle valli remote di Toscana e sul Lago diLugano e di Corno, dove le condizioni sociali non eranocerto loro propizie.

Non vi è delitto che non abbia radice in molteplicicause: che se queste molte volte s’intrecciano e si fondo-no l’una coll’altra, ciò non ci impedisce dal considerarle,obbedendo ad una necessità scolastica o di linguaggio,una per una, come si pratica per tutti i fenomeni umani,a cui quasi mai si può assegnare una causa sola, scevra diconcomitanze. Nessuno dubita, ormai, che il colèra, il ti-

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fo, la tubercolosi s’originino da cause specifiche; ma pu-re, chi può negare che, oltre queste, vi influiscano tantecircostanze – meteoriche, igieniche, individuali, psichi-che, da lasciare, sulle prime, nel dubbio della influenzaspecifica anche i più provetti osservatori?

Temperature eccessive Importantissime fra le cause de-terminanti d’ogni atto biologico sono le meteoriche: pre-cipua fra queste è l’azione del calore: così la Drosera Ro-tundifolia, esposta all’acqua a 43°,3” s’incurva e si fa piùsensibile all’azione delle sostanze azotate (Darwin, Pian-te insettivore): ma a grande temperatura a 54°,4’ nonpresenta più alcuna flessione, i suoi tentacoli tempora-riamente si paralizzano; lasciati, poi, nell’acqua fredda siritendono.

La statistica e la fisiologia dimostrarono che una gran-de pane delle funzioni nostre è influenzata dal calore132.

Quindi si capisce quanto influisca il calore eccessivosulla psiche umana.

La storia non segnala alcun esempio d’una regione tro-picale, in cui il popolo siasi sottratto alla servitù; nessunesempio, in cui il caldo eccessivo non abbia dato luo-go ad un’abbondanza di nutrimento, e l’abbondanza del-la nutrizione ad una distribuzione ineguale in principiodella ricchezza, e in seguito del potere politico e sociale.

Fra le nazioni soggette a queste condizioni il popolonon conta nulla, non ha controllo ne voce nel governodel paese. – Se vi ebbero rivoluzioni nel governo, tuttefurono di palazzo, giammai di popolo che non vi annet-teva alcuna importanza (Buckle, op. cit., I, 195-196).

Il Buckle fra le altre ne trova una ragione sulla mino-re resistenza che acquista l’uomo alla lotta avendo minorbisogno di combustibile, di vestiario e di cibo; da que-sta maggiore facilità l’uomo è tratto all’inerzia, alla Ta-pas, al Keff, allo Joga, agli ascetismi della Tebaide. L’i-nerzia, resa necessaria dal caldo eccessivo, ed ispirata dalsentimento abituale di debolezza, rende l’economia più

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soggetta alle spasmodie, favorisce le tendenze alla pigracontemplazione, all’esagerata ammirazione, e quindi alfanatismo religioso e dispotico; di qui lo esagerato liber-tinaggio che si alterna coll’eccessiva superstizione, comel’assolutismo più duro colla sfrenata anarchia.

Nei paesi freddi la resistenza alla vita sarebbe maggio-re, per la maggior difficoltà dell’alimento, del vestiario edel riscaldamento, ma appunto per questo vi è minore l’i-dealità e l’instabilità; il freddo eccessivo rende l’immagi-nazione assai più lenta e meno irritabili e meno mutevoligli animi; d’altronde dovendo l’uomo supplire con mol-to combustibile ed enormi dosi d’alimento carbonioso aldifetto di calore, consuma forze che vanno a detrimentodella vitalità individuale e sociale.

Da ciò, e dall’azione diretta depressiva sui centri ner-vosi, si originano la maggior calma e dolcezza degli ani-mi. Il dottor Rink ci dipinge certe tribù degli Esquime-si così pacifiche e calme, da mancare perfino delle paro-le corrispondenti all’idea di rissa o di litigio: la più gran-de reazione alle offese è in esse il silenzio (R. Britanniq.,1876); e Larrey vide, sotto i geli di Russia, diventare de-boli e perfino vigliacchi, quei soldati, che prima né peri-coli, né ferite, ne fame avevano fiaccato mai.

Il Bove narra che nei Tschiucki, a -40°, non si notava-no mai liti, né violenze, né delitti; essi sedevano apatici eamorosi fra loro.

L’ardito viaggiatore polare Preyer notò come a -40°la sua volontà fosse paralizzata, i sensi ottusi, la parolainceppata (Petermann, Mitth., 1876).

Ed eccoci spiegato perché non solo la semibarbara edispotica Russia, ma anche le liberalissime terre Scandi-nave siano state, almeno anni fa, sì poco rivoluzionarie eambedue quasi allo stesso livello (V. mio Delitto politicoe le rivoluzioni, parte I).

Azione termica moderata L’azione termica che, vice-versa, spinge più alle ribellioni ed ai delitti è il calore rela-

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tivamente moderato. Ciò ci viene riconfermato dalle os-servazioni sulla psicologia dei popoli meridionali che cidimostrano tendenze all’instabilità, alla prevalenza del-l’individuo sugli enti sociali, sul comune e lo stato, siaperché il calore stesso eccita i centri nervosi a guisa deglialcoolici, senza giungere mai al grado di provocarvi l’i-nerzia, sia perché, senza annichilarli completamente, nescema i bisogni aumentando la produzione agricola, e di-minuendo le esigenze di cibo, di vestiario e di alcoolici:nel gergo Parmigiano il sole è detto il Padre dei mal ve-stiti.

L’influenze economiche e politiche degli ultimi anniprevalsero così da far andare in seconda linea le meteo-riche: così è che l’azione del calore medio dell’anno, evi-dente nei passati anni in Francia, scema negli ultimi; co-sì è che l’Europa nordica (Russia, Danimarca) che pa-rea non desse mai ribellioni, ne dà ora quanto nei paesidel sud; ma non perciò quelle prime influenze possonodisconoscersi.

Delitti e ribellioni nei paesi caldi E evidente in tutto ciòil predominio non esclusivo, ma grande, del fattore ter-mico; e ciò riesce ancor meglio colla ricerca della distri-buzione geografica dei delitti e delle ribellioni politiche.

Infatti nelle zone meridionali, di Francia e d’Italia, sicommettono delitti contro le persone (meno assai controle proprietà) più numerosi d’assai che nelle nordiche ecentrali, sul che ritorneremo tosto parlando della camor-ra e del brigantaggio.

In Francia, Guerry dimostrò che i reati contro le per-sone sono al sud più numerosi del doppio, 4,9, che nonal centro ed al nord, 2,7; 2,8. Viceversa, i delitti contro laproprietà spesseggiano al nord, 4,9, in confronto del sude del centro, 2,3.

In Italia:Nella stessa Italia del nord, la Liguria, per ciò solo

che gode di un clima assai più mite, offre in confronto

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delle altre regioni un maggior numero di reati contro lepersone.

Il massimo numero dei reati denunciati nel 1875-84 fudato dal Lazio e poi dalle regioni insulare e meridionale;il minimo dai compartimenti del nord, con una quotache va da 512 reati su 100000 abitanti nel Piemonte, da689 in Lombardia a 1537 nel Lazio; 1293 in Sardegna,1287 nelle Calabrie. E le proporzioni più gravi nelnumero degli omicidi troviamo esclusivamente al sud enelle isole.

In Russia l’infanticidio, insieme al furto nelle chiese, èmassimo al sud-est, mentre l’omicidio, e più il parricidio,crescon dal nord-est al sud-ovest (Anutschin).

Holtzendorff calcola «che il numero degli assassini de-gli Stati Meridionali del Nord America sia di 15 volte su-periore a quello dei Settentrionali; così nella N. Inghil-terra, si ha 1 omicidio su 66 000 abitanti; nel Sud sene ha 1 su 4 a 6000 abitanti; nel Texas, secondo Red-field, se ne ebbero 7000 su 818000 abitanti in 15 anni–; fin nelle scuole vi si trovano fanciulli provvisti d’armiinsidiose»133.

Osservando la distribuzione degli omicidi semplici equalificati, in Europa (Atlante), troviamo le cifre mag-giori in Italia e negli altri paesi più meridionali d’Euro-pa: dando le cifre più scarse in alcune delle terre più nor-diche come l’Inghilterra, la Danimarca, Germania.

Ed altrettanto dicasi per le rivolte politiche in tuttaEuropa.

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Certo è all’influenza di razza che si deve il fatto delpredominio di alcune specie di reati in alcune regioni;così nel Mantovano predomina il delitto dei furti di polli,e l’incendio.

Udine correrebbe a ferimenti con grassazione per uncentesimo, ed è famigerata pure per le percosse e i feri-menti dei genitori (28 in un anno) – e così Cilento, pro-vincia di Napoli, assassinii per arma da fuoco su 200 abi-tanti 30% in un anno.

Che la razza entri come fattore nella maggiore crimi-nalità di questi paesi, io lo sospetterei, anco, dall’avereveduto in parecchi dei loro abitanti, come Sant’Angelo,Pozzolo, S. Pietro, una statura più alta, che non nei paesicirconvicini.

E giova, a questo proposito, notare, come questi paesiabbiano, anche, alcuni costumi particolari, superstiziosiin ispecie. Così a Sant’Angelo il prete è il padrone delpaese; guai a chi non gli levi il cappello o anzi non glibaci le mani e perfino al tocco della campana non s’in-ginocchi: prima di ogni loro mala impresa, i Sant’Ange-lini vanno a messa e le donne pregano la Madonna per-ché l’assassinio ed il furto vadano impuniti. Esse parla-no ad alta voce fra loro dei crimini dei loro mariti: mase questi sono imprigionaci, per le prime, se ne maravi-gliano ed accompagnanli per miglia e miglia, coi bimbiin braccio, scarmigliate, gridando all’ingiustizia; e ancheesse, per piccole cause, dànno mano ai coltelli; ma peg-gio fan gli uomini, inclini a vendetta per le più piccolecause; p. es., due passeggi eri passando a caso dal vil-laggio rifiutarono di dare un mozzicone ad uno di loro,ed essi subito accordatisi li rinchiusero in una stanza etentarono farveli morire di fame.

Quando si pensa che il malandrinaggio in Sicilia siconcentra quasi tutto in quella famosa valle della Con-ca d’Oro, dove le rapaci tribù Berbere e Semite ebbe-ro le prime e più tenaci dimore, e dove il tipo anatomi-

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co, i costumi, la politica e la morale conservano una im-pronta araba (e bastino a provarlo le descrizioni di To-masi Crudeli)134, quando si pensi che ivi come nelle tri-bù Arabe l’abigeato è il delitto più prediletto, resta facileil persuadersi che il sangue di quel popolo conquistato-re e rapace, ospitaliero e crudele, intelligente, ma super-stizioso, mobile sempre ed irrequieto e sdegnoso di fre-no, deve avere la sua parte nel fomentare le subitanee edimplacate sedizioni, e nel perpetuare il malandrinaggio,che, appunto come nei primi Arabi, vi si confonde nonrare volte colla politica, ed anche al di fuori di questa,non suscita il ribrezzo ne l’avversione che suole in popo-li assai meno intelligenti, ma più ricchi di sangue ariano,anche della stessa Sicilia, p. es. di Catania, Messina.

Viceversa, va notato il paese di Larderello di Volterra,che da 60 anni a questa parte non contò un omicidio, néun furto e nemmeno una contravvenzione.

Anche in Francia in una serie di borgate disposte sulconfine delle foreste della Thierache, prolungamento diquelle delle Ardenne, Fauvelle ( Bulletin de la Sociétéd’anthropologie, 1891) ha indicato esistere una razza de-linquente. Dovunque predomina questa razza non vi so-no che risse violente di tutte le specie sulle quali l’auto-rità giudiziaria è il più delle volte obbligata di chiude-re gli occhi per non ingombrare le prigioni. Il forestie-ro che s’arrischia in mezzo a queste popolazioni si espo-ne agl’insulti tanto delle donne che degli uomini. Anchenella classe agiata, questa brutalità sovente si rivela sottouna certa vernice civile. L’alcoolismo frequente, esage-ra ancora questa specie di barbarie; vi si nota ripugnanzapei lavori dei campi; sfrutta le foreste o lavora nell’indu-stria del ferro, ma preferisce il contrabbando. La staturaè un po’ al disopra della media, ha forti muscoli, le ma-scelle larghe e robuste; naso dritto e gli archi sopracci-gliari accentuati; il sistema pilifero è abbondante e mol-to pigmentato, ciò che li distingue subito da un’altra raz-

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za dai capelli biondi giallastri che occupa molti vicini vil-laggi, a cui non si associa che raramente.

Queste influenze non sempre si possono precisare col-le cifre alla mano, anche per la ragione che quando ci ap-poggiamo alle statistiche criminali, troviamo una serie dicause complesse, che ci impediscono di cavare una con-clusione sicura. Per esempio, la donna in Spagna, Lom-bardia, Dalmazia, Voivoidina, Gorizia, darebbe il mini-mo della criminalità; ed il massimo nella Slesia austriaca,e nelle provincie Baltiche della Russia (Messedaglia, op.cit.).

Ma qui, più che l’influenza di razza, può quella deicostumi; dove le donne sono istrutte al pari degli uomini,come nella Slesia, nel Baltico, e prendono parte alle lottevirili, ivi dànno una cifra di criminalità che più s’avvicinaalla virile.

Non sono uso da molti anni a rispondere alle critichespesso gittate in aria e da gente prevenuta, ma ad unuomo come Vilfredo Pareto, il cui ingegno apprezzomoltissimo, ho dovere di rispondere, non fosse che perme e per la Scuola che rappresento, e che una critica cheparte da tale uomo può veramente intaccare, assai piùche le mille dei giuristi e filosofi delle vecchie Scuole.

Ma, diciamolo subito: Si è egli comportato diversa-mente da questi, gettando là affermazioni banali e privedi prove, come dogmi in discuti bili ed inconcussi?

Il primo suo difetto è ch’egli non ha, se non erro, ana-lizzato se non quelle poche pagine in cui tento parlaredelle razze... senza però approfondirle colla potenza ve-ra del suo ingegno. Egli obbietta così che io parlo di raz-ze Latine e Germaniche, mentre il Lapouge non ne vuolsentir parlare. E che con ciò? E forse il Lapouge un testoche non si può discutere? Se un antropologo, o meglioun craniologo, deve convenire che una razza pura nonesiste che solo per eccezione nel vecchio mondo, tantole une si sovrappongono alle altre, non s’intende già che

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le razze non esistano – come le nuances che corrono trai generi e le specie – e le grandi varietà individuali dellespecie attuali non impediscono che si ammettano i generie le specie; chi non distingue il tipo Romano dal Sardo?eppure ai Romani si intrecciarono Greci, Semiti, Germa-nici – e in un’epoca in cui Roma era spopolata quasi visi sostituirono – ma l’influenza primitiva genetica fissataper le analogie del clima fecero sì che i pochi germi so-prastanti diedero una razza assolutamente simile alla pri-mitiva. E come d’altronde studiare le influenze di raz-ze se non si comincia da quelle conosciute storicamenteper le dominanti e riconosciute anche per tali per la for-ma del cranio, la statura, il capello e la speciale demogra-fia? Come può egli dubitare dell’influenza Semitica, Fe-nicia, cioè Cartaginese, Araba in Sicilia e Sardegna e inparte delle Calabrie, dell’influenza Slava nel Veneto, incui arrotonda i cranij, allunga le persone e imbiondiscei capelli, come in Sardegna allunga il capo e annerisce ilcrine? Lo so ben io che nessuna razza è pura, nemmenol’Araba o la Ebrea. Ma lo scienziato deve tener nota del-la razza predominante per poter paragonarne l’influenzanei rapporti demografici.

del resto, nella lettura affrettata che egli ha fatto delmio libro, egli ha creduto che io concludessi a quella so-la influenza di razza, mentre invece se per la orografia,e sopratutto per l’influenza della temperatura, ho potu-to dare delle conclusioni molto nette e spiccate, quan-to all’influenza della razza fui molto scettico, almeno inEuropa, salvo fra gli zingari ed Ebrei, ed in alcune tri-bù Indiane e Sahariane in cui essa è evidente; ben do-vetti col Ferri ammettere però l’influenza etnica in alcu-ne oasi italiane, come a Livorno, a Benevento; ma noncontentandomi dei caratteri soliti della razza, come risul-ta all’ingrosso dalla lingua o dalla storia, ho studiata l’in-fluenza della distribuzione del delitto nei doligocefali enei brachicefali, nei biondi e nei neri, e mai ho conclu-

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so all’influenza assoluta etnica, ma, come a pag. 37, tro-vai che l’influenza del clima supera evidentemente quel-la della razza, poiché nell’Italia i doligocefali, dov’era-no radunati nelle provincie meridionali, danno un’enor-me differenza in più di reati in confronto ai brachicefali,mentre in Francia, dove sono sparsi anche al Nord e alCentro, la differenza e l’influenza della razza non appa-re più. E parlando dei biondi, ho di nuovo ribadito chemolto spesso quella che può credersi azione etnica nonè che effetto climatico; come negai ogni influenza etnicasui reati contro la proprietà.

Fin dalle prime pagine, dunque, ho escluso l’influenzaassoluta di razza, restringendola a pochi limiti.

Egli si meraviglia che io abbia detto che l’odiernacostituzione sociale sta per finire. Ma come egli nons’accorge che l’ordinamento economico sociale è andatosempre più trasformandosi e che ora siamo in un periododi transizione? Ma come non s’accorge che le lineetramviarie) le ferrovie, l’illuminazione, le scuole, ecc., ciindicano che il collettivismo è entrato inconscientementenelle nostre abitudini?

Non s’accorge dal solo fatto di tanti enti collettivi,ospedali, scuole, tramvie, industrie cooperative, che noiandiamo mutando la forma della proprietà, e dal decadi-mento degli ordini nobiliari e dei Governi costituzionalie monarchici, che ci avviciniamo ad una trasformazioneanche nella forma di Governo?

Perché si ferma in una frase messa lì di sfuggita, sen-za alcuna pretesa, e che non è nemmeno mia, ma ai Ba-gehot, e che non ha alcun rapporto col libro? Perché alconsiglio che io do, e che praticano gli Inglesi, di sepa-rare nelle scuole il criminale-nato per avviarlo in scuolespeciali, che non siano quelle delle comuni professioni,che rendono più pericoloso il criminale, vien fuori, co-me un qualunque clericale, adire che gli pare di sognare?Chi può, dice egli, decidere se essi davvero sono crimina-

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li? – Ma qualunque osservatore, che profitti delle teoriepsichiatriche coi nuovi mezzi da queste forniti, rispondoio. E se egli avesse letto il libro (vol. I e II), avrebbe vi-sto che ne do centinaia di segni, cominciando dalle ano-malie della statura, del peso, della fisionomia, alle ano-malie della o, del piede, del campo visivo, della sensibi-lità, alla mancanza completa di senso morale, al bisognodel male, ecc.

Ah! questa la chiama egli astrologia? E si stupisce seio posso dire se un bambino diventerà un criminale: maè una cosa che faccio tutti i giorni, non essendo certodifficile tale prognosi in malattie che sono congenite,come la pazzia morale.

Egli vorrebbe sapere chi pagherà per mantenerli inqueste scuole: ma i popoli che non fossero ignoranti, ipopoli previdenti – lo fanno gli Inglesi e gli Americani– che preferiscono spendere poche migliaia di lire informa di speciali educatorî, invece di milioni in sequestri,carcerazioni, supplizi dei rei-nati.

3

Influssi sociali

Miseria La miseria e la ricchezza, come la mancanza el’abbondanza di scuole, sono a loro volta a vicenda causao, meglio, occasione dello sviluppo dei genii.

Ho già cercato di dimostrare altre volte, come, perl’odio che si ha dall’uomo pel nuovo, molti genii sienospenti prima di compiere la loro evoluzione.

Ora mi si affacciano altre cause che forse però of-friranno il fianco alla critica volgare, perché, se spessospengono il gemo, pur non di raro, in altra misura, lofavoriscono.

Chi non vede, per esempio, che la miseria è spesso unostimolo al genio?

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Fu il bisogno, piuttosto che l’inclinazione naturale,dice Smiles, che spinse Dryden a farsi scrittore; fu perdisperazione e per miseria che Goldsmith, dopo averbattuto a tutte le porte, dappertutto respinto, si diedeascrivere. – E così via via.

Ma è pur vero che l’estrema miseria frequentementerovina il genio.

Quanto non s’oppose èssa a Cristoforo Colombo?La macchina a vapore di Giorgio Stephenson sarebbe

rimasta sempre un aborto, se egli non avesse potuto, congrandi sacrifizi, fare studiare suo figlio!

Agiatezza – Vantaggi E così dicasi della ricchezza.Spesso il benessere favorisce il genio.

Pascal riteneva che una nascita distinta conferisca nel-la stima e nel rispetto degli altri, a vent’anni, una posizio-ne che i diseredati male riescono a raggiungere a quaran-ta.

Che cosa sarebbe avvenuto di Meyerbeer, senza ric-chezze? Meyerbeer che aveva una produzione così labo-riosa ed il cui genio si esplicò solo viaggiando e vivendoin Italia?

Senza il potere molti uomini d’azione isteriliscono e lenostre razze latine, l’Italia in specie, che grazie allo spi-rito senile onde s’informa non trova rispettabile un ge-nio se non è decrepito, chi sa quanti ingegni politici diprim’ordine non seppellisce prima che vengano a galla,mentre l’America, dove si prescelgono i giovani al pote-re, va, malgrado la scarsa preparazione, già sopravvan-zandoci nelle istituzioni politiche ed economiche.

Danni della ricchezza Ma quanti genii, invece, non cifurono guastati dalla ricchezza e dalla potenza!

Jacoby ha dimostrato che il potere illimitato precipi-ta la degenerazione, rende facilmente megalomani e de-menti chi lo possiede. E noi vediamo la deputazione ra-pirci uomini geniali, diventati poi, al più, mediocri mini-stri.

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Chi sa dirci quanti fra quelli che si pompeggiano nellenostre vie, fieri di un bel sauro e di un’occhiata di qual-che clorotica duchessa, non sarebbero diventati grandiuomini? Un esempio ce ne offre l’aristocrazia piemonte-se. Per molto tempo avendo tenuto a gloria brillare nel-la milizia e nella politica, ci diede più uomini celebri chenon il patriziato di Toscana e di Napoli.

Rapporto col genio Quanto alla genialità, checché dicail Jacoby, a cui pur tanto dobbiamo in questi studi, il suorapporto colla densità non è così evidente [...] se è chiaroil parallelismo per i grandi centri, per le capitali e cittàvicine ai poni e grandi fiumi (Parigi, Lione, Marsiglia),non lo è pei centri medii (Nord, Alto Reno, Passo diCalais, Loira), che hanno gran densità ma pochi genii.

E anche la frequenza, grande, dei genii nei grandicentri è più apparente che reale: ed io ho già dimostratoche la maggior pane dei genii muore, sì, nelle città, manasce nella campagna, e non appare nelle grandi città senon perché vi trova modo di esplicarsi. Ciò fa credereche i grandi centri siano più utili alla loro fama chealloro sviluppo ( Homme de génie). – In complesso ladensità è favorevole alle ribellioni ed alle evoluzioni, mapiù a quelle che a queste: il che tanto più comprendesivedendo la sua poca influenza sul genio che rappresentail maximum dell’evoluzione.

Se nelle prime epoche dell’evoluzione la densità delpopolo fu causa di progredimento, non vediamo che sia-lo altrettanto ora in China, in Egitto, e, date le propor-zioni diverse, a Madrid ed a Napoli.

Progresso agricolo ed industriale Agli effetti prodottidalla densità della popolazione e dal naturale assorbi-mento delle grandi capitali, vanno equiparati quelli por-tati dallo sviluppo industriale che, colla creazione deigrandi centri operai, ha aumentato artificialmente gl’in-convenienti ed i vantaggi degli agglomeri, offrendo facileoccasione al propagarsi delle nuove idee; mentre i nuo-

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vi e rapidi mezzi di comunicazione, le ferrovie, il telegra-fo, se possono giovare alla repressione, favoriscono pureil forte addensamento dei rivoltosi; non per nulla i Go-verni dispotici osteggiarono nei loro popoli, sempre, lacreazione delle ferrovie e delle comunicazioni anche epi-stolari.

Generalmente le nuove scoperte scientifiche, mentreportarono grande aiuto alle industrie, fornirono pure ar-mi alle forze rivoluzionarie; così il petrolio nella Comu-ne ed ora nei tentativi anarchici la dinamite, che sembradestinata a tentar contro le classi borghesi quella rivolu-zione, che la polvere conseguì in favore di queste controla nobiltà.

Fig. 10

Dalla fig.10 è evidente come nei paesi industriali siavistato il massimo dei voti repubblicani in Francia ed ilminimo dei monarchici, e viceversa negli agricoli; per cuila carta del frumento e della vigna di Réclus corrisponde,salvo poche eccezioni, alla carta dei monarchici135.

Lo stesso si dica della genialità che domina nei paesiindustriali.

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Questa prevalenza dell’evoluzione nei paesi industria-li è consona, affatto, alla legge storica trovata dallo Spen-cer, che segnala il periodo industriale come l’ultimo evo-lutivo dell’umanità, e che mostra la maggiore evoluzionedove è la maggiore ricchezza.

Fig. 11

Coltura, analfabetismo È naturale, dopo ciò, che doveè la coltura più diffusa, si abbia la massima evoluzione;ed infatti (fig. 11) i dipartimenti colla proporzione mas-sima di istruzione (da 90 a 95 alfabeti p. %) sono tuttirepubblicani; i quali predominano pure sui monarchicinei dipartimenti con forte quota d’alfabeti.

Nei dipartimenti, con quota media d’istruzione, i re-pubblicani ed i monarchici si equilibrano.

Contrasta a questo parallelismo il solo fatto che neidipartimenti a quota minima d’alfabeti, predominano irepubblicani, il che non so spiegare.

Genialità e liberalismo Senz’eccezione, come già ave-va genialmente intravveduto Jacoby ( De la sélect., pag.577) [...], è il parallelismo tra la diffusione della geniali-tà e delle tendenze repubblicane. Vediamo così il dipar-timento della Senna dare un massimo di genialità ed unminimo di voti reazionari, e così i dipartimenti repubbli-cani del Varo, Rodano, Senna e Oise, Yonne, Senna eMarna, ecc., floridi d’ingegni; mentre la Vandea, il Mor-

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bihan, il Passo di Calais, il Nord, i Bassi ed Alti Pirenei,il Gers, la Dordogna, il Lot sono reazionari e danno po-chissimi genii. È così grande e completa quest’analogiache forse maschera e confonde quella della razza, delladensità, ecc. – E ciò è naturale.

La genialità è un carattere dell’evoluzione e ne è unindizio, non tanto perché essa ne sia originata, ma perchésolo l’evoluzione serve a metterla in chiaro.

Carlyle ( Gli Eroi) scrisse che il miglior indice dellacoltura d’un’epoca è il modo con cui essa accolse i suoigenii.

La Grecia brillava tanto per genii, perché colle gareOlimpiche, coll’educazione estetica, preparava il popolotutto a comprendere ed apprezzare il genio artistico edil filosofico – che però non fosse troppo avanzato. –Socrate insegni.

«Nei miei viaggi, scrive Le Bon, potei accertarmi chegli strati medii dei Chinesi, Indostani, non sono inferioriagli stessi strati Europei, ma la differenza sta negli uominisuperiori alla media che da noi son più numerosi ( Lespremières civilisations, 1889); però la loro azione noncrea, sintetizza gli sforzi di una razza» (Id.).

«È, scrive Renan, al profetismo (che è la sola forma,diremo noi, di genialità degli Ebrei), che si devono ledue grandi loro rivoluzioni religiose – il Giudaismo ed ilCristianesimo» ( Hist. du peuple d’Israel, II).

E non e osservazione nuova che anche alle sedizionisono più inclini i popoli in cui è maggiore la vivacitàdell’ingegno; il che fu appunto, oltre che dei Pariginiin Francia, dei Fiorentini in Italia; in Svizzera, Ginevra,che nel 1500 era detta la città dei malcontenti, certo erala più colta della Svizzera; e così dicasi in Grecia degliAteniesi, i quali nel fiorente periodo della loro civiltàgiunsero a contare 56 celebri poeti, 21 oratori, 12 storicie letterati, 14 fra filosofi e scienziati e 2 sommi legislatori,come Dracone e Solone, mentre Sparta ebbe poche o

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punto rivoluzioni e pochissimi ingegni famosi (non piùdi 6, secondo lo Schoell); però qui, come vedremo, sicomplicavano delle influenze orografiche.

Noi vediamo in Italia i principii più avanzati fiorirein quel paese dove, per dirla con D’Azeglio, la piantauomo cresce più bella e vigorosa che nel resto d’Italia – laRomagna.

Densità Meglio si vedrà l’influenza della civiltà in rap-porto ai delitti, esaminandone a uno a uno i singoli fat-tori; e prima di tutti quello della densità, perché la storiadel delitto ci mostrò che questo non appare veramentecome tale, fino che la società umana non abbia raggiuntouna certa densità. La prostituzione, il ferimento, il fur-to – come giustamente notarono Reclus, Westermark eKropotkin, e ingiustamente se ne fecero un’arma contronoi – poco si manifestano nella diradata società primiti-va, come nei Veddah che solo si radunano insieme all’e-poca delle pioggie; e in certi Australiani che solo all’e-poca della raccolta dell’yam. Ma gli equivalenti del de-litto, perfino negli animali, per le stesse ragioni compa-iono di rado quando questi non sono associati o dome-stici: agli istinti brutali manca il modo di porsi in luce;ma fate che il campo meglio si presti, colle tribù, colleurbs, coi clan, ed il delitto scoppierà come ce lo dipingo-no pei nostri pro avi Ateneo, Erodoto, Lucrezio: perchégli manca l’occasione là dove i contatti sono più scarsi.Anche nelle società barbare più diradate i reati appaionorelativamente minori benché più feroci; mentre si molti-plicano in quantità nelle più civili – e le 5 o 6 forme direati barbarici diventano centinaia e migliaia nella nostraepoca.

Un primo sguardo, invero, sui delitti di furto e omici-dio e sulle ribellioni politiche di Europa, in rapporto al-la densità ci mostra che, salvo i risultati contradditori, ef-fetto dell’influenza termica che accresce gli omicidi e le

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rivolte al Sud e i furti al Nord, la densità va in ragionediretta dei furti, inversa degli omicidi.

La corrispondenza assoluta, come era compresa daipiù, pochi anni sono, della criminalità coll’istruzione èdimostrata omai un errore.

È noto purtroppo come il delitto in Europa aumentimalgrado che certo vi aumenti l’istruzione.

Le tre provincie di Torino, Genova, Milano, che die-dero il minimo di analfabeti in Italia, un scolaro sopra 7a 14 abitanti, videro negli ultimi anni aumentarsi di unterzo i reati, da 6983 a 9884 (Sacchi, Studî intorno all’in-dirizzo educativo, 1874).

Marro trovò su 500 rei e 500 onesti di Torino:rei onesti

Analfabeti 12 % 6 %

Che sanno leggere escrivere

75 » 67 »

Istrutti 12 » 27 »

con prevalenza è vero di analfabeti, ma anche di genteche sapevano leggere e scrivere nei rei.

Istruzione diffusa, suoi vantaggi Tuttavia, chi impar-zialmente perscruta entro le cifre degli ultimi anni, s’ab-batte in un fatto consolante, che dimostra non essere l’i-struzione così fatale, come a tutta prima parrebbe; esser-vi un punto in cui l’istruzione favorisce il delitto, passatoil quale l’istruzione invece serve d’antidoto. Dove l’istru-zione ha preso una grande diffusione, cresce la cifra deidelinquenti a coltura superiore, ma ancor più quella deidelinquenti analfabeti; il che vuol dire, che la delinquen-za scema nelle classi a coltura media. Così, a New-York,mentre la popolazione dava, nel 1870, il 6,08% di anal-fabeti, e anzi, escludendone gli emigrati, che fornisconoil più gran contingente alle carceri, solo 1,83%; i delin-quenti dànno la quota di 31% di analfabeti136.

Fra gli omicidi condannati or ora nell’America delNord137, 33% erano completamente analfabeti, 64% sa-

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pevano leggere e scrivere, 3% avevano istruzione supe-riore, mentre nei normali l’analfabetismo è solo nel 10%.

Nell’Austria, mentre la popolazione giovane, morale,di Salisburgo, del Tirolo, non ha analfabeti, la criminalene ha dal 16 al 20% (Messedaglia).

Criminalità speciali dei colti ed incolti Tutto ciò cispiega il fenomeno contradditorio sulle prime, e cheJoly non seppe spiegare, che l’istruzione ora aumenti oradiminuisca il delitto. Dapprima, quando non è diffusa,quando non è maturata in un paese, aumenta tutti idelitti salvo l’omicidio: quando invece è diffusissima facalare tutti i reati più feroci, non però, come vedremo,i reati minori, o quelli politici e i commerciali, o dilibidine, perché essi aumentano col naturale aumentodegli attriti umani, e degli affari e della attività cerebrale.

Dove, insomma incontrastabilmente influisce l’istru-zione sulla criminalità, è nel mutarne l’indole, nel ren-derla meno feroce.

Fayet e Lacassagne mostrarono che:1º negli analfabeti predominano gli infanticidi, la sop-

pressione di parto, i furti, l’associazione di malfattori,saccheggi, incendi;

2° in quelli che san leggere e scrivere imperfettamenteprevalgono l’estorsione di cambiali, minaccie per iscritto,ricatti, saccheggi, guasti di proprietà, ferimenti;

3° negli istrutti a leggere e scrivere prevalgono concus-sione, corruzione, falsi in iscritto, minaccie per iscritto;

4° negli istrutti con coltura elevata, falsi in scrittura dicommercio, estorsione di fondi dei funzionari pubblici,falso in scrittura autentica, sottrazione d’atti, delitti poli-tici (o. c.).

Insomma vi è una criminalità specifica per gli illettera-ti, è la più feroce ed una per i letterati, ed è la più astuta,ma più mite.

In Italia, dove c’è una minima previdenza e minimorisparmio calcolato dal minor numero dei libretti per

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abitante, c’è una massima criminalità di delitti di sangue,di furti e di stupri e minima di truffe: e viceversa doveviè la ricchezza media e la massima (che dànno gli stessirisultati), vi è il massimo di truffe e il minimo d’omicidi,furti e stupri, il che non vuol dire in fondo se non cheil paese selvaggio è più incline al delitto che non siad’astuzia. Anche qui troviamo ripetersi, come già vidimoper le tasse, il fatto che gli stupri, all’inverso di quantoaccade dovunque, sono più frequenti nelle provincienostre più povere.

Però dove la razza e il clima trascinano al male, la ric-chezza, come ho già osservato prima (pag. 144), nulla vipuò. Così troviamo, è vero, un numero elevato di omici-di nelle provincie più ricche come Palermo che ne ha 42:Roma con 27, Napoli con 26, Livorno 21: ma queste ec-cezioni sono spiegate dalla posizione geografica per Pa-lermo e per Napoli, dalla razza per Livorno, dalla raz-za e dall’abuso dell’alcool e dalla condizione politica perRoma. Inversamente tra le provincie più povere (in cuila posizione geografica, il clima e la razza esagerano cer-tamente l’influenza della minor ricchezza perché le cifremaggiori le presentano le provincie meridionali ed insu-lari – Girgenti 70, Sassari 46, Caltanissetta 46, Avelli-no 45, Campobasso 41) accadono pure eccezioni perchévi sono provincie che malgrado la triste condizione eco-nomica hanno uno scarso numero di omicidi come Bari(14), Lecce (16), Treviso (11), Udine (7), Rovigo (5). Sela condizione eroica ed il clima bastano a spiegare l’ecce-zione delle tre ultime provincie – per le due prime, pro-vincie meridionali, il fatto resta inesplicato, se pur non visi voglia vedere l’influenza della razza greca che vi domi-na.

Ricchezza causa di reati Quelli, adunque, che afferma-no esser il delitto sempre effetto della miseria non van-no a ricercare invece l’altro lato della questione, quandoil delitto è effetto della ricchezza.

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La ricchezza che si è acquistata rapidamente e non ècorretta da un elevato carattere, da larghi ideali religiosi,politici ecc., provoca danni invece che vantaggi. AncheSpencer aveva detto della ricchezza che secondo la bontào la tristizia del carattere d’un popolo conduce al vizioo alla virtù; e questo sopratutto si deve intendere dellaricchezza eccessiva che è come l’eccessiva potenza, laeccessiva istruzione, un naturale fomite di prepotenza,di abusi sessuali, alcoolici ecc., e quindi di delitti.

La ricchezza, insomma, è a sua volta impedimento aldelitto ed anche sua eccitatrice, come del resto abbiamvisto per l’istruzione, per la densità, per la civiltà ecc., ecome vedremo per la religione. Questo è il criterio nuovoche bisogna introdurre nell’eziologia dei reati ammetten-done ed esplicandone le contraddizioni, poiché la stessafonte, a seconda le fasi e i caratteri, ora ci avvelena, oraci preserva: e allora si vedono appianarsi le contraddi-zioni che son pur fatti come i fatti positivi e giovare allaspiegazione completa.

Prevalenza di rei poveri Ma perché (ci si obbietterà)vediamo i condannati son quasi tutti poveri? Noi p. es.vediamo dalla Statistica penale per il 1889, che sopra 100imputati condannati in Italia, dei quali si poté, sebbenecon qualche incertezza, conoscere la condizione econo-mica, si avevano negli anni

1887 1888 1889

56,34 57,45 56,00 indigenti;

29,99 30,77 32,15 col solo necessarioper vivere;

11,54 9,98 10,13 mezzanamenteagiati;

2,13 1,80 1,72 agiati e ricchi;

dati che si accordano con quelli pubblicati da altre sta-tistiche attendibilissime, dal dott. Guillaume; dallo Ste-vens, dal Marro, ecc. ecc. e che mostrerebbero un’enor-

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me sproporzione del delitto nei poveri in confronto airicchi.

Prima di lasciarsi trascinare da queste cifre che sem-brano esser recisamente contrarie all’influenza maleficadella ricchezza bisogna ricordare, che, come giustamen-te osservava il Marro, in carcere non giungono con egua-le facilità tutti coloro che offendono le leggi sociali, per-ché a favore del ricco stanno l’influenza delle sue ricchez-ze, le aderenze di famiglia, le relazioni sociali e l’elevatacultura mentale, le quali spesso riescono a salvarlo dal-la prigione, o almeno gli procurano validissimi mezzi didifesa; ed abbiamo già veduto come nei manicomi priva-ti (dove vanno solo i ricchi) abbondano quei pazzi mora-li che mancano nei manicomii pubblici e nelle carceri –ciò che vuol dire che la ricchezza aiuta a mettere in chia-ro la patologia del reo-nato, mentre la povertà l’abbuia.E nella lotta secolare di classe la giustizia è adoperata dalricco come stromento di potere e di dominazione con-tro il povero, che è già a priori condannato e condanna-bile solo come tale: poiché le classi elevate sogliono usa-re il proverbio: Povero come un ladro, e ahi! Quel ch’èpeggio, spesso invertirlo.

La contraddizione [...] dell’influenza, ora grande oranulla, della religione si toglie se concludesi che la religio-ne è utile, e quando si fonde veramente colla morale, eabbandona il culto delle formule, il che ora non può dar-si che nelle religioni nuove, perché tutte in principio so-no morali, e poi a poco a poco si cristallizzano, e le pra-tiche rituali sopranuotano e annebbiano il nucleo mora-le, meno facile a concepirsi e ritenersi dal volgo: quindisi nota una minore propensione al crimine, anche là do-ve solo il senso etico e non il religioso è in onore comefra gli uomini atei ma colti, perché ci vuole un’energiaintellettuale per resistere al consenso universale, una for-za inibitrice, che come resiste all’imitazione, resiste an-

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che agli impulsi istintivi; ragione questa forse unica deivantaggi dell’alta coltura.

Analogamente si spiega perché certi popoli protestantiin cui il fervore religioso è più caldo e più ardente,come Ginevra e Londra, sono isoli in cui malgrado laaumentata civiltà, e la popolazione addensata (Londrada sola è più popolata di una intera regione italiana), ildelitto sia in ribasso.

Qui, non è in giuoco l’inibizione, ma invece una gran-de passione religiosa, che neutralizza e doma gli istintipiù ignobili, e combatte con tanto accanimento i vizi e letendenze immorali, da debellarle.

In Inghilterra la religione recluta migliaia di fanatici,che sotto i nomi e le teorie più diverse si agitano febbril-mente per salvare le anime umane dalla perdizione. Es-si hanno un campo immenso in cui agitarsi, organizzan-do chiese, processioni, opere pi predicazioni, ecc., ecc.Nei paesi latini, invece, dove la chiesa cattolica stendesua dominazione, la religione non può che molto menoessere un parafulmine del vizio; e ciò noli tanto in ragio-ne della irreligiosità e scetticismo del popolo – molto mi-nore di quanto si crede, anche nella patria di Voltaire –ma per l’organizzazione stessa della sua chiesa. La chie-sa cattolica è una grande istituzione disciplinare e qua-si un esercito fondato sulla obbedienza e subordinazio-ne; in cui ogni uomo ha il suo posto, la sua linea di con-dotta, le sue idee già fissate da leggi fortissime. I fanati-ci attivi, come il Bernardo, che sono naturalmente indi-pendenti e un po’ rivoltosi, non possono quindi trovarci-si che a disagio; salvo nelle missioni, l’unico dipartimen-to della chiesa che ridona all’individuo una certa indi-pendenza e autonomia (Ferrero); mentre si trovano be-nissimo tra la indipendenza un po’ anarchica delle variesette protestanti, libere ed autonome come tanti piccoliclans di tribù barbare, quali p. es. la Salvation Army, iBaptisti138.

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Professioni L’influenza delle professioni è alquantodifficile a cogliersi, per la disparità che si trova nella di-stribuzione e nella nomenclatura di alcune che possonooffrire una giusta ragione di raggruppamento all’econo-mista, quando non ne hanno alcuna davanti all’antropo-logo, come quando, per esempio si sommano gli osti in-sieme cogli altri commercianti, i militari cogli agricolto-ri, gli artisti metallurgici coi falegnami, o le professioniliberali colle arti belle. Impossibile poi riesce il confron-to quando nelle statistiche delle leve o del censimento sitrovano distribuiti gli uni in un modo, e gli altri in unaltro.

Secondo le indagini del Curcio (o. c.) per es., le pro-porzioni dei delinquenti, per professione, da noi sareb-bero le seguenti:

Esercenti professioni liberali 1 condannato ogni 345Impiegati civili e militari 1 condannato ogni 428Ecclesiastici 1 condannato ogni 1047Contadini 1 condannato ogni 419Giornalieri, domestici, operai 1 condannato ogni 183

Dalle quali cifre, se risulta ben chiara la maggiore im-munità dei contadini, e la più facile criminalità degli ope-rai di città e delle professioni liberali, esclusane l’ecclesia-stica, non ispicca però così come gioverebbe all’antropo-logo, l’influenza dei singoli mestieri.

Per riuscirvi, almeno in parte, ho cercato come megliopotei di ravvicinare i dati della statistica carceraria d’Ita-lia, 1871 e 1872, a quella dei mestieri esercitati da 185491coscritti, di anni 20, fornitici dal generale Torre, in quelsuo prezioso Rendiconto sulle leve del 1870-71.

Dai risultati di tale comparazione, che riassumo inquesta tabella:

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Profession Popolazione onesta d’anni 20 Delinquenti d’anni 18 in su

Magistrati, impiegati eprofessioni liberali

3,6 2,3

Cuochi 3,0 11,1

Calzolai 3,8 12,2

Agricoltori e boari 59,0 52,0

Lavoratori in metallo 2,2 3,7

Muratori 4,0 7,5

Barcaioli 0,7 0,2

Servi 1,3 7,9

Operai in legno 3,6 2,9

parrebbe che i calzolai, gli osti o cuochi, ed i servitoridiano il massimo di delinquenti in confronto alla popo-lazione; quasi il quadruplo ed il sestuplo, e peggio se re-cidivi; presso che il doppio i muratori; verrebbero poi ilavoranti in metallo, i quali darebbero cifre maggiori de-gli operai in legno. Questi, i barcaiuoli e gli agricoltoridarebbero le cifre minime, come pure le professioni libe-rali, le quali, però, siccome a 20 anni difficilmente sonocomprese nella statistica, non possono giustamente com-pararsi, e dagli studi del Curcio vedemmo, anzi essere frale più feconde in delitti (v. s.).

Marro (o. c., p. 350) ne trovò il minimo, a Torino, 1su 500, fra i cacciatori, ombrellai, preti, studenti, maestri,pescatori.

Un piccolo numero, 4, fra i litografi, marmorini, car-rozzieri, giardinieri, muratori, conciatori (3 omicidi).

Un numero maggiore, 7, nei sensali, scrittori, tessitori:nei parrucchieri (quasi tutti rei di libidine).

I muratori, poi, diedero l’11% mentre nella popol. libera il 2,5%

i panettieri » 6,9% » » 1,6%

ambedue perché ricevono paga giorno per giorno e nonhan bisogno di lungo tirocinio.

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I fabbriferrai diedero l’8,3 nella popolazione libera 2,3%

calzolai » 7,3 » 3,2

studenti » 0,33 » 3,1

Le professioni che s’esercitano in città, che più espon-gono all’alcoolismo (cuochi, calzolai, osti), che mettonoil povero a troppo continuo contatto coi ricchi (camerie-ri e servitori), o che facilitano i mezzi pei maleficî (mura-tori, ferrai), dànno una quota notevole alla delinquenza,e più alle recidive (cuochi e calzolai, 6-20), il che è illu-strato dalla filologia poiché coquin viene da coquus e poicoquinus.

Le professioni che espongono a minori contatti, comei barcaiuoli ed i contadini, dànno le quote minime delladelinquenza, e le minime dei recidivi (barcaiuoli).

Carcere La causa maggiore d’ogni delitto è il carce-re. Noi, precisamente quando crediamo vendicare e di-fendere la società, colla carcere somministriamo ai delin-quenti i mezzi di conoscersi, di istruirsi e di associarsi nelmale.

Ma vi ha, se è possibile, di peggio: la carcere è unacausa diretta di delitti per sé stessa, perché diventataun comodo albergo, stante all’esagerata mitezza riesce lamira di alcuni che delinquono per ottenerla.

«Io farei a fette il viso a chi sparla (cantava un prigio-niero di Palermo) della Vicaria. Chi dice che la carcerecastiga, oh! come si sbaglia il poveretto; la carcere è unafortuna che vi tocca, poiché vi insegna i ripostigli (por-teddu) e i modi del furto».

Questi fatti ci spiegano come le nostre statistiche ele statistiche inglesi ci diano così spesso degli individuientraci nel carcere fino a 50 a 60 volte, e ci spiegano ilcaso di quel tale di cui narra Breton che commetteva furtisolo per farsi ricoverare in prigione e che alla 50ª voltacondannato alla cella disse: La giustizia questa volta miha frodato, ma non mi ci côrranno un’altra volta; ed il caso

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ripetutosi nel maggio del 1878 a Milano da quel Zucchiche rubò alle Assise per farsi porre in prigione. «Dal1852 in poi, diceva egli, ho passato in carcere 20 anni:l’amnistia mi ha fatto escire, ma non posso vivere con unalira al giorno; ho pensato di farmi mettere in prigione perpoter mangiare, bere e dormire. Sig. Presidente, calchi lapenna, perché tanto e tanto in carcere non si sta male» (Rivista di discipline carcerarie, 1878); e nel 1879 a Romaun vecchio di 80 anni che ne era stato 47 in prigione,dove si era trovato benissimo, in ispecie sotto il papa,strepitava presso il questore per rientrare in carcere: «Ionon vi chieggo un impiego, ma un carcere qualunquepur che possa vivere tranquillo; ho oramai 80 anni e nonvivrò tanto da rovinare il vostro governo che è già malein gamba».

Che questa esagerata mitezza sia deplorata anche al-trove lo dimostrano le parole di Tallack e di D’Olivecro-na.

«I delinquenti, dice il Tallack ( Difetti nell’amministra-zione della giustizia penale d’Inghilterra e d’Irlanda. Lon-dra, 1872, pag. 7), fra noi si avvezzano a riguardare laprigione come alcun che di fruttifero e di attraente: senon altro li assolve dalle spese di tavola, di alloggio e divestiario, e li dispensa dal troppo affaticarsi».

«Mentre il forzato, scrive D’Olivecrona, nel volgeredell’anno, consuma 33 chilogrammi di carne, il braccian-te stabile di campagna non ha, di solito, in forza del con-tratto locativo, se non chilogrammi 25 e 1/2 di bue sala-to, 25 e 1/2 di maiale salato, che è quanto dire, in tutto,chilogrammi 51: assegno che deve bastare per lui, per ladonna e pei figli ( De la récidive, 1812).

All’ultima ora del suo gastigo (in Svezia), un forzatorese vivissimi grazie al direttore, dichiarando che, primadell’arresto, non aveva mai gustato cibarie tanto sapidee sostanziose. In altro stabilimento, una femmina avevafatto considerevoli risparmi sulla razione del pane, affin-

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ché, diceva essa, i miei figli, quando sarò a casa, dividanocon me il buon pane dello Stato (Id.).

Io non esito, continua egli, a porre fra le cause dellarecidiva l’indulgente trattamento che si usa ai forzati».

Oltre a tutti questi difetti, generali a tutta l’Europa,il carcere d’Italia ne ha anche di tutti suoi, o meglio diquelli che solo la Spagna può vantare comuni – ha la ma-la struttura che permette la facile evasione come in Gir-genti e Caltanissetta, e forse in quasi tutte le carceri man-damentali – ha l’insufficienza, la sproporzione dei loca-li alle singole condanne. La legge commina la custodia,l’arresto, la carcere, la cella, la relegazione, ma tutto ciòresta lettera morta, perché le celle non bastano non chepei minorenni, nemmeno per il decimo dei soggetti a giu-dizi, per cui, se si vuole un buon processo, sarebbero piùnecessarie.

4

Uguali e diversi

1

Una razza che si trasforma

È certo che una buona parte degli Ebrei, sparsi perl’Europa, conserva 71 immutati i caratteri della remotaorigine, come la doligocefalia, la nerezza dei capelli,il prognatismo del viso, la foltezza dei sopracigli ches’incrociano alla radice del naso, lo spessore delle labra,la cortezza delle gambe in proporzione del tronco; mamolti altri ve ne hanno che non presentano alcuno deicaratteri della razza primitiva.

Vero è che alcuni antropologhi affermano come anti-camente, oltre alla razza a capello nero ed a cranio bi-slungo, fossevi un’altra razza, ebrea, dal pelo rosso e dal

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cranio rotondo e con ciò spiegano questi divarj. Ma e’sono più speciosi pretesti, questi, che non ragioni: se vihanno degli Ebrei a pelo rosso (ed è verissimo), ve nehanno poi a capello castano o biondo, ed a cranio meso-cefalo; e poi come spiegare che questo tipo dal pelo ros-so si rinvenga così di rado nei paesi meridionali, così fre-quentemente nei paesi del nord, e che proprio in Inghil-terra l’Ebreo presenti quel capello liscio, finissimo, bion-do e quella fronte elevata e quell’occhio ceruleo che eproprio del vero Britanno? E perché in Piemonte abon-dano gli Ebrei a cranio rotondo e capello biondo, e nel-la Venezia a cranio quadrato e bislungo ed a capello ne-ro? E perché gli Ebrei, nell’oasis di Waregh, al 32° lat.Sud, presentano la cute dei Neri e la fisionomia dei Bian-chi, ed in Abissinia il naso schiacciato, il labro grosso, ilprognatismo e persino la capigliatura lanosa dei Negri, einsieme una pelle chiara quasi come la nostra?139

Si asserì in coro da quasi tutti gli statisti d’Europa, chel’Ebreo offre un numero di maschi maggiore, una morta-lità assai minore del cristiano dello stesso paese di Ger-mania, di Francia e di Ungheria. Ma uno studio accura-to sugli Ebrei di Verona, mi dimostrava che la differenzaè pochissima; e dipende tutta da ciò che gli statisti nonsi erano preoccupati della fittizia mancanza di illegittimiebrei che vanno a disperdersi nelle ruote catoliche, e del-l’aumento fittizio di mortalità che l’istituzione dei brefo-trofi, e, fino ad un certo punto, degli ospitali, mette tut-to sugli omeri della popolazione catolica, mentre esso in-vece dovrebbe dividersi colla giudaica140.

Questa stessa ragione e la scarsezza apparente e fitti-zia di illegitimi ebrei spiega la maggior copia dei figli ma-schi ebrei in Prussia e Francia (120 per 100), sapendo-si che l’eccesso dei maschi si nota più frequente nei partilegitimi.

Veniamo alle qualità morali. Molte delle qualità e deivizj del moderno Ebreo si trovano accennate, in germe,

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nell’antica sua storia, per esempio: la tenacia portata allevolte fino all’ostinazione e l’amore vivissimo della patria,di cui, tanto nei tempi addietro come tuttora, diederomagnanime prove; e più ancora l’avarizia, l’avidità del-l’oro, la credulità teologica, la fede esaggerata nelle tra-dizioni per strane e bizzarre che fossero, la tendenza al-le associazioni, l’astuzia e la finezza: doti per le quali toc-carono sì alto nel mondo commerciale. L’incapacità loroper le arti plastiche è in essi, come in tutti i Semiti, cosìinveterata, che si travede dalle rigide leggi iconoclastichedella Biblia.

Ma tuttavia non può negarsi che in molti Ebrei mo-derni si notino delle attitudini contrarie alle antiche; egià cominciano a vedersi, fra loro, dei pittori e degli scul-tori, e, quello che è più singolare, degli increduli e deiprodighi. In generale le attitudini degli Ebrei appajo-no analoghe a quelle che prevalgono ne’ paesi in cui so-no stabiliti: e’ sono dotti in Germania, in Polonia super-stiziosissimi, parlatori nel Veneto, parchi e taciturni nelPiemonte; ed Acosta e Spinoza, i due Ebrei che più for-temente combatterono i pregiudizj e le credenze giudai-che, naquero in Olanda, dove appunto tra i concittadininon semiti, sorsero i più tenaci avversarj dell’ortodossiacatolica.

Essi poi perdettero affatto alcune delle loro grandiqualità storiche. Il coraggio, lo sprezzo della vita era-no uno dei caratteri salienti di quella robusta razza, checredette aver un Dio consigliere di conquiste e di stragi,e che gettava fiumi del proprio sangue sulle mura con-trastate di Massad, ove il trionfatore, entrato, vide, spet-tacolo nuovo anche ad un cuore romano, un’intera cittàsuicidatasi, per non sopravivere alla vergogna commune.Or bene la rarità straordinaria dei suicidi ebrei e la scar-sezza degli uomini di guerra distinti, tra loro, mostranoche questa virtù non eccelle più in essi come una volta,

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lasciando sovente luogo ad una timidezza quasi istintivae ad una grande paura della morte.

Per compenso poi acquistarono delle qualità che, pri-ma di porre il piede in Europa, non sembra abbiano pos-seduto. L’amore della famiglia, che nelle razze europeeva sempre più intepidendo, in loro divenne gigante; l’i-nerzia proverbiale nell’Asiatico, la sua completa indiffe-renza per quanto non tocchi il suo oro o il suo Dio, laignoranza che ne deriva, scomparvero, dando luogo aduna attività febrile ed instancabile non solo nella pazien-te e tenace bisogna dei commercj, ma in tutti i rami del-l’umana operosità. Così eccelsero nella politica Abraba-nel, ecc.; nella dialettica Spinoza, nell’ironia Heine, nelgiornalismo Yung, Weill ecc.; nella musica Meyerbeer,Halevy, Choen; in Germania i più illustri medici o fisio-logi, Casper, Hirsch, Schiff, Valentin, Cohnheim, Trau-be, Fraenkel, naquero ebrei. Insomma, proporzionata-mente al numero, essi, al confronto dei concittadini nonsemiti, offersero una serie almeno uguale, se non forsemaggiore, di produttori intellettuali; e si noti anche inquelle scienze cui la razza semitica141 si mostrò, sempre,prima, inadatta, come, per esempio, nelle scienze esatte.Solo nelle arti plastiche e nelle mecaniche non diederoalcun uomo di vaglia.

Essi dunque non solo sorpassarono il livello inferioredella razza semita, cui è negato di attingere alla coppa in-tellettuale della razza bianca più oltre della lirica e del-l’epopea: ma si elevarono qualche volta al di sopra degliArj; sempre procedettero loro pari. Ecco dunque un’al-tra razza che sotto i nostri occhi, pur conservando in par-te il tipo primitivo, monta a gradi superiori dell’originesua, e si trasforma.

Come ciò avvenisse, è notissimo. La emigrazione for-zata sottopose quella razza, che sarebbe stata, come tut-te le altre popolazioni semitiche, assai poco progressi-va, all’azione di climi affatto differenti dall’originario: la

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persecuzione continua, secolare, fungendo, come direb-be Darwin, da selettore della specie, quelli che non potéspegnere, e saranno stati molti, acuì, perfezionò nell’in-gegno. E come l’astuzia e l’attività soltanto, e l’apparen-za della miseria e quindi la grettezza potevano sottrarlialle troppo feroci persecuzioni, contro cui un’audace re-sistenza sarebbe riuscita impotente, così essa fece preva-lere quei vizj, e a poco a poco spegnere quelle doti chesarebbero state più dannose che utili, come il coraggioe la generosità. [Vi si aggiunse, come vedremo, ma piùtardi, il nervosismo].

Quest’azione combinata del clima e delle circostanzerisulta chiara anche dal vedere come in alcune regioni gliEbrei non abbiano progredito, di un passo, dai loro con-terranei, sopratutto nei paesi caldi ed in quelli in cui lapersecuzione mancò. Così in nulla eccelsero nell’Abis-sinia, benché, contro loro costume, abbianvi fatto moltiproseliti, e benché, o forse perché, non vi patissero per-secuzioni; ed essi poi abbrutirono nella classica e nativaterra della Giudea, dove pure sono colmati di favori daidevoti correligionarj di tutta Europa, che ne fanno, pergli uguali meriti e con uguale profitto dei catolici, unaseconda Roma.

A Bombay gli Ebrei muratori, agricoli, fallegnami, sol-dati pretendono discendere dalle tribù esigliate dagli As-sirj al tempo di Osia: e’ si maritano fra di loro; osser-vano il Sabbato, la circoncisione; venerano, senza com-prenderla, la Biblia; riuniti, prima dell’arrivo degli Euro-pei, in corporazioni sotto capi speciali, non si elevaronodal livello delle infime caste indiane.

Io ho già dimostrato nell’ Uomo bianco e l’Uomo di co-lore e nel Pensiero e Meteore, come, in grazia alla cruentaselezione operata dalle persecuzioni medioevali e in gra-zia anche del clima temperato, gli ebrei d’Europa, confu-si ancora nell’Africa e nell’Oriente nell’Umile stadio se-mita, se ne elevarono di tanto da superare non di rado gli

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Arii, oltreché nella coltura generale, nel più diffuso142 eprecoce lavoro psichico in molti rami della civiltà, certonel commercio, nella musica e nel giornalismo, nella let-teratura satirica ed umoristica, in alcuni rami della medi-cina, avendoci dato nella musica Meyerbeer, Choen, Ha-levy, Gusikow, Mendelssohn, Offenbach, e nell’umori-smo Heine, Saphir, Camerini, Revere, Kaliss, Jacobsohn,Yung, Weill, Fortis, Gozlan; nella letteratura Auerbach,Kompen, Aguilar; nella linguistica Ascoli, Munk, Fioren-tino, Luzzatto, ecc.; nella medicina Valentin, Hermann,Haidenhain, Schiff, Casper, Hirschfield, Stilling, Glu-ger, Laurence, Traube, Fraenkel, Kuhn, Cohnheim, Hir-sch; in filosofia Spinoza, Sommerhausen, Mendelssohn,ed in politica Lassalle, Marx; perfino in quei rami, comela matematica, cui il Sernita si mostrava sempre inadatto,valgano ad esempio Goldschmidt, Beer e Marcus.

Si noti, che quasi tutti questi genii sono radicalmentecreatori; in politica rivoluzionari, in religione capi dinuove credenze; così che da essi, se non emanarono,ceno furono iniziati da un lato il nihilismo e il socialismo,dall’altro il cristianesimo ed il mosaicismo, come nelcommercio la cambiale, in filosofia il positivismo, inletteratura il neo-umorismo.

Or bene, è curioso notare che precisamente gli ebreidànno un contingente quadruplo e fin sestuplo di alienatidegli altri loro concittadini.

Il dottissimo Servi nel 1869 contava in Italia 1 pazzosopra 391 ebrei, quasi il quadruplo dei cattolici (GliIsraeliti di Europa, 1872), il che vien riconfermato. anziaggravato pel 1879 dal Verga, che annovera:

Archivio di Statist. (Roma, 1880)

Un pazzo ogni 1775 cattolici,

» » » 1725 protestanti,

» » » 384 ebrei.

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Tigges che poté studiare più di 3100 alienati nellasua statistica della Westfalia ( Gesch. und. Stat. derWestphal. lrrenanstalt, 1861) trovò la pazzia diffusa nellaproporzione di

1 a 3 a 7000 negli ebrei1 » 11 » 14000 nei cattolici1 » 13 » 14000 negli evangelici.

Nel 1868-69 l’Italia avea 49 profes.israel.,

di cui 17 nell’Univ.tà e 7deputati

1869-70 » 54 »

1872 » 59 »

In Prussia nel 1849 si conta 1 stud. nelle scuolesecondarie su 467 catt., 1 su 243 protestanti, ed 1 su 53ebrei.

Servi nell’op. cit. calcola la popolazione d’Italiaagricola ebmica 0,7 su 1000, data al culto 9,3 – artigiani4,0 – commercio e industria 177,0 – possidenti 56,0 –sicurezza est. 13,0 – donne senza professione 560,0 –minatori 0,0 – poveri 3,5 – prof. liber. 27,6 – amministr.120,0 – domestici 16,0.

Noto che stando alla osservazione di Buckle (1° voI.),secondo cui la ricchezza è il primo necessario passo allacoltura, la maggior copia di dotti fra gli ebrei si potrebbespiegare anche per la maggiore ricchezza.

Mayr finalmente ci dà la proporzione nel 1871 deipazzi:

in Prussia 8,7 ogni 10000 cristiani, 14,1 ogni 10000 ebrei

in Baviera 9,8 ogni 10000 cristiani, 25,2 ogni 10000 ebrei

in Germaniatutta

8,6 ogni 10000 cristiani, 16,1 ogni 10000 ebrei

( Die Verbreit. der Blind, ecc., 1872)Sono proporzioni, o meglio, sproporzioni singolari in

una popolazione, in cui, se più abbondano i vecchi, che

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dànno un maggior numero di demenze senili, scarseggia-no di molto gli alcoolisti.

A questo fatale privilegio non hanno posto mente queicorifei dell’antisemitismo, che sono una delle vergognedella Germania attuale; certo essi non sarebbersi tantoirritati dei successi di quella povera razza, se avesseropensato a prezzo di quante sventure essa li sconti anchenell’epoca nostra, senza annoverare le tragedie passate,in cui erano certo più cruente le vittime, ma non piùinfelici di queste – colpite nella fonte della loro gloria,in causa di essa, e senza pure il conforto di contribuire,come allora, col suo sacrificio, alla più nobile fra leselezioni della specie.

2

Razza e delitto

Dove invece spiccano chiare le influenze della razza sullacriminalità, è nello studio degli Ebrei e degli Zingari, eciò nel senso precisamente opposto.

La statistica avrebbe dimostrato la criminalità negliEbrei essere in alcuni paesi inferiore a quella di altri con-cittadini, il che riesce tanto più notevole inquantochéin grazia alla professione da loro più preferita, essi do-vrebbero paragonarsi piuttosto che a tutta la popolazio-ne in genere ai commercianti ed ai piccoli industriantiche danno una delle cifre massime di criminalità.

In Baviera vi sarebbe 1 condannato ebreo su ogni 315abitanti, ed un cattolico ogni 265. –Nel Baden, per 100cristiani, 63,6 ebrei (Oettingen, p. 844).

In Lombardia, sotto l’Austria, si ebbe in 7 anni 1condannato ebreo ogni 2568 abitanti (Messedaglia). –Nel 1865 in Italia contavansi solo 7 ebrei carcerati, 5maschi e 2 femmine; proporzione inferiore di molto allapopolazione criminale cattolica. – Nuove indagini del

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Servi, nel 1869, avrebbero dato su una popolazione di17800 ebrei solo 8 condannati.

Invece in Prussia si sarebbe notato dall’Hausner unaleggiera differenza in sfavore degli accusati ebrei, 1 ogni2600, in confronto dei cristiani, 1 ogni 2800, che viene inparte confermata dal Kolb.

Secondo il Kolb, si notò nel 1859 in Prussia:

1 accusato Ebreo per ogni 2793 abitanti

» Cattolico » 2645 abitanti

» Evangelico » 2821 abitanti

( Handb. der vergleich. Statistik. 1875, p. 130).In Austria i maschi ebrei condannati diedero il 3,74%

nel 1872; nel 1873 il 4,13, cifra di qualche frazionesuperiore ai rapporti della popolazione ( Stat. Ubers. derk. k. österr. Strafanst., 1875).

Più sicuro della minore proporzione dei delinquentiebrei è il fatto della loro criminalità specifica; in essi, co-me negli Zingari, predomina la forma ereditaria del de-litto, contandosi in Francia intere generazioni di truffa-tori e di ladri nei Cerfbeer, Salomon, Levi, Blum, Klein;pochissimi sono i condannati per assassinio, e sono, allo-ra, capi di bande organizzate con abilità non comune co-me, Graft, Cerfbeer, Dechamps che hanno veri commes-si viaggiatori, libri di commercio e che dispiegano una se-cretezza, pazienza e tenacia spaventevole, per il che sfug-girono molti anni alle indagini della giustizia; i più, alme-no in Francia, sono autori di truffe speciali; come quel-la dell’anello, in cui fingono di avere trovato un ogget-to prezioso, o quella all’augurio mattutino, col cui prete-sto spogliano le stanze di chi dorme colle porte aperte, oquelle di commercio (Vidocq, Op. cit., Du Camp. Paris,1874).

In Prussia erano frequenti le condanne degli Ebrei perfalso, per calunnie, ma più ancora, quelle per manuten-golismo; il qual reato molte volte si cela alle indagini giu-

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diziarie, e ci spiega la grande copia di vocaboli ebrei neigerghi di Germania e d’Inghilterra, essendo noto che illadro si ispira come ad un maestro e ad una guida, dalmanutengolo, e quindi più facilmente fa tesoro de’ suoivocaboli.

Troppe cause lo spingevano, un tempo, in braccio aquesto delitto, come ai torbidi lucri dell’usura; l’avidi-tà dell’oro, il disperato avvilimento, l’esclusione da ogniimpiego e da ogni pubblica assistenza, la reazione controle razze persecutrici ed armate, contro le quali nessun al-tro mezzo d’offesa gli era possibile: fors’anche gli accad-de, più volte, scaraventato dalle violenze delle masnadea quelle dei feudatarj, di esser costretto a farsi compliceper non essere vittima, sicché, se anche di poco la lorocriminalità fosse riuscita superiore, non dovrebbe reca-re meraviglia, mentre è bello il notare, che appena all’E-breo si apriva uno spiraglio di vita politica, sembrò ve-nirgli meno la tendenza a questa specifica criminalità.

Non così può dirsi degli Zingari, che sono l’imagineviva di una razza intera di delinquenti, e ne riprodu-cono tutte le passioni ed i vizj. Hanno in orrore, diceGrellmann143, tutto ciò che richiede il minimo grado diapplicazione; sopportano la fame e la miseria piuttostoche sottoporsi ad un piccolo lavoro continuato; vi atten-dono solo quanto basti per poter vivere; sono spergiurianche tra di loro; ingrati, vili, e nello stesso tempo cru-deli, per cui in Transilvania corre il proverbio, che cin-quanta Zingari possono esser fugati da un cencio bagna-to; incorporati nell’esercito austriaco, vi fecero pessimaprova. Sono vendicativi all’estremo grado. Uno di que-sti, battuto dal padrone, per vendicarsene, lo trasportò inuna grotta, ne cucì il corpo in una pelle, alimentandolocolle sostanze più schifose, finche morì di gangrena.

Dediti all’ira, nell’impeto della collera, furono vedutigettare i loro figli, quasi una pietra da fionda, control’avversario, sono, appunto, come i delinquenti, vanitosi,

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eppure senza alcuna paura dell’infamia. Consumanoin alcool ed in vestiti quanto guadagnano; sicché se nevedono camminare a piedi nudi, ma con abito gallonatood a colori, e senza calze, ma con stivaletti gialli.

Hanno l’imprevidenza del selvaggio e del delinquente.Si racconta, come una volta, avendo respinto da unatrincea gl’Imperiali, gridassero loro dietro: «Fuggite,fuggite, che, se non scarseggiassimo in piombo, avremmofatto di voi carnificina». E così ne resero edotti i nemici,che ritornando sulla loro via, ne menarono strage.

Amanti dell’orgia, del rumore, nei mercati fanno gran-di schiamazzi; feroci, assassinano senza rimorso, a sco-po di lucro; si sospettarono, anni sono, di cannibalismo.Le donne sono le più abili al furto, evi addestrano i lo-ro bambini; avvelenano con polveri il bestiame, per dar-si poi merito di guarirlo, o per averne a poco prezzo lecarni; in Turchia si danno anche alla prostituzione.

Tutti eccellono in cene truffe speciali, quali il cambiodi monete buone contro le false, o nello spaccio di caval-li malati, raffazzonati per sani, sicché come fra noi ebreoera, un tempo, sinonimo di usurajo, così, in Spagna gita-no è sinonimo di truffatore in commercio di bestiame.

Non si possedono documenti sulla diffusione dellapazzia fra gli Zingari.

Se fosse provata negli Ebrei una minore criminalità inconfronto cogli altri, sorgerebbe qui una divergenza colladiffusione della pazzia, la quale, in genere, è in loro piùfrequente.

Se non che qui assai meno deve essere questione dirazza, che non di occupazioni intellettuali, le quali mol-tiplicano le cause di emozioni morali: poiché nelle raz-ze semitiche (Arabi, Beduini) è tutt’altro che frequentel’alienazione.

E qui si scorge di nuovo quanto difficile torni il con-cludere sulle nude cifre nelle quistioni morali e comples-se.

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Lo zingaro in qualunque stato o condizione si trovi,conserva la sua abituale e costante impassibilità, senzasembrar preoccupato dell’avvenire, vivendo giorno pergiorno in una immobilità di pensiero assoluta, ed abdi-cando ad ogni previdenza.

«Autorità, leggi, regola, principio, precetto, dovere»,sono nozioni e cose insopponabili a codesta razza stra-nissima (Colocci).

Obbedire e comandare gli è egualmente odioso, comeun peso ed un fastidio. Avere gli è estraneo quantodovere144, il seguito, la conseguenza, la previsione, illegame del passato all’avvenire, gli sono sconosciuti (Id.).

Colocci crede che essi possedono degli itinerari spe-ciali comuni agli evasi, ai ladri, ai contrabbandieri inter-nazionali, che si segnalano con speciali segni simili agliZink dei Tedeschi (Vedi Vol. I).

Uno dei segni più abituali per tali indicazioni, è ilpatterai, di cui esistono due tipi: l’antico a tridente; ilnuovo a croce latina.

Questi segni, fatti lungo il percorso della strada mae-stra, e tracciati col carbone sui muri delle case o inci-si con il coltello sulla corteccia degli alberi, divengonomezzi convenzionali per dire alle future comitive di con-fratelli: Questa è strada da zingaro. Nel primo patterau ladirezione è data dalle linee laterali, nel secondo dal brac-cio più lungo della croce.

I punti di fermata, o stazioni, li indicano collo Svasticamisterioso, forse ricordo di antico simbolo indiano, forseembrione della nostra croce.

Quando vogliono partire dal luogo ove stanno – scri-veva Pechon de Ruby nel XVI secolo – s’incamminanoverso il lato opposto e fanno una mezza lega all’inverso,poi ritornano sulla loro strada.

E come i criminali, e come i Paria (vedi vol. I) da cuiderivano, essi hanno una letteratura popolare criminale

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che vanta il delitto, come nel dialogo seguente fra padree figlio (Colocci, o. c.).

Padre – «Olà, mio Basilio, se tu divieni grande, per la crocedi tuo padre! devi rubare».

Figlio – «E poi, padre, se sono scoperto?»Padre – «Allora raccomandati alla pianta dei piedi, gioia di

tuo padre».Figlio – «Al diavolo la tua croce, padre! Non m’insegni

bene».

E nelle seguenti poesie:

Da che, cavalluccio,Non rubi più,Non bevi più acquavite;Sì, finché tu rubaviGrazioso cavalluccio,Buona acquavite bevevi,E all’ombra sedevi.La tua perdita è certa (Zingari rumeni).

I ragazzi zingari montanariCome piccoli caniQuando veggono uno zingaro (di pianura)Lo spogliano (Zingari slavi).

Simili argomenti dànno tema a brevi narrazioni inversi, soprattutto fra gli zingari inglesi e spagnuoli. Peresempio:

Due giovani zingari furono deportati,Furono deportati al di là dell’Oceano;Platone per ribellione,Luigi per aver rubatoLa borsa d’una gran dama.E, quando giunsero in paese straniero,Platone fu impiccatoSubito: ma LuigiFu preso per marito da una gran dama,Voi vorreste sapere chi fosse questa gran dama?

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Era la dama, cui esso aveva rubato la borsa;Il giovane aveva un neroEd ammaliatore occhioEd essa l’aveva seguito al di là dell’Oceano (gipso).

Un frateStava facendo una predica;Ed era stato rubato un prosciuttoAl macellaio di quel paese;E quegli sapeva che gli ZingariLo avevano derubato.Il frate esclamò: figliolo!Vai a casa tuaE dalla pentolaLeva fuori il prosciuttoE mettici invece dentroUna pezza del tuo marmocchio,Marmocchio,Una pezza del tuo marmocchio (gitano).

È importante poi il notare che questa razza così infe-riore nella morale ed anche nella evoluzione civile ed in-tellettuale, non avendo mai potuto toccar lo stadio in-dustriale ne, come vedesi, in poesia passare la lirica piùpovera, è in Ungheria creatrice d’una vera arte musica-le, sua propria, meravigliosa – nuova prova della neofiliae genialità che si può trovare mista agli strati atavici nelcriminale145.

Educazione ed istruzione, ambiente e miseria, ecco glieterni cliché, con cui i poligrafai che passano per grandipolitici fra gli scienziati, e per grandi scienziati fra ipolitici, credono spiegar tutti i problemi sulla genesi deldelitto; ed oltre i quali essi non vedono nulla; mentrepoi realmente lasciano i problemi come li trovano, anzisovente li abbuiano.

Questi stessi se la pigliano. contro uno dei più giovani,ma più promettenti pensatori nostri, il Niceforo, di cuiqui lungamente vi parlava il Sighele, perché nell’indagarele cause della delinquenza sempre più irrompente in

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Sardegna, insiste, senza esclusione delle altre cause, sullainfluenza della razza. – Ora per chi non istudia sullevecchie falsarighe, ma si lascia condurre solo dai fatti,non vi ha alcun dubbio che la razza, sopratutto quando ilcorrente livellatore della civiltà non ne ha ottusa l’azionecome nei grandi centri d’Europa, è insieme col clima ecolle condizioni economiche, uno dei più grandi fattori,o meglio modificatori della delinquenza.

Se noi prendiamo, per es. col Bosco in esame gli StatiUniti d’America, vediamo che a pari condizioni di clima,d’alimento, ecc., i negri omicidi vi si contano come 36per 100 mila, mentre i bianchi solo 8 per 100 mila146.Come possiamo non trovare che qui siavi un’influenzadi razza?

Che se si rispondesse: che qui le condizioni più servi-li, i mali trattamenti ci potrebbero spiegare tale differen-za, aggiungerei che nella stessa regione noi vediamo in-dividui nelle stesse condizioni economiche e della stessaetà, come gli immigranti, commettere omicidi nelle ugua-li proporzioni come nei loro paesi nativi. «Così l’italia-no vi dà il 50 per 100000 d’omicidi, l’inglese il 10, il te-desco il 9, lo svedese il 5; anzi proporzioni analoghe, senon esattamente precise, si possono riscontrare nei lorodiscendenti» (Bosco).

Qual altra causa, se non quella della razza può quiaddursi?

E chi non vede l’effetto dell’influenza berbera e semitanella enorme quota di assassini e di abigeati di cui è vitti-ma quella pur feracissima Conca d’oro, dove le tribù car-taginesi fenici ed arabe ebbero le loro prime e rinnova-te dimore, e dove non solo la morale., ma fin il tipo ana-tomico conserva l’impronta semita, mentre a pari condi-zioni nelle regioni vicine popolate dai greci come Cata-nia, tu vedi diminuire i delitti di sangue ed aumentarequelli di frode, per cui la fede greca era così celebre; edio nel mio recente studio sull’ Uomo Delinquente 3° vo-

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lume ho notato che in Francia la tendenza omicida è mi-nima dove la razza è cimbrica – 5 per 100, cresce nei di-partimenti gallici 25 per 100 ed iberici: 35 per 100, dan-do il suo massimo dove la razza è ligure e belga; e ho pu-re notato che l’omicidio, salvo Lucca e Lecce, ha la mas-sima proporzione fra le provincie, ove domina la doligo-cefalia, e il capello nero, e il minimo dove prevalgono ibrachicefali e i biondi, salvo Ravenna.

E chi può negare l’influenza di razza, pensando aglizingari, derivati dalle scorie reiette delle tribù indiane, eche, non mancando d’ingegno ne d’energia, potrebberobene escire, per quanto nomadi, dalla cerchia del delit-to, che è diventata la loro professione, eppure non vi rie-scono nemmeno là dove sono ben voluti ed accetti e do-ve pur dandosi all’arte musicale, potrebbero cavare pro-fitto non solo, ma gloria invece che destare persecuzionee ribrezzo?

Dopo ciò, come si può negare ragione all’egregioNiceforo147 se quando parla dell’accrescimento grandedei delitti in Sardegna e specialmente nella zona di Nuo-ro, della quale così coraggiosamente pel primo vi intrat-tenne il vostro Adolfo Rossi, ebbe a segnalarne, insiemea molte altre, la nella razza?

Come non ammetterlo, quando si vede scrivere diquelle terre fin da antichissimi tempi Strabone «che perquanto abbiano gli abitanti grani e sementi, coltivanomale i campi e non solo rubano e devastano in casa,ma fino nel continente» mentre un vecchio proverbiosardo afferma che a Orune non si può campare che dicarne rubata, e che perfino i santi son fuggiti di là; edun’altra vecchia leggenda pretende che quei di Lodétirarono fucilate fin contro S. Antonio, e che fecero unaspedizione armata a Garrofai per rubarvi, in mancanzad’altro..., il campanile?

È strana poi l’obbiezione che di razza non si deve piùparlare perché un certo messere che si chiama Lapou-

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ge ha trovato che le razze pure non esistono. Ma chi lonega? Ma chi pur negando che non esistono scientifi-camente pure ne generi, ne specie, non deve convenireche almeno esiste un gruppo di fatti che non si potrebbecomprendere senza quelle distinzioni? Oh sarà giustis-simo che il cane derivi dal lupo, ma attualmente il caneforma una specie benissimo distinta dal lupo; e con istin-ti e caratteri suoi speciali. E questo sia detto, anche perquelle altre osservazioni speciose, ma capaci di impres-sionare i poco accorti, secondo cui si pretende che: «nonsi può parlare di una influenza semitica dannosa in Sar-degna, in Sicilia, perché quei semiti che sono gli ebrei,danno una cifra scarsa di criminalità». Quando noi in-tendiamo parlare di razza, specialmente nelle sue appli-cazioni, parliamo di un dato agglomero di popolazioneche si conserva tale con date forme ed abitudini in daticlimi, circostanze, ed epoche, ecc.; così l’ungherese nonha più nulla dell’unno; ne l’ebreo ha più nulla del noma-de arabo.

Ed un altro errore è quello di voler confondere quel-la criminalità, direi naturale, e propria così dell’età in-fantile come del popolo primitivo, difettante così di sen-so morale che il delitto vi si contende coll’azione – comegià dimostrava l’etimologia di facinus, di culpa, di crimen(da cra, Sanscrito fare) colla criminalità dei popoli civili,nei quali quando le tendenze selvaggie e criminali ripul-lulano, non sono più fisiologiche, ma effetto di anomalia,e quindi morbose; perciò lo stesso popolo, la stessa raz-za, come lo scozzese, può esser stato feroce e barbaro nelsuo stato primitivo e non aver più nessuna tendenza cri-minale o ben poca quando divenne civile; ed è per questoanzi che giustamente il Niceforo spiega la criminalità sar-da, sopratutto del Nuorese, esser effetto di un arresto disviluppo nel senso morale collettivo, di una permanen-za nello stato barbarico, grazie a molte cause, come l’i-solamento, l’abbandono, la incuria del Governo, le con-

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dizioni infelicissime agrarie per il latifondo da una par-te, lo sminuzzamento della proprietà dall’altro, per cuivi possono essere su un piccolo campo tre proprietari, dicui uno ha il suolo, gli altri due una pianta per ciascuno,ma più di tutto e soprattutto per la razza, la quale nonha potuto vincere le circostanze circumambienti e quin-di non poté svolgersi – da quello stadio barbarico in cuiil delitto e l’azione si confondono.

Le forme singolarissime, pari alle imprese degli anti-chi clan, delle grassazioni sarde, specie a Nuoro, in cuisi adunano per lo più i pastori, ma talvolta anche ricchiproprietari più per ambizione di ardite imprese, che persete di guadagno; la nessuna onta annessa alla professio-ne di brigante – che vi è decantato e anzi cantato comeun eroe, sicché gli inni popolari su De Rosas vi circolanocome già in Grecia i pre Omerici su Achille, e per le fa-miglie è così grande onore avere un brigante fra i paren-ti, come fra noi – Dio ce ne guardi! – avere un parenteministro o ambasciatore, e un proverbio attesterebbe chechi non furat, non est homo – confermano che la crimina-lità lì ha origini, come ha le forme, barbariche. Ne è cari-tà di patria il tacerlo: è carità di patria, anzi, il proclamar-lo, onde aiutare quei nostri fratelli ad uscire dalla melmabarbarica in cui sono impigliati, come ne va uscendo solotanta parte d’Italia.

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Il soffio dell’antisemitismo

In questi ultimi anni, mentre d’ogni parte si inneggia ar-cadicamente all’amore dell’uomo, alla fraternità dei po-poli, un soffio gelido, d’odio selvaggio, percorre i popo-li anche più civili d’Europa, dando luogo a quelle sceneche mal si sarebbero credute possibili nel Medio Evo; è ilsoffio dell’antisemitismo che prese nome ed abbrivio in

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Germania, ma che sotto altri appellativi meno scientificiaveva divampato nelle epoche anteriori e covava latentenei bassi strati dei popoli Europei.

Il fenomeno è troppo importante perché il sociologonon debba preoccuparsene e studiarne le cause e i rime-di.

Quali ne sono le cause più apparenti? Si disse: La di-saffinità di razza, specie dove i ravvicinamenti non furo-no favoriti dai matrimoni misti e dagli interessi recipro-ci.

Ma questa causa non è ammessibile; perché, comevedremo, disaffinità di razza, assai maggiori, trovansi inmezzo a popoli che pur si fusero insieme; ed anzi si puòdire che non vi sia paese in Europa il quale non presentiun mosaico di razze variatissime; ed in Francia troviamocoesistente la razza celtica colla basca, colla latina e collatedesca (Normandia): in Inghilterra la celtica, coll’anglo-sassone e colla latina.

Fu accusata la troppa loro ricchezza, e Bebel adducea causa dell’antisemitismo in Germania che il commer-cio agricolo è quasi tutto nelle loro mani: ma noi non ve-diamo odiati istintivamente i nostri grandi ricchi, e menoancora quei popoli Inglesi ed Americani che sono stra-ricchi e perché tali.

Né mi par che basti la causa addotta della diversareligione: che il buddista, il maomettano non suscitanofra noi antipatia di sorta.

Bisogna rimontare invece a due cause, certo più in-fluenti, entrambe atavistiche e quindi prepotenti.

La prima sta nella compiacenza che sorge dal senti-mento di superiorità sugli altri, e può dirsi un ricordodell’antico dominio del libero Ario sopra i popoli schia-vi; sentimento che si raddoppia allorché si fa nazionale,perché si spoglia del pudore della vanità personale e simoltiplica coll’imitazione.

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Essa giova a spiegarci appunto l’odio reciproco delPolacco col Russo; gli uni sentono una compiacenza neldominio: credono di aver una vera superiorità di sangue;e basta per comprenderlo leggere quanto opina il Brami-no del Soudra, che crede reo se lo tocchi, e leggere quan-to scrivevano prima di Gladstone i dotti inglesi degli Ir-landesi, che pretendevano non perfezionabili; gli odiati,poi, reagiscono a loro volta naturalmente contro un sen-timento tanto ingiusto; e così le avversioni si rinveleni-scono e centuplicano.

L’altra causa si connette alla stratificazione della me-moria; e consiste nell’odio concepito dai Romani controquesto popolo, che prima loro osava resistere e che colcristianesimo prendeva su loro la vera rivincita nel cam-po religioso, sentimento che si raddoppiò poi nel me-dio evo, quando la casta clericale, divenuta padrona del-lo spirito europeo, ne fece un dovere ed un rito.

Ma qual è la causa che ha fatto acutizzare in questi ul-timi anni l’endemia? Giustamente osserva il Ferri chevenne dalle arti dei governi e delle sètte, a scopo politi-co. Bismark, che vedeva negli oppositori un bel nume-ro di semiti, Lasker alla testa, con quella sua brutale e fa-cile politica che risolveva colla spada di Brenno le que-stioni che un grand’uomo di Stato come Cavour avreb-be risolto coll’arti delicate della politica e coll’eloquen-za, scatenò gli istinti popolari latenti contro gli Ebrei on-de vincere la loro tenacia, allo stesso modo e per le stessecause che combatteva i cattolici coi sequestri e le carce-ri: il popolo favorito nei suoi istinti più atavici da un altopolitico non se lo fece ripetere due volte, e così una vol-ta incominciato il moto, accrebbe assai più forse che nonvolesse chi lo provocava.

Così accadde in Russia, che sperò affogare negli odîsanguinosi suscitati contro gli Ebrei le simpatie pel niki-lismo, e distrar le plebi dalle reazioni violente che dove-van suscitare le orribili carestie provocate dal suo cattivo

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governo: essa applicò tristamente l’antica massima: divi-dere per imperare: il tutto favorito poi anche da un fa-natismo barbaro di religione da cui pare colpito il Presi-de del Santo Sinodo, che ha nelle mani il cuore dell’on-nipotente signore di quello sventurato paese.

Abusando dei pregiudizi e degli odi religiosi (scriveFerri), profondamente radicati per trasmissione eredita-ria nelle masse popolari, specialmente delle campagne,si è creduto di deviare il movimento di protesta controla ricchezza esagerata di pochi e la miseria eccessiva deipiù, aizzando gli istinti popolari contro «gli uccisori diCristo» e i «monopolizzatori della pubblica ricchezza».

Qui, al paro che in Germania, (e ciò era naturale in po-polo meno incivilito), quegli odi presero una forma co-sì acuta e così epidemica che ne vennero affetti non soloi contadini, ma perfino i serî e imparziali pensatori che,interrogati da me, per es. Drill e Tarnowski, dichiararon-mi non trovar nulla di strano in quelle misure, poiché gliEbrei della Russia erano diversi da quelli di tutte le altreparti del mondo, e meritavano la loro sorte. Eppure, co-me vedremo, essi erano non utili, ma necessari al paese;formavano, come ora in Rumenia, come già da noi nelMedio Evo, quel primo sottostrato della classe borgheseed industriale che manca a questo popolo di impiegati edi soldati, di nobili e di contadini.

E i politici e i popoli vi furono trascinati anche da unaltro movente, da un altro bacillo epidemico. Ogni epo-ca, anzi, ogni frazione di epoca in Europa ha, chi ben vistudia, un dato andazzo politico. Nell’89 erano i dirittidell’uomo, nel ’95 la legittimità, nel ’59 la nazionalità, do-po l’80 circa, in tutta Europa, e per riflesso forse anchenell’America del Nord, prevale quell’andazzo del prote-zionismo e di un internazionalismo alla rovescia, per cuii vari popoli cercano di escludersi l’un l’altro, di chiuder-si dentro i propri confini, cercando la fortuna nel dannodegli altri, non pensando punto, tanto è miope lo sguar-

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do degli uomini di Stato, che ciò si risolve nel danno ditutti, e quindi nel proprio. Da ciò le barriere dogana-li rialzate da tutte le parti, ecc., da ciò gli di rinnovatidei Francesi contro gli Italiani, dei Russi contro i Tede-schi, dell’America contro tutti, contro il chinese e l’ita-liano, ora, in ispecie. Perfino l’Australiano, il frutto del-la massima modernità, comincia a organizzare e medita-re decreti contro l’odiato straniero, di cui pur tanto abbi-sogna per estendere la sua cultura. Tutti, insomma, tor-nano all’antico hostis-hostis (straniero-nemico). Quindiè naturale che le differenze di razza tra l’Ebreo e le altrenazioni dessero un appiglio contro lui nel senso, o me-glio nel pretesto patrio, nazionale, come lo destano i Te-deschi in Russia, gl’Inglesi nelle colonie portoghesi e vi-ceversa.

Vi contribuì infine da una parte il sentimento religio-so, dall’altra il movimento socialistico, un po’ per secon-dare (ad imitazione di governi) gli istinti popolari, e unpo’ per un odio alla ricchezza maggiore di cui quelle clas-si difettano.

Vediamo che ci risponda la scienza moderna per boc-ca degli scienziati viventi fra i popoli più infetti d’antise-mitismo, i Russi e i Tedeschi.

La tesi più prevalente fra questi è che l’Ebreo essendosemita inquina la purezza delle nostre razze, e ne inceppail progresso.

«Il semita, scrive Picard, non è civilizzatore, è impro-prio al progresso. Se egli sa arricchirsi non sa andare in-nanzi. Quando si agita, la sua agitazione è sterile. L’A-rabia è stata pura da ogni contatto straniero; che cosane è sortito da questa purezza? L’immobilità. E così ilMarocco, e certamente la Spagna è restata indietro nel-la civiltà perché non ha cacciati abbastanza Ebrei e Mo-ri e perché ne porta troppe traccie di sangue. E do-ve in Europa abbonda il sangue semita ivi è ignoranza,corruzione»148.

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Ora, quest’accusa messa in campo, parmi piuttostoper giustificare l’antipatia ereditaria, di cui ci vergognia-mo non poter addurre sufficienti giustificazioni, non re-siste ad un serio esame scientifico, perché gli ebrei nonsono punto semiti puri, e perché, come già accennai, inEuropa non c’è razza superiore che non sia molto mista,riescendo la mistione uno dei fattori maggiori del pro-gresso (Vedi mio Delitto politico, parte I). Più puri Ariidegli Indou, eterni schiavi di tutti, dove si possono tro-vare? E gli zingari non sono forse ultra Arii, eppure in-feriori anche agli Arabi? E la Sicilia e Calabria non vanricche di sangue semita senza danno?

Ma lo strano è che ogni fondamento scientifico all’ac-cusa che si fa agli Ebrei di guastar le razze Arie mancaanche perché ei sono già un popolo molto più ario chesemita. Ciò ben risulta dalle belle ricerche comunicate direcente da Luschan alla 23ª riunione della Società antro-pologica tedesca149.

Egli dimostrò come popoli che si dicono semiti sia-no tutt’altro che una razza immune da mistura Aria, en-trandovi i Fenici, i Babilonesi, tanto quanto gli Assiri, gliAbissini, gli Aramei. Ora, di questi popoli, solo i Bedui-ni o Arabi del Sud sono una razza pura semitica, che haconservato degli antichi semiti il linguaggio, la forma delcranio allungata, la tinta scura, il naso corto, piccolo (ilnaso adunque opposto dell’Ebreo).

Condizioni totalmente diverse trovò egli negli Ebrei,fra cui raccolse 60 000 dati e misure.

Egli constatò che essi dànno il 50% di brachicefalispiccati; 11% di biondi, una forte proporzione di nasischiettamente ebraici; poi la massima varietà di tipi misticosì per la misura della testa, come pel colore degli occhie dei capelli; da ultimo circa un 5% di veri dolicocefali.Si vede quindi che havvi solo una piccola frazione di verisemiti negli Ebrei, mentre la gran massa appartiene arazze straniere.

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Da 120000 osservazioni fatte in Inghilterra da Jacobsrisulta che gli Ebrei dànno il 21 % di occhi azzurri, il29% di capelli biondi. Il numero dei capelli rossi visupera del triplo quello dei Russi e degli Austriaci e deldoppio quello dei Tedeschi (op. cit.).

Altrettanto trovai io dallo studio di alcune centinaia diEbrei Veneti e Piemontesi (Vedi Appendice I).

Ma donde vengono – chiede Luschan – le teste brachi-cefale dei Siri e degli Ebrei, donde i nasi arcuati, donde inumerosi biondi?

Per cominciare dai numerosi biondi, si potrebbe peiSiri pensare ai crociati, e per gli Ebrei biondi d’Europa,all’infiltrazione di elementi arii merce il passaggio conti-nuato di uomini biondi al giudaismo; ma se è vero che leconversioni da Cristiani ad Ebrei, ripetutamente proibi-te nel medio evo, non debbono essere state tanto rare, èvero però che non sono sufficienti a spiegare il 50% dibrachicefali od il 29 di biondi negli Ebrei.

Ma vi è un’altra spiegazione più sicura; nella Siriae nella Palestina stessa vediamo un certo numero dibiondi: nella proporzione stessa, dell’11% dunque deinostri Ebrei; allora bisogna pensare agli Amoriti, di cuisi parla così spesso nella Bibbia, agii alti figli di Enok cheerano per l’appunto un popolo biondo, come si rilevaindiscutibilmente dai ritratti che ce ne hanno lasciato gliantichi Egiziani.

È del pari fuor dubbio che gli antichi Amoriti eranoun ramo di quei popoli biondi i cui monumenti megaliti-ci si possono rintracciare anche nella costa settentrionaledell’Africa; certo erano Europei che tratti dalla vaghez-za del caldo, si spinsero pel mare sino in Africa – a quelmodo che più tardi tante invasioni germaniche inonda-rono l’Italia. Questi popoli biondi mediterranei, (in cuiBrush ha identificato i Giapeti della Bibbia coi Tamehudelle iscrizioni e dei monumenti egiziani), nella metà delsecondo millennio avanti Cristo, tempo nel quale impa-

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riamo a conoscerli un poco, non erano per certo ancoraquei pionieri della civiltà, di cui fecero sbocciare più tar-di i germi sotto il sole della Grecia. Essi ci sono dipintidagli Egiziani come bianchi, sì, ma selvaggi vestiti di pel-le, ornati di penne, ed erano riguardati con quel disprez-zo con cui noi più tardi i selvaggi negri. Ma questi Ta-mehu erano sangue del nostro sangue e carne della no-stra carne; agli stessi Egiziani doveva non essere ignota laloro origine, giacche il nome Tamehu li indicava come ilpopolo dei paesi del Nord. Ciò ci spiega completamentealmeno gli Ebrei biondi.

Ma come si spiega la frequente e qualche volta estremabrachicefalia degli Ebrei anche fra noi in cui vi sonodegli indici cefalici di 88 (Appendice I)? Col richiamarei risultati delle ricerche eseguite da Luschan nell’AsiaMinore; qui insieme ai Greci e Turchi predominano gliArmeni.

Ora, gli Armeni offrono: una straordinaria brachice-falia (sono il popolo più brachicefalo della terra): occhineri quasi senza eccezione, capelli lisci e neri, e proprioquel naso grosso ed arcuato che da noi si suol designarecome ebraico e pel quale in avvenire faremmo meglio diadottare la qualifica di armeno.

Questi caratteri si trovano anche nei Greci e Turchidell’Asia Minore, differenti di lingua e di religione; il chemostra che sono un avanzo d’una popolazione omoge-nea primitiva, anteriore, una popolazione armenoide checorrisponde a quella popolazione Anariana, Praegreca,che dallo studio di quei dialetti vennero a supporre, omeglio, a creare Hommel e Paoli.

Quanto alla Siria, le ricerche e misure fatte ci dimo-strano come, anche là, accanto ai biondi ed accanto anumerosi tipi indubbiamente semitici, esiste una enormemaggioranza di uomini bruni, dalla testa ultra brachice-fala ed alta, quasi uniformemente distribuiti nella popo-lazione delle città e delle campagne, in montagna e in pia-

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nura, fra i Orusi ed i Maroniti, fra i Maomettani ed i Si-ri ortodossi; essi senza dubbio si devono identificare coipiccoli brachicefali dell’Asia Minore, quindi cogli Alaru-di di Hommel: storicamente poi sono collegati al grandepopolo civile degli Ittiti.

Questo popolo (dico degli Ittiti) fioriva nella Siria enell’Asia Minore nel secondo millennio avanti Cristo, egià da lunga pezza ce lo hanno fatto conoscere le fontiegiziane e gli annali assiri, del pari che la Bibbia.

Ad esso si attribuisce una grande serie di sculturepeculiari, rinvenute fra Smirne e l’Eufrate superiore, nelTauro e nel gruppo dell’Amanus; finché negli ultimi anniha cominciato ad essere messo nella sua piena luce cogliscavi che furono intrapresi presso Sendscorli.

Ora in queste sculture si vedono uomini con tutti icaratteri delle razze armenoidi, sicché paiono essi esserei prodotti delle razze presemitiche.

Ciò conferma l’idea che i brachicefali ebrei derivinodagli Ittiti, i quali essendo di vera razza aria avevan civil-tà avanzatissima già in tempi antichi; avevano i loro can-ti epici molto tempo prima di Omero, possedevano uncompleto sistema di scrittura cuneiforme, ed erigevanograndiosi palazzi con sculture artistiche oggi ancora am-mirate, in un tempo nel quale gli Italioti abitavano caver-ne e sotterranei ed avevano appena imparato a foggiareordigni colla pietra focaia.

La prevalenza Aria è dunque certa negli Ebrei antichi;e ciò senza parlare delle numerose mistioni avvenute poinelle epoche più moderne.

Tutto l’antagonismo etnico se ne sfuma dunque allume della craniologia, essendo l’Ebreo più Ario cheSemita.

Questa larga base Aria, fecondata dalla mescolanza et-nica, che noi vedremo così vantaggiosa all’umanità e col-l’innesto climatico, ancora più utile, ci spiega come, mal-grado tante cause di inferiorità (compresa quella della

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ricchezza di sangue semita, che almeno nel 5% è sicu-ra), date speciali circostanze, gli Ebrei siansi così prestoadattati agli usi arii, si siano così assimilati l’intelligenzaaria, e l’abbiano in qualche caso perfino superata, e co-me pur conservando un aspetto peculiare che non pote-va non sorgere dai matrimoni fra congeneri e dalla vitachiusa e omologa, essi si assomiglino così completamen-te alle popolazioni arie fra cui vivono.

Bisogna considerare, infine, che essi già dai tempi deiFenici e dei Cartaginesi, erano un popolo industriale eletterato, che l’Ebreo illetterato, analfabeta era rarissimo;l’istruzione è sempre stata obbligatoria fra gli Ebrei; némai come i laici cristiani del Medio Evo abbandonaronocompletamente la scienza ai chierici.

Divenuti per la forza delle circostanze quello cui giàistintivamente inclinavano, un popolo di soli commer-cianti, bisogna paragonarli non più al totale della popola-zione, ma alla popolazione cittadina, industriale, a quel-la parte, cioè, che dà il massimo delle ribellioni, delle ri-voluzioni e della genialità150.

Ed in questo senso va interpretata, anche, la grandetendenza degli Ebrei alla nevrosi, la quale, come hodimostrato nell’ Uomo di Genio, più spesseggia in quelliche lavorano colla mente, ed è effetto e causa a sua voltadella genialità.

È una osservazione da me fatta da molto tempo, e ornon è molto tempo rinnovata dal Charcot: nelle nazio-ni dove l’Ebreo ha una grande sproporzione di genii, dàuna cifra enorme di alienati. Così in Germania si calcola-no 8 pazzi ogni 10000 Cristiani, e 16 ogni 10000 Ebrei; ein Italia 1 pazzo su 384 Ebrei e 1 pazzo su 1725 Cristiani.Altrettanto notò Jacobs in Inghilterra. (V. sopra).

Sono proporzioni o meglio sproporzioni singolari inuna popolazione, in cui, se più abbondano i vecchi, chedànno un maggior numero di demenze senili, scarseg-giano di molto gli alcoolisti; ora a spiegarle giova il con-

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fronto non colla popolazione cattolica in genere, ma col-la industriale che offre di alienati un contingente maggio-re della media; però, anche fatta questa comparazione lasproporzione resta ancora troppo grande né può spie-garsi che col maggiore abuso del lavoro e coll’eco dellepatite persecuzioni.

Dopo tali precedenti io ben capisco come essi, costret-ti, poi, a non far altro che il commercio, diventassero permolti secoli i più abili e anche, pur troppo, i più eso-si commercianti del mondo: e come un tempo, quan-do mancavano quei terribili strumenti di usura e di fro-de che si chiamano le Banche, fossero i principali usurai,portando nei commerci quello spirito insaziato di avidi-tà e anche d’inganno che in loro certo s’ingigantì collapratica continuata.

Questo era un necessario effetto del forzatamente con-tinuato mestiere.

Come ogni professione manuale a lungo andare indu-ce una speciale deformazione e provoca, fra molti beni,molti mali, così questa dell’industria e dell’oro, insiemeai grandi vantaggi che trasformarono l’epoca feudale oteocratica nell’epoca borghese o mercantile, portò moltidanni.

Ma qui più che l’ebreo devono incriminarsene l’artesua o meglio i suoi frutti, il capitalismo che, dopo avertrasformata e beneficata la società barbara, a sua volta,degenerando esso pure, tende, ora, a rovinarla.

Se gli Ebrei in molte parti d’Europa (non certo inAmerica né in Australia), entrano per una certa quotanel predominio troppo brutale del capitale, il giornoin cui gli oppressi del quarto stato soppianteranno laborghesia, certo ei cadranno con essa. Ma qui nonè più la questione semitica, qui è in gioco la grandequestione sociale che comprende classi, ceti e non razze,ed interessa più l’epoca futura che la presente.

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Deve infine considerarsi che essi, in grazia a quegliistinti ereditati probabilmente dai Fenici, all’assenza diogni idealità futura e di ogni gusto per le arti plastiche, esopratutto alle necessità storiche, imposte dalle persecu-zioni, antecedettero forse di molti secoli la fase moder-na e formarono essi le basi del terzo stato, che è un granpasso in confronto alla teocrazia e allo stato militare pro-prio come spesso i licheni e le muffe più umili formanoun humus da cui sorgono le piante superiori.

Anche ora in paesi come la Russia, dove prevalgonoquasi esclusivamente gli impiegati, i nobili e i contadini,essi formano la base della borghesia commerciale; e di-struggendoli, colle persecuzioni non solo non si fa (comepretendono quei barbari uomini di governo) un vantag-gio alla popolazione, ma vi si uccidono i germi del com-mercio, i germi dell’industria: e ben ce lo attesta un rus-so geniale, ch’io chiamo il Machiavelli dei nostri tempi,il Nowikow ( La lutte des races).

Si noti infine che dove manca ogni loro persecuzio-ne, come in Italia, Olanda, Inghilterra, dove l’Ebreo puòesplicare tutte le sue forze in tutte le direzioni, esso sivede, con quello slancio che si dà alla cosa già proibita,gettarsi immediatamente nella politica, nell’insegnamen-to, nella milizia; e mentre vi dà degli uomini che certonon furono dannosi al paese, abbandona in gran parte ilcommercio, specie l’usurario, il commercio dell’oro, chelo rese così odioso, e diventa, cosa importante, anche piùpovero.

Il vero Shylock, perciò il vero antico Ebreo, deplora isuoi vecchi ghetti in cui accumulava immense ricchezzee deplora che ora i figli di Israello vadano dietro al fumoe non all’arrosto.

Per cui se l’antisemitismo vincesse, raggiungerebbe unfine perfettamente opposto a quello cui mira, a menoche, cosa impossibile nei nostri tempi in Europa, non di-co in Russia, non distruggesse completamente gli Ebrei.

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Ma il perseguitarli, il toglier loro ogni altra via, certo liraffina in quella commerciale, e li spinge sempre più al-l’osservanza di quei riti ridicoli da cui secolarizzandosi apoco a poco si separerebbero.

La soluzione più completa si avrebbe se gli ebrei e icristiani elevatisi contemporaneamente dai comuni pre-giudizi, convergessero in una religione nuova, che nonfosse ne la vaticana, ne l’antica giudaica, che rispettas-se le scoperte nuove scientifiche, e prendesse anzi perbandiera le nuove idee sociali, che già Cristo aveva pal-leggiate; se si formasse, insomma, un neo-cristianesimo-socialistico in cui si potessero riunire senza vergogna esenza coercizione gli ebrei spogliatisi dai riti vecchi e ri-dicoli, come i cristiani scevri dagli odi e dalle superstizio-ni antiscientifiche.

E vero che l’emozione essendo la base delle religioni,la nostra poca emotività impedisce il nascerne delle nuo-ve, e l’attecchimento, anzi, delle vecchie. Ma nelle razzenordiche, almeno, certo nell’Anglosassone, l’emotività, equindi la fecondità religiosa non è spenta. Ivi da tutti sidà importanza grande alla religione.

Quanto alle nostre razze la nuova dottrina socialisticain istato nascente mentre ha scemato di un tratto in alcu-ne regioni, appunto come le nuove religioni, i delitti e haprodotto negli adepti una nuova specie di legame che liravvicina, vi ha suscitato nuovi ideali, nuove fonti emo-tive, che unite alle speranze interessate delle plebi dere-litte vi dovrebbero favorire la formazione d’una religio-ne d’amore atta a dissipare i sanguigni vapori antisemiti-ci. S’aggiunga che i fenomeni dell’ipnotismo che vannoman mano ora moltiplicandosi sotto i nostri occhi, sem-brano creati apposta per preparare quell’insieme di fattimeravigliosi, e poco comprensibili, che occorrono a unanuova religione per farsi strada e per diffondersi. E sa-rebbe la prima volta che gli scienziati potrebbero in que-sto far causa comune colle plebi.

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5

Tipi e modelli

1

L’anello di passaggio: mattoidi letterari, politici,religiosi

Una varietà psichiatrica che forma l’anello di passaggiotra i pazzi di genio, i sani ed i pazzi propriamente detti, èquella che io vorrei chiamare dei mattoidi, e che un nuo-vo studio in questi ultimi tempi m’ha mostrato assumereun’importanza non solo clinica e letteraria, ma ben an-che sociale e politica, e tanto più, quanto in sulle primela loro spesso funesta attività è mascherata da semplicitendenze pseudo-letterarie.

Il mattoide grafomane è in fondo la specie predomi-nante, anzi direi il genere della specie, ed ha per caratte-ri la convinzione esagerata dei proprii meriti, che ha ciòdi speciale: del manifestarsi più negli scritti, che negli at-ti della vita e nella parola, sì che non mostra irritarsi cosìcome succede nei pazzi e anche nei genii della contrad-dizione e delle tristizie della vita pratica.

Il Cianchettini si paragona a Galileo e a Gesù Cristo,ma scopa la scala della caserma. Passanante si nominaPresidente della Società politica, e fa il cuoco. Mangionesi classifica martire dell’Italia e del proprio genio, eppuresi adatta a far da sensale. Il pastore Bluet si credevaapostolo e conte di Permission, e come l’autore delloScottatinge, non degnava rivolgersi che a re e regnanti,e non rifiutava di far lo scozzone.

E non sarebbero mattoidi, se insieme alla apparenzadella serietà e alla tenacia costante in una data idea che lifa simili al monomaniaco ed all’uomo di genio, non s’ac-compagnasse spesso negli. scritti la ricerca dell’assurdo e

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la continua contraddizione e la prolissità e futilità pazzaed una tendenza che supera tutte le altre, la vanità per-sonale.

Ma ancora il carattere più prevalente sta nella singo-lare abbondanza dei 1882 loro scritti. Il pastore Bluetha lasciato nientemeno che 180 libri l’uno più insulsodell’altro. Vedremo come Mangione, che per giunta erastorpiato nella mano e non poteva scrivere, si privava delcibo per poter stampare, e parecchie volte spese più di100 scudi al mese onde poter scrivere. – Di Passanantesappiamo quante risme di carta vergasse e come egli des-se più importanza alla pubblicazione di una sua insulsis-sima lettera, che alla propria vita. Guitteau (v. s.) ver-ga risme di carta, sicché questa ammonta ad un debitogrosso che egli non poté pagare. La lista dell’opere diFox (l’illuminato) è così grossa che il bibliografo Lowu-des non osò darla. Il saggio su Tournay di Howerlandtconsta di 117 volumi.

Qualche volta le loro stramberie e’ si accontentanodi scriverle e stamparle, senza diffonderle al pubblico;eppure credono che esso le debba conoscere.

In questi scritti, oltre l’abbondanza morbosa, si notache lo scopo è futile, o assurdo, o in perfetta opposizio-ne col loro grado sociale e l’antecedente coltura; così unprete deputato tira giù ricette pel tifo; due medici fannodella geometria ipotetica e dell’astronomia; un chirurgo,un veterinario ed un ostetrico dell’areonautica; un capi-tano dell’agronomia; un sergente della terapeutica; uncuoco fa dell’alta politica; un teologo tratta dei menstrui;un carrettiere della teologia; due portinai delle tragedie;una guardia di finanza della sociologia.

Sul proposito dei temi prescelti uno studio fatto nelmio laboratorio sulla raccolta di 179 libri matteschi miha dato i seguenti risultati:

51 s’alludono a personalità

36 sono opere di medicina

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27 » di filosofia

25 » di lamentazioni

7 » di drammatica

7 » di religione

6 » di poesia

4 » di astronomia

4 » di fisica

4 » di politica

4 » di economia politica

3 » di agronomia

2 » di veterinaria

2 » di letteratura

2 » di matematica

1 » di grammatica

1 » di dizionario

Non conto i varii, che sono polemiche, cenni di mec-canica, studi di magnetismo, orazioni funebri, teologiastramba, cenni di storia della letteratura, proclami, ricer-che di moglie.

Un recente libro procuratomi dall’amico Dossi ( Lesfous littéraires di Philomneste, Brusselle, 1880) ne nove-rerebbe in Europa 215, divisi in:

Teologia 82

Profezie (illuminati) 44

Filosofia 36

Politica 28

Poesia (drammi e commedie 9) 17

Lingue, grammatiche 8

Erotica 5

Geroglifici 3

Astronomia 2

Acrostici 2

Chimica 1

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Fisica 1

Zoologia 1

Strategia 1

Cronologia 1

Igiene 1

Pedagogia 1

Archeologia 1

Mentre la poesia prevale nei pazzi (v. s.), la teologia, laprofezia predominano nei mattoidi, e giù giù man manole scienze quanto più astratte, incerte, incomplete, comeci mostra la scarsezza dei naturalisti, dei matematici; egiova, a loro onore, notare la scarsezza degli atei, 3 soliin mezzo a tanto brulichio di teologanti e filosofi (162!);eppure se l’ateismo basasse sull’assurdo e non avrebberoscarseggiato di tanto! Viceversa lo spiritismo vi è tantoin onore che Philomneste rinuncia a catalogarne i tropponumerosi trattati.

Tutti i temi sono buoni per loro, anche i più alieni dal-la loro professione e dalla loro occupazione, ma però sivedono preferire i più bizzarri, incerti od insolubili, qua-dratura del cerchio, geroglifici, spiegazione dell’Apoca-lisse, palloni volanti, spiritismo, oppure quelli che sonopiù in voga, quelli che soglionsi dire la quistione alla mo-da.

Insomma costoro, pazzi certamente nei loro scritti e,molte volte quanto quelli dei manicomii, lo sono poconegli atti della vita, dove mostransi pieni di buon senso,di furberia ed anche di ordine, per cui accade loro il ro-vescio che ai veri genii e in ispecie a quelli ispirati dal-la pazzia, quasi tutti, di tanto più abili nelle lettere quan-to meno lo sono nella vita pratica. Quindi si spiega co-me molti di questi autori di bizzarrie mediche sieno re-putatissimi pracici. Tre sono direttori di ospedali. L’au-tore dello Scottatinge, capitano e commissario di guer-ra. Un altro, inventore di macchine quasi preistoriche e

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di scritti più che umoristici, è in un ufficio che l’esponea continui contatti con uomini colti, che non l’hanno so-spettato mai di follia. Cinque sono professori, due an-zi d’Università, tre Deputati, due Senatori, né è il menostrampalato; uno è Consigliere di Stato, uno di Prefet-tura, uno della Corte di Cassazione, tre Consiglieri pro-vinciali, cinque preti, e quasi tutti vecchi e rispettati nel-la loro carriera. Frecot, era sindaco di Hesloup; Leroux,Asgill furono chiamati al Parlamento.

I mattoidi teologi, Morin, Lebraton, Jorris, Vallé (a18 a.), Vanini, furono presi tanto sul serio che... ahi! nefuron bruciati vivi, e perfin decapitato fu Kehler per aversolo corretto le bozze di Jorris.

Mattoidi di genio Ma non solo vi è una gradazione,un passaggio insensibile fra i pazzi ed i sani, fra mattie mattoidi, ma ve ne è anche fra questi ultimi, che pursono la negazione del genio, e gli uomini di vero genio,tanto che alcuni della mia raccolta io non sono riescito atrovare bene a quale delle due classi, proprio, dovesseroappartenere. Tale è per esempio il Bosisio di Lodi.

L. Bosisio di Lodi, d’anni 53, ha un cugino cretino,una madre sana ed intelligente, un padre intelligente mabevitore; due fratelli che morirongli di meningite. Guar-dia di finanza da giovane, emigrò nel 48; moribondo difame a Torino, si gittò da un balcone e si fratturò le gam-be. Nel 59, nominato commissario di finanza, adempiebene il suo impiego, sino al 66, in cui pur mostrandointelligenza e compostezza nella bisogna del suo ufficio,commette delle azioni bizzarre e sopratutto inesplicabi-li per un membro del quieto mondo burocratico; com-pera, per esempio, un giorno tutti gli uccelli che sono invendita nel paese di Bussolengo, e poi ne apre le gabbieper lasciarli in libertà; si mette a leggere tutto il giornogiornali ed a spedire al governo avvisi piuttosto energici,perché impedisca il diboscamento, la strage degli uccelliecc. Dimesso dall’ufficio, con una scarsa pensione, tutto

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ad un tratto abbandona il lauto vitto e si limita a sola po-lenta non salata, e lascia un poco alla volta tutti gl’indu-menti, tranne i calzoncini e la camicia; consuma tutto ilsuo scarso peculio in comperare giornali e libricciattoli enella stampa di opuscoli a favore della rigenerazione del-la posterità, che egli dirama dappertutto gratuitamente (La critica dei miei tempi. – Il grido della natura. Il § 113del grido della natura).

Studiando questi, e sopratutto sentendolo discorrere,si comprende che egli nella sua testa si è creato un siste-ma non privo di logica. Noi soffriamo, egli dice, la ma-lattia delle uve, dei bachi, dei gamberi; le inondazioni:tuttociò deve derivare da guasti portati al globo dal di-boscamento e dall’uccisione degli uccelli, e (qui comin-cia la follia) dal tormento che gli diamo col fargli pas-sar sopra la ferrovia. Altrettanto male va la bisogna ineconomia: incontrando prestiti rovinosi noi compromet-tiamo l’avvenire della posterità, di cui egli si costituiscecampione.

«Si aggiunga, egli continua, che i Romani antichi face-vano lunghi esercizii, non avevano il lusso che abbiamonoi, non prendevano il caffè; tutte queste cose compro-mettono la posterità, perché guastano i germi dell’uma-nità! e li guastano pure gli abusi delle donne, i matrimo-nii contratti per danaro, e certa carità assai male intesa.Si mantengono in vita degli infelici bimbi, storpi, cachet-tici, che, se invece si uccidessero a tempo, non si ripro-durrebbero; così pure, se invece di mantenere nell’ospe-dale degli individui malaticci con grande spesa e fatica,si aiutassero i più robusti e forti quando cadono infermi,la razza migliorerebbe. Ed i ladri e gli assassini non so-no anch’essi malati, che dovrebbero essere estirpati dalmondo per non guastarne la razza? – Quanto funesta ebestiale non è mai l’ingordigia umana! Tutto tutto vienposto in non cale, per soddisfare all’appetito, istintivovorace ed insaziabile, senza pensare alla sorte delle gene-

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razioni che debbono succederci; senza pensare che que-sta distruzione, che questa dissipazione delle bellezze edelle ricchezze della natura, è delitto, terribile delitto diusurpazione ai più sacrosanti diritti della posterità!

Credesi forse di poter compensare l’orrenda strage(degli uccelli, pesci ecc.), la desolante rovina, procreandoun nugolo immenso di ragazzi, che per esaltarne il lorospirito, magnificarne la loro bontà, vagheggiarne la lorobellezza, non vuolsi meno di tutta la tenerezza dell’amorematerno, di tutta la depravazione di uno stemperatocortigiano, o, finalmente, di tutta l’imbecillità del cosìdetto buon senso popolare?

Cotesta malaugurata smania della procreazione, chespinge inesorabilmente tutti i popoli in un abisso delquale non vedesi l’uscita, e che fermò l’attenzione di Mal-thus, mi fa risovvenire di quel re Mida, che perdutamen-te invaghito dell’oro, invocò dal Nume che tutto ciò ch’eitoccasse, in oro si convertisse. Il Nume vi acconsentì; mai primi trasporti di gioia nel veder compiersi sotto agli oc-chi suoi la meravigliosa trasmutazione, furono bentostosusseguiti dallo sbigottimento, dalla tristezza e dalla di-sperazione; i suoi alimenti stessi cangiandosi pure in oro,videsi da se medesimo condannato a morir di fame».

Non credo vi sia esempio che in miglior modo di que-sto provi l’esistenza di una psiche attivissima, potente, enello stesso tempo in un dato e solo punto malata. – Chiconosce gli scritti della Royer e di Comte, non troverà,infatti, di veramente pazza in queste sue idee, che quelladi non mangiare il sale, che egli mal giustifica colla osser-vazione di selvaggi sani e robusti, malgrado non ne fac-ciano uso, e quella delle ferrovie che guastano il globo, equella di andar vestito così alla leggera. Anzi, questi ul-timi ticchi egli li giustifica assai bene colla semplicità ro-mana e coll’asserzione non affatto erronea che giovanoa conservargli meglio i capelli, e coll’osservare, giusta-mente, che se non adottasse quello strano costume, egli

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non potrebbe richiamare l’attenzione pubblica sopra sestesso e quindi sull’idea che gli preme diffondere. «Miavrebbe ella fermato (mi disse un giorno questo nuovoAlcibiade) in mezzo della strada ed interrogato sulla miadottrina, se io non vestissi a questo modo? Gli è una ré-clame che io faccio al mio apostolato, a mie spese».

Un vero indizio morboso è però quello di fondaretutte le sue conclusioni sui giornali politici, così magramateria per gli studii, ma egli ne lo giustificava così:«Che vuole? sono studii moderni ed io non posso farneameno malgrado che mi ripugni, non essendovi altromezzo che mi illumini sull’umanità». Ma dove poi risultaben chiara la sua pazzia è nella importanza che egliattribuisce al menomo fatto raccolto in quei mondezzaidella politica: Se un fanciullo cade nell’acqua a Lisbona,od una signora vi si brucia le gonne, egli subito ne traeprova della degenerazione della razza. – L’igienista,anche qui, dovrà stupire di veder un uomo sopravvivererobusto, e il Bosisio è fortissimo e fa venti miglia algiorno, mangiando solo polenta senza sale. – Il psicologonon può a meno di riconoscere in questo caso comela pazzia faccia da lievito alle forze intellettuali, eccitile funzioni psichiche quasi al livello del genio, tuttochévi lasci la triste vernice del morbo. È certo che se ilnostro Bosisio, invece di un povero guardiano di finanza,fosse stato uno studente di legge o di medicina, se avesseattinto agli elementi, della coltura, che egli non fruìse non a casaccio, e sotto l’influsso maniaco, sarebberiuscito una Clementina Royer, un Comte, o per lo menoun Fourier; che il suo sistema filosofico in fondo è dimolto simile alloro, salvo quel che vi aggiunge di proprio,anzi di improprio, l’alienazione.

Ed è bello osservare in questo caso come la pazziaprenda vario colorito secondo i tempi. Mettiamo il Bo-sisio nel pieno Medio Evo e nella Spagna o nel Messico,e il buon liberatore di uccelli e il martire della posteri-

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tà si sarebbe tramutato in Sant’Ignazio od in un Torque-mada, e l’ateo positivista in un ultra cattolico cui un Diocrudele avrebbe ordinato di sgozzare vittime umane; manoi siamo in Italia, e nel 1870.

Questo caso ci mette assai bene sott’occhio in qualmodo, nei tempi addietro e ne’ popoli selvaggi, o pococolti, succedessero tanti casi di follia epidemica, e tantiavvenimenti storici potessero essere provocati dal deliriodi un solo o di pochi, sieno di esempio, gli anabattisti, iflagellanti, le streghe, le rivoluzioni dei Taiping. La alie-nazione suscita in alcuni delle idee bizzarre, ma alle vol-te gigantesche, e rese più efficaci da una singolare con-vinzione, cosicché riesce a trascinare dietro di sé le de-boli masse; ed esse sonvi tanto più attratte dalla singola-rità del vestiario, delle pose, dell’astinenze, che può in-spirare e permettere solo una tale malattia, inquantochéla barbarie rende loro più inesplicabili e quindi più de-gni di venerazione questi fenomeni; comeché l’ignoranteadora sempre quanto non riesce a comprendere (V. Cap.x).

Nulla mancava infatti al nostro povero allucinato perrassodarlo in quella convinzione; non la robustezza di al-cuni concetti, non la forza muscolare, né le straordinarieprivazioni, ne il disinteresse, né la convinzione. Una solacosa gli venne meno, fortunatamente, il secolo propizio.

Del resto l’Italia avrebbe avuto nel Bosisio il suo Mao-metto.

Ma pensando all’integrità della vita, all’ordine chemette in tutte le sue cose, possiamo noi chiamare costuisolamente un alienato? E pensando alla novità relativadelle sue idee, possiamo noi confonderlo coi molti insulsimattoidi di sopra descritti? No certo.

Mettiamo che il Giuseppe Ferrari, invece di una col-tura superiore, avesse avuto l’educazione di Bosisio, noicerto avremo avuto invece d’un dotto, che il mondo co-pre di giusta ammirazione, qualche cosa di somigliante

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al Bosisio, che certo quei suoi sistemi sull’aritmetica sto-rica, coi re e le repubbliche che muoiono a giorno fis-so, a volontà dell’autore, non possono appartenere cheal mondo freniatrico.

E altrettanto dovrebbe dirsi di Michelet, se si pensi al-la sua Storia naturale di fantasia, alle sue oscenità accade-miche, alla sua incredibile vanagloria151, e a quegli ultimivolumi della sua Storia di Francia tramutati in un confu-so ginepraio d’aneddoti sudicii e di paradossi bizzarri152;–di Fourier e dei suoi seguaci, che predicano con esattez-za matematica che da qui ad 80000 anni l’uomo ne vivrà144, che allora avremo 37 milioni di poeti (misericordia!)e 37 pure di geometri della forza di Newton; – di Lemer-cier, che in mezzo a bellissimi drammi ne ha alcuni in cuidialogizzano le formiche, le foche ed il Mediterraneo.

Tutto ciò gioverà a farci comprendere perché sì spes-so i grandi progressi politici e religiosi delle nazioni sia-no attuati od almeno determinati da pazzi o semi-pazzi.– Gli è che in essi soltanto si può trovare accoppiata al-l’originalità, che è propria dei geni e dei pazzi, e più an-cora di quelli che sono l’uno e l’altro insieme, l’esaltazio-ne capace di generare una tal dose di altruismo che val-ga a sacrificare i propri interessi e la vita per far conosce-re e spesso accettare i nuovi veri al pubblico, a cui ogninovazione è sempre inaccetta, e che se ne vendica non diraro col sangue.

«Osserviamo (dice Maudsley) come costoro sono attia scoprire le vie recondite del pensiero state neglette daingegni più gagliardi e così proiettare sulle cose una lucenuova.

Si nota questa tendenza anche in molti di quelli chenon hanno genio, e neanche talento; essi battono vie in-tentate nell’esaminare le cose, e nell’operare si staccanodall’andazzo comune. È singolare l’indipendenza concui taluno d’essi discute, quasi fossero semplici proble-mi di meccanica, argomenti ed avvenimenti che il comu-

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ne pensiero copre di un ossequio convenzionale; quindinelle credenze sono in genere eretici, spessissimo inco-stanti, perché facili a sbalzare da un estremo all’altro, ov-vero, confortati da una fede profonda nell’opinione chehanno sposata, spiegano uno zelo ardente, incurante diogni ostacolo, [...]»

Ma l’esempio che ci riesce più curioso e sicuro peressersi svolto sotto gli occhi di tutti, riescendo un veroavvenimento storico, è quello di Davide Lazzaretti153.

Costui nacque in Arcidosso, nel 1834, da padre bar-rocciaio, a quanto pare bevitore, ma robustissimo; ebbecongiunti suicidi e pazzi, uno fra gli altri che morì mania-co religioso, e si credeva il Padre Eterno; i suoi 6 fratel-li erano tutti robusti, giganteschi, di statura 1,90 a 1,95,come del resto molti di quel paese, d’ingegno svegliatis-simo e memoria tenace; Pasquale, per es., non sa leggeree scrivere, ma tiene a mente 200 partite di crediti.

Il Davide eccelleva sopra gli altri per la statura aitante,per la regolarità, la gentilezza delle forme, per una intelli-genza superiore, pel capo doligocefalo, amplissimo; e perl’occhio che riesciva fascinante per alcuni, ma per molti(avv. Pugno) teneva dello spiritato e del pazzo; s’assicurache era ipospadico e forse fu impotente da giovane; ano-malie queste di non lieve importanza a chi ricordi comeMorel e più Legrand le Saulle ( Signes physiques des ma-nies raisonnantes, 1876) le abbiano rinvenute di spessonei mattoidi.

A poco a poco le sue fantasticherie presero un’altradirezione; nel 1867 (a 33 anni), fosse effetto dell’alcool odegli eccitamenti politici, ritornarono più vive che mai leallucinazioni religiose del 48. Un bel giorno scomparve:poiché, come allora, gli era apparsa la Madonna, che gliordinava di recarsi in Roma per ricordare al Papa (chedapprima nol volle ricevere e poi lo trattò cortesemente,ma non senza consigliargli, dicesi, una buona doccia),la sua divina missione, e poi nella Sabina, nell’eremo

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di Montorio Romano, abitato da un frate prussiano pernome Ignazio Micus. Questi lo tenne per tre mesi seco inuna grotta, detta del beato Amedeo, istradandolo neglistudi teologici; e, con gran probabilità, perché su ciòmancano i dati, lo aiutò a incidersi sul fronte il tatuaggio,che egli pretendeva avere ricevuto dalla mano di SanPietro, e che nascondeva sotto un ciuffo ai profani, emostrava ai veri fedeli.

Codesto tatuaggio, secondo la relazione dei medici,consisteva in un parallelogramma irregolare, il cui latosuperiore presentava 13 puntini disposti in modo bizzar-ro. A questo segno, ed agli altri due praticatisi poi al del-toide e alla pane interna della gamba, egli, con quella in-clinazione che è speciale agli alienaci, attribuiva sensi mi-steriosi e stranissimi, come suggelli di un patto specialecon Dio.

Da quel momento si notò in lui una completa trasfor-mazione, quale di solito si osserva nelle pazzie: da risso-so, bestemmiatore ed intemperante, divenne docile, aste-mio, fino al punto da dimorare nella Sabina a pane edacqua e vivere sul monte, nelle tempora, ad erbe condi-te con sale e aceto: negli altri tempi, a polenta, o mine-stra di magro, o pane con aglio o cipolle; anzi nell’isoladi Montecristo (1870) durò più di un mese con sei pani,accompagnati ceno da poche erbe (deposizione Vichi), enel convento di Francia con due patate al giorno per pa-recchi giorni; quello che ancor più doveva apparire stra-no e colpire le menci anche non volgari, lo scrittore cao-

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tico e burlesco diventa qualche volta elegante, sempre ef-ficace, pieno di immagini forti e robuste ed improntatead una pietà che solo può paragonarsi a quella dei primicristiani.

E così la pensò il clero del suo paese, che trovando inlui, come era infatti (v. s.), la ripetizione degli antichiprofeti, lo prese sul serio, tanto più che vi intravvide,come è suo costume, il modo di cavarne profitto ondericostrurre una chiesa.

Il popolo, che già preso era da giusta meraviglia pelsuo mutato metodo di vita e pel suo tatuaggio, pel parlareispirato, per la lunga incolta barba, pel grave incesso, –fanatizzato dal clero, correva in massa a sentirlo.

Nel gennaio 1870 egli impiantò la Società della SantaLega, che disse simbolo della carità ed era una Societàdi mutuo soccorso. Nel marzo 1870, accompagnato daRaffaello e Giuseppe Vichi, dopo radunaci i suoi ad unacena apostolica, partì il Lazzaretti alla volta dell’isola diMonte Cristo, ove si trattenne qualche mese, scrivendoepistole, profezie e sermoni; ritornò poi al Montelabro,dove scrisse le visioni od ispirazioni profetiche che viebbe; e dove fu incriminato per rivolta (27 aprile 1870),Prosciolto istituì una Società a cui diede il nome diFamiglie cristiane, nella quale, molto erroneamente, sivolle trovare la prova di frodi continuate e fu arrestato,e dove all’avv. Salvi l’assoluzione ancora dopo 7 mesi dicarcere.

Nel 1873 il Lazzaretti, per obbedire ad altri ordini di-vini, imprendeva un viaggio e percorreva Roma, Napo-li, Torino, dalla quale si recava alla Certosa di Grenoble,ove scrisse le regole e discipline dell’Ordine degli eremitipenitenti e inventò un cifrario con un alfabeto numerico,e dettò il Libro dei celesti fiori, ove è scritto che: L’uomogrande scenderà dai monti seguìto da un piccolo drappellodi borghesi montanari; vi s’aggiungono le visioni, i sogni,i comandi divini che in quel luogo credette ricevere.

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Al suo ritorno al Montelabro, trovò accampata sullavetta una immensa folla di devoti e curiosi; le tenne unapredica sul tema: «Iddio ci vede, ci giudica, ci condan-na». Per questa fu accusato all’autorità come tendente arovesciare il Governo e a promuovere la guerra civile.

Nella notte del 19 novembre 1874 fu perciò catturatouna quarta volta ed inviato dinanzi al Tribunale di Rie-ti; in quest’occasione l’autorità volle sentire il giudiziodi periti non specialisti, che con una strana insipienzagiudicarono154, sano di mente, anzi uno scaltro; sicché,malgrado le sue strane pubblicazioni e il suo strano ta-tuaggio, fu condannato per frodi e vagabondaggio a 15mesi di carcere e ad un anno di sorveglianza.

Ma la sentenza fu riparata dalla Corte d’Appello di Pe-rugia, talché il 2 agosto 1875 ritornò a Montelabro, overicostituì la Società, a capo della quale pose il sacerdo-te Imperiuzzi. Egli aveva patito nel carcere; e perciò, eforse per evitare nuovi arresti e godere del facile marti-rio presso i fanatici legittimisti di Francia, andò in otto-bre in Francia. Rapito misteriosamente da Dio, così siesprime, nei pressi di una città della Borgogna, dettò unlibro che egli chiama, ed a ragione, misterioso, intitola-to: La mia lotta con Dio, ossia Il libro dei sette sigilli, col-la descrizione e natura delle sette città eternali, che è unmisto di Genesi e di Apocalisse e di sentenze e discorsipazzeschi; scrisse del pari il programma diretto a tutti iprincipi della cristianità, ove egli si dice il gran Monar-ca, e invita tutti i principi a fare alleanza con lui, e chein epoca non aspettata si manifesterà alla nazione latinain un modo tutto contrario alla superbia umana, La fi-ne del mondo – ove si dichiara egli stesso duce, maestro,giudice e principe sopra tutti i potenti della terra – scrit-ti che il prete Imperiuzzi copiava, correggendo gli erro-ri più madornali. Di questi scritti molti ebbero non so-lo l’onore immeritato della stampa, ma anche della tra-duzione francese, in grazia delle sovvenzioni di M. Léon

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Du Vachat, dei reazionari italiani e stranieri, che avevanopreso sul serio il povero matto.

Se non che, lasciandosi trascinare dal delirio, poco do-po si diede ad inveire contro alla corruzione dei pre-ti, e la confessione auricolare, che voleva sostituire conuna pubblica: allora la Santa Sede dichiarava false le suedottrine, sovversivi i suoi scritti; ed egli, che prima ave-va scritto Lo Statuto civile del Regno Pontificio in Italia,in favore del Papa, scrisse e mandò nel 14 maggio 1878un’esortazione diretta ai confratelli eremiti contro l’ido-latria papale, contro questo mostro delle sette teste. Do-po tutto ciò, per le solite contraddizioni che sono pro-prie agli alienati, egli va a Roma a deporre il suo simbo-lico sigillo e la sua verga, si ritratta al S. Uffizio – ma poi,ritornato al Montelabro, continua a tener conferenze an-che contro la chiesa cattolica divenuta chiesa-bottega econtro i preti, veri atei-pratici che non credono e sfruttanola credenza altrui (Verga, op. cit.), e predicando la san-ta riforma, ed affermandosi l’uomo del mistero, il nuo-vo Cristo, duce e vindice, esortava i credenti a distac-carsi dal mondo, e per dargliene prova esigeva da es-si astinenze dal cibo, dal sacrificio a Venere, anche gliammogliati, i quali, alla peggio, prima dell’atto dove-vano orare nudi, fuori del letto, almeno due ore (ideapazzesco-Maltusiana), il rilascio di cambiali che vennerofirmate per somme considerevoli relativamente ai mezzidi cui potevano disporre, cioè per L. 104000; ma che pe-rò notisi non servivano a nulla, dovendo restare chiuse inun vaso; concetto questo affatto pazzesco.

Preconizzando un gran miracolo, con parte del denaroraccolto, fece preparare pegli affigliati bandiere ed abiti,dipinte con quelle bestie che gli eran apparse nelle sueallucinazioni, tutte di forma bizzarra, altra per sé piùricca, e per i semplici gregari una piastrella da tenersisul petto, in cui figurava una croce accostata dai due crovesciati, , il solito emblema dell’associazione.

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Nell’agosto 1878 adunò più che mai gente, ed ordina-te per tre giorni e tre notti preghiere e digiuni, tenne con-cioni pubbliche, altre private e riservate ai fedeli, classi-ficati in varii ordini colle denominazioni di eremiti sacer-doti, eremiti penitenzieri, eremiti penitenti e semplici as-sociati a’ fedeli della Santa Lega e Fratellanza cristiana;fece praticare la così detta confessione di ammenda neigiorni 14, 15 e 16 agosto: nel dì 17 fu innalzata sulla tor-re la grande bandiera con la leggenda: La Repubblica è ilregno di Dio. Poscia ai piedi d’una croce, appositamenteeretta, adunati tutti gli affigliati, il Profeta si fece presta-re solenne giuramento di fedeltà e di obbedienza. In talcircostanza uno dei fratelli di David cercò persuaderlo arinunziare alla pericolosa intrapresa. Ma invano, che, an-zi, a chi osservavagli la possibilità di un conflitto, rispose:«Avrebbe nel dì seguente fatto vedere loro un miracolo;esser egli inviato da Dio in figura di Cristo, duce e giu-dice, e quindi invulnerabile, ogni forza e potestà terrenadover cedere al suo volere; bastare un cenno del suo ba-stone del comando per annientare gli sforzi di chi avesseosato opporsi a lui». Ed all’osservazione fattagli da qual-che affigliato sulla opposizione governativa, soggiunge-va «che avrebbe con le mani riparate le palle e rese inof-fensive a sé ed ai suoi fedeli seguaci le armi che controdi loro fossero state rivolte, ed i RR. Carabinieri stessi gliavrebbero fatta la guardia d’onore». E, sempre più inne-briato nel suo delirio, al delegato di P. S., a cui già primaaveva mostrato i preparativi e a cui più tardi aveva fattauna mezza promessa di rimandare la processione, scrissecon tutta serietà: «Non poterlo più fare avendo ricevu-to ordini superiori, in senso contrario, da Dio». Ai mi-scredenti fece minaccia dei fulmini divini, se mancandodi fede, si fossero ribellati alla sua volontà.

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Con tali propositi la mattina del 18 agosto condusse laturba numerosa dal Montelabro, scendendo verso Arci-dosso. Era vestito con paludamento reale di porpora ri-camato da fregi dorati e coronato da una specie di tia-ra sormontata da cimiero adorno di penne, avea in ma-no il bastone detto del comando. Meno riccamente di luie con abiti a svariati colori e bizzarramente confezionatieran vestiti i suoi principali affigliati secondo il grado cheoccupavano nella santa Lega; i semplici associati incede-vano vestiti dei loro panni consueti, senz’altro distintivoche la placca emblematica superiormente descritta. Settefra i graduati della Fratellanza portavano altrettante ban-diere col motto: La Repubblica è il regno di Dio. Canta-vano l’inno Davidiano, le di cui strofe terminavano colritornello: Eterna la Repubblica, ecc.

Inutile il raccontare cosa accadde nelle ultime ore.Egli che poco prima si diceva re dei re e discendente

da sangue reale e di Davide, e che teneva tutti ire dellaterra sopra le spalle e si credeva invulnerabile, caddecolpito per ordine o forse per mano di un delegato chefu tante volte suo ospite; e pare che cadendo esclamasse,con un’ultima illusione: La vittoria è nostra.

Certo egli aveva preparata una processione non soloinerme, ma che pareva concepita apposta per riescireinnocua.

«Il giorno (disse assai bene Nocito, 1. c.) in cui il mar-tello del falegname schiodò la cassa che si credeva conte-nesse i corpi del reato ed uscì fuori la Madonna delle con-ferenze, con Davide dipinto da guerriero rapito in estasiche parla con lo Spirito Santo; il giorno in cui sbucaro-no fuori, come dall’arca di Noè, tutti quelli animali stra-nissimi, partoriti dalla fantasia di Davide per fregiarne lesue bandiere, aquile, serpenti, colombe, cavalli alati, to-ri, leoni, idre, stole da preti e manti reali, corone d’oli-vo e corone di spine; il giorno in cui tutti poterono ve-dere quelle strane foggie di vestiario, e dopo tante lun-

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ghe e pazienti ricerche nelle case dei Lazzarettisti e nel-le tasche dei loro pantaloni, non altra cosa la polizia potéraccogliere, che crocifissi e rosarii; il giorno in cui sopra-tutto si poterono ammirare quelle scarpe strane dei suoiseguaci, e gli zoccoli pontificali che calzava il Santo Da-vide, e che impedivano le mosse, quel giorno più nessu-no dubitò che il Governo avesse preso un monomaniacoper un ribelle».

Ma la prova più luminosa della sua pazzia costui l’of-ferse negli scritti: 1º perché in tutti traspaiono le allucina-zioni acustiche ed ottiche, alcune delle quali sono espo-ste con sì grande energia, cui non potrebbe riesci re lafantasia più robusta se non fosse scortata ed acuita daisensi malati.

Veggasi, per es., là dove scrive: «Sì dicendo, un colpocome di fulmine mi percosse la faccia e cieco rimasie caddi come corpo morto al suolo. Una moltitudinedi voci udii commiste a tanto fragore e tremore, chedicevano: imperi, imperi, imperi, e nulla di più compresi;nuovamente la tremenda voce di Dio ( Lotta con Dio,pagina 42) parlò, dicendomi: ecc.».

A pagina l, Prefazione dei Rescritti: «Per vent’anniho fatto silenzio..., ma, maturato il tempo, ho dovutoparlare per nuovo e prodigioso ordine. Mi si dice cheio parli coi popoli, ed ho parlato e parlerò in avanti. Sepoi i popoli non credono, io non ho che ridire. Se mivogliono falso, io non credo che falsa sia la mia parola; semi credono ipocrita, esaminino la mia condotta». (Parolesimigliantissime a quelle di Savonarola).

Più oltre:

O voi d’Europa Imperatori e Regi,Verrà quel dì che sopra il vostro capoCadrà di Dio la vindice manoE abbasserà le vostre ergenti comaFino alla polve delle strade...

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E: «Odo la tonante tremenda voce di Dio, che ilrumore fremente dalle rocche dei monti sulle valli eratale che l’un coll’altro pareva a me che si percuotesseroinsieme».

Poco dopo esce in una tirata contro i materialisti, cheprobabilmente molti teologi gli invidieranno.

«Gli empi, abusando della mia clemenza, vanno di-cendo che la loro natura non ha colpa del male, poichél’avversione al bene è un ente di per se stesso in natura;tanto oltre si è estesa la loro empietà che per scolpare lareità di se stessi nelle loro disordinate passioni, accusa-no rea di loro delitti la stessa umana natura» ( Lotta conDio, pag. 71).

2° Questa bellezza stessa intermittente di qualche rarapagina, perduta in mezzo alla caotica confusione e stra-bocchevole copia e scorrettezza delle altre, mentre pro-va, appunto, colla contraddizione e col contrasto (v. pag.125), che egli non era guidato dalla face luminosa del ge-nio, sempre, o quasi sempre, equanime nella sua crea-zione, ci dimostra ch’essa proveniva dalla esagerata matorbida attività psichica provocatagli dalla malattia.

È giusta, adunque, quando la si interpreti psichiatrica-mente, la risposta che diede a molti che si maravigliavanocome egli, sì poco colto, avesse stampato tanti libri: «EraDio che mi inspirava». E noi diremo: Era la follìa. E, di-fatti, egli stesso confessava come di alcuni di questi lavorinon comprendesse il senso, certo perché, come già dissi,quando si trovava nello stato di calma non poteva capirequanto aveva dettato e compilato nello eccitamento.

E giova notare che quasi tutte le visioni sacre furonoprecedute da sincopi, da cefalea, da coma, e da febbriche gli duravano per lo più 28 ore, alle volte mesi interi.

«Uno spirito agisce in me non proveniente dall’uomo,esso agisce con ispirazioni istantanee accompagnate daforti dolori di testa che mi eccita sonnolenza e mi distrae

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da ogni pensiero; ho una visione dormendo che, sveglia-to, sento essere estranea alla mia natura» ( Lotta con Dio).

Nel frontispizio della Lotta con Dio, dettava: «Ecco ame un rapimento al mattino che tutto mi rapì. Questorapimento mi durò nella mente e nel cuore 33 giorni».

3° Anche indipendentemente dalle notate scarse econtrastate bellezze, proverebbe il suo delirio quella stes-sa strana sua inclinazione a predicare ed a scrivere, cheera in così vivo contrasto colla sua condizione di barroc-ciaio, appena letterato, precisamente come fu il caso diMangionee di Passanante.

E qui ripeterò quanto altrove già dissi altre volte155:che uno studente di liceo, che un impiegato qualunquesia preso dal ticchio di leggere tutto il giorno giornali escombiccherare dei grossi quaderni di elucubrazioni lepiù volgari e spropositate, io non ci troverei nulla a ridi-re (e la nuova Biblioteca Elzeviriana sarebbe lì a provar-celo); ma che un barrocciaio acuisca l’ingegno maggio-re che natura gli diede, non nell’ammansare cavalli, ecc.,ma nello scrivere continuamente, nel progettare delle re-pubbliche ideali, come non le formerebbe forse attual-mente Mazzini, qui, troviamo una di quelle specie di eroiche piuttosto delle soglie del Walhalla, toccano quelledel Manicomio.

Prima di completare la diagnosi bisogna poi ricorda-re: che egli, se dal principio mostrò tendenza agli alcoo-lici ed alle orgie, mutò costume di poi e divenne scrupo-losamente morale e modello di santità, non ultima que-sta delle cause della venerazione acquistata: e che nu-trì, fino all’ultimo momento, affetto grandissimo pei figli[...], e più per la moglie, il cui amore espresse prima inversi, poi in lettere affettuosissime. Ora questo, dell’af-fetto conservato, è caso troppo eccezionale negli aliena-ti, specie monomaniaci; e molto più rara è, anche in co-storo, che non sia nei mattoidi, quella smania di scriverecontinuamente da cui era invaso.

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Noi crederemmo, quindi, che la diagnosi dovrebbefissarsi in una forma intermedia tra il mattoide e il mo-nomaniaco, allucinato, ambizioso; non essendo semprepossibile di far entrare nelle comuni classificazioni le va-rie parvenze patologiche.

Le gherminelle però, con cui Lazzaretti cerca tranquil-lare il suo mecenate francese Du Vachat (col dirgli che senon aveva molti fautori, ciò era scritto nel cielo) e la fi-nezza con cui giustifica come simboliche le parole PRO-FETA e TEMPO, onde avea abusato così da destare la cri-tica, e la strana ed astuta invenzione di essere stato tatua-to da S. Pietro, mentre ad alcuni nascondeva, sotto unciuffo di capelli, quel preteso segno divino, l’abilità concui mise in piedi vari sodalizi religiosi, e adoperò un ci-frario nelle corrispondenze, provano come la pazzia nonavesse scancellata una buona dose di furberia o almenodi finezza; la quale è tutt’altro del resto che deficiente neimatti d’ingegno (specie poi nei mattoidi), e qualche vol-ta è anzi acuita dal loro morbo, checche ne dicano queimolti, che parlano di pazzie senza aver mai penetrato neimanicomi.

Egli era, insomma, anche per la furberia, oltre che perla vicinanza della regione, un matto alla Sanese (V. pag.152).

Passanante è senza antecedenti morbosi ereditari; a29 anni, essendo alto 1,63, pesava chilo 51 1/2, cioè 14chil. meno della media di Napoli; presenta un capo quasisub-microcefalo, circonferenza 535, diametro trasversa-le 148, longitudinale 180, indice cefalico 82, curva longi-tudinale 350, trasversa 300, altezza frontale 71, larghezza155, capacità complessiva probabile 1513; nella fisono-mia offre tratti del Mongolo e del cretino, occhi piccoli[...], infossati, più distanti del normale, zigomi sviluppa-tissimi, scarsa la barba. La pupilla è poco mobile, i geni-tali atrofici, il che è in rapporto con una quasi completaanafrodisia; viceversa il fegato e la milza sono ipertrofici,

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il che spiega in parte l’aumento della temperatura, chevaria da 38° a 37°,8 all’ascelle, e la debolezza del polsodi 88 (che però ha tracciato sfigmico normale), e la scar-sissima forza, che è poi più debole a destra, kil. 60, chenon a sinistra, kil. 72; – fatto quest’ultimo forse dipen-dente da vecchia scottatura della mano, ed importantis-simo perché rendeva improbabile la completa esecuzio-ne del misfatto, specie se badisi al rozzo strumento di cuiera armato, e alla posizione che gli era possibile prende-re. La sensibilità era pervertita, presentando la tattile 5millim. al dorso della mano, mentre la normale è da 16 a20, e 7 al fronte, ove è 20 o 22 ordinariamente (al palmonon fu presa), e così dicasi del torace, che era 14, men-tre è normalmente da 20 a 23; viceversa la sensibilità allepunture era assai diminuita; nel carcere ebbe deliri conallucinazione.

Tutti questi caratteri sono chiari indizi di una malat-tia così dei visceri addominali come del sistema nervosocentrale. – Ma questo risulta meglio dallo studio psicolo-gico. Infatti un esame superficiale poteva far credere chein lui fossero normali gli affetti e i sentimenti morali; eglimostrava, infatti, ribrezzo al delitto, visse una vita par-chissima, astemia; ed ora religioso troppo, ora esagera-tamente patriota, sempre mostrava preferire il vantaggioaltrui al proprio, figurando quasi innanzi agli indotti dipsichiatria una specie di martire di un’idea maturata daanni, il portavoce e la mano segreta di una setta poten-te, il che tutto potrà suscitare, politicamente, avversione,ma individualmente rispetto.

Pure tutto ciò cade di un colpo (anche prescindendodal delirio, che potea essere effetto del carcere, e che vi-dimo sopravvenire spesso nei mattoidi irritati) per chi ri-cordi quanto dicemmo sopra, che la parsimonia e l’al-truismo sono caratteri speciali dei mattoidi, e, non di ra-ro, anche di molti matti, che sembrano più affezionati al-la patria, all’umanità che non alla famiglia ed a se stessi, e

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avverta come nei suoi scritti si accennino, con una gran-de indifferenza, e direi quasi con piacere, gli omicidî chei suoi compaesani commettevano fra di loro – quando asuon di scure si facevan dare dai forestieri i denari, e so-pratutto l’allegria con cui conta la triste burla fatta da al-cuni ad un pover’uomo innamorato del suo ciliegio, cuiper dispetto svelsero, e, spogliato delle frutta, riporta-rongli innanzi alla casa; l’apatia morbosa emerge sopra-tutto a chi ricorda l’insensibilità mostrata dopo il delit-to innanzi a tanta ira di popolo che contro gli si scatena-va; eppure anche i più fanatici assassini politici si com-mossero dopo il delitto, come Orsini, Sand e Nobiling, espesso tentarono il suicidio.

E giova a provarlo il movente vero dell’atto: comeche, cacciato, per la sua follia politica, dai suoi padroni– arrestato quale vagabondo e maltrattato per giuntadalle guardie – con una vanità tanto sconfinata quantoera la sua impotenza a soddisfarla, anzi a vivere – nonavendo coraggio di suicidarsi, pensò imitare gli eroi, dicui sentiva blaterare nei circoli (e contro cui avea eglistesso declamato) tanto per aver un modo di finire la vitaper mano altrui.

«Vedendomi maltrattato dai miei padroni ed essendo-mi venuta uggia della vita, per non trucidarmi feci il di-segno di attentare al re», disse al questore appena arre-stato. E al giudice Azzaritti: «Ho attentato al re sulla si-curezza che sarei stato ucciso». E infatti due giorni pri-ma era preoccupato assai più del suo rinvio dal padroneche del regicidio, ed al suo arresto si dava d’attorno peraggravare la sua situazione facendo ricordare al delegatoche si fosse dimenticato del suo cartello rivoluzionario,in cui avea scritto: Morte al re, viva la repubblica! Ec-co perché rifiutò d’andare in Cassazione, e all’annunziodella grazia non pensò alla vita salvata, ma alla critica de-gli altri (V. Lombroso, Considerazione sul processo Passa-nante, pag. 16 e 17). Era un caso di suicidio indiretto,

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come ne notarono tanti, Maudsley, Crichton, Esquirol156

e Krafft-Ebing. Ma di questi non ne commettono che ipazzi e gli uomini vigliacchi e immorali; ed io poi tan-to più insisto in questo movente, in quanto che egli vitrovava modo di soddisfare anche, nel medesimo tempo,quell’incoerente vanità che in lui predominava sull’amo-re della vita; ed è noto come molti suicidi vanitosi go-dono vedere la morte propria circondata da pompa: co-me quell’inglese che si fece comporre una messa ed ese-guirla pubblicamente, e si tirò una pistolettata, mentre sicantava il requiescat.

Né si obbietti che egli in alcuni interrogatorî successi-vi rinnegò le sue idee suicide e cercò di spiegare e conci-liare le contraddizioni tra la teoria e la pratica, con quellatrovata Robespierana che le idee s’innaffiano col sangue,perché le prime confessioni, fatte a caso vergine, sono lepiù genuine. D’altronde esse furono ripetute più volte:esse erano in armonia coi fatti anteriori, completamen-te provati, e che in quell’occasione citava (maltrattamen-to), e colle disposizioni prese prima e dopo il reato; ed ilsuo riniego, come tutto il suo contegno successivo, dopoi primi giorni, si spiegano benissimo per la sua pazzescavanità politica che prima non aveva vistò considerata daalcuno, ma che quando vide presa sul serio dai giorna-li, dai giudici, dai medici, naturalmente, cercò, per quan-to era conciliabile coll’amore della verità, che pure avevagrandissimo, quanto più poté, di favorire. E come a po-co a poco agli uni parve un tetro dissimulante, un cospi-ratore dei più abili, egli finì col riguardare se stesso nonpiù il disperato che poco prima mendicava un alloggioed un uffizio di lavapiatti, ma il martire e l’apostolo.

Ora si può perdonare alla fragorosa e vacua eloquenzadi un procuratore del re, avvezzo a vedere dei rei dovenon sono e viceversa, se fantastica una cospirazione dicui mancavano gli indizi più lontani, di cui fra gli altriquel miserabile coltello e la scelta di una mano così

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gracile ed inavezza avrebbe dovuto bastare a mostrarel’inesistenza; ma che vi si perduri dopoché le indagini piùscrupolose e ripetute hanno dimostrato mancarvi, fino ilpiù lontano indizio, qui sarebbero i medici legali che sifanno più fiscali del fisco, e più fantasticamente fiscali.Invece di questa ipotesi impossibile, io adduco quelladesunta da una confessione fatta immediatamente daquesto sciagurato, che tutti ammettono essere esagerato,perfino, nell’amore del vero, confessione ripetuta trevolte: che s’accorda coi fatti constataci in giudizio, checoncilia subito la contraddizione fra gli scritti che nontoccan mai di regicidio, e l’ultimo atto ed i portamentidi tutta la vita sempre mitissima, e la scelta dell’armeche mai avrebbe disegnato un vero cospiratore; s’accordacon la condotta nel carcere, prima della condanna edopo, in cui lo si vedeva non preoccuparsi della morte,anzi desiderarla; infine dà una spiegazione facile e pianadi un delitto, il quale, tolta l’idea politica, appariva senzaun movente determinato, cosicché il processo restò pertutti appunto un enigma, perché la spiegazione che sivolea dare al reato non era vera, e la vera non si volleammettere.

Il primo, il più grande movente di quel tentativo, dopoed insieme alla miseria, era, come in Guiteau, evidente:la vanità in lui sì grande come ben di raro nell’uomonormale.

Quindi se fanatismo troviamo in lui non è per la politi-ca, ma sibbene per le sue ridicole e sgrammaticate elucu-brazioni. Se pianse e fremette alle Assise non fu quandosi insultava il suo partito, ma quando non si volle conce-dergli la lettura di una sua lettera, e quando si offendevala sua fama di sguattero, dicendo che leggeva continua-mente invece di pulire i piatti, il che egli negò malgradopotesse giovargli nel processo per dimostrarlo mattoide.

L’intelligenza poteva dirsi piuttosto diversa, originale,che non superiore alla comune; appariva vivace assai più

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nei discorsi che negli scritti (carattere speciale dei mat-toidi), nei quali è raro che tu riesca a cogliere un’espres-sione robusta, come quelle che pur trovi nei lavori deipazzi.

Non è però che racimolando qua e là nelle molte suecarte e rabberciando le lacune non t’incontri in qualchesquarcio curioso, originale.

Non è, per es., priva di originalità, per quanto bizzar-ra, l’idea sua di far eleggere a sorte i deputaci e gli impie-gaci, come i soldati, onde siano meno superbi, e di obbli-gar a lavorare le campagne deserte i prigionieri che pol-triscono nell’ozio, e chiamare viceversa alla leva i giova-ni che abbiano scelto un mestiere, e il gridare dietro aGuglielmo «che vuol cinque migliardi dalla Francia» chisemina spine vada scalzo, ed anche abbastanza buona l’i-dea, benché turchesca, di far piantare un albergo gratui-to per i viandanti in ogni villaggio.

Bella, anche, è quella frase con cui dipinge le idee dellapatria in un piccolo municipio italiano: «Noi da piccolici indicano la patria primiera dove ci sta la semplicetorretta». Curioso, perché allude certo alla sua miseriae alla causa del suo delitto, è questo motto: «Quantevolte gli oppressi hanno appellato a Dio, che mai haavuto pietà della sua deplorevole condizione... schiavo,morto di fame, che onesto e libero cittadino deve finiread essere ucciso e messo in galera».

Sopratutto è curiosa questa sentenza, che direbbesi incausa propria se non fosse stata scritta assai prima: «Eriprovato che il governo abbia severità di pena controchi ha la semplice idea di cambiar la forma di governoed attentar al capo dello Stato. La patria è madre atutti eguale, a tutti la legge deve essere sorella dellamorte, la quale non ha rispetto di nessuno; quando è orataglia espressivamente sull’arme». – Né parmi senza unaqualche selvaggia bellezza il preteso suo inno popolare

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e rivoluzionario, benché la prosodia vi si trovi male adisagio:

Sentiamo, sentiamo, fratelli,I squilli, i squilli di tromba.

e più sotto:

Su su, fratelli, che più tardiamo,Già è un’ora che i tocchi della campanaSonano da tempo, armiamoci, corriamo tuttiAlla chiesa madre, là troveremoLa bandiera della patria, la quale appella di darle soccorso.

Giustissimo è il suo parallelo tra l’uomo isolato e l’as-sociato «Quando è solo è debole come il bicchiere di ve-tro; a vedere un bicchiere e pensare alla forza dell’uo-mo non vi è gran differenza, ma nella riunione l’uomodiventa duro, ha la forza di mille Sansoni».

Dove egli, veramente, appare maggiore della media ènelle risposte a voce. Così, p.es.: «La storia che si studiapraticamente nel popolo è più istruttiva, che quella chesi studia nei libri, – Il popolo è maestro della storia» esimili. Per giustificare come egli, povero cuoco, avesse lapretesa di farsi autore, rispose: «Dove il dotto si perde,spesso l’ignorante riesce trionfante».

Domandato che cosa avviene nella coscienza quandosi è sul commettere un’azione cattiva, «In noi, risponde,vi sono come due volontà, l’una che spinge, l’altra chetrattiene: nel contrasto quella che vince determina l’a-zione».

Ma è del resto precisamente in questi tratti o, meglio,sprazzi intermittenti di genio, e nelle sue singolari aspira-zioni che spicca l’anomalia morbosa. Quando in un am-biente sì umile un uomo, senza una speciale educazione,si caccia dietro ad ideali così diversi da quelli della suaclasse, è certo anormale; potrà esser un genio, un Giot-

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to, che da pastore si trasmuta in pittore; ma se poi que-sto pastore trascura da una parte le pecore e dall’altra vitraccia solo degli sgorbi indegni, perfino, di un imbian-chino, allora il dubbio si fa quasi certezza; e così l’esamepsichico conferma meravigliosamente il somatico e ci dàil modello di quel tipo singolare che io chiamo del mat-toide, e di cui l’Appendice ci mostrerà esemplari se nonegualmente funesti certo altrettanto curiosi.

2

Pazzo morale e delinquente nato

Maria Per...di Us... a 15 anni fu condannata due volte perfurti di oggetti che, però, appena rubati, metteva tosto inmostra sì che tutti se n’accorgevano.

Nel primo interrogatorio col giudice dichiarò: «Nonho mai avuto idea di trar profitto delle cose rubate, hosoltanto smania di impadronirmi di quelli oggetti per poipoterne fare bella mostra». Dopo il 2° arresto essa mo-strò un’astuzia singolare gridando e facendo la pazza inmodo che fu collocata in una camera appartata, da cuipoté evadere saltando 9 metri d’altezza. D’allora in poisuccedettero continui furti nel paese di Us... che si di-stinguevano per essere spesso oggetti di poco valore eperché il ladro entrava con agilità singolare dall’alto deitetti e dai camini, arrampicandovisi da alberi elevatissi-mi, e perché qualche volta i derubati si trovarono resti-tuiti degli oggetti altre volte sottratti (p. e., 2 cuffie la Re-fusatti). Codesti furti erano di fazzoletti, camicie, vesti didonna, cereali, grano, riso, una fotografia, un trivellino,un libro di devozione; raro denari, una volta 500 lire.

Non venne arrestata che molto tempo dopo quando,affetta da lue, ricoverò al sifilicomio, nel quale però diedeun nome falso.

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Nei nuovi interrogatori col giudice dichiarò che avevarubato continuamente in complicità con un maestro Pa...che conobbe a un ballo, e che la invitava a rubare epoi col denaro ricavato bevevano insieme di notte, e concui, fuggendo dalla casa patema ebbe a dormire; costui,già molti mesi prima le aveva detto che quando fossearrestata facesse in modo di fuggire: ed egli l’avrebbenascosta in modo che nessuno l’avrebbe trovata: – perciòella fece la matta in carcere finche fu isolata e potéevadere, e subito dopo tornata a Us... fu da lui, per moltimesi, nascosta entro una specie di soffitta della chiesaparrocchiale a cui si poteva accedere mediante un asse(che si trovò) da un foro esistente nella sua casa.

«Fuggì da Us... perché Pa... le disse (ed era vero) chei carabinieri eran venuti più volte per cercarla nella casadove stava; e la notte ambedue commisero molti furti persupplire alle spese della fuga e del matrimonio che eglile lasciava travedere; andò a Torino donde poi il Pa...,che l’aveva incinta, l’accompagnò in Alessandria dovel’abbandonò, sicché dovette fare la prostituta clandestinad’albergo».

Deve poi ricordarsi che qualche testimoniò, e preci-samente uno zio materno F. C., dichiara che essa Mariapassa nel paese per mezzo scema fondandosi, pare, sullarestituzione degli oggetti rubati: anche il Sindaco dichia-ra che la voce pubblica crede aver essa ceduto ad unaforza irresistibile.

Ella ci riferisce che il padre soffre di cefalea, che ebbeuno zio alcoolistico, che essa pure soffre da sette anni dimal di capo, il che può attestare la Teresa Cibrario di leivicina, e che spesse volte, dopo i mali di capo, si mettevaa correre tutto d’un tratto e le vicine dicevano: certo inquesto momento va a rubare.

Resta però sempre il fatto che essa rubò insieme ad og-getti di valore anche alcuni che ne avevano poco o nes-suno, che li mostrò al pubblico a rischio, come accadde,

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di essere veduta dai derubati, che restituì oggetti non ri-chiesta, coll’evidente conseguenza di far conoscere cheessa era ancora in paese, che confessò da giovine subi-to i furti, che ebbe parenti, zii, nevrosici, che essa rubòanche senza bisogno, per puro capriccio, per vestire deibimbi; che essa, mentre ha un’astuzia straordinaria mo-strata colla dissimulazione nelle carceri, negli interroga-tori (grandissima poi se il complice non esistesse), mo-stra nello stesso tempo un’ingenuità infantile nel dichia-rarsi arrabbiata perché la scoprono sempre nei suoi fur-ti, perché le tolgono gli oggetti rubati; nel propalare su-bito i suoi atti osceni, pure sapendo benissimo che tuttociò è punito dalla legge e dalla società, sendo stata casti-gata spesso dai genitori e già prima dai tribunali; ma nonavendone alcuna vergogna: essendo cioè assolutamentepriva del senso morale e parendole, come ai bimbi, giu-stificazione sufficiente ad ogni atto il solo fatto del moltodesiderio. – Davanti alla bramosia di andare in masche-ra, di portare un orecchino d’oro in chiesa, di una vestanuova al ballo, cessa ogni paura, non solo di fare il male,ma persino di esser punita.

E come primo notava il comm. Crivellari, che presel’iniziativa di interrompere il processo e richiedere unaperizia, va considerata, anche, quella scimmiesca sua agi-lità per cui saltava da 9 metri d’altezza e penetrava nei ca-mini, spiccandovi salti da alberi, che la ravvicinerebbe aimicrocefali e farebbe sospettare di un arresto di svilup-po parziale del cervello, che però nessun altro caratterefisico conferma.

Ad ogni modo è questo un caso di imbecillità morale,ossia di privazione completa del senso morale; ma sicco-me in ogni sua forma essa si confonde coi caratteri che of-frono i veri e proprii delinquenti abituali, così nasce for-tissimo il dubbio che gli esemplari di follìa morale checerti nostri poco dotti alienisti vanno tentando di pesca-re alla cieca qua e là come straordinarie varietà, si trovi-

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no invece frequentissimi nelle carceri e che costituiscanoil passaggio al delinquente abituale.

Pochi crederanno che, non solo dettando il mio studiosull’uomo delinquente, ma anche dopo, io fui semprealieno dal confondere il delinquente nato coll’alienato.

L’origine, per lo più congenita o nell’età giovanile, deldelitto, la maggiore sua diffusione colla civiltà, coi gran-di centri, fra i maschi, la eredità meno intensa della paz-zia e della neurosi, la apparente buona salute, la robu-stezza maggiore e maggior altezza della statura, la mag-gior ricchezza dei capelli, minor frequenza di submicro-cefalia, la fisonomia tutta speciale e le passioni e gli istintiche ricordano completamente, come la fisonomia; l’uo-mo selvaggio assai più che l’alienato, specialmente la pi-grizia e la passione dell’orgia e della vendetta, tutte coseche mancano nel più degli alienati; tutto ciò, unito al ri-brezzo involontario innanzi al pericolo sociale cui pare-vamo poter causare questa teoria, e alla tanto pericolo-sa compiacenza della propria creazione, m’avevano con-vinto e prima e dopo che io aveva messo in luce assai piùle differenze che non le analogie fra quelle due sciagura-te condizioni patologiche della psiche. Ed in mezzo a sìcompleto accordo di amici e di avversari su questo, il so-lo a non convenire e non esserne convinto, ero proprioio.

Ma la successiva distinzione del delinquente d’occa-sione e dell’abituale, l’appoggio universale conseguitodalla proposta del manicomio criminale, la scoperta disempre nuovi casi, come il Faella, Agnoletti, Verzeni,Guiteau, che rendevano impossibile il discernere le lineedifferenziali, lo studio dei nuovi caratteri dati dai più re-centi autori, come Krafft-Ebing, Holländer, Savage, allapazzia morale, mutarono completamente le convinzioni.

Copiamo, p. es., quanto scrisse il primo nei suoiGrund Lehrbuch der Gerichtliche Psychopath., 1881,Stuttgart, dei pazzi morali.

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«Manca in essi la facoltà di formare, utilizzare nozio-ni di estetica, di morale, dimodoché gli istinti latenti nelfondo di ogni uomo prendono il sopravvento. Le no-zioni d’interesse personale, dell’utile o nocevole, dedottedalla logica pura possono essere normali; di là un fred-do egoismo che rinnega il bello e il buono, ed assenza diamor figliale» (ricordiamo qui noi quel pretore tedescoche uccise la moglie e la madre per far risparmiare a loroi dolori della malattia); «indifferenza alla sventura altruied al giudizio degli altri; da ciò un’esagerazione dell’e-goismo che dà a sua volta la spinta alla soddisfazione de-gli interessi personali, calpestando i diritti altrui. Se ven-gono in collisione colla legge, allora l’indifferenza si mu-ta in odio, vendetta, ferocia, nella persuasione d’essere indiritto di fare il male».

I caratteri che io diedi dell’ Uomo delinquente nato, p.156, ecc., ripetono questo quadro. Lemaire diceva: «Soche fo male, se qualcuno mi dicesse che fo bene gli direi:sei una canaglia; ma non perciò potrei fare altrimenti».– Lacenaire pativa alla morte degli altri come a quella diun gatto.

«In generale, dice Krafft-Ebing, costoro mancanod’attività, di energia, quando non si tratti del soddisfaci-mento dei loro desideri immorali, odiano il lavoro. Men-dicità e vagabondaggio sono le loro vocazioni».

E noi ricordiamo che il pegre o ladro vien da pigro, eche Lacenaire era un ideale dell’odio al lavoro, come poivedemmo di Gasparone – e Lemaire diceva: «Ho le carnimolli, piuttosto che dover lavorare preferisco morire».

Savege osservò ( Journal of mental science, 1880) che lamaggior parte delle pazzie morali era o congenita o avve-nuta in età infantile od in seguito a tifo, meningiti, ecc.,che se essi non ne guariscono subito restano incurabili.

Ora altrettanto avviene dei delinquenti, appunto inquesto differenti dai pazzi che si manifestano sempre taliin età più tarda (Vedi Uomo delinquente, pag.277).

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Ed in ambedue trovammo l’insensibilità all’idrofismo-grafo ed assimetrie craniche e passione pegli alcoolici.

È curioso che nei manicomi i pazzi morali rifuggonodagli altri e dichiarano che si sentono meglio in carcere,che se hanno commessi delitti quello là è il loro posto.Questo io potei notare distintamente in tre casi: ben in-teso che do importanza a questo fatto non perché io vo-glia stare al giudizio degli alienati in argomento sì deli-cato, ma perché esprime non tanto un giudizio quantoun sentimento, che prova l’analogia, anzi l’identità delledue forme: mentre è noto come i pazzi d’altre specie ab-biano un vero ribrezzo pei delinquenti. – Ho osservatopoi che mentre l’alienato rifugge dalla compagnia, tendead isolarsi, il contrario accade dei pazzi morali che, messifra gente di lor risma, vi si godono; alcuno (Rossi di Pa-via) dichiarommi che si ucciderebbe se costretto a vivereisolato – il che è proprio dei delinquenti.

Una volta fuso l’uno coll’altro fenomeno, è subitocompresa la ragione della grande frequenza di pazzie edi malattie nervose nei delinquenti, e il processo illogicodel delitto e la frequente lesione affettiva, l’influenzaanaloga delle stagioni calde, dell’agglomero e il trapassofrequente dall’une all’altre.

E giova aggiungere che non rare volte i pazzi mora-li, come i rei, si preparano lo alibi, premeditano il delit-to, lo compiono, non per impeto improvviso, ma a sco-po di vendetta e di lucro, associandosi spesso compagni– ed à tutti gli alienisti è noto che tutti i guai dei mani-comi nascono da costoro che insinuano al male gli altri,ingannano e denunciano i superiori e complottano.

Finalmente così spiegasi che alcuni delitti formino unodei sintomi specifici di alcune malattie mentali, così: lacalunnia, la truffa, lo sono dell’isterismo, il furto dellademenza senile, l’assassinio e stupro dell’epilessia – lapiromania delle pazzie impuberi ed in alcune il delitto(stupro, p. es., con omicidio nell’epilessia), come la

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sensibilità sessuale anomala del Westphal, si sostituiscealle altre forme del morbo.

S’aggiunga che per essere stata troppo tardi irregolar-mente studiata la follia morale, non offerse ancora tuttii suoi caratteri e ricordo qui come le anomalie corporee,quelle che precisamente più s’avvicinano al delinquente,sonsi or solo rivelate dal Legrand Le Saulle.

L’obbiezione morale, quella, che partendo da un sen-timento nobilissimo, era più forte di qualunque criterioscientifico, che cioè con tali teorie si sovvertisse l’ordinedi idee dominante, viene tolta dal momento che non tut-ti i delitti si confondono colla pazzia, e molti delinquen-ti sono normali affatto o quasi, e sono i rei di occasione,ed anche in quelli d’abitudine manca spesso ogni caratte-re anomalo. Né, per essere riconosciuti pazzi gli altri reisarebbero meno segregati dai sani, anzi, anche dai pazzimedesimi nei manicomi criminali, col vantaggio specia-le, di più, che qui non osterebbero le solite troppo sotti-gliezze della legge a rendere perpetua la loro segregazio-ne.

Non resterebbe che la infamia di meno, ma chi puòsottrarsi a tanti vantaggi solo per non poter più giustifi-care un sentimento così odioso; chi non sente che è van-gelo dei nostri tempi la massima: Tutto conoscere e tuttoperdonare.

Vero è che da molti si parla di pazzia morale quandosi ha megalomania paralitica, demenza alcoolica, impul-so isterico epilettico, ma qui si è confuso uno stato mor-boso sui generis, congenito quasi sempre, od acquisito ininfanzia, come la rachitide, la sordomutezza, con uno deisintomi prevalenti in questo stato morboso, la immorali-tà, ecc., che non è poi il carattere essenziale della malat-tia.

Non già che in questo stato morboso, in questa mo-struosità sempre i sintomi sieno identici. Come tuttele specie naturali molto diffuse, anch’esso subisce una

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quantità strana di variazioni, le quali furono già espostidal Raggi, e da me in questo Archivio. Così i grafoma-ni, i politicomani, ecc., che non hanno o quasi mai rap-porto col codice penale: io ne ho uno in cura che ha unavera follia altruistica, si preoccupa sempre se sta male laserva dei vicini, compera cibi da bottegai perché possanovivere, e non spende quasi mai per se stesso.

Se mi si domandasse a quali caratteri istologici vorreilegare questa forma, ricorderei la scoperta dello Arndt (Virchow Archiv, 61, 67, 72), che «molte cellule ganglia-ri sono nei neuropatici in uno stadio di sviluppo inferio-re come nei rettili, nella salamandra: in alcuni il cilin-der axis si presenta più sottile o coperto di granuli sen-za sufficiente isolamento rispetto alle parti che lo circon-dano, per cui l’eccitamento più facilmente s’irradia; par-te di questi, qualche volta, manca affatto, ed è rimpiaz-zato da cumuli di cellule protoplasmatiche; spesso la lo-ro guaina midollare è punteggiata e senza il solito aspettoomogeneo a doppio contorno: quindi interrotta la con-duzione estasi delle forze molecolari e reazioni nelle cel-lule gangliari, esplosioni negli altri territori nervosi mo-tori. Anche i vasi sembrano contornati da poche cellulelinfatiche sicché resta inceppato il deflusso della linfa e sihanno pressioni sulle cellule cerebrali».

Né perciò vien meno l’atavismo che, chi veda nelfondo delle malattie mentali, fa capolino per tutto, main ispecie nelle forme ingenite come l’idiotismo ed ilcretinismo e specialmente nelle microcefalie che tantolegame congiunge col criminale.

Ma qui abbiamo qualche cosa di più determinato epiù obbiettivo, che non le solite generalità dell’atavismoe peggio della degenerazione, con cui assai spesso sicopre l’ignoranza dei fatti, misconoscendo quella leggedi suddivisione delle specie e quella necessità dell’analisi,che è uno dei caratteri del progresso moderno.

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Egli è perciò anzi che io vorrei suddividere ancora lapazzia morale, che è troppo generica, e che ricorda, neltitolo, ancora un morbo acquisito dalla sua sottospeciela criminale; chiamandone gli affetti, con un terminenon felice certo né preciso, ma che ebbe – quello cheoccorre alla denominazione – la fortuna di essere accetto,mattoidi criminali. E ce ne farebbe legge, ad ogni modo,la tendenza analitica della scienza moderna che vuole sispecifichi ogni nuova forma, ed il pericolo maggiore checorre la società per sua causa ed il bisogno di far capirecon spiccata accentuazione che non si tratta di comunipazzie – ma di forme affatto diverse fin dall’origine,come sono diversi i metalli dai metalloidi.

Però se mutai le mie idee sulla differenza tra pazzomorale e delinquente-nato, non perciò le mutai quantoall’applicazione pratica. Finche il manicomio criminalenon sia posto in opera e la legge modificata in proposito,io credo che noi dobbiamo considerare tali casi come casidi delinquenti, salvo le attenuanti, come nel Medio Evoil perito doveva considerare certe isteriche come streghe.

Un perito è un istromento e non un artefice dellalegge; finché la società crederà dovere codesta speciedi matti curarli a suo modo col carcere e con le multe,il perito dovrà chinare il capo e designarli così come litrova alla società, salvo ad illuminarla, poi, sopra i nuovitrovati, coi libri e dalla cattedra.

Il senso morale manca certo ai bambini nei primi mesied anche nel primo anno della vita. Per essi il bene eil male è ciò che è permesso o proibito dal papà e dallamamma, ma non una volta sentono da per se quando unacosa sia male.

«È villano, diceva un ragazzo a Perez, il mentire eil disobbedire, ciò fa dispiacere a mamma». Ma essopoi credeva per obbligo, quindi per bene, tutto quantovedeva farsi intorno a lui abitualmente.

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«Quando piango, diceva un bambino, mamma mimette a dormire, e allora mi mette un cuscino», e cosìfanno pelle azioni morali, oppure trovano bene ciò cheprocura loro lode. E così io vidi un fanciullo educato cherifuggiva, come da un delitto, dal defecare nelle camere.

A due anni e cinque mesi un ragazzo, che credeva averfatto bene, diceva: «Il mondo dirà: è un buon ragazzo»(Perez).

Una volta un fanciullo di quattro anni, che avevadetto bugie, fu punito dalla mamma col metterlo incantina. Strada facendo pel luogo del supplizio egli lediceva: «Ma io merito anche peggio». Invece, punitodalla nonna, colla semplice relegazione in una cameraoscura, non vi si adattava, lo prendeva per un’ingiustiziae gridava.

Il dolore pel castigo varia dunque nei fanciulli, secon-do le persone che glielo applicano e contro cui demerita-rono – come vedemmo già nei selvaggi.

L’idea insomma della giustizia, della proprietà, vieneal fanciullo dopo aver provato il dolore nell’essere espro-priato e aver sentito dire che ciò è male. Odia, in gene-re, l’ingiustizia, specialmente quando ei stesso ne soffre;e per lui essa consiste in un disaccordo tra il modo abi-tuale di trattamento e quello accidentale.

Nelle circostanze nuove è in piena incertezza. Cosìun fanciullo, trasportato dalla casa di sua madre pressoPerez, modificò le sue abitudini secondo i nuovi arrivati:cominciò a comandare a furia di grida, e non obbedivache a lui.

Il senso morale è, dunque, una delle facoltà più suscet-tibili di essere modificate dall’ambiente morale.

La nozione del bene e del male, che ne è il germeintellettuale, non si constata mai prima dei sei a settemesi. Perez vide un fanciullo di sette mesi, cui la mammaaveva insegnato che era male il gridare quando era lavato,o per andare in braccio; e l’aveva appreso. I più, invece,

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non badano agli insegnamenti, e, quanto più loro sigrida, più s’ostinano, piangono, s’irritano, ecc.

Il primo accenno del senso morale è quando compren-dono certe attitudini e certe intonazioni che hanno unoscopo repressivo, quando incominciano ad obbedire perpaura o per abitudine.

L’interesse, l’amor proprio, la passione, lo sviluppodell’intelligenza e della riflessione precisano la distinzio-ne del bene e del male e più forse la simpatia, la for-za dell’esempio, la paura del rimprovero; da tutti questielementi si forma la coscienza morale. n bimbo può es-servi più o meno presto indirizzato, secondo le attitudinidel carattere egli accidenti del momento (Perez, o. c.).

I fanciulli hanno comuni coi selvaggi e coi criminali lanessuna previdenza; un avvenire che non sia immediatoo non paia tale, ha nessuna influenza sulla loro immagi-nazione. Avere un piacere dopo otto giorni o dopo unanno per loro è uguale.

Dalla conoscenza di questi fatti si ha la naturale spie-gazione del come la pazzia morale si origini solo per man-canza di ogni ritegno nei despoti e in tutti fin dalla infan-zia, delle cui abitudini, non interrotte dall’educazione,non sarebbe se non una continuazione.

Questi ragazzi, dice il Campagne nella sua Folie rai-sonnante, parlando dei candidati alla pazzia morale, so-no insensibili alle lodi ed alle punizioni; non sentendoquanto la loro condotta riesca penosa alle loro famiglie,restano indisciplinati, incuranti, riottosi. L’ozio, l’onani-smo e lo stravizio, le sovraeccitazioni di ogni sorta sonole grandi stazioni che percorrono per giungere a quell’e-saltamento speciale, detto pazzia ragionante, che li portairresistibilmente all’azione. Allora alla pigrizia succedeuna temerità sconfinata, e al menomo rimprovero grida-no, rompono quanto cada loro sotto mano, e colpisconole persone che li attorniano.

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La crudeltà fu notata nella prima giovinezza di Cara-calla, di Caligola, di Commodo, che a 13 anni fece getta-re in una fornace uno schiavo per una causa leggera; diLuigi XI e Carlo IX che facevano torturare animali, e diLuigi XIII che schiacciò lentamente fra due pietre la te-sta di un uccelletto e tanto si irritò contro un gentiluomoche gli era antipatico, che per acquietarlo si dovette fin-gere di ucciderlo. Fatto re, godeva nel seguire l’agoniadei protestanti condannati a morte.

Essendo la pazzia morale e le tendenze criminose fuseindissolubilmente, si spiega perché quasi tutti i grandidelinquenti ebbero a manifestare le loro prave tendenzefino dalla prima infanzia.

Resta dunque dimostrato che una certa quota di cri-minali rimonta fin dai primi anni della nascita, interven-gano o no le cause ereditarie, o per dir meglio, che se ven’hanno alcuni causati dalla cattiva educazione, in moltinon influì nemmeno la buona.

Pure la sua grande benefica azione spicca appuntodal fatto che sono generali le tendenze criminose nelfanciullo, sicché senz’essa non si potrebbe spiegare laloro, diremo, normale metamorfosi che avviene nellamaggior quantità dei casi.

Del resto per educazione intendiamo non le sempliciistruzioni teoriche che di raro giovano, anche agli adul-ti, per cui vediamo sì poco approdare la letteratura, i di-scorsi, le arti dette moralizzatrici, e meno ancora le vio-lenze, con cui al più al più si ingenerano degli ipocriti, sitrasforma non il vizio in virtù, ma il vizio in un altro vi-zio; bensì una serie di moti reflessi sostituiti lentamente aquegli altri che furono cause dirette o almeno favorevo-li al mantenimento delle prave tendenze, e ciò col mezzodell’imitazione, delle abitudini gradualmente introdottecolla convivenza in mezzo a persone oneste e con pre-cauzioni sapienti per evitare che sorga in terreno adatto

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a proliferarsi l’idea fissa che vedemmo divenire sì fatalenell’infanzia (v. s.).

Prima di passare allo studio del delinquente pazzo,dobbiamo cominciare dal trattare, o, meglio, dall’esclu-dere da questo, il pazzo morale, che noi abbiamo già trat-tato studiando il delinquente nato.

Sulle prime il lettore o l’uomo di mondo proverà, cer-to, grande ripugnanza ad accettare questa fusione; e ciòsia perché siamo da troppe generazioni avvezzi a consi-derare il reo di tanto più responsabile di quanto è piùgrande in lui la colpa e in noi il bisogno di vendicarsenee il timore di lasciarlo libero, in ragione dunque della suatemibilità, ed anche perché non si conosceva od immagi-nava altro modo per paralizzarne i malefici che la puni-zione del carcere e della morte; perché, insomma, il sen-timento della vendetta e della paura, insieme all’abitudi-ne che è uno dei più grandi dei nostri tiranni, modifica-vano completamente il nostro giudizio e non ci lasciava-no entrare in altra via di esplicazione; ed io, come già no-tai nella prefazione, fui ancora fra costoro mentre redi-geva le due prime ed, in parte, anche la terza edizione diquesto lavoro.

L’origine, per lo più congenita o nell’età giovanile, deldelitto, la maggiore sua diffusione colla civiltà, coi gran-di centri, fra i maschi, la eredità meno intensa della paz-zia e della neurosi, la apparente buona salute, la robu-stezza maggiore e maggior altezza della statura, la mag-gior ricchezza dei capelli, la fisonomia tutta speciale e lepassioni e gli istinti dei rei-nati che ricordano completa-mente, come la fisonomia, l’uomo selvaggio assai più chel’alienato, specialmente la pigrizia e la passione dell’orgiae della vendetta, che mancano quasi sempre in quest’ul-timo; tutto ciò, unito all’orrore istintivo innanzi all’ideadel pericolo sociale cui parevami poter causare la confu-sione degli uni cogli altri, e alla tanto pericolosa compia-cenza della propria creazione, m’avevano convinto e pri-

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ma e dopo che io aveva messo in luce assai più le diffe-renze che non le analogie fra quelle due sciagurate con-dizioni patologiche della psiche. Ed in mezzo a sì com-pleto accordo di amici e di avversari su questo, il solo anon convenirne e non esserne convinto, era proprio io.

Ma la successiva distinzione del delinquente d’occa-sione e dell’abituale, l’appoggio universale conseguitodalla proposta del manicomio criminale, la scoperta disempre nuovi casi, come il Faella, Zerbini, Verzeni, Gui-teau, Sbro... che rendevano impossibile il discernere lelinee differenziali fra pazzia e reato, lo studio dei nuovicaratteri dati dai più recenti autori, come Krafft-Ebing,Holländer, Savage, Mendel, alla pazzia morale, gli ancorpiù singolari da me scoperti nel delinquente-nato, comeanestesia, analgesia, anomalie nei riflessi, mancinismo edatipia del cranio e cervello, mutarono completamente lemie convinzioni.

Statistica Una delle prove indirette dell’identità dellapazzia morale colla criminalità e che insieme ci spiegai dubbi finora invalsi in proposito negli alienisti, è lagrande scarsezza della prima nei manicomi e viceversala sua grande frequenza nelle carceri.

Dagonet sopra 3000 pazzi non ne vide che 10 o 12casi. Adriani a Perugia, Palmerini a Siena su 888 pazzinon ne notarono alcuno; e 2 soli pazzi Raggi su 924, e 6Salemi-Pace su 1152.

Il Verga ( Annali di statistica, 1883, vol. 8°) sopra16856 alienati nel 1880 nei manicomi pubblici d’Italia,contò il 0,56 di pazzie morali, nei maschi 0,65 e nellefemmine 0,45 p. %. La quota si innalza alquanto nei ric-chi dei manicomi privati, dove sopra 585 si ebbe il 3,9%. Differenza codesta che giustamente vien riferita dalVerga a ciò che molti di quei ricchi che entrerebbero nelcarcere, grazie a una maggior luce e ad una migliore dife-sa, vengono dopo commesso il reato fattivi ricoverare, espesso anche prima dalle famiglie, dopo i primi falli scan-

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dalosi, per conservare il decoro. Invece sopra 960 pazzidelle nostre carceri (Stat. decenn. delle carceri, 1882) in10 anni se n’ebbe, officialmente, il che vuoi dire per unaminima frazione del vero, il 5,2%.

La follia morale è un genere, di cui il delitto è una spe-cie; ed ecco perché essa possa offrire delle varianti chevanno fino a mostrare dei caratteri opposti a quelli se-gnati dai classici; e ve n’hanno in cui le varie forme oalmeno alcuni sintomi delle malattie mentali s’innestanosulla forma principale che è la pazzia morale, come crit-togame che vegetano su altre crittogame. Così ebbi incura un tipo, Gib..., di vera follia morale, insorta dopoun tifo, in cui, insieme alle tendenze più spiccate al fur-to ed alla calunnia contro i proprii parenti, si manifesta-rono idee ipocondriache; s’immaginava d’avere uno sco-lo, e che non guarirebbe se non venisse evirato. Due al-tri, il Bi... e l’Ing... sopracitati, fissavano di avere affezio-ni cardiache, e tempestavano tutti i medici perché li gua-rissero; e così la Cat. di Bonvecchiato e il Giliani di Mor-selli aveano epilessia. La Glaser e la leanneret, isterismo.E la Cat. di Salemi-Pace, brevi accessi maniaci. La X. diCantarano incendiò la casa senza alcuna causa.

L’F... di G. B. Verga ebbe accessi di esacerbazionemaniaca megalomaniaca.

Ma tuttociò non s’oppone punto alla diagnosi del ma-le principale trattandosi appunto d’una malattia cronica,spesso anzi congenita, che dà luogo a congestioni cere-brali, e quindi a complicazioni maniache. È un fungo,sopra cui nasce un altro fungo, parassitario, ma che nontoglie che il primo sia il punto principale di partenza.

Ma importantissima sopra tutte è la quota scarsa, èvero, ma pur con certezza provata, di pazzi morali cheinsorsero in causa di una prava educazione.

Holländer e Savage fanno notare la frequenza del mor-bo in quelli che per la troppa bontà o negligenza dei pa-renti mancarono dei freni nell’infanzia, non si abituaro-

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no a quei riserbi che impone la legge, e per cui un uo-mo è morale. – Accade altrettanto di alcuni delinquenti,specialmente nei paesi selvaggi o poco inciviliti: vendetteCôrse, ecc.

Io ebbi a lungo in cura un giovinetto, T..., che confer-ma quella osservazione. Figlio ad alcoolista, molto biz-zarro, ed a madre alquanto erotica e con tendenza sui-cida, con nonno suicida, fratelli onestissimi; predilettodai genitori, e specialmente da una cameriera, che pro-teggevalo trovando sempre una scusa ai suoi malfatti, siistradò al furto fin dalla prima fanciullezza; a tre anni an-dando al mercato si appropriava dalle ceste denari, pe-sci, frutta: grandicello spendeva in dolciumi quanto riu-scivagli involare alla mamma o alla cameriera che pureaccorgendosene non ne faceva caso: a scuola impadro-nivasi degli oggetti dei compagni che capitavangli sottomano magari per farne dono ad un altro, e divenne, piùtardi, un truffatore emerito.

Ciò si comprende da quanto vedemmo nella Parte Pri-ma sulle tendenze criminali dei fanciulli che presentanofisiologicamente uno stato simile alla pazzia morale (V.vol. I, p. 98 e seg.), sicché quando nell’ambiente non tro-vino circostanze favorevoli alla trasformazione normaleverso l’uomo onesto, vi perdurano come perdurano i tri-ton alpestri nello stadio di girini in un ambiente freddo.Questo stato patologico si fa col tempo abituale, insom-ma, anche quando l’individuo non avrebbe avuto dellespeciali tendenze al delitto, quando non sarebbe statoche un uomo come tutti gli altri, ma più facilmente, poi,se ve lo spingono latenti influenze ereditarie come nell’o-ra citato T ... E questo spiega i casi criminali apparente-mente nati tali, eppure senza anomalie craniche o facciali(V. p. 112 e seg.).

E quindi si spiegano quelle pazzie morali dei despoti,sia del trono, come in una gran parte dei Cesari, sia del-la piazza, come in Masaniello, Cola da Rienzi, Marat, co-

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me nei tirannelli delle Repubbliche Ispano-Americane, iquali da tranquilli ed anche umani che erano dapprima,sotto il contatto del potere illimitato, con o senza influen-za ereditaria, divennero crudeli anche senza proprio van-taggio, anche per puro capriccio.

Importantissimi poi sono i casi notati da Virgilio, 2volte su 14, e da Campagne, 7 volte su 15, ed unonotato da Salemi-Pace, uno dal Todi, in cui la pazziamorale s’incontra in seguito a dispiaceri profondi od avive impressioni morali.

Così il Todi narra d’una buona massaia che avendoperduto d’improvviso la bimba, fu presa da pazzia mo-rale con tendenza a disumare i cadaveri dei bambini.

Qui l’arresto di sviluppo dei centri psichici fu provo-cato, come alcune malattie mentali, da cause psichicheinvece che da fisiche, ma gli effetti sono gli stessi; e qui,evidentemente, la follia morale si va concatenando conun gruppo di criminali anch’essi senza grandi anomalie:quelli per passione o per occasione.

E da questa pervertita affettività, da questo odio ec-cessivo e fin senza causa, da questa mancanza od insuffi-cienza dei freni, da queste tendenze ereditarie moltepli-ci, deriva la irresistibilità degli atti dei pazzi morali, comedei rei-nati.

Da qui si capisce che se la forma impulsiva non è spe-ciale solo ai pazzi morali, certo non può dirsi che in loromanchi; ed è naturale perché in cervelli predisposti dal-la cattiva nutrizione, dall’arresto di sviluppo fin dalla na-scita, vi ha sempre un locus minoris resistentiae, in cui sifa strada, e poi si radica e ingigantisce una di quelle milletendenze morbose che si manifestano in quasi tutti noi inuna brutta ora del giorno, specialmente nell’infanzia, e sidiradano nelle buone tempre e sotto la buona educazio-ne (V. pag. 141), ma invece permangono quando sonofavorite dall’organismo e dall’abbandono; oppure ripul-lulano tutto ad un tratto necessariamente in individui in

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cui, mentre tacciono tutti i sentimenti altruistici, sono vi-vi gli egoistici; in cui non c’è alcun’altra’forza che deter-mini in senso contrario l’azione; in cui tutti i motivi spin-gono al male e nessuno al bene. – E dopo una serie ripe-tuta di questi tristi accessi vi s’aggiunge l’abitudine del-l’atto stesso. Sicché in apparenza manca la proporziona-lità fra la causa e l’effetto evi han azioni che a prima vistanon sembrano dipendere da un motivo; ed eccoci spie-gate quelle strane tendenze oscene, paradossali, che vi-dimo sorgere nell’infanzia in individui predisposti dall’e-redità; tendenze che, benché a prima vista isolate e sen-za lesioni di altre funzioni affettive, non potrebbero co-stituirsi senza un substrato di sensibilità pervertita, chesi faceva chiara, poi, quando si giungeva a raccogliere leanamnesi; anche lì si trova, allora, come negli altri paz-zi morali, un’eredità in larga scala di alienazioni e di vi-zi, una precocità sessuale abnorme (pag. 129, 143), chepredisponeva l’organismo al primo accidente alla germi-nazione dell’idea fissa, che solo il caso determina, se in-vece d’esser criminosa, mostruosa, come quella di Verze-ni, Legier, ecc., sia invece solo bizzarra, come pei chiodidelle scarpette o pei grembiali da donna (v. s.).

L’analogia è tanto più chiara inquantoché molti diquesti, p. es., il P. R. (pag. 131), il Bar... (pag. 129), laN. R. (pag. 132) e la ragazzina masturbatrice di Esquirol,hanno già, insieme agli impulsi osceni, anche i criminosi,p. es., il furto.

Gli errori dell’affettività non ispiccano perché sonomessi in penombra dall’enormità del fatto impulsivo, ilquale, crescendo sproporzionatamente alla causa, fa di-menticare il germe donde sviluppossi, o perché veramen-te si concentrò solo in una data direzione, apparendonormale nell’altra.

Così nel Verzeni e nel Saccamentecas tutta la perditadell’affettività si manifestava a periodi, e nel barbaro mo-do di strangolamento femmineo, ma l’apatia che mostra-

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rono dopo il delitto, per i parenti, per le vittime, o perlo stesso supplizio, prova che l’affettività era lesa ancheall’infuori delle speciali tendenze che li spinsero al reato(vedi vol. III).

Non è, insomma, che questione di grado, che questio-ne di accidentale direzione verso una data corrente piut-tosto che verso un ’altra, ma il fondo è sempre nevropa-tico; è sempre un arresto di sviluppo di alcune facoltàche permangono allo stato infantile, e come nell’infanziasi traducono subito in azione, senza che vi possa il fre-no dell’intelletto e la previdenza di possibili disgrazie, eil ribrezzo dell’offeso senso morale.

Fusione dei rei nati coi pazzi morali L’analogia e l’iden-tità completa tra il pazzo morale ed il delinquente-natopone in pace per sempre un dissidio ch’era continuo,fra moralisti, giuristi e psichiatri, anzi fra l’una e l’al-tra delle scuole psichiatriche, dissidio in cui per istranocaso tutti aveano ragione, perché da un lato era giustal’obbiezione157 che i caratteri che si adducevano pel paz-zo morale erano proprii del criminale, come dall’altro eragiusto che i caratteri dei delinquenti-nati si riscontravanoesattamente in alcuni veri pazzi morali.

Così si comprende perché uomini, al ceno rispettabiliper dottrina, siansi trovati discordi nel diagnostico di undelinquente e abbiano dichiarato criminali individui checertamente erano pazzi o mattoidi, come Guiteau, Me-nesclou, Verzeni, Prunier, Agnoletti, Lawson, Militello,Garayo, Passanante: e che Cacopardo concludesse dal-l’esame dei casi di follia morale di Pinel che si trattava dicriminali, come criminali sono quasi tutti i folli anomalidi Bigot.

Krafft-Ebing confessa che molti folli morali si trovanonei bagni, perché si cercava l’essenza della pazzia nelturbamento dell’intelligenza, e quindi pei meno praticimolti pazzi morali sembrano rei comuni.

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Il vero è che tutti aveano ragione perché costoro eranol’uno e l’altro insieme.

E così si completa e si corregge la teoria dell’atavismodel crimine, coll’aggiunta della mala nutrizione cerebra-le, della cattiva conduzione nervosa; s’aggiunge, insom-ma, il morbo alla mostruosità; come avevano intravve-duto, partendo dalla pura ma geniale induzione, Sergi (Rivista di filosofia Scientifica, 1883) e Bonvecchiato (op.cit.).

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Epilettici ed epilettoidi nel delitto e nel genio

Noi invece miriamo a ben più alti obbiettivi che non siala vita d’un uomo. – Dopoché sorse, armata di tutto pun-to, la nuova scuola antropologica, che applica il metodosperimentale anche alle scienze giuridiche, molte operesono comparse, ma restarono nell’atmosfera scientifica;e non penetrarono nel dominio popolare, nemmeno, an-zi, fra alcune di quelle classi che si reputano dirigenti; cibasta a convincercene l’unanimità nell’errore, in cui in-corsero, sul fatto di organi della stampa autorevolissimi, iquali credettero, al pari delle infime plebi, che il còmpitodella nuova scuola fosse quello di tutelare i birbanti, ma-scherandoli da pazzi, ed esponendo la società, indifesa,ai loro colpi.

Dopo tanto affaticare, dopo esserci attirati le ire deigiuristi umanitari, noi saremmo venuti a questo, di pas-sare pei loro complici, noi che ne siamo i più convintiavversari.

Ora sapendo che se le idee, affidate a lunghe e labo-riose dimostrazioni anatomiche e statistiche, lentamentesi diffondono, più presto invece vi riescono quando s’ap-poggino a uno di quei fatti, che colpiscono i sensi del po-polo, di cui le ricordanze sono nette e spiccate; sapen-

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do come non uno dei grandi delinquenti finora è usci-to dalle linee del quadro tracciato dalla nostra scuola do-po migliaia di osservazioni accurate, abbiam voluto porrequesto caso a cimento e dimostrazione del nostro còmpi-to, a dimostrazione, che esiste, cioè, una classe d’uominichiamati delinquenti-nati, che riproduce, grazie a malat-tie congenite, i caratteri anatomici e psichici dell’uomoprimitivo, dell’uomo selvaggio.

Questo speriamo poter dimostrare.Sappiamo, bene, quanta grave opposizione ci aspetta;

non però ce ne spaventiamo: A che servirebbero gli studise dovessero tener dietro e non precedere ai portati dellapubblica opinione? A che servirebbe una vita passata inmezzo a ricerche speciali, se non dà diritto a sorriderealle risa degli ignoranti e ad imporsi, senza spavalderia,ma senza esitanza, a coloro che, essendo colti negli altrirami, pretendono e nol sono nel vostro?

Del resto, alla bufera tien dietro spesso la pioggiafecondatrice che ravviva, raddoppia i raccolti lì pressoalla zona dalla prima distrutti.

Se il Mattoide venne a galla dopo la grandine dei DueTribuni, speriamo che dopo la riprovazione universaleche susciterà questo libro, il pubblico si persuaderà del-l’esistenza d’uomini che delinquono solo grazie ad un ac-cesso epilettico e a cui la legge non ha provveduto.

È nota pur troppo la tragedia di Pizzofalcone; era il13 aprile, il 1º giorno di Pasqua, e i soldati del 19° dopoaverlo salutato con liete libazioni continuavano in quellacaserma alla sera i discorsi della giornata.

Alcuni appartenenti all’Alta Italia: Codara, Storti eZanoletti, bisticciavansi con due calabresi, Colistri e Tro-vato, pretendendo che le sue fossero tutte terre arsiccie.Un buon caporale, Roncoroni, impose loro silenzio; e alTrovato ordinò di tornare nella sua compagnia.

Il soldato Misdea, di Girifalco, di 22 anni, che a 17ed ai 18 anni era già stato condannato per ferimento, per

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porto d’armi, sospettato di furto, ed infine ammonito,che s’era fatto notare e nel paese, e nel reggimento perinsolita violenza e per minaccie feroci, come di tagliar lagola, di non voler adoperare i pugni, ma l’arme, tanto chealcuni non volevano più dormirgli vicino, ritornava inquella camerata, dopo parecchie libazioni e dopo avere alsuo solito, poco prima di entrare in caserma, minacciatosguainando la ; sciabola un cocchiere, e colpitone inveceun compaesano (Iorio) che l’aveva generosamente pocoprima ospitato.

Costui entrato in quel momento, chiesto al caporaleCodara, con cui aveva altercato pochi dì innanzi, perchélitigassero, n’ebbe una risposta insultante «che c’entritu? Se vuoi qualche cosa te la do io» poi se la prendecol Roncoroni per l’ordine impartito come d’un oltraggioscagliato in viso a lui, calabrese. – Ecco, egli gridò conmal piglio, perché è calabrese, lo mandate via. – E losquassò per la giubba.

Però, essendoglisi quella buona pasta di caporale of-ferto ad una sfida, mostrandogli come non avesse le in-segne del grado, egli non fiatò.

Poco dopo al soldato Codara che ne lo redarguivadisse:

– Lasciami stare. Ho per il capo certi brutti capricci,e non so come finirà!

– Ma tu l’hai sempre coi piemontesi e coi lombardi –che t’abbiamo fatto? Sì, rispondeva il Misdea, l’ho coipiemontesi. E qui gli picchiò nel petto gridando:

– E guarda, così come ho fatto a te, sono capace didare soddisfazione ad uno ad uno, che mi rido di tuttivoialtri! – Il Codara gli dié un ceffone ed egli feceper sguainare la sciabola, ma ghermito per le braccia,non poté muoversi. Allora profferiva queste parole: –Guarda, Codara, che stanotte ti taglio la testa! – Intantoil caporale Morzillo gli infliggeva allora la prigione.

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Il Codara, presago di quanto poteva avvenire, andòa riferirne al sergente Cane, che, venuto là, rimproveròtutti, minacciolli che se continuavano avrebbe mandatitutti in cella, ma intanto la sua minaccia, a parole, tolsela condanna effettiva, e il Misdea, che aveva cominciatoad allestirsi per la cella, smise subito, andò a bere e lo sisentì borbottare rabbiosamente con un compagno:

– Mi hanno dato uno schiaffo!Tornò al suo letto, tirò fuori le cartuccie sue e d’altri

compagni.Si fece silenzio. Codara, Zanoletti, Storti e Vincenzi si

sdraiarono un’altra volta sopra il letto d’un soldato e tor-narono a parlare, quando s’ode un’esplosione. Zanoletticade a terra ferito!

Tre erano a letto e furono feriti tutti e tre gravemente;altri tre fuggirono cercando uno scampo nella latrina. IlMisdea li inseguì e, contro la porta della latrina esplosealtri colpi e ne feriva alcuni.

La strage non era finita. Il Misdea rincorreva i fuggi-tivi, molti dei quali si gettavano a terra per evitare i col-pi; altri li fece sfilare fuori del cesso e i li colpì ad uno aduno.

Quando non ne vide più negli stanzoni, s’affacciò aduna finestra e cominciò a sparare nel cortile, ove eranosoldati di linea e bersaglieri.

L’astuzia mista alla leggerezza della mente, che vidimoin Misdea, le trovammo comuni ai selvaggi ed al pazzomorale.

Però anche in confronto al delinquente-nato la violen-za nell’odio pare eccessiva, è in completa sproporzionecolla causa, come quando vuoi uccidere il sergente Ca-ne, che infine lo aveva risparmiato dal carcere; e quan-do accenna di voler mangiare il fegato all’uno e all’altroanche dei presenti; quando va, insomma, a un canniba-lismo, sia pure filologico, ma che non ha che un passo atrasformarsi in reale, e che non esiste più nemmeno nei

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moderni delinquenti. – Vi è qui una esagerazione del ti-po già patologico; e così si dica pure di quel suo vantar-si del delitto che, come vidimo, è caratteristico dei crimi-nali nati, ma coi complici od almeno coi pari di grado,non con coloro, come i superiori, che sono interessati apunirneli.

Gli è che qui i sintomi della pazzia morale sono esage-rati dall’epilessia. Sull’esistenza di questa (in cui del re-sto tutti i periti, anche i così detti d’accusa, convennero)il dubbio non è possibile.

Il pubblico, anche colto, che di queste malattie preten-de sì bene intendersi, mentre ne ignora fin gli elementi,farà le alte maraviglie che si possa battezzare una seriedi atti psichici criminosi, violentissimi, sì, ma commessicon apparente calma ed in rapporto esatto alla causa adelinquere, per sintomi di una malattia che tutti credo-no non consistere se non in violente, rapide convulsionie null’altro.

Ora, pochi sanno che vi può essere epilessia con con-vulsioni assai rare, anche senza, anche con semplici ver-tigini, mali di capo alternati da brevi e fugaci perdite del-la memoria, della coscienza, come vedemmo accadere inMisdea quando mirava in faccia e non salutava gli amici;o di accessi di suicidio automatico, di ferimenti che han-no per carattere qualche volta l’oscenità, più spesso laviolenza, l’istantaneità e finalmente il pervertimento psi-chico, che si può notare non solo in questi brevi acces-si di cui accresce e colora la ferocia, ma anche in tutta lavita dell’individuo.

Per ben capire ciò, bisogna ricordare che, se vi hannodelle epilessie così dette simpatiche, che nascono peruna esagerazione dei riflessi, come per esempio per laverminazione, e che allora sono passeggiere e quasi maicomplicansi ad anomalie psichiche, ve ne hanno cheinvece nascono da gravi alterazioni cerebrali.

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Le recenti scoperte di Ferrier, di Albertoni e di Lu-ciani mostrarono che in alcune specie di epilessie, le piùgravi di tutte, per lo più sorte per cause ereditarie spe-cialmente nei figli dei bevitori, si ha uno spasmo dei va-si di quella pOrzione della corteccia cerebrale, che hainfluenza grande sopra i movimenti degli arti tanto chequando venga irritata provoca delle vere convulsioni equando venga portata via dà luogo a contratture, a per-dite del movimento. Se sopra un lato della corteccia siesporti ogni centro motorio e si irriti allora l’altro lato,l’accesso convulsivo colpisce solo le parti in relazione allato sano e le convulsioni così provocate seguono nell’in-sorgere lo stesso ordine di successione, secondo il qua-le sono disposti nelle loro varie sedi i centri motori cor-ticali e come accadono pei veri accessi epilettici; comin-ciano, cioè, agli arti inferiori per passare ai superiori, al-la faccia, ai bulbi oculari. – Ma per quanto queste zoneabbiano un’azione speciale sui movimenti, non possonospogliarsi delle azioni psichiche. E vi avessero pure, co-me non pare, un’azione circoscritta, trattandosi di par-ti che sono in perfetta continuità colle altre influenti nel-la psiche, e che sono sempre, o quasi sempre coinvolteo per lo spasmo vasale o altrimenti nella stessa sovrecci-tazione che offende il centro motorio, non possono nonpartecipare reciprocamente del turbamento funzionale.

Ecco perché così di frequente gli epilettici son tristie crudeli e commettono atti bizzarrissimi, che con unagiusta espressione, la quale ben a proposito richiamal’equivalenza delle forze fisiche, son detti equivalentipsichici, epilettici, equivalenti, cioè, di una convulsioneepilettica. Altri li chiamò assai meno bene – epilessialarvata.

Il conte K. nacque nel 1853 in paese straniero.Pare che la madre abbia sofferto di epilessia: negli

ultimi anni, affetta da cancro della mammella, abusò dicloralio e cadde in istato di pazzia, rimanendo poi pazza

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fino alla morte, che avvenne per esaurimento. L’ava dellamadre era pure stata affetta da pazzia con furore. Unazia fu affetta da cancro. Il padre morì di cardiopatia.Un’altra zia materna è nevropatica.

Il conte K. durante l’età infantile e sino all’età di ottoanni andava soggetto a sogni spaventosi. Ebbe per trevolte la roseola ed una volta il vaiuolo.

A 14 anni divenne pubere, e l’adolescenza trascorsesenza disturbi. Figlio unico, fu lasciato sbizzarrirsi in ca-pricci d’ogni sorta; giovinetto, abusò del coito e dell’al-cool. Contrasse sifilide, che però fu debitamente curata.

Negli ultimi anni convisse con una giovane, che poi,essa riluttante, volle improvvisamente sposare.

Verso il principio del 1884 ebbe due accessi congestivial capo a pochi giorni di intervallo, che svanirono subito,lasciandolo così debole come se avesse superata unalunga malattia.

Dall’attestazione del dott. X., che fu chiamato a cu-rarlo, rileviamo che il conte K. da circa un anno avevamostrato cangiamento notevole di carattere, specialmen-te col cercare ogni causa di litigio colla moglie. Que-sta irascibilità e litigiosità si presentò dapprima a perio-di, cioè una volta circa al mese, e con scene di poco con-to che lasciavano dietro di loro una calma completa; pe-rò fin d’allora egli cominciò a lagnarsi di insonnia e dimolta agitazione durante la notte.

Riassumendo, tanto dall’eziologia (eredità morbosadiretta e collaterale, abuso dell’alcool, ecc.), quanto dal-l’esame somatico (analgesia, facile congestione della fac-cia, enuresi notturna, vertigini, brevi assenze, balbuzieemotiva, disuguaglianza delle azioni reflesse fra le duemetà del corpo) e psichico (crudeltà verso gli animali,irascibilità eccessiva, vigliaccheria), noi siamo stati fin daprincipio indotti a ritenere il signor conte K. affetto dauna forma neuro-psicopatica. E dopo aver raccolto la sto-ria espostaci dalla moglie e dai medici curanti, e da lui

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medesimo ammessa nei particolari più importanti, e do-po aver valutato il significato clinico dei principali sinto-mi, fra cui la irascibilità accessuale violentissima dietrofutili motivi o anche senza causa apprezzabile, e i capric-ci illogici e crudeli rivolti in ispece contro le persone piùcare, e l’intermittenza di questi fenomeni psicopatici, ela contraddizione delle violenze contro la moglie con l’a-more che pure le porta, e la insensibilità per i tormentialtrui, e la mancanza del senso morale, parci evidente chetrattisi di epilessia larvata. Nel qual giudizio diagnosticoci conferma appunto il manifestarsi di questa affezione,molto più comune di quanto si crede, con la capricciosi-tà, la stizzosità e la crudeltà sopravvenienti ad intervalli,con le perdite notturne ed inconsapevoli di urina, con levertigini di cortissima durata e appena appena percetti-bili ad un medico colto e coscienzioso, quale è il dottorC., e con le brevi assenze durante le quali il malato usci-va di casa ignudo; mentre invece gli accessi comuni del-l’epilessia, cioè le ben note convulsioni, sono qui manca-te del tutto o almeno non si sono verificate mai nelle orediurne, manifestandosi probabilmente in modo rapido efugace durante il sonno (enuresi, morsicatura di lingua,ecc.). Questa forma di epilessia può passare inosserva-ta ai profani, ma non a chi abbia lunga pratica di alie-nati e di neuropatici. Essa è per l’appunto più frequen-te nelle famiglie dove esiste il germe morboso ereditario,e scoppia talvolta dopo ripetuti abusi di alcoolici. Certoqui non abbiamo una forma comune e mancano gli ac-cessi motorii, ma tanto più gravi diventano in compensoi fenomeni psichici, i quali sopravvengono ad intervalli ecome equivalenti della convulsione. E sono caratteristi-che di questi stati psichici epilettoidi ossia intermittenti:la violenza degli impulsi e la assenza di ogni riguardo so-ciale, e l’estrema irascibilità, e il pervertimento del carat-tere, e la sproporzione fra i motivi determinanti ad agi-re e la reazione psico-motoria, non che gli impulsi mor-

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bosi, fra i quali quasi sempre campeggia la tendenza alloomicidio e la brutalità verso gli esseri animati.

Di guisa che noi non ci peritiamo dal dichiarare cheil signor conte K. non solo è in condizioni anormali dimente, ma è anche gravemente pericoloso, in ispecie percoloro che debbono più spesso avvicinarlo.

Che se negli intervalli fra i suoi accessi di furore puòparere ai profani che il conte K. sia integro di mente, per-ché capace di intrattenersi con persone estranee o che glimettano soggezione, lo si spiega col notissimo fatto che laforma di psicopatia, dond’egli è affetto, permette una ap-parente integrità di mente, tanta almeno quanto è neces-saria perché codesti individui seguitino ad essere mante-nuti liberi fra la popolazione fino a che in un accesso piùviolento degli altri commettano qualche fatto mostruo-so. Né vale l’obbiettare che egli intanto fu per molti an-ni capace di tenere i suoi conti e di attendere ai suoi affa-ri: allora certamente l’affezione non aveva portato quelladebolezza intellettuale che noi ora da più fonti abbiamopotuto arguire. E del resto, questa capacità di accudireai proprii interessi non ha fatto, nel caso presente, buonaprova, perché ci basterà ricordare come negli ultimi tem-pi egli stesso a mano a mano si fosse liberato della gestio-ne economica, forse volentieri, e forse anco per aver pre-testi onde giustificare i suoi trasporti. Possiamo aggiun-gere anche che in questa forma di epilessia quasi esclu-sivamente caratterizzata da accessi psichici, o tutt’al piùda vertigini e brevi assenze, si può conservare a lungo uncerto grado di intelligenza, ma la lesione più profonda epiù grave ha immancabilmente luogo nel carattere, nel-l’affettività, nel sentimento. Codesti epilettici sono anzimolto più pericolosi dei pazzi morali, coi quali intantohanno un’estrema analogia, se pure, come noi opiniamoda qualche tempo, epilessia e pazzia morale non sono col-legate intimamente sotto il punto di vista della patogene-si, potendosi amendue considerare come anomalie costi-

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tuzionali di sviluppo della personalità: del che è ancheargomento irrefutabile quel facile associarsi o succedersidell’una con l’altra, ed il fatto, ammesso da tutti i neuro-patologi, del carattere bizzarro e morboso di pressochétutti gli epilettici e delle isteriche.

L’epilessia larvata, coi suoi accessi equivalenti pura-mente psicopatici, passa nell’opinione comune sotto ilnome di violenza, di brutalità o malvagità degli istinti, diirascibilità morbosa, o anche di perversità d’animo, co-sicché in una Corte d’Assise tali malati sono spessissi-mo condannati. Ma anche quando non si manifesti conquei segni sicuri o quasi patognomonici, che sono (comenel caso attuale) le vertigini, le piccole assenze e l’enu-resi notturna, questa fra gli altri sintomi principalissima,la scienza possiede nel carattere stesso degli accessi, nel-la loro intermittenza, nei fenomeni cui danno luogo, al-trettanti indizi per diagnosticarla, senza che, fosse ancheesclusa l’epilessia, ciò che crediamo impossibile, il signorconte K. apparirebbe sempre come affetto d’una malat-tia mentale pericolosa e grave, quale sarebbe appunto lapazzia morale.

Egli poi obbietta che volendo fare ad un tempo deldelinquente un pazzo morale ed un selvaggio arrestato,si sovrappongono due tesi che si alternano e si contrad-dicono, comeché la follia è il frutto della civiltà ed è ra-ra nei selvaggi; ma la follia morale non è la comune fol-lia. Non può dirsi rara nei selvaggi – perché è, anzi, il lo-ro modo etico di vivere. – Nei rei, essa è quasi semprecongenita. – E poi i fatti son fatti.

Ora, oltre ai fatti atavistici, per esempio, alla fossettaoccipitale mediana, ai seni frontali, io aveva, fin dai primistudi tentati in proposito, veduto innestarsi nel reo alcunialtri ch’erano pure congeniti, ma che non potevano esse-re atavistici, come per esempio l’asimmetria facciale chenon esiste nel selvaggio, come l’accavallamento di alcunidenti, lo strabismo, l’ineguaglianza dell’orecchio, la pa-

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chimeningite; e fin d’allora, io, senza pensare alla futurafusione, aveva già detto che questi erano segni di malattiefetali. Solo molto più tardi mi accorsi che questi caratte-ri coincidevano con quelli che si davano al pazzo moraleevi s’univano nelle funzioni altri caratteri ch’erano pato-logici, e non atavistici come la discromatopsia, le paresiunilaterali, l’ineguaglianza delle pupille; ciò non era in-nestato artificialmente, e si venne formando lentamentecome una vera serie di sedimenti negli studi ulteriori trala prima e la terza edizione dell’ Uomo delinquente. Anzidopo questa, mentre io preparava pel 2º volume lo stu-dio sul delinquente epilettico, che già da un gran tempoaveva compreso essere da studiarsi affatto a parte, mi ac-corsi che nella specie del delinquente epilettico rientra-va completamente il pazzo morale o il deelinquente na-to e così colmava quelle lacune che ancora mi rimaneva-no nella mente per ispiegare i fenomeni patologici puri enon atavistici del reo nato, p. es. la discromatopsia piùfrequente, la intermittenza, la contraddizione dei carat-teri affettivi, gli impulsi irresistibili, il bisogno del malepel male, e quei fenomeni di meningite, di rammollimen-to cerebrale che certo non erano atavistici. Nessuna al-tra malattia fuori dell’epilessia esiste nella patologia chepossa nel medesimo tempo fondere, e riunire i fenomenimorbosi con l’atavismo.

I pratici avevano già da un pezzo osservato che l’epi-lettico commette spesso atti atavistici, come abbaiare emangiare carne umana ecc.158.

E questo spiega una quantità di fatti che appunto l’a-tavismo non spiegava, p. e. quel carattere che tanto ab-bonda nel gergo del cinismo della gaiezza bestiale cheabbrutisce quanto tocca, e che è uno dei caratteri mora-li che manca nel selvaggio, ma si trova nell’epilettico, al-ternato alle volte nello stesso individuo coll’eccessiva re-ligiosità, come nei delinquenti.

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Né manca il rapporto colla infantilità, poiché è specia-le ai bambini quella impulsività intermittente in cui infi-ne si risolve tutta la tempra dell’epilettico. Pensate all’i-racondia morbosa del fanciullo, che spesso dopo la biz-za ne resta oblivioso e all’intermittenza e contraddizio-ne degli impulsi, alla mancanza di inibizione. Riducendosotto il tipo epilettico le varietà della follia morale, si tol-gono quelle inesatte descrizioni di tal malattia che aveva-no resi non ingiustamente increduli tanti scienziati.

Certo che sarebbe, come ben dice Tarde, assai piùseducente, assai più di moda e assai più facile a essereadottata una teoria che si limitasse al semplice atavismo;ma quante volte non avviene che il vero è meno bello delfalso o dell’incompleto!

Si obbiettò con ragione, contro la fusione da me tenta-ta, nel primo volume, del delinquente-nato coi pazzi mo-rali, che il numero di questi era troppo scarso; ciò era ve-ro sì, ma inevitabile, perché appunto per essere i pazzimorali dei criminali-nati, e’ non si trovano così frequen-temente nei manicomii; ne è possibile farne un parago-ne, comecché gli oggetti identici meglio si sommano chenon si paragonino.

Ma vi è un punto di contatto ben più facile a cogliersie ben più importante, ed in un campo più vasto, nell’e-pilessia, che riunisce e fonde insieme gli uni e gli altri inuna stessa grande famiglia naturale.

Certo, per chi non vede nell’epilessia se non l’accessoconvulsivo o l’equivalente psichico, od al più le assenzeo le vertigini, questa identificazione parrebbe la cosa piùassurda del mondo: ma non lo è più quando si riescaad abbracciare con un sol colpo d’occhio non solo gliepifenomeni più spiccati nella vita di questi individui,ma anche quegli altri caratteri secondari, il cui insiemecostituisce quello che chiamerò il tipo epilettico. Quitroveremo riuniti, per quanto esagerati, tutti i tratti delpazzo morale e del delinquente-nato.

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Ma è sopratutto lo studio psicologico degli epiletticiche ne rivela la completa identità coi criminali e pazzimorali. La prima prova è data dalla psicometria ( Arch.psich., VII, 2); su 13 epilettici, paragonati a 13 uominisani, il Tanzi, che intraprese apposite ricerche, trovòun ritardo nella equazione personale come 3 : 2, o piùprecisamente come 200 : 100, con oscillazione media di0′′,024 a 0′′,011.

Su 320 casi ritrovavano altrettanti Algeri e Tonnini.Se ora noi veniamo allo studio psicologico propria-

mente detto, noi constatiamo che solo gli epilettici pos-sano abbracciare, come i folli morali e i criminali, sot-to una forma clinica eguale, una divergenza intellettualeenorme, che dal genio va fino all’imbecillità.

Liman ( Zweifelhafte Geisteszustände vor Gericht, pag.69) ricorda che Giulio Cesare, Petrarca, Newton, Mao-metto, Pietro il Grande, Molière e Napoleone erano epi-lettici, ed io aggiungo che i loro non rari discendenti cri-minali e pazzi, le frequenti loro allucinazioni, e il fattoche appunto la concezione geniale, come io dimostrai nelGenio e follia, ha per l’istantaneità, per l’intermittenzafrequentissima, per l’incoscienza seguìta perfino d’am-nesia, una notevole somiglianza con la scarica epilettica,spiegano e confermano quella concomitanza, e ben l’in-travvide ora pure, il Tonnini (o. c.).

E notisi che il contrasto tra la demenza ed il genioo la mente sana che si nota nei vari individui, non diraro si trova nello stesso individuo alla distanza di pochigiorni o anche di poche ore, cosicché un uomo disfrasico,amnesico, abulico, incapace di formulare un pensieroanche infantile, può a breve distanza creare dei concèttioriginali o ragionare limpidamente. Ciò si dimostreràmeglio con un esame della scrittura.

E l’ingegno dell’epilettico, anche non imbecille, pelsolo fatto della frequente pigrizia o del contrasto del-l’indolenza abituale coll’eccesso nelle male opere o nelle

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strane, fantastiche, è affatto simile a quello del reo-natoe, come ben notano Gonzales e G. B. Verga, non si puòappunto per questo confondere coll’imbecillità, in cuil’indebolimento psichico è costante e non si alterna collageneralità.

Qui è bene far notare che la differenza anatomica piùevidente fra epilettici e criminali completa queste ricer-che. Ricordiamo la frequente microcefalia frontale chenoi trovammo così spesso nei delinquenti ne’ quali emer-se una inferiorità quadrupla della semicirconferenza cra-nica anteriore, in rapporto ai normali, e un’inferiorità,come 95 a 100, del diametro frontale minimo ed unamaggioranza di fronti più basse e più strette, e la fre-quenza dell’appiattimento della regione frontale, e quel-la dei seni frontali. Questa inferiorità non trovandosi contanta frequenza negli epilettici convulsivi, nei quali pre-valgono le anomalie delle circonvoluzioni parietali e del-le parietali ascendenti, spiega perché in essi meno chein questi spesseggino gli accessi criminosi in cui si capi-sce mancare o la coscienza o la previdenza, e sopratut-to quella energia di freno, d’inibizione ai primi impulsiche distingue l’uomo adulto ed il civile dal barbaro e dalbimbo e dall’ipnotizzato; si hanno allora i fenomeni dellamancanza dei centri psichici frenatori che tutti conven-gono avere loro sede ai lobi anteriori; al che forse si ag-giunge come concausa quella straordinaria assimetria ce-rebrale, rivelata nella plagiocefalia, mancinismo, laterali-smo, che rende costoro i più squilibrati fra gli uomini.

Del resto, in base appunto alle ricerche sperimentali ecliniche sopraccennate, non solo si è fusa completamen-te con nuove prove la epilessia parziale, l’idiopatica collacorticale, ma si arrivò a considerare come fenomeni epi-lettici delle semplici vertigini, delle sbarre epigastriche,delle cefalee e delle scialorree, solo perché precedute daun’aura, e si è ammessa un’epilessia larvata solo su feno-meni psichici. Come, dopo ciò, si può opporre difficol-

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tà ad ammettere la follia morale come un’altra specie diepilessia larvata, come un’epilessia larvata cronica?

Né con ciò intendiamo dire che la pazzia morale siaun’epilessia comune, ne che tutte le epilessie sieno paz-zie morali. Questa dell’epilessia è una forma che andòsempre più estendendosi e includendo una grande quo-ta di altre, prima poco ben studiate. E così si ebbe l’e-pilessia absintica, alcoolica, la tossica, la isterica, la verti-ginosa, la larvata, che sarebbe poi null’altro che la formaacuta della pazzia morale e della delinquenza congenita.

La varietà criminale, a sua volta, mentre per tante di-ramazioni si avvicina e somiglia alla comune epilessia, of-fre poi delle differenze; nel cranio, per esempio, ha me-no frequenti le ossa vormiane, e meno frequente la mi-crocefalia frontale, il che si capisce, perché, come già no-tammo, nella follia morale le più colpite non sono le cir-convoluzioni parietali, ma le frontali. E il vero epiletticopresenta minore acuità visiva, mentre una buona partedei delinquenti l’ha maggiore, e, secondo gli ultimi stu-di, ha, dopo gli accessi, più frequente aumento termico;darebbe, secondo Charcot, 38 e fin 41°, mentre nei cri-minali non passano mai i 37,2, 37,5. I rei-nati, invece, of-frirebbero più frequente vanità, minore istantaneità, mi-nore contrasto nelle passioni e tendenze ed una più fre-quente esacerbazione nei grandi caldi, mentre, secondogli studi di Lachi ( L’influenza delle meteore sull’epiles-sia, 1882), gli epilettici presenterebbero maggiori esacer-bazioni nel freddo e commettono più spesso reati senzacausa, e ne sono inconsci od amnesici.

E la paura in questi influisce assai più che nei soliticriminali, e così pure l’epilessia dei genitori.

Però, in fondo, la differenza sta più specialmente nel-l’esagerazione delle linee: come il pazzo morale si fondecol delinquente congenito, solo differendone in ciò che èun’esagerazione dei suoi caratteri; così il delinquente epi-lettico, propriamente detto, che continua cronicamente

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le ferocie degli accessi acuti o larvati, offre l’esagerazio-ne della pazzia morale; ma nello stadio meno pronuncia-to essi si fondono insieme; e siccome due cose uguali aduna terza sono uguali tra di loro, così è certo che la delin-quenza nata e la pazzia morale non sono che forme spe-ciali, che varianti, dell’epilessia; essi sono, come direb-be Griesinger, stati epilettoidi di cui le altre forme dellacriminalità sono pallide, diluite sfumature159.

E così spiegasi perché continuamente constatavamo sìnumerosi fenomeni patologici che si addizionavano cogliatavistici per formare il tipo criminale.

Qui, poi, è bene notare che l’epilettico, nei casi menofrequenti, ove vi è solamente emotività esagerata, senzatendenza malvagia e senza caratteri degenerativi (16%),ci offre un tratto d’unione coi criminali per passione, dicui noi parleremo nella seconda Parte, i quali d’altra par-te non avrebbero alcun’altra analogia colla follia morale.

Chi obbietta alla fusione della follia morale colla cri-minalità e coll’epilessia, o anche alla creazione del tipocriminale, che molte sono le varietà della prima e spicca-tissime fra di loro, non pensa che v’han varietà grandis-sime anche nei criminali e negli epilettici. Si ponga men-te al Ferretti, al Merli, all’Anna R., al R. Ercole (vedi so-pra), in cui l’epilessia prende forma di astuzia o di fal-sità e si confrontino colle altre che spingono allo stuproe all’omicidio. Questi divarii si riproducono in tutte leclassificazioni, non solo fra le specie dello stesso genere,ma anche negli individui della stessa specie; basta pen-sare agli uccelli di paradiso, al podiceps cristatus in cui ilmaschio differisce tanto dalla femmina da parere di ungenere differente: ma li riunisce poi l’identità, comple-ta in alcune strane tendenze e l’esagerata impulsività chemancano nell’uomo onesto.

D’altronde le gradazioni, in più, in meno, non costi-tuiscono già varietà di specie ma solo di individui, co-noscendosi dalla statistica la legge così detta scalare per

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cui ogni fenomeno non raggiunge il suo acme se non pertante linee intermedie che dal minimo vanno al massi-mo. Chi potrebbe negare che la febbre perniciosa, quar-tanaria, sia la stessa cosa della perniciosa cefalica, del-la pneumonia, perciò che le une differiscono apparen-temente tanto dall’altre? Né si può (col bravo Buono-mo) negare il rapporto della follia morale colla crimina-lità, perché vi sono dei geni che sono nello stesso tempopazzi morali, perché non è esclusa la criminalità nel ge-nio, e il genio dei criminali; tutt’altro, pur troppo: e ciòben si spiega quando si pensa che il genio è, quasi sem-pre, esso stesso come l’epilessia e la pazzia morale, unanevrosi degenerativa160.

Del resto, una volta che si ammetta l’epilessia comel’effetto di una irritazione di alcuni punti della corteccia,si capisce non solo che l’una non può escludere l’altra,ma. che anzi l’una può includere l’altra.

Il Liman, uomo pratico, fornisce dati precisi e curiosialla nostra teoria, nella sua opera Zweifelhafte Geisteszu-stände vor Gericht (Berlin, 1869), dice:

«Se ben di frequente l’epilessia viene in pregiudiziodelle funzioni psichiche, non pertanto in alcuni rari casisi unisce ad un ingegno e ad una mente elevata. Lastoria ci fa sapere che Giulio Cesare, Petrarca, Newton,Maometto, Pietro il Grande, Molière, Napoleone eranoepilettici».

Nei geni si può appunto e per le stesse cause riscon-trare la stessa variabilità come nei criminali, secondo cioèche l’irritazione della corteccia cerebrale sia piuttosto inun punto che in un altro; dall’istologo geniale, eppurecompassato e lento nelle concezioni quanto nelle con-clusioni, v’è più distanza in confronto al poeta divinato-re quasi sonnambulo, che non tra il genio e l’uomo me-dio: ma niuno, perciò, può negare che l’uno e l’altro sia-no uomini di genio.

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Anche nei criminali, secondo che l’uno o l’altro puntodella corteccia sia colpito dall’irritazione, si ha una diver-sa reazione, una forma diversa di crimine; e per la leggedi correlazione che regge anche nelle anomalie, si han-no insieme differenti segni degenerativi; quando è pocospiccata la degenerazione e l’irritazione, si hanno pocheanomalie e reato poco grave e viceversa.

La molteplicità e diversità delle forme, nel genio comenel delitto, si giustifica, insomma, con la grande molti-plicità e relativa indipendenza dei centri corticali; ne es-sa esclude, punto, l’identità di origine e natura: altrimen-ti non vi sarebbe ragione di questione. Niuno pretendeche il ghiaccio sia acqua e il diamante carbonio, benchéessi sieno identici nella composizione.

Né, ben inteso, la fusione della pazzia morale coll’epi-lessia esclude l’atavismo. Tutte le malattie mentali pro-ducono già una intermittente pazzia morale, ma l’epiles-sia una più costante, più continua, essa che, insieme aimotori, offende i centri psichici; e ciò perché si arrestao si perde prima quella attività la quale è comparsa piùtardi nell’organismo mentale dell’umanità.

Se una lesione del cervello abolisce la proprietà di ri-conoscere i colori, il primo colore a scomparire è l’ulti-mo venuto nel processo di differenziazione (il violetto).Ultimo a comparire il senso morale nella evoluzione delcervello, è primo a scomparire nella sua infermità.

Ma, notisi, non solo più costante, ma, direi, più chein tutti gli altri alienati, completo e caratteristico è l’ata-vismo degli epilettici, per la religiosità, che ha forme co-sì primordiali, per la ferocia, l’instabilità, l’impetuosità,per l’agilità, pel cannibalismo, per l’iracondia, precocità,ecc., ed anche per veri istinti animaleschi.

Gowers, notando alcuni atti frequenti negli epilettici,come abbaiare, miagolare, bere sangue, divorarsi col pe-lo animali vivi, come fece un bambino con un gatto dopoaverlo preso pel collo fra i denti, aggiunge: «Sembra che

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queste siano manifestazioni di quella istintiva animalitàche possediamo allo stato latente» ( Epilepsy, London,1880).

Confessione preziosa, perché in bocca ad un medicopratico che non aveva la più lontana idea di queste teorie.

Né vale il dire che i selvaggi non sono epilettici e chequindi da questo lato vien meno l’atavismo. Prima ditutto neanche i selvaggi hanno l’assimetria, la meningitecranica che noi trovammo infiltrarsi in mezzo ai caratteriveramente atavistici (della stenocrotafia, sclerosi, ecc.);e poi nessuno dei casi umani atavistici s’intende legatoad una completa riproduzione della categoria animaleod umana che essi richiamano, ma sì di alcuna delle sueparvenze. Così la Krao e la Gambardella riproducevanola distribuzione pilare delle scimmie inferiori, e la primala borsa-guanciale di alcune scimmie, come la secondala steatopigia degli Ottentotti; le si dicono riproduzioniatavistiche; ma nessuno pretende per ciò che la Krao e laGambardella siano veri quadrupedi in tutto il resto delcorpo, o veri Ottentotti in carne ed ossa.

Né l’epilessia ci fa smarrire quel punto d’unione chetrovammo fra la pazzia morale e l’infanzia. L’epilessia fuappunto detta il morbo dell’infanzia, morbus primae in-fantile, e Cividalli e Amati trovarono 78 epilettici su 120colpiti nella prima infanzia. E la passione pro e controgli animali, la smania della distruzione degli oggetti ina-nimati è propria dei bambini come degli epilettici e deipazzi morali.

Come si vedrà in seguito o trovato tra il pazzo mora-le e l’epilettico parallelismo completo nel cranio, nella fi-sonomia, con una proporzione perfettamente eguale nel-le anomalie degenerative e nelle malattie cardiache, tan-to che la fisonomia dell’epilettico, anche non criminale,specie per l’asimmetria, assomiglia assolutamente a quel-la dei criminali e ne assume il tipo.

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E analoga è la ottusità sensoria che qui si poté prende-re in una scala più grande; evi si trova frequente il man-cinismo, motorio e sensorio, l’agilità, l’esagerazione deiriflessi, l’andatura e la lateralità, che qui si estende allatemperatura, alla deformazione del torace e agli arti.

Ma è sopratutto lo studio psicologico che ce ne mostrala perfetta analogia nell’egoismo, nell’irritabilità morbo-sa che fa passare ai due eccessi opposti dell’abbiezionee della megalomania, della passione fantastica e dell’o-dio senza causa, nell’assenza completa, nella anestesia delsenso morale, nella religiosità paurosa, selvaggia e quasifeticia, in quel carattere singolarissimo dell’intelligenza.che varia in tanti, e spesso anche nello stesso individuo,dall’imbecillità più completa fino ai lampi del genio, cosìd’averci fornito documenti per dimostrare essere il geniouno stato epilettoide161.

Un’altra serie di ricerche ci ha mostrato un’analogia inalcuni caratteri, per sé poco importanti e poco specifici,ma che, riuniti assieme, ne completano e suggellano lafisonomia morale e l’analogia col delinquente-nato. Ta-li sono: la smania di vagabondare, l’amore singolare al-le bestie, il sonnambulismo, l’oscenità precoce, sanguina-ria, intermittente, esagerata, la disvulnerabilità, la passio-ne di rompere e distruggere oggetti ed esseri vivi e morti,che va fino al cannibalismo, la vanità del delitto, la grafo-manìa, il carattere speciale della scrittura che varia comela loro personalità, la simulazione, la tendenza più fre-quente al suicidio, e la tendenza, dimostrata dalla stati-stica, a commettere reati, con o senza coscienza, o concoscienza crepuscolare, sicché la loro vita riesce un pro-lungamento, una continuazione di quell’esplosione cri-minosa, violenta, feroce e quasi sempre incosciente, chegià fu chiamata stato di epilessia larvata, ammettendosidunque una forma di epilessia costituita dalla criminosi-tà con esclusione, almeno temporariamente, della formaconvulsiva, la quale ultima si riconobbe, dai migliori pra-

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tici, essere più rara e sostituita solo da vertigini nei casiappunto in cui più grave manifestavasi l’anomalia psichi-ca.

Il parallelismo è reso più sicuro dall’esperimento fi-siologico che ci mostra essere l’epilessia una scarica di al-cuni centri corticali irritati in individui predisposti dallaeredità, dal trauma, dall’intossicazione: e ciò s’accordacon quanto l’anatomia patologica ci mostrò negli epilet-tici, nei rei e nei pazzi morali, in cui predomina la micro-cefalia frontale e la infiammazione della corteccia e dellemembrane cerebrali.

L’eziologia completa il parallelismo, mostrandoci, nel-l’analoga distribuzione geografica degli uni e degli altri(epilettici e criminali), nell’età giovane, nel discendere daepilettici, da alcoolisti, o nel comparire dopo traumi, ti-foidee, meningite, e nel vedersi nelle genealogie delle fa-miglie degli epilettici come dei pazzi morali, miste le uneforme colle altre, nel vedere che spesso le tendenze cri-minose di un fratello criminale completano il quadro cli-nico del fratello epilettico.

E così si spiega la enorme frequenza di veri epiletticifra i criminali, che già si calcolava prima il decuplo al-meno del normale, ma che, con uno studio più diligente,arriva fino al centuplo.

Con questa fusione si completa e si corregge la teoriadell’atavismo del crimine, coll’aggiunta della mala nutri-zione cerebrale, della cattiva conduzione nervosa; s’ag-giunge, insomma, il morbo alla mostruosità; come avea-no intraveduto, partendo dalla pura ma geniale induzio-ne, Sergi ( Rivista di filosofia scientifica, 1883) e Bonvec-chiato (op. cit.) e prima di tutti Virgilio162.

Fino a pochi anni fa gli storici, molto più cronisti chepsicologi, abili nell’illustrare le conquiste, le guerre, iduelli che hanno importanza pel volgo, ma punto per lafisiologia del pensiero, non ci informarono, o quasi mai,delle affezioni e dei caratteri degenerativi che colpirono i

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genii o i loro congiunti; ne la vanità, che in costoro è mas-sima, ha loro concesso di rivelarceli, salvo in poche ecce-zioni come a Cardano, a Rousseau. – Se un famigliareper caso non avesse sorpreso, una sola volta, Richelieu indelirio epilettico, chi se lo sarebbe sognato? E chi, senzale recenti memorie di Berti e di Mayor, avrebbe credutoche Cavour due volte avesse tentato il suicidio? – Se Tai-ne non fosse uno dei pochi, che han compreso quantola psichiatria giovi nello studio della storia, non avrebbecerto potuto sorprendere quei tratti, che dimostraronglila follia morale di Napoleane. La moglie di Carlyle pri-ma di morire scrisse le proprie torture, ma poche moglifanno altrettanto, e pochi mariti, a dir vero, s’affrettanoa pubblicare simili memorie. – Anche ora, quanti credo-no ancora il celebre Aiwosowski un tipo angelico, lui chesoccorre centinaia di poveri mentre poi lascia affamata lamoglie ed i figli?

Aggiungasi: essere la follia morale e l’epilessia psichi-ca, che sono le più frequenti fra i genii, fra le forme dialienazioni le più difficili ad appurarsi, sì che ben spes-so sono negate durante la vita dai più, benché davantiall’alienista appaiano evidenti.

E non vi sono ancora uomini di vero valore che dubi-tano della follia di re Luigi di Baviera anzi apertamentela negano?

D’altronde non v’è mai caso individuale in natura; tut-ti i casi singoli sono espressioni ed effetti di una legge, so-no il punto, come dicesi in statistica, di una serie. Ed ilfatto accertato e da rutti ammesso di alcuni grandi ge-nii alienati fa già presumere, anche negli altri genii, l’esi-stenza, per quanto in minor grado, di una psicosi. «Ma vihanno (aggiunge Joly) molti genii precoci come Raffaelloa 14 anni; Mozart a 6; Michelangelo a 16; e ve n’han deimaturi, e che hanno caratteri tra loro speciali come Al-fieri». – Noi diremo che la precoce originalità è uno deicaratteri del genio; ma appunto perché esso è una nevro-

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si, – un trauma, una intossicazione possono provocarlaanche in età tarda; e come nevrosi che dipende da un’ir-ritazione della corteccia, può assumere aspetti diversi se-condo il punto colpito – sempre serbando la stessa natu-ra.

Ed appunto i pochissimi genii maturi, se pure ve n’eb-be, presentarono caratteri loro speciali.

Seailles nel suo lodato: Essai sur le génie dans l’art,pretende: «che il genio sia una continuazione delle con-dizioni della vita comune; come tutti facciamo dellaprosa, così, secondo lui, tutti abbiamo [un] po’ di ge-nio». Ma allora come – accade (oppongli giustamen-te Brunetière)163, che uno riesca, solo, grande pittore, ogrande poeta e null’altro, e che tanti filosofi affermino,come è vero, consistere il genio nello sviluppo esageratodi una potenza dello spirito a spese delle altre?

È un mostro, altri dicono: Ebbene anche i mostrihanno leggi teratologiche ben definite.

Brunetière pretende: «che il genio non possa andaresoggetto a leggi perché è la più alta delle forme umane, eperché si tratta di individualità, comeché il potere dellascienza finisca, secondo lui, ove comincia l’individualità.Il genio e la santità non hanno leggi perché sono casiparticolari. La santità è la virtù, più qualche cosa chenon ha che il santo».

Ma senza rispondere che quest’ultima definizioneequivale ad asserire che la santità è la santità; è, appun-to, qui dove si mostra l’errore; anche la santità e la virtùsono alle volte portate all’eccesso in grazia alle malattiementali. D’altronde, fatti non soggetti a legge non esi-stono, e meno ancora in questo caso, in cui la legge ciè offerta dalla teoria della degenerazione, che appuntocolma le lacune in quei casi, in cui non appariscono lenevrosi del genio stesso, ma sì ne’ suoi ascendenti.

Brunetière soggiunge: «Sola caratteristica del genio èla sua differenza ossia la sua singolarità d’attitudine che

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lo distingue ed isola da tutti quelli che sembrano posse-derne di simili a lui... Questo individualismo del genio(aggiunge) fa che tutte le teorie sul genio abortiscano».Eppure egli non pensa che qualche cosa di identico puòapplicarsi ai monomani, ai paranoici.

«Vi hanno, continua, uomini di talento, Addison, Po-pe, che mancarono di genio, e uomini di genio che man-carono di talento, come Sterne». – Ma questi due fat-ti non si contraddicono: mancare di talento, o meglio dibuon senso, di senso comune, è questo uno dei caratterispeciali del genio, e che ne sigillano la nevrosi, la psicosi,indicando che l’ipertrofia di alcuni centri psichici e, co-me diciamo tecnicamente, compensata da parziali atrofiedi altri.

Ma, addentrandoci vieppiù nell’analisi dei fenomenigeniali, al lume delle nuove teorie sull’epilessia, la qua-le si risolve,) ora, secondo gli studi completamente con-cordi dei clinici e degli esperimentatori, in un’irritazionedi determinate zone della corteccia cerebrale, in scop-pii, ora motori, ora sensorii, ora psichici, oppure verti-ginosi, ma sempre intermittenti e sempre sopra un fon-do degenerativo, od ereditario, o predisposto alla irrita-zione, dall’alcool, dai traumi, ecc. (v. Archivio di psichia-tria, vol. VII; Homme criminel, parte III), intravvedia-mo un’altra conclusione: – che la creazione geniale siauna forma di psicosi degenerativa della famiglia specia-le o del genere epilettoide. Lo mostra la derivazione fre-quente da alcoolisti, da vecchi, da pazzi (pag. 218, 219,224), e in seguito a traumi al capo (pag. 9, 230). La mi-nore quota di donne di genio, come abbiamo altrove di-mostrato, conferma le origini degenerative ed epilettichedel genio, essendo nelle donne più rare le degenerazioni,e più rare le epilessie psichiche. E la comprovano anchele frequenti anomalie, specialmente di assimetria crani-ca, ed ora la troppo grande, ora la troppo debole capa-cità (v. sopra), e la frequenza di quella follia morale, che

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io ho dimostrato, nell’ Homme criminel, parte III, esse-re una variante dell’epilessia: e la frequenza delle alluci-nazioni, la precocità venerea ed intellettuale (v. s.), e ilnon raro sonnambulismo, la doppia personalità che ne fadue, talvolta tre uomini opposti l’uno all’altro per sensi-bilità ora esagerata, ora ottusa (v. pag. 29); e le anoma-lie del campo visivo che dopo la scoperta di Ottolenghisi danno speciali all’epilettico ed al reo-nato, e le ottusi-tà tattili, e la frequenza del suicidio, che è pur comunis-simo nell’epilettico (v. il mio Homme criminel, vol. I),e la intermittenza e, sopratutto, le amnesie e le analge-sie, la frequente tendenza al vagabondaggio, la religiosi-tà che si manifesta perfino negli atei (Comte), le stranepaure da cui alcune volte sono colti, la moltiplicità con-temporanea dei deliri, che è così comune negli epilettici(Encéphale, n. 5, 1887), e che noi vedemmo essere in es-si quasi costante: e la frequenza dei deliri stessi per mi-nime cause e lo stesso misoneismo, e lo stesso rapportocolla criminalità, il cui punto d’unione è nella follia mo-rale: s’aggiunga l’origine e la discendenza criminale e diimbecilli (v. pag. 214, 215, 216, 218) che segnala costan-temente ed il genio e l’epilettico, e che si può veder neiquadri citati delle famiglie dei Cesari e di Carlo

E lo prova pur anco quell’insensibilità affettiva, quel-la perdita del senso morale, che è generale a tutti i ge-nii pazzi, e non pazzi, che fa anche dei più moderni con-quistatori non altro che dei briganti in grande scala (v.s.)

A chi dubitasse di queste conclusioni, che possonosembrare strane a chi non conosce quanto siasi esteso ilcampo dell’epilessia nei tempi moderni, sicché moltissi-me emicranie, intermittenti e scialorree, ed amnesie, so-no ora riconosciute per epilessie, e moltissime forme dimonomanie non ne sono che il travestimento, facendo laloro insorgenza, come trovò Savage, spesso sparire ognitraccia dell’epilessia preesistente, basti ricordare la quan-

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tità di uomini di genio di primo ordine, presa da epiles-sia motoria o da quella vertigine, o da quella iracondiamorbosa che è noto fame assolutamente le veci (pag.60,101,116,128, 132,135, 138, 146, 218), e sono nientemenoche Napoleone, Molière, Giulio Cesare, Musset, Petrar-ca, Pietro il Grande, Maometto, Haendel, Swift, Riche-lieu, Carlo V, Flaubert, Dostoyewski, Guerrazzi e SanPaolo. Senza dire, poi, delle vertigini che si notarono inDickens, Swift, Herschell, Faraday, Malborough, e verti-gini così prettamente corticali epilettoidi che si accompa-gnavano a perdita di memoria o paralisi come in Dickense Faraday, a convulsioni, in Malborough.

Ora, per chi conosce la legge così detta binomiale oseriale, secondo cui nessun fenomeno avviene isolato, maè sempre l’espressione di una serie di fatti analoghi menospiccati, tanta frequenza di epilessia in uomini sommi frai sommi non può non indiziare essere essa più estesa frai genii, che prima non si credesse; e la natura medesimadel genio poter essere epilettica.

Ed è, a tal proposito, importante il notare come, inquesti, la convulsione sia apparsa rarissime volte nellavita, sapendosi che in tali casi l’equivalente psichico (chein questo caso è la creazione geniale), è più frequente edintenso.

Ma, sopratutto, l’identità ci è provata dall’analogiadell’accesso epilettico col momento dell’estro, in quel-l’incoscienza attiva e violenta che crea nell’uno e s’agita,motoriamente, nell’altra.

Ricordiamo quanto abbiamo accennato nelle confes-sioni dei genii; in questo s’accordano tutti, non escluso ilchimico, il matematico, la cui preparazione è certamentepiù lenta e graduale, ma in cui l’accesso creatore si ma-nifesta sempre istantaneo, incosciente e ad intermittenza(v. pag. 23, 27, 40, 126, 141); ricordiamo quanto abbia-mo trovato, per esempio, per le scoperte astronomiche,e quanto attesta Napoleone per le combinazioni strategi-

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che, e la scelotirbe convulsa d’Archimede dopo l’Eureka,e il ballo di Gay-Lussac.

Quello che più di tutto ce ne persuade è l’analisi del-l’estro creatore che, anche a quanti ignoravano le recen-ti scoperte sulla natura dell’epilessia, ne la ricorda; nonsolo per l’associarsi frequente a insensibilità dolorifica, airregolarità del polso, ad incoscienza spesso sonnambo-lica, per la istantaneità, intermittenza, ma anche per l’ac-compagnarsi, non di rado, a moto convulsivo degli arti,per l’amnesia che spesso lo segue, per l’essere provocatospesso da sostanze o da condizioni che dan luogo od au-mentano l’iperemia cerebrale, e da sensazioni potenti; epel suo trasmutarsi o seguire ad allucinazioni.

Codesta somiglianza dell’estro coll’accesso epiletticoci è segnalata da una prova più diretta, più intima, leconfessioni stesse dei grandi epilettici, le quali ci mostra-no come l’uno si confonda completamente coll’altro. Ec-co le parole di un grande uomo politico, Beaconsfield:«Spesso mi viene in mente che non vi è che un passo fralo stato di intensa concentrazione mentale e la pazzia; ionon potrei ben descrivere ciò che sento in quell’istante:allora mi pare che i miei sensi vaneggino, e che io nonsia più sicuro della mia esistenza; mi ricordo che spes-so ho dovuto ricorrere ad un libro per vedere il mio no-me scritto ed assicurarmi che io viveva. Durante que-sto stato le mie sensazioni sono incredibilmente acute edintense. Ogni oggetto mi pare animato e mi pare di es-sere conscio del movimento rapido della terra» – E unmoderno romanziere: «È una fatalità che vi detta l’idea:la è una forza sconosciuta, una volontà soprannaturale,una specie di necessità di scrivere che vi dirige la penna;di maniera che, a volte, il libro che finite non vi sembrapiù vostro; evi meravigliate come di una cosa che esiste-va in voi e di cui non avevate coscienza: tale è l’impres-sione che provai nel creare la Sœur Philomène» (Juurnaldes Goncourt, vol. I).

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Il carattere più spiccato del genio è dunque la crea-zione incosciente, che è il fenomeno più singolare se nonunico dell’epilessia: e da ciò a dedurre che esso sia unavariante speciale, divina, di quel morbo sacro – non ripe-to questo sinonimo senza una ragione – è un passo cheanche al meno dotto delle materie psichiatriche non èdifficile.

Per coloro che ignorassero come in molti epiletticitutto l’accesso consista solo in una eccitazione violentaseguìta da amnesia, anche del solo senso, ricordo unmio malato che ora è preso da accesso motorio, orasolo da vertigini associate alla vista di una viva lucegialla; ricordo l’epilettico di Frigerio, che nel momentodell’accesso sente spesso solo ridestarsi l’estro venereonon ai genitali, ma all’epigastrio, e con eiaculazione;e l’altro in cui l’accesso preceduto da aure consiste inuna atrocissima nevralgia brachiale e crurale, seguìta daamnesia ( Arch. di psich., IX).

S’aggiunga che in alcuni di costoro, non solo l’accessoma tutta la vita ricorda la fenomenologia psichica dell’e-pilettico. – Basti dare un’occhiata ai tratti con cui Tainescolpì l’immagine del più grande dei conquistatori mo-derni e a quelli con cui Renan ci dipinse il più grandedegli apostoli. (pp. 568-691)

Ma a proposito del dominio dell’incosciente nel genio,il critico più profondo di queste teorie, il Sergi, ci obbiet-ta che l’incosciente e l’esplosione non sono esclusivi al-l’uomo di genio, si trovano anche nelle persone volgari:senonché posso rispondergli, come già a quanti obbiet-tavanmi, spesseggiare i suicidi, la pazzia, la nevrosi, oltreche nei genii, anche nell’uomo comune; – che essendoumani anche i genii, hanno naturalmente i caratteri deglialtri uomini; ma è la proporzione intensa in cui vi si tro-vano l’incosciente e l’esplosione che varia: ed è sopratut-to grande la differenza negli effetti utili; mentre l’inco-sciente nell’uomo del volgo vi darà un lavoro di poca im-

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portanza, un saluto, un augurio e l’esplosione un pugnoo una bestemmia; grazie alle cellule psichiche più nume-rose, qui vi darà la teoria della gravità o la battaglia diMarengo o la Sonata del Diavolo.

Il lavoro mentale, osserva giustamente Saint-Paul ( Es-sais sur le langage intérieur), è compiuto in gran parte dalcervello senza che noi ne abbiamo coscienza, siamo co-me il filo elettrico che trasmette il segno, ma che non av-verte cosa questo segno significa, ne cosa dirà combina-to cogli altri segni. Noi trasmettiamo una sensazione alcervello e questa sensazione viene elaborata, trasformatain pensiero.

L’uomo, insomma, è una specie di medium del cervel-lo, e a quei che domandano perché – se un’opera d’ar-te è il frutto d’un pensiero meccanico quasi istintivo, –tutti non producano delle opere d’arte, si potrebbe benrispondere che tutte le persone non possono essere deimedium.

Che il genio crei inconscio, sotto l’impulso di un istin-to – fu notato dai genii stessi – Wagner scrive: «Nell’ar-tista lo stimolo al creare è affatto incosciente e istintivo, eperfin quando egli ha bisogno di riflettere per dar formad’arte all’immagine che ha intuito, non è propriamentela riflessione che lo indurrà alla scelta definitiva dei suoimezzi d’espressione, ma sempre più un impulso istinti-vo». ( Musica dell’avvenire).

L’illustre scultore Leonardo Bistolfi, spiegava alla miaPaola ( Vita moderna): «Quando creo non so mai benecosa voglio fare, prendo della terra e lascio che le miemani tastino, facciano, per delle ore, per dei giorni interi;non riesco a nulla: ad un certo momento basta che iosposti l’argilla per capire che cosa debbo fare e a untratto vi trovo dentro quello che cercavo confusamente»;ed egli mi raccontava poi come, avendo dovuto fare unmonumento sepolcrale, andò a vedere il posto in cui ilmonumento doveva sorgere, nel cimitero di un villaggio,

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e sentì una certa impressione particolare. Dopo qualchetempo egli fece un bozzetto (che fu poi la Sfinge) le cuidifficoltà erano immense; egli non poteva capacitarsi delperché si sentiva così ciecamente spinto a fare una cosache tutti gli dicevano aver proporzioni assurde, comeanche a lui pure pareva: la testa era piccola, la personatroppo lunga; solo quando la statua fu portata al suoposto egli capì perché l’aveva fatta così: perché così lavolevano il posto, il paesaggio, le ombre onde ottenerequella data impressione di riposo, di pace. Il pensieroincosciente aveva dunque sempre avuto dinnanzi agliocchi il posto e l’aveva spinto così ciecamente; gli parevadi non rendersi ragione di ciò che faceva...; ed invece egliragionava giusto ma incoscientemente.

A questo proposito del come si compie inconscio il la-voro mentale, sono interessanti a conoscersi certe rispo-ste date al Saint-Paul, da molti studiosi, letterati ed arti-sti sul loro modo di ricordare, concepire, scrivere, idea-re.«La mia memoria – dice Zola – fin da bambino era co-me una spugna che si gonfia e poi si vuota. Quando ioevoco gli oggetti che ho veduto, li rivedo tali e quali colleloro linee, le loro forme, i loro colori, i loro odori, i lorosuoni; è una materializzazione ad oltranza: il sole che leilluminava quasi mi accieca, l’odore mi soffoca, i detta-gli mi si appiccicano e mi impediscono di vedere l’insie-me, e per riaverlo mi occorre che passi un certo tempo;allora nell’insieme le grandi linee, le grandi creste si stac-cheranno nette. Questa possibilità di evocazione non du-ra, mentre l’immagine è di una esattezza, di una intensitàimmensa, ma poi sbiadisce, sparisce... e se ne va».

E Coquelin, il grande attore francese: «Ho notatoquesto: Leggo un dramma dove io ho una parte, allo-ra vedo venire il personaggio vestito, vivo, coi suoi ge-sti, i suoi tic, il colore del suo vestito. È una evocazio-ne, una visione immediata. Comincio a studiare la parte,per tutta la durata di entrata nel cervello, di immagazzi-

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naggio nella testa (periodo della parte imparata a memo-ria), la visione sparisce. Io son pieno di inquietudini, diturbamento, passano dei giorni, il lavoro di gestazione sicompie in me. La mattina, ad un tratto, la visione mi ri-passa, il personaggio è tornato; lo porto a teatro e mi famanovrare come vuole».

Henaut confessavagli: «Io ho spiccatissima la cerebra-zione incosciente: essa procede in me esattamente co-me qualcuno che cerca risolvere un problema algebrico,e che una volta trovata l’equazione, la scrive sulla lava-gna. Per questo scrivendo, i miei pensieri prendon unaespressione precisa e spesso definitiva. Non faccio qua-si mai una seconda copia; quando la cosa non cammina,strappo la pagina incominciata e la ricomincio».

Un altro poeta celebre: «Io ho scritto molti versi, com-medie, ecc., ma mi è impossibile di creare immediata-mente su un tema dato, anche molto chiaro, qualche co-sa. Il concetto generale che è venuto alla mia mente sot-to forma di parola, di un titolo, deve restarvi per un tem-po più o meno lungo; un periodo di cristallizzazione ce-rebrale, di incubazione latente, assolutamente latente nelsenso che io non lavoro il mio soggetto, non vi penso piùe non mi ritorna in mente che come un dato, indeciso,mi è indispensabile. Quando il frutto è maturo lo sen-to istintivamente, prendo la penna e sboccia come unasorgente».

Un altro, il prof. Rambusson, dice: «Mi par qualchevolta che io non intenda le parole e non ho coscienza diquello che dicono se non quando esse mi passavan sullelabbra. Era come un nascere spontaneo del pensiero».

E un, altro ancora: «Io mi meraviglio qualche voltadella espressione di quello che ho detto, non sapevo didoverlo dire».

Un altro: «Io son sempre meravigliato dello sviluppoche ricevono in qualche modo naturalmente delle coseche mi parevano mal preparate».

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Guglielmo Lunet scrive: «Mano a mano ch’io scrivo,i personaggi assumono il loro carattere, gli episodi minascono per così dire sotto la penna coi dialoghi, lescene, il dramma; esso mi si svolge insomma mentrescrivo come se una parola ne portasse un’altra, e il miopensiero scritto un altro pensiero».

Questo svolgersi di fenomeni inconsci nel genio fusintetizzato dal Mach (op. cit.).

Quando la mente ha più volte contemplato il medesi-mo soggetto, aumentano le probabilità di occasioni favo-revoli, tutto ciò che può riferirsi od adattarsi all’idea do-minante acquista maggior rilievo, e tutto ciò che è estra-neo, a poco a poco si ritrae nell’ombra e più non torna aturbare l’intelletto; allora può avvenire che tra le imma-gini prodotte in gran copia dalla fantasia abbandonata ase stessa e quasi allucinata risplenda di luce improvvisaquella che esattamente risponde all’idea, alla ispirazioneod all’intenzione predominante.

Quando ciò avviene, ciò che in realtà si è prodottoper via d’una lenta selezione sembra essere il resultatodi un altro creatore. Così è facile comprendere comeNewton, Mozart, Wagner, potessero affermare che leidee, le melodie, le armonie, affluivano spontanee allaloro mente e essi non altro facevano che ritenerne ilbuono ed il meglio.

In sostanza, scrive Renda ( Ideazione geniale, Torino1900) i fattori propri ai normali fenomeni mentali con-corrono anche nella ideazione geniale, precedendo e se-guendo l’elemento specifico del genio, preparando i ma-teriali ed elaborandone successivamente il prodotto, mal’elemento specifico del genio è la cerebrazione inco-sciente rapidissima non arrestata da ostacoli logici, o dapresupposti scientifici e per cui confluendo liberamente,associandosi senza freno le idee e le immagini, si vannostabilendo tra esse, di un tratto, rapporti nuovi. La con-clusione può essere una profezia o un delirio, o l’una o

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l’altra contemporaneamente; ma il processo è il medesi-mo.

L’incosciente domina dunque sovrano dell’opera delgenio assai più che in quella dell’uomo medio e con fruttiassai più grandiosi, naturalmente perché esso vi disponedi gruppi cellulari corticali assai più attivi e più numerosiche negli altri uomini.

E forse la soluzione del quesito che si pose innanzicon tanta genialità Fogazzaro ( Dolore nell’arte), perché ifenomeni dolorosi sieno tanto più fecondi di ispirazioniartistiche in confronto dei lieti (eccettuando però glierotici), sta nel fatto che quelli si addentrano più assainell’incosciente, mentre i gioiosi si sfogano in riflessirumorosi, ma superficiali col grido, col canto, coll’orgia.

Intanto il predominio immenso dell’incosciente nell’o-pera del genio, conferma l’ipotesi dell’identità di questocon l’epilessia psichica, che si può dire tutta una serie diattività psichica incosciente.

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Delinquente alcolista e isterico

E peggio fa il vino; e ancor peggio l’alcool, che si può direvino concentrato, quanto all’attività venefica, e peggioancora quei liquori d’assenzio, di vermouth, che, oltreall’alcool puro, contengono droghe intossicanti i centrinervosi.

L’alcool, infatti, dopo aver eccitato, indirizzato nellavia del delitto la sciagurata sua vittima con atti istantaneied automatici, ve la mantiene ed inchioda, per sempre,quando, rendendola un bevitore abituale, ne paralizza,narcotizza i sentimenti più nobili, e trasforma in morbo-sa anche la compage cerebrale più sana: dando una di-mostrazione, pur troppo sicura, sperimentale, dell’assio-ma che il delitto è un effetto di una speciale, morbosa

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condizione del nostro organismo; tale è, in questi infeli-ci, quella sclerosi che colpisce il cervello, il midollo ed igangli, come ed insieme a quella che colpisce il rene edil fegato, ed in essi si esplica col delitto, come negli al-tri, colla demenza o coll’uremia o coll’ictero, e ciò secon-do che colpisce più un organo che l’altro, o più una par-te che l’altra dell’organo stesso. E qui le prove sovrab-bondano. Or ora rinvenni alle carceri un singolarissimoladro, P..., che si vanta con tutti di esserlo, ed anzi, nonsa più parlare se non nel gergo dei ladri, suoi degni mae-stri; eppure, ne l’educazione, ne la forma cranica ci da-va l’indizio della causa che ve lo spinse; ma noi prestone fummo in chiaro, quando ci narrò che egli ed il padresuo erano bevoni. «Vedano: io fin da giovinetto mi inna-morai dell’acquavite, ed ora ne bevo 40 od 80 cicchetti, el’ebbrezza di questa mi passa bevendo due o tre bottigliedi vino»; come si vede nella storia che ne pubblicò nelmio Archivio il Collino (Archivio di psichiatria e scienzepenali, 1880).

L’alcool è causa di delitti, perche il bevitore dà luogoa figli delinquenti; perché molti delinquono per poterubbriacarsi; perché molti sono tratti dall’ubbriachezza aldelitto, oppure nell’inebbriamento si procurano prima,i vigliacchi, il coraggio necessario alle nefande imprese,e poi l’amminicolo ad una futura giustificazione, e colleprecoci ebbrezze seduconsi i giovinetti al crimine; mapiù di tutto perché l’osteria è il punto di ritrovo deicomplici, il sito dove non solo si medita, ma si usufruttail delitto, e per molti questa è abitazione e banco purtroppo fedele. In Londra nel 1880 si contavano 4938osterie ove entravano solo ladri e prostitute.

Finalmente l’alcool ha una connessione inversa col cri-mine, o meglio col carcere; nel senso che dopo le primeprigionie il reo liberato, perduto ogni vincolo di famiglia,ogni punto d’onore, trova nell’alcool di che dimenticarlie supplirli; perciò tanto spesso l’alcoolismo si offerse nei

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recidivi; e perciò si comprende come Mayhew trovassequasi tutti i ladri di Londra ubbriachi dopo mezzodì, co-sì da morirne tra i 30-40 anni per alcoolismo, e come fra ideportati della Numea, che bevono, oltre che per la vec-chia abitudine, anche per dimenticare il disonore, la lon-tananza della famiglia, della patria, le torture degli aguz-zini e dei compagni e forse i rimorsi, il vino diventasseuna vera moneta; sicché una camicia valeva un litro, unabito due litri, un pantalone due litri, e perfino il baciodella donna si saldava con litri (Simon Meyer, Souvenirsd’un deporté, pag. 376, Paris, 1880).

Di frequente l’alcoolista si dà all’ozio, alla mendicitàper nevrastenia; non ha più forza al lavoro, non ne sen-te vergogna. L’infelice, tutto preda ai suoi istinti e ca-pricci, non pensa che a questi; e beve e ribeve, sia perchési sente debole, ipocondriaco e trova nell’alcool, per unmomento, un rimedio a’ suoi mali, rimedio, però, che asua volta poi ne raddoppia e moltiplica i danni, o perchéogni altro lato della sensibilità gli si va spegnendo. Unasignora (racconta Brière) si ubbriacava, già fin da 16 an-ni, di nascosto nel convento; maritatasi, vi si abbando-nò tanto che il marito ne morì di dolore; consumava ilpatrimonio in vino, e a chi ne la ammoniva, rispondeva:«Voi avete ragione, ma è più forte di me»; ridotta in cen-ci, vendeva le vesti che le erano regalate per cambiarlein acquavite. – Innanzi alla bramosia degli alcoolici vienmeno in costoro ogni volontà, ogni riguardo agli amicipiù cari, ai doveri di famiglia, all’onore. – Anche al difuori di questa causa, si inizia nel bevone una vera dege-nerazione progressiva del sentimento, che va di pari pas-so coll’intellettuale; ei si è fatto irritabile, brutale, fuori epiù in casa: morositas ebriosa. Una pigrizia progressiva loinvade, sicché va sempre più tenendo in non cale l’onoredella famiglia, i doveri di onest’uomo; lascia al caso l’an-damento degli affari, vede senza commoversi la miseriadei suoi, è immerso in un’ebetudine continua; ed immo-

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bile, per ore intere, straniero a ciò che gli si agita intor-no, sta, collo sguardo atono, spento, quasi in cerca dellavita che gli vien meno [...] e non esce dal torpore che perdare in smanie brutali e non di rado in tentativi di omici-dio, di stupro: – e, notisi, quanto più in basso discende,tanto più al di fuori di casa è gaio e contento: sopratuttoquando gli si mostri la prediletta bevanda.

Ed i mali fisici tengono dietro agli psichici: cefalea, in-sonnia, vertigini, susurro agli orecchi, crampi negli arti,od improvvisa sonnolenza, a cui seguono paralisi, con-vulsioni parziali delle membra, dei muscoli della faccia,e qualche volta perfino accessi epilettici.

I così detti accessi isterici han l’ordine seguente: dopobrevi prodromi, compare un attacco epilettoide; seguo-no grandi contorsioni come nei clown, allucinazioni e de-liri che provocano un’attitudine plastica, comica, passio-nevole; deliri quasi sempre melanconici, non di rado fu-riosi: talvolta con vista d’animali piccoli, come nei bevo-ni; qualche volta dell’attacco resta una contrattura per-manente; non di rado, II volte su 400, secondo Briquet,gli attacchi sono accompagnati da sincope, che può si-mulare una morte apparente, o si hanno spasimi; qual-che volta non c’è che l’accesso epilettoide, senz’altro.

La temperatura si tiene sempre al disotto del 38°; ilche li distingue dagli epilettici; talvolta si hanno solovertigini.

In altri casi si hanno dei fenomeni catalettici o letar-gici, o sonnambolici, spontanei o provocati, colla pres-sione nel globo oculare, con sensazioni luminose ed acu-stiche vive ed istantanee. Questo ultimo stadio si distin-gue per l’esagerazione della eccitabilità muscolare, chepuò variare da un giorno all’altro, per cui il solo contattod’una piuma basta per mettere in contrattura i fasci mu-scolari, e per anomalie nella sensibilità. Nel mentre unacorrente d’aria, un capello è risentito vivamente, posso-no non sentire i dolori più forti, ed hanno una sensibilità

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speciale per alcune persone più che per altre, e non di ra-do una trasposizione dei sensi, che invano si volle ridur-re ad una maggior sensibilità della pelle; ed è vero chespesso i sensi specifici sono acuiti (in un caso l’udito 12volte più del normale, e 6 volte il tatto), ma spesso sonoapparentemente paralizzati, specie quest’ultimo.

Psicologia L’intelligenza in una buona metà d’essi è in-tatta, salvo la poco tenace attenzione; ma il carattere èprofondamente modificato in un egoismo, in una preoc-cupazione di se stessi che li fa avidi dello scandalo, delrumore pubblico; in un’impressionabilità eccessiva, percui un nulla li rende collerici, feroci, facili alle simpatieed antipatie subitanee, irragionevoli, con volontà sem-pre instabile; si compiacciono nella maldicenza; e se nonfanno occupare il pubblico di loro con processi provo-cati senza causa, con vendette scandalose, per lo meno sisfogano in privato, rendendo triste la vita a chi li attornia,con continue risse e litigi.

Ad un grado più elevato vanno alla denuncia, al falsotestimonio; mettono in moto gli avvocati, le autorità,contro i pretesi colpevoli. E questi sintomi possonocominciare dall’infanzia.

Se mancano molti dei caratteri degenerativi degli epi-lettici, tutti i caratteri funzionali, le lateralità, le ottusi-tà sensorie sono in essi più spiccate: e anche qui Bri-quet e Morel notarono che nei casi in cui mancano leforme convulsive, o le altre tipiche, si hanno più facil-mente gli accessi psichici; se è maggiore il rapporto co-gli organi sessuali, non manca negli epilettici; e se si han-no più guarigioni verso l’età critica, i casi in cui l’isteri-smo compare fin dalla giovinezza appaiono inguaribili, equesti corrispondono, anche fisionomicamente, come intutto il resto, ai delinquenti-nati, agli epilettici.

In ambedue, i fenomeni hanno intermittenze, alle vol-te precise, e remittenze che durano anni, e forme larvatein cui l’isterismo si esplica solo colla malvagità, colla ten-

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denza all’ozio, alla calunnia, alla truffa, al suicidio, all’e-sagerata vanità, ai viaggi continui, all’eccessivo e preco-ce ed anormale altruismo, all’impulsività, o con brevi as-senze psichiche o con vertigini (v. s.). L’analogia si trovaperfino in quei rari casi di sentito o di esagerato altrui-smo che noi vidimo nel delinquenti per passione (Vol.II, Parte II), e pure anche in qualche raro epilettico (Vol.II, Parte I).

Le analogie nel rapporto psicologico sono tante cheio ho voluto perciò serbare le parole stesse degli autori,onde non incorrere taccia di parzialità. Eziologicamenteil rapporto cogli epilettici e cogli alcoolisti è sicuro.

E nello stesso tempo l’isterico, appunto, offre il pa-rallelismo dell’epilettico, col fanciullo, col delinquente-nato, col pazzo morale: per esempio, nella grande mo-bilità dei sintomi, nel bisogno di traslocarsi, nel bisognodi fare il male per il male, nella tendenza alla bugia gra-tuita, la bugia per la bugia, nell’irascibilità senza causa.– E qui m’accorgo che, questi fenomeni patologici piùin evidenza nell’isterico, mettono in luce alcuni caratteridel delinquente-nato, che non eran stati da me abbastan-za bene avvertiti; questo della bugia continua e gratuitaè, per es., uno dei loro più spiccati caratteri.

Anche la specialità delle lettere si riscontra qualchevolta in epilettici, ricordo quello che mi mandava due let-tere (vedi pag. 25), ed in ispecie quello che scrisse al Red’Olanda, a Bismark, e qualificandosi Duca di Magen-ta, Re dei Longobardi (vedi pag. 42). Ed io toccai deipazzi morali che dirigono a se stessi delle lettere galanti.Anche la variazione del carattere isterico è simile all’epi-lettico – egli epilettici tendono pure, odiandosi e bistic-ciandosi, ad avvicinarsi l’un l’altro, ed in ambedue notasila doppia personalità che giunse in alcune isteriche, an-zi, ad una vera seconda vita; ne manca la persistente odintermittente pietosità che fa alle volte degli uni e deglialtri dei veri santi (San Paolo, Santa Teresa)164.

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Quello che però distingue le donne isteriche da tuttigli altri, anche dagli epilettici, si è l’intensità ed il succes-so della calunnia, il che si spiega per la minor attitudi-ne e forza delle femmine, anche delle male femmine (ses-so in cui più spesseggiano le isteriche), ai reati di violen-za, per cui la tendenza al male si esplica e si perfezionapiù in quell’indirizzo e più colla trasformazione che av-viene più in esse che su tutti gli altri, dell’idea in azione,per l’autosuggestione che trasforma, incarna un concettocome se fosse un’azione. Esse, come l’ipnotizzato, sug-gestionato (Vedi miei Studi sull’ipnotismo, 3ª ediz.), pro-fessano, proclamano il falso colla stessa intensità con cuil’onesto il vero, perché a poco a poco esse sentono co-me cosa vera quella che non è: sono convinte, conquista-te dalla propria menzogna, che ad esse si presenta, forse,con un’evidenza maggiore, forse più che se non fosse ta-le – per quella specie di esaltamento che subisce il sug-gestionato in ogni stadio ipnotico – che lo investe dellaparte suggerita con una vera prepotenza.

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Delinquente d’impeto

Passioni Le passioni che stimolano i rei d’impeto non so-no di quelle che sorgono, gradatamente, nell’organismo,a cui si può, più o meno, porre un freno, come l’avari-zia e l’ambizione; ma di quelle che scoppiano improvvi-se come la collera, l’amore platonico o figliale, o l’onoreoffeso; passioni in genere generose e spesso sublimi; al-l’inverso, nei delinquenti, predominano le più ignobili epiù feroci, come la vendetta, la cupidità, l’amore carnalee degli alcoolici. Molto ben fa notare Marc, che «quandol’amor carnale è soddisfatto, mai o quasi mai, conduce adelitto d’impeto, tranne i casi di vera satiriasi maniaca».

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Movente Mentre è spesso debolissima la causa impel-lente nel reo abituale, qui vi è, invece, vera proporzionetra il delitto e la causa; è per la Camicia, per la Raffi, perla Harry, per la Rosalia Leoni, per l’Ardovino un amoretradito, dopo un giuramento e dopo aver esposto al di-sonore ed al disprezzo, e dopo aggiunto, qualche volta,gli scherni, come alla Leoni, cui il traditore accusa, dopoaverla resa nadre, di essersi data a 13 ganzi. È un adulte-rio colto sul fatto in Verani. E nei Convenzionali France-si, nella Corday, in Orsini e Sand un intenso amore allapatria e insieme la speranza di giovarle spegnendo uomi-ni da loro credutine i più fieri nemici. E un insulto gra-ve, inflitto alla presenza di persone care, o la fame e l’i-nedia dei figli; è una persecuzione continua di personacara (Rivière).

Lo scrivano Rossi Giovanni, d’anni 45, di Roma, vive-va in una catapecchia, dove la Panelli dava letti in affittoper pochi soldi, che egli puntualmente pagava; negli ul-timi giorni era rimasto debitore di 70 centesimi, che pro-mise pagare più tardi. La vecchia cominciò a rimprove-ramelo, ad ingiuriarlo, chiamandolo truffatore; ed egli,preso da subita collera, afferrata un’accetta, che avea allamano, la colpiva nel capo. Alla vista del sangue, rientratoin se stesso, andò a costituirsi.

Zucca ama la sua padroncina, contadina come lui,lavora 10 anni per meritarla e gli viene promessa, e, dopoaver raddoppiato d’amore e di zelo, se la vede sposata daun altro.

Bounin sente la moglie tradirlo ai piedi del letto, men-tre lo crede addormentato, e dire al ganzo quanto gli pe-si il suo perdurare in vita; infuriato si leva, la calpesta eferisce l’adultero.

Bouley si vede non solo respinto dalla sua bella, masente che si è venduta ad altrui per denaro.

Guglielmotti si vede cancellato dalle entrate alla suaganza che amava perdutamente.

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Becchis sente all’improvviso che gli furono sequestratii mobili per un conto dovuto all’antica sua serva e vedela casa spoglia; corre da un macellaio vicino, ne esportaun coltello e a tutta corsa va a ferire questa nella sua casae tre suoi garzoni.

Duelli, infanticide, passione politica. A questi si po-trebbero aggiungere – oltre ai rei di duello che obbedi-scono ad un istinto altruistico e ad un pregiudizio irre-sistibile –quasi tutte le infanticide, molte delle quali de-linquono per un sentimento d’onore esagerato, di cui ècausa l’infamia che annette la società nostra alla materni-tà illegittima, mentre non rende obbligatoria al maschiola riparazione, né dà diritto alla ricerca della paternità,non lasciando alla femmina altra alternativa che o can-cellare le traccie di un’immensa gioia, che per lei sola siconverte in una immensa sventura, o restare per sempreinfamata; e diffatti le infanticide, è noto, come confessi-no facilmente il reato, come di rado sieno recidive, spes-so anzi sieno anche d’onesti precedenti, e agiscano qua-si sempre senza premeditazione, senza complici, senzastromenti proprî, né, di raro, in istato di delirio: ed è no-to come maritate nelle colonie penali dieno eccellenti ri-sultati, quali non dànno mai le ladre, le assassine comunie le truffatrici (Cère, Les populations dangereuses, Pans,1872).

La momentanea alienazione creata dallo stato di pas-sione traspare, del resto, dal modo poco accorto con cuinascondono il feto, o con cui lo ledono, sì da rendernepalese gli autori. Le più, se non giunsero fin là, ebbe-ro la mente annebbiata dalla febbre puerperale, dalle in-tossicazioni ergotiche, e, più che tutto, dalla vergogna dipresentarsi in una condizione che, non la natura, ma lasocietà suggella con nota d’infamia.

E ciò spiega perché ne venissero prosciolte in Franciacirca 374 per mille, ed in Inghilterra 3239 su 20591 sot-toposte ad inchieste criminali, e circa la metà di 124 del-

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le accusate d’omicidio (Tardieu, De l’infanticide, 1863;Balestrini, Dell’infanticidio, 1887).

E v’entra la passione politica quando giunge al paros-sismo, specie se è resa più viva dall’imitazione, dall’abu-so alcoolico e dalla persecuzione. Così a Bologna or orauno, sentendo in teatro inveire contro le guardie, tiravauna coltellata ad una guardia di P. S. da cui non avevamai prima avuto offesa (Vedi Laschi e Lombroso, Delit-to politico, parte II, Bocca, 1888).

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Delinquente d’occasione

Il Ferri ed il Puglia hanno mostrato assai bene in que-sto giornale, e prima di loro A. Maury nel Journal des Sa-vants (1879), e Beltrani-Scalia nella sua Riforma Peniten-ziaria, la grave dimenticanza fatta da me nel non tenersufficiente conto dei molti condotti al delitto non da unasventurata organizzazione o da reiterate perverse abitu-dini, specie alcoolistiche, ma dall’accidentale incontro dicircostanze che vi spinsero uomini deboli, oscillanti trail bene ed il male e che sono forse purtroppo la maggio-ranza dei rei.

Il Ferri dimostrò ciò colle cifre alla mano in quest’Archivio (1880); alle sue mi pare importante aggiunge-re quelle date in una bella Relazione sui carcerati di Fi-ladelfia, dal Lacomte (1840, Philadelphie), tanto più chequeste risultano dallo studio individuale, assai più sicu-ro delle cifre dei libri. Su 400, trovò che 116 divennerocriminali per proprio impulso istintivo – 115 per depra-vazione dei costumi – 70 per cattiva compagnia – 61 perintemperanza – 9 per giuoco – 2 per amor degli spetta-coli – 1 per dissenzioni domestiche – 4 per difficoltà pe-cuniarie – 17 per vendetta – 3 per lotto – 2 per trescheamorose.

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Circa 124 su 358 divennero dunque rei per causeoccasionali, il 34%, cifra inferiore alquanto a quella delFerri (v. o. c.).

Su 400 ben 99 non eran bevitori – 70 anzi temperanti– 231 bevitori – 51 fabbricanti di alcool – 53 orfani – 24orfani solo del padre – 93 orfani della madre.

10 si gettarono al delitto prima dei 10 anni.

50 » 25 »

14 » 40 a 50 »

7 » 50 a 60 »

3 » oltre 60 »

Del resto, anche senza ricorrere alla statistica, è facileil convincersi, col semplice buon senso, della frequenzadi queste cause occasionali.

Età Un fanciullo, per esempio, anche di normale orga-nismo, è attratto al furto dal solo fatto di vedere un og-getto che gli piaccia e che sia alla sua portata, come è no-to che mentre sente fortissimo il diritto di proprietà del-le, cose sue non lo riconosce per quelle degli altri, percui se non è sorvegliato e corretto, ruba tutto ciò che disuo gusto sia alla sua portata, e s’irrita poi, dandosi peroffeso, se venga costretto a restituire. Altrettanto acca-dere può nei vecchi per imbecillità senile affatto analogaall’infantile.

Molti in vecchiaia provano bisogni maggiori, minorforza per soddisfarli; più, dopo molti anni di esercizioonesto acquistarono presso i padroni o soci un’illimitatafiducia, ed allora per la prima volta si lasciano trascinaread appropriazioni indebite, mentre prima non avevanocommessa la menoma indelicatezza. Gli è che molti nondelinquono se non quando trovano corrisponsione suffi-ciente al pericolo; s’aggiunga che in essi l’età e spesso lebevande alcooliche ottundono il senso morale, scemanola resistenza naturale degli onesti agli atti immorali.

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Sesso Se il numero delle donne delinquenti aumentaogni anno nei paesi più colti165, evidentemente gli è per-ché la maggiore istruzione letteraria e l’industriale forni-sce a donne, che non sarebbero organicamente ree, unostimolo affatto nuovo a peccare.

È noto che alcuni affetti, per esempio, il materno,il coniugale, sono più vivaci nella donna, e che essanell’epoca mestruale ha una maggiore suscettibilità; orase in queste circostanze essa vedesse un figliuolo o unamante in pericolo, sarà tratta a un delitto che noncommetterebbe per nessun’altra causa; ed ecco spiegatiquei pochi casi in cui donne oneste hanno rubato per farpiacere alla persona amata.

Miseria Trovammo alle carceri, B..., uomo abilissimoche aveva inventato un nuovo modo di lavorare nel vetro,da cui cavava cospicui guadagni, che presentava normalitutti i caratteri antropometrici e la fisonomia, eppure duevolte sottrasse sacchi ai viaggiatori sostituendone altri,e sempre nei mesi di febbraio e di marzo. «Sono duemesi, ci diceva, in cui non posso ricavar niente dalla miaprofessione. Ed io ciò faceva per tirar innanzi fino aimesi di guadagno».

Accidenti V’ha causa poi l’accidente puro, semplice:uno trova una borsa per via – non crede rubare a tener-sela – sarebbe incapace di cercarla nelle tasche altrui, evi è infatti un proverbio che dice: l’occasione fa l’uomoladro.

Ciò può darsi anche nei delitti d’amore, nei quali puòapplicarsi il detto di Musset: Non esservi più potentecausa all’imprese d’amore che l’occasione ( Nouvelles;1878).

Il carcere come è costituito ora è l’occasione per cono-scere ed associarsi nel crimine ed è causa di perdurarvi edi peggiorarvi.

Vidocq, che nel suo lavoro Les moyens de diminuer lescrimes, cui devo all’amico Lacassagne, avea già distinti i

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ladri in ladri per professione, e per occasione e necessità;dichiara che i ricettatori sono quasi tutti onesti uominidivenuti immorali dopo i contatti e l’irritazione e l’infa-mia del carcere che li spinge a reagire contro la società; einfatti i ladri non si fiderebbero d’uno che non conosces-sero relativamente onesto. Leudet, egli dice, era un ope-raio onestissimo: gettato alla Force per una calunnia, vifece conoscenza dei ladri, poi ne fu il ricettatore; se nonfosse entrato nel carcere sarebbe restato onestissimo.

In tutti questi casi od almeno in quasi tutti si ha cor-rispondenza perfetta e proporzionalità tra la causa chespinse al delitto e il delitto medesimo; onestà nella vitaanteriore, pentimento, confessione completa, senza ten-tativo d’alibi e senza premeditazione, ne complici; si hauna grande analogia coi delitti d’impeto, anzi, quando sitratta di ebbri, una vera fusione e confusione degli uni edegli altri. Quali differenze psichiche li distinguono dal-l’uomo normale e dal delinquente abituale, potrà dirlosolo un esame continuato che fin ora non venne esegui-to.

Perché, si chiederà, costoro furono sì rare volte trovatidagli antropologhi criminali? Perché noi bazzichiamonei grandi centri criminali, ergastoli, galere, dove costoroentrano di rado o dimorano per troppo breve tempo, o,essendovi, non colpiscono l’attenzione nostra appuntoper la nessuna differenza dall’uomo normale; e perchéessi non danno luogo quasi mai alla recidiva; e quindil’antropologo meno facilmente vi ricorre nella tema diprendere abbaglio e studiare forse un innocente per unreo.

Come vi è il reo d’occasione così vi è quello chenato delinquente non si manifesta tale perché gli mancal’occasione – perché la ricchezza o la potenza gli diederomodo di soddisfare i pravi istinti senza urtare col codice.Io finora ne conobbi tre con tutti i caratteri fisici epsichici del delinquente nato, ma che l’alta posizione

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sociale difese dal carcere. Essi stessi confessavano: Senon fossimo ricchi avremmo rubato.

Certo è che, come vedremo, su 2000 rei di un carcerenon trovai che 43 rei d’occasione: e anche su questi io nerinvenni 19 con caratteri degenerativi e 18 con ereditàmorbosa.

Dallo studio, ammirabile, delle singole specie di rei,fatto dal Marro, quando vengano esse bene interpretatee raccolte in gruppi e confrontate alla recidività e allaprecocità (Vedi Tav. VIII, che devo all’egregio avv.V. Rossi) appare subito evidente che nei reati più lievi,per es., di ozio (recid. 94, precoc. 71), di ferimento(recid. 70, precoc. 7), di borseggi (recid. 80, precoc.76), di furto semplice (recid. 83, precoc. 64), vi è ilmassimo delle recidive o delle precocità, ed il minimo oquasi dei caratteri degenerativi, per cui vengono meno,affatto, qui, quei due caratteri trovati dal Ferri al reodi occasione: è singolare poi che, viceversa, il massimodei grandi rei, assassini, truffatori, stupratori (lasciandostare gli incendiari, troppo pochi in cifre, e i grassatori)coincide con un minimo di recidive e di precocità.

Sulle prime fa meraviglia il vedere quest’antinomia chesembrava imprevedibile, ma poi essa trova una spiega-zione facile. Ed infatti sono i reati meno gravi, che por-tando con se minore condanna, e supponendo anche mi-nore abilità, si compiono più precocemente e si rinnova-no più spesso, mentre i grandi reati, opera di uomini piùaccorti, meno facilmente scoperti, quando lo sono, so-no più a lungo puniti e perciò non possono recidivare;e, d’altronde, esigono astuzia e forza virile, qualche vol-ta un capitale della triste industria (grimaldelli, strumen-ti litografici, ecc.), che non si possiede nella fanciullezza,donde la mancanza di precocità. E, come accennammo,finalmente, i grandi reati, spesso, non si possono più rin-novare perché il primo ne ha tolto di mezzo, per sempre,la materia prima (parricidio, regicidio).

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Ma non per ciò viene distrutto il gruppo troppo natu-rale, troppo accettato da tante illustrazioni, del reo d’oc-casione, per non doversi ammettere.

Si toglie di mezzo, solamente, che la mancanza direcidività e di precocità ne siano, sempre, i caratterispeciali, salvo però nella truffa, nello stupro e nelloscasso, dove la poca precocità può dipendere però dallaforza minore di mente e di carni nell’età troppo giovane.

Ma ciò lungi dallo scoraggiarci, c’incoraggia a provarel’esistenza del reo d’occasione, come un reo, cioè, di mi-nima criminalità, massima causa, con caratteri anorma-li più scarsi, in confronto agli altri, come, dunque, unavarietà del reo-nato, come un criminaloide.

Giova, però, dire subito che il reo d’occasione nonoffre un tipo omogeneo come potrebbe offrirlo il reo-nato od il reo per passione; ma esso è costituito damolti gruppi disparati, e, quel che più importa, in partefittizi, e cioè dai pseudo-criminali, poi dai criminaloidipropriamente detti.

I pseudo-criminali sono costituiti:1º da quelli i quali commettono reati involontaria-

mente (arma che scatta, incendio, omicidio involontario,ecc.), e che, invero, non son rei agli occhi della società edell’antropologia; ma non per ciò son meno puniti e pu-nibili (1,02 p. %, secondo le statistiche del Ferri), perriguardo alla difesa sociale;

2° dagli autori di reati in cui non esiste alcuna per-versità e che non portano alcun danno sociale, ma chesono considerati tali dalla legge, per un’opinione o pre-giudizio dominante; e che pur devono reputarsi tali fin-che l’opinione pubblica, che dà la forza alla legge, così liconsidera; tali sarebbero, in alcuni paesi, la bestemmia el’aborto, parecchi reati di stampa. «Tali, ripeto le paro-le del nostro illustre Garofano166, sono i reati esclusiva-mente politici, le contravvenzioni a leggi fiscali, le resi-stenze agli agenti del Potere, le offese alla religione od al

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culto, il porto d’armi non autorizzato, il contrabbando,ecc. Sono rivolte, disobbedienze, duelli, la cui immorali-tà consiste totalmente nella violazione della legge, senzache l’atto punibile, considerato in se stesso, sia incompa-tibile con la morale comune».

Qui entrano, pure, quelli che, benché sieno per noireati, non appaiono tali, almeno pel grosso pubblico,sia perché la cognizione giuridica non vi si è abbastanzaperfezionata per considerarli tali, o perché moltissimi licommettono sicché sono divenuti un’abitudine generale,e formano una dura necessità.

Tale è la complicità nella camorra e nella maffia, neipaesi ove queste dominano rendendo pericoloso all’one-sto, debole, il sottrarvisi.

Quando molti sono colpevoli, come nelle epochedel brigantaggio, e degli avvelenamenti per successio-ne, molti ritengonsi onesti o non credono più di peccarecommettendo il reato.

L’uomo si trova nella situazione del selvaggio e dell’a-nimale (V. Vol. I), dove il reato è un atto fisiologico. Ecosì le crudeltà contro gli animali ora non sono colpe-voli, ma lo potranno essere più tardi, quando le nozionigiuridiche si saranno perfezionate.

Ora importa molto il notare che da questo lato il de-litto è estesissimo e l’onestà pura è una singolare eccezio-ne; fate la somma di tutti i bottegai che frodano sul prez-zo, sul peso; dei professionisti che simulano o dissimula-no col cliente (truffa) per proprio vantaggio; dei profes-sori che mentono scientemente; degli impiegati che chiu-dono un occhio per favoritismo; degli uomini di Gover-no che abusano del potere e della giustizia: abbiamo unasomma di reati tale, che è superiore a quella dei rei uffi-ciali.

Tali sono i contrabbandi, i furti di legna nei paesirurali e gli aborti nei grandi centri, commessi da persone

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onestissime, senza la più lontana idea di commettere unreato e senza rimorso, confessandolo subito.

E tali sono molti reati militari, come il rifiuto di obbe-dienza, ecc., e i reati politici, quando il cattivo governofa divenire ribelli specialmente gli onesti.

Al Montello si continua ad infliggere la prigione a cen-tinaia di boscaiouli incapaci di un furto che non sia dilegna, e che solo da quelle legna traggono sussistenza.Ogni giorno, due, tre, dieci, quindici, venti, giovinotti,donne, fanciulli, sono condotti nella prigione di Mon-tebelluna. Molti si presentano spontaneamente il gior-no nel quale devono scontare la condanna, o ritornanoquando il carcere non sia pieno. Si videro due giovinet-te aspettare che la porta si aprisse, come se fosse la portadi una scuola.

E siccome la morale muta secondo i paesi e secondoi tempi, così in questa categoria entrano quasi tutti i de-litti commessi in tempi e popoli barbari. Come il fana-tismo religioso del medio evo fe’ nascere quei grandi ar-chitetti anonimi che ci diedero le meraviglie delle nostrecattedrali; così l’omaggio per la forza e la violenza ci die-dero nelle epoche e popoli barbari un delitto endemico,che non era antropologicamente né giuridicamente tale,come non lo è quello degli animali (Ved. Vol. I, Parte I,Cap. II). Gli Hyglanders, dice Bukle, non conoscevanoaltro mezzo di vivere che l’omicidio ed il furto, che loropareva un’azione onorevole.

Ai tempi di Macchiavelli si potevano considerare idelitti dei Borgia degli espedienti politici; Gregario diTours dipingeva come un santo Clovis che ammazzò isuoi parenti perché era buon cristiano, e come infameChilperico perché si oppose al papa.

Senonché, a ben vederci in fondo, questi non si pos-sono chiamare delitti né semi-delitti; ma delitti, come lichiamerebbe Garofalo, piuttosto giuridici che reali, per-ché sono più creati dalle imperfezioni della legge che da

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quelle degli uomini. Essi non destano alcun timore nel-l’avvenire, né turbano il senso morale dei più, il che è labase vera dei reati, sicché si può dire di essi, come giàsi disse di molti reati di lesa maestà sotto i Cesari, esserequesti unicum crimen eorum qui crimine vacant167.

E perciò io li chiamerei pseudo-delitti.Alquanto diversa è la bisogna per un altro gruppo di

rei che io chiamerò criminaloidi, nei quali l’accidente,l’occasione prepotente trascina i predisposti, i quali poinon avrebbero trasceso se quella non vi si fosse presen-tata. E vi è difatti un proverbio che dice: L’occasione fal’uomo ladro (v. s.).

Salvador, con cranio e fisonomia normale, era un one-sto negoziante: tornando da una gita d’affari, trova sva-ligiata la casa dalla moglie, che gli era fuggita di casa: di-venta ladro, ed anzi capo di ladri, e seppe evadere 30volte.

Continuate torture morali finirono per spingere all’as-sassinio uomini onestissimi; così nella bella collezionedi Feuerbach si narra di un tal Kleinroth, mugnaio, chemartirizzava i proprii figli e la moglie quasi ogni giorno,battendoli con pali di ferro, affamandoli, mentre profon-deva le ricchezze in servacce e bastardi; i figli sarebberofuggiti se la povera madre avesse potuto accompagnar-li; trovano un tale che s’offre di ucciderlo; accettano conmolta esitazione, si pentono subito dopo, e appena arre-stati confessano; né mai prima d’allora avevano date pro-ve di disonestà, come attesta tutto il paese.

Critica – Psicologia Però, ben studiando questi casi, senon sono veri criminali-nati, non sono nemmeno deglionesti uomini, colpiti ingiustamente dalla legge; – si trat-ta, insomma, di rei distinti dalla giusta corrispondenzadel reato colla causa, in cui questa sì prepondera, ma incui però trova un più forte abbrivo che negli altri uomini,come la pazzia, la meningite, che sorgono per un traumaal capo, per una insolazione, hanno quasi sempre una ba-

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se degenerativa, spuntano su un terreno predisposto dal-l’alcool, dall’eredità, dagli abusi sessuali e dalla temprapazzesca, che dà alla causa determinante una spropor-zionata influenza.

Ed invero, a quanti onesti non accade di veder un og-getto abbandonato e di sentirsi voglia di impadronirse-ne, eppure non lo fanno, e se lo fanno se ne pentono su-bito e non vi ricadono? Quanti furono maltrattati in mo-do da sentirsi spinti alla vendetta o furono incitati, in-vitati al delitto, eppure non vi cedettero, come fecero,invece, Auermann, Salvador, C., la S. (pag. 405), Gar-nier? – Perfino nelle esperienze ipnotiche che ci riprodu-cono esperimentalmente analoghe influenze, noi vedia-mo che i predisposti al reato subiscono immediatamen-te, con piacere, le suggestioni criminose168 e se ne com-piacciono anche dopo, mentre i veri onesti vi si rifiutanoa lungo, e costrettivi dall’educazione ipnotica commetto-no gli immaginari reati con ripugnanza; e cercano di nonricadervi.

Il delitto più moderno, che cresce a mano a mano checalano gli omicidi, è quello di frode e bancarotta, e cor-risponde (v. s.) all’andarsi sostituendo la frode e l’astu-zia alla violenza nella lotta per la vita. Basti ricordare,con Bosco e Laschi, che in Italia le bancherotte crebbe-ro, dal 1887 al 1895, da 831 a 1688, e le truffe, dal 1890,da 7527 a 10074; in Germania crebbero le bancherotteda 890 nel 1884 a 1012 nel 1900169, mentre in Spagna ca-larono da 995 a 814 e di bancherotte s’ebbero sole unità.

Caratteri antropologici Il tipo170 del bancarottiere co-me del gran truffatore si distingue molto nell’apparenzada quello del comune criminale. Il prevalere, nei crimi-naloidi bancari, delle cause occasionali fa sì che in loromanchino, quasi totalmente, le macchie degenerative deirei-nati; oltreché vale qui l’osservazione fatta anche peri truffatori, che il fisico attraente, congiunto alla genti-lezza dei modi contratta nell’abitudine dell’alta società,

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costituisce una specie di selezione, che è un elemento disuccesso al triste loro còmpito.

Così fra i sette parlamentari francesi, coinvolti negliscandali del Panama, io trovai solo in due qualche ac-cenno al tipo criminale, e cioè: archi sopraccigliari, man-dibola voluminosa, naso incavato, in Dugué de la Fau-connière, e platicefalia e fronte bassa in Baïhaut. E deisette imputati in Italia, o sospetti rei, uno solo ha, in pic-colissima pane, il tipo criminale, cioè archi sopracciglia-ri spiccati e fronte sfuggente. Anomalie patologiche poinon presentano che il De Z..., per una larga eredità ne-vropatica (Morselli), e l’Ag... della Banca Romana, chesoffre di vertigini.

Lievi anomalie degenerative si riscontrano in quelliche furono i veri autori della truffa del Panama: Herz,sguardo grifagno e orecchie male impiantate; Reinaich,sviluppo degli archi sopraccigliari, però con bella fiso-nomia; Eiffel, asimmetria facciale, occhio chiaro, quasibianco, e sguardo torbido; Fontane ha il cranio aguzzo.

All’inverso di quanto si nota negli assassini, nei ferito-ri, negli omicidi, l’età dei bancarottieri, secondo Laschi,è nella maggior parte assai tardiva: Bontoux ha 62 anni,Lesseps padre 80, Carlo Lesseps 51, Martin 50, Eiffel 59,Baïhaut 50, Cucin... 75, Tanlongo 68, Men... 61, ecc., ilche si spiega facilmente se si pensi alla necessità che eb-bero, per giungere ad ingannare i più, di procacciarsi fa-ma e fortuna, che solo si acquistano col tempo e coll’e-tà; al che aggiunansi la maggiore cupidigia, il piacere eil bisogno maggiore degli agi della vita e l’indebolimentomorale.

Ciò corrisponde del resto a quanto si riscontra neitruffatori: la statistica francese171 ci dà, ad esempio, ilseguente confronto tra l’età degli accusati per delitti diviolenza e di quelli per reati di falso e frode:

Età degliaccusati

meno di 21anni

da 21 da 30anni

da 30 a 40anni

da 40 a 50anni

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Delitti violenti(media sopra100 accusati)

15 31 26 14

Delitti difrode (mediasopra 100accusati)

5 23 34 23

La differenza è qui dunque assai spiccata: la prevalen-za dei reati di frode fra i 30 e i 50 anni è di quasi una me-tà in confronto ai reati di violenza, i quali presentano in-vece il triplo di prevalenza sui primi al di sotto degli anni21.

Senso morale Sono squilibrati e scarseggianti di sensomorale. È qui specialmente che si rivelano la differenzatra costoro e l’uomo psicologicamente equilibrato e l’a-nalogia con l’uomo delinquente.

Proverbiali sono rimaste, in materia di affarismo lega-le, le massime del Gelmi: «L’avvocato deve correre piùdel giudice»; «Il fine giustifica i mezzi»; «I legali sonovetture da piazza, sulle quali possono salire il savio ed ilmatto, chi ha scrupolo e chi non ne ha... con una tarif-fa tanto per chi va al Quirinale, quanto per chi va allasuburra, ecc.».

Tale è il concetto della moralità che costoro si fannoe, forse, in buona fede, perché così si sono foggiati l’am-biente in cui vivono e così l’ambiente ha foggiato loro; v’èin essi come uno stato d’incoscienza, che richiama quellodei rei comuni.

Il Toc..., della Banca Romana, trova una giustificazio-ne, certo per lui molto persuasiva, se la ripete all’udien-za, per attenuare le sue malversazioni: «Tutti cercavanodi buggerare la banca».

Il Luraghi, mentre la sua reità è ormai provata e cer-ta la condanna, scrive in carcere la poesia che riprodu-ciamo, e che, se dobbiamo credergli, attesta la perfettatranquillità della sua coscienza:

E quindi accade in questo mondo a scale,

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fatte a piuoli fragili e leggiadri,che un giorno i ladri cantin la moralee un altro la morale inneggi ai ladri.

Ma pria che il senso dell’onor si usurpidi sotto al manto dell’invidia acerba,s’erge da tanti monumenti turpiintemerata l’onestà superba.

Ed anche in questa solitaria cella,ove raggio di sol giammai non brilla,non v’è infuriar di nembo o di tempesta,che turbi il sonno d’anima tranquilla172.

Alle deviazioni del senso morale non corrispondono,in questi criminaloidi, – anomalie dell’affettività, anziessi amano generalmente – la loro famiglia e ne sonoriamati; molti episodi commoventi si potrebbero narrarein proposito, molti sagrifici ignorati di mogli, di madri, difigli, per risparmiare ai loro cari il disonore del fallimentoo del giudizio173.

7

Rei d’abitudine, latenti e protetti

Va notata infine quella quota che appartiene, oltre che aquasi tutti i criminaloidi, a quelle categorie dei crimina-li dove noi vedemmo venir meno le anomalie e le neuro-patie, e l’eredità, che nella generalità ascendono al 60%,e che, stando alle comparazioni col normale, e alle ricer-che degli antropologhi174, dovrebbero anche essere esentidalle tendenze criminali.

La maggior parte poi di costoro vien data da quel-li che, nati normali e senza tendenze od organizzazio-ne speciale per il delitto, non avendo trovato nell’edu-cazione primitiva dei parenti, dei collegi, ecc., quella for-za che provoca o, per meglio dire, agevola il passaggiodalla criminalità fisiologica propria della prima età (ve-

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di Vol. I, Parte I, pag. 95 a 131) alla vita media, one-sta dei più, perseverano e poi peggiorano nelle tendenzeprimitive verso il male.

E da questo lato, lo ripetiamo, che spiccano i prete-si miracoli dell’educazione, non perché questa trasformiil delinquente-nato in un galantuomo, ma perché impe-disce che il delinquente infantile, fisiologico, diventi undelinquente abituale, patologico.

È naturale che costoro offrano, sulle prime epoche,una minore intensità nella criminalità come hanno man-canza quasi di caratteri degenerativi, d’eredità o di neu-rosi, e che perciò si appiglino ai reati che meno destanoribrezzo: borseggio, truffa, ferimento, ecc.; in questi lascala del crimine esiste veramente, salvo quando da unaeducazione criminosa spinti fino dalla prima giovinezzaal reato ne fecero una professione.

Ed una volta diventato abituale il delitto, per la ragio-ne che è insito, che è già latente per natura in essi, vi siperpetua e peggiora sempre più, accresciuto dall’abitu-dine, dagli abusi anestetizzanti dell’alcool, dalla reazio-ne contro la società, che colpendo così spesso alla cieca,molte volte li punisce quando meno lo meritano e vice-versa, e da quella vanità propria d’ogni mestiere che sivede in tutte le professioni – e non meno in questa, do-ve la pubblicità sciagurata delle Assise, della stampa, del-le canzoni popolari e la dimora in comune più che nellealtre la fomenta.

Ricchi o potenti Come vi è il reo d’occasione, così vi èquello che nato delinquente non si manifesta tale perchégli manca l’occasione, o perché la ricchezza o la potenzagli diedero modo di soddisfare i pravi istinti senza urtarenel codice. lo ne conobbi tre con tutti i caratteri fisici epsichici del delinquente-nato, ma che l’alta posizione so-ciale difese dal carcere. Uno di questi, avvocato, sposo aricchissima signora, fratello di cri inali e di epilettici, miconfessava: «Se non fossi stato ricco avrei rubato». Ed

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un altro, divenuto per le solite protezioni professore, ric-co, influente, con enormi mascelle, faccia glabra, frontesfuggente, battendo, me presente, un contadino inermeche voleva giustamente impedirgli il passaggio per i suoicampi: «Oh! non reagire, gli disse, quando era giovanemi chiamavan Galera e non ci metto molto a buttarti interra».

Mestieri equivoci Questi sono esseri protetti, suggella-ti, resi apparentemente normali dalla società, ma che so-no veri rei-nati. Altri, dandosi a professioni equivoche,ma tollerate – usura, prostituzione – sfogano, così, istintiche, mancando quelle, sarebbero criminosi; e noi vedre-mo nel Vol. IV il caso d’una ragazza bizzarra, pazza mo-rale, che rubava fin da bimba anche senza scopo; che ru-bò poi, adulta, in complicità con un ganzo, e che non ru-bò più, e divenne giuridicamente onesta una volta datasialla prostituzione.

Rei protetti Se relativamente si esplica il genio scien-tifico così eccezionalmente nel male, è perché trova pro-prio una trasformazione, una usurazione degl’impulsi nelproprio lavoro; succede certamente in essi come in que-gli asceti ci e in quelle vecchie galanti che trasformano letendenze carnali, fondendole completamente ed usuran-dole nel tempo stesso nelle religiose.

Ma una gran parte di costoro, certo quasi tutti i reipolitici [...] non si trasformano ma continuano nella vitacriminosa, la quale non viene a galla, non diventa puni-bile e non è punita perché, nello stato di vera oligarchiaavvocatesca in cui si trovano le società europee e special-mente le nostre, la denuncia tornerebbe più a pericolodell’accusatore, forse anche delle stesse vittime, che nondel reo; io stesso non posso denunciare alcuni complici ocapi quasi palesi di alcune camorre, ed un collega che miderubò da fanciullo, da giovane e poi da uomo maturo, eche ha tutti i caratteri del reo-nato, senza correre questopericolo.

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E il Sergi nelle Degenerazioni umane, 1889, parla di unalto personaggio che vende a prezzo fisso gli impieghi:ma non certo si attenta a nominarlo.

E il Corre parla nell’opera sua, già così spesso cita-ta, pag. 362, di Giulio Favre [...], che dopo aver com-messo un falso nello stato civile ne commise molti al-tri a grandi intervalli per soddisfare cupidi interessi, emorì onorato da tutti. E quanti anni non dominò, mal-grado la libera stampa, con fama intemerata, il Wilson!E il generale americano Fremont, autore di incredibiliscrocchi! – Tutti questi formano una categoria precisa-mente opposta alla prima, di cui toccammo nel princi-pio di questo studio; mentre, cioè, la prima, quella deglipseudo-criminali, è costituita da uomini che sono onesti,ma che la legge colpisce, qui si tratta invece di crimina-li e senza dubbio, anzi, di criminali-nati, ma che la leg-ge, o per meglio dire, la società, così come è costituita,protegge, e non permette colpire.

8

L’uomo perfetto

A priori è facile risolvere la questione delle qualità cheformano l’uomo perfetto, fondendo in un solo uomoquelle del genio e quelle del santo.

Ma l’alienista sa che i grandi genii, specie d’azione,sono quasi sempre privi di senso morale o di buon sensoe sarebbero fin criminali se l’intelligenza non raffermassein essi l’inibizione.

Viceversa i troppo buoni o non hanno ingegno o pre-sentando un grande altruismo in alcune direzioni, hannoun egoismo esagerato in altre; ed io non ho visto mai uo-mini peggiori dei grandi filantropi. Né io conosco uomi-ni perfetti, ma solo ventuno meno imperfetti.

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Di questi nessuno ha veri caratteri criminali: 3 hannomancanza di barba; 2 sono ciechi, uno è figlio di tisicie uno [di] cancerosi; 8 sono matematici e naturalisti; 1fu prefetto; 1 prete; 2 operai; 1 agricoltore; 3 militari,uno ha malattia spinale ed uno un’apoplessia circoscritta;ebbero lampi temporanei di genio; ma in complesso nonfecero che comprendere e illustrare le novità altrui; 18sono ambiziosi o vanitosi.

È probabile che se vivessi fra gli operai e gli agricoltorine avrei veduto molti di più. – È questione questa dimassima relatività d’epoca, di razza, ecc.

Il perfetto cittadino è un imperfetto campagnuolo; unCincinnato, un Catone sarebbero des rustres – ai tempinostri.

Un perfetto gentiluomo della moderna molle razzalatina, un – mannequin – a New-York.

La prima qualità quindi per lo sviluppo dell’uomo per-fetto dovrebbe essere la sanità degli organi o la integritàcosì grande di alcuni da surrogare qualche difetto deglialtri. Indi buon senso, buon cuore, buon umore; ma nes-suna eccessività tanto nell’ingegno come nel sentimento,a cui s’accompagnino una certa energia muscolare e vo-litiva e un certo grado di egoismo e d’ambizione, da far-gli superare la tendenza naturale all’inerzia e prediligeresé e la famiglia alla patria, e la patria all’umanità, ma sen-za sorpassare le linee fissate dallo spirito pubblico dell’e-poca, della casta, della razza, ecc.

Per la donna perfetta (ne ho conosciute tre sole quasiperfette, fra queste una gobba), il sentimento può preva-lere sull’intelligenza, almeno predomina la pietosità; oc-corre in più la bellezza del corpo, od almeno della vocee dei movimenti: ad ogni modo l’arte di supplirvi collagrazia o col gusto.

Tutti gli estremi di temperatura esterna di ricchezzae di potere, o l’eredità morbosa difficoltano il formarsidell’uomo perfetto.

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6

Una variante: la donna prostituta e delinquente

1

La «schiavitù rosata»

In complesso la donna è più infantile dell’uomo: nellastatura, nel peso, nella scarsezza del pelo al volto, nel-la maggior lunghezza del tronco in rapporto agli arti in-feriori, nel volume e peso dei visceri, nella maggior ric-chezza di connettivo e di grasso, nel minor numero e mi-nor peso specifico dei globuli, nel maggior peso del sie-ro, nella minor quantità di emoglobina, nel minor pesoe volume del cranio, della mandibola e del cervello, nelminor numero di interruzioni dei giri nei solchi del lo-bo frontale, nel minor numero di caratteri degenerativi edi variazioni, salvo nell’imene e nelle piccole ninfe; l’in-fantilismo poi si estende alle funzioni, alla circolazione,al respiro, alla capacità respiratoria, alla minor quantitàdi urea, alla forza minore, al maggior mancinismo, allaminore calvizie e canizie, ecc.

La sensibilità della donna presenta notevoli differenzeda quella dell’uomo. Già nella conformazione anatomi-ca degli organi esse si accennano. L’occhio è più piccoloe più a fior di testa; il naso e l’orecchio più corti. Quantoall’orecchio, secondo le osservazioni di Autenrieth (Reil,Archiv., t. IX, p. 322), il suo condotto uditivo osseo èpiù stretto a lunghezza uguale, e per conseguenza rice-ve meno onde sonore che quello dell’uomo, benché nerifletta un minor numero, una volta ricevute.

Si è sempre creduto finora che la sensibilità della don-na fosse maggiore. Anche il Lotze e il Ploss dicono chela donna è più esposta a nevrosi, perché più sensibile: eMöbius stesso che nega questa maggior disposizione alle

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nevrosi, dice che è più incline alle iperestesie. Eppure siera già detto che i bisogni suoi sono minori, che mangiae beve meno, che sopporta la vecchiaia, i dolori e le pri-vazioni di più dell’uomo. Ciò avrebbe dovuto far sospet-tare che la sensibilità della donna non è così fina comenell’uomo.

La minore sensibilità sessuale delle donne è dimostra-ta anche dalla rarità e dalla poca varietà delle psicopatiesessuali, così frequenti nell’uomo; dalla creazione dell’a-mor platonico, che in fondo, per quanto menzognero, èmolto più accettato dalla donna che dall’uomo; dal mag-gior tempo in cui la donna si conserva e ritorna casta;dall’obbligo della castità, diventato generale in tanti po-poli, ma solo per la femmina, mentre ai maschi, salvo inpochi popoli (Germani antichi, ecc.), non si poté impor-re per le violenti ribellioni organiche; dal più facile suoadattamento alla poligamia (è noto come i Mormoni tro-vino facilissimamente aderenti nelle donne), e dall’osser-vanza scrupolosa della monogamia, che per il maschio èpiù di nome che di fatto.

Le opinioni contrarie sulla sensibilità della donna di-pendono dal fatto, che in apparenza è contradditorio,che l’amore è il fatto più importante nella vita della don-na. Ma questo non dipende dall’erotismo, quanto dalbisogno del soddisfacimento dell’istinto materno e dalbisogno di protezione, con cui le donne raggiungono ilcompletamento della loro esistenza. Le parole di Ra-chele a Giacobbe: «dammi un figlio altrimenti muoio»,contengono una verità fisiologica. Un ostetrico illustre(Giordano) mi diceva: L’uomo ama la donna per la vulva,la donna ama nell’uomo il marito e il padre. Sicché si puòcompendiare il nostro concetto dicendo che la donna haminore erotismo e maggiore sessualità.

Essendo dunque la donna naturalmente e organica-mente monogama e frigida, si comprende come le leg-gi dell’adulterio abbiano colpito la donna in quasi tutti i

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popoli, e non l’uomo, che troppe volte vi si doveva sot-trarre; e si spiega, se non si giustifica, l’eterna ingiusti-zia con cui la legge ed il costume trattano la donna adeguale condizione, in confronto dell’uomo, nei rapportimatrimoniali.

È inutile il ricordare che quello che non è nemmenouna contravvenzione nel maschio è per la donna uncrimine gravissimo.

Si spiega anche, così, come la prostituzione, che do-veva essere un titolo di clemenza giuridica e sociale permolti riguardi (sfogo dato all’ardore dell’uomo, preven-zione di delitti), sia divenuta pei popoli civili a mano amano un titolo d’infamia, e come essa esista, si può dire,regolarmente, ufficialmente a tutto favore degli uomini,mentre non esiste affatto o quasi per le donne, le qualinon ne avrebbero naturalmente bisogno.

La donna, dunque, sente meno, come pensa meno,e così anche pel sesso si conferma la gran massima diAristotele: Nihil est in intellectu quod prius non fuerit insensu.

E la sua ottusità dolorifica è darwiniana per non direteleologica; essa ci spiega perché così facilmente ricadanella gravidanza malgrado i dolori del parto e malgradoprenda così poca parte ai piaceri dell’amore. – L’uomonon farebbe altrettanto.

È triste ma vero: la femmina, tra i bruti, i selvaggi edi popoli primitivi, è più crudele che pietosa, per quantomeno crudele del maschio.

Dice Spencer delle donne selvaggie: «Noi sappiamoche nei paesi dove c’è il costume di torturare i nemici ledonne sorpassano gli uomini in crudeltà; noi abbiamoletto le atrocità commesse dalle due sovrane Dayake,di cui il Rayah Brook ha fatto il racconto, e gli atti dibarbarie attribuiti da Winwood Reade ad una reginadell’Africa. Le donne sono selvaggie quanto gli uomini;

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se non fanno tanto male, ne è causa la loro impotenza» (Principes de sociologie, II, pag. 361).

Il grande fatto che ispira la pietà è la debolezza in tut-te le sue forme: fanciulli, poveri, vecchi, malati, derelitti,carcerati, condannati a morte, animali incapaci di dife-sa, sono tutti deboli che implorano pietà e di cui la don-na s’impietosisce: il valore eroico e potente, quello d’unmartire che si sacrifica alla sua idea, sfugge alla pietà erientra nell’ammirazione. Ma la donna ha avuto sin dal-le origini della vita umana una grande funzione protet-tiva della debolezza, la maternità; mentre l’uomo, getta-to in mezzo alla lotta per l’esistenza, ha avuto invece unafunzione distruttiva della debolezza, si è incaricato dellaselezione dei più deboli a favore dei più forti. Nel bam-bino, nel vecchio, nel malato, nel perseguitato sono deitratti comuni, quelli in cui la debolezza si manifesta edimplora; quindi, per associazione, la donna doveva a ma-no a mano sentire più vivamente rinascere a ogni spetta-colo della debolezza come un riflesso di quei sentimentiteneri che eccitava in lei la prole. La pietà è un rampol-lo del sentimento materno. E difatti, osservando la don-na nei suoi atti di pietà e di carità, si rivede l’atteggia-mento, il gesto, il profilo della madre; i sentimenti dellamaternità noi li vediamo.

Uno di noi fu più volte consultato da donne, che si la-gnavano come di una tortura dell’amore troppo positivodel loro marito; una volta da tre sorelle quasi contempo-raneamente; e sa di donne restate vergini anche dopo ilmatrimonio. Ma non ebbe mai a vedere nulla di simile inuomini normali.

«Una signora, scrive il Rimmel175, che gode molta fi-ducia presso le altre donne, mi raccontava che le ragazzenon amano infelicemente più d’una volta». Questo che ilSimmel dà come prova di maggior sensibilità, a noi provala sua relativa freddezza.

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«L’amore d’una donna aumenta coi sacrifizi che ellafa al suo amante; più ella dà, più si attacca. Negli uomininon è lo stesso; il piacere li stanca e la continuità dellafelicità li annoia. Il desiderio li infiamma, la gioia liraffredda, e la voluttà scioglie i nodi formati dall’amore».Così scriveva Paul de Kock.

Questo fatto è in apparente contraddizione con ilmaggior volume, numero e complicazione degli orga-ni sessuali primari e secondari in confronto ai maschi(mammelle, ovaia, utero, vagina, ecc.), e con l’altro fat-to notorio e proverbiale che l’amore è la cosa più impor-tante della vita femminile. «L’amore, scrisse Madame DeStael, che è solo un episodio nella vita dell’uomo, è tut-to nella vita della donna». Ognuno può osservare che lagrande preoccupazione di tutte le ragazze è l’uomo, il fi-danzato, le nozze. Come si concilia questa contraddizio-ne? Si concilia osservando che in lei prepondera sul bi-sogno individuale il bisogno della specie, della materni-tà, che solo spinge la donna verso l’uomo; l’amore fem-minile è una funzione subordinata della maternità.

Se gli organi del sesso sono nella donna più complicatie numerosi (vulva, utero, ovaia, ecc.) in gran parte peròessi non sono tanto genitali quanto maternali, e tanto piùlo sono gli organi sessuali secondari, le mammelle, i fian-chi, il cuscinetto delle Ottentotte, ecc.; tutti questi appa-rati, a differenza dei maschili, servono non all’accoppia-mento, ma alla nutrizione e sviluppo del nuovo essere.E le mammelle, i fianchi, ecc., sono solo per l’uomo piùraffinato nel tatto e nell’occhio apparecchi erotici perchélo eccitano indirettamente al coito; ma in se non hannotale funzione, come si vede percorrendo la scala zoologi-ca; ed anche nei nostri selvaggi (Cafre, Ottentotte, Au-straliane, ecc.) in cui le mammelle, ridotte così spesso aduna flaccida e lunga borsa che si ripiega sulle spalle, segiovano al bambino, non eccitano certo l’amante.

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Anche psichicamente, il bisogno della specie, l’amordi madre si innesta e prevale sul bisogno del sesso.

Nella donna, infatti, come già vedemmo nella femmi-na degli animali, specie uccelli, e più ancora negli ime-notteri, la madre prevale sulla sposa.

In complesso possiamo asserire che nella donna, comenel fanciullo, il senso morale è inferiore. A chi dicesse,che in tempi di costumi commerciali, l’onore, la lealtà,ecc., perdono di pregio anche per l’uomo, e che il tele-gramma falso di borsa vale bene la denunzia anonima diuna signora, noi risponderemmo che v’è tra l’uno e l’al-tro la differenza che passa tra un soldato il quale ucci-da un nemico da cui è minacciato e un soldato che ucci-da un prigioniero inerme da cui un giorno fu offeso. Laslealtà di un banchiere è necessità suggeritagli dalla lot-ta commerciale – se non tende oggi il tranello all’altro,vi cadrà egli domani – e quindi relativamente normaleperché adattamento alle condizioni, sia pure passeggere,della vita; mentre l’ira e la vendetta di una signora con-tro una rivale che era meglio vestita di lei alla festa, è im-morale, perché dipendente da eccessiva suscettibilità delproprio egoismo, che si offende di quello che è per glialtri l’esercizio di un diritto.

Anche qui ci rivediamo condotti alla psicologia del-l’uomo primitivo, felice se il suo volto più impiastriccia-to attira l’attenzione dei compagni, vendicativo così chela vendetta diventa per lui un dovere religioso; e al fan-ciullo, che piange di un favore accordato a un compa-gno e negato a lui, come se lo avessero offeso in un suodiritto.

Ciò che fa differenziare la donna dal fanciullo, per cuinon può dirsi che, come il fanciullo normale, essa ab-bia in permanenza vestigia di pazzia morale, è la mater-nità e la pietà, per cui essa non ha quel gusto del maleper il male, caratteristico del bambino (tortura di anima-li, ecc.); ma – come dimostrammo nella crudeltà – è ne-

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cessaria una eccitazione o un carattere perverso, e quindieccezionale.

Ma la donna resta sempre fondamentalmente immo-rale e spesso anche per causa della sua pietà. Così noinon dubiteremo, pur restandone commossi come di unprimo albore di civiltà, di chiamare immorali quegli av-visi delle donne selvaggie ai viaggiatori Europei di tener-si in guardia contro i complotti dei loro mariti e fratel-li, perché contrari agl’interessi del gruppo sociale; e rela-tivamente immorali quelle denunzie dei proprii compli-ci fatte, come vedremo, più spesso dalle donne crimina-li e che dimostrano, anche nella criminalità, un minoreadattamento alla vita sociale.

La donna normale ha molti caratteri che l’avvicina-no al selvaggio, al fanciullo e quindi al criminale (irosi-tà, vendetta, gelosia, vanità), e altri diametralmente op-posti che neutralizzano i primi, ma che le impedisconodi avvicinarsi nella sua condotta quanto l’uomo a quel-l’equilibrio tra diritti e doveri, egoismo e altruismo, cheè il termine dell’evoluzione morale.

La principale inferiorità della intelligenza femminilerispetto alla maschile è la deficienza della potenza crea-trice.

Genialità Questa inferiorità si rivela subito nei gradipiù alti dell’intelligenza, nella mancanza di genii. Sebbe-ne non manchino nomi di donne illustri: Saffo, Corin-na, Telesilla, la Browning, la David John, la Gauthier, laAckermann, nella poesia; la Elliot, la Sand, la Stern, laStael, nella letteratura; la Bonheur, la Lebrun, la Marai-no, la Sirani, nell’arte; la Sommerville, la Royer, la Tar-nowski, la Germain, nella scienza; è evidente che siamolontani dalla grandezza dei genii maschili, di Shakespea-re, di Balzac, di Aristotile, di Newton, di Michelangelo.Se si considera poi la frequenza dei genii nei due sessi, lasuperiorità dell’uomo è notoriamente enorme.

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Si è voluto da molti, per es. dal Sagnol176, attribuirequesta inferiorità alle condizioni sociali, specialmente al-la ignoranza in cui è tenuta la donna e ai pregiudizi chele intralciano la via quando voglia darsi a un lavoro intel-lettuale. Ma la ignoranza della donna non è un fatto co-sì generale come si crede: nel cinquecento in Italia e neiprimi secoli dell’Impero romano le donne nelle classi altericevevano la stessa educazione che gli uomini; nell’ari-stocrazia francese del secolo scorso le donne erano istrui-tissime e frequentavano le lezioni di Lavoisier, di Cuvier,ecc., ecc.: pure anche in condizioni così favorevoli nes-sun genio si rivelò. Quanto alle difficoltà dell’ambien-te, esse non impedirono né alla Browning, né alla Som-merville di emergere; e non sono in ogni modo maggioridi quelle che incontra un genio povero: eppure dai ma-schi delle plebi sorgono ben più soventi dei genii che nondalle donne, anche delle classi ricche.

Di più è notevole, che, come dimostrò uno di noi, ledonne di genio presentano frequentemente caratteri ma-schili, onde il genio potrebbe spiegarsi nella donna, co-me Darwin spiegò il colorimento delle femmine egualeal maschio in certe specie di uccelli, per una confusionedi caratteri sessuali secondari prodotto da incrocio del-l’eredità patema e materna.

Mancanza di originalità, monotonia Se la mancanzadi genio vieta alla donna la grande creazione, essa èmeno adatta dell’uomo a quella piccola creazione, a cuiriesce la media degli uomini, perché manca di quellaoriginalità, che, ipertrofica nell’uomo di genio, si ritrovain proporzioni più modeste e fisiologiche, per attività diminor conto, negli uomini medii.

Difatti le donne mancano di inclinazioni speciali perun’arte, una scienza, una professione: scrivono, dipingo-no, ricamano, suonano; fanno le sarte, le modiste, le fio-riste successivamente; buone a tutto ed a niente; ma nonportano che raramente l’impronta della propria origina-

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lità in nessun ramo. Come osservò Delaunay, se tutte,o quasi, le donne fanno cucina, i grandi cuochi, i mae-stri dell’arte, sono uomini; così sono più frequenti i nomidi uomini rimasti celebri in una professione per qualchespecialità, che non quelli di donne (op. cit.).

È questo l’effetto di una minor differenziazione nellefunzioni del loro cervello.

Nelle donne le idee sono stati di coscienza meno chia-ri, più pallidi e meno definitivamente circoscritti; comela sensibilità periferica e la morale così la sensibilità in-tellettuale è minore. Le donne sentono meno lucidamen-te le idee. È questa una conseguenza della minore sen-sibilità? Forse; ma forse anche è con la minor sensibili-tà effetto di una causa unica e superiore, il minor svilup-po del cervello, che, come avverte meno intensamente lesensazioni, così avverte meno quelle successive trasfor-mazioni delle sensazioni che sono le idee. Tanto più per-ché è probabile che la maggior sensibilità dell’uomo di-penda da un più alto sviluppo del cervello e non da unaperfezione maggiore degli organi periferici, essendo perquesti, almeno per alcuni, di poco inferiore la donna.

Ciò spiega anche la minore potenza creatrice dellaintelligenza della donna.

Essendo le idee in essa stati di coscienza meno nitida-mente determinati, hanno minor forza di associazione;Spencer infatti dimostrò che l’associabilità è in rapportodiretto della determinatezza degli stati di coscienza; co-sì quelli della vista lo sono più che quelli del tatto. Oradalla forza attrattiva maggiore o minore delle imagini edelle idee risulta la facoltà creatrice in tutte le sue for-me, dalla piccola originalità sino al massimo del genio;che non è se non una potenza associativa enormementesviluppata per cui idee lontanissime hanno potere di at-trarsi e creare la nuova scoperta o il nuovo capolavoroartistico.

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Cause È innegabile che di questo sviluppo inferioredell’intelligenza sia stata concausa la inerzia forzata degliorgani a cui l’uomo ha costretto la donna. Ma sarebbe unerrore indicare questa cagione come artificiale, mentre èanche essa naturale e rientra in quel fenomeno generaledella partecipazione maggiore, in tutta la scala animale,del maschio alla lotta per la vita. È il maschio chespecialmente lotta per la difesa della specie; di più eglilotta per la conquista della femmina, nel mondo umanoancor più che nel mondo zoologico, perché eliminato, oquasi, il coefficiente della scelta della femmina, l’uomoè padrone di scegliersi la donna, ma a patto di avereassolutamente debellato i rivali. Mentre tra gli animaliaccade talora che mentre due maschi lottano, la femminafugge con un terzo più debole, ma più simpatico.

Difatti che non tanto il lavoro in se, quanto il biso-gno di dover sorpassare i rivali nella propria attività, ab-bia sviluppato l’intelligenza dell’uomo, lo dimostra il fat-to che presso un gran numero di selvaggi è la donna chelavora (pianta la capanna, tesse, ecc., ecc.), mentre l’uo-mo guerreggia e caccia: eppure la donna non vi è piùintelligente.

Si aggiunge – altra causa naturale – che l’uomo cam-bia continuamente di condizione di vita e di attività, per-ché di rado il figlio esercita lo stesso mestiere in egua-li circostanze del padre; mentre la donna deve consacra-re una parte preziosa del suo tempo alle cure della ma-ternità che sono sempre le stesse e che quindi non ecci-tano e sviluppano l’intelligenza come i mutamenti con-tinui dell’uomo. Così nell’antichità, e al presente, sonospecialmente gli uomini che emigrano.

Ma sotto tutte queste cause ve n’ha una biologica chene è il fondamento. Al pari che per la struttura organica,per l’intelligenza, il maschio ha una potenzialità primiti-va di sviluppo superiore alla femmina, grazie alla parteminore che ha nella riproduzione della specie. Come di-

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mostrò uno di noi (Lombroso, Di un fenomeno [fisiologi-co] comune ad alcuni [nevrotteri ed] imenotteri, Verona,1853), la intelligenza in tutto il regno animale varia in ra-gione inversa della fecondità; c’è un antagonismo tra lefunzioni di riproduzione e le intellettuali, come tra la ge-nesi, l’accrescimento e la struttura. Ora, essendo il lavo-ro della riproduzione in gran parte devoluto alla donna,per questa cagione biologica essa è rimasta indietro nellosviluppo intellettuale.

Difatti le api, le termiti e le formiche hanno acquistatala superiorità dell’intelligenza sulle altre femmine dellaspecie col sacrificio del sesso, mentre la regina che èfeconda è anche stupida; e man mano che le specieselvaggie si van avvicinando alle sociali le femmine visi fan meno feconde; le femmine degli uccelli cantoricantano quando sono segregate dal maschio, e, comenotò Wirey, le donne di alta intelligenza sono spessosterili.

Date tutte queste cagioni, c’è piuttosto da meravigliar-si che la donna non sia anche meno intelligente di quel-lo che è, ciò che non si può spiegare se non supponen-do con Darwin, che una parte dell’intelligenza acquista-ta dal maschio si trasmette anche alla donna, altrimentilo slivello sarebbe anche maggiore.

Certo una maggior partecipazione alla vita collettivadella società, innalzerà l’intelligenza della donna; difatti,essa nelle razze più evolute, come in Inghilterra e nell’A-merica del Nord, comincia a dare i suoi frutti; sicché lapiù gran parte del giornalismo letterario ed artistico è alei sola affidato.

Si disse che la genialità della donna è la bellezza.È questo un vuoto epigramma che non ha bisogno

di essere confutato: non possiamo nemmeno dire chela bellezza raccolga l’ammirazione che nell’altro sessospetta al genio, perché mentre essa è ambita, sempre,

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e da tutti ammirata, subito, il genio non raccoglie gliapplausi che... dopo morte.

Piuttosto sarebbe giusto dire che il genio della donnasta nella pietà, anch’essa spesso mal corrisposta e deri-sa, anch’essa impulsiva e spontanea, e anch’essa spessolegata alla nevrosi, isterica in specie177.

Ma se il genio è quasi negato alla donna, non lo è pun-to il talento, anzi quello che è spesso genio nell’uomo,è talento nella donna: essa nelle cose pratiche riesce dipiù perché il genio vive sempre fuori di questo mondo,mentre il talento è tutto di questo.

E mentre il genio consuma se stesso in pro degli altri,l’ingegno della donna converge sempre in proprio favo-re, e con quel tatto, quella conoscenza fina, istintiva del-l’uomo, se essa l’applica nella politica, la fa un’eccellen-te donna di governo e di partito (v.. s.); se essa l’appli-ca all’educazione la fa la migliore delle maestre, comechéè omai ammesso ch’esse superano gli uomini nella didat-tica inferiore. Costrette dall’uomo a perfezionarsi nellabellezza o a supplirvi colla grazia, riescono a moltiplica-re le proprie doti naturali, a coniare un vero mundus mu-liebris, mondo della grazia, del buon gusto, in cui essaregna sola e sovrana.

Noi abbiamo veduto e dimostrato che non son solo leoccasioni che causano la inferiorità della donna; ma nonè possibile ammettere che questa eterna esigenza dellasola bellezza, questo ribrezzo che mostriamo noi, alme-no in Europa, per la donna di vero ingegno, deve averoperato una selezione alla rovescia, facendovi scompari-re o celare ogni tendenza allo studio, ogni lampo d’in-gegno originale, per vantaggiare la lotta sessuale, comefarebbe nascondere una mostruosità corporea, forse piùancora di questo, perché vi hanno gli anomali, e molti, acui piace l’anomalia corporea femminile, ma assai pochia cui garbi altrettanto quella del genio, ch’è una protesta

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a quella schiavitù rosata, a cui noi vogliamo sottoporre ladonna, anche la più cara.

È certo, però, che là dove la maggior tenacia della don-na e il minore pregiudizio degli uomini hanno aperto unospiraglio alla coltura femminile, ivi, se non il genio, si ma-nifestò un talento pari o superiore alla media maschile.

2

La forma della criminalità femminile

Sesso Tutte le statistiche s’accordano nel dimostrarequanto scarsa sia la quota che dà il sesso femminile inconfronto al virile nella delinquenza e la quota s’assot-tiglierebbe ancor più se, e come sopra dimostrammo ecome mostrano indirettamente le statistiche delle molteassoluzioni, noi escludiamo dalla delinquenza abituale leinfanticide.

In Austria le donne ree non giungono al 14 per centodel totale; in Spagna all’11; in Italia all’8,2.

Se non che se ciò può dirsi pei delitti gravi verissimo,per gli altri io credo che la statistica copra un equivoco,poiché, se non davanti al giurista, certo davanti alla pub-blica opinione, le prostitute dovrebbero contarsi fra lapopolazione criminale, ed allora le partite fra i due ses-si sarebbero pareggiate, e forse il sesso debole avrebbeuna prevalenza. Secondo Ryan e Talbot, ogni 7 donnedi Londra, e ad Amburgo ogni 9 ragazze, si conterebbeuna prostituta. – Noi in Italia n’abbiamo 9000 di ricono-sciute; e nei grossi centri 18, e fino 33 per 1000 abitanti(Castiglioni, Sulla prostituzione. Roma, 1871).

E la triste quota si è raddoppiata, decuplata in alcunipaesi. A Berlino, da 600 che erano nel 1845, crebberoa 9653 nel 1863. Du Camp calcola a 120000 le soleclandestine di Parigi negli ultimi anni (Paris, 1876).

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Un egregio statista scriveva: «La prostituzione è alledonne quello che il delitto è agli uomini» (Corne, Journ.des Économistes, 1868, p. 89).

Altrettanto vedemmo ripetuto, e quel che è meglioprovato, dal Dugdale colla genealogia degli Juke (p.270). Anch’essa è causata dalla miseria e dalla pigrizia;ma soprattutto dall’alcoolismo, dalla eredità e dalla spe-ciale tendenza dell’organismo. E noi abbiamo veduto evedremo sempre più come gli stessi caratteri fisici e mo-rali del delinquente si possano applicare alle prostitute,e quanta sia la loro reciproca simpatia.

Già vedemmo nel capitolo della sensibilità sessualeche le prostitute presentano, salvo poche eccezioni, unanotevole frigidità sessuale congiunta, e in apparente con-trasto, ad una notevole precocità. Abbiamo dunque quiun viluppo di contraddizioni: una professione, cioè, emi-nentemente sessuale, esercitata da donne in cui la sessua-lità è quasi abolita; e queste stesse donne – mentre han-no fiacca o pervertita la sessualità – si danno al vizio conuna precocità vertiginosa, in un’età in cui non sono nem-meno talora fisiologicamente adatte all’amplesso. Qual èdunque la genesi della prostituzione? La psicologia dellaprostituta ce la svelerà dimostrandoci che essa non è dacercarsi nella sua lussuria, ma nella sua pazzia morale.

Pazzia morale. Sentimenti famigliari Già la Tarnowskyaveva intuito che un certo numero di prostitute s’avvici-na molto al pazzo morale; un esame minuto di molti ca-si ci mostrerà come la pazzia morale sia frequentissimanelle prostitute-nate, anzi ne determini il tipo.

Se ne trova subito una prova nell’assenza degli affettipiù naturali, come gli affetti di famiglia, nella precocecattiveria, nella gelosia, nello spirito spietato di vendetta.

Pazzia morale e prostituzione innata La prostituta-nataè dunque priva di maternità, senza affetti famigliari, sen-za scrupoli d’onestà nella soddisfazione dei proprii desi-deri, sian questi grandi o piccoli, a seconda del vario gra-

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do di intelligenza individuale e talora criminale nelle for-me più miti di criminalità: presenta perciò intero il tipodella pazzia morale. Ed ecco, anche, spiegata la mancan-za del pudore che entra nel quadro della pazzia morale;essa è quasi il lato caratteristico della pazzia morale nel-la donna. Siccome tutto lo sforzo della evoluzione mora-le si è concentrato, in riguardo alla donna, a creare e raf-forzare sopratutto il pudore, la massima degenerazionemorale, cioè la moral insanity, deve produrre per effet-to la perdita di quel sentimento, come nell’uomo produ-ce la perdita di quei sentimenti, che più fortemente la ci-viltà inculca, qual è il rispetto della vita umana, ecc. ecc.E connessa con la mancanza del pudore e con la pazziamorale, e quasi il loro coronamento, è quella loro facilitàad accettare con indifferenza, talora con gioia, una pro-fessione infamata dal mondo e che le pone al bando dellasocietà.

Si risolve così anche la contraddizione apparente tra laprofessione di meretrice e la frigidità sessuale. I deside-ri sessuali più intensi del normale non conducono neces-sariamente una donna alla prostituzione; una donna co-sì fatta sarà una moglie molto esigente verso il marito, oche anche, oltre il marito, si accorderà dei supplementi,e, quando il desiderio la prenda, cederà ad un uomo ap-pena conosciuto; ma non si prostituerà. Quindi il pudo-re può ancora esistere, solo che, di quando in quando,sarà vinto dai più forti eccitamenti sessuali. Invece, se lealtre divengono prostitute non ostante la freddezza ses-suale, la causa determinante consiste, non nella lussuria,ma nella pazzia morale; mancanti di pudore, insensibiliall’infamia del vizio, anzi attirate verso tutto ciò che è vie-tato da una specie di gusto morboso, esse si danno a quelgenere di vita, perché vi trovano la maniera migliore perguadagnarsi l’esistenza senza lavorare. La freddezza ses-suale è anzi per loro un vantaggio, quasi un adattamen-to darwiniano, perché per una donna troppo facilmente

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eccitabile la vita della prostituta sarebbe esauriente; peresse il coito è un atto insignificante, sia moralmente chefisicamente, e gli si danno perché rende molto. E il fat-to che il germe della prostituzione sia nella pazzia mora-le e non nella lussuria, ci spiega anche la precocità; giac-che questa non è che un aspetto di quella generale pre-cocità al male dei pazzi morali: i pazzi morali mostranosin da fanciulli una tendenza morbosa a far tutto ciò cheè vietato.

Tanto più poi si doveva notare questa precocità nellaprostituzione, perché è tra le tendenze al vizio una cheper mostrarsi non trova nell’età giovanile impedimento:per assassinare o rubare non basta la malvagità, di cuipuò essere capace anche un fanciullo; ci vuole anchela forza, ma di fare un tentativo di coito ogni perversaragazza è capace.

L’ultima prova, infine, che con la prostituzione innatasiamo innanzi ad un traviamento morale e non sessuale,lo si ha nel fatto che si trova talora una precoce prostitu-zione morale accompagnata dalla più scrupolosa vergini-tà. Tale il caso di quelle mantenute dei monarchi France-si, che calcolavano sino da bambine di governare il pae-se dal letto del re: nelle carte della marchesa di Pompa-dour si trovò un cenno di pensione a M. Lebon, perchéle aveva predetto a 9 anni che sarebbe diventata l’amantedel re; e Felicita di Nesle, come dimostrarono i De Gon-court, architettava i modi di rimpiazzare la sorella nel po-sto di mantenuta reale quando, ancora ragazzina, era rin-chiusa nel convento di Port-Royal. Era adunque un viziodel senso morale, non già soverchio ardore sessuale, chele portò alla triste ed alta carriera.

La genesi, adunque, delle prostitute-nate è nella paz-zia morale.

Prostituzione e criminalità Ci è ora lecito risolvere condati sicuri la tanto dibattuta questione dei rapporti tra laprostituzione e la criminalità.

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L’identità psicologica come l’anatomica tra il crimina-le e la prostituta-nata non potrebbe essere più compiu-ta: ambedue identici al pazzo morale, sono per assiomamatematico eguali fra loro. La stessa mancanza di sensomorale; la stessa durezza di cuore in entrambi; lo stessogusto precoce del male; la stessa indifferenza della infa-mia sociale che fa sopportare all’uno la condizione di ga-leotto e all’altra quella di donna perduta; la stessa impre-videnza, mobilità, tendenza all’ozio; lo stesso gusto per ifacili piaceri, per l’orgia, per gli alcoolici; la stessa o qua-si la stessa vanità. La prostituzione non è che il lato fem-minile della criminalità. E tanto è vero che prostituzionee criminalità sono due fenomeni analoghi o, per dir co-sì, paralleli, che alle loro estremità si confondono, e ve-diamo spesseggiare tra la prostituzione le forme più mitidel reato, come il furto, il ricatto, il ferimento. La prosti-tuta è adunque una criminale, psicologicamente: se noncommette reati, si è perché la debolezza fisica; la scarsaintelligenza, la facilità di procurarsi tutto ciò che deside-ra con il mezzo più facile e quindi, per la legge del mini-mo sforzo preferito, della prostituzione, ne la dispensa;e appunto per questo rappresenta la forma specifica del-la criminalità femminile, giacche le donne criminali so-no sempre straordinariamente anomale e mostrano unacattiveria estrema più che quella del maschio o caratte-ri, anche biologici, maschili; sono quindi fenomeni inte-ramente eccezionali, che confermano doversi cercare lacriminalità vera delle donne nella prostituzione. E que-sto anche ci spiega perché tra esse predominano le for-me più miti di reato: essendo identiche ai criminali, bat-tono con questi la stessa via sin dove le loro forze arriva-no: al di là la loro degenerazione si sfoga nella forma spe-cifica della prostituzione. E noi abbiamo conosciuto unaragazza, P..., ladra fin da bimba, che abbandonò il furtoquando, adulta, divenne prostituta.

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Che poi queste donne non commettano delitti, o mol-to più raramente, dannosi alla società; che anzi la loroforma speciale di criminalità, la prostituzione, sia in uncerto senso socialmente utile, come sfogo alla sessualitàmaschile e come preventivo di delitto, non monta. An-che il criminale può trasformarsi un momento o ancheapparire solamente sotto forma di eroe; ma non resta perquesto meno psicologicamente un criminale, per quan-to la sua criminalità si sia sfogata questa volta in modoanche utile.

Ma noi qui ci fondiamo, sopratutto, sulla struttura in-tima della psiche, identica nei criminali e nelle prostitute-nate, salvo le differenze sessuali in perfetto accordo conle differenze generali della psiche maschile e femminile:noi possiamo dunque asserire che delitto e prostituzio-ne sono le due forme, maschile e femminile, della crimi-nalità, senza occuparci ora della loro diversa importanzasociale.

Secondo noi, la prostituzione e non la criminalità è lavera degenerazione femminile: perché le criminali-natesono eccezioni rarissime e mostruose; le criminaloidi nonsono spesso che donne, nelle quali disgraziate condizio-ni di esistenza hanno sprigionato quel fondo d’immora-lità che esiste in ogni donna, anche normale. Il furto ela frode, ad es., non sono ancora di per sé soli indiziodi una grande perversità in una donna, perché il rispet-to alla proprietà non è tra i suoi sentimenti più forti (V.Parte I), e quindi per infrangerli non c’è bisogno d’unagrave degenerazione. Ma il pudore è invece il più for-te sentimento femminile, dopo la maternità: quello allacui creazione e consolidazione tutta l’evoluzione psichi-ca della donna lavora da tanti secoli con estrema energia;quindi anche quella donna che, senza mancare origina-riamente di pudore, facilmente lo perde, deve essere piùprofondamente anomala che la donna la quale sotto gra-vi tentazioni perde il rispetto alla proprietà altrui. Que-

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sto fatto è pressoché normale; l’altro è invece molto ano-malo. Questa è la ragione per cui la prostituta occasiona-le presenta quasi sempre molti caratteri comuni, sebbe-ne più attenuati, con la prostituta-nata; mentre la crimi-naloide, che è quasi normale, ne presenta meno di comu-ni con la criminale-nata, che è un’eccezione doppia sottomolti aspetti e una mostruosità sporadica.

3

Criminali, epilettiche, isteriche

Quota del tipo [...] Chiamiamo tipo completo la riunionedi quattro e più caratteri degenerativi; mezzo tipo lapresenza di almeno tre caratteri degenerativi; zero tipola presenza di una o due sole anomalie fisiche o la loromancanza.

Da questo studio riassuntivo risulta:1) La scarsezza del tipo criminale nella donna rea

rispetto all’uomo delinquente: stando al nostro gruppoomogeneo (286) il tipo si presenta nel 14%, e tenendoconto di tutte le altre osservazioni si giunge al 18 %, ciframinore quasi della metà di quella riscontrata nell’uomodelinquente-nato, 31 %; mentre questo tipo nella donnanormale non trovossi che nel 2%.

In questa scarsezza del tipo criminale si accordanocompletamente tutti gli osservatori; infatti, dalle osser-vazioni di Marro risulta l’assenza del tipo nel 58,7%, inquelle della Tarnowsky nel 55%, dalle nostre esamina-te all’ergastolo 55,9%, da quelle esaminate in carcere nel55,8%; si ha cioè una media di 57,5% di ree mancanti ditipo criminale.

Corrispondentemente il mezzo tipo risulta in propor-zione pressoché costante, nel 22% in Marro, nel 21%nella Tarnowsky, nel 29% nelle nostre dell’ergastolo, nel

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28,9% nelle nostre del carcere, in media insomma nel25,20%.

2) La donna prostituta si differenzia notevolmente dal-la criminale per la frequenza molto maggiore del tipo chedalle osservazioni di Grimaldi risulterebbe nel 31%, daquelle della Tarnowsky nel 43%, dalle nostre nel 38%;insomma si ha una media del 37,1%. A questa conclu-sione eravamo già venuti studiando i singoli caratteri, epiù ancora studiando in modo completo i diversi tipi del-le prostitute-nate, come noi le chiamiamo, in confrontocolle comuni donne criminali.

3) Differenziando ora la donna criminale secondo i di-versi crimini, le nostre ultime osservazioni sulle 286 cri-minali, fatte senza conoscere prima la natura del delitto eclassificate dopo quando ci venne questo comunicato, cimostrano prevalere il tipo criminale nelle ladre, 15,3% e16%, e nelle assassine, 13,2%, ma più ancora nelle con-dannate per corruzione, 18,7%, in cui erano compresevecchie prostitute. La minor frequenza trovasi nelle truf-fatrici, 11%, e infine nelle infanticide, 8,7%, che megliorappresentano nella donna il crimine d’occasione.

Con uno studio ancora più preciso, la Tarnowsky cimostra la prevalenza delle omicide sulle ladre e delleprostitute su tutte le altre e le varie proporzioni nelleanomalie178:

Oneste 150 Omicide100

Ladre 100 Prostitute100

0 anomalie 32% 10% 40% (%

1 » 35 ( 6 4

2 » 26 14 18 12

3 » 4 38 22 22

4 » 2 16 14 30

5 » ( 16 20 16

6 » ( 4 10 12

7 » ( 2 6 22

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in cui è evidente il crescendo dei caratteri man manoche saliamo, dalle oneste che ci danno il massimo delleesenti da anomalie, alle prostitute, che non ci dannoalcuna esente – e che, viceversa, colle omicide ci dannoil numero massimo delle molteplici anomalie.

È evidente, però, a chi conosce la frequenza dei ca-ratteri anormali dei rei tipici maschi, che in confronto aquesti le ree più tipiche sono quasi normali.

Ragioni atavistiche e sociali della scarsezza del tipoQuesta straordinaria scarsezza delle anomalie, che an-cor più esattamente ci si rivelò nei cranii (i rei maschine diedero 78%, mentre le ree 27% e le prostitute 51%)(Ved. pag. 286), non è un fenomeno nuovo nella don-na, anzi nella femmina, e non è in opposizione col fattoverissimo, che essa è più indietro nello stadio atavistico,e quindi dovrebbe essere più ricca di mostruosità. Noivedemmo che solo alcune mostruosità sono in lei in au-mento, ma questo quando si tratta di vere forme morbo-se, che accennano a completo turbamento dell’ovulo; in-vece, l’inverso accade quando la mostruosità si riduce aquell’anomalia più ristretta, la fisionomica, che costitui-sce il carattere degenerativo, il tipo, tanto che nel cretini-smo, nella pazzia, e, quel che più importa a noi, nell’epi-lessia, esso si manifesta nella donna assai meno spiccatoe frequente; e, come vedemmo a pag. 35 e 36, le anoma-lie scarseggianvi, anche nelle normali, in modo straordi-nario in confronto all’uomo; e noi vedemmo che, menopoche eccezioni in animali inferiori, ciò si verifica in tut-ta la scala zoologica, che ci presenta una minore variazio-ne nella femmina in confronto al maschio; perciò, comeben nota Viazzi ( Anomalo, 1893) le femmine delle variespecie danno meglio nelle loro forme i caratteri comunial genere al quale appartenevano; e suol dirsi quindi dainaturalisti179 che il tipo di una specie è rappresentato piùschiettamente dalla femmina che dal maschio; ciò che sipuò estendere anche al mondo morale.

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Ora, ammesso come generale il fatto che il tipo pri-mitivo di una specie è rappresentato più schiettamentedalla femmina, se ne deve necessariamente arguire chele forme tipiche della nostra razza, meglio organizzate efissate nella donna per ragione di tempo e di lunghissimaeredità, poiché minori furono le variazioni anche nei pre-decessori, più difficilmente vi si trasformano o si defor-mano sotto l’azione di quelle influenze che determinanovariazioni speciali e regressive nel maschio (Id.).

Un’altra influenza evidentemente grande ebbe poi inciò la scelta sessuale, perché il maschio rifiutava, in origi-ne, anzi, mangiava la donna deforme, preferendo e con-servando la aggraziata che gli favoriva l’estro sessuale; es-sendo la scelta ormai nelle sue mani come del più forte.E noto l’aneddoto di quel selvaggio Australiano che in-terrogato perché non ci fossero donne vecchie nel paese,rispose: «Perché le mangiamo», e a chi gli obbiettava co-me potevano trattar così le loro mogli, rispose: «Per unache perdiamo, ne restano ancora mille». – Certo quellache perdettero più presto non era la più bella, ne la piùaggraziata. Solo quando alcune anomalie non incontranol’ostacolo della scelta sessuale, perché l’uomo se ne gio-va per altre cause, o non ne ha fastidio, o non vi dà im-portanza, come nell’anomala disposizione delle piccolelabbra, come nello strano cuscino delle Ottentotte (Ved.Tav. I e II), che se ne giovano pel trasporto dei figli; so-lo allora esse predominano nella donna di una data tri-bù e, per quella tenacia che presentano tutti i caratterifemminili, vi assumono un carattere stabile, perpetuo.

Un’altra ragione che rende nella donna meno frequen-te il tipo, è che la vera criminale-nata vi è assai più rara;e ciò per causa atavistica, perché è minore la sua ferociaallo stato selvaggio (Ved. pag. 83) e tanto più quantopiù s’incivilisce (pag. 88); perciò la criminale d’occasio-ne, che non si distingue fisionomicamente dalle normali,vi prende assai più piede: quindi non vi è ragione perché

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la rea abbia caratteri speciali: tanto più che quando an-che la criminalità vera vi fa capolino, appartiene di più aquella specie, come adulterio, calunnia, truffa, manuten-golismo, che necessariamente ha minori caratteri, perchéuna fisionomia ripugnante sarebbe un ostacolo preventi-vo, insuperabile a quei reati.

Ma se la donna primitiva non fu che di raro assassina,fu, come provammo sopra (pag. 213, 215, 218), sempreprostituta, e restò tale quasi fino all’epoca semi-barbara;quindi anche atavisticamente si spiega che la prostitutadebba avere più caratteri regressivi della donna crimina-le.

A queste osservazioni, che tutte convergono a risolve-re il singolare problema, credo si possa aggiungere: chenella donna come negli animali inferiori, specialmentenella donna poco civile, nella barbara, essendo meno at-tiva che nell’uomo la corteccia cerebrale, specialmentenei centri psichici, la irritazione provocata dalla degene-razione vi si fissa meno costantemente e meno tenace-mente, e produce con più facilità l’epilessia motoria edisterica o la anomalia sessuale, che non la criminale, allostesso modo che così raramente vi provoca la geniale.

Così le febbri e le sostanze narcotiche provocano nel-l’uomo delirii, ebbrezze, pazzie, ecc. (e più nell’incivili-to che nel selvaggio) – mentre negli animali, specie negliinferiori, anche i più forti narcotici non provocano feno-meni psichici notevoli.

E questo spiegherebbe perché la criminalità femmini-le cresca colla civiltà. – Sarebbe dunque la criminale, in-somma, una specie di reo d’occasione, con pochi carat-teri degenerativi, poca ottusità, ecc., e che, come questo,si moltiplica sempre più, quanto più le occasioni si fannonumerose: mentre le prostitute riprodurrebbero più ata-visticamente la donna primitiva, la Venere vaga, e perciòdarebbero, come vedremo poi, maggiore ottusità tattile,gustativa, più frequente tatuaggio, ecc.

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Insomma, la criminale ha meno tipica fisionomia, per-ché è meno criminale del maschio: perché la donna pre-senta già, in tutte le degenerazioni, meno deviazioni delmaschio; perché la donna, essendo organicamente con-servatrice, conserva i caratteri del tipo medio anche nel-le aberrazioni: inoltre, essendo suprema necessità per leila bellezza, questa sornuota agli assalti delle degenera-zioni. Ma non si può negare che, quando la malvagità èprofonda, allora la legge generale, che marchia col tipoil delitto, vince ogni ostacolo, almeno nelle razze più ci-vili (Ved. Tav. V): ma ciò sopratutto quando è prosti-tuta, perché questa assai più della criminale richiama iltipo primitivo della donna.

Atavismo Né manca, nelle linee precipue di questotipo, l’influsso atavistico. – Lo vedemmo spiegarne lascarsità.

Anche la precocità che spicca tanto in alcune prostitu-te (Ved. fig. 12 e 13), che illude tanti sulla loro bellezza,è notorio carattere atavistico.

Ed è pure fenomeno atavistico, quella virilità che for-ma quasi tutto il nucleo del tipo criminale: perché noinella femmina sopratutto cerchiamo la femminilità; equando vi troviamo l’inverso, concludiamo pel massi-mo dell’anomalia. Per ben comprendere la portata e laragione atavistica di questa anomalia, ricordiamo comeuno dei caratteri speciali della donna selvaggia sia ap-punto la virilità. Io non ho, per provarvelo, miglior mo-do che quello di presentarvi, tolti dalle tavole del Ploss (Das Weib, terza ediz., 1890) i ritratti di Veneri america-ne (Ved. fig. 14 e 15) e negre, che si stenterebbero a cre-dere di donne, tanto la mandibola e gli zigomi sono vo-luminosi, i tratti duri e grossi: e così accade spesso delcranio e del cervello (v. s.).

Siccome il crimine è soprattutto un rigermoglio del-l’uomo primitivo, così quando si manifesta nella donna– ci presenta i due caratteri più salienti della donna pri-

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Fig. 14. Femmina negra

Fig. 15. Fanciulla patagona

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mitiva, che è la precocità e la minore differenziazione dalmaschio – minore differenziazione che la segue nella sta-tura, nel cranio, nel cervello, nella forza assai superiorea quella della donna moderna (Ved. sopra, pag. 25, 26,31), – caratteri questi, del resto, che possiamo trovare inparte nei nostri contadi, specie delle isole.

Tale è in complesso la fisonomia morale della crimina-le-nata, che mostra cioè una tendenza fortissima a con-fondersi col tipo maschile. Quell’atavica diminuzionedei caratteri sessuali secondari, che notammo già nell’an-tropologia, ritroviamo ora nella psicologia della donnacriminale, che per l’erotismo eccessivo, la debole mater-nità, il piacere della vita dissipata, l’intelligenza, l’auda-cia, il predominio sugli esseri deboli e suggestionabili, ta-lora anche per la forza muscolare, il gusto degli eserciziviolenti, dei vizi e fin degli abiti, riproduce a vicenda oral’uno, ora l’altro dei tratti maschili. A questi caratteri vi-rili vengono ad aggiungersi spesso le qualità peggiori del-la psicologia femminile: esageratissima l’inclinazione al-la vendetta, l’astuzia, la crudeltà, la passione pel vestia-rio, la menzogna, formando così frequentemente dei tipid’una malvagità che sembra toccare l’estremo.

Naturalmente tutti questi caratteri si trovano in diver-se proporzioni nei singoli individui: c’è per es. la crimi-nale dotata di forza muscolare virile, ma a cui fa difet-to l’intelligenza, come la Bouhours, la P...; e la criminaledebole, che supplisce con l’ingegnosità dei suoi piani al-la mancanza di forza, come la M... Solo quando per unadisgraziata combinazione questi caratteri si trovano tut-ti riuniti in una sola persona, si hanno i tipi più terribilidella criminalità femminile.

Delinquenti epilettiche Quello stesso rapporto che ab-biamo scoperto nei maschi fra la pazzia morale e l’epi-lessia, noi l’abbiamo trovato ancora nelle femmine. Se-nonché qui, la epilessia come appunto la follia morale,è straordinariamente più scarsa che nei carcerati maschi.

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E ciò dicasi anche per la epilessia motoria, che da unostudio del Marro vi risulta inferiore di 1/3 ai maschi rei.

Secondo i suoi calcoli in 6 anni e 1/2 si notarono nelcarcere di Torino su 23333 rei, 0,66% epilettici maschi;su 3358 ree, 0,22% epilettiche; mentre, prendendo unamedia della statistica di Morselli e Sormani, si hannonella popolazione media maschile in Italia al più 0,25 a27% di epilettici e 0,27 in Francia (Charvin).

Ma molto più scarsa è l’epilessia psichica, la folliaepilettica: come si può verificare studiando le statistichedei pazzi epilettici nelle carceri.

Questa straordinaria differenza, che non è d’accordocolla differenza dell’epilessia motoria, non può spiegar-si se non perché la corteccia cerebrale nella donna, se èugualmente irritabile che nel maschio nei centri motori,lo è molto meno nei centri psichici, appunto perché que-sti sono meno prevalenti. Infatti, Tonnini pure osservache l’epilessia nelle femmine provoca più spesso demen-za, imbecillità, che pazzia: vi desta, cioè, minori anoma-lie psichiche, come, del resto, assai minori anomalie de-generative, 16 in femmine a 27 in maschi, mentre l’in-verso accade delle pazze le cui anomalie sono superiori aquelle dei maschi, come 8 a 12.

Avendo uno di noi dimostrato che una gran parte del-le psicopatie sessuali, specialmente le più gravi e straor-dinarie, le sadiche, le masochistiche, sono varietà epilet-toidi che fissano il primo momento dell’eccitazione ses-suale nell’epoca pubere lo perpetuano nella vita dell’in-dividuo, la loro quasi completa mancanza nella donna,che pure nella vita di prostituzione vi avrebbe tante oc-casioni, e pretesti, e ragioni più che il maschio, è, a chiben vi pensi, una nuova prova che le irritazioni corticali,che si trasformano in epilessie psichiche, in esse avven-gono assai più di rado.

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Infine, la prevalenza del sesso maschile sul femminileappare anche per la pazzia morale che ha, come dimo-strammo, tanta affinità colla reità-nata e coll’epilessia.

Questa grande scarsezza di pazzi epilettici e pazzi mo-rali ci spiega in parte quella della criminalità femminile enello stesso tempo ci spiega come sieno più frequenti nel-le femmine le ree d’occasione e come le stesse ree di pas-sione, non commettano quasi mai il reato in un accessod’impeto, che ha sempre qualcosa d’epilettoide; e comenei reati comuni esse, così spesso, aggiungano quell’esa-gerazione della premeditazione, quell’aggrovigliamento,che è l’antitesi completa del reato commesso nell’irrita-zione istantanea del moto epilettico: e ci spiega perchéesse sieno così spesso tardive nei reati; e così, mentre in-direttamente si confermano i rapporti dei rei-nati coll’e-pilessia, si trova in questa la spiegazione delle differenzesessuali.

Però, come vedemmo, le poche volte che una donnaè criminale-nata, io vi ho potuto trovare sempre, comenel maschio reo-nato, la fenomenologia epilettica. – Eperciò nei reati gravi l’epilessia si mostra più frequente.

Quello che ci ha colpito ad ogni modo percorrendo leprincipali anomalie psichiche delle isteriche e i loro pro-cessi più celebri, è che precisamente, come per le epilet-tiche, non offrono alcuna differenza dalla delinquente-nata, se non fosse che il morbo vi fornisce un virus spe-ciale che vi acuisce, vi invernicia le loro tristi facoltà, percui se anche, come non parmi, abbondassero nel mondocriminale, non sarebbe mai prudente il lasciarle libere.Aggiungo che nemmeno il fatto, che bisogna ammettere,della grande suggestionabilità, deve parlare in loro favo-re, perché noi vediamo che in genere la subiscono sem-pre nel senso del male, mentre non sarebbero capaci disubirla nel bene.

Prostitute isteriche Vista questa completa analogia del-l’isterica coi rei-nati, salvo la maggiore intensità del men-

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dacio, della volubilità, e della preoccupazione sessuale,specie paradossa, vediamo subito che il posto dell’epiles-sia è sostituito dall’isterismo nelle prostitute, in cui, dun-que, scarseggiano le epilettiche perché più abbondano leisteriche.

Infatti, Legrand du Saulle trovò il 12% di prostituteper puro dilettantismo senza bisogno nelle isteriche, e laTarnowsky segnalò il 15% di prostitute isteriche; vi so-no comprese le poche intelligenti e colte, alcune aman-ti dei piaceri rumorosi, altre avide, vanitose, che si ap-propriano in qualunque occasione tutto ciò che trovano;hanno grande precocità e passioni sessuali esagerate, sìche ebbero amanti ad otto anni, e ne cambiarono, pas-sando con questi, come è costume delle isteriche, dall’a-more all’odio più profondo. Il 13% di queste ebbero deiveri attacchi isterici.

Dopo tutto ciò, e conoscendosi come spesso l’isteri-smo psichico, al pari dell’epilessia, si possa manifestaresenza chiari accessi convulsivi e sia allora più cinico edimpudico, diventa assai probabile che la cifra delle pro-stitute a base isterica sia molto maggiore di quella finoraconosciuta.

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Ree d’occasione e per passione

Le ree d’occasione, che formano la maggioranza dellecriminali, si possono dividere in due categorie, una cherappresenta la criminale-nata più attenuata, ed a que-sta più vicina che alla donna normale; un’altra che com-prende le ree che si differenziano pochissimo dalla don-na normale, e che qualche volta non sono se non don-ne normali, poste in tali condizioni di vita che ne hannosprigionato quel fondo d’immoralità che latente si trovain ogni donna. Alla prima categoria appartengono so-

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prattutto le suggestionate, ree di delitti di sangue e con-tro le persone; alla seconda le ree di delitti contro la pro-prietà. Per queste il delitto spesso non ha ai loro occhialtra importanza che quella che hanno i furti per i ragaz-zi; l’importanza cioè di un trascorso un po’ audace, mapel quale si ha da render ragioni e saldare i conti col pro-prietario della cosa, non con la giustizia, rappresentantela società; una specie di offesa individuale, più che di of-fesa sociale, come era nei periodi primitivi dell’evoluzio-ne umana e come è anche ora in molti popoli barbari.

Prevalgono nelle ree per passione i sentimenti buoni,anzi, essi sono più vivaci che nella donna normale, sinoa raggiungere talora un grado straordinario di intensità.I sentimenti famigliari, aboliti nella criminale-nata, quinon mancano mai.

Dell’incendiaria R. Antonia, narra Ellero: Una solafu la voce di quanti ebbero a deporre su lei; ottimamoglie, madre amorosissima, compassionevole con tuttigli infelici e bisognosi. Donna nella quale, per mo’ didire, il cuore soverchiava la mente. In lei la nozione delbene e del male si può dire fosse sangue del suo sangue,un vero istinto; ma appunto, come tale, poco illuminato.Fu lei, che non una, ma più volte indusse il marito afarsi garante, mediante obbligazioni cambiarie, di tuttigli impegni che minacciavano la miseria alla famiglia disua sorella.

La B. .., con fisonomia virile ma pochi caratteri anor-mali, era sposa affezionatissima, madre esemplare, e cosìonesta, che nel quartiere da lei abitato si fece, durante ilsuo arresto, una sottoscrizione plebiscitaria per attestaredella sua illibatezza.

La Myers, che uccise l’amante infedele, divenne poiuna madre esemplare.

La passione che in queste donne è più intensa, e chepiù spesso le trascina al delitto, è l’amore. Straniere aquella freddezza erotica che trovammo nella donna nor-

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male, esse amano con l’entusiasmo di Eloisa, e trovanouna vera voluttà a sacrificarsi per l’uomo adorato, vio-lando per lui i pregiudizi, i costumi e financo le leggi so-ciali.

La Vinci sacrificò per l’amante i lunghi capelli, suaunica bellezza. La Jamais mandava all’amante, soldato,denari e doni, sebbene dovesse mantenere se e i due fi-gli con il suo lavoro. La Dumaire amava disinteressata-mente ma violentemente il Picart, lo aiutò nei suoi stu-di pagandogliene le spese; e non esige mai che la spo-sasse, purché avesse continuamente a convivere con lei.La Spinetti, sposatasi con un tristo, che essa cercò inva-no di ricondurre sulla via buona, si adattò, essa già ric-ca, a far la serva per lui. La Noblin amava così tenace-mente il Souguret, che, sebbene fosse in fondo onesta,non se ne staccò dopo che l’ebbe conosciuto delinquen-te: tre volte consentì, per fargli piacere, ad abortire, e in-fine commise essa stessa un delitto a cui la sua naturalebontà ripugnava.

Tale intensità nelle loro passioni d’amore, ci spiegaperché quasi tutte queste ree siano cadute in amori ir-regolari dal punto di vista sociale, senza che per questosi possa dir nulla sul conto della loro purezza. La vergi-nità, il matrimonio, sono istituzioni sociali adattate, co-me tutti gli usi e le istituzioni, al tipo medio, vale a dire,in questo caso, alla freddezza sessuale (v. s.) della donnanormale: ma queste donne amano troppo appassionata-mente per non infrangerle: come Eloisa, che rifiutava lenozze con Abelardo per paura di nuocergli, e dichiaravagloriarsi del titolo di sua meretrice.

E gran numero degl’infanticidi per passione hannoper origine un amore imprudente, che trascura il rispettoper gli usi sociali. Così quella infanticida, di cui laGrandpré narrò la storia, s’innamorò in poco tempoperdutamente e si diede a un forestiero che nella stagione

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dei bagni era venuto nel suo paese e che essa incontravaper la campagna.

Quindi sotto questo aspetto la rea per passione è bendiversa dalla rea-nata, che solo la lussuria e il gusto deipiaceri e dell’ozio traggono a violare i doveri della castità.

Ma tutte costoro, per quella fatale tendenza della don-na buona ed appassionata ad innamorarsi dell’uomo cat-tivo, si incontrano con amanti leggeri, volubili o addirit-tura malvagi, che non solo le abbandonano dopo aver-le godute, ma aggiungono spesso alla crudeltà del tradi-mento, la crudeltà anche maggiore dello scherno e dellacalunnia. Quindi il movente al delitto è sempre in que-ste ree gravissimo e quasi mai è costituito dal solo doloredell’abbandono.

Si aggiunga, specialmente per le amanti abbandonate,l’ingiusto disprezzo del mondo per quello che è detta laloro colpa e che non è se non un eccesso di amore peri-coloso in una società, in cui la gran forza è l’egoismo. Laderisione degli uni, spesso la inumana severità dei paren-ti, accrescono il loro dolore già tanto grande: così la Ja-mais si vide per il suo fallo respinta dal padre moribon-do che ne sdegnò l’ultimo bacio; la Provensal ricevettedal fratello una lettera che la dichiarava disonore dellafamiglia e divenuta una estranea. Questo movente, cheper costoro è secondario, diventa il principale e più forteper il maggior numero delle infanticide; congiunto spes-so però ad una specie di bisogno di vendicarsi sul bam-bino del padre infedele. «Quando nacque – confessavaalla Grandpré una infanticida – pensai che sarebbe sta-to sempre un bastardo, che era figlio di lui e che sarebbestato vigliacco come lui, le mie dita allora gli si attorci-gliarono intorno al collo». Ce ne danno la prova palmarele statistiche comprovanti che il numero degli infantici-di e quello delle nascite illegittime è in rapporto inverso,e non, come parrebbe più naturale, diretto: ciò che conaltre parole significa che nei luoghi dove essendo più ra-

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re le nascite illegittime sono considerate con occhio piùsevero, l’infanticidio è più frequente. È dunque la pauradel disonore che spinge al delitto. Infatti tale è il rappor-to fra gli accusati d’infanticidio nelle campagne e nellecittà:

Differenze evidentemente dovute alla maggior facilitàche la città presenta di nascondere il fallo.

Sono questi insomma delitti di passione determinatidall’opinione pubblica e dai suoi pregiudizi.

Come nei reati, così nei suicidi, una fortissima quota èdata dall’amore: qui le cifre relative sono così superiorinella statistica femminile, che si vede la donna eguagliare,e anche superare, nelle cifre assolute, l’uomo. Sul totaledei suicidi commessi da ciascuno dei due sessi, i suicidiper amore rappresentano infatti in:

U. D.

Germania (1852-1862) 2,33 % 8,46 %

Sassonia (1875-1878) 1,83 5,18

Austria (1869-1878) 5,80 17,40

Vienna (1851-1859) 5,89 14,13

Italia (1866-1877) 3,80 7,50

Belgio 9,53 12,08

Fanno però eccezione alla legge la:

U. D.

Prussia (1869-1877) 12,50 % 8 (%

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Francia (1856-1868) 15,48 13,16

Queste cifre fanno vedere chiaramente che per la don-na appassionata il suicidio è il mezzo più usato per farfronte ai disinganni e ai dolori dell’amore: ora, per quel-la legge ben nota di antagonismo tra il suicidio e il delitto,ciò deve influire, scemare notevolmente le quote dei de-litti passionali. E questa predominanza del suicidio sul-l’omicidio per amore è perfettamente in accordo coi ca-ratteri generali dell’amore femminile, che noi rilevammostudiando la donna normale (v. Parte I, cap. V). Noi ve-demmo infatti che l’amore per la donna è una specie dischiavitù accettata con entusiasmo, un sacrificio fatto di-sinteressatamente di tutta se stessa all’amante; ora que-sti caratteri, che nelle donne medie, per quanto vivi, pu-re lasciano campo alle passioni egoistiche di potere al-l’occasione prevalere, si esagerano nelle donne appassio-nate, in modo che questo bisogno quasi furioso di sacri-ficarsi non cessa, anzi si acutizza coi maltrattamenti e lecrudeltà dell’amante. In simili casi è evidente che la piùviolenta passione non potrebbe portar mai al delitto.

L’abbandono, insomma, dell’amante non eccita nes-sun sentimento di vendetta; è considerato quasi comeuna morte, che è causa di un grande dolore, e dopo luinon resta alla donna per consolarsi che di morire ancoressa, quando non impazzisce; perché dai calcoli di Marro(o. c.) appare che

Nei maschi Nelle femmine

l’amore non corrispostoprovoca pazzia

1,5 % 2,5 %

l’amore tradito 0,3 1,7

l’abbandono o la mortedel coniuge

0,6 3,2

con proporzioni doppie e fin sestuple nella donna.Ora, se riconnettiamo queste considerazioni alla os-

servazione dei frequenti caratteri virili nelle ree per pas-

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sione, avremo forse la chiave dell’enigma che ci è postoinnanzi: le ree per passione delinquono contro l’amanteperché l’amano virilmente.

Ecco perché è così raro trovare una rea per passioned’amore, che presenti compiuto e genuino il quadro del-la criminale passionata; ma in quasi tutte si vede che ildelitto, più che dall’amore, è eccitato da sentimenti piùegoistici, che i disinganni hanno fatto fermentare. La pu-ra e grande passione per se stessa conduce la donna in-namorata più al suicidio od alla pazzia che al delitto; seconduce al delitto è segno che essa ha potuto sprigiona-re un fondo latente di cattiveria, o che la virilità del ca-rattere dava alle veementi passioni i mezzi del delitto cheuna donna interamente donna non avrebbe mai compiu-to. Il vero reato adunque per passione d’amore è nelladonna – se reato si può chiamare – il suicidio; gli altrireati invece non sono per lo più che forme ibride.

Non sono scorsi molti anni, nella ridente Ivrea vive-vano accosto due famiglie numerose, patriarcali. Venneil giorno in cui un giovinotto di queste dove allontanar-si per finire gli studi a Torino; pregò la mamma di pre-parargli un certo cibo per la sera; scherzò allegramentecol padre, ma la notte non fu più veduto; nel frattempola ragazza della vicina famiglia, a cui egli era avvinto daantico affetto, aveva richiesto alla madre lo stesso cibo; siera vestita, per la prima volta, d’un abito che aveva a bel-la posta da lunghi mesi ricamato; aveva detto alla madre:E non ti pare ch’io sembri una sposa? Ed era scompar-sa pure in quella notte. I due padri, presi da un sospettostesso, si riunirono che appena albeggiava, e dopo avertrovato una lettera dello studente che diceva preferire lamorte al distacco, corsero al Naviglio, ne fecero asciuga-re il letto, e lì ambidue li rinvennero, nel fondo, avvin-ti insieme, composto il volto ad un calmo sorriso, comese la morte li avesse colti nel più lieto momento della lo-ro vita. La madre, rovistando nella cameretta verginale,

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trovò un diario della ragazza, che già un anno prima ave-va fermato il ferale proposito, e scriveva sorridente pen-sando a «quel giorno».

Dicano pur ciò che vogliono moralisti e teologi; ma inquesto secolo banchiere e procaccevole, queste vicende,lungi dal destare il ribrezzo del crimine, ci empionogli occhi ed il cuore di una commozione profonda; cidimostrano che anche ora sappiamo e possiamo sentiredelle forti, ideali, disinteressate passioni e morire peresse.

Non è difficile il capire la fisiologia di questa causa,così diffusa, di suicidio, ricordando come l’amore sial’effetto di una specie di affinità elettiva moltiplicata daquella degli organi riproduttori, resa ancor più forte dal-l’abitudine per cui le molecole dell’organismo dell’unoformano, direi quasi, parte di quello dell’altro e non pos-sono sopportarne il distacco.

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A nostro vantaggio

Fra le molte, nuove, ricerche dell’antropologia criminale,quelle sulla donna delinquente e prostituta, più di qua-lunque altra riconfermano il vantaggio della cieca osser-vanza dei fatti, l’unico segreto dei nostri trionfi sugli av-versari aprioristici, che ci opponevano solo la logica ed isillogismi.

I principali risultati, infatti, a cui fin dalle prime inda-gini giungemmo, erano in opposizione alle comuni pre-messe; anche le singole, parziali osservazioni parevanocontrastarsi l’una coll’altra: sicché, chi per amore del si-stema avesse voluto essere logico, avrebbe dovuto esita-re nelle definitive conclusioni. Ma noi, fedeli alla massi-ma che ci ha sorretti in tutta: la vita, abbiamo seguiti cie-camente i fatti, anche quando parevano più contraddir-

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si fra loro, anche quando parevano cacciarci su una fal-sa strada. Né mal ci apponemmo; perché, allo stringerdelle reti, i fatti più opposti, incastrandosi pei loro an-goli come i lapilli di un mosaico, formarono un disegnoorganico e completo: che se il modo di raccoglierli sulleprime tornò incerto ed uggioso come a chi brancica al-l’oscuro, quando alla fine ci si aperse una mèta lucida echiara, gustammo l’aspro piacere del cacciatore che ac-ciuffa la preda per balze e discese, e sente raddoppiata lagioia del successo dalle ansie delle perdite e dalle fatichedella conquista.

Non di raro poi questi rimbalzi, come le ondate delmare, ci trascinarono molto più lungi dalla mèta prefis-sa, e, quel ch’è meglio, più in alto, aiutandoci così adappianare le continue contraddizioni che si affacciavanosin dalle prime linee. Così vedemmo la femmina nelle piùbasse serie zoologiche essere superiore al maschio il vo-lume, in complicazione degli organi, quasi padrona del-la specie, per poi calare ad esserne l’umile schiava, me-nomata in forza, in variabilità, ecc.; e così nella razza no-stra essa appare uguale o superiore all’uomo prima del-la pubertà in forza e statura, spesso in ingegno, ma poiman mano gli resta indietro, lasciando nella stessa mo-mentanea prevalenza una prova di quella precocità che ècomune alle razze inferiori.

La stessa relativa scarsezza di stigmati degenerative,che sembra a tutta prima evidente carattere di superiori-tà, si lega invece alla minore sua variazione, che è un ca-rattere inferiore; benché, quanto ai mostri, le condizionisi pareggino o quasi, nuova anche questa e curiosa inter-ferenza, cui solo la selezione umana sessuale può toglie-re.

La minore sensibilità trovata da noi nella donna, cau-sa questa della sua maggiore vitalità, pare in aperto con-trasto colle tradizioni e leggende comuni e colla maggio-re, od, almeno, colla più rumorosa reazione al dolore, di

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cui essa ci dà prove così evidenti, ma la contraddizione sispiega per la maggiore sua eccitabilità e per la sua minoreinibizione.

La minore frequenza del tipo criminale e della crimi-nalità nata nella rea, che paiono contrastare alle linee fon-damentali della teoria dell’uomo delinquente, la consoli-dano, invece, quando si vedon collegarsi alla minor fre-quenza della degenerazione e della irritazione corticaleepilettica (pag. 605), che è la base del crimine.

Singolarissima contraddizione ci offre la coesistenzadella crudeltà e della pietà nella donna: e ci venne appie-no risolta dall’influenza della maternità, che innestando-si sul fondo crudele ne fa sopranuotare spesso la dolcez-za, come la mancanza di ingegno, di forza e di variabili-tà ci dà la ragione perché, essendo congenitamente menomorale, pure sia meno rea: e questo e l’atavismo e i pre-potenti ardori maschili ci aiutano a comprendere comel’equivalente della reità-nata sia in esse, più che il delitto,la prostituzione, che pure non dovrebbe sorgere, a filo dilogica, in chi ai bisogni sessuali è tanto meno sensibile.

Queste interferenze abbiam voluto notare fin dal prin-cipio perché vi hanno timidi ingegni, incapaci non solodi iniziare proprie, ma di seguire le altrui ricerche, ignariche la natura non è logica mai, i quali partono da questeinterferenze, per scemare agli occhi del volgo ogni fedealle nuove teorie.

A chi ci accusasse di aver perduto troppo tempo sulladonna onesta, ricordiamo che nessuno dei fenomeni del-la donna delinquente poteva spiegarsi se non se ne ave-va nelle mani il profilo normale; e che quando andammoa cercar di questo, nulla trovammo o ben poco di cer-to, perché, mentre quegli inutili sciupatori di tempo e dimetro che sono gli antropologhi, consumano (salvo po-che eccezioni, Pagliani, Sergi, Tarnowsky) risme di cartain sterili misure di tribù nostre o selvaggie, non ci seppe-ro precisare neppure l’estesiometria nelle varie età della

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donna, sicché era impossibile dire quando cominciava ilpatologico e quando finiva lo stato normale.

Coloro che, nei libri sulla donna, non si contentanodella logica serrata dei fatti, ma continuando, o meglio,falsificando le tradizioni medioevali, vogliono anche lacavalleria verso quella parte gentile che più ci infiora lavita, troveranno che, spesso, nella nostra opera, le ab-biamo mancato di riguardo. Ma, se non abbiamo por-tato rispetto ai nostri preconcetti più cari, come all’ideadel tipo, del reo-nato, se non abbiamo avuto paura del-l’apparente contraddizione che agli occhi volgari avreb-be potuto sembrare deleteria d’ogni nostra opera, comepotevamo farci pedissequi a una menzogna convenziona-le, punto scientifica, che non acquista una forma che perperderla subito?

D’altronde, se dovemmo provare che la donna ri-produce, e più numeroso forse, un equivalente delcriminale-nato maschile nella prostituta, bisogna benconvenire che questo equivalente, per quanto abbia lastessa origine atavistica e la stessa nota d’infamia nel-l’opinione pubblica, ha però una portata e un’influenzameno perversa, meno dannosa e meno temibile; e mentrenon vi è delitto che non rechi con sé una iattura, il mere-tricio può essere invece una valvola alla sicurezza ed al-la morale: né, ad ogni modo, sarebbe sorto, ne sarebbepermaso se non lo nutrisse il vizio maschile, di cui è unosfogo tanto utile quanto vergognoso, sicché si potrebbedire che la donna, anche dove più s’abbrutisce, dove piùpecca, ci è ancora profittevole.

Che, se dovemmo provare che nella mente e nel corpola donna è un uomo arrestato nel suo sviluppo, il fattoche essa è assai meno delinquente di lui, e che ne èdi tanto più pietosa, può compensarne a mille doppi ladeficienza nel mondo dell’intelletto.

Allo stesso modo che l’armonia musicale, e meglio an-cora la bellezza, conquista tutti i ceti e tutte le classi, co-

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sì il rispetto che si ha all’intensità del sentimento, e spe-cie del sentimento materno, è molto più universale e du-revole che non quello per le vittorie dell’intelletto. Unoscienziato avrà cento ammiratori, che presto scompaio-no: un santo, miliardi, e per tutte le età.

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Devianza e leggi sociali

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Natura e funzione del delitto

Dopoché Cognetti De Martiis applicava la zoologia al-l’economia politica, ed Espinas alla psicologia, ed Hou-zeau alla sociologia, sarebbe una vergogna se la nostranuova scuola non facesse altrettanto colla antropologiacriminale180. Ma la bisogna non è facile; certo se doves-simo seguire le orme delle vecchie scuole, quelle dellagiustizia eterna, ci sarebbe agevole raccogliere un’ampiamesse sul delitto in natura, anzi, non solo fra gli animali,ma perfino nelle piante.

Prendiamo la Dionaea muscipara che si rinserra sul-l’insetto appena esso vi si posa e lo divora, la Drosera R.che, come è noto, attrae con sostanze zuccherine gli ani-maletti fino a certe sue piccole tane e ve li soffoca den-tro digerendoli lentamente, e facendo un vero rifiuto perle sostanze non azotate, precisamente come un banditoper un bottino troppo scarso. Certo un procuratore delRe ed un giurista alla vecchia ne avrebbe abbastanza perincriminare; e, se si trattasse di un buon cristiano e nond’una pianta, per trovarvi la prava malvagità ed anche lapremeditazione e l’agguato, come il fisiologo per sospet-tare d’un sistema nervoso che finora sfugge alle indagi-ni; ed infatti nel Medio Evo, quando i giuristi erano più

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sinceri e logici nelle loro convinzioni, giudicavano e con-dannavano piante ed animali: il vescovo d’Autun sco-municò i ratti che entravano fra gli arredi sacri: il vesco-vo di Parigi scomunicò i bruchi della piralide della vite:il Municipio di Torino (mediatore l’ambasciatore) com-perava al Vaticano contro i bruchi una maledizione cheil vescovo, in gran pompa, insieme al sindaco ed assesso-ri scagliava da un palo in piazza Castello. Ed altrettantofrequenti erano i processi con opportune accuse e dife-se. E a Vercelli ci fu discussione se certi bruchi si dove-vano condannare dal tribunale civile o dagli ecclesiasticiperché avevano intaccato viti della parrocchia (Vedi Les-sona, Nemici del vino, 1880, Torino), il che a noi appa-re certo più logico di quelli che condannarono per pra-va malvagità un cretino come Grandi, o grafomani mat-teschi come Passanante e Guiteau.

E ancora più grande sarebbe la messe nella zoologia incui la rapina, il furto (la gazza), l’omicidio per prava mal-vagità (gatto, tigre), con premeditazione (volpe, ragno,formica, leone), le ferite leggere o gravi (scimmie, pulci,vampiro, sorci), le risse e lotte per amore (cervi, uccel-li, ecc.), sono, si può dire, la legge generale, specie poipei mammiferi carnivori; e così troveremmo il ratto diminori nelle formiche rosse, la sostituzione d’infante nelcuculo che mette l’ova nel nido dei passeri sottraendovi,pare, qualcuno dei suoi per meglio ingannarli, ferimen-to per vendetta (elefante, cavallo), per imitazione (scim-mia), associazione nel delitto (lupi, sciacalli, linci col leo-ne). Forse potrebbesi aggiungere avere spesso gli anima-li più crudeli, una speciale fisionomia che in embrionepresenta alcune analogie con quella dei delinquenti: co-sì l’occhio grigio che s’inietta di sangue, della tigre, del-la iena, è veramente proprio degli assassini: «Gli uccellipredatori, p. es. i rapaci, dice Brehm (II, 5) hanno bec-co breve, ricurvo, mascella superiore spesso munita didente acuto a cui risponde nell’inferiore un intacco; or-

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bita grande (come nei criminali: Tamassia) e che s’iniettadi sangue». Negli insetti in cui la fisionomia manca, perl’immobilità della faccia, molte tetre appendici e la robu-stezza delle mandibole segnalano le specie che più vivo-no di preda. – Ma pure il solo annunciare che reputia-mo delitti codesti atti parrebbe poco serio (come è poipoco seria la prava malvagità); al più, quando sarà diffu-sa la convinzione che le differenze psicologiche dall’uo-mo agli animali sono soltanto di grado, sarebbero comeun’eloquente critica delle antiche teorie giuridiche; per-ché è ovvio comprendere come quelle azioni che a noiappaiono misfatti, in loro sono invece l’effetto necessa-rio dell’eredità e della loro struttura organica, che si giu-stificano pel bisogno della conservazione della specie, es-sendo una ripetizione necessaria, per quanto però diret-ta da un’intelligenza spesso vivacissima, di atti atavisti-ci. Così la Chaetocompa processionaea e la Thyatira vivo-no in comune; ma le più forti divorano le più deboli ole rese più torpide dal troppo cibo; e così le manthe, gliscorpionidi, le formiche-miele Messicane. – Sono assas-sinii cannibaleschi, imposti dalla concorrenza per la vi-ta; e, malgrado tendano alla distruzione della specie, nonappaiono delitti, perché essendo eseguiti in grande scala,rientrano nelle abitudini della specie stessa, e appaionoimposte dalla legge della concorrenza per la vita, ma, in-tanto giovano a mostrarci la vanità del concetto assolutodella giustizia, così come fra i selvaggi il cannibalismo, ilparricidio, che divenuto per molti costumi nazionali finorito religioso, l’eseguiva fra noi il predecessore dei papi,il pontifex, non può in loro tenersi per delitto, benché, ainostri occhi, sembri il più tristo di tutti.

Comincierebbe, forse, il delitto negli animali addome-sticati a cui noi apprendiamo colle minaccie e colle batti-ture alcune azioni giuridiche, ed invero quando questi vimancano si mostrano profondamente avviliti, specie secomprendono che noi ce ne accorgemmo.

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L’avvilimento qui è pari al preteso rimorso del delin-quente, nato da paura di una pena o meglio sotto la suastrettoia.

Chi non conosce le belle osservazioni che dopoDarwin181, Drude, Kohn, Rees e Will, si fecero sulle pian-te insettivore, in non meno di 11 specie di droseracee, 4di saracenacee, 5 di nepentacee, 11 di utricolarie, nonche nel Cephalotus follicularis che commettono delle ve-re uccisioni sugli insetti? Quando, p. es., un insetto perpiccolo che sia, anche meno pesante di un 124 millesimodi grano, si ferma sul disco fogliare di una drosera (e pa-re che ciò non sempre accada per caso, ma ve lo attrag-gano anche gli odori di certe secrezioni della foglia), neè da queste subito invischiato e compresso dai tentaco-li numerosissimi, circa 192 per foglia, che gli si ripiega-no addosso in 10 secondi e raggiungono in 1 ora e 1/2il centro della foglia, né si sollevano che quando la vitti-ma sia morta ed in parte digerita, grazie ad un acido e adun fermento molto analogo alla nostra pepsina, secreti ingran copia dalle glandole, che influiscono sul tentacolovicino e sui circostanti, con un movimento simile, credeDarwin, a quello del moto reflesso negli animali.

Quando l’insetto si arresta su un lato del disco, i ten-tacoli circostanti curvansi tutti verso il punto di eccita-mento ovunque sia; l’impulso motore, quando si diffon-de da una o più glandole, attraversa il disco, si propagafino alla base dei tentacoli vicini, agisce, a sua volta, so-pra il punto di eccitamento, aumenta la secrezione delleglandole e le acidifica, e queste a loro volta agiscono sulprotoplasma.

Nella Dionea muscipula non si provocano le contrazio-ni delle setole omicide col soffio ne con corpi liquidi, masolo con corpi solidi, che siano nitrogenati ed umidi; dipiù notasi che le setole incrociate lasciano scappare gliinsetti minuti che non gioverebbero alla loro nutrizione.

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Nelle Pinguicole le goccie d’acqua non fanno arriccia-re le foglie ne molto più vi riescono le sostanze solide chenon siano organiche. I fluidi non nitrogenati, ma densi,provocano sì secrezione delle glandole, ma non copiosae non acida, mentre copiosissima e fatale è la secrezio-ne e rapido l’incurvamento quando si tratta di un corpoazotato.

La Genlisea ornata prende gli animaletti precisamentecome i pescatori usano nella trappola d’anguilla.

La Utricularia neglecta attira gli insetti con certi pro-cessi quadrifidi; giuocando con questi, essi si impegna-no inavvertitamente in una valva che, essendo elastica, sichiude solo dietro a loro e li incarcera in un otricolo ovemuoiono (Darwin).

Io cito, minutamente, questi fatti, ove parmi di intra-vedere i primi albori della criminalità, potendovisi so-spettare, da chi non ne conosca la assoluta dipendenzadalle condizioni istologiche, la premeditazione, l’aggua-to, l’uccisione per cupidigia, e fino a un certo punto quel-la certa libertà di elezione (rifiuto di insetti troppo minu-ti, di sostanze non azotate) su cui tanti, erroneamente,fantasticarono la base della responsabilità.

Tanto più chiara riesce l’analogia quando si passa almondo zoologico. E già solo pei crimini d’uccisione fragli animali il Ferri (op. cit.) ha potuto distinguerne nonmeno di 22 specie, di cui non poche sono analoghe aquelle contemplate dai nostri codici.

Così l’uccisione per ricerca del cibo: di cui credo inu-tile dare gli esempi tanto sono comuni, e corrispondereb-be ai delitti nostri per fame o nelle carestie; e così i mal-trattamenti e l’uccisione pel comando della tribù, che sa-rebbero i nostri delitti per ambizione, ecc., e che si ha neicavalli, tori, cervi.

Ma pure il solo annunciare che reputiamo delitti code-ste uccisioni, e così pure il furto con destrezza e per asso-ciazione nelle scimmie, il domestico nei gatti, il ratto di

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minori nelle formiche rosse, la sostituzione d’infante nelcuculo, che mette l’ovo nel nido dei passeri, sottraendo-vi qualcheduno dei suoi per meglio ingannarli – parreb-be poco serio, perché è ovvio comprendere come code-ste azioni che a noi appaiono misfatti sono invece effettonecessario dell’eredità, della struttura organica o impo-ste dalla concorrenza per la vita (uccisione dei pecchio-ni); dalla scelta sessuale, dalla necessità sociale per im-pedire discordie (uccisione dei capi) e dal bisogno d’ali-mento negli animali voracissimi, lupi, sorci, o dalle con-secutive guerre che li fanno somiglianti a noi quando cibattiamo col nemico – o quando mangiamo i polli ed ibuoi senz’ombra o sospetto di essere incriminati. Anchequando tendono alla distruzione della specie propria, so-no attuate in così grande scala da entrare nelle abitudi-ni della specie medesima; ma intanto giovano a mostrar-ci la vanità del concetto assoluto della giustizia e porger-ci già un primo amminicolo per spiegarci il sorgere, consì perpetua costanza, delle tendenze criminose anche inmezzo alle razze più incivilite, e con forme che ci fannoricordare le più tristi fra le specie animali, ed a spiegar-ci perché, nelle epoche antiche, che erano forse più lo-giche delle moderne, si condannassero, in tutta forma,gli animali nocivi o poco rispettosi delle cose che l’uomoreputava per sacre.

Per volerci approssimare un po’ più al delinquenteumano con un criterio che non paia quello dei nostribuoni antenati del Medio Evo, bisogna fermarsi più spe-cialmente negli animali domestici e fra i selvatici, fraquelli che vivono a gruppi formando quelle (come diceEspinas) società animali che offrono gli elementi primidelle società nostre, e mostrano in germe anche le nostremostruosità.

L’educazione imposta da noi, e trasformata coll’eredi-tà in istinto, i bisogni ed i rapporti della convivenza vihanno ingenerato delle abitudini speciali a cui gli indi-

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vidui non vengono meno se non per straordinarie circo-stanze, come accade dei nostri delinquenti.

Ma l’analogia più curiosa è quella delle cause che nellegrandi linee, si può dire, riescono uguali nel mondoanimale e nell’umano.

Importantissimi, poi, sono quei casi in cui, proprio co-me nell’uomo, delitto e pazzia si fondono insieme inestri-cabilmente, inquantoché le tendenze delittuose si vedo-no originarsi od all’improvviso dopo una speciale malat-tia, puerperio, ninfomania, senilità, o dalla nascita, grazieall’eredità, e soprattutto per la mala conformazione cra-nica, che è precisamente la causa più frequente dei cri-minali nati (microcefalia frontale dei cavalli) presentan-do, anche qui, una perversità senza causa in completocontrasto cogli individui della stessa specie.

Forse, come appunto vedremo nei popoli barbari, unmovente al delitto è l’antipatia delle bestie intelligenti perogni novazione che le sorprende ed impaurisce, ed è asua volta considerata probabilmente da loro come un’of-fesa individuale, chi sa anche, forse un delitto – e BretHarte finamente osservò come spesso i cani abbiano unvero fanatismo conservatore ed abbaino e s’accaniscanocontro le ferrovie, il gaz, le musiche, quando vi s’imbat-tono per la prima volta. Vi son cavalli avvezzi ad essermontati da un ufficiale in divisa che s’impennano se il ca-valiere non abbia almeno il cappello militare, né lo sop-portano in sella182.

Abbiamo visto delle analogie assai curiose nella con-formazione cranica. Non è difficile che uno studio accu-rato sugli individui, ci mostri una differenza nella fisono-mia, e qui ricordo avere spesso gli animali più feroci unaspeciale fisionomia, che in germe offre alcune analogiecon quella dei delinquenti: così l’occhio grigio che s’i-nietta di sangue, della tigre, della iena, è veramente pro-prio degli assassini.

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Tuttavia, per quanto si voglia affaticarci nelle distin-zioni, ci è forza confessare: che vi ha una continuità, unpassaggio insensibile da molti di quegli atti che noi chia-miamo criminali a quelli che sarebbero delitti solo perl’uomo e viceversa. Così i furti delle scimmie, le vendet-te dei cani, le uccisioni delle formiche possono, fino adun certo punto, entrare nella categoria dell’uccisione inguerra – od in quelle per procurarsi il cibo – nella lottaper la vita – appunto come l’uccisione per cupidigia cheperciò dovemmo compenetrare nella prima serie. Moltedelle uccisioni con cannibalismo – e peggio con parrici-dio ed infanticidio – in alcune specie, p. e., nella Chaeto-campa, negli orsi, lupi, si sono originate, come nelle ca-restie, per la concorrenza vitale, come che la feconditàesagerata della specie finiva per essere di danno alla suaprosperità. In questi casi la distruzione degli individuiserve al mantenimento della specie: ed altrettanto dica-si dei casi, in cui (galline) i neonati son malaticci e pocovitali: la frequenza stessa in cui si ripetono tali atti in al-cune specie, proverebbe non essere essi sempre anorma-li. E quelle stesse ferocie, non provocate, che riprodu-cono negli animali domestici il tipo della brutale malva-gità, possono benissimo spiegarsi per la riproduzione ditendenze atavistiche (come nel cane per l’eredità del lu-po), per un effetto delle condizioni organiche cerebrali,come certo si riscontrò nei cavalli cattivi à nez busqué. –Ed allora che differenza può egli trovarvisi colle uccisio-ni commesse dalle Drosere e dalle Dionee in grazia dellaloro struttura organica?

Come non concludere che, già, sin nella sua prima ma-nifestazione, il delitto è legato alle condizioni dell’orga-nismo, ne è un effetto diretto?183

Mentre a pochissimi si riducono i veri crimini per i sel-vaggi, anche già bene organati, e mentre anzi questi me-desimi non son riconosciuti che ben tardi ed irregolar-mente, mentre quello che per noi è delitto, spesso, per

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essi non lo è, ve ne hanno altri che son considerati gra-vissimi per loro, e che non sarebbero mai riguardati pertali da noi, sarebbero, anzi, creduti segni di maggiore in-civilimento: – sono le mancanze contro l’uso invalso econtro la religione, il che, dandosi la generale tendenzadelle religioni a perpetuare le usanze, qualunque siano,rendendole sacre, finisce ad essere tutt’uno.

Così nell’Australia non è permesso gustare della carnedell’Emou che ai vecchi ed ai capi. Se un giovane onesto,cedendo alla tentazione, dopo uccisolo ne mangia, è pre-so dai rimorsi, resta malinconico e domanda egli stessodi essere punito (Stuart, Histoire universelle des voyages,43).

Altrettanto accade all’Indostano che beve certe birreconsacrate al solo Bramino o all’Ebreo che mangia delporco, o alla Chinese che non vergogna di prostituirsi,ma sì di mostrare il piede.

Quella medesima morale che regola la distribuzionedell’Emou, regola la vendetta, ma una vendetta cieca;p. es., uno è offeso da un bianco, se la prende, noncoll’offensore, ma con tutti i bianchi.

Così nell’Australia non vi è morte che non sia causatada maleficio e non meriti, quindi, vendetta.

Un Australiano, racconta Sander (Letourneau, o. c.),perdette la moglie di malattia e dichiarò che avea doveredi uccidere una donna di qualche altra tribù. Venne per-ciò minacciato di prigione; da quel giorno rimase silen-zioso, pieno di rimorso, nell’idea di mancare al suo do-vere, finche fuggì e dopo qualche tempo tornò contento,perché avea pagato il suo obbligo sacro. Si vede (com-menta qui il Letourneau) che certe associazioni di ideesi sono lentamente scolpite nei nostri centri nervosi co-scienti ed a un dato movente devono fatalmente scoppia-re.

E ciò accade anche perché se l’uomo per le piccolenovazioni prova un vivo piacere (come il bimbo a cui si

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porga un giocattolo, il selvaggio a cui si muti il tatuaggioelittico in un circolare), esso prova un profondo ribrez-zo quando le innovazioni siano troppo radicali, ribrez-zo con cui esprime o vendica od evita il dolore che pro-va nel doverle afferrare, nel dovere far subire al propriocervello dei passaggi più rapidi, che non siano della suaportata, essendo naturale nell’uomo volgare e negli ani-mali tutti l’inerzia e la ripetizione dei moti già eseguiti,proprii od atavistici. Così abbiamo veduto come gli ani-mali domestici non sopportino, senza protesta e reazio-ne, ogni grande novità, per es., del gaz, del vapore (pag.21, 22). Anche il bimbo, che pur ama giuocare, s’irritae diventa perfino feroce se sia cambiato d’appartamento(il che ho osservato io stesso in due piccini di miei ami-ci), e si impaurisce ad ogni mobile nuovo e vuole rive-dere sempre la stessa pittura o risentire la solita novellacogli stessi termini.

E la donna, che è pure così tenera della moda, quandosi tratti invece di novazioni sociali, religiose, politiche, neè la più tenace avversaria184.

Ricordando ciò: ricordando come l’impulso che piùcontribuì a reagire contro il delitto fu quello della ven-detta: che la promiscuità della Venere scomparve grazieall’incesto introdotto per ticchio di nobiltà, alla polian-dria e poliginia, originate, assai più che per la scarsezzao abbondanza di donne, per la predilezione che aveva ilcapo o il più prepotente della tribù per una data femmi-na, così come accadrebbe in un postribolo per le violen-ze di un ganzo, e più tardi pel ratto e pel maggior pre-dominio di un capo, sicché era delitto toccarne la mogliequando non lo era toccare le altre femmine (v. s.): e co-me la pena pel furto cominciò a comparire sotto il preva-lere delle conquiste, dei capi o dei più prepotenti, i qua-li vollero conservare i possessi carpiti e non dividerli piùcoi meno validi, sicché era soprattutto dai furti ai capiche s’iniziava la giustizia come s’iniziò la reazione contro

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l’adulterio – si può ben concludere senza che paia un’au-dace bestemmia, che la moralità e la pena nacquero, ingran parte, dal crimine.

È un fatto sfuggito forse ai più degli osservatori, ap-punto per la sua semplicità e frequenza, e appena av-vertito ora con chiarezza da Moreau, Perez e Bain, chei germi della pazzia morale e della delinquenza si trova-no, non per eccezione, ma normalmente, nelle prime etàdell’uomo, come nel feto si trovano costantemente cer-te forme che nell’adulto sono mostruosità; dimodoché ilfanciullo rappresenterebbe come un uomo privo di sen-so morale, quello che si dice dai freniatri un folle mora-le, da noi un delinquente nato. E ne ha tutta l’irruenzadella passione.

Collera Perez185 ha dimostrato la frequenza e la preco-cità della collera nei fanciulli.

«Nei primi due mesi esso mostra coi moti delle soprac-ciglia, delle mani, dei veri accessi di collera quando lo sivuol bagnare, quando gli si vuol togliere un oggetto. Aun anno la sua collera va fino a battere le persone, rom-pere i piatti, gettarli contro chi gli dispiace, precisamentecome i selvaggi, i Dacota, che entrano in furore quandouccidono i Bisonti, come i Fidjiani che mostransi nelleemozioni eccitabilissimi, ma poco tenaci» (Perez).

Questo studio ci permette di concludere che quelleanomalie nel carattere morale, che costituirebbero nel-l’adulto la delinquenza, si manifestano in proporzioni as-sai più grandi e cogli stessi indizi, grazie specialmente acause ereditarie, nel bambino: che, però, sono soggette,più tardi, in parte pel soccorso di una educazione conve-niente, a sparire, senza di che resterebbe inesplicabile laminor proporzione dei tipi criminali negli adulti, anchetenuto conto delle differenze portate dalla mortalità e daquella quota che sfugge alla giustizia legale.

Le anomalie fisiche si troverebbero in proporzionepiù che dupla in questi giovanetti immorali (come 69

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in confronto al 30 p. 100 dei normali), e l’eredità sinoterebbe in essi in proporzione più che tripla, come52 in confronto a 15. – Ma sta il fatto che ed anomaliefisiche ed eredità si possono trovare, benché in quotapiù scarsa, anche nei più integri, così come più voltepotemmo notare ragazzi onestissimi, malgrado la tristiziedei parenti; ed esse si manifestano più spesso ancora chenei criminali in certe altre affezioni probabilmente legatead arresto di sviluppo, come i ciechi-nati ed i sordo-muti.

Voglia il pubblico perdonarmi questo paradossale eimmoralissimo titolo, che deve disgustare sopratutto glionesti, i quali, già nauseati dei trionfi del vizio e deldelitto nella vita pratica, vorrebbero illudersi di vedere,almeno nel roseo mondo delle lettere e delle scienze,dove il pensiero più leale predomina, rinnegati i trionfidei tristi e proclamata quanto più fosse possibile la lorosconfitta.

Ma considerino essi che non son io che creo i fattio li favorisco, ma solo, mio malgrado, li constato, pureacremente deplorandoli, davanti al pubblico. Ed ecco ilcome.

È noto come, secondo le teorie darwiniane, non so-pravvivono che le istituzioni e gli organi, i quali abbia-no una qualche utilità per l’umanità, perché altrimenti laselezione li atrofizza e li spegne.

Ora, per quanto dica lo Spencer, il delitto va continua-mente aumentando se non in intensità, certo in estensio-ne; e pigliando e inventando dei nuovi rami di truffa o diintrigo politico, o di peculato, lo vediamo anzi tanto piùcrescere quanto più la civiltà si va avanzando.

Questo, unito alla legge darwiniana sopra citata, mi fasospettare che anche il delitto abbia una funzione sociale.

Tutti sanno che nei tempi antichi, e anche ora neipopoli meno civili, i più nefandi delitti sono adoperaticome arma politica; e noi possediamo anzi una specie dicodice (quello di Machiavelli), che è tutta una serie di

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progetti, di delitti a scopo politico, di cui il Borgia fu ilpraticato esecutore, o meglio il modello.

Dal Consiglio dei Dieci di Venezia che paga sicari edavvelenatori a scopo politico, alla fucilazione del duca diEnghien, alla S. Barthélemy, o alla orribile carneficinadi Algeri, quando il generale Bougeaud soffocava miglia-ia di infelici nelle caverne; alle infamie degli Americanie dei Portoghesi, che, per diradare e vincere gli indige-ni, spargevanvi il vaiuolo e la sifilide, è il delitto che re-gna sovrano nella storia antica dell’uomo e, pur troppo,anche nella più vicina a noi.

Tutti ricordano le corruzioni parlamentari di Pitt e diGuizot, le menzogne ed i tradimenti di Fouché e di Tal-leyrand, e, a pochi giorni quasi di distanza, le persecu-zioni sanguinose degli Ebrei e dei Polacchi; e, nei mo-dernissimi tempi come nei più antichi usata la menzo-gna, la violenza, la rapina contro i popoli deboli dai po-poli più forti; quella violenza che nei privati sarebbe con-siderata delitto, che non fu mai ritenuta tale nelle conqui-ste dei deboli, anzi considerata come politica giusta: Re-ticenza e bugia è oggidì diventato sinonimo di linguaggiodiplomatico.

Di recente, i processi del Panama e della Banca Roma-na hanno mostrato che, anche nei popoli sufficientemen-te civili, la morale politica è disgiunta da quella privata, eche si può essere ministri immorali – anche essendo alta-mente stimati, od almeno senza destare quel ribrezzo chesi desterebbe per una uguale azione in privato. A lor vol-ta gli anarchici, equivalendosi, dichiarano di considerareil delitto come arma di guerra.

Una triste osservazione in Italia mi ha dimostrato che,da Cavour in poi, non vi fu un ministero completamen-te onesto che potesse reggersi. Se vi prevalevano uomi-ni troppo integri, il ministero era certo di una brevissi-ma durata, perché non aveva abbastanza energia, furbe-ria, tristizia contro le mene parlamentari. Il peggiore mi-

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nistro per l’Italia fu quello che dichiarava: «Saremo inca-paci, ma onesti» e ahi! la storia postuma rivelò che nonera onestissimo neppur esso.

Il ministro certamente più carico di delitti poté nonsolo reggersi da noi davanti alla Camera, ma anche da-vanti all’opinione pubblica, e governare senza una ve-ra opposizione del paese, che gli si prostrava sommesso,tanto più adorante, quanto più s’allontanava dalla legge.

Io credo, infine, che la tolleranza verso parecchi grup-pi di delinquenti, rei se non di sangue, certo di truffe e diricatti, ecc., che noi vediamo, quasi generale in Europa,parte dalla tempra stessa di alcuni delinquenti.

E già ho dimostrato come essi sieno propensi allaneofilia e la portino dappertutto, nei commerci, nelleindustrie.

Nei Palimsesti del Carcere, in mezzo a tristizie e ad or-ribili malignità, ho trovato a intermittenze una genialità,che non si trova nell’uomo medio, certo perché i crimi-nali acquistano dalla degenerazione una irritazione cor-ticale che l’uomo medio non ha. Così trovai scritto nellepareti di un carcere: «Oh codice penale! perché colpi-sci la truffa di pene severissime, mentre il libero Gover-no d’Italia, coll’immorale giuoco del lotto, è dei truffato-ri maestro e donno?».

Così vi ho trovato una dimostrazione dei danni deglistudi arcaici, in cui potrebbero specchiarsi molti Ministridella Pubblica Istruzione, che ci ribadiscono sempre piùla catena dei classici, così dannosa ai cervelli mediocri.

Anche le frasi di quella lurida prostituta che si rivolgeai futuri clienti e scopre la sua foja, sono d’una potenza ed’una novità veramente strane.

Sono lampi fugaci, ma che ci confermano l’esistenzadi quel contrasto, di quei due eccessi intellettuali, di cuil’uomo medio non è capace, critico abilissimo come è,ma niente creatore.

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Gli è che in costoro l’anomalia organica prepara ilterreno al minore misoneismo, che è il carattere normaledell’uomo onesto, normale.

Ed è certo che costoro vedono, forse inspirati dallapassione, i difetti dei Governi che ci reggono, meglioe più giustamente che non faccia la media degli onesti;e che anche da questo lato si intravvede una ragione,che si aggiunge all’impulsività e al bisogno del male, perspingerli in prima linea nelle ribellioni.

Ed essi odiano lo stato presente, credendo che nonl’ordine naturale, ma l’ordine di quel dato Governo co-stituito sia quel che li frena e li punisce; s’aggiunga ch’es-si, più impulsivi degli altri, sono più inclini all’azione, e aprendere a pretesto la prima bandiera che loro si offra.

Anormali essi stessi, non sentono la ripugnanza delpubblico, per l’anomalia, per la novità, e molti avendo, oper l’insensibilità o per l’agilità una straordinaria energia,l’adoperano, oltreché pei proprj vantaggi e per eseguire iloro tristi colpi, nel sostenere e propagare le nuove idee,mentre gli onesti apatici ne rifuggerebbero.

E lo stesso spirito innovatore che essi portano nelletruffe, mentre a volte danneggia molti a vantaggio di po-chissimi criminali, spesso poi favorisce delle immense in-novazioni. Se si considera bene l’apertura del canale diSuez è stata una truffa gigantesca, compita colle stessemani criminose del Panama, che a sua volta, se fosse rie-scito, sarebbe stato coronato dall’approvazione univer-sale.

Gli imbroglioni, i truffatori, è vero che lavorano soloper sé, ma grazie alla stessa loro smania d’attività, appli-cano l’ingegno a vantaggio degli altri; nello stesso tempomettono in moto una tal quantità di fermenti, che dàn-no una spinta fortissima al progresso e alla civiltà; di piùper la mancanza di scrupoli, per l’energia che presta lorol’impulsività violenta e per l’imprevidenza degli ostacoli

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e delle sventure, riescono là dove gli onesti non giunge-rebbero mai.

Essi poi, per l’antipatia del normale, del vecchio, delcostituito, sono un baluardo, potente contro i partitiretrogradi clericali, ecc.

E così, almeno in Italia, si vedono gli onesti abbondarenel partito dei clericali. Cesare e Catilina non trovaronosulle prime partigiani che tra i birbanti, mentre l’anticopartito consolare era tutto composto di onesti. E io hodimostrato che il nucleo dei grandi ribelli politici è, quasisempre, criminale.

E la civiltà li saluta costoro, non ostante le loro maga-gne, perché sono i soli che riescono a innestarle il nuo-vo: ed essa, inconsciamente o ripugnante, pure non puònegare o rifiutare la loro utilità.

D’altronde essi le si impongono in tal modo, appro-fittando dei congegni complicati della vita parlamenta-re, che il cacciarli non sarebbe possibile senza pericolo esenza altri gravissimi danni, come non era possibile cac-ciare i tiranni antichi, che anch’essi erano criminali... mautili.

Essi coll’ingegno, coll’energia, colla mancanza d’ogniscrupolo, creano delle istituzioni che riescono poi utili atutto il paese; così la flotta inglese deve la sua origine aipirati.

La via nuova che ci si apre e cui questo libro hasolo in pane preparato colla critica spietata delle penee coll’accresciuta importanza data ai mezzi preventivi,come a più saldo soccorso diretto contro il delitto, la vianuova è quella di creare istituzioni che ci permettano diutilizzare il delinquente a pari degli onesti con vantaggiodi entrambi, tanto più che il delitto (e il reato anarchicone sarebbe una più bella prova) spesso ci può rivelare ovemaggiormente s’annida la piaga sociale, come si vede ilcolera colpire di preferenza i quartieri più poveri e più

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sudici della città, e quindi indicarci ove debbansi piùconvergere le nostre cure profilattiche.

Ed a ciò tanto più miriamo, allontanandoci dall’anti-ca crudeltà repressiva, in quanto che mano a mano chemodificandosi i tempi, le condizioni nostre sociali sem-pre più migliorano, il delitto stesso, se aumenta di nu-mero scema di crudeltà, si spoglia sempre più della fero-cia atavica e va assumendo le vesti certo meno ripugnan-ti e meno selvaggie del falso, della truffa e della banca-rotta, contro cui la repressione cruenta è meno urgentee la coltura e l’accorgimento degli uomini sono maggio-re salvaguardia. E quanto più i tempi avanzano, più ledure disuguaglianze sociali vanno attenuandosi; e comemano amano i più urgenti bisogni umani si sono quasiinconscientemente, gradatamente riparati coi mezzi col-lettivi, come per l’illuminazione, l’istruzione, la viabili-tà, così si intravvede che si andrà riparando con rimedicollettivi, alle ingiustizie sociali, e riparando così radical-mente a una delle più forti cause del delitto occasionale,che è l’insufficienza del lavoro per la lotta dell’esistenza,mentre nello stesso tempo si previene un’altra causa po-tente didelitti che è l’eccesso stesso della ricchezza. Chese vi è un gruppo di rei nati pel male, sui quali, comesul bronzo si rifrangerebbe senza alcun vantaggio, anzicon danno, ogni cura sociale, noi pure, qui ammetten-do la dolorosa necessità dell’eliminazione completa, siapur colla morte, per la nostra difesa, vediamo però cheanche qui queste tristi necessità, almeno pei meno gravi,pei criminaloidi, andranno sempre più diradando: e chepiù frequenti ci si offriranno i mezzi di adattamento allavita, sia che la medicina ne modifichi e smussi gli ango-li più acuti, sia che utilizzandoli per alcuni lavori più ri-pugnanti agli uomini normali e che più sono adatti agliistinti atavici, come p. es., la guerra agli omicidi, lo spio-naggio poliziesco ai ricattatori, truffatori, la prostituzio-ne alle oscene, l’estetica ai psicopatici sessuali, come le

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colonizzazioni in terre selvaggie e malariche in cui la vi-ta è più esposta ai pericoli, e meno legata alle fisse di-more ai vagabondi, non solo la società ne permetta, e netolleri, ma fin ne provochi in certi limiti la connivenza,cavandone essa i maggior vantaggi.

È così che se la storia naturale [...] ci ha dimostrato l’e-sistenza perfino nelle piante di organi appropriati ad uc-cidere implacabilmente gli animali per nutrirsene (piantecarnivore), essa anche ci ha appreso, quasi come simbo-lo e ammaestramento della trasformazione suprema del-la carità umana, i non rari casi di simbiosi di piante cheper se nocive, tuttavia unendosi ad altre, senza uccidere,anzi aiutando la loro, giovano alla propria esistenza. Cosìla ricchezza delle leguminose, specialmente del lupino inazoto, si deve a uno schizomiceto, al Rhizobium legumi-nosarum Frank, che si agglomera in un vero bitorzolo otubercoletto nelle sue radici in enorme quantità [...], pe-netrando dal terreno per i peli radicali nel loro interno,dove si moltiplicano finché giungono nella regione corti-cale della radice, annidansi nelle cellule del parenchimae trovandosi in condizioni atte, vi si moltiplicano enor-memente, mentre le cellule che le ospitano, irritate, a lorvolta si segmentano dando luogo a un tubercolo. Duran-te la formazione del seme i tubercoli si disfanno, una par-te è utilizzata dalla pianta per le riserve del seme, un’altranel terreno si sparge dando luogo a nuove e utilissime in-fezioni aumentando sempre più la ricchezza d’azoto delterreno186.

Analogo è il caso del commensalismo trovato dal Lu-nel, tra il pesce [...] scomberoide detto Caranx melampy-gus, e la Medusa Combessa palmipes; il Caranx sta diste-so orizzontalmente attraverso gli orifizi del suo porticosottogenitale per ciò deformato e allargato e deve quin-di procedere orizzontalmente contro al suo abito, ma vitrova il suo conto, perché la presenza della medusa, cosìnociva a chi la tocca, lo difende dai pesci grossi ( Chro-

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nique scientifrque, mai, 1896); e così il paguro, invece didivorare l’actinia, la lascia fissarsi sulla dimora di cui si èfornito, ed essa gli serve col colore brillante ad attirar levittime e, a sua volta ha da lui casa e trasporto.

Forse il tempo si avvicina in cui anche nella civiltàumana, le piante carnivore andranno sempre più dira-dandosi, e moltiplicandosi invece quelle simbiotiche.

E se la scienza ora ci addita la fusione di due ordinidi piante, inutili o dannose, i funghi e le alghe, dar luo-go ad un terzo ordine utilissimo, come il lichene, il tem-po si avvicina in cui la società troverà il modo di far vive-re con una opportuna coltura simbiotica, il criminaloidein mezzo al fiorire della civiltà progredita, non solo sop-portandolo, ma anche utilizzandolo a proprio vantaggio.

Ci bisognerà, perciò (e qui l’opera della nuova scien-za antropologica sarà potente perché può individualizza-re l’assistenza), sorprendere le speciali tendenze che finodalla pubertà e qualche volta anche prima, si manifesta-no fortissime in costoro, per cercare di incanalarle e uti-lizzarle quando siano men antisociali. È notissimo comeNino Bixio, da ferocissimo rissatore, vagabondo e diser-tore (Guerzoni, Vita, 1880) divenne quell’uomo che tut-ti sanno, per quanto spesso impulsivo, quando fu diret-to nella marina e nella guerra. E non sono pochi gli uo-mini che l’impresa di Garibaldi trasformò da vagabondie feritori in eroi. Ho sentito ladri e assassini che aveva-no tentato le loro imprese per ottenere quanto bastasseper diventar comici, biciclisti o avvocati, protestarmi conuno di quegli accenti che non ammettono dubbio, che seavessero raggiunto quel loro ideale, sarebbero diventaticelebri e avrebbero sfuggito sempre dal delitto. La con-vinzione che essi erano nel vero mi è rassodata dall’averveduto più volte (vedi vol. I) nel mondo, dei delinquen-ti nati, posti in alte posizioni, sfogarsi, è vero, in modicrudeli, anche iniqui, ma non criminosi, nei loro capric-ci, nelle loro vendette, ma sopratutto sfogarsi nell’eser-

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cizio della stessa loro professione, diventando da antiso-ciali che erano naturalmente, individui utili al consorzioumano, per quanto a loro modo e inegualmente. Cosìtutti conoscono nel popolo di R... un celebre operato-re che ha nel cranio e nel volto tutti i caratteri del de-linquente nato, non esclusa un’esagerata eredità in asce-sa e discesa di pazzia morale, ma che sfoga le sue crude-li energie in una chirurgia forse qualche volta arrischiata,ma sempre geniale.

I miei studii anteriori hanno mostrato187 come essendoa base di epilessia il genio come la pazzia morale, questanon di raro vi si mescola rimanendone per ciò non solonon dannosa ma utile alla società come nei grandi creato-ri di conquiste, di rivoluzioni, per modo che le note cri-minali passano in seconda linea e non sono nemmeno av-vertite dai contemporanei, anche quando esse erano tan-to potenti come le geniali.

E chi ha letto la vita dei pionieri d’Australia e d’Ame-rica ha capito che essi erano criminali nati, pirati e assas-sini, utilizzati dall’umanità nella conquista di nuovi mon-di, e che sfogavano nelle tribù selvaggie quei bisogni d’a-zione, di lotta, di stragi e di novità che sarebbero divenu-ti un mostruoso pericolo nella madre patria.

E così bisogna anche approfittare poi della trasforma-zione, della metamorfosi contraddittoria, polarizzatriceche la pazzia epilettica acutizza, inducendo a volte deicriminali nati egoisti e crudeli all’eccesso dell’altruismo,alla santità la quale spinge a sua volta non solo l’indivi-duo, ma le masse intere, a una virtù epidemica. Tale è ilcaso di Loiola, San Giovanni di Ciodad.

Non occorre il dire come in questi casi lo Stato invecedi opporsi, dovrebbe favorire in mille modi il sorgere diquesti nuovi soli, per quanto la loro origine sia fangosa,senza imitare quei ministri che ne spensero nel sangue enelle carceri i rari esemplari, Lazzaretti, p. es., che avevaed ha lasciato dietro a se un’orma di virtù singolare.

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Ma è a proposito del delitto per passione, e del delit-to politico che la idea della simbiosi deve trionfare nelleproporzioni più grandi; sfogare in grandi opere altruisti-che quella energia, quella passione del bene, del giusto edel nuovo che anima costoro, dovrebbe essere una del-le mete di un grande popolo, il quale così utilizzerebbequelle forze che potevano diventargli di danno, senza in-correre in alcun modo in quei pericoli che non possonomancare nei contatti coi delinquenti nati. Quel rigoglio,quell’eruzione di passione che animano il vero reo perpassione, ed il vero delinquente politico sono immenseenergie che tutte possono utilizzarsi nel bene, e che soleforse possono trasformare le apatiche masse.

Le rivoluzionarie sono energie rivolte verso il nuovo,verso l’utile futuro: solo che l’esagerata precocità nonle rende accettabili ne utili momentaneamente: quindi lapena, se pur vi si deve applicare, non solo dev’essere spo-glia d’ogni infamia e d’ogni dolore, ma pure impedendoche l’opera loro si applichi prima del tempo, deve mira-re che appena sia maturata, venga utilizzata e nell’inter-vallo non sia impedita dal gettarsi in quelle direzioni incui possa riescire vantaggiosa.

Se la palla che colpì prima o il processo che colpìdopo Garibaldi ce l’avessero allora spento, quante operemagnanime non sarebbero state impedite! E chi sa sela morte non ce l’avesse infine troppo presto rapito, chisa se non si sarebbe veduto avverare il suo sogno ditrasformare le terre paludose d’Italia invece di gettarcia capofitto nelle sterili lande africane.

In una nazione aduggiata da un’onnipotente e tristeburocrazia, la Russia, noi abbiam veduto l’energia deisettari perseguitati (e così nella terra libera d’America,i Mormoni) trasformare regioni quasi inabitabili in cam-pagne straordinariamente ubertose, dove sorsero interee popolose città. – Ecco la simbiosi.

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Se a questo altissimo scopo divinato dal grande Salva-tore che perdonando alla Maddalena pentita, sentenzia-va: Chi non ha peccato getti la prima pietra, e dal profe-ta che ci prometteva un’epoca in cui: «il lupo e l’agnel-lo pastureranno insieme; e il leone mangierà lo stramecome il bue; e queste bestie non faranno danno né gua-sto» (Isaia, LXV, 25), e da quella santa dei nuovi tem-pi che dettava: «tutto conoscere è tutto perdonare» – Sea questa meta l’antropologia criminale potesse trarre gliuomini e trovare un Brockway, un Don Bosco, un Bar-nardo che la facessero conseguire, oh! certo le sarebbeperdonato quanto di troppo crudele ha dovuto suggeri-re per raggiungere il supremo suo scopo, – quello dellasicurezza sociale.

2

Le rivoluzioni e il delitto

A che servirebbero gli studi se dovessero tenere dietro enon precedere i portati della pubblica opinione? A cheservirebbe una vita passata in mezzo a ricerche speciali,se non desse diritto a sorridere alle risa degl’ignoranti, ead imporsi, senza spavalderia, ma senza esitanza, a coloroche, essendo colti negli altri rami, pretendono e nol sononel vostro?

L’allontanarsi dalla leggenda non è, del resto, già perse, sempre un progresso? E non ci permette di spiegarcidei fatti che, finché vagoleggiano in un mondo nebulosoed incerto, potran destare negli uomini volgari stuporeed anche diletto, ma rimanendo pei savi un muto edinutile enigma?

Prendiamo, ad esempio, il Cola da Rienzi. Come, col-la sua leggenda, connettere il suo principio colle replica-te cadute, le sue vane imprese colle sue gigantesche pro-poste, ecc.? E, ammessa la leggenda, quali applicazioni

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utili se ne possono cavare di più che dalle epiche impresedi Orlando e di Rinaldo? Mentre, invece, seguendo soloi lumi della storia e rettificando la leggenda coi lumi dellapsichiatria, se ne spiccia un raggio che non solo rischiarauna serie di fatti storici male compresi, ma ci aiuta a spie-gare alcuni fatti che non ci sappiamo spiegare, malgradosi svolgano sotto i nostri occhi, come i trionfi di Lazza-retti e di Coccapieller: e ci fa intravvedere anzi una teo-ria sulla genesi di quei grandi avvenimenti storici che so-no le rivoluzioni, cui molti anche non miopi ingegni deri-vavano così spesso da casuali incidenti, oppure lasciava-no inesplicati, anzi (che è peggio) non presentendo chealcuno credesse necessario di trovarne la soluzione.

La ragione intima, però, di tutto questo sta nella pro-fonda ignoranza che c’è, anche nel pubblico colto, perquanto tocchi la psichiatria. La nostra educazione classi-ca, classica così per dire, che nel fondo la maggior partenon fa che imparare (Dio sa con qual vantaggio!) comelo stesso oggetto si chiami e si declini in vecchie lingue,portandoci via i più begli anni e le più belle forze dellanostra giovinezza, non ci lascia, si può dire, un marginesufficiente per le cognizioni più solide e più utili. Nonv’è nessuno della buona società che ignori chi sia Romo-lo o Ulisse, o ignorandolo non se ne vergogni; ma, vi-ceversa, cosa sieno i terribili bacteri che sono i padronidella nostra vita, come si respiri e come e perché si cam-mini, oh! questo pochissimi sanno, e pochissimi si ver-gognano d’ignorarlo; arrivederci poi in certi problemi dipsichiatria, sconosciuti persino a molti medici!

E intanto fenomeni psicologici e storici, anche volga-ri, restano completamente un enigma; per esempio, noinon sappiamo spiegarci come si manifestassero quelle ve-re epidemie psichiche del medio evo e dei tempi antichis-simi, né comprendiamo cosa fossero le streghe, i profeti,i santi, gli oracoli, i miracoli, e, come vedremo, ci sfuggela causa di una gran parte delle rivoluzioni.

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Chi, per cavarne una legge, spinge lo sguardo entroagli intricati fenomeni del mondo morale, vi trova emer-gere, sovrana, quella d’inerzia, così come nel mondoinorganico e nell’organico, che ne sembrano i più lon-tani, mentre in realtà, e per la natura e per l’origine loro,si confondono insieme.

Certo, questa influenza, quanto più ci allontaniamodalla materia bruta, in cui le leggi del moto si svolgo-no quasi senza interferenze, ci sembra sfuggire di mano,poiché noi, giunti ai vertici della salita, non vediamo piùle umili scaturigini, dacché l’infusorio e il molle amphio-xus sono diventati il primate, il primo, anzi, dei prima-ti – l’uomo: e fra gli uomini, il selvaggio muto e sangui-nario dell’epoca della pietra greggia, il Neandertaloide, èdivenuto un Darwin, un Virchow, un Pasteur.

Progresso Ma se questi passaggi ci sorprendono per laloro straordinaria differenza e parlano per un progressoindefinito, vorticoso, necessario (e tale è pure l’opinionedi Spencer), un esame spassionato ci mostra non esser-si questo manifestato, nell’uomo, mai universalmente, ed’un tratto, o per sbalzi creatori, subitanei, ma per mo-dificazioni lentissime – in parte – dovute agli incidentiesterni, eternatisi e fattisi sempre più spiccati colla scel-ta naturale, e colla lotta per l’esistenza, che non permet-tevano la vita e la propagazione se non alle specie meglioarmate contro i vecchi e nuovi pericoli – in parte – pu-re alla stessa legge d’inerzia, da che una volta iniziato unmovimento non si fermava più e procedeva sempre piùveloce: comeché ogni causa attiva di mutamento provo-chi, contemporaneamente, molteplici effetti in direzionidiverse (Spencer, Progrès, 1886): ed aumenta l’eteroge-neità.

Ma la prova più sicura della estensione e della pre-potenza della legge d’inerzia nel mondo morale, è quel-l’odio del nuovo, così poco avvertito, che noi chiamia-mo misoneismo, che nasce dalla difficoltà e dal ribrezzo

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che sentiamo quando dobbiamo sostituire una sensazio-ne nuova ad una vecchia, ed è tanto comune negli anima-li, da doversene dire un carattere fisiologico. – Nella Re-vue scientifique, ad una nostra prima comunicazione suquesto argomento nel 1884, piovvero i fatti in appoggio;ne accogliamo alcuni.

Una scimmia, fatta vestire all’europea, ritornata neisuoi monti di Cabilia vi fu accolta con orrore e sfuggi-ta dalle compagne in causa del vestiario. Un pittore in-verniciò di verde una gallina bianca che aveva disertatoil suo orticello; la poveretta, ritornata al suo pollaio, videstò un terrore vivissimo: ne fu respinta a colpi di bec-co fino a che il tempo non ne scolorò completamente lepenne.

Noi sappiamo tutti come i cani abbaino sempre, anchesenza il bisogno o il dovere della guardia, ad ogni vetturache passi per le vie silenziose del villaggio: sono noti i casidi cavalli che s’impennano se il cavaliere abbia mutato lafoggia del vestire, perché non lo riconoscono.

Altrettanto avviene nell’infanzia dell’uompo; un fan-ciullo a cui si affaccia la prima volta un viso od un ani-male nuovi, dà in ismanie e tenta fuggire, e ciò solo perpaura del nuovo; perciò voi lo vedete farsi perfino fero-ce se lo cambiate di stanza, ed impaurirsi ad ogni mobi-le nuovo; se ne osservarono di quelli che volevano vede-re sempre la stessa pittura e riudire la solita novella congli stessi termini. Guai a mutarli!

Varigny racconta come un fanciulletto di due anni, cuiegli era carissimo, s’allontanò da lui con orrore quandodove, per un reuma, infagottarsi una gamba nell’ovatta; ilbimbo lo guardava sospettoso e poi gettava urli frenetici;anche dopo che egli guarì cercava evitarlo e gridava se glisi avvicinava un po’ troppo; solo passati parecchi mesi, inpresenza di un terzo, acconsentì ad ascoltarlo, ed a darglila mano.

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E come sono misoneici i fanciulli, vediamo anche ledonne tener molto alla religione, ai costumi, ed in alcuneregioni alla lingua degli avi, tanto che parlano differente-mente dai maschi quando questi, come in America, nel-l’Orenoco, negli Abiponi, hanno adottata la lingua delletribù vicine.

Quest’odio per il nuovo, che si osserva nei fanciulli enelle donne più civili, si nota a maggior ragione nei po-poli selvaggi, la cui debolezza psichica fa sì che una voltaassimilate alcune sensazioni, impediscano l’assimilazionedi altre, massime se la differenza sia viva, e non vi sia unpassaggio, una sfumatura che le colleghi – così nelle lin-gue primitive elefante è bue con i denti; nella chinese icavalli sono cani grandi; nelle sanscrite per dire stalla dicavalli si usa stalla di buoi di cavalli; per dire un paio dicavalli si usa un paio di buoi di cavalli.

Mancando i punti di passaggio, la percezione si associaa tale fatica da produrre un vero dolore, che alle volte sitraduce in orrore.

Succede allora nell’uomo normale quanto uno di noiebbe a riscontrare in una alienata, che, quando usciva dicasa, restava colpita dal primo oggetto o dalla prima per-sona che le si parava dinanzi e per l’intera giornata sosti-tuiva quella prima sensazione a tutte le altre. La confu-sione diventava ancora più completa quando le personeo gli oggetti incontrati in seguito le fossero ignoti: allo-ra non riusciva a rettificare il giudizio. Si irritava special-mente con la figliuola, a cui portava amore grandissimo eche, pur riconoscendola, vedeva sotto l’aspetto della pri-ma persona o bestia anche, che aveva incontrato dianzi; ese ne sdegnava fino a pensare ad ucciderla. Questa stes-sa donna non poteva recarsi, nemmeno accompagnata,in una regione nuova, dove, cioè, non fosse stata prima,perché l’orrore e la confusione che la prendevano alloraerano tali da indurla al suicidio.

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Le menti deboli, o indebolite, o primitive, si mostra-no dunque maggiormente esposte alla repulsione controil nuovo: ben inteso che delle piccole innovazioni, co-me sarebbero la moda per la donna, il mutamento del ta-tuaggio da elittico in circolare per il selvaggio, i balocchiper il bambino, non solo non hanno orrore, ma anzi vi-vissimo desiderio, perché vellicano, senza irritarli o ad-dolorarli, i centri nervosi che hanno pur bisogno di qual-che mutamento.

Ma quando l’innovazione sia troppo radicale, alloranon è solo il selvaggio ed il bimbo che ne sentano orrore;la gran maggioranza degli uomini, per i quali il misonei-smo è legge di natura, ne prova ribrezzo e ciò per il do-lore che produce il dover far subire al proprio cervellodei passaggi più rapidi che non siano della sua portata;essendo naturali nell’uomo volgare, come in tutti gli ani-mali, l’inerzia e la ripetizione dei moti già eseguiti, pro-prii od atavistici.

Si potrebbe paragonare l’uomo comune, così chiusoalle innovazioni, all’ipnotizzato che, quando abbia avu-to una suggestione inibitrice, non vede una data immagi-ne che pure ha sott’occhio e si comprende pertanto co-me gli debba sembrare ridicolo od empio chi queste in-novazioni approvi ed addotti. E la parola trovare vien daturbare (troubadour, troviere).

Fondamento del delitto politico Ora, se per tutto quan-to abbiamo visto, il progresso organico ed umano non haluogo che lentamente e per attriti potenti, provocati dal-le circostanze esterne ed interne, e se l’uomo e la socie-tà umana sono conservatori istintivamente, è forza con-cludere che i conati al progresso, che si estrinsecano conmezzi troppo bruschi e violenti, non sono fisiologici: chese costituiscono qualche volta una necessità per una mi-noranza oppressa, in linea giuridica, sono un fatto anti-sociale e quindi un delitto.

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Ed un delitto spesso inutile: perché essi destano unareazione in senso misoneistico, che basandosi solidamen-te sulla natura umana, ha una portata maggiore dell’azio-ne anteriore. – Ogni progresso per esser adottato deveesser lentissimo, altrimenti riesce un dannòso ed inutilesforzo.

Coloro che vogliono imporre una novazione politica,senza tradizioni, senza necessità, intaccano il misoneismoe destano così la reazione negli animi aborrenti dal nuo-vo, con che giustificano l’applicazione della legge puniti-va.

Rivoluzioni, ecc. E qui si pare la distinzione tra le ri-voluzioni propriamente dette che sono un effetto lento,preparato, necessario, al più reso di un poco più rapidoda qualche genio nevrotico, o da qualche accidente sto-rico – e le rivolte o sedizioni, le quali sarebbero un’incu-bazione precipitosa, artificiale – a temperatura esagerata– di embrioni tratti perciò a certa morte.

La rivoluzione è l’espressione storica della evoluzione:dato un assetto di popolo, di religione, di sistema scien-tifico, che non sia più corrispondente alle nuove condi-zioni, ai nuovi risultati politici, ecc., essa li cambia colminimo degli attriti e col massimo del successo, per. cuile sommosse e le sedizioni che provoca, se pure ne sonouna parte necessaria, sono appena avvertite e svampanoappena comparse: è la rottura del guscio del pulcino ma-turo.

Uno dei suoi caratteri distintivi, dunque, è il successo,che può raggiungersi presto o tardi, secondo che sia piùmaturo o no l’embrione e secondo che sieno i popoli e itempi adatti alla evoluzione.

Un altro carattere è il suo moto lento e graduato, al-tra ragione questa del successo, perché allora è tolleratoe subìto senza scosse; malgrado, non di rado, una certaviolenza vi appaia necessaria contro i partigiani del vec-chio che si trovano sempre, per quanto grandi siano le

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ragioni del nuovo: e ciò sempre per l’universalità del mi-soneismo e della legge di inerzia.

Le rivoluzioni sono più o meno diffuse, generali e se-guìte da tutto un paese; le sommosse sono sempre par-ziali, opera di un gruppo limitato di caste o d’individui;alle prime non prendono parte quasi mai i ceti elevati;alle seconde tutti i ceti, anche ed anzi gli elevati, ben in-teso quando essi non sieno presi di mira dagli altri perlivellarsi con loro.

Le sedizioni rispondono a cause poco importanti188,non di rado locali o personali, spesso in rapporto all’imi-tazione, all’alcool, e più al clima, come si vedrà dal pa-rallelismo con i crimini di ribellione e di ferite e dura-no di una vita tanto più corta, quanto più vivace. Comenon mirano ad alti ideali, così non raggiungono uno sco-po o lo raggiungono contrario al benessere generale e so-no frequenti in popoli meno progrediti: esempi il Mes-sico, S. Domingo, le piccole repubbliche medioevali, egià non più ora, quelle dell’America settentrionale; comenei ceti meno colti e nel sesso più debole – e assai più vipartecipano i criminali che gli onesti.

Le rivoluzioni invece appaiono sempre di raro; mainei popoli poco progrediti, e sempre per cause assaigravi o per alti ideali; vi prendono parte più gli uominiappassionati, cioè i rei per passione od i genii, che icriminali.

«Nessuna rivoluzione riesce se non vi è un uomo chene sia alla testa», lasciò scritto il Machiavelli; e altrove:«Una moltitudine senza capi è inutile». E Coco, parlan-do della Rivoluzione napoletana: «A Napoli v’eran tuttigli elementi della rivoluzione, ma mancava l’uomo, e cosìessa non ebbe lunga durata».

E ciò è naturale, perché il genio essendo essenzialmen-te originale ed amante dell’originalità, è il naturale oppo-sitore delle vecchie tradizioni, della conservazione189: èil rivoluzionario-nato, e quindi egli è il precursore ed il

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preparatore più attivo e fortunato delle evoluzioni: il chespiega il perfetto parallelismo che noi trovammo tra lecause e le diffusioni, tra il genio e le rivoluzioni.

Che enorme cumulo di doti morali ed intellettualipresentano questi grandi, e che felice adattamento allenecessità del momento storico!

Ambiente del genio Però anche l’opera dei genii nonè che una sintesi, un acceleramento rapido d’idee senti-menti già maturi e pronti a svilupparsi nel seno d’un po-polo.

Ecco dove consiste veramente l’opera del genio. Lanostra inerzia è sì grande che se tutto anche è predispostoad una riforma, essa non si eseguisce subito se un genioo un pazzo di genio non vi accende la miccia.

Molti, per esempio, se non tutti gli uomini colti in Ita-lia, sono convinti che lo studio classico è più un orna-mento che un vantaggio dell’istruzione, e con me l’han-no scritto e ripetuto Graf, Sergi, Angiulli, Morselli, Vac-caro, e si sono perciò mosse interpellanze parlamentari(Siacci), ma non si ottennero che vaghe promesse o ten-tativi timidissimi e sterili; che senza un politico di genioche trascini le opposizioni rampollanti dalle antiche abi-tudini, dall’ignoranza, dalla timidità, anche dei convinti,passeranno secoli senza vederlo abolito.

Viceversa, però, senza l’ambiente adatto ai genii, que-sti, se anche esistono, non vengono a galla, non perchénon sorgano, ma perché non vengono compresi: ondele scoperte antiche numerose, sul gas, sull’elettricità, sul-le ferrovie, sul Nuovo Mondo, sull’ipnotismo, passaro-no inavvertite; e perciò vedemmo nel mio Delitto poli-tico che la rivoluzione è in un parallelismo matematicocolla genialità e la coltura di un popolo. E basta perconvincersene dare un’occhiata alla Tavola (XXI-XXII)della Francia orografica, in cui si vedono i dipartimen-ti che hanno dato la massima scarsezza di genii, comene et Vilaine, Morbihan, Côte du Nord, essere i diparti-

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menti più reazionari; e ben si disse che se può sospettarsiche il grande numero dei genii ateniesi abbia influito so-pra la coltura e la politica di Atene, viceversa è più certoche la grande coltura degli Ateniesi, il rapido succedersidei partiti contribuivano a mettere in luce i genii quandosorgevano; in questo senso va compreso come nei pae-si retti a repubblica od in preda a partiti violenti, si os-servi un maggior numero di grandi uomini (il dimostra-rono anche Firenze e l’epopea di Garibaldi) che non intempi tranquilli e in paesi retti a monarchia assoluta. Maquando la genialità vuole forzare gli ostacoli del tempo edel popolo e precede di secoli il loro sviluppo, potrà perqualche tempo, grazie alla propria energia, imporsi allasua epoca, dar luogo ad una rivoluzione; ma questa, alpari delle sommosse, per quanto più grandiosa e più no-bile, o non lascia più traccia di se o provoca una reazionein senso contrario.

Genii reazionari Ve n’ebbero, è vero, dei reaziona-ri. Savonarola, Sant’Ignazio, San Domenico, Metterni-ch, furono veri genii del misoneismo. Chi ha veduto chel’originalità del genio non esclude il misoneismo, in al-cune direzioni, anzi, ve lo acuisce e lo rende intolleran-te del nuovo, non ha difficoltà a comprendere come, da-ta una educazione teologica o feudale, una tendenza ere-ditaria (De Maistre, Chateaubriand, Schopenhauer, Bi-smarck), e degli avvenimenti terrifici, come quelli che ac-caddero a Sant’Ignazio, a Manzoni, o delle necessità sto-riche, esso diventa gigante, come lo è nei rari accademi-ci di genio che respingono tutte le scoperte altrui (Vel-peau nel 1839 negava gli anestetici); ma non manca peròmai in essi l’originalità ed un’originalità evolutiva; e Bi-smarck, pure adorando feudalmente il suo re, seppe in-coronare i sogni socialistici; e Napoleone fuse nelle ten-denze atavistiche di un condottiero medioevale le ideedella rivoluzione, l’eguaglianza delle classi sociali, quel-la dei culti; e Savonarola, pur soffocando i germi del ri-

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sorgimento, avrebbe ottenuto il trionfo di una vera de-mocrazia; e Schopenhauer, debellando le masse rivolu-zionarie, avrebbe però fatto trionfare il positivismo filo-sofico.

E le rivoluzioni reazionarie, ad ogni modo, per quan-to ben dirette, dai genii, se sono contro l’andazzo, divi-dono la sorte delle sommosse, benché con minor preci-pitazione, con minore insuccesso, avendo un vecchio ad-dentellato nella natura umana.

Genii nella ribellione Si aggiunga poi che i popoliprescelgono quasi sempre gli ingegni mediocri, mattoidio criminali, ai talenti ed ai genii che non sieno d’azione;e così, se essi pur giungono al potere, è sorprendendo lamaggioranza, inforcandola come un domatore un cavalloselvaggio.

Ma se il genio entra nelle rivoluzioni, se, anzi, è essosempre una rivoluzione, è in minoranza nelle rivolte,dove predominano, invece, il volgare ed il mattoide; bennotando Coco (op. cit.), non essere i dotti che possanoinfluire sul popolo, ma quelli che hanno maniera disentire e parlare pari alla sua.

Trasformazione della tendenza criminale in delitto po-litico Non è raro di trovare, viceversa, la tendenza crimi-nale innata mutarsi in attività rivoluzionaria, poiché que-sta, oltrecché soddisfarne gli istinti impulsivi, offre a lorouna vernice di generosità, una specie di alibi morale peireati commessi, e così dà loro modo di conquistare quel-la influenza anche sugli onesti, che è naturale sia nel piùvivo desiderio di costoro, vanitosi fino alla megalomania.

È strano come, allora, in molti di questi si riscontrianche nel delitto una relativa onestà; così i socialistiviennesi Engel, e Flegger rubano per la cassa anarchica,ma nulla ritengono per sé fuorché l’uno il prezzo degliocchiali perduti, l’altro quello del viaggio a Praga.

Succede per loro ciò che si vede in natura della putre-fazione, che è nello stesso tempo effetto e causa dei fer-

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menti, e a sua volta aiuta e feconda la vita vegetale, favo-rendo così l’eterno circolo della vita.

Così si spiega come siansi veduti dei Principi malva-gi, come Comodo ed Eliogabalo, essere, all’inverso del-l’onestissimo M. Aurelio e di Giuliano, tolleranti coi cri-stiani, comecché appunto la follia morale, causa della lo-ro criminalità, li rendesse meno avversi alla grande rivo-luzione di Cristo.

Un esempio singolare ne abbiamo in un certo Vise...,ladro fino dai sette anni e nevropatico, legato a tuttele grandi associazioni di malfattori d’Italia, che tentòparecchi suicidi, perché non sapeva resistere alla smaniadei furti, di cui poi si vergognava tanto, che prima ditentare il suicidio scriveva: «Devo finirmi per non esseredi danno ulteriore alla società»190.

Costui, salvato dalla morte, un bel giorno disse: «Nonvoglio più rubare, voglio dedicarmi alla redenzione deipopoli, alla dinamite, sollevando gli operai», e per moltigiorni non si occupò che di economia, di morale, di asso-ciazioni; guarì poi, ma restando di così esagerato altrui-smo, che andò in collera perché gli rifiutai di servirmi delsuo sangue per una trasfusione.

Qui dunque la tendenza al crimine ed al suicidio, sitrasformava, tutto ad un tratto, in una tendenza rivo-luzionaria, mostrandone la connessione, come l’accessoconvulsivo dell’epilettico si trasforma talora in un acces-so criminale e ne rivela la comune origine.

[...] Epilessia politica La connessione della criminalitàcongenita coll’epilessia191 ci spiega la frequenza nei reipolitici di quei casi che chiamerei di epilessia politica.

Invero la vanità, la religiosità, le allucinazioni vivissimee frequenti, la megalomania, la genialità intermittente,insieme alla grande impulsività degli epilettici, ne fannodei novatori religiosi e politici.

Per noi, adunque, base dell’imputabilità del delittopolitico è il diritto della maggioranza dei cittadini al man-

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tenimento della organizzazione politica da essi voluta; ildelitto qui consiste appunto nella lesione di questo dirit-to.

Né può dirsi che questa legge della maggioranza siaarbitraria come che spesso le minoranze, di fronte allamassa misoneistica, rappresentano il vero ed il giusto; sequesto è, le forme politiche vagheggiate non tarderannoa raccogliere l’adesione dei più; ma il fatto di non averlaancora raggiunta, dimostra come esse non siano mature,che, come nella natura nulla procede per salti, così nellavita politica, quella che il Comte chiama legge dinamica,si svolge lentamente e non tollera scosse.

E come chi tentasse di sorpassare pur di una linea leleggi di natura è condannato a perire, così, chi vogliaattuare progressi sociali troppo rapidi o intempestivi,è colpito dalla reazione della società, offesa nella suanaturale tendenza all’inerzia (V. pag. 11 e segg.).

La legge della maggioranza è dunque in fondo leggedi natura; ed è su questa che lo Stato si basa, perché essoin fondo non rappresenta se non la concorde volontàdei cittadini, i quali, in potenza, partecipano tutti allaformazione del Governo.

Che se questa maggioranza fu ligia dapprima ai capied agli ottimati, e piegò sotto la potenza militare dellemonarchie, rialzò il capo appena si sentì la forza digovernare se stessa; e dopo lotte secolari per la conquistadel potere politico, trionfò coll’assicurare all’elementopopolare la dovuta parte nella formazione del Governo.

Ma affermato il diritto, l’esercizio doveva esserne di-sciplinato; le grandi masse popolari non potevano par-tecipare tutte alla direzione della cosa pubblica, e fu al-lora appunto che, pur tenendo a base dei Governi sor-ti dai grandi cataclismi sociali dell’ultimo secolo, quellasovranità popolare, che ne fu una delle più grandi con-quiste, s’idearono dei meccanismi, per i quali la direzio-ne del Governo fosse assicurata ai più capaci. – Sorse-

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ro così le Costituzioni, per le quali il popolo affidò alleassemblee, ai deputati, la rappresentanza di tutti o qua-si i proprii poteri, coi plebisciti, col suffragio universale,col referendum, ecc., coll’azione popolare, col diritto dipetizione, colle elezioni di primo e secondo grado, ecc.

Oggi pertanto il Governo si può dire l’emanazionedella maggioranza dei capaci, o tali presunti nelle for-me di legge; e finche essa dura, la sola presunzione am-missibile legalmente è che sia voluta dalla maggioranzastessa.

Di qui tutte le sanzioni che mirarono a tutelare l’or-ganizzazione politica come espressione della volontà deipiù; finche dei fattori antropologici, fisici o sociali non viimprimano lentamente, in guisa di non perturbare il sen-timento pubblico, un altro indirizzo, dando forza nume-rica o morale ai fautori di nuove forme politiche.

Ma qui non èi tutto: si questiona da molti se neipolitici debbano comprendersi anche i reati così dettisociali e religiosi.

Ora, dimostrare i legami che le questioni sociali hannocolle politiche, sarebbe inutile per noi, dacché abbiamoveduto quanta relazione le rivoluzioni e le rivolte abbia-no colla economia sociale: si può dire, anzi, che la lottadelle varie classi per la conquista del potere politico si ri-solva in fondo nell’aspirazione al proprio miglioramentoeconomico.

Forse mai anzi, come ora, i due campi tendono ad in-vadere i rispettivi confini; che da un lato le classi ope-raie, mercé l’energia del socialismo militante, tendono acontrastare la supremazia politica alle classi privilegiate,non rifuggendo i più fanatici da delitti che sono né piùné meno politici, come abbiamo veduto dei Feniani in Ir-landa e degli anarchici in Francia, in Belgio ed in Germa-nia; dall’altro, le classi governanti si difendono, non so-lo opponendo la forza alla forza, ma cercando con mez-zi indiretti, per es., col socialismo di Stato, di attenua-

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re gli attriti e curare le piaghe più vive, per conservare ilpotere.

E furonvi negli ultimi tempi questioni politiche, e gra-vissime, occasionate da sole cause economiche; come adesempio, in America, quella della schiavitù, che portò al-la guerra di secessione, e quella dei Coolies che mise gliStati Uniti in condizioni difficili verso l’Impero Chinese.Ed ora in Francia la guerra all’operaio italiano, la pro-tezione economica in America, ed in Inghilterra la que-stione dell’alcoolismo entrano nella lotta dei partiti par-lamentari.

Certo le questioni economiche non sono politiche fin-che rimangano parziali e corrispondano alle risse ed alleribellioni in confronto al delitto comune. E così gli scio-peri in piccola scala. Ma sono essenzialmente politici, so-no espressione di un malessere sociale, quando abbiano(ved. pag. 200) una vasta estensione. E nell’origine lorocome nella loro repressione entra quasi sempre il criteriopolitico.

E giova qui notare un fatto che, meglio che nel testo,appare nelle ricerche speciali che diamo nell’AppendiceI: come gli scioperi seguano esattamente le leggi e l’anda-mento dei reati politici – più frequenti nei mesi caldi, neimaschi, e nei dipartimenti a voti repubblicani e in quel-li dove maggiore è il benessere e l’oppressione relativa-mente minore (V. Appendice I).

In armonia di questi concetti, delitto politico è per noiogni lesione violenta del diritto costituito della maggioran-za, al mantenimento e al rispetto dell’organizzazione poli-tica, sociale, economica, da essa voluta.

Questa definizione, basata sul concetto obbiettivo deldiritto leso, risolve, a parer nostro, molte questioni, chenel campo giuridico si sono fatte, p. e., dal Morin,dall’Ortolan, e fra i nostri, dal Grippo e dal Mecacci,i quali vorrebbero che reato politico fosse ogni reatoavente scopo politico: ora, per noi, la ricerca dello scopo

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sarà una guida per cogliere l’oggettività del diritto leso,ma non può bastare a costituire il reato.

Vi possono essere infatti dei reati comuni cui l’autoreannetta uno scopo politico, come nel caso, p. e., diomicidio settario; ma quando l’organizzazione politicanon ne viene lesa, esso resta un delitto comune; e lapassione politica che armò la mano del colpevole, serviràa misurarne la punibilità, in confronto a reati mossi dapassione più ignobile, ma non mai ad elevare quello fra idelitti contro lo Stato.

In Roma repubblicana, al perduelle, al nemico del po-polo romano e della patria, si troncava il capo; nel Me-dio Evo si videro gli stessi nostri liberi Comuni, Vene-zia p. es. e Firenze, per un semplice sospetto politico,comminare le pene più atroci. Ed anche ora, in Istatidemocratici, come quelli di Nord-America, la morte ècomminata ai rei di offesa contro la Costituzione, non-ché di complotto manifestatosi con atti esterni ( Statut.of New-York, titolo 1°).

È duopo convenire, tuttavia, che se le leggi, anchedei popoli più liberi, non rispondono su questo punto aiprogressi storici e scientifici, essi non si accordano oggidìneppure colla coscienza popolare, almeno fra le classi piùilluminate, le quali non accettano misure tanto severe;e lo manifestano nella giuria con esagerate assoluzioni,o nei comizi elettorali con suffragi, i quali spoglianod’ogni prestigio l’autorità della giustizia, quand’anchenon riescano a paralizzarne del tutto l’azione.

Perciò, malgrado che questo studio avesse preso l’ab-brivo dal contemplare le gloriose effigie dei nostri marti-ri esposte a Torino nel 1884, e fosse proseguito sotto lascorta di una scuola certo poco sospetta di idee retrive,non solo non ci meravigliammo dell’opposizione levatacicontro anche da egregi compagni d’arme192, ma tanto necomprendemmo il generoso movente, che più volte l’a-vremmo noi stessi condiviso, se la serenità della ricerca

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e la fredda ragione non avessero finito col trionfare delprimo impulso, che ci spingeva a simpatizzare, in questicasi, ben più spesso coi pretesi rei che coi loro giudici.

Ed anzi, se fosse lecito mettere a paro le piccole col-le grandi cose, ci imbrancheremmo noi stessi fra questirei, convinti che il fatto solo d’essere partigiani dell’an-tropologia criminale, la quale cerca di portare un cosìgrande mutamento nelle vecchie idee giuridiche, sareb-be sembrato un delitto in altri tempi ed in altri paesi: e losarebbe anche attualmente nel senso giuridico della pa-rola, se noi volessimo con audace improntitudine e conmezzi estranei alla scienza, precipitarne l’attuazione nelmondo.

E noi stessi, del resto, conveniamo fin d’ora doversembrare impropria la denominazione di delinquente ap-plicata ai rei politici, sopratutto, poi, se la si confondes-se con quella di criminale-nato; il quale dà, è vero, il suocontributo al reato politico, ma in piccola parte e con ta-li caratteri che lo fanno, a primo colpo, distinguere dallaschiera, tutt’altro che ignobile, a cui si frammischia.

Se non che noi, qui, abbiamo dovuto cedere ad unanecessità di espressione tecnica, pur restando convintiche il reo politico, anche quello che per noi giuridica-mente è tale, non lo sia quasi mai dal punto di vista mo-rale e sociale.

È vero poi che, ogni giorno che passa sembra renderemeno urgente, meno viva questa questione: mentre separe certo frutto d’una illusione la sentenza di Spencer,che il delitto comune debba sparire col tempo, non lo èapplicata al delitto politico; e già lo dimostra la dolcezzadella repressione che si travede, se non sempre nellalettera, nello spirito moderno della legge: certo, poi, inquello dell’opinione pubblica, che foggia la legge e lariforma o rinnega quando ne diverga; e ben ce lo provail numero sempre più scarso dei reati politici che si vancommettendo nelle nazioni colte d’Europa.

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Gli è che da una parte si comincia a comprendere co-me tra rivoluzione e ribellione vi sia quella immensa di-stanza che separa l’evoluzione dal cataclisma, l’accresci-mento naturale dal tumore patologico; come fra esse visia più antagonismo che analogia, il che fa distinguerequasi del tutto dai grandi fautori di rivoluzioni, quelliche vissero di sommosse, sterili sempre, anche quandoprovocate da onesto proposito e da riguardarsi, quindi,fra quei delitti, che pur partendo da onesta spinta, nonpossono perciò escludersi dai codici.

D’altra parte, una serie di cause che rendevano, in pas-sato, quasi permanente il delitto politico, come l’oppres-sione delle nazionalità e l’intolleranza delle opinioni reli-giose e filosofiche, andò scomparendo o per lo meno sce-mando e scemò con loro la reazione che essa necessaria-mente destava.

Tuttavia non si può dire che ogni causa sia del tuttosvanita; sia perché poco discosto da noi (relativamentefelici per questo riguardo – gemono popoli a cui si negail diritto del libero esame o della autonomia; sia perchéanche fra noi, come accade ai viziosi od ai viziati, lasazietà non basta a portare la calma, ma anzi ridesta edeccita nuovi, disordinati appetiti, almeno in un gruppod’uomini, cui la nevrosi o le sventure della vita rendonoincapaci di sosta.

Dobbiamo, dunque, cercare se al disopra degli abusidei despoti e delle apoteosi di piazza, esista un delittopolitico, causa di pericolo sociale e quindi inducente unaresponsabilità: – e in che esso consista, di fronte ad unorganismo politico ed ai diritti dei cittadini che ne fannoparte.

Se noi, in questo studio, seguissimo le vie battutedai giuristi antichi, dovremmo cominciare col formulareuna definizione aprioristica, al più appoggiata a citazioniautorevoli, sopratutto antiche; e da ciò, come fa il ragno

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coi suoi fili maestri e probabilmente colla stessa solidità,fissare la tela di tutto il lavoro.

Ma siccome per noi il reato è subordinato allo studiodel reo, così non intendiamo dettare definizioni, che adogni modo entrerebbero per noi in seconda linea, – senon dopo aver esposto, coll’appoggio dell’antropologiacriminale e della storia, i fattori ed i caratteri di questanuova specie di delinquenti.

3

Gli anarchici

In questi tempi, in cui si tende sempre più a complicarela macchina di governo, non puoi considerare una teoriacome l’anarchica, che accenna al ritorno verso l’uomopreistorico, prima che sorgesse il paterfamilias, che comeun enorme regresso.

Però, come ogni favola contiene una parte di vero,ogni teoria, per quanto assurda, massime quando è se-guita da un gran numero di persone, deve contenere unaqualche parte di giusto. Né deve allontanarcene il pen-siero del suo strano ritorno all’antico, perché è solo lasconfinata vanità umana che ci può far credere in un con-tinuo progresso sul vecchio e sull’uomo primitivo. Il no-stro progresso, invece, non è una parabola in continuaascesa, ma è una linea a zig-zag molte volte rientrante; e(ricordisi il Multa renascentur quae jam caeciderunt) nonsempre il ritorno all’antico segna un regresso; esempio:il divorzio, che, fino a un certo punto, è un ritorno alleabitudini preistoriche; esempio: le teorie ipnotiche e spi-ritiche che ritornano in campo molte di quelle profezie edi quelle magie che noi relegavamo fra le fiabe più fan-ciullesche dei tempi antichi; esempio: le nuove teorie sulmonismo, sulla difesa sociale, sul diritto di punire, che

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si avvicinano a quelle delle epoche antichissime, come siavvicina il suffragio universale, il referendum, ecc.

La prima spiegazione dell’insorgere di questo stranopartito si trova, del resto, nello esame delle condizioninostre, – certo, se noi chiediamo ad un impiegato benpagato, ad un proprietario chiuso nell’intelligenza, e an-cor più nel senso etico, come vada la società umana at-tuale, essi ci risponderanno andar essa di bene in meglio;essi stanno bene: chi altri può mai stare male? Ma se noiinvece interroghiamo uomini d’alta coscienza, Tolstoi, p.es., Richet, Sergi, Hugo, Zola, Nordau, De Amicis, essivi diranno che la nostra fine di secolo appare ben triste.

Sopratutto noi soffriamo pel difetto dell’assetto eco-nomico. Non già che veramente esso sia peggiore diquello dei nostri padri; le carestie, anzi, che mietevanoa milioni le vittime, ora non ne mietono che poche centi-naia, e le nostre operaie han più camicie delle più super-be castellane antiche. Ma sono aumentati in isproporzio-ne alle rendite i bisogni e la repugnanza contro il mododi soddisfarli: la carità conventuale, monastica, è ancorail modo più esteso che ci offra a medicare le troppe mi-serie, ne essa appaga tanto le prime necessità, quanto ir-rita la naturale alterigia dell’uomo moderno; quanto allacooperazione, essa ha una zona di azione troppo limitata:anzi, nelle campagne nostre manca quasi affatto.

E fossero anche l’una e l’altra feconde e potenti, nonbasterebbero a calmarci, perché cieco e violento comeogni altro fanatismo va sorgendo, anzi straripando, franoi, il fanatismo sociale ed economico sulle ruine delpatriottico, del religioso, ecc.

Gli è che: gli ideali religiosi, famigliari, patriottici,quelli di campanile, di casato, di spirito di corpo o dicasta andaronsi sotto i nostri occhi dileguando.

E come l’uomo di qualche ideale ha pur sempre biso-gno, si è avvinghiato all’economico, il quale, essendo piùpositivo, più legato alle necessità della vita, non poteva

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come gli altri sfatarsi sotto alla logica inflessibile dell’a-nalisi moderna; ed in questo concentrava tutte le energie,prima negli altri disseminate.

Del resto qualunque proposta utile ci venisse dall’a-narchismo riuscirebbe inapplicabile o assurda, perché,come ho dimostrato nel mio Delitto politico, nessuna ri-forma si può introdurre in un paese se non lentissima-mente, quando non si voglia destare una reazione chedistrugge ogni anteriore lavoro; l’odio del nuovo (miso-neismo) essendo così radicato nell’uomo che ogni sforzoviolento contro l’ordine stabilito, contro il vecchio, è undelitto poiché ferisce le opinioni della maggioranza; e, secostituisce una necessità per la minoranza oppressa, re-sta pur sempre un fatto antisociale e quindi un delitto, esovente un delitto inutile, poiché risveglia una reazionein senso misoneico.

Ora, se il progresso organico e umano non ha luogoche lentamente, e se l’uomo e la società sono per istin-to conservatori, è logico dedurne che i conati al progres-so i quali si estrinsecano con mezzi violenti destano ripu-gnanza e formano le basi e le ragioni del delitto politico,che quando si vollero ricercare altrove vennero sempremancando.

Se invece una riforma chiesta con mezzi anche pocoenergici è accettata dai più, è segno ch’essa doveva ma-nifestarsi precisamente in quel dato momento in cui s’èmanifestata; è segno ch’essa non urta il misoneismo, chenon viola quindi la legge d’inerzia, che è un fenomenofisiologico, non patologico; in una parola, segno che larivoluzione non è veramente un delitto politico.

E infatti: la condizione prima perché un atto sia an-tisociale, vale adire un delitto, è ch’esso sia l’opera d’u-na minoranza. Quando la maggioranza lo approva essodiviene un’azione normale.

Ma dove il delitto politico si confonde col delitto co-mune, è quando codesci novatori dal campo teorico, li-

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bero a spaziare da chiunque abbia la mente sana, pre-tendono scendere alla pratica, volendo, come vidimo,raggiungere la meta con ogni mezzo, anche col furto ecoll’assassinio; credendo, cioè, colla uccisione di poche,spesso innocentissime vittime, che naturalmente destauna reazione violenta in tutti, ottenere quell’adesione chegli opuscoli e le propagande orali non riescono a strap-pare. Qui il delitto e l’assurdo si sposano e si raddoppia-no, e se uno scopo raggiungono, è l’opposto a quello checostoro si erano prefisso: destano, cioè, l’impopolarità inbasso, il disgusto dei savi in alto; sono come certi colpitroppo audaci di barcaiuoli impazienti che allontananoper sempre dalla riva lo schifo invece di ravvicinarvelopiù presto.

Ma qui sorge pel psichiatra e il socialista uno stranoproblema. Com’è che in costoro, pazzi, criminali purquasi tutti, e nevrotici ed anche fervidi passionali, spiccacosì grande l’altruismo che non si trova nel comune degliuomini, e meno ancora nei pazzi e nei criminali, i piùtristi egoisti del mondo?

E questo uno dei caratteri che, con gran meraviglia,trovammo sempre mescolato in Vaillant, in Henry, inCaserio ed anche in molti anarchici che erano anche as-sai più criminali di lui. P. Desjardins nota pur egli questicaratteri. «V’han degli anarchici scellerati: ma molti cheson buoni, trasformansi per la troppa sensibilità in ribel-li: ne vidi uno che divenne anarchico vedendo un padro-ne rompere un braccio al suo garzone. – E. Reclus è co-nosciuto per la sua eccessiva bontà»193. Tutti sanno chePini e Ravachol facevano gettìo di quasi tutti i denari ru-bati in pro dei compagni o della loro causa, Spiès, mi fuscritto da Chicago che era venerato come un santo daisuoi compagni cui dava tutto il suo: guadagnava 19 fran-chi per settimana, e due ne dava ad un amico malato; aiu-tò perfino un uomo che l’aveva insultato: sicché i com-pagni dicevano che se la causa avesse trionfato, bisogna-

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va incarcerarlo per impedirgli di nuocere alla rivoluzioneanarchica colla sua sentimentalità194.

Per spiegare questa contraddizione di due sentimentiopposti, l’altruismo e la crudeltà, che spicca così bene inVaillant, in Henry e nei suoi predecessori, bisogna averpresente quello che succede negli isterici a cui apparte-neva certo il Vaillant.

L’isteria, che è la sorella dell’epilessia e si lega simil-mente a perdita dell’affettività, ci mostra ancora spesso,accanto all’egoismo esagerato, altre tendenze d’altruismoeccessivo, che ci provano come questo non sia spesso cheuna variante della follia morale.

Nella filantropia l’altruismo è escluso nei puri crimi-nali. È noto come non vi sieno peggiori uomini dei gran-di filantropi, e come, viceversa, molti criminali abbianousato tratti di carità veramente singolari, rischiato la vitao la libertà per salvare un gattino, un uccello.

Gli è che la psiche nostra, come i nostri nervi, è sog-getta alla legge dei contrasti: esaurita la bontà, si inchinaalla cattiveria, e sfogata la crudeltà, si inchina alla bontà,così come la retina stanca del rosso vede verde e vicever-sa. S’aggiunga che in molti la criminalità consiste special-mente nell’impulsività, nello scoppio violento che spin-ge ad una data azione: e quest’azione, criminosa e vio-lenta quasi sempre, può sorgere in un terreno tutt’altroche cattivo, come negli epilettici, che, fuori dell’accesso,possono essere un modello di bontà.

Oltre che, anche i veri crudeli, sentendosi anomali,sentendosi come fuori dell’orbita umana, si sentono beatidi rientrarvi, almeno per poco, dando ai malvagi istinti lavernice dell’altruismo.

In altri casi la contraddizione si spiega perché quandomolti s’associano per commettere un delitto politico, oper iscopo altruistico per giovare al Comune, al partito,proprio all’inverso di quanto accade nelle comuni asso-ciazioni criminose, nella coscienza degli autori, anche del

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pubblico, quel delitto scema di gravità, sia perché «pec-cato di tutti, peccato di nessuno», sia perché è nel pare-re del mondo che lo scopo altruistico giustifichi qualchevolta il mezzo disonesto (G. Ferrero, nella Nuova Rasse-gna, 1894).

Il commettere un’azione anche vergognosa per far delbene a un terzo e non a se stessi (per esempio, chiederl’elemosina o il sussidio per un terzo per quanto pure siaintinto nella stessa pece di chi la chiede direttamente),non desta più un triste effetto nei più; pare perfino inalcuni casi un’opera meritoria. E così spiegasi comeindividui che non sono nati tristi facciano in questi casidelle azioni nefande; e tanto più quando si pensi a chececità enorme conduca il fanatismo: e così spiegasi comei torturatori delle inquisizioni potessero essere gente piae onestissima, pur facendo opere degne di assassini.

Nota giustamente Desjardins che in molti la bontàporta al delitto, perché, credendo tutti gli uomini buoni(Reclus e Krapotkine sostennero contro me che perfinoi selvaggi son buoni ed onesti), hanno come un diritto dicolpire quelli che, essendo tristi, fanno torto all’umanità.– Noi finiamo per esecrare alcuni a forza d’amare, scriveRadon (Revue Anarchiste, 15 novembre 1893.) .

Se Caserio, come affermano, ha detto nelle sue ultimeore: «Il mio non fu che un atto politico» ci ha dato unanuova prova di essere il delitto politico considerato daisuoi attori, diversamente, anzi all’inversa che dal pubbli-co; la passione facendoli ritornare agli stati primitivi del-l’uomo, in cui la vendetta è un diritto ed un dovere, e tut-ti i delitti, in genere, non sono che atti (nel latino facinusderiva da facere e crimen deriva da cri fare, in sanscrito) –al che, ripetiamo, l’educazione classica ha enormementecontribuito, innalzando ad eroi i sanguinari vendicatoripolitici: Bruto, Timoleone, Aristogitone, ecc.

Caserio è un mirabile esempio di questa forma. Ha 21anni, è di Motta Visconti.

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La sua famiglia si compone di padre, madre e di ottofratelli, tutti sani, di cui il Sante è il penultimo nato.

Quanto alla fisionomia ha nulla del tipo criminale:ha occhio dolce, mite, bellissime forme del cranio e delcorpo. Adorato dalla mamma, e religiosissimo, servivacon passione la messa, sognava di entrare in seminario ediventare un prete, un apostolo. S’irritava coi compagnise rubavano anche una mela pei campi (V. Atlante).

Aveva circa dieci anni, quando abbandonò improvvi-samente e di nascosto la famiglia, e calò a Milano, ove simise però subito a lavorare da fornaio. Qui l’importanteè che non attese mai al vino, al gioco, alle donne, comei compagni, ma alle letture e alle discussioni con quelli,in una delle quali, egli però, pur mite d’ordinario, ruppeuna bottiglia sul capo all’avversario (a 13 anni).

A 17 anni diventò uno degli anarchici più infervorati,nelle poche ore lasciategli dall’intenso lavoro non fa cheleggere libri e fogli d’anarchia e farne propaganda persi-no fra gli zotici campagnuoli di Motta che gli ridono sulmuso.

Due anni fa, quando gli anarchici distribuirono fo-glietti volanti ai soldati a Porta Vittoria, il Caserio fu ar-restato e condannato a quattro giorni di carcere. E avan-ti al giudice istruttore egli dichiarò che solo nel 1891 siera iniziato definitivamente al partito anarchico, e che loaveva fatto in seguito alla lettura di parecchi opuscoli eda colloquii avuti con altri, che non nominava, in un’oste-ria.

Quello che importa notare poi qui [è] l’epilessia delpadre, la quale spinse alla ferocia più grande una natu-ra che prima era mite e spinse agli eccessi del fanatismoed alle prime file un contadino che per solito è apatico,o al più si contenta di andare tra gli ultimi gregari: quin-di lo si vede, mentre la notte lavora, impiegare il giornoa legger giornali, a rischiare la libertà in un’impresa dif-

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ficilissima, come quella di dispensare manifesti anarchiciai soldati.

Egli, ignorantissimo, che appena balbetta, vuol dirige-re un giornale: finalmente va fino a giungere ad un fe-roce delitto senza commuoversi né prima, né dopo, co-me fosse un indurito assassino avvezzo al sangue; ma ilfanatismo raddoppiato dall’epilessia rende cieco, feroce,indomabile.

A ciò contribuì il monoideismo (la preoccupazione as-soluta di una sola idea) favorito dalla scarsissima coltura,che non gli permise ceno di far la critica delle dottrineonde l’indettarono e dall’apatia singolare per tutto quel-lo che interessa di più i giovani sani, come la donna, ilgiuoco (in tutto il suo epistolario non un cenno alle don-ne, al gioco, ai costumi nuovi, agli spassi che son propriidella sua età): e questo spiega perché, non esperto pun-to nei delitti di sangue, abbia nel suo primo reato potu-to riuscire a quel modo, e come l’indignazione pubbli-ca, la stessa reazione che succede in molti monomani do-po il reato, non gli sia venuta, tanto che pare egli repu-tasse di uccidere in Carnot, invece del mite uomo di Sta-to, una specie di Dionisio, di Tiberio. A questo ha con-tribuito la grande ignoranza: povero contadino fornaio,non ha potuto, passando dal forno alla vita politica, suc-chiare altro latte che quello che gli fornivano gli anarchi-ci; e, come succede di alcuni bigotti, che non vedono senon quanto leggono nei libri superstiziosi, egli non sape-va delle cose politiche che quanto gli venivano innestan-do le canaglie anarchiche; e quando un uomo è tutto ri-volto ad una sola idea, vi diventa d’una energia straordi-naria: basta pensare agli assassini del Vecchio della Mon-tagna Sira: agli ipnotici sotto la suggestione monoideiz-zante che corrono alla meta loro indetta con slancio irre-sistibile non pensando ad ostacoli di sona. Ma a raddop-piare questa energia deve aver contribuito molto l’eredi-tà dell’epilessia paterna, che forse si è trasfusa in lui sot-

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to forma di quella che io chiamo epilessia politica, maniadi commettere reati a scopo politico e di cui diedi alcuniesempi.

Godo di poter ritornare, a mente più riposata, sulmio lavoro, per completarlo ove più era manchevole eper aver modo di rispondere ai numerosi appunti che vifecero critici cortesi ed illuminati.

Mi si obbietta, p. es., da persona veramente autore-vole, dal prof. Angelo Majorana, autore della Teoria so-ciologica della costituzione politica: «Voi ci date una pa-tologia individuale più che una sociale; voi fate capo aduna psichiatria sociale, anziché alla individuale. Ora, co-me e perché accade che colui il quale in altre condizio-ni di tempo e di spazio sarebbe stato brigante o pirata obravo, diventa oggi anarchico, nel senso peggiore dellaparola?»

La mia risposta sta nell’esposizione che ho tentata nelcapitolo I delle condizioni della società attuale, tuttaretta a menzogne ed in preda a un fanatismo economicoche va fino al delirio. I pazzi, i criminali con tendenzealtruistiche e soprattutto gli appassionati divamparonoin tutti i tempi, anche nell’epoca selvaggia: ma essi sisfogavano colle religioni, prima, colle fazioni e collecongiure antimonarchiche dopo: furono prima crociati,poi ribelli, poi cavalieri erranti, martiri o della fede odell’ateismo, come Bruno, Arnaldo da Brescia, o tribunicome Marcel, Cola di Rienzi, o regicidi come Bruto,Damiens, Ravaillac.

Ma chi ora si mettesse a capo di una di codeste impre-se, come tentò pure Lazzaretti, e in altro campo Cocca-pieller, Lavigerie, in breve cadrebbe nel ridicolo.

Ora quando questi altruisti fanatici sorgono, specienella razza latina, non trovano altro sfogo possibile, nelmondo, ben s’intende, normale, che quello sociale odeconomico; nella Germania e nell’Inghilterra avrebbero

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ancora il pietismo religioso, e lo spirito di casta, odalmeno lo spirito di santa e vera carità.

Viceversa: «Come è accaduto, mi chiede qualche gior-nalista anche benevolo, che Caserio, contadino ignoran-te, d’un tratto arrivi a concepire ed eseguire con tan-ta freddezza, audacia, precisione un delitto che avrebbesgomentato il più provetto dei recidivi?

Questo sarebbe stato bene che ci aveste detto, perchéin verità l’epilessia paterna, la pellagra fraterna, il fanati-smo personale potranno anche aver facilitato una trasfor-mazione così profonda e straordinaria, ma non bastanoper i profani a determinare il procedimento psicologico,le cause immediate ed efficienti» ( Fanfulla).

Rispondo: Gli è che i profani ignorano aver la scienzapsichiatrica dimostrato che la passione violenta e la ere-dità epilettica e pellagrosa, come predispongono il cer-vello alle tendenze più eccessive, innalzano, direi, l’espo-nente del sentimento ordinario, concentrandolo, polariz-zandolo in una speciale direzione, e così appianano la di-stanza immensa dall’apatico contadino al violento setta-rio; senza dire che qui le condizioni infelicissime del con-tadino lombardo offrono, più che un pretesto, una ragio-ne a chi si appassioni, sia pure pazzamente, ai dolori al-trui.

Sono quelle condizioni, in cui mi sono abbattuto stu-diando per trent’anni la pellagra, che dimostrai195, sven-turatamente inascoltato, essere causata dai proprietaridistributori, al sicuro da ogni pena, del veleno maidico.

Certamente però quelli che non sono edotti delle varietrasformazioni che assume la pellagra e l’epilessia, specieereditaria, e che non leggono abbastanza per poterseneerudire, non comprenderanno che relazione vi sia fra undelitto politico e queste malattie; e invece di accusarese stessi troveranno più comodo di ridere dell’ignoranzaaltrui.

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A quelli che vi dichiarano ( Fanfulla): «Un grandedelitto fu commesso: dunque deve essere punito»; e chepensano l’enormità del delitto non doversi così attenuaredalla psichiatria, non abbiamo altro da rispondere: «Noifacciamo il nostro mestiere, voi fate il vostro. Voletecondannare, volete tornare anche alla tortura? E fatelosenza badare a noi, ma senza voler che torciamo i fattiper vostro comodo».

Come una volta si condannavano e bruciavano le iste-riche sotto il nome di streghe o di sante, si potrà, ora,ben ammazzare un pazzo, un epilettico, un fanatico per-ché ha rivolto lo strale del suo delirio in tal punto da de-stare un’enorme indignazione, che si appaga solo col san-gue. Ma questo non deve menomamente turbare la dia-gnosi dell’alienista: sarebbe come si volesse imporre adun botanico di cancellare dalla flora l’aconito e la cicu-ta perché sono malefici, e non sono sì cari come la rosae la viola. Ma può il botanico loro rinnegare la natura difiore perché a noi non piacciono, perché invece di essereprofumati e soavi, sono involontari avvelenatori?

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Perfino lo storico maturo che ha veduto librarsi per se-coli interi i destini dell’uomo fra le passioni più bizzar-re e li inganni più grossolani, freme d’orrore scorgendoa qual grado di potenza riuscissero le più strane allucina-zioni in quel tempo. La storia della pazzia si riassume co’l dire, che veniva temuta o venerata dai più, imitata damolti, sconosciuta da tutti e spesso punita co’l carcere eco’l rogo – La pazzia non è più un morbo, è un avveni-mento storico. Molti infelici affetti da mania ambiziosa,o da teomania, son presi per profeti, le loro allucinazio-ni per rivelazioni, e così si originò una quantità di sette

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che aumentarono e rincrudirono le tristi lotte di religio-ne, di libertà e d’indipendenza nel Medio-Evo. Picardper es. imagina di esser figlio di Dio e spedito su la terraper insegnare agli uomini a vivere nudi e nella commu-nione dei matrimonj; egli è creduto, imitato, e ne nasco-no li Adamiti. Così li Anabattisti a Münster, ad Appen-zell ed in Polonia credono di vedere li angeli o i drago-ni luminosi e lottanti nel cielo tra loro, di ricevere ordinedi occidere i fratelli, i figlioli più cari (mania omicida), odi astenersi dal cibo per mesi, o di paralizzare li esercitico’l soffio o con lo sguardo, e così da poi ebbero analo-ghe origini, come dimostrò Calmeil, le sette dei Calvini-sti, dei Giansenisti, che fecero spargere tanto sangue allaFrancia.

Le più strane forme di pazzia si communicano da in-teri villaggi ad intere nazioni, come un vero contagio, daibimbi ai vegliardi, dai creduli agli scettici più risoluti. Lademonomania più o meno mista di ninfomania, di con-vulsioni; ecc., costituiva ora le streghe, ora li ossessi, se-condo che era vantata e propalata, o con orrore soffertadalle sue vittime. Si manifestava con allucinazioni le piùoscene, specialmente di commercio con li spiriti inferna-li o con bestie che li rappresentavano, con orrenda an-tipatia per le cose sacre o credute tali (p. es. per le os-sa credute reliquie), con sviluppo straordinario, ora del-le forze muscolari, ora delle intellettuali, per cui balbet-tavano lingue di cui appena aveano avuta lontana cono-scenza, o rannodavano le più lontane e complicate remi-niscenze: associavasi talora ad estasi erotiche, ad aneste-sie parziali: spesso vi era tendenza a mordere, ad occide-re, o ad occidersi, non di rado un ribrezzo, e sempre poiuna convinzione profonda della verità delle fosche allu-cinazioni. Sotto l’una o l’altra forma dominò per tutto ilMedio-Evo, e molto tempo ancora da poi, partendo dalleisteriche, dagli epilettici (come il cholera ultimamente sidiceva partire dai diarroici) e specialmente dai conventi

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femminili, come accadde delle religiose di Madrid, delleorsoline di Loudun, di Auxonne, ecc., ed irraggiandosiin Svizzera, Italia, Germania, Spagna e spesso colpendoli stessi esorcisti, li stessi giudici che le puniano, o meglio,le rattizzavano con spettacolosi tribunali e col rogo.

Il primo movente di questa tendenza della mania aprendere forma epidemica fu la venerazione per li indivi-dui che n’erano colpiti, per cui essi dovettero esser presia modello.

Il secondo e non meno importante fu l’istinto dell’imi-tazione. Inutile è il dimostrare quanta parte abbia nelleazioni dei selvaggi questo istinto, primo a manifestarsi edultimo a spegnersi nelle varie gradazioni della intelligen-za umana. Si videro tribù selvagge imitar all’unissono,come scimmie, i gesti del loro oratore, e omicidj e suici-dj, come convulsioni e sbadigli, moltiplicarsi per imita-zione, a per tutto la plebe per imitazione giunse ad ap-plaudire il giorno dopo, quelli che prima avea condanna-to. Brierre narra della pazzia dei Samojedi detta Imera-ch, che li spinge ad imitare tutti i gesti e le parole dei lo-ro compagni, ed i dottori Boyle e Gangeron ebbero es-si stessi il coraggio di accennare essere nell’imitazione,più che nell’influenze diaboliche, la causa delle terribi-li demonopatie che infierivano alloro tempo. Si dirà chenel Medio-Evo appunto come nei popoli selvaggi la man-canza delle strade, della stampa, della posta, delle gran-di Capitali, e sopratutto della concordia civile, rendea lecommunicazioni difficilissime, minimo l’agglomero del-la popolazione (e ciò si dica per Guislain che a quest’ul-timo attribuisce una gran parte nella produzione dellapazzia), ma è appunto per questo che l’istinto dell’imita-zione prendeva più radice. È sopra tutto l’avanzare del-la civiltà, il maggior contatto di una maggior quantità dipersone che fa sbocciare il sentimento dell’individualità,aguzzandolo con l’interesse, con la diffidenza, con l’am-bizione, con la concorrenza, fino co ’l ridicolo, ma sopra

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tutto con la varietà continua di sensazioni, e quindi conla conseguente varietà di idee, e permette così di rado,che intere masse sieno del pari predisposte ed impressio-nabili dallo stesso movente. Ed in fatto anche nei tem-pi recentissimi l’epidemie di alienazioni si manifestaro-no, è vero, ma fra le classi più ignoranti delle popolazio-ni, e nei paesi lontani dai grandi centri di communica-zione, a Cornwallis, a Galles, in Norvegia, nella Bretagna(abbajatrici di Josselm) e nelle colonie più rimote dell’A-merica. L’epidemia di predicare della Norvegia (1842)era detta Magdkrankheit – malattia delle serve – perchési attaccava alle serve, alle isteriche e ai bimbi del popolo(V. Ideler. Versuch eine theorie, 1848, 225). L’epidemiadi Redrouth si diffuse sempre fra le persone del più li-mitato intelletto, whose intellect is of the very lower class(1814. Nasse, Zeitschrift, I, p. 255), mentre quando inquesti ultimi anni (quantunque già commossi da guerredi principii, ed infelici) si manifestò e sparse il pregiudi-zio del magnetismo, e quello ancora più stolido dei tavo-li parlanti – questo non sorpassò mai il confine d’un er-rore diffuso, e l’alienazione da questo lato non ebbe chevittime isolate, sporadiche.

La terza ragione della frequenza di quelle epidemie èche la pazzia trova molto più facile accesso dove ven-ga meno la civiltà; la metamorfosi regredente delle facul-tà intellettuali ha minori gradi da percorrere nel barbaroche nel civilizzato; il primo sa distinguere molto più dif-ficilmente le illusioni dalle realtà, le allucinazioni dai de-sideri, il possibile dal sopranaturale, e domare le sfrenatepassioni.

La civiltà, grazie alle ferrovie, alle concentrazioni bu-rocratiche, commerciali, ecc., tende sempre ad aumenta-re i grossi centri, ed a popolare sempre più i capo-luoghi.E, come è noto, è in questi, che si condensa la maggiorparte dei delinquenti abituali. Questo malaugurato con-corso si spiega per i maggiori profitti o le maggiori im-

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munità che offrono ai rei i grandi centri. Ma questa cau-sa non può esser la sola, perché se nella capitale è mino-re la vigilanza, più attiva e concentrata è la repressione, ese vi sono maggiori incentivi alle seduzioni, si aprono an-che più larghe le vie al lavoro. Io credo vi agisca un’altrainfluenza, più potente di tutte, quella dell’agglomero, ilquale spinge da per se solo al delitto od all’immoralità.

Chi ha studiato l’uomo, o meglio ancora se stesso, inmezzo ai gruppi sociali, di qualunque genere siano, avràosservato come esso sovente vi si trasforma, e da onestoe pudico che egli era e che è tutt’ora da solo e nelle paretidomestiche, si fa licenzioso, e fino immorale196.

Quanti radunati in un club od in un’assemblea, perquanto assennata, non hanno lasciato, senza ribrezzo,insultare l’amico ed il maestro? E quanti non hannogettato vilmente la pietra contro colui, che poco primaavrebbero sostenuto col massimo ardore! Un passo piùin là, e voi vedrete l’uomo onesto rubare per parere buoncompagnone, giuntare al giuoco il novizio, o gettarsinella più immonda libidine.

Questa tendenza si fa maggiore quanto più i gruppi sifanno popolosi; dai cinque o sei scolari di campagna, al-le migliaja d’operaj di una fabbrica (ed ecco perché i di-stretti manifatturieri197 danno più delinquenti degli agri-coli), fino all’enorme massa d’uomini che la più lieve cau-sa raggomitola nelle vie di Napoli e di Parigi, ed il cuigrido si trasforma in una sentenza di morte. Una pro-va quasi diretta ce ne forniscono i gerghi, che abbiamoveduto assumere organismi sempre più complicati e te-naci, quanto più dalle associazioni innocenti e poco po-polate si procede alle più fitte e criminose, e che anchenelle prime accennano pure ad una specie di ostilità o dicongiura verso gli estranei.

Gli istinti primitivi del furto, dell’omicidio, delle libi-dini, ecc., che esistono appena in embrione in ciascunindividuo fino che vive isolato, massime

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In quel di Cervia l’associazione clandestina dei lavora-tori nel 10 marzo appiccò un proclama ad un’osteria. –L’oste lo tolse via e la sera quattro scherani esplosero ifucili carichi sulla massa dei suoi clienti (Id.).

A Ferrara nel 1874-75 non poche associazioni operaiecon apparenza di idee di mutuo soccorso, di coalizzazio-ne contro il consumatore, erano vere associazioni crimi-nali, una delle quali di 50 individui aveva commesso 48delitti, 23 furti e 19 grassazioni (Pref. Scelsi, Documen-ti Cantelli relativi alle leggi, ecc. di Pubblica Sicurezza,1875).

Il Tammany-Ring ci ha mostrato che un pericolo simi-le si può avere anche nella nazione la più civile e liberadel mondo.

Perfino le associazioni infantili delle grandi città furo-no trovate essere una delle cause precipue dei delitti cosìisolati che associati.

Gli è che gli istinti primitivi del male, che esistonoappena in embrione in ciascuno di noi quando siamoisolati, s’ingigantiscono al contatto degli altri.

Applicazioni alla psicologia Si è detto che i fenomeniipnotici offrono come l’autopsia delle singole facoltà del-la psiche; fanno di più: ci danno dei veri esperimenti dipsichiatria sperimentale, in cui i fenomeni della allucina-zione e delle passioni, portati alla massima potenza, so-no riprodotti così esattamente come i fenomeni infettivicolle iniezioni di bacteri.

Niuno può comprendere così bene la perfetta convin-zione dell’allucinato e la causa dell’allucinazione comedopo aver veduto l’ipnotica suggestione. E la forza irre-sistibile, il raptus, è esattamente riprodotto dai loro atti.

Quando si racconta di un giudice che svenne creden-do sentire l’odore di un cadavere ad una esumazionementre il cadavere non esisteva nella cassa, si porta unesempio isolato, quasi poco verosimile, per dimostrare

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fino a che punto l’immaginazione entri a sostituirsi allasensazione attuale.

Ma l’ipnotismo ce ne dà migliaia di prove parlanti; eci spiega i fanatismi delle masse per un uomo o per unprincipio anche men degno, e quelle vere allucinazioniepidemiche delle plebi, che credevano veramente di ve-dere le spade di fuoco, gli untori, che non esistevano senon nella loro immaginazione.

L’educazione ipnotica ci mostra fino a che punto l’e-ducazione comune può trasformare un uomo nato mora-le in un criminale e viceversa.

L’ipnotismo ci mostra quanto poco sia libera la volon-tà umana, fatta mancipia di un altro merce un coccio divetro o un pezzo di magnete. E nella trasmissione del-la volontà, anche a distanza – mentre ci prova (v. sopra)che la volontà è soggetta alle leggi del moto – ribadisce,con una nuova prova, che per quanto singolari, quei fe-nomeni non escono dal mondo e dalle leggi della mate-ria.

Ora, queste epidemie imitative, se sono favorite spessoda condizioni speciali d’ambiente, come carestie, guerresfortunate, ecc., lo sono assai più frequentemente dal-le strane, morbose virtù personali di alcuni apostoli, dacui partì il primo impulso; la cui forza aumentata, l’in-sensibilità al freddo, alle ferite, la vantata ispirazione di-vina, o l’eloquenza e la vera convinzione in quanto van-no propalando, trascinano le masse, ignare dei fenomenipsichiatrici ancor più delle classi côlte.

Già uno di noi198 ebbe a dare numerosi esempi di que-ste epidemie di pazzia, specie nel campo religioso, in cuidai Santoni arabi e indiani ai demonomaniaci, i cui ulti-mi rampolli si trovarono non è guari in Italia (Verzegni)ed in Ispagna, fino agli Anabattisti, ai Giansenisti, ecc.,è manifesta la trasmissione per contagio delle più straneforme di pazzia, e talora anche di concetti grandiosi, ma

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sproporzionati al grado di coltura delle popolazioni chevi soggiaciono.

Così gli Anabattisti a Münster, ad Appenzell ed in Po-lonia credevano di vedere gli angeli o i dragoni lumino-si e lottanti nel cielo tra di loro, di ricevere ordine di uc-cidere i fratelli, i figliuoli più cari (mania omicida), o diastenersi dal cibo per mesi, o di paralizzare gli eserciticol soffio o con lo sguardo; più tardi, analoghe originiebbero, come dimostrò Calmeil, le sette dei Calvinisti,dei Giansenisti, che fecero spargere tanto sangue.

Chi ben vi guardi, trova che le grandi rivoluzioni, an-che le letterarie e religiose, specialmente queste, furonoaccompagnate o precedute da delirii epidemici. Il verorinascimento tedesco (1749-1833) è noto che si associavaa due moti pazzeschi, uno dei quali non ingiustamenteprese il nome di Sturmisch, o cioè periodo della tempe-sta e battaglia, preceduto prima da un altro di vero fetici-smo pazzesco per Klopstock, rappresentato dalla socie-tà del bagno sacro (Kainbad), che nutriva un odio pazzoper Wieland.

La grande rivoluzione di Cristo fu preceduta ed ac-compagnata da una vera epidemia psichica, da una ve-ra mania religiosa epidemica: tali erano la setta di Giu-da il Gaulonita, quella di Teuda, che prometteva, nuovoGiosuè, di far passare il Giordano a piedi asciutti, nuo-vo battesimo che doveva annunziare la liberazione (an-no 44); e pochi anni prima la Samaria s’era commossa al-la voce di uno che pretendeva di conoscere, per rivela-zione, il luogo dove Mosè aveva nascosto certi strumen-ti sacri del culto. Dall’anno 45 in poi correva in Gerusa-lemme uno strano fermento di sicarii-teologi: si acciava-no nella folla e uccidevano quelli che essi pretendevanomancassero alla legge (Rénan).

«Fantasticherie analoghe a quelle di Teuda si rinnova-vano da ogni parte. Personaggi che si asserivano inspira-ti, sollevavano il popolo e lo traevano con loro al deser-

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to, col pretesto di fargli vedere, mediante segni manifesti,che Dio lo avrebbe tantosto liberato. L’autorità romanasterminava a migliaia le vittime di codesti agitatori. UnGiudeo d’Egitto, che andò a Gerusalemme verso l’anno56, ebbe l’arte di attirare a se co’ suoi prestigi trentami-la persone e quattromila sicari. Dal deserto volle menarlisul monte degli Ulivi, per vedere di là, diceva, cadere allasua parola le mura di Gerusalemme. Felice, allora pro-curatore, mosse contro di lui e dissipò quella masnada;l’Egiziano fuggì e non comparve più. Ma in quella guisache in un corpo malsano i mali si succedono gli uni aglialtri, non andò guari che si videro parecchie bande mi-ste di maghi e di ladri che istigavano apertamente il po-polo a ribellarsi contro i Romani, minacciando la mor-te a chi continuasse nella obbedienza. Sotto questo pre-testo uccidevano i ricchi, mettevano a ruba gli averi, ar-devano i villaggi, ed empievano tutta la Giudea dei segnidel loro furore. Annunziavasi una spaventevole guerra;dovunque regnava uno spirito di vertigine che teneva leimmaginazioni in uno stato prossimo alla follia»199.

Un fenomeno, affatto somigliante, precedette e ac-compagnò in Russia la Rivoluzione nichilista. Son cen-tinaia e migliaia i settari religiosi o sociali, non di raropazzeschi, che si andarono diffondendo in questi ultimi50 anni in Russia. Tsakni li calcola non meno di 13 mi-lioni ( La Russie sectaire). Vi hanno i vagabondi o solda-ti di Cristo che non vogliono fissarsi sulla terra, e i Cri-sti che credono portare un Dio in se medesimi: gli Ascetimuti che esigono il silenzio, e si lasciano torturare pur dinon parlare: i Nemoliochi che rinnegano il prete; i Ne-gatori che negano tutto; gli Stundisti che vogliono tuttoin comune, e vogliono il corpo si irrobustisca per salvarel’anima; i Cholaputi estatici, adoratori degli spiriti san-ti, che praticano il socialismo e che rinnegano ogni com-mercio, ogni lavoro che non sia dei campi; gli Sckopziche si evirano, ecc.

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Si direbbe, continua, ripetendo, quasi, le frasi di Ré-nan, che la campagna è nell’attesa di un grande avveni-mento; solo l’agitazione prende le forme di tesi sacre.

Ed alla pazzia ed alla nevrosi epidemica s’associano gliistinti criminali, con cui han tanti punti di affinità e chevedemmo già spuntare nelle manifestazioni antecedentie prendere il sopravvento, specialmente nelle rivolte.

«L’istinto omicida (scrive Andral) che cova nel fan-ciullo e che spesso ingigantisce nell’adulto, può diventa-re epidemico sotto l’influenza delle passioni politiche ereligiose».

I testimoni dei macelli del 1792 affermano che al terzogiorno gli scannatori non potevano più frenarsi200.

È la vista del sangue che fa nascere l’idea di spander-ne ancora (Barbaste). L’istinto omicida è come un fuo-co che sta sotto la cenere, che esplode alla prima scintil-la; che uno degli elementi della folla cominci ad esseresovraeccitato, e gli altri sono presi dal contagio. Questariunione di particole umane eterogenee (scrive un osser-vatore di scioperi), si trova così ben cementata dai pro-prii atti, da formare una massa coerente; una folla cheprima era solo curiosa, è trascinata dietro un oratore dicui non intende le parole, e partecipa agli atti di chi lacirconda senza saperne il perché (Flaubert).

Qualcuno (scrive Taine, Les origines, etc., I, p. 39),venuto con buone intenzioni nella vertigine sanguinosa,colpito subitamente dalla grazia rivoluzionaria, si con-vertiva alla religione dell’assassinio. Così un certo Gra-pine, spedito dalla Sezione per salvare due prigionieri, sisiede accanto a Maillard e sta con lui 63 ore a condan-narne.

«La folla, scrive Maxime Du Camp ( Les convulsionsde Paris, 1881) a proposito della Comune, si fa incoscien-te nei suoi macelli, ha bisogno di far delle vittime. Prefe-risce ammazzare anche degli amici coi nemici, o almenocon quelli che crede tali, piuttosto che attendere ch’essi

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ne siano sceverati. Durante la fucilazione degli ostaggi,un Comunardo, gettato il suo fucile per terra, afferrò cia-scuno dei preti per il corpo, e mentre la folla applaudiva,li sollevò e li spinse al di là del muro indicato per l’esecu-zione. L’ultimo prete oppose resistenza e cadde trasci-nando il federato con se: gli assassini erano impazienti:fecero fuoco e... uccisero il loro compagno».

Gli è che, come fu già notato da uno di noi201, queilieviti primitivi del furto, dell’omicidio, delle libidini,ecc., che covano, in embrione, in ciascun individuo finoche vive isolato, massime se temperati dall’educazione, siingigantiscono tutto ad un tratto al contatto degli altri:diventano virulenti nelle folle eccitate.

L’altra piaga, comune questa a tutte le razze europee,ma più inciprignita fra noi è quella del parlamentarismo.A popolazioni per tanti secoli tiranneggiate da un solo, èparso per qualche tempo, che quanti più fossero a divide-re il potere, tanto meno questo sarebbe dispotico, e tan-to più intelligente e morale. E in parte ciò doveva esservero perché questo regime se non giova a sempre spec-chiar l’idea del paese, certo giova a rivelare gli abusi de-gli errori. Ma se, come ben dimostrò prima Machiavelli,ogni forma di governo porta con se i germi della sua rovi-na, massime ciò doveva avvenire in questa che non è del-le più adatte, perché basata sulla folla: ed una folla an-che la meno eterogenea, anche la più eletta quando devedeliberare, dà una risultante che non è la somma, ma piùspesso la sottrazione del pensiero dei più.

È un’osservazione volgare passata in vecchio prover-bio, che più sono i deliberanti, meno giusta e meno saviaè la deliberazione che ne risulta, perché tutto quel sotto-strato di pregiudizi, di vizi che si doma a furia di coltu-ra nell’individuo, pullula e si fonde in tristo veleno nelleassemblee. È quanto accenna il proverbio Senatores boniviri, senatus mala bestia: cosicché il merito dei consigli èin ragione inversa al numero dei consiglieri.

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Si è veduto che anche nel proprio interesse pecuniario,che è il più tenace negli uomini, un’assemblea erra quasisempre. Ora cosa non dev’essere per quelle cose chenon toccano ciascuno personalmente, come le questionipolitiche, amministrative o comunali?

È noto in proposito un vecchio proverbio: «Denari delcomune, denari di nessuno». Così molto bene osservavaMoltke che un’assemblea parlamentare molto numerosasi lascia più facilmente trascinare alla guerra di un sovra-no odi un ministro, il quale ne porti tutta la responsabi-lità, mentre il deputato che delibera ne ha un cinquante-simo o un ottocentesimo, quindi lo fa a cuor leggero202.

Tanto più poi da noi nelle razze latine in cui a diffe-renza delle anglosassoni, le assemblee non rappresenta-no tutte le classi sociali, ma solo un gruppo di professio-nisti e di impiegati, mentre gli agricoltori, gli industriali,i proletari che formano la maggior parte della popolazio-ne, non hanno quasi rappresentanti.

Folle E qui entrano i reati così ben studiati da Sigheleche si commettono dalle folle e per le folle.

Gli istinti sanguinari latenti dell’umanità primitivavengono a galla spinti dall’imitazione, dall’eloquenza al-trui, dalla passione, dalla presenza di criminali, che vi fanda fermento: sicché uomini onestissimi possono diventarferoci almen per un’ora; e così Taine ci mostra un cuo-co pacifico, suggestionato dai furori della folla del 1789,uccidere il governatore De Launay, poi inforcatane la te-sta portarla in processione per tutta Parigi203; ed un anti-co onesto soldato strappare il cuore dal petto di Laleu esucchiarne il sangue.

L’uomo si trova allora nella situazione del selvaggioe dell’animale (V. Vol. I), quando il reato è un attofisiologico. E così le crudeltà contro gli animali ora nonsono colpevoli, ma lo potranno essere più tardi, quandoil sentimento della pietà si sarà più evoluto.

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Barbarie E siccome la morale muta secondo i paesi esecondo i tempi, così in questa categoria entrano quasitutti i delitti commessi in tempi e popoli barbari. Come ilfanatismo religioso del medio evo fe’ nascere quei grandiarchitetti anonimi che ci diedero le meraviglie delle no-stre cattedrali; così l’omaggio per la forza e la violenzaci diedero nelle epoche e popoli barbari un delitto ende-mico, che non era antropologicamente né giuridicamen-te tale, come non lo è quello degli animali (Ved. Vol. I,Parte I, Cap. II). Gli Hyglanders, dice Bukle, non cono-scevano altro mezzo di vivere che l’omicidio ed il furto,che loro pareva un’azione onorevole.

Non sono molti anni che lavorando pel mio Uomo de-linquente e più ancora pel Delitto Politico e le Rivoluzio-ni, io avevo tentato di formulare una legge che prese poipiede nella scienza, per opera in ispecie di Ferri, di Si-ghele, di Tarde, di Lebon: secondo cui l’uomo diventasempre peggiore quanto più si trova unito ai suoi simi-li, triste nelle Accademie e nelle Facoltà, tristissimo neiParlamenti, e sopratutto nelle folle e nelle piazze, perchégli atti delle folle si trasformano molto facilmente in de-litti collettivi, incoscienti, fermentando e pullulando ne-gli attriti quel poco di criminale atavico che esiste laten-te in ciascun uomo, anche onesto, e moltiplicandosi perl’intrusione, che difficilmente vi manca, di qualche veroreo-nato, sicché all’improvviso anche l’uomo più inno-cuo può trasformarsi in criminale.

Questa teoria, che pure ha una larga applicazione econferma nella storia, fu da me e dai miei amici forsetroppo esagerata nel senso pessimista.

Il vero è: che osservando quanto accadde di recentein Italia, vien proprio la voglia di concludere nel sensoopposto; essere, cioè, le folle, essere la piazza che aggiu-stano i cocci rotti dagli individui altolocati, dalle classidirigenti, da quello che si dice il Governo o chi per lui.

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Chi non ricorda la triste questione africana? Quandoi ben pensanti, i savi credevano che questa fosse una del-le grandi mete dell’Italia nuova, quando i capi dello statomaggiore – li ho sentiti io – dichiaravano che con un mez-zo miliardo l’Eritrea sarebbe divenuta un’altra India, fusolo la piazza e i partiti che la rappresentano, che hannosempre mormorato contro quel preteso Eldorado, tantoche in ultimo una delle misure del Governo Crispino eradi proibire nei Comizi che si parlasse dell’Africa.

Dopo avvenuta la sconfitta, ahi! troppo prevista diAdua, fu la piazza che impedì si continuasse una guerrache avrebbe condotta l’Italia all’ultima rovina; e il Parla-mento ratificò la volontà della piazza contro quella delleclassi dirigenti.

Successero le reazioni del Maggio 1898 colle fucilatee coi giudizi militari: qui la tenacia dei partiti reazionariavrebbe voluto mantener intatte quelle sentenze spropo-sitate. Ma da quel giorno non ci fu elezione comunale,né provinciale, né parlamentare, che non reclamasse col-la designazione plebiscitaria dei condannati, la loro libe-razione, finché questa fu, più che concessa, strappata.

Più tardi quegli stessi megalomani, che già allestironole rovine africane, ce ne preparavano altrettante in Chinae nella Tripolitania; e solo le dimostrazioni dei partitipopolari fecero, dopo molte tergiversazioni, mandare inaria quegli stupidi progetti.

Quando un ministro della marina volle comperare unanave inutile per il doppio del suo prezw sotto lo speciosopretesto di pericoli chinesi, fu la piazza che lo impedì.

Lo stesso accadde del processo Notarbartolo. Sonoquasi dieci anni che moriva il Notarbartolo, uno dei piùgrandi nostri galantuomini, assassinato per aver lottatonon fortunatamente contro i ladri ufficiali del Banco diSicilia, contro i quali aveva stesa una dettagliata relazio-ne, trafugata impunemente e da notissimi colpevoli alMinistero poco prima della sua morte.

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La voce pubblica e le prime indagini segnalarono co-me mandatari dei pezzi grossi della Sicilia, ma eccelsemani misteriose fermarono ogni ricerca. Fu solo l’opi-nione della piazza che forzò la mano e giunse a trovarequel colpevole che non erano riusciti a scovare quattroprocuratori generali.

E così anche l’opinione pubblica, scossa dai tribunisocialisti (Noè, ecc.) in Messina è riescita ad iniziare ladepurazione del Municipio da coloro che lo infestavano– come ora aiuta la depurazione di Napoli iniziata dal-l’inchiesta Saredo.

Un altro analogo esempio è il caso Batacchi su cuinon occorre dilungarci perché tutti sanno che si trattò diuno di quegli errori giudiziari che la politica commettein tutte le nazioni, anche in quelle libere come in Franciaper l’affare Dreyfus, ma che il Governo italiano si ostinòa non voler riparare nemmeno quando la verità lampantesi era fatta strada e che le paure momentanee politicheerano passate; e anche qui fu la piazza che riescì a vincerele tergiversazioni del Governo.

Ma il fatto più grave di tutti è quello del famosodecreto-legge Pelloux.

Il generale Pelloux, rompendo le tradizioni e le dichia-razioni con cui era giunto al Ministero aveva propostouna legge che finiva di abolire tutte le libertà costituzio-nali di stampa, di riunione, ecc. Per quanto di mala vo-glia, perché un rispetto alle norme costituzionali esisteancora da noi, una gran parte della Camera avrebbe fi-nito, malgrado l’unanime contrarietà della stampa e delpopolo minuto, coll’approvarle; fu l’Estrema Sinistra, larappresentanza della piazza, come si diceva una volta, ladisprezzata Estrema Sinistra che giunse a impedirlo contutte le armi che erano in sua mano e perfino coll’ostru-zionismo.

Ma il Pelloux non vi badò e con autocratismo milita-re trasformò il progetto in decreto, ma l’opposizione si

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fece sempre peggiore, la magistratura finì col non rico-noscerlo, ed egli dovette ripresentarlo al Parlamento, ri-cambiato da capo a fondo per quanto forse in peggio; efu la Sinistra tutta unita che riuscì ad abbattere la legge.

Tutto ciò si deve alla piazza o a chi per lei. Se ilpaese dunque non rotolò nel despotismo, anzi accennaa rinvigorire e migliorare, non si deve già all’energiadelle classi dirigenti che dovrebbero stare al timone,e dirigere le umili, ma precisamente alla influenza diqueste, credute finora le eterne nemiche dell’ordine econtro le quali convergono tutte le forze e le energie dellealtre.

Come si spiega ciò che è in perfetto antagonismo collamia teoria del fermento nelle folle?

La mia teoria non è sbagliata; ma incompleta; perchécome più spesso il male, anche il bene si forma, benchépiù di raro, epidemicamente nelle folle, e fermenta: inesse se non v’ha il genio, vi sono sempre molte giustemediocrità: ora dalla somma delle molte mediocrità escequello che noi chiamiamo il senso comune, esce un giu-dizio mediocre, ma che può esser migliore di molti giudi-zi individuali, inceppati dagli interessi, dalle passioni, daipregiudizi di casta, da tutte quelle altre cause che rendo-no così spesso errato il giudizio anche dell’uomo geniale.

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NOTE

1 In Val Sabbia certi cretini balbuzienti son detti Cacai, ilche rammenta molto i Cagots. L’epiteto di Maghi non haimportanza etimologica, perché si lega con Magatei, Magotu,e Macabri.

2 Perché si possa formare un’idea grossolana della difusionedel cretinesimo in Lombardia, metto qui le notizie su i sordo-muti di Lombardia dell’illustre Sacchi, noto che nelle propor-zioni co’l cretinesimo la cifra di Cremona è troppo piccola, ètroppo grande quella di Pavia.

Sondrio 1 sordo-muto su 345 abitanti.

Cremona 1 » su 693 »

Lodi e Crema 1 » su 1144 »

Brescia 1 » su 1192 »

Pavia 1 » su 1208 »

Bergamo 1 » su 1514 »

Milano 1 » su 1728 »

Como 1 » su 2511 »

Mantova 1 » su 3839 »

3 Se queste specie di cretini rappresentano l’uomo primitivoarrestato nel suo sviluppo storico, avremmo in questi istinticrudeli la spiegazione di quel carattere sanguinario di cui sonocoloriti li usi ed i riti e le leggi dei popoli primitivi, p. es. deiMessicani, dei Negri, dei Caraibi.

4 Io crederei che si potrebbero utilizzare molto come maestridi calligrafia e disegno, ecc. – sordo-muti intelligenti che nonmancano mai nei villaggi cretinici – e che furono educati a Mila-no. – E così si migliorerebbe la condizione di questi ultimi chepoveretti passano senza gradazione dalla troppa agiatezza del-la scuola alla troppa miseria del villaggio – e s’imbarbarisconoe peggio ne muoiono di marasmo, come io verificai.

Ho osservato ad Artogne uno di questi sordo-muti istrutti aMilano, insegnare la calligrafia a molti compaesani e quello cheè più strano anche ad una cretina.

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5 Ha relazione co’l gauche, francese, o vero co’l gossum, o co’lgeal sassone? co’l gawh (inglese), stupido, o co’l gacken, stiria-no? Spiega il goja lombardo? Nel Vallese antico (Simlero Vall.Descriptio, 1574 Il, 4), fatui dicti gouchen. Il goja, lombardo,s’accorda con Go, irlandese, pazzo?

6 L’egregio amico e maestro mio il Cav. Nicolucci nella suaStupenda opera – La stirpe Ligure in Italia lo asserirebbe bra-chicefalo come il Piemontese – ma, a mio credere, l’illustre an-tropologo ebbe fra le mani cranii delle vallate Liguri e non cra-nii tipici delle Liguri città – altrimenti avrebbe trovato esiste-re differenze assai salienti tra il cranio Piemontese ed il Liguremoderno.

La misura dei diametri cefalici di 50 Liguri vivi di 20 a 21anni sorpassanti 1 m. e 59 di statura diede il risultato di mm.187 pel diam. longit. e 142 pel traverso differenza 45.

La misura dei diametri cefalici di 50 Torinesi od Alessandrinidi 21 anni ecc. diede il risultato di mm. 165 pel diam. longit. e155 pel traverso differenza 40.

7 Vedasi per le nozioni più esatte quello stupendo SaggioStatistico sulla Mortalità di Genova dal 1856 al 1860 del Du-Jardin che è vero modello di statistica medica.

8 Corre per la valle tutta il detto: «O l’ha õ gosciu õ l’escemmu, / O l’è de Cravasco», detto che accenna ad epocain cui la doppia endemia infieriva certo molto più che io nonconstatassi ora in quel povero paesello.

9 Nadler Untersuch. uber die angebl. Jodbeh der Luft Zurich1861.

10 Secondo l’ultima Statistica del 1862; l’accrescimento dal1834 in qua è abbastanza notevole. – Per esempio, nella Cala-bria Ultra prima si contano ora 336023 abitanti, mentre eranonel 1834, 260633. Nella Citra l’aumento fu di 73594 anime. –Erano circa 188, ed ora sono 214 per miglio quadrato.

11 Addeo pinnao tu crasi tu carnassalu.C’ego pinno tu nero tu piccaduo.Altri beve il vino che fa carne. – Ma io sorbo l’acqua del

fonte col carpo della mano. – Non sarebbe un canto degnodell’antica Grecia? Quanto non è più poetico dell’analogo etriste motto Calabrese:

Chi zappa mbivi aqua – Chi f... mbivi alla gutte (botte).

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V’hanno poi fra essi dei canti degni di Cipro e di Lesbo perl’estrema lascivia – per esempio: La presi per le mamme e laportai con me! – Oh! che diletto!

12 Noto però che anche fra gli antichissimi Greco Siculi leggisuntuarie citate da Filarco vietavano alle donne l’uscire di casasenza permesso dei capi dello Stato (Bonnet de Presles, Recher-ches sur l’Établ. des Greces en Sicile, 1842, p. 412.

13 Questo intisichire e degenerare della razza canina quandotrascurata dall’uomo, il quale non avendovi interesse non asse-conda l’elezione della specie e la lascia mescersi in ignobile ve-nere – non confermerebbe forse le teorie recenti del Darwin –Sulle origini delle specie?.

14 Regole igieniche contro il salasso negli Arabi. – Io credoche il grande pregiudizio in onore del salasso ci sia venuto dallungo soggiorno degli Arabi, o dei loro discepoli, gli Spagnuoli.Si legge in Anabrawi che vi erano ai suoi tempi salassatori co-sì esperti in Aleppo, che si salassavano la propria mano, pren-dendo la lancetta col pollice del piede sinistro, dal che si puòdedurre che ne doveano aver, per giungere a tanta perfezione,eseguiti di molti su altri. Ma appunto quell’Anabrawi, che viveanell’ottavo secolo dell’Egira, in una raccolta di leggi di poliziamedica in vigore fra gli Arabi del suo tempo, ci mostra di quan-ti danni avessero essi trovato causa il salasso e quante rigorosemisure si fossero prese per prevenirla.

Poniamoci una mano sul petto e confessiamo se dopo tantisistemi, dopo tanto gridare delle scuole nuove e vecchie, siamoandati di molto più in là che il buon Arabo dell’ottavo secolodell’Egira?

15 Moleschott. Phisiol. der Nahrungsmittel, ecc.16 Nelle intermittenti senza complicazione gastrica (come so-

no le più in Calabria) gli «alimenti sostanziali giovano quantoil chinino». I cibi «salati, il caviar, le aringhe, ecc., giovano pelsale che contengono». (Moleschott, id, pag. 559, id. id.).

17 Statistica del Regno d’Italia. Movimento dello stato civilenell’anno 1862, p. xvii. Firenze, 1864.

18 È curioso il notare che i paesi dove si raccolsero notiziestatistiche sono quelli soltanto ove esistono medici necroscopi-ci, come Torino, Genova, o medici comunali (o esistevano dele-gatizi) come Mantova, Pavia, Milano, Brescia, o dove gli Ospi-

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tali sono diretti da medici, come Milano, Pavia, Venezia, Bre-scia, Bergamo.

19 Già fino dal 1600 il Bahuino accenna a una malattia ana-loga alla pellagra negli indigeni d’America in seguito all’uso delmaiz ( Theatro botanico, 1639, pag. 495): «Indos si nimiumutantur hoc frumento tumidos et scabiosos reddit. Imo, inquit,pueri Guinensium eo si paulo frequentius utuntur scabie se sevindicare non possunt». Gli autori non parlano della pellagradel Messico nell’uomo, ma solo dei cavalli, emmaysados, dive-nuti paresici, spelati e tabifici in grazia all’uso degli avanzi delmaiz deteriorato. Informazioni speciali, però, del dottor Nib-bi, medico italiano del Messico, ci hanno provato che in picco-la proporzione esiste nei più poveri che usarono, nelle epochedi carestia, di maiz avariato (Archivio di psichiatria, III, III).

20 Vedi questo studio nell’Italia Agricola, Milano, 1878.21 Maffei ( Cose notevoli nel Veronese, cap. VIII, 1600)

aveva notata una debolezza negli individui che si cibavano dimaiz: nei paesi nativi, aggiunge, sarà migliore e meno facile aputrefarsi, né di così poca durata.

22 Tavola sulla composizione dei cereali (Gühring).

Acqua Sostanzaseccain tutto

Sostanzeprotei-che

Adipi Sostanzeestrat-tive inazotate

Fibralegnosa

Ossidopotas-sico esodico

Anidridefosfori-ca

Farinafru-mento

13,6 86,4 12,0 1,1 72,3 0,5 0,173 0,249

» riso 10,03 89,97 11,7 2,0 48,6 15,0 2,228 3,939

» maiz 10,0 80,0 15,2 3,8 70,5 – 0,220 0,306

.23 Si obbiettava che il male veniva dalla troppo scarsa quan-

tità del maiz stesso, ma le risultanze della mia inchiesta mostra-rono precisamente il contrario (Vedi La pellagra in Italia, di C.Lombroso, 1880).

24 La pellagra in Sissa, di C. Lombroso, 1884.25 La pellagra nelle provincie dell’Umbria. Perugia, 1880.26 Si legga la bella lettera Sulla causa della pellagra del mio

amico Marenghi. Milano, 1869. – È una pagina Rediana.

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27 Jacini – Atti della Giunta per l’inchiesta agraria. – Relazio-ne sulla decima circoscrizione, vol. I, fasc. I, Roma, 1882.

28 Indagini chimiche e fisiologiche ecc., sul maiz guasto, diLombroso e Dupré, Milano, 1873.

29 Raffreddavasi il residuo della distillazione per separarnela sostanza resinosa, si evaporava poi fino a secchezza a bagnomaria e nel vuoto. Si lavava indi con alcool rettificato, quindisi evaporava, aggiungendo tanta acqua da ottenere un liquidodenso. Quest’ultimo si trattava con etere per togliere il grasso;l’etere poi si eliminava esponendo la soluzione a 35°.

30 Questa difficoltà s’incontra anche in altre intossicazioni.Kussmaul notò che tanto il mercurio, come il piombo e l’alcoolproducono un delirium tremens affatto simile; – e che neilavoratori di mercurio e di piombo, dediti agli alcoolici, eraimpossibile sceverare i sintomi prodotti dall’alcool da quellidel metallo, tanto erano analoghi. – Mittheil. über chron.Mercurialismus. Würzburg, 1853.

31 Lo sgranatoio di Caroly sgrana da 3 a 5 ettolitri di maiz perora e costa da 60 a 120 franchi.

32 I 24 curculj in una stagione sufficientemente calda proli-ferano 75 000 individui, ogni individuo divora tre grani, cosic-ché 24 soli curculj consumano 9 chilogrammi su 75, il 12%: pois’aggiunga la perdita per la bollitura, poi si aggiunga quella perl’ammuffimento, e quella pei sorci e altri animali granivori, equella pei furti domestici.

33 Dialoghi popolari sulla pellagra. Pavia, 1870. –1871-72-74-75-76. Torino.

34 Nelle Provincie, le cifre dei suicidi per pellagra, comparateai rendimenti in maiz dei terreni, diedero a

Udine 26 ove 10,2 Etti p. % sona maiz

Forlì 24 » 17,0 »

Vicenza 20 » 13,5 »

Brescia 18 » 7,4 »

Bologna 17 » 9,6 »

Pavia 16 » 9,2 »

Treviso 16 » 22,1 »

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Cesare Lombroso - Genio e follia

Padova 16 » 18,5 »

Pesaro 13 » 10,8 »

Milano 13 » 19,1 »

Piacenza 13 » 8,1 »

Modena 13 » 12,1 »

Mantova 11 » 10,8 »

Sondrio 0 » 1,4 »

La cifra media a

Verona 8 ove 3,7 Etti p. % sona maiz

Parma 7 » 9,3 »

Bergamo 7 » 9,8 »

Belluno 6 » 3,5 »

Cremona 6 » 10,3 »

Como 6 » 5 »

Rovigo 5 » 17,1 »

Ravenna 4 » 17,8 »

Reggio E. 4 » 9,2 »

Arezzo 3 » 5,0 »

La minima a Cuneo 2 con 4 ett., a Torino 1 con 3 ett., aPerugia 1 con 8,8 ett.

35 Ballardini, Della pellagra e del grano turco come causa diquella malattia. Milano, 1847.

36 Morelli, La pellagra nei suoi rapporti medici e sociali. Fi-renze, 1855 –Lussana, Su la pellagra. 1856.

37 Roussel, Traité de la pellagre. Milano, 1856. – Calmarza,Memorie sopra la pellagra. Madrid, 1870. – Pretenderis Typal-dos, Essai sur la pellagre, observée à Corfou. Athènes, 1868.

38 Ecco l’ultime analisi del maiz del Koenig ( Zusamm derVerdaulichkeit, 1874, Berlin):

Azotati 9,94, grassi 5,56, sostanze estrattive 65,4, ceneri 2,4,dei quali la digeribilità è calcolata per azotati 84,0, grassi 86,0,sostanze estrattive 93,0 per %.

Per quelli che dicono infesto il cibo del contadino per la suatroppo poca quantità e non per la qualità, gioverà conoscere colPavesi ( Ricerche sull’alimentazione dei contadini nella Provincia

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Cesare Lombroso - Genio e follia

di Milano), che nella bassa Lombardia in un paese infestissimoda pellagra un contadino mangia in media ogni giorno

in riso od in maiz perminestra

grammi 1332

in maiz (in pani) » 1350

in fagiuoli » 232

in grasso » 332

in erbaggi » 133 ossia

in materie amilacee » 992

ed in materia proteicacirca.

» 180

Nel libro classico del Jacini ( La proprietà fondiaria, ecc.,pag. 300) sta scritto come i famigli ivi pure ricevono 2 libbredi maiz nei giorni più lunghi, 1 1/2 nei più corti; 2 a 3 mezze dilatte, 2 minestre di riso, più salciccia alla domenica; i garzoni ocavallanti ricevono un vitto simile, tranne il latte.

39 C. Lombroso, Studi clinici ed esperimentali sulla natura,causa e terapia della pellagra, Milano, 1871. – Idem. Bologna,1872. Tip. Fava, 2ª ed. con tavola.

40 Neutra: dà precipitato fioccoso col iodio iodurato; giallocol biclor. platino; precipitato dall’ioduro di calcio e potassio(Dupré e Lombroso, op. cit.

41 Biffi, Relazione della Commissione nominata dal R. IstitutoLombardo per esaminare e riferire intorno agli esperimenti delprof. Lombroso. 1875.

42 Lombroso, I veleni del maiz e la loro applicazione all’igienee terapia. Bologna, 1878.

43 Lombroso, ecc., Sulla condizione dei contadini dell’Alta eMedia Italia. Milano, 1876.

44 Lombroso, I veleni del maiz guasto, ecc. 1878, pag. 118.45 Vedi nota a pag. 59.46 Nell’intervallo che intercesse tra l’invio e la pubblicazione

di questa nota parecchie provincie presero analoghe iniziative,Milano, Treviso, Lucca, Udine, Vicenza. Or ora il ministero diagricoltura, come il telegrafo annuncia, propone una legge cheproibirebbe ai mugnai la macinazione delle meliche guaste –misura che se si trova modo di rendere pratica troncherebbe

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Cesare Lombroso - Genio e follia

veramente il male alla radice – e renderebbe proprio inutiliqueste righe e questi lagni (24 ottobre 1882).

47 Ad un pellagrologo, ormai provetto, il dottor Alpago-Novello che reclamò analogamente per grosse quantità di meli-che guaste in vendita a Cison, il preferto rispose: «Non poter-si impedire gli smerci che si fanno nell’interno delle botteghe».Or or ricevo, dal dottor Anselmi di Melara, lagni per uno spe-culatore che impunemente fa incetto delle meliche guaste dal-l’inondazioni per rivenderle mescolate colle sane. E nell’ItaliaAgricola un ing. Torelli si lagna perché io suggerisco misure cheledono la libertà dei commerci e mentre infine i contadini sonpadroni di mangiarselo quel cinquantino guasto che lor si dà,se a lor piace!!

48 Vedi però la nota precedente che dopo le notizie telegra-fiche confermatemi privatamente, devo aggiungere a questi ilnome dell’on. ministro dell’agricoltura.

49 Quanto alla statura è evidente che quella dei dementi edegli idioti è minore assai della media normale, e fino ad unceno punto anche dei maniaci. Tuttavia non rare volte cioccorse vedere maniaci e in ispecie malati di paralisi generale,d’alta statura. La annessa tabella craniometrica fornisce delresto dei dati su questo rapporto.

50 Legge 34, 49, Giorgio III, cap. IV: «Chi commise omici-dio, alto tradimento, dev’essere tenuto in sicura custodia, fin-ché piaccia a S. M.».

51 23, 24 Vict. Cap. 75. Art, To make better provision for thecustody and cure of criminal lunatics. – Il segretario di Stato puòmandare in questi asili: 1. I pazzi criminali nel senso della leggedi Giorgio III; 2. i carcerati impazziti, incapaci di sottostare perimbecillità o idiozia alle discipline carcerarie.

«Un alienato che commetta un delitto è un ammalato enon un reo, e deve esservi ritenuto finché dia guarentigia diguarigione». Legge di Scozia, Vict., cap. 60.

52 Il clima caldo in Italia dovrebbe, aiutato dalla pellagra,aumentare più che diminuire la cifra degli alienati: quantopoi la legge di proporzionalità si verifichi in Italia anche peipazzi criminali, lo dimostra il fatto della scarsezza delle donnecriminali, appunto come in Inghilterra, e la frequenza degliomicidi.

53 In omaggio all’art. 823 Cod. Procedura Penale.

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Cesare Lombroso - Genio e follia

54 Uno, D..., ebbe il padre e lo zio morti di demenza; impazzìnei primi giorni della prigionia. Altro, P..., era stato due volteal manicomio quando fu imprigionato. Uno era già stato follee recidivò alla notizia del figlio morto in quei tumulti. Tuttimostrarono la forma dello stupore, ed ebbero, meno uno mortodopo violenta atrofia, un decorso mite. (Alcuni fatti di pazziasusseguiti ai disordini del macinato. Zani, 1870. Bologna.

55 Vi è, come vedremo, nell’articolo 95 del codice penale unadisposizione che comminerebbe, in simili casi, la custodia finoa venti anni. Ma essa è sempre riguardata come una pena, ed’altronde, mancando gli stabilimenti adattati, non viene maiapplicata, almeno pei maggiorenni, ch’io sappia, nell’alta Italia.

56 Bishop, Commentary to criminal law, 1864. Lemaire: cra-nio asimmetrico; regione frontale piccolissima; suture suggella-te e ossificate a 18 anni; pia madre aderente, che non si distac-ca senza strappo di sostanza cerebrale; cervello 1183 grammi inpeso! – Benoist, parricida, ladro ed omicida, presentò: fron-te sfuggente; dura madre ispessita ed aderente al parietale d.:segno di pregressa meningite.

Dumonture, Observations sur l’etat pathologique du crâne,1833.

57 Zeits. F. Psychiatrie, 1871. Berlin. Specialasyle f. Verbre-cher Irre.

58 Nel 1868 se n’erano licenziati da Broadmoor 59, nel 68 ben64.

59

Vedendosi egli in quel modo legarePer lunatico e pazzo pienamente,

Berni – Orlando Innamorato.60 Lombroso. Sulle trasfusioni comparate agli innesti, ecc..

Napoli 1876.61 In molti delinquenti, specie di montagna, scrive Benedikt

(Vie Naturgesch. der Verbrechen, 1875), si ha un ritorno all’e-poca nomade dell’umanità, per cui non possono trovare posa alungo in siti chiusi donde originansi molti ladri di bosco, gras-satori, vagabondi.

62 Dal passo: Vedete gli uccelli del cielo, essi non seminanoné mietono e Dio li nutre. – E per meglio assomigliare agli

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Cesare Lombroso - Genio e follia

uccelli si lasciano crescere la barba (Helyot, Hist. des Ordresrel., 1774. Santo Agostino, De Op. Monach., 273.

63 Cognetti de Martiis, Le forme primitive dell’evoluzioneeconomica, Torino, E. Loescher, 1881. – Carle, La vita nelDiritto, Roma, 1882. – Chironi, Sociologia e Diritto civile,1886. – Nani, Vecchi e nuovi problemi del Diritto, Discorsoinaugurale, Torino 1886.

64 Golgi C., Sulla fina anatomia degli organi centrali del siste-ma nervoso, nella «Riv. sperim. Di freniatria», Reggio Emilia,1883-86 (estratto con atlante).

65 Lombroso C., La medicina legale delle alienazioni mentali,1867, – Id., Klinische Beiträge zur Psichiatrie, trad. dal Fraenc-kel, Leipzig, 1871. – Tamburini, Del concetto odierno della fisio-logia normale e patologica della mente, prolusione, nello «Speri-mentale», 1877. – Morselli, Introduzione alle lezioni di Psicolo-gia patologica e di clinica psichiatrica, Torino, 1881. – Id., La Pa-tologia mentale; il suo presente e il suo avvenire, Conferenza alCongresso medico, Pavia, 1887.

66

Quod petiere, premunt arcte, faciuntque doloremCorporis, et denteis inlidunt saepe labellis,Osculaque affligunt, quia non est pura voluptas:Et stimuli subsunt, qui instigant laedere id ipsum,Quodcunque est, rabies unde illae germina turgent.

De Rer. Nat. Lib. IV.67 Come rilevava il curante primario dott. Stolti, che cortese-

mente mi spediva un accurato studio, di cui largamente appro-fitto.

68

Circonferenza cranica mill. 520

Curva longit. » 372

Curva biauric. mill. 290

Lunghezza del frontale mill. 110

Lunghezza del parietale mill. 126

D. longitudinale mill. 190

D. bitemporale mill. 138

D. verticale mill. 137

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Cesare Lombroso - Genio e follia

D. biparietale mill. 123

D. mastoideo mill. 122

D. bizigmatico mill. 112

D. frontale mill. 96

Indice cefalico mill. 72,8

Indice verticale mill. 72

Angolo facciale mill. 70

Peso (cranio emandibola)

gr. 84

Peso (senza mandibola) gr. 765

Capacità orbitale cc. 68

Capacità cranica cc. 1450

69 Trovo nel Nicolucci le seguenti capacità craniche dell’isoladei Liri: 1258, 1260, 1298, 1333, 1389, 1468, 1563, 1570, 1720.Su nove 4 superavano quella del Gasparone e 3 di molto, ma 6le erano di molto inferiori.

70 Una miniera di documenti interessantissimi su lui e sulbrigantaggio ho trovato in un’opera, fattasi ora rarissima, diun ufficiale francese, che ridusse le memorie di un addetto allabanda di Gasparone, Masi, Mémoires de Gasparone rédigés parP. Masi, son campagnon dans la montagne et dans la prison,Paris, 1867, Dentu. Codesto strano brigante-filosofo consacrògli ozii di 40 anni di carcere allo studio e alla redazione di questememorie, che tentava vendere ai visitatori, scritte in un cattivofrancese. Lo stile è barbaro, oscuro, ma pieno di ingenuaverità, perché, nato nel centro del brigantaggio, testimonio odattore dei drammi di cui parla, rinchiuso, com’egli dice, in uninferno terrestre, non aveva interesse a celare il vero. L’ufficialedel resto poté controllarlo coi discorsi dei singoli masnadieri.Studiò esso il Masi, che aveva perduto l’aria brigantesca, parevaun notaio andato a male, cogli occhi languidi ma intelligenti,l’aria triste e calma, i modi gravi. Non volle confessare le causeche lo condussero ai delitti; del resto il suo scarso senso moralesi vede da questo passo: «Non si respinga questa, perché è unastoria di delitti; tutte le storie umane non sono che storie dicrimini peggiori di quelli dei briganti, tanto più che gli autorine erano spesso uomini destinati a comandare ed a servir dimodello ai loro simili. E la Bibbia non è piena di delitti? Iodico poi la verità, benché abbia imparato che la verità è la cosa

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Cesare Lombroso - Genio e follia

che più ferisce e meno si perdona, come lo provano gli esigli edi dolori dei tanti che le furono d’oracolo».

Gli opuscoli Delitti di sangue di A. Gasparone, Firenze,1878, e Antonio Gasparone, ecc., Milano, 1881, ecc., non sonoche sunti di questa opera curiosissima, che devo alla cortesiadell’egregio prof. Colasanti.

71 Diamo questa canzone come esempio della leggenda poeti-ca che circonda i masnadieri e forma il sustrato della letteraturapopolare criminale.

72 Mémoires de Gasparone, Parigi, 1867.73 Lombroso, Uomo delinquente, 5ª ediz., 1896, vol. I, pag.

191; Mondio, Cervelli di delinquenti (Arch. di Psich., VI, 1896);Mingazzini, Il cervello in relazione ai fenomeni psichici, Torino,Bocca, 1895.

74 Dottor Roncoroni, La fine morfologia del cervello degliepilettici e dei delinquenti (Arch. di Psich., I, 1896); Lombroso,op. cit., vol. III, pag. 638.

75 Bianchi, Ferrero, Sighele, Mondo criminale, Italia (primaserie), 1894. Lombroso, Uomo delinquente, vol. III, parte I,1897.

76 Pare che poscia chiedesse, strana richiesta per anarchico,di divenir guardia carceraria e s’irritasse del rifiuto (Vedi A.Gautier, Le Procès Luccheni. – Wien, 1899).

77 Vedi mio Delitto politico, parte III, e Gli Anarchici, 2ªedizione.

78 Vedi mio Delitto politico, 1890.79 Alle accuse mossemi dall’ill. Gautier (Le Procès Lucchini,

1899) di aver formulato diagnosi senza veder il malato e quin-di inesatta, e di aver descritto caratteri degenerativi che manca-vano, rispondo colle pagine dell’ill. Forel, l’alienista certo piùeminente dei nostri tempi, che lo seguì de visu durante il pro-cesso tutto e la cui diagnosi poco differisce dalla mia.

80 V. Congrès d’Anthropol. Criminelle – Amsterdam, 1902,pag. 215.

81 Uomo delinquente, vol. II, da pag. 70 a 201 e 565.82 Giovanni Raffo, Gazzetta di Messina, 23 novembre 1901.

La conoscenza dell’epilessia, apoplessia, ecc., dei parenti diMusolino mi viene da comunicazioni del dott. Romeo e del-

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l’avv. Raffo, e così quella sull’epilessia di Musolino stesso, sulquale ebbi però anche notizia dal prof. Venturi prima dell’ar-resto. Essendo fatti che io non ho potuto constatare, ne lascioloro l’assoluta responsabilità.

83 Giornale dei dibattimenti, Catanzaro, novembre 1901.84 Vedi Uomo delinquente, vol. I, pagg. 33, 69, 77.85 L’importanza grande di questa osservazione viene dalla

scoperta fatta nella mia Clinica dai dottori Modica ed Audeninoche negli animali, cui si asporta il lobo frontale, scompaionoimprovvisamente i fosfati terrosi, i quali si trovarono diminuitinotevolmente in 10 su 11 criminali-nati adulti esaminati, solonon avverandosi il fatto in 3 bambini criminali (Archivio dipsichiatria, scienze penali ed antropologia criminale, vol. XXII,pag. 398).

86 Vedi C. Lombroso, L’uomo delinquente, 5ª ediz., vol. I.87 Vedi Lombroso, Gli anarchici, 2ª ediz. Torino, Bocca,

1896.88 Idem, Nuovi studi sul genio, vol. I. Palermo, Sandron,

1902.89 Vedi Lombroso, Il delitto politico e le rivoluzioni, vol. II.90 Vedi Lombroso, Il delitto politico e le rivoluzioni, vol. II.91 Lucchini, Diagnosi dolorosa (Rivista penale, settembre

1900). Egli vi deplora le amministrazioni inquinate; l’esorbitan-za e il carattere vessatorio delle pubbliche gravezze; il mal go-verno della giustizia, tarda e impotente; l’opinione generalmen-te invalsa che tutto ormai proceda a base d’imbroglio e d’intri-go; il sapere che i tanti milioni spesi, e che si continuano a spen-dere, nell’esercito e nella marina da guerra non ci dànno alcunaffidamento né sull’uno, né sull’altra; gli ultimi fasti guerreschiingloriosi; le alleanze antinazionali e produttive di soli sacrifizi;gli emigrati per fame.

Il Lucchini vi mostra la facile genesi dell’anarchismo fra co-desti reietti della patria. Il fenomeno della propaganda sovver-siva, come quello della criminalità comunale è «il frutto di unimprovvido sistema di governo». I moti di Sicilia e della Luni-giana e l’assassinio di Carnot hanno tenuto dietro alle bruttu-re della Banca Romana. Adua è stata seguìta dall’attentato diAcciarito, dall’assassinio di Canovas, dai disordini del 1898 edall’assassinio dell’imperatrice Elisabetta. E ora siamo usciti da

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un anno «di vicende politiche e parlamentari, che la storia ci-vile dell’Italia registrerà con profonda tristezza, e in cui la notadominante fu il disconoscimento di ogni norma e principio le-gale e costituzionale». Ond’ei si chiede «come non avvenga dipeggio».

92 Vedi Rapporto del prof. C. Platner inserito nel numerodello agosto 1855 nell’Appendice Psichiatrica, compilata dall’il-lus. Cav. dottor Verga. Milano, tip. di G. Chiusi.

93 Vedi le sottilissime confutazioni del prof. cav. Bonacossa– Saggi sul Manicomio di Torino, 1832.

94 Devo pure rendere grazie ai professori Balsamo Crivellie L. Maggi per gli ajuti e consigli portimi, mettendo a miadisposizione parecchi crani di lemurini e di bimani.

95 «Nei lemurini la fossa occipitale mediana è, proporziona-tamente, più sviluppata della laterale» (Blainville, Ostéographie,fasc. III). Nei macachi, nei papioni, negli ovistiti il culmine delcervelletto è elevato, i suoi grandi lobi sono più piccoli dell’u-mano; viceversa, il vermis mediano e i vermes laterali hannoproporzioni che non hanno paragone coll’uomo; nell’ovistiti inispecie, i vermes toccano l’apice dello sviluppo (Gratiolet, p.251).

96 Vedi Cap. I, II, pag. 6 a 42.97

«Osculaque affigunt, quia non est pura voluptas:Et stimuli subsunt, qui instigant lædere id ipsum,Quodcunque est, rabies unde illæ germina surgent».

De Rer. Nat. Lib. IV, verso 1070.98 Gualda r’ povro reo, ecc. Cosa ha fatto? ecc. Eh! Cuasi

nulla – Ha strozzato ’r suo padrone( Cento sonetti. Neri Tanfucio. Firenze, 1873, pag. 39).99 Vedi Appendice II.100 Maury, Mouvement moral de la société, Paris, 1860.101 G. Ruf, Die Criminal Justiz, Ihre Wiedersprüche und die

Zukunften, Innsbruk, 1870.102 Les forçats, par Lauvergne. Paris, 1841.103 Un recente studio su 53 stupratori eseguito or ora mi dà

per risultato 22 con tipo criminale completo (43%); 8 con tipoincompleto e 6 con tipo cretinoso; 3 femminei; 7 con mandibole

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voluminose; 14 con assimetria facciale; 5 con naso torto; 6 conmicrocefalia.

104 Un recente studio su 53 stupratori eseguito or ora mi dàper risultato 22 con tipo criminale completo (43%); 8 con tipoincompleto e 6 con tipo cretinoso; 3 femminei; 7 con mandibolevoluminose; 14 con assimetria facciale; 5 con naso torto; 6 conmicrocefalia.

105 Fregier, Des classes dangereuses, 1841, p. 111. Nel gergotedesco essere impiccato: Heimgangen, tornare a casa sua.– In italiano: far la grinta, squinzare, mandar a Foligno, aCasalbuttano, ecc. – In francese: Juge de paix, il boia; vedova,veuve, la ghigliottina; raccourcir, ghigliottinare.

106 Osso dell’Incas e fossetta occipitale mediana che si trova-no più negli Americani e quasi mai nei Negri; l’apofisi tempora-le del frontale più nei Negri, e quasi mai negli Americani (Ved.pure Revue scientiphique, 1883). Noi trovammo spesso nei sa-ni e nei rei mancinismo motorio senza mancinismo sensorio eviceversa.

107 «L’ernia inguinale, scrive Féré, che è un’infermità nell’a-dulto, in alcuni fanciulli si manifesta colla preesistenza di uncanale permeabile che, specialmente nella scimia quadrumane,sussiste normalmente nello stato adulto» (Vedi Rev. Philos.,1887).

108 Si legga: Magnan, Annales Médico-Psicholog., 1886; Lom-broso, Tre Tribuni, pag. 3 a 9, 16 a 23, 148 a 150.

109 I caratteri dei delinquenti. Torino, Bocca, 1886.110 Gall et Spurzheim, Des dispositions innées de l’âme et de

l’esprit. – Paris, 1811.111 Quanto al misoneismo vedi i miei Tre Tribuni, 1887.112 Posso aggiungere fra i forti ingegni nati da genitori vecchi:

Rochefort, il matematico Siacci, il Bizzozzero, e il fondatore delcristianesimo.

113 Ireland, Herrschermacht und Geistesskrankheit, 1887 –Jacoby, Etudes sur la sélection dans ses rapports avec l’héréditéchez l’homme Paris, 1884.

114 Di T. Gauthier, p. es., narrano i Goncoun, che spesso di-chiarava non potere persuadersi d’esser veramente padre dellesue figlie, perché era giovane ( Journal des Goncourt, 1888).

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115 Ho potuto esaminare a Siena questi tatuati, 11 sopra 500:di essi 6 provenivano dalle carceri dove si erano praticati i pri-mi disegni (arma del Granduca, data del 1856, croci, viva Ga-ribaldi, àncora). Dentro il manicomio questi ultimi ripeteronoi tatuaggi con polvere di mattone, che però riuscirono confu-si e quasi indecifrabili, ed indussero altri alienati comuni a farsidi nuovo tatuare; ma i disegni riuscirono confusi, in alcuni nonattecchirono.

116 In questo capitolo ho seguito fedelmente e riassunto lestupende pagine degli Studî critici di Ascoli sui gerghi, 1861; edel nostro Biondelli; Morçau-Cristophe, Le monde de Coquines,1870; Studî sulla lingua furbesca, 1846; il Pott, Zigeuner, Halle,1844, e i Rotwelsche Studien di Avé-Lallemant, 1858. Di mionon ho potuto fare che alcuni rapidi studî sui gerghi delleCalabrie e del Lago Maggiore, e sui gerghi nostri antichi, sparsinel Trattato dei Bianti, Italia, tipi del Didot, 1828; consideraiancora i gerghi di Sicilia, accennati dal Pitrè, nei Canti siculi.

117 Il ladro della valle. – Il giardiniere sanguinoso. – Addiodei trasportati. – La morte di Puke. – Quando men vo girandola notte, ecc.

118 L’individuo a cui la comunicazione era diretta, è stato in-fatti assolto dal Tribunale correzionale dall’accusa di omicidioin rissa nel mese di aprile 1886.

119 Forse al momento di andare al passeggio.120 L’avvertimento grave è mascherato da uno scherzo di

lettere; infatti ogni parola contiene la lettera p.121 L’avviso era diretto a Strigelli, la cui risposta è illeggibile.122 Che fosse questa una risposta dello stesso?123 Vedi L’Amore nei Pazzi di Lombroso. Torino, 1881.124 Diagnosi psichiatrico-legali studiate col metodo esperimen-

tale di C. Lombroso. Milano 1869.125 Vedi Klinische Beiträge zur Psychiatrie del dott. prof.

Lombroso. Leipzig, 1869, O. Wigand, p. 12, 18, 80.126 Vedi Archivio di psichiatria e scienze penali. Torino, 1880,

anno l, fasc. I e II.127 Kant, Eulero, Leibnitz, Newton, Vico furono dementi

nella loro ultima vecchiaja, come pure parecchi altri moderni– ma dalla demenza alla pazzia è la distanza che è dalla paralisi

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alla corea. – E la demenza è pure una delle tristi crisi dellavecchiezza.

128 Guglielmo Ferrero, Violenti e frodolenti in Romagna, nelvolume già citato: Il mondo criminale italiano. Milano, 1894.

129 Azione degli astri e delle meteore sulla mente umana. Me-moria premiata dal R. Istituto Lombardo. Milano, 1869. – Os-servazioni meteorologico-psichiatriche. Bologna, 1871.

130 Vedi Pensiero e meteore, di C. Lombroso, 1872. – Archi-vio di psichiatria e antropologia criminale, Torino, 1880, pag.157, 2º fasc..

131 Vedi Pensiero e meteore, op. c., p. 145 a 163.132 Pensiero e meteore di C. Lombroso («Bibl. int. scientif.»),

Milano, 1878.133 Assassinio e pena di morte, Berlino 1895.134 «Sono sobrii, pazienti, perseveranti; sentono l’amicizia;

hanno l’istinto di pervenire per vie coperte e taciturne alloscopo; ospitali e rapaci; superstiziosi nelle classi basse, edaltieri nelle alte. La parola malandrino perde, in Sicilia, il suosignificato: si dice, sono malandrino, come per dire: io hosangue nelle vene. Denunciare un omicidio è mancare al codicedell’omertà». (La Sicilia, ecc., Firenze, 1871).

135 Nella Terre Zola mostra come tutte le popolazioni agricolesiano monarchiche: «Ils étaient pour le bon ordre, le maiteindes choses, l’obéissence aux autorités qui assuraient la vente»,pag. 156.

136 Barce, The dang. class of New-York, 1871.137 Dal bellissimo studio di Bosco nell’ Omicidio negli Stati

Uniti (Rivista Penale, dic, 1895).138 Ferrero nella Riforma Sociale, 1895.139 Broca. Bulletin de la Société d’Anthropol. 1869.140 Studi statistico-igienici sull’Italia, di C. Lombroso. Bolo-

gna 1867. – Nei catolici di Verona si calcola il legitimo su 5 le-gitimi, negli Ebrei appena 1 su 100: perciò la mortalità dei bam-bini ebrei è minore, cioè di 30 per 100; mentre nei catolici lo èdel 60. Invece gli adulti ebrei hanno la mortalità del 65 per 100,ed i catolici solo del 39 per 100.

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141 I Semiti, dice Renan, mancano di curiosità. Dio è grande,è tutta la loro spiegazione. In tutto vedendo essi l’azione infles-sibile dell’Ente supremo, la scienza loro finisce al proverbio ealla lirica, come in Grecia all’epoca dei sette savj. ( Histoire desLangues Sémitiques 1855. I. Paris).

Quanto all’inerzia ed apatia dei Semiti basta ricordate colDespine, che «gli Arabi in Africa lasciarono minate le moltecostruzioni idrauliche dei Romani, che l’aveano fertilizzata. Intempo di carestia, l’Arabo si lascerà morire di fame, ma nonraddoppierà il lavoro, ne cercherà supplire con nuovi raccoltial perduto. Amano l’oro, ma per avarizia, non per goderne ivantaggi, e lo sepeliscono in terra. Napoleone, Monge, in Egit-to, cercarono colpire gli Arabi colla mostra di grandi esperien-ze, di fisica e di mecanica; ma l’elettrico, che scoteva i cada-veri, non li colpiva, e nemmeno l’areostata che fendeva l’aria»(Despine, Psychologie naturelle 1868. Paris).

142 Nel 1861 la popolazione analfabeta in Italia era di 645 su1000 cattolici e 58 su 1000 ebrei.

Nel 1867-68 su 100 stud. catt. delle scuole tecniche promossi 67 su 100

» ebrei » » 78 »

» catt. dei licei » 54 »

» ebrei » » 96 »

» catt. dei ginnasii » 53 »

» ebrei » » 100 »

143 Histoire des Bohémiens. Paris, 1837. – Predari, SugliZingari. Milano, 1871. – Pott. Zigeuner. Halle, 1844. Vidocq,Op. cit. id., p. 330.

144 Il verbo dovere non esiste in lingua tzigana. Il verboavere (terava) è quasi dimenticato dagli Zingari europei ed èsconosciuto agli Zingari d’Asia.

145 V. Lombroso, Atavism and Evolution in ContemporaryReview, 1895, July.

146 Bosco. L’omicidio negli Stati Uniti, Roma, 1895.147 La Delinquenza in Sardegna, Palermo, 1897.148 Picard. Synthèse de l’antisémitisme. Bruxelles, 1890.149 La posizione antropologica degli Ebrei, Berlin, 1892.

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150 Vedi la dimostrazione nel mio Delitto politico e rivoluzio-ne. Parte II, 1889.

151 «Tutta una letteratura, diceva egli, nacque dal mio Insettoe dal mio Uccello. – L’amore e la donna restano e resterannocome che hanno due basi, la scientifica (!!), la natura stessa – ela morale, il cuore de’ cittadini...

Definii la storia una risurrezione. – È il titolo più adatto pelmio 4° volume e...

Nel 1870 nell’universal silenzio io solo parlai. Il mio libro,fatto in 40 dì, fu la sola difesa della patria...».

152 Vi studia come documento il giornale delle digestioni diLuigi XIV, ne divide il regno nell’epoca prima e dopo la fistola– di Francesco I – prima e dopo l’ascesso! Vi son conclusionidi questa posta:

«Di tutta l’antica monarchia di Francia non resta alla Fran-cia che un nome, Enrico IV e due canzoni Gabriella e Marlbo-rough».

153 Vedi lo scritto di Nocito e Lombroso su Davide Lazzarettinell’Arch. di Psichiatria, 1881, vol. I, fasc. I, II. – Verga,Lazzaretti e la pazzia sensoria, 1880, Milano. – Caravaggio,Inchiesta e Relazione su Arcidosso, 1878. Gazz. Uff., 10 ottobre,N. 321.

154 Nocito e Lombroso. Davide Lazzaretti (Archivio di Psi-chiatria, 1880, II, Torino). – Si vedranno ivi le cause che in-dussero in errore i periti, errore che il paese espiò con ingentispese, e, quel che è peggio, con parecchie vittime umane.

155 Studi su Passanante. Napoli, Detken, 1879.156 Esquirol raccontò di una pazza che gli diceva: «Io non ho

il coraggio di uccidermi: e per morire bisognerà che ammazziqualcuno», e attentò alla vita della figlia.

157 Balfour-Brown nel suo lavoro sulla pazzia morale così siesprime: «Una pazzia morale, un’affezione psichica, i cui pre-cipui sintomi consistano in parole ed atti delittuosi non esiste;dovrebbe lasciarsi da parte questa denominazione malauguratae sostituirvi che l’individuo relativo soffre, p. es., di debolezzapsichica, ovvero di disposizione melanconica con ansia e deli-rio di persecuzione che lo costringono ad azioni delittuose». –Knap nega l’esistenza della pazzia morale, come specie morbo-sa a se, e la riguarda invece come un complesso sintomatico chesi verifica talora nello stadio prodromico delle psicosi. Gli al-

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tri individui che presentano simile complesso sintomatico, diceKnap, sono per lo più delinquenti.

È giusta l’obbiezione di Bonfigli che il termine di pazziasuppone sempre un morbo acquisito, mentre la pazzia moraleè quasi sempre congenita. Meglio quindi sarebbe denominarlaidiozia, imbecillità morale, con cui, come col cretinismo, essaha tante analogie fisiche, p. es. viziature della base cranica,mandibole ed orecchie sproporzionate, scarsa barba. Ma è peròsempre questione di parole: e delle parole è despota, spessocieca, l’usanza.

158 Tarde, con una lealtà che ahi! è poco comune fra noi,conviene che questa scoperta risponde completamente all’ob-biezione (Revue Philosopbihue, n. 9).

159 Per maggior chiarezza riassumo in queste linee le idee:

Epilettoidi

1° grado – Epilessia larvata. 1. Rei per passione.

2° » – Epilessia cronica. 2. Rei d’occasione.

3° » – Pazzo morale.

4° » – Criminale nato.

160 Vedi Genio e follia, IV ediz. – Torino, Bocca, 1884.161 Vedine le prove nel mio Homme de Génie. Paris, Alcan,

1889.162 Sulla natura morbosa del delitto, 1872.163 Revue des Deux Mondes, 1886.164 Vedi Uomo di genio, Parte IV.165 Vedi Uomo delinquente, pag. 281 a 285.166 R. Garofalo, Riparazione alle vittime del delitto, Torino,

Bocca, 1882. – Id., Criminologie, Paris, 1888.167 Plinio, Panegir., 42.168 Vedi Studi sull’ipnotismo, di C. Lombroso, 3ª ed., 1887,

e Nuovi studi sull’ipnotismo e la credulità, di C. Lombroso edOttolellghi, Torino, 1889.

169 Rodolfo Laschi, La delinquenza bancaria. Torino, Bocca,1899.

170 Rodolfo Laschi, La delinquenza bancaria. Torino, Bocca,1899.

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171 Maret, La Justice en France. 1826-1880. Paris, 1882.172 R. Laschi, op. cit.173 R. Laschi, op. cit.174 Vedi ora il Sergi, Le degenerazioni umane, Milano, 1889.

«Ogni segno (scrive, pag. 27) degenerativo è segno od indiziodi degenerazione funzionale».

175 Zur Psychologie der Frau, in Zeitschrift für Volkerpsycholo-gie und Sprachswissenschaft. 1890, XX, 1.

176 Sagnol, L’égalité des sexes. – Paris, 1880.177 V. Delitto politico, parte III.178 Arch. di psich., XIV, 1, 1893.179 Morselli, Lezioni di antropologia, in corso di pubblicazio-

ne, pag. 220.180 Già Leroy, nel 1700 aveva scritto: «Dopo esser vissuto

a lungo colle bestie, mi accorsi che la morale del lupo potevaschiarire quella dell’uomo». (Notizia comunicatami dall’on.prof. Lacassagne).

181 Darwin, Insectivorous plants, 1880. – D. O. Drude, DieInsektenfressenders Pflanzen, nell’Handbuch der Botanik herau-sgegeben, von Prof. Schenk, Breslau, 1881. – F. Cohn, Beiträ-ge zur Biologie der Pflanzen, Bd. II, Heft. I. – Rees und Will,Botanische Zeitung, 1875.

182 È noto che i cani abbaiano a tutti i forestieri. Lessonanota una sola volta un cane che li festeggiava, ma era un cane dialbergo montano, cui la venuta loro prometteva un lauto pasco.Ed ecco l’origine di alcune riforme e di molti riformatori.

183 Vedi Vignoli T., Della legge fondamentale dell’intelligenzanel regno animale.

184 Lombroso, Tre Tribuni. – Torino, Bocca, 1887.185 Psychologie de l’enfant, II ed., 1882.186 Dr Frank, Ueber die Pilzsymbiose der Leguminosen. Ber-

lin, 1890.187 Uomo di genio, 5ª ed., Torino, 1895.188 Sacchetti, nelle sue novelle, narra di ridicole cause di

sedizioni in Toscana; nel 1354 ve ne fu per poco una perché un

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asino appartenente agli Albizzi urtò uno dei Ricci che bastonòl’asinaio, d’onde s’ebbero litigi fra le due famiglie.

189 «L’unique marque des hommes de génie est l’originalité;ils créent mieux, plus, et surtout autrement que le commun deshommes» (Richet, Prefazione al mio Homme de génie, 1889).

«Ce qui distingue les grands génies c’est la généralisation etla création» (Flaubert, op. cit.).

190 C. Lombroso, Palimsesti del carcere. – Torino, 1890.191 Vedi Homme criminel, vol. I. – Uomo delinquente, vol. II,

parte I.192 Vedi Actes du Congrès d’anthropologie criminelle. – Rome,

1887.193 Revue Bleu, dicembre 1893.194 The Monist, ecc., july, 1891.195 Trattato clinico della pellagra, Bocca, 1894 – Studi clinici

ed esperimentali sulla pellagra, 1872. – La pellagra ed il mais inItalia, 1869.

196 Messedaglia espresse queste idee nelle parole: che i grandicentri col maggior numero di contatti aumentano gli attriti. –Nella Quarterly Review citata si legge: Tutto ciò che attira lafolla nelle vie di Londra, incendi, passaggi di truppe ecc., fascaturire in un baleno centinaja di ladri; li trovate ai meeting,alle Assise, alle prediche.

197 In Inghilterra i distretti manufatturieri dànno:

6,6 per cento di rei di 15 anni.

24 » » 15 a 20 anni

I distretti agricoli

4,8 per cento di rei di 15 anni.

21 » » 15 a 20 anni

(Mayhew).198 Lombroso, Genio e follia, cap. X, 4ª edizione, e Pazzi ed

anomali, cap. XII.199 Ernesto Rénan, Gli Apostoli. – Milano, 1866.200 Aubry, La contagion du meurtre, 1888.201 Lombroso, L’uomo delinquente, cap. XIV, 2ª edizione.

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202 Lombroso e Laschi, Il delitto politico, 1890, Torino.203 Vedi Sighele, La Foule Criminelle, 1893, 2e édit., e vedi

vol. III, Uomo Delinquente.

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