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1 ‹ Liberi da Catene › Associazione Culturale “K.A.N.T. Kultura-Ambiente-Natura-Territorio” “Nessuno sarà libero fino a che anche un solo uomo sulla terra sarà in catene” Ernesto Guevara de la Serna “dedicato a Simone”

Liberi da Catene › - WordPress.com · 2014. 6. 6. · (Tratto da “Ragazzo mio” - Luigi Tenco) “La scoperta della scrittura avrà l'ef-fetto di produrre la dimenticanza nelle

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‹ Liberi da Catene ›

Associazione Culturale “K.A.N.T. Kultura-Ambiente-Natura-Territorio”

“Nessuno sarà libero fino a che anche

un solo uomo sulla terra sarà in catene”Ernesto Guevara de la Serna

“dedicato a Simone”

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Rossella Calzetta Psicologa - Psicoterapeuta

Giuditta Migiani Studentessa Liceo Kant 17 anni

Federico Pizzo Studente Liceo Kant 19 anni

Giulia Massimini Studentessa Scienze Politiche 20 anni

Elena Loche Studentessa Storia dell’Arte 21 anni

Marco Piccinelli Studente Lettere 22 anni

Giulia Loche Studentessa Scienze Politiche 24 anni

Un ringraziamento particolareal gruppo Rap “Fori dar Centro”

I disegni sono della II Adell’Istituto comprensivo via Pirotta

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Siamo arrivati alla fine di quest’avventura. Un lavoro impegnativo per tutti. Fatto di studio, riflessione e soprattutto di condi-visione. Per realizzare gli incontri, o meglio le agorà, dove potevano nascere i confronti, gli scambi, le intersezioni tra mondivicini, ma essenzialmente diversi e quindi lontani, i ragazzi hanno saltato i loro impegni, le loro lezioni a scuola e all’università,gli adulti hanno saltato gli impegni lavorativi. Un richiamo a un’agorà fantastica che ha prodotto una piccola o grande crescita in tutti quelli che l’hanno frequentata.Volevamo dimostrare che la cooperazione è ancora possibile, che gli ideali sono perseguibili.Non si tratta, quindi, di un progetto contro il bullismo, ma un’esperienza diversa, dove il confronto e la riflessione curiosapossono portare a una caduta di schemi precostituiti.Non c’è stata la caccia al cattivo. Il “cattivo” è essenzialmente l’indifferenza e il soccombere a schemi rigidi e difensivi. L’obiet-tivo da affrontare è stato la messa a fuoco e l’analisi dei sistemi che ci girano attorno, dal funzionamento del gruppo classe,alla seduzione dei sistemi di controllo più allargati.Chi studia i processi psicosociali utilizza il termine empawerment (un termine che non si riesce a tradurre in italiano e questala dice lunga) sa benissimo che questo tipo di cultura porta a una rendere responsabili gli utenti cui è rivolto questo processo.Con il termine empowerment è indicato” un processo di crescita, sia dell'individuo sia del gruppo, basato sull'incrementodella stima di sé, dell'autoefficacia e dell'autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l'individuo ad appro-priarsi consapevolmente del suo potenziale.”Si arriva così ad un rovesciamento della percezione dei propri limiti in vista del raggiungimento di risultati superiori alle proprieaspettative. La peer education si riferisce alla “trasmissione, scambio e condivisione d’informazioni, valori ed esperienze tra persone dellastessa età o appartenenti allo stesso gruppo sociale”.In questo senso, trova importanti applicazioni sia nel campo della promozione della salute e della prevenzione dei comporta-menti a rischio, che all'interno delle scuole, alle quali offre nuove potenzialità formative e educative al fine di incrementare losviluppo delle competenze psicosociali. Uno dei più importanti obiettivi della peer education è di individuare strumenti e stra-tegie utili a rafforzare nei soggetti la motivazione al cambiamento e di proporre interventi che rendano gli attori attivi nellapropria formazione e attivatori d’informazioni e “educazione permanente”.

Rossella CalzettaDott.ssa Psicologa-PsicoterapeutaCoordinatrice Progetto “Liberi da Catene” - Associazione Kant

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Quando parliamo di “Scuole con il bollino”, intendiamo scuole che vogliono prima di tutto assumere questo impegno all’internodella loro proposta educativa.Offrire un percorso educativo emozionale (alfabetizzazione emotiva) che sia un percorso esplorativo proposto dagli stessi stu-denti e l’adesione alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 (2006/962/CE), conparticolare riferimento alle Competenze Sociale e Civica e alla Consapevolezza ed espressione Culturale.Vale la pena ricordare come ha preso corpo l’idea del Progetto “Liberi da Catene”.Di fronte all’ennesimo suicidio per problemi di discriminazione, un gruppo dei ragazzi dell’associazione ha voluto rispondereall’appello di richiamo alle coscienze posto da Simone, prima di porre fine alla sua vita, nello scorso ottobre del 2013.

Questo è stato un progetto pilota, ambizioso e molto impegnativo sotto tutte le dinamiche, (soprattutto quelle emotive) eadesso che siamo arrivati alla conclusione è indispensabile passare ai ringraziamenti.Un ringraziamento a tutti i professionisti specializzati nel loro settore che abbiamo incontrato, affiancato e a volte per caso in-crociato nel nostro percorso.Un ringraziamento agli operatori della Polizia Postale e della Questura di Roma, della Biblioteca comunale Rodari, del Cea,dello spazio incontra giovani, dell’Associazione Fotoincontro, con i quali abbiamo condiviso la sensibilità e che ci hanno volutoaccanto nel percorso dell’Arbor Day, da loro organizzato con l’Assessorato Municipale all’Ambiente, consentendoci di dedicareal Progetto, e quindi a Simone, l’ulivo piantato al Parco di Tor Tre Teste.Un ringraziamento al gruppo musicale “Fori dar centro” per la loro partecipazione, ma un ringraziamento particolare va sopratuttiai nostri ragazzi. Ci hanno dimostrato che sono ragazzi “impegnati”, con ideali solidi. Sono andati contro la retorica che igiovani oggi sono profondamente immaturi e statici (qualcuno, ricordate, l’ha definito l’esercito dei bamboccioni). Sono ragazziche – per puro volontariato – hanno risposto a Simone; e di fronte ad un suicidio hanno risposto spargendo spiragli di vita edi speranza.

Mi sento di raccontare quello che fino ad adesso hanno visto in pochi: è un processo del tutto innovativo, quello di “Liberida Catene”, una comunicazione diversa da quella che utilizzano gli esperti, un modo di parlare e di riflettere, e di essere ri-chiamati, che ha incuriosito i ragazzi, da una parte e dall’altra.Momenti di vero scambio, di ragionamenti, discussioni, scambi informativi con i professori che assistono, con le forze dell’ordineche intervengono e con ospiti che di volta in volta vengono a portare il “loro mondo”.

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Molti di questi ragazzi frequentano ancora la scuola e portano “la giustifica”, come dicono i ragazzi che li ospitano. Ragazziche, una volta, si sarebbero definiti “di borgata”.Alla fine, quella classe, “la classe di borgata”, diventa – a mano a mano un’elevata agorà, dove tutti hanno la possibilità diessere ascoltati, anche i bulli. Una bellissima esperienza, dunque, che farebbe crescere chiunque: non solo, infatti, chi ne habisogno, non solo chi si trova a vivere grossi problemi.Mi ha colpito un’espressione che ha avuto un gruppo musicale di rapper invitato a scuola: “Non è facile parlare a queste sco-laresche, incutono imbarazzo, perché i loro occhi ti stanno puntati addosso. Noi siamo abituati a cantare di fronte alle masse:ma è buio… I fari ti accecano e non riesci a vedere le persone in viso, puoi solo sentirne la presenza”.Sono sicura che quei rapper ricorderanno quegli occhi quando scriveranno i nuovi testi delle loro canzoni, mentre i ragazzi ri-corderanno che la musica non è un mondo così patinato e lontano: bisogna impegnarsi e studiare anche per scrivere il testodi una canzone, e che bisogna che i rapper vadano anche a lavorare quando non cantano. E che, per scrivere dei testi inte-ressanti, devi saper guardare il mondo dall’alto.Un ringraziamento a tutti quelli che sono stati indifferenti, o ci hanno portato perplessità e critiche, perché proprio grazie aquesta indifferenza abbiamo chiarito ancora di più il nostro obiettivo, da che parte vogliamo stare e soprattutto a ribadirel'esigenza di cooperare per riuscire a non vivere più in una società di …“uomini piccoli, senza idee, senza vela…. che appenasi alza il mare, per primi vanno a fondo”. (Tratto da “Ragazzo mio” - Luigi Tenco)

“La scoperta della scrittura avrà l'ef-fetto di produrre la dimenticanza nelleanime che l'impareranno, perché, fi-dandosi della scrittura, queste si abi-tueranno a ricordare dal di fuorimediante segni estranei, e non dal didentro e da sé medesime.”

PLATONE

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...>Sognavo di poter un giorno fondare una scuola in cui sipotesse apprendere senza annoiarsi, e si fosse stimolatia porre dei problemi e a discuterli; una scuola in cui nonsi dovessero sentire risposte non sollecitate a domandenon poste; in cui non si dovesse studiare al fine di supe-rare gli esami.

K. POPPER La ricerca non ha fine

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Il progetto “LIBERI DA CATENE” è nato come nascono quelle piante spontanee nelle spaccature dei marciapiedi: con la stessaforza e la stessa ostinazione e, soprattutto, la stessa spontaneità.L’urgenza della situazione ha richiesto un intervento immediato, un’azione subitanea. È nato così, d’urgenza, per poi cresceree prendere forma sotto le nostre mani. Il progetto in sé, per come è stato proposto ai ragazzi, non è che la punta di un lavorodi ricerca, che ognuno di noi ha condotto personalmente, e soprattutto un lavoro di dialogo, di confronto e, in casi necessari,di scontro.Seguiti dalla Dottoressa Rossella Calzetta e guidati dal Presidente dell’Associazione K.A.N.T. Leonardo Loche, abbiamo esploratole nostre conoscenze, con occhi nuovi, alla ricerca degli strumenti adatti per comunicare con questi ragazzi in maniera efficace.In questa sorta d’indagine abbiamo appreso molto di nuovo, grazie anche al contributo di altri studenti del Liceo Kant, chepur non potendo partecipare attivamente agli incontri nelle scuole, ci hanno lasciato materiale ed idee. Lo scheletro del pro-getto, con i suoi sei incontri, è stato ideato dalla Dottoressa Calzetta, ma a noi toccava renderlo “vivo” e soprattutto funzio-nante. Non eravamo che cinque ragazzi, con cinque teste differenti, cinque storie diverse, che non si conoscevano in manieraapprofondita nemmeno tutti. Eppure, forse con in testa lo stesso obiettivo e in mente gli stessi ideali, abbiamo lavoratogomito a gomito con facilità. Ognuno di noi doveva curare un ambito diverso del progetto, sempre affondando le radici nel“proprio terreno”, in modo da poter utilizzare al meglio le proprie competenze e attitudini. Tuttavia il nostro lavoro non deveesser inteso come un complesso di isole, piuttosto come quello dei vasi comunicanti. Non avrebbe avuto altrimenti lo stessopotenziale creativo. Molto banalmente, l’uno ha influenzato l’altro, con i suoi consigli, le sue impressioni, il suo sapere. Fon-damentale è il fatto che il progetto abbia mantenuto la sua anima originaria: un flusso vivo in continuo sviluppo, in continuacrescita. Sempre pronto ad essere criticato, rivisto, migliorato. Dopo ogni incontro con i ragazzi, tornavamo a casa carichi diconfusione, di dubbi, di perplessità ma anche di potenziale. Quello stesso potenziale che ci faceva ripartire da zero perl’incontro successivo: modificando l’approccio, riaggiornando i contenuti, adeguando l’incontro stesso alle esigenze, che nelconfronto diretto con i ragazzi, avevamo individuato.Eravamo la carta vincente, noi giovani. Pochi anni a separarci da quei ragazzi che andavamo a interrogare e ascoltare. Tuttaviasiamo partiti con la paura dell’impatto e quando questo c’è stato non ci ha lasciato meno sbigottiti. Ci ha spinto a dare ilmassimo, però, a non demordere, a studiare nuove vie per entrare in contatto con loro. Mentirei se non dicessi che questo

Giulia MassiminiStudentessa Scienze Politiche 20 anni

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percorso è stato impegnativo per tutti noi, incredibilmente stancante e “imperfetto”. Ci sono stati i momenti di abbattimento,di cattiva coordinazione e comunicazione, ma c’è stato anche tanto altro. Allo stesso modo, infatti, mentirei se non dicessi cheè stato fonte di un arricchimento collettivo esorbitante. Il nostro gruppo è cresciuto ogni volta e, tramite la condivisione delleimpressioni e delle sensazioni suscitate dal dialogo con i ragazzi, ha maturato un’intima affinità e un profondo legame. Primadi augurarci di essere riusciti a trasmettere qualcosa di tangibile ai ragazzi, gli stessi e questa esperienza hanno dato moltoa noi. Ci sentiamo pieni di una conoscenza che vogliamo reinvestire, usciamo carichi più di prima e con la voglia di andareavanti! Per ognuno di noi questo “esperimento sociale” ha rappresentato una fruttuosa opportunità e ognuno ha dato il tuttoper tutto perché fosse lo stesso per ognuno di quei ragazzi. Non inseguiamo chimere, né crediamo ai miracoli, sappiamo dinon aver “scalfito” tutti. Ma crediamo di aver lasciato un segno almeno in qualcuno, di avergli regalato un briciolo di quel po-tenziale e che in lui divenga fiorente. Crediamo che il nostro flusso sia ancora vivo e che passi attraverso le vite di queiragazzi, che lo trasmetteranno ad altri ed altri ancora, affinché resti tale. Come detto sopra, non crediamo ai miracoli, ma al-l’azione dell’uomo sì. C’è ancora molto da fare e vogliamo continuare a farlo.

Fa quel che può. Quel che non può non fa.il maestro

A. MANZI sulle pagelle dei suoi alunni

"Noi pensiamo di modellare una polis felice nonprendendo pochi individui separatamente e ren-dendoli tali, ma considerandola nella sua inte-rezza."

PLATONE Repubblica, IV, 420c

[...] Sto parlando qui di una mia vecchia debolezza che è quelladi occuparmi a ore perse di cose che non capisco, non per edifi-carmi una cultura organica, ma per puro divertimento: il dilettoincontaminato dei dilettanti. Preferisco orecchiare che ascoltare,spiare dai buchi di serratura invece di spaziare sui panorami vastie solenni; preferisco rigirare tra le dita una singola tessera invecedi contemplare il mosaico nella sua interezza [...]È certamente un vizio, ma fra i meno nocivi; al di fuori della let-tura, si manifesta nella tendenza a fare le cose che non si sannofare; così operando, può anche capitare che si impari a farle, maquesto è un accidente, un sottoprodotto: il fine principale è iltentativo in sé, il libertinaggio, l'esplorazione.Ricordo di aver letto molto tempo fa, su questo argomento, unbellissimo saggio, naturalmente dilettantesco, del povero PaoloMonelli: si intitolava Elogio dello schiappino, e lodava chi si ar-rabatta a fare i mestieri altrui, l'autodidatta [...]

P. LEVI Le parole fossili, in L'altrui mestiere

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Il tema del terzo incontro era la “comunicazione verbale”. L’incontro è stato aperto con la lettura di 5 brani estrapolati dal libro “Esercizi di stile”, di Raymond Queneau, in cui sonostati coinvolti alcuni degli alunni stessi. Subito dopo si è parlato di quelle che erano state le impressioni degli studenti, dicosa avevano notato e di cosa ne pensassero, di come possa cambiare il tono e lo stampo di una narrazione attraverso il lin-guaggio utilizzato e anche di come possa cambiare quest’ultimo in base al registro e al punto di vista del narratore. Si è ra-gionato su come alcuni termini oggi considerati offensivi siano derivati da un linguaggio popolare, volgare, determinato incerti contesti da un’ignoranza di base. Per mezzo di questa introduzione alle caratteristiche trasmissive del linguaggio, ai ragazzi è stato proposto un gioco che harichiesto una forte partecipazione attiva: si tratta di una rivisitazione del famoso ‘Taboo’. L’obiettivo è riuscir a dare la defini-zione della parola scritta sul cartoncino pescato, senza usare altre parole derivate dalla stessa radice. Non è permesso utilizzarenella propria definizione neanche le altre 5 “parole vietate”, scritte anch’esse sul cartoncino, che renderebbero la descrizionetroppo facile. Per ottenere punti, il concorrente di ogni squadra deve essere in grado, attraverso le parole e nient’altro, di farcapire ai suoi compagni il termine in questione. Le parole scelte erano attinenti al lavoro contro le discriminazioni che ilProgetto si pone come obiettivo fondamentale (es. clandestino, omosessuale, cultura). Tale attività ha palesato la sostanziale ignoranza riguardo ai termini proposti, e quanto, di conseguenza, il loro uso quotidianosia dettato da pregiudizi e preconcetti sentiti dire, senza comprenderne realmente il significato. Alla conclusione del ‘Taboo’ èseguita una spiegazione approfondita di quei termini (e talvolta delle rispettive origini) che avevano causato più difficoltà eche avevano messo in luce maggiori fraintendimenti concettuali.Successivamente, ai ragazzi è stato distribuito il testo della canzone “Enea super rap”, degli Assalti Frontali, e si è procedutoall’ascolto.Sia ragazzi che professori hanno apprezzato la comunione tra il rap (genere musicale prediletto dalla maggior parte degli stu-denti di entrambe le classi) e la spiegazione dell’Eneide di Virgilio, letta in chiave moderna. La canzone pone l’accento sulleanalogie tra la figura di Enea e il presente, mettendo in risalto come Enea possa essere considerato un clandestino approdatosulle coste italiane, e quanto la nostra cultura sia il frutto dell’unione di molte altre. Anche a quest’attività è seguito un mo-mento di scambio collettivo di opinioni e commenti su quanto trattato.

Giuditta MigianiStudentessa Liceo Kant 17 anni

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Per concludere, sono stati letti degli estratti del libro “Il razzismo spiegato a mia figlia”, di Tahar Ben Jelloun, riguardo alpotere delle parole, all’importanza di un uso consapevole di esse e alla bellezza e ricchezza delle diversità. Quest’incontro sulle parole e sulla comunicazione ha destato grande curiosità e interesse nei ragazzi, nonché un nuovo tipodi consapevolezza, ovvero la consapevolezza della superficialità della propria conoscenza degli argomenti affrontati, del signi-ficato letterale e pratico di alcune delle parole più ampiamente utilizzate dalle nuove generazioni, di quanto si parli senza re-almente rendersi conto di quello che si dice. Come secondo la filosofia socratica, il “sapere di non sapere” si pone comepresupposto basilare di crescita e ricerca della conoscenza, un incentivo continuo alla curiosità e alla presa di coscienza siaindividuale che collettiva.

"Ciascun governo istituisce leggi [nomoi] per il proprio utile; lademocrazia fa leggi democratiche, la tirannide tiranniche e allostesso modo gli altri governi. E una volta che hanno fatto le leggi,eccoli proclamare che il giusto per i governati si identifica conciò che è invece il loro proprio utile, e chi se ne allontana lo pu-niscono come trasgressore sia della legge sia della giustizia. Inciò consiste, mio ottimo amico, quello che dico giusto, identicoin tutte quante le poleis, l'utile del potere costituito. Ma, se nonerro, questo potere detiene la forza.Così ne viene, per chi sappiaben ragionare, che in ogni caso il giusto è sempre identico al-l'utile del più forte.

"Ci sarà un buon governo solo quando i filosofi diventeranno reo i re diventeranno filosofi."

PLATONE

“Si può scoprire di più su una per-sona in un'ora di gioco, che in unanno di conversazione.” “Evitate le costrizioni e fate in modoche l'istruzione infantile sia un modoper divertirsi. Ibambini imparanogiocando, l'istruzione imposta nonresta nell'anima.” “La democrazia è una forma affasci-nante di governo, piena di varietà edisordine, e dispensatrice di unaforma di uguaglianza agli eguali e aidiseguali allo stesso modo.”

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Il progetto ha avuto il suo inizio con l’arte, in tutte le sue forme.Fondamentale è stato, senza dubbio, l’incontro ancora precedente, in cui il gruppodi lavoro si è presentato alla classe e la classe si è presentata al gruppo di lavoro.In questo modo abbiamo potuto tastare la sensibilità dei ragazzi e le loro prefe-renze in materia, così da poter partire da territori da loro conosciuti e apprezzati.E infatti, la “lezione” ha avuto inizio con l’analisi del testo di “One Love”, canzonedel rapper Macklemore che si batte contro l’omofobia ignorante. Il collegamentocon l’arte figurativa è fin troppo semplice: chi non ha modo di ricordare le scomodevicende che riguardarono Van Gogh ed il suo amico Gaugin?James Joyce disse: “Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tor-nare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch'essa genera, dai suoni, dalle formee dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un'immagine diquella bellezza che siamo giunti a comprendere: questo è l'arte”.Ed è stato proprio questo lo scopo ultimo della nostra chiacchierata: dagli “ste-reotipi” (parola-chiave dei nostri discorsi) che “tengono in prigione la nostraanima”, dimostrare, attraverso le più variegate opere artistiche di tutte le epoche,che la bellezza è ovunque, e che nel momento in cui viene depressa (ricordo, adesempio, le riflessioni scaturite dal discorso sulle guerre), noi dobbiamo saper leggere la situazione e contrapporci fermamentealle discriminazioni che vi nascono.Con questi propositi, abbiamo quindi parlato di omofobia, guerra, discriminazioni di classe e dunque basate sul censo, razzismo,droghe. Tutti temi molto importanti, ma che i ragazzi hanno saputo interpretare e criticare con il giusto metodo. Certo, i murida abbattere sono molti e costruiti con destrezza, ma dai nostri confronti è venuto fuori senza dubbio che, con una giustaguida, una giusta sensibilità, una giusta vicinanza al loro mondo, i giovani di oggi, se pur confusi e dispersi come sono, sannotrovare una strada maestra che non li faccia sbandare (proprio perché non li lascia soli in una società di sterile consumo eabuso della “persona”).

Elena LocheStudentessa Storia dell’Arte 21 anni

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Dopo l’ennesima morte a causa di comportamenti omofobi, quindi razzisti, nel municipio in cui l’Associazione K.A.N.T. (KulturaAmbiente Natura Territorio) opera, abbiamo deciso di non restare con le mani in mano e di provare a mettere in moto le nostreesigue forze.Senza l’appoggio di nessuno abbiamo attraversato la fitta coltre dell’indifferenza che ben si confà ad episodi gravissimi cheledono, se non lo hanno già fatto da tempo, il tessuto sociale del municipio.Abbiamo preso baracca e burattini, e abbiamo portato in giro ‘Liberi da Catene’ tra il Quarticciolo e Tor Pignattara.Personalmente, non ho intrattenuto rapporti didattici con i ragazzi delle classi che avevamo preso con noi, bensì solo telematici.Cioè: riorganizzare il sito dell’associazione (visibile a www.associazionekant.com), riverberare le azioni della stessa tramite isocial network come twitter (@assokant) e la pagina facebook.Si è pensato, inoltre, per cercare di dare un punto di contatto con i ragazzi delle classi delle due scuole, di allestire un profilofacebook, con cui gli alunni potessero interagire, chiamato – per l’appunto – ‘Liberi da Catene’.La risposta non è stata eccellente, ma soddisfacente per alcuni dei componenti le classi in esame.Aver fornito, inoltre, i punti di riferimento per l’orientamento nel mare di internet e dei social media – grazie alla lezione dellaPolizia Postale – è stato fruttuoso per i ragazzi stessi che, solerti, si involavano in ogni tipo di domanda circa questo oquell’altro codice o una o l’altra opzione sull’utilizzo di Facebook o di Ask.Particolare risalto, nell’incontro sopracitato e non, è stato dato a quest’ultimo social network, popolarissimo tra adolescenti e preadolescenti, famoso perché vi si accede in completo anonimato, contattando altri utenti non rivelando mai la propria identità.Abbiamo sviluppato il caso di suicidio di Amanda Todd e la connessione che esso ha avuto con i social media e, attonite, en-trambe le classi sono state partecipi della vicenda.In entrambi gli episodi, mi è sembrato – forse parlo impropriamente a nome di tutti – di poter ritirare fuori le parole del poetabosniaco Nedžad Maksumić nel suo Indicazioni stradali sparse per terra che è stato tradotto in Italia per il solo volere di ungruppo musicale: i C.S.I. – Consorzio Suonatori Indipendenti con la canzone – recitata dal titolo ‘Nessuno Fece Nulla’.Quando le istituzioni sono state sorde e cieche, quando tutto intorno sembrava volgere in negativo; mentre eravamo nelleclassi e ognuno di noi parlava ai ragazzi per illustrare loro i punti d’approdo con la realtà fattiva, mi è sembrato che quel testoriecheggiasse nelle aulee.

Marco PiccinelliStudente Lettere 22 anni

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E certo, che, come dice il testo: «i vecchi dissero: “ci sarà la guerra”/i vecchi dissero: “ci sarà la guerra. Nessuno prestò ascoltoalle proprie parole e nessuno fece nulla. Nessuno fece nulla!» mi è sembrato di poter considerare il fatto che, in parte, queivecchi delle parole di Maksumić li abbiamo ascoltati. Sarà stata una goccia nell’oceano o un seme microscopico in un campoverdissimo e sterminato di cui non si vedono i confini, ma almeno c’è stato.E non sarà né il primo, né l’unico.

Metalogo “Quante cose sai?”, dell’Antropologo Gregory Bateson:Figlia: “ Papà, quante cose sai?”Padre: “Uhm… so circa un chilo di cose.”Figlia: “Non dire sciocchezze. Un chilo di cose? Ti sto chiedendo DAVVERO quanto

cose sai?”Padre: “Bè, il mio cervello pesa circa un chilo e penso di usarne circa un quarto.”…Figlia: “Papà, perché non usi gli altri tre quarti del tuo cervello?”Padre: “Ah, si… già vedi, il punto è che anch’io ho avuto degli insegnanti a scuola,

E loro hanno riempito circa un quarto del mio cervello di fumo. Poi ho lettoi giornali e ho ascoltato quello che dicevano gli altri, e così mi sono riempitodi fumo un altro quarto.”

Figlia: “E l’altro quarto, papà?”Padre: “Oh.. quello è il fumo che ho fatto da me quando ho cercato di pensare da

solo.”

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L’incontro che ho tenuto io è stato l’ultimo della serie interattiva ed ha preceduto quello dell’elaborazione dei test sulla lea-dership nella classe, sull’autostima e sulle richieste politiche e sociali che i ragazzi si sono sentiti di fare a partire dallesituazioni di disagio percepite a scuola (dalle porte rotte alla scarsità di gite; dalla mancanza di carta igienica all’assenza distrutture, nella scuola come nel territorio, per attività extra).L’argomento, quello delle Istituzioni, era complesso, e non sapevo quali difficoltà avremmo incontrato nel parlarne. Ho pensato,quindi, di partire da un parallelismo tra le strutture gerarchiche della famiglia e della scuola (entrambe riconosciute dai ragazzi comeistituzioni) e quella delle nostre istituzioni politiche [“Chi prende le decisioni dentro casa?” (notare la risposta!) “Mamma!”; “Chiprende le decisioni in Italia?” “Il Governo”]. Detto questo, ho mostrato loro le foto del Presidente della Repubblica, del Presidentedel Consiglio e dell’aula della Camera dei Deputati, e i ragazzi, seppur con qualche confusione, hanno riconosciuto tutti e tre.Abbiamo quindi cominciato un breve riepilogo della storia delle istituzioni italiane a partire dall’importantissimo momentodella loro nascita, a seguito della fine della Seconda Guerra Mondiale. Il punto che era bene sottolineare di quel momentostorico, era che tutte le forze che avevano partecipato alla Resistenza, dopo la fine della guerra si erano messe insieme e ave-vano creato la Costituzione, con l’obiettivo di tutelare tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione. Come esempi ho sceltodi far leggere e analizzare gli articoli 1, 3 e 11, di cui il 3 era il più importante ai fini del nostro ragionamento (“Tutti i cittadinihanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opi-nioni politiche, di condizioni personali e sociali”).A questo punto ci siamo interrogati su quali siano i comportamenti anti-costituzionali che gli italiani ancora tengono, e i ragazzihanno avuto parecchio da riflettere e da ridire: dal razzismo all’omofobia, dalla mancanza di rispetto per i disabili alla violenzasulle donne. Su quest’ultimo punto abbiamo speso due parole in più perché proprio in quei giorni era uscita la sentenza checondannava a venti anni di carcere l’ex fidanzato di Lucia Annibali, in quanto mandante dell’agguato con l’acido che hasfigurato il viso della donna. Nell’esortare le ragazze a non tollerare qualsiasi tipo di mancanza di rispetto o di violenza ancheverbale nei loro confronti, e i ragazzi a ricordare il riguardo e l’attenzione con cui devono trattare le loro compagne di vita, homostrato loro il video di lancio e le foto della manifestazione “One Billion Rising” che si era tenuta il 14 febbraio: migliaia didonne in tutti i paesi del mondo erano scese in piazza contro la violenza di genere, alzando l’indice al cielo in segno di par-tecipazione e di rinascita.

Giulia LocheStudentessa Scienze Politiche 24 anni

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Infine, per cercare di capire i vari modi in cui le generazioni più giovani possono reagire alle ingiustizie e possono parlaredelle istituzioni che funzionano e non funzionano, ho scelto il modo che ai ragazzi piaceva di più, il rap: ci è venuto infatti atrovare il gruppo dei Fori Dar Centro, che ha analizzato con noi il testo “La Gabbia”. Il confronto con ragazzi poco più grandi,che vengono dagli stessi quartieri e vivono la stessa quotidianità fatta di studio, amici, musica e domande su come funzionail mondo, ha avuto successo e ha spinto i ragazzi non solo a riempire di domande i cantanti, ma anche ad instaurare con loroun rapporto al di fuori dell’incontro a scuola. E penso che questo, in un momento in cui di punti di riferimento per i giovanice ne sono davvero pochi, sia stato uno dei risultati più grandi.

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“Liberi da catene” è un progetto che l'Associazione K.a.n.t. (kultura ambiente natura territorio) ha intrapreso perché da troppotempo, nella periferia romana tutta, e nel quadrante sudest in particolare, vi è un abbandono della convivenza civile tra lepersone.Parole come omofobia e bullismo che la cronaca nazionale ha riportato in primo piano, dalle nostre parti (Tor Pignattara, Cen-tocelle, Alessandrino, Torre Spaccata, Tor Tre teste, fino a Torre Maura) sono esponenzialmente amplificate.Il mors tua vita mea è il precetto che regna tra i viali dei quartieri ancora per poco 'al di qua' del Raccordo.'Liberi da catene' prende il triste spunto da un suicidio che c'è stato alla Pantanella, se n'è anche parlato nelle cronache na-zionali, ma al di là dello spazio che ha occupato su qualche testata, non ha avuto riverbero.O meglio: ha avuto il normale riverbero che ha un altrettanto normale caso di questo genere, cioè qualche ripresa panoramicadei palazzi di Tor Pignattara sui tg nazionali, istituzioni locali interpellate perché, come dovrebbe essere, sono l'istituzione piùvicina al territorio.In realtà, da quell'ottobre 2013, l'associazione s'è messa in moto, in assenza di altro: a dicembre ha presentato il progetto“Liberi da Catene” e ora si è presa in carico due scuole che hanno avuto episodi di bullismo e altri casi di discriminazioni; siè presa in carico il territorio, in sostanza.Il 21 marzo abbiamo piantato, dunque, un ulivo nel parco di tor tre teste: la pianta più forte della macchia mediterranea, piùresistente, più dura da buttare giù; un ulivo, dunque, contro le discriminazioni tutte.Si sono unite diverse esperienze, si è andato a parlare di omofobia, di bullismo, di convivenza civile a Quarticciolo, Centocelle, TorPignattara: abbiamo ripreso a parlare coi ragazzi, cosa che non si faceva da tempo in periferia, ma a farlo col loro linguaggio.Nel pieno delle solitudini, o della somma di esse della periferia del quadrante sud-est di Roma, s'è presa in mano una situazionestorta: ma le solitudini diventano zero, se da mille riescono a creare soggettività all’interno di un contenitore che le mette in-sieme e le spinge a parlare e a tirare fuori emozioni e problemi. E poi, tutto il progetto è partito dalla periferia stessa, dallacosiddetta periferia che opprime e fa sentire più soli chi vi abita, coi suoi quartieri dormitori, tanto cari ai luoghi comuni. Echi scrive non abita neanche a Tor Pignattara ma ancora più giù, a ridosso dell’anello che decide ciò che è Roma e cosa nonè Roma; perché, alla fine, al di là del grande raccordo anulare anche il tempo fa come vuole e si prende le nuvole che gli spet-tano. Anche se, in realtà, non spetterebbero a lui. Così come succede alla periferia: a stare del tempo immersa sott’acqua, èfinita per morire coi polmoni annacquati. Ma adesso rialza la testa, si costruisce da sé i propri anticorpi e si tira indietro icapelli appiccicati alla fronte per la troppa acqua. Tocca per terra, sulla prima secca del mare, e salta.

Marco Piccinelli

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Infine...

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21Associazione Culturale “K.A.N.T. Kultura-Ambiente-Natura-Territorio”

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“I FORI DAR CENTRO” con la III M Via Beccadelli

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“I FORI DAR CENTRO” con la II A Via Pirotta

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Associazione Culturale “K.A.N.T. Kultura-Ambiente-Natura-Territorio”

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