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Antichità e Istituzioni Romane (a.a. 2019-2020) Introduzione alla storia di Roma (4): da Augusto al V sec. d.C. L’età augustea: coordinate cronologiche 31 a.C. battaglia di Azio 31-23 a.C. Ottaviano nominato console ogni anno 30 a.C. resa di Alessandria, suicidio di Antonio e Cleopatra 29 a.C. chiusura delle porte del tempio di Ianus (11 gennaio); triplice trionfo di Ottaviano (13-15 agosto) 28 a.C. sesto consolato di Ottaviano, insieme ad Agrippa cos. iterum; censimento e lectio senatus; dedica del tempio di Apollo sul Palatino (9 ottobre) 27 a.C. Agrippa cos. tertium; poteri di governo attribuiti ad Ottaviano su diverse province per 10 anni (13 genn.); conferimento del titolo di Augustus (16 gennaio) 26 a.C. Messalla Corvino primo praefectus Urbi; suicidio di Cornelio Gallo, primo praefectus Alexandreae et Aegypti 26-24 a.C. campagna di Augusto in Spagna 25 a.C. seconda chiusura del tempio di Ianus; Marcello (figlio di Ottavia) sposa Giulia (figlia di Augusto) 23 a.C. Augusto rinuncia al consolato; conferimento della tribunizia potestas a vita (giugno); morte di Marcello 22-19 a.C. Augusto in Oriente 22 a.C. Augusto accetta la cura annonae; Agrippa sposa Giulia 20 a.C. Tiberio in Oriente, restituzione delle insegne romane perdute a Carre 18-17 a.C. leges Iuliae; istituzione dei praefecti frumenti dandi (18 a.C.) 17 a.C. adozione di Gaio e Lucio Cesare da parte di Augusto; ludi saeculares (maggio-giugno) 16-13 a.C. Augusto in Gallia; campagne alpine di Tiberio e Druso; sottomissione di Norico, Rezia e Vindelicia; nascita di Germanico (15 a.C.) 14 a.C. nascita di Agrippina (maggiore) 13 a.C. primo consolato di Tiberio; il senato delibera la costruzione dell’ara Pacis 12 a.C. Augusto pontefice massimo; morte di Agrippa 11 a.C. Tiberio sposa Giulia 12-9 a.C. campagna di Druso in Germania e di Tiberio in Pannonia 9 a.C. dedica dell’ara Pacis (30 genn.); morte di Druso 8 a.C. morte di Orazio e di Mecenate 6 a.C. Tiberio riceve la potestà tribunizia per cinque anni, ma si ritira a Rodi 4 a.C. Gaio Cesare console 2 a.C.: Augusto console per la tredicesima volta; Pater patriae (2 febbraio); inaugurazione del foro di Augusto e del tempio di Marte Ultore (12 maggio); esilio di Giulia a Ventotene 2 d.C. morte di Lucio Cesare (a Marsiglia); rientro di Tiberio da Rodi 4 d.C. morte di Gaio Cesare (Licia); adozione di Tiberio da parte di Augusto; Tiberio riceve la potestà tribunizia per 10 anni 5 d.C. campagna di Tiberio in Germania; lex Valeria Cornelia 6 d.C. istituzione dell’aerarium militare; istituzione del corpo dei vigiles (e del praefectus vigilum) 6-9 d.C. rivolta in Illirico e Pannonia 9 d.C. esilio di Giulia minore; sconfitta di Teutoburgo 12 d.C. trionfo pannonico di Tiberio 13 d.C. rinnovo della tribunicia potestas di Tiberio 14 d.C. morte di Augusto a Nola (19 agosto); divinizzazione di Augusto (17 sett.); Tiberio riconosciuto suo successore La “restaurazione” della Repubblica e i poteri di Augusto (tra 28 e 23 a.C.) Tac., Hist., 1.1-2 Inizierò la mia opera dall’anno in cui erano consoli Servio Galba, per la seconda volta, e Tito Vinio (genn. 69 d.C.). Molti autori hanno narrato i precedenti ottocentoventi anni intercorsi dalla fondazione della città, quando le vicende del popolo romano venivano ricordate con eloquenza pari alla libertà: dopo la battaglia di Azio, fu invece necessario, per il bene della pace, attribuire tutto il potere a un uomo solo, allora vennero meno anche i grandi talenti letterari. E

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  • Antichità e Istituzioni Romane (a.a. 2019-2020)

    Introduzione alla storia di Roma (4): da Augusto al V sec. d.C.

    L’età augustea: coordinate cronologiche 31 a.C. battaglia di Azio 31-23 a.C. Ottaviano nominato console ogni anno 30 a.C. resa di Alessandria, suicidio di Antonio e Cleopatra 29 a.C. chiusura delle porte del tempio di Ianus (11 gennaio); triplice trionfo di Ottaviano (13-15 agosto) 28 a.C. sesto consolato di Ottaviano, insieme ad Agrippa cos. iterum; censimento e lectio senatus; dedica del

    tempio di Apollo sul Palatino (9 ottobre) 27 a.C. Agrippa cos. tertium; poteri di governo attribuiti ad Ottaviano su diverse province per 10 anni (13

    genn.); conferimento del titolo di Augustus (16 gennaio) 26 a.C. Messalla Corvino primo praefectus Urbi; suicidio di Cornelio Gallo, primo praefectus Alexandreae et

    Aegypti 26-24 a.C. campagna di Augusto in Spagna 25 a.C. seconda chiusura del tempio di Ianus; Marcello (figlio di Ottavia) sposa Giulia (figlia di Augusto) 23 a.C. Augusto rinuncia al consolato; conferimento della tribunizia potestas a vita (giugno); morte di

    Marcello 22-19 a.C. Augusto in Oriente 22 a.C. Augusto accetta la cura annonae; Agrippa sposa Giulia 20 a.C. Tiberio in Oriente, restituzione delle insegne romane perdute a Carre 18-17 a.C. leges Iuliae; istituzione dei praefecti frumenti dandi (18 a.C.) 17 a.C. adozione di Gaio e Lucio Cesare da parte di Augusto; ludi saeculares (maggio-giugno) 16-13 a.C. Augusto in Gallia; campagne alpine di Tiberio e Druso; sottomissione di Norico, Rezia e Vindelicia;

    nascita di Germanico (15 a.C.) 14 a.C. nascita di Agrippina (maggiore) 13 a.C. primo consolato di Tiberio; il senato delibera la costruzione dell’ara Pacis 12 a.C. Augusto pontefice massimo; morte di Agrippa 11 a.C. Tiberio sposa Giulia 12-9 a.C. campagna di Druso in Germania e di Tiberio in Pannonia 9 a.C. dedica dell’ara Pacis (30 genn.); morte di Druso 8 a.C. morte di Orazio e di Mecenate 6 a.C. Tiberio riceve la potestà tribunizia per cinque anni, ma si ritira a Rodi 4 a.C. Gaio Cesare console 2 a.C.: Augusto console per la tredicesima volta; Pater patriae (2 febbraio); inaugurazione del foro di

    Augusto e del tempio di Marte Ultore (12 maggio); esilio di Giulia a Ventotene 2 d.C. morte di Lucio Cesare (a Marsiglia); rientro di Tiberio da Rodi 4 d.C. morte di Gaio Cesare (Licia); adozione di Tiberio da parte di Augusto; Tiberio riceve la potestà

    tribunizia per 10 anni 5 d.C. campagna di Tiberio in Germania; lex Valeria Cornelia 6 d.C. istituzione dell’aerarium militare; istituzione del corpo dei vigiles (e del praefectus vigilum) 6-9 d.C. rivolta in Illirico e Pannonia 9 d.C. esilio di Giulia minore; sconfitta di Teutoburgo 12 d.C. trionfo pannonico di Tiberio 13 d.C. rinnovo della tribunicia potestas di Tiberio 14 d.C. morte di Augusto a Nola (19 agosto); divinizzazione di Augusto (17 sett.); Tiberio riconosciuto suo

    successore La “restaurazione” della Repubblica e i poteri di Augusto (tra 28 e 23 a.C.) Tac., Hist., 1.1-2 Inizierò la mia opera dall’anno in cui erano consoli Servio Galba, per la seconda volta, e Tito Vinio (genn. 69 d.C.). Molti autori hanno narrato i precedenti ottocentoventi anni intercorsi dalla fondazione della città, quando le vicende del popolo romano venivano ricordate con eloquenza pari alla libertà: dopo la battaglia di Azio, fu invece necessario, per il bene della pace, attribuire tutto il potere a un uomo solo, allora vennero meno anche i grandi talenti letterari. E

  • allora la verità fu offesa in vari modi: prima di tutto per ignoranza degli avvenimenti pubblici, come se fossero sentiti ormai estranei, e poi anche per desiderio smodato di adulazione, o al contrario per odio verso chi comandava. Tac., Ann., 3.28.2 Nel suo sesto consolato (28 a.C.), infine, Cesare Augusto, sicuro del suo poter, abolì le disposizioni emanate durante il triumvirato e diede norme da utilizzare in pace e sotto un principe. J.W. Rich – J.H.C. Williams, in The Numismatic Chronicle, 159, 1999, pp. 169-213 (aureus acquistato dal British Museum); cfr. D. Mantovani, in Athenaeum, 96,1, 2008, pp. 5-54; A. Dalla Rosa, in Viri militares, Trieste 2015, pp. 171-200

    Recto: ((testa di Ottaviano coronata d’alloro)): Imp(erator) Caesar Divi f(ilius) co(n)s(ul) VI Verso: ((Ottaviano togato, seduto su sella curulis, con un volumen nella destra)): Leges et iura p(opul-) Roman(-) restituit Aug., Res gestae divi Augusti, 34 In consulatu sexto et septimo, postquam bella civilia exstinxeram, per consensum universorum potens rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum populumque Romanum dare virtutis clementiaeque et iustitiae et pietatis caussa testatum est per eius clupei inscriptionem. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt. Durante il mio sesto e settimo consolato [28-27 a.C.], dopo aver posto termine alle guerre civili, avendo il potere su tutto per consenso universale, rimisi la repubblica dalla mia potestà al controllo del senato e del popolo romano. Per questo mio merito, fui chiamato Augusto dietro parere del senato e, per pubblica decisione, lo stipite della mia casa fu ornato di alloro e sopra la mia porta fu appesa una corona civica; nella curia Giulia fu posto uno scudo d’oro, la cui iscrizione attestava che il senato e il popolo di Roma me lo concedevano in riconoscimento del mio valore, della mia clemenza, della mia giustizia e della mia devozione. Da quel momento fui superiore a tutti per autorevolezza, ma non ebbi maggior potere degli altri che mi furono colleghi in ogni magistratura.

  • clipeum virtutis (copia di Arelate) Inscr. It., XIII,2, pp. 113 e 396 ss. (A. Degrassi); cfr. E. Todisco, in Epigrafia e territorio. Politica e società, VIII, Bari 2007, pp. 341-358 (Fasti Praenestini, 13 gennaio) a) Corona querc[ea, uti super ianuam domus Imp(eratoris) Caesaris] / Augusti poner[etur, senatus decrevit, quod

    rem publicam] / p(opulo) R(omano) rest[it]u[it] (integrazioni Mommsen/Degrassi) b) Corona querc[ea a senatu, uti super ianuam Imp(eratoris) Caesaris / Augusti poner[etur, decreta quod cives

    servavit, re publica] / p(opuli) R(omani) rest[itut]a (integrazioni Todisco) c) Corona querc[ea, uti super ianuam domus Imp(eratoris) Caesaris] / Augusti poner[etur, senatus decrevit, quod

    iura] / p(opuli) R(omani) rest[it]u[it] (integrazioni Scheid) Suet., Divus Augustus, 27,5 (23 a.C.) (Augusto) ottenne la potestà tribunizia a vita, in cui due volte si associò un collega per cinque anni rispettivamente. Ottenne anche il controllo dei costumi e delle leggi, sempre a vita. In virtù di tale potere, pur non essendo censore, fece tre volte il censimento della popolazione, la prima e la terza con un collega, la seconda da solo. Cass. Dio, 53.33.5-6 (23 a.C.) Il senato decretò ad Augusto il tribunato a vita e gli concesse l’autorità di portare davanti a qualsiasi seduta senatoria qualunque questione egli desiderasse, anche quando non fosse in carica come console; inoltre gli permise di assumere l’imperium proconsulare a vita, di modo che non dovesse deporlo ogni volta che entrava nel pomerio per poi riassumerlo nuovamente, ed infine gli attribuì anche un potere sulle province superiore a quello dei magistrati ordinari di stanza in quelle regioni. Dal quel momento in poi, sia Augusto, sia gli imperatori che gli succedettero godettero, per una sorta di autorità garantita dalla legge, di esercitare il potere tribunizio insieme agli altri poteri: infatti il titolo di tribuno in sé non venne assunto né da Augusto, né da nessun altro imperatore. Res Gestae Divi Augusti, 5-6 [5] Dictaturam et apsenti et praesenti mihi delatam et a populo et a senatu, M. Marcello et L. Arruntio consulibus [22 a.C.] non accepi. Non recusavi in summa frumenti penuria curationem annonae, quam ita administravi, ut intra paucos dies metu et periclo praesenti populum universum liberarem impensa et cura mea. Consulatum quoque tum annuum et perpetuum mihi delatum non recepi. [6] Consulibus M. Vinicio et Q. Lucretio [19 a.C.] et postea P. Lentulo et Cn. Lentulo [18 a.C.] et tertium Paullo Fabio Maximo et Q. Tuberone [11 a.C.] senatu populoque Romano consentientibus ut curator legum et morum summa potestate solus crearer, nullum magistratum contra morem maiorum delatum recepi. Quae tum per me geri senatus voluit, per tribuniciam potestatem perfeci, cuius potestatis conlegam et ipse ultro quinquiens a senatu depoposci et accepi. Roma e l’Italia Suet., Divus Augustus, 37 E affinché in maggior numero prendessero parte all’amministrazione della res publica escogitò nuovi uffici: la cura

  • delle opere pubbliche, delle strade, delle acque, del letto del Tevere, della distribuzione del frumento al popolo; e inoltre la prefettura urbana, un triumvirato per aggiornare la lista dei senatori e un altro per passare in rassegna gli squadroni di cavalieri, ogni volta che fosse necessario. Nominò i censori che da lungo tempo aveva smesso di nominare. Aumentò il numero dei pretori. Chiese anche di avere due colleghi invece di uno, ogniqualvolta gli fosse conferito il consolato, ma non lo ottenne, poiché tutti obiettavano che la sua maestà era già abbastanza sminuita dal fatto che egli esercitava quella carica non da solo, ma con un altro. Tac., Annales, VI, 11: le origini della prefettura urbana Nel passato infatti, quando i re e più tardi i magistrati si assentavano da Roma, perché la città non restasse senza governo si sceglieva chi, di volta in volta, rendesse giustizia e fronteggiasse gli imprevisti. Si racconta che tale compito sia stato affidato da Romolo a Dentre Romulio e poi da Tullo Ostilio a Numa Marcio e da Tarquinio il Superbo a Spurio Lucrezio. In seguito furono i consoli a conferirlo e ne resta un lontano riflesso nella scelta, in occasione delle Ferie Latine, di chi deve esercitare le funzioni consolari. Al tempo delle guerre civili Augusto affidò a Cilnio Mecenate, dell’ordine equestre, l’intera amministrazione di Roma e dell’Italia. Poi, dopo la presa del potere, per la grande crescita della popolazione e la lentezza di intervento delle leggi, scelse uno degli ex-consoli, delegandolo alla repressione degli schiavi e di quella parte facinorosa di cittadini che oserebbe i torbidi, ma teme la forza. Messalla Corvino fu il primo chiamato a tale incarico, ma ne fu esonera rato in pochi giorni, perché incapace di esercitarlo; assolse poi egregiamente il suo compito, nonostante l’età avanzata, Tauro Statilio, e infine seguì, per vent’anni, Pisone, con altrettanto merito. Per decreto del senato, ebbe l’onore dei funerali di stato (trad. M. Stefanoni). Frontinus, De aquae ductu urbis Romae, II, 98-99 (la cura aquarum) Per primo Marco Agrippa, dopo l’edilità che egli tenne dopo aver retto il consolato [33 a.C.], divenne una sorta di curatore a vita delle acque e dei servizi che egli stesso aveva creato. Visto che ora l’abbondanza d’acqua lo consentiva, ripartì le quantità da assegnare alle strutture pubbliche, ai bacini di raccolta e ai privati. Egli ebbe anche una propria squadra di schiavi per il mantenimento delle riserve e dei bacini di raccolta. Questa squadra fu resa pubblica da Augusto che la ricevette in eredità da Agrippa. Dopo Agrippa, sotto il consolato di Quinto Elio Tuberone e Paolo Fabio Massimo [11 a.C.], furono promulgati dei senatoconsulti e una legge su quella materia, che fino ad allora era stata trattata secondo i poteri particolari dei magistrati. Augusto da parte sua definì con un editto la situazione giuridica di coloro che avevano delle concessioni di acqua secondo i registri di Agrippa, avendo passato tutta la questione nella competenza delle proprie finanze. Nominò curatori per la gestione dell’amministrazione delle acque Messalla Corvino, a cui furono assegnati come assistenti Postumio Sulpicio, un ex-pretore, e Lucio Cominio, che non aveva ancora esercitato delle magistrature. Furono loro accordate delle insegne come a dei magistrati e fu promulgato un senatoconsulto per regolare le loro funzioni. Suet., Divus Iulius, 30 (la riforma augustea dello spatium Urbis: XIV regiones e vici) Divise lo spazio della città di Roma in regioni e quartieri (regiones e vici, 7 a.C.) e stabilì che alle prime sovrintendessero magistrati annuali estratti a sorte, ai secondi invece dei capi-quartiere (magistri) scelti tra la plebe di ogni zona. Contro gli incendi ideò guardie notturne e vigili; per fermare le inondazioni fece allargare e pulire l’alveo del Tevere, da tempo pieno di detriti e ristretto dall’allargarsi degli edifici. Inoltre, affinché Roma fosse raggiunta più facilmente da ogni direzione, preso su di sé l’onere di riparare la via Flaminia sino a Rimini, distribuì tra gli uomini che avevano ricevuto il trionfo le altre strade da pavimentare con il denaro del bottino.

  • Roma, le XIV regiones augustee Strabo, Geografia, V, 3, 8 (una descrizione della Roma di Augusto) Questi dunque i vantaggi che la natura ha offerto alla città, ma i Romani, da parte loro, ne hanno aggiunti altri che derivano dalla loro accurata amministrazione […] Tanta è l’acqua condotta dagli acquedotti, da far scorrere fiumi attraverso la città e attraverso i condotti sotterranei: quasi ogni casa ha cisterne e fontane abbondanti, dovute per la maggior parte alla cura che se ne prese Marco Agrippa, che ha abbellito la città anche con molte altre costruzioni. Si potrebbe dire che i primi Romani hanno tenuto in poco conto la bellezza di Roma, volti ad obiettivi importanti e necessari; i successori poi, e specialmente i Romani di oggi e vicini ai nostri tempi, neppure in questo sono rimasti indietro, ma hanno riempito la città di molti e bei monumenti. E infatti Pompeo, il divo Cesare, Augusto e i suoi figli, gli amici, la moglie, la sorella hanno dispensato in gran quantità ogni loro cura e ogni spesa, aggiungendo così alla bellezza naturale anche gli ornamenti dovuti al’oculata cura che costoro se ne sono presa […] Il più notevole è il cosiddetto Mausoleo, grande tumulo che sorge su un’alta base di marmo bianco presso il fiume, interamente ricoperto sino alla sommità da alberi sempreverdi. Sulla sommità c’è una statua di bronzo di Cesare Augusto, mentre sotto il tumulo ci sono le tombe di lui stesso e dei suoi parenti e amici intimi; dietro c’è un grande bosco, che offre meravigliose passeggiate. Nel mezzo del Campo [Marzio] c’è un recinto, anch’esso di marmo bianco, costruito intorno all’ustrino, che ha una balaustra circolare in ferro, mentre all’interno ci sono piantati dei pioppi. Ancora se qualcuno, passando nell’antico foro, vede uno dopo l’altro i fori costruiti appresso, le basiliche, i templi, e, ancora, il Campidoglio con le opere che sono là e quelle del Palatino e del portico di Livia, facilmente potrebbe dimenticare tutto quello che sta fuori. Tale è dunque Roma. Res Gestae Divi Augusti, 19-21 (gli interventi edilizi di Augusto a Roma attraverso le sue parole) [19] Curiam et continens ei Chalcidicum templumque Apollinis in Palatio cum porticibus, aedem divi Iuli, Lupercal, porticum ad circum Flaminium, quam sum appellari passus ex nomine eius qui priorem eodem in solo fecerat, Octaviam, pulvinar ad circum maximum, aedes in Capitolio Iovis Feretri Iovis Tonantis, aedem Quirini, aedes Minervae et Iunonis Reginae et Iovis Libertatis in Aventino, aedem Larum in summa sacra via, aedem deum Penatium in Velia, aedem Iuventatis, aedem Matris Magnae in Palatio feci. [20] Capitolium et Pompeium theatrum utrumque opus impensa grandi refeci sine ulla inscriptione nominis mei. Rivos aquarum compluribus locis vetustate labentes refeci, et aquam quae Marcia appellatur duplicavi fonte novo in rivum eius inmisso. Forum Iulium et basilicam quae fuit inter aedem Castoris et aedem Saturni, coepta profligataque opera a patre meo, perfeci et eandem basilicam consumptam incendio, ampliato eius solo, sub titulo nominis filiorum meorum incohavi, et, si vivus non perfecissem, perfici ab heredibus meis iussi. Duo et octoginta templa deum in urbe consul sextum ex auctoritate senatus refeci nullo praetermisso quod eo tempore refici debebat. Consul septimum viam Flaminiam ab urbe Ariminum refeci

  • pontesque omnes praeter Mulvium et Minucium. [21] In privato solo Martis Ultoris templum forumque Augustum ex manibiis feci. Theatrum ad aedem Apollinis in solo magna ex parte a privatis empto feci, quod sub nomine M. Marcelli generi mei esset. Dona ex manibiis in Capitolio et in aede divi Iuli et in aede Apollinis et in aede Vestae et in templo Martis Ultoris consacravi, quae mihi constiterunt HS circiter milliens. Auri coronari pondo triginta et quinque millia municipiis et colonis Italiae conferentibus ad triumphos meos quintum consul remisi, et postea, quotienscumque imperator appellatus sum, aurum coronarium non accepi decernentibus municipiis et colonis aeque benigne adque antea decreverant. Plin. Nat. Hist., 3.46 (la discriptio Italiae di Augusto) Ora passerò in rassegna il territorio e le città dell’Italia... A questo proposito devo premettere che seguirò come autore il divino Augusto e la suddivisione (discriptio), fatta da lui, dell’Italia in undici regioni, procedendo però secondo il tracciato della costa. Quanto ai rapporti di vicinanza tra le singole città, ritengo impossibili mantenerli inalterati, almeno in un discorso affettato come è il mio; perciò riguardo alle città dell’interno, mi atterrò all’elencazione per ordine alfabetico, fatta dallo stesso Augusto, segnalando le varie colonie, come fece lui.

    La discriptio Italiae di Augusto Res gestae Divi Augusti, 28 (le colonie di Augsusto) [1] Colonias in Africa Sicilia Macedonia utraque Hispania Achaia Asia Syria Gallia Narbonensi Pisidia militum deduxi. [2] Italia autem XXVIII colonias, quae vivo me celeberrimae et frequentissimae fuerunt, me[a auctoritate] deductas habet. Le province Strabone, Geographia, 17.3.25 Le province [ἐπαρχίαι] sono state divise in epoche diverse e in modo diverso, ma ora sono come le ha organizzate Cesare Augusto. Infatti, quando la patria gli affidò il governo dell’impero ed egli ebbe a vita il potere in guerra e in pace, divise tutto il territorio in due parti e assegnò una parte a se stesso, l’altra al popolo: a se stesso quella parte che ha bisogno di un presidio militare, cioè la parte barbara e vicina a popolazioni non ancora domate oppure quella povera e difficile da coltivare, che oppone resistenza e non obbedisce a causa della penuria di tutto il resto tranne che di luoghi fortificati; al popolo l’altra parte, cioè quella pacificata e facile da governare senza armi. Divise poi l’una e l’altra in numerose province, delle quali le une sono dette di Cesare, le altre del popolo [αἱ μὲν καλοῦνται Καίσαρος αἱ δὲ τοῦ δήμου]. Alle province di Cesare, Cesare invia comandanti e amministratori, dividendo le zone ora in un

  • modo ora in un altro, a quelle del popolo il popolo invia pretori o consoli. Cassio Dione, Historia Romana, 53.12-13 (le province del popolo e le province di Cesare) …ma [Augusto] affermò che egli non avrebbe governato tutte le province e, pure in quante avesse lui stesso governato, non lo avrebbe fatto per sempre. Poi restituì al senato le [province] più deboli, in quanto pacificate e prive di guerre, tenne invece le più forti poiché erano insicure, pericolose e minacciate da nemici ai confini oppure a rischio di rivolte. A parole sosteneva che così facendo il senato avrebbe tratto con facilità profitto dalla parte migliore dell’impero, mentre a lui sarebbero toccate le fatiche e i pericoli, in realtà, con questa scusa, i senatori erano disarmati e impossibilitati a combattere, mentre egli era l’unico ad avere armi e soldati. [...] In un primo tempo introdusse la prassi che gli stessi senatori governassero entrambi i tipi di province, tranne quella d’Egitto (lì, per le ragioni che ho detto, mandò l’equestre sopra citato); poi ordinò che gli uni (cioè i governatori delle province senatorie) fossero annuali e scelti a sorte […]: questi erano inviati su decisione comune del senato, senza portare la spada né indossare l’armatura ed erano chiamati proconsoli [ἀνθύπατοι] (non solo i due che avevano ricoperto il consolato, ma anche gli altri che erano stati pretori o che erano stati immessi in senato in qualità di ex pretori); ciascuno aveva a disposizione lo stesso numero di littori che era costume avere anche in città e assumevano le insegne del potere non appena superavano il pomerio e le conservavano per tutto il tempo sino al loro rientro. Stabilì che gli altri (cioè i governatori delle province imperiali) fossero scelti da lui stesso e fossero chiamati legati Augusti pro praetore [πρεσβευταὶ αὐτοῦ ἀντιστράτηγοι], anche qualora fossero ex consoli. Di questi due titoli che erano a lungo esistiti durante la repubblica, egli diede il titolo di pretore (nella forma di propretore) agli inviati scelti da lui, in ragione del fatto che questa carica nei tempi più antichi era associata alla guerra; diede il titolo di console (nella forma di proconsole) agli altri, poiché i loro compiti erano pacifici I censimenti, i comitia, il senato Res Gestae Divi Augusti, 8 (1) Patriciorum numerum auxi consul quintum (29 a.C.) iussu populi et senatus. (2) Senatum ter legi. Et in consulatu sexto (28 a.C.) censum populi conlega M(arco) Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et quadragensimum fec[i]. Quo lustro civium Romanorum censa sunt capita quadragiens centum millia et sexag[i]nta tria millia. (3). Tum [iteru]m consulari cum imperio lustrum [s]olus feci C. Censorino et [C.] Asinio co(n)s(ulibus) (8 a.C.), quo lustro censa sunt civium Romanorum [capit]a quadragiens centum millia et ducenta triginta tria m[illia. (4) Et ter]tium consulari cum imperio lustrum conlega Ti. Cae[sare filio] m[eo feci], Sex. Pompeo et Sex. Appuleio co(n)s(ulibus) (14 d.C.), quo lustro ce[nsa sunt] civ[ium Ro]manorum capitum quadragiens centum mill[ia et n]onge[nta tr]iginta et septem millia. (5) Legibus novi[s] m[e auctore l]atis m[ulta e]xempla maiorum exolescentia iam ex nostro [saecul] red[uxi et ipse] multarum re[rum exe]mpla imitanda pos[teris tradidi]. Tabula Hebana (AE 1949, 215; M.H. Crawford, Roman Statutes, London 1996, I, nr. 27), vv. 1-13 Che si pongano sul Palatino, nel portico che è presso il tempio di Apollo, nel quale il senato è solito tenere le sue riunioni, tra le immagini degli uomini di grande ingegno, sopra i capitelli delle colonne che sono presso il tempio che custodisce la statua di Apollo, le immagini di Germanico Cesare e di Druso Germanico, suo padre naturale e fratello di Tiberio Cesare Augusto, che fu anch’egli uomo di grande ingegno. Che i Salii inseriscano nei loro canti il nome di Germanico Cesare per onorare la sua memoria, onore che fu reso anche a Gaio e Lucio Cesari, fratelli di Tiberio Cesare. E che alle dieci centurie dei Cesari, che sono solite votare sulla designazione [destinatio] di consoli e pretori, ne siano aggiunte altre cinque; e le prime dieci centurie che saranno chiamate siano dette di Gaio e Lucio Cesari, le cinque successive di Germanico Cesare; e in tutte quelle centurie esprimano il loro voto senatori e cavalieri di tutte le decurie che sono o saranno costituite per i processi pubblici; e chiunque convocherà nel recinto i senatori e coloro ai quali sarà lecito esprimere la propria opinione in senato e parimenti i cavalieri per votare per la designazione dei magistrati secondo la legge che i consoli Lucio Valerio Messalla Voleso e Gneo Cornelio Cinna Magno proposero, faccia in modo che i senatori e parimenti i cavalieri di tutte le decurie che sono o saranno create per i processi pubblici esprimano il loro voto nelle quindici decurie. Cass. Dio, Hist. Rom., 53.21.3-5 In particolare, prendeva come consiglieri per sei mesi i consoli – o il console quando lui stesso teneva il consolato – e un esponente di ogni altra magistratura, inoltre quindici uomini estratti a sorte dal rimanente gruppo dei senatori, così da introdurre l’uso che attraverso costoro l proposte di legge fossero comunicate in un certo modo anche agli altri senatori. Presentavano infatti alcune questioni anche all’intera assemblea senatoria, pur giudicando preferibile discutere con pochi in tranquillità la maggior parte e le più importanti. Faceva ciò anche quando amministrava la giustizia insieme con quelli [i senatori]

  • Uterque ordo: senatori ed equites CIL, IX 3306 = ILS 932, cfr. Suppl. It. 22, 2004, p. 136; PIR2, V 276 (Superaequum) Q. Vario Q.f. / Gemino, / leg(ato) divi Aug(usti) II, / proco(n)s(uli), pr(aetori), tr(ibuno) pl(ebis) / q(uaestori), quaesit(ori) iudic(i) / praef(ecto) frum(enti) dand(i), / Xvir(o) stl(itibus) iudic(andis), / curatori aedium sacr(arum) / monumentor(um)que public(orum) / tuendorum, / is primus omnium Paelign(orum) senator / factus est et eos honores gessit. / Superaequani publice / patrono. ILS 9007 = Supl.It., 5, 1989, p. 111 nr. 7; cfr. Suppl. It., 22, 2004, p. 138 nr. 7 (Superaequum) Q. Octavius L.f. C,n. T. pron. Ser(gia) / Sagitta, / IIvir quinq(uennalis) III, pṛaef(ectus) fab(rum), / prae(fectus) equi(tum), trib(unus) mil(itum) a popuḷọ, procurat(or) Caesaris / Augusti in Vindal ̣̣̣̣ic̲i̲s̲̲ et Raetis et in valle Poe/nina per̲ annos IIII, et in Hispania provincia / per annos X, et in Suria biennium. L’esercito Suet., Divus Augustus, 49, 1-2 (legiones e auxilia) Riguardo alle forze militari, distribuì nelle province le legioni e le truppe ausiliarie e stanziò per la difesa dei mari Superiore e Inferiore una flotta a Miseno e un’altra a Ravenna; le altre truppe le pose a difesa dell’Urbe, parte come guardia personale, dopo aver congedato la schiera dei Calagurritani che aveva tenuto con sé fino alla sconfitta di Antonio, e poi quella dei Germani che aveva tenuto invece fra le altre guardie del corpo sino alla disfatta di Varo [9 d.C.]. Tuttavia non tollerò mai che nell’Urbe vi fossero più di tre coorti e anch’esse senza accampamento fisso, mentre era solito inviare le altre nei loro quartieri invernali ed estivi presso le città vicine. Per tutte le truppe, dovunque fossero stanziate, regolò d’altra parte gli stipendi e i premi, avendoli definiti in base al grado, alla durata del servizio e ai vantaggi connessi con il congedo, affinché i soldati, dopo essere stati congedati, non potessero essere indotti alla rivolta a causa dell’età o della miseria. Res Gestae Divi Augusti, 17,2 (l’aerarium militare) Et M(arco) Lepido et L(ucio) Arruntio co(n)s(ulibus) [5 d.C.] in aerarium militare, quod ex consilio meo contitutum est, ex quo praemia darentur militi bus, qui vicena aut plura stipendia emeruissent ((sestertium)) milliens et semptigentis [centosettanta milioni di sesterzi] ex patrimonio meo detuli CIL, XIII 8648 cfr. p. 143 = AE 1955, 34 (la clades Variana: Xanten, stele funeraria con ritratti) …M. Caelio T.f. Lem(onia), Bon(onia) / ((centurioni)) leg(ionis) XIIX, ann(orum) LIII s(emissis). / [Ce]cidit bello Variano (Teutoburgo, 9 d.C.). Ossa / [h(uc) i]nferre licebit. P. Caelius T.f., / Lem(onia), frater, fecit.

  • L’estensione dell’impero tra Augusto e Traiano

    I successori di Augusto (da Tiberio a Commodo)

    Il regno di Claudio (41-54 d.C.) Tabula Clesiana (CIL, V 5050 = ILS 206 = FIRA, I2 nr. 71; cfr. E. Migliario, Il territorio trentino nella storia europea, vol. I, L’età antica, Trento 2011, pp. 165-168) – i provvedimenti di Claudio in merito alla cittadinanza romana Durante il consolato di Marco Giunio Silano e Quinto Sulpicio Camerino (46 d.C.), alle idi di marzo, a Baia, nel pretorio, fu affisso l'editto di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico che è trascritto qui sotto. Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, pontefice massimo, durante la sua sesta potestà tribunizia, dopo la sua undicesima acclamazione a imperatore, padre della patria, console designato per la quarta volta, dice: poiché, fra le antiche controversie in corso già dai tempi di mio zio Tiberio Cesare, per dirimere le quali - a mia memoria, solo quelle che esistevano fra i Comensi e i Bergalei - egli aveva inviato Pinario Apollinare, e poiché costui, in un primo tempo per l'ostinata assenza di mio zio, in seguito anche sotto il principato di Gaio, trascurò - non certo da sciocco - di produrre una relazione su quanto non gli veniva richiesto; e poiché successivamente Camurio Statuto notificò a me che i terreni e le foreste sono per la maggior parte di mia personale proprietà: ho inviato sul posto Giulio Planta, mio amico e compagno, il quale, convocati i miei procuratori - sia quelli che stavano in altra regione, sia quelli in zona -

  • con la massima precisione condusse l'indagine e istruì la questione; per tutte le altre questioni, delego a lui di dirimere e di decidere, secondo le soluzioni a me prospettate nella relazione da lui prodotta. Per quanto riguarda la condizione degli Anauni, dei Sinduni e dei Tulliassi, una parte dei quali si dice che il denunciante abbia scoperto essere attribuita ai Tridentini, una parte nemmeno attribuita, anche se mi rendo conto che questa categoria di persone non fonda la cittadinanza romana su un'origine sufficientemente assodata, tuttavia, poiché si dice che ne siano stati in possesso per lungo periodo d'uso, e che si siano talmente fusi con i Tridentini da non poterne essere separati senza grave danno per lo splendido municipio, permetto che per mia concessione essi continuino a stare nella condizione giuridica che ritenevano di avere, e tanto più perché parecchi della loro condizione si dice prestino servizio perfino nel mio pretorio, e che alcuni addirittura siano stati ufficiali della truppa, e che certuni inseriti nelle decurie a Roma vi facciano i giudici. Accordo loro tale beneficio, con la conseguenza che qualunque negozio abbiano concluso o qualunque azione giudiziaria abbiano intrapreso come se fossero stati cittadini romani, o fra di loro o con i Tridentini o con altri, ordino che sia ratificato; e i nomi da cittadini romani che avevano preso in precedenza, concedo loro di mantenerli (trad. E. MIGLIARIO). Tac., Ann., 11.23-24 (48 d.C.): il discorso di Claudio in merito all’ingresso dei primores della Gallia Comata in senato Nell’anno del consolato di Aulo Vitellio e Lucio Vipstano si discuteva dell’opportunità di aumentare il numero dei senatori e i notabili della Gallia Comata, che in precedenza avevano ottenuto trattati e la cittadinanza romana, rivendicavano il diritto di ottenere cariche a Roma. Vi erano parecchie e varie opinioni al riguardo e nel consiglio del princeps il dibattito era animato in entrambi i sensi: l’Italia – si diceva – non era così moribonda da non essere in grado di fornire nuovi senatori alla propria capitale [...] Claudio non si lasciò convincere da questi e da altri argomenti simili, ma subito li confutò e, convocato il senato, così parlò: «I miei antenati, il più antico dei quali Clauso di origine sabina fu accolto tanto nella cittadinanza romana quanto nel patriziato, mi esortano ad agire allo stesso modo nel governo dello stato, portando qui quanto di meglio vi sia altrove. So bene che i Giulii sono stati chiamati in senato da Alba, i Coruncanii da Camerio, i Porci da Tuscolo e, lasciando da parte l’antichità, altri ne vennero dall’Etruria, dalla Lucania e dall’Italia intera. L’Italia stessa ha di recente esteso i suoi confini fino alle Alpi, cosicché non solo individui, ma regioni e popoli interi si sono fusi con noi. Abbiamo goduto di una solida pace interna e della vittoria esterna quando i Transpadani sono stati accolti nella cittadinanza e noi con la scusa che le nostre legioni erano sparse per il mondo abbiamo aggiunto provinciali validissimi, risollevando le sorti di un impero in difficoltà. Dobbiamo forse pentirci del fatto che i Balbi siano giunti dalla Spagna e uomini non meno illustri dalla Gallia Narbonense? I loro discendenti sono qui e amano questa patria non meno di noi! Cos’altro causò la rovina di Ateniesi e Spartani, se non il fatto che, pur forti in guerra, trattavano i vinti come stranieri? Invece il nostro fondatore Romolo fu così saggio che, in più occasioni, vinse popoli ostili e li trasformò in cittadini nell’arco della stessa giornata. Alcuni nostri re erano stranieri, anche l’elezione alle magistrature di figli di liberti non è una pratica recente, come molti erroneamente credono, bensì comune nei tempi antichi. ‘Ma contro i Senoni abbiamo combattuto’, dite; e Volsci ed Equi non si sono mai schierati in battaglia contro di noi? ‘Siamo stati invasi dai Galli’; se è per questo, agli Etruschi abbiamo dato ostaggi e siamo passati sotto il giogo dei Sanniti. Tuttavia, se consideriamo tutte le nostre guerre, nessuna si è conclusa da meno tempo di quella contro i Galli: da allora la pace è stata continua e sicura. Si sono già assimilati a noi per usanze, cultura e parentele: lasciamo che ci portino anche il loro oro e le loro ricchezze, invece di tenerle separate! O padri coscritti, tutto quello che adesso ci sembra antichissimo una volta era nuovo: i magistrati plebei vennero dopo i patrizi, i Latini dopo i plebei, tutti gli altri popoli d’Italia dopo i Latini. Anche la presente innovazione invecchierà e ciò che ora giustifichiamo ricorrendo ai precedenti, diverrà un precedente» *Per la versione epigrafica del discorso di Claudio cfr. CIL, XIII 1668 = ILS 212 = FIRA, I2, nr. 43 Sen., Apocolokyntosis, 2, 2-3,3 (una parodia della politica di integrazione promossa da Claudio) Credo che si capirà di più se dirò: il mese era ottobre, il giorno il 13, l’ora non posso dirtela con precisione: più facilmente ci sarà accordo tra filosofi che tra orologi; e tuttavia era tra mezzogiorno e l’una […] Claudio cominciò a condurre fuori la sua anima, ma non riusciva a trovate l’uscita. Allora Mercurio, che si era sempre compiaciuto dell’intelletto di quello, prese in disparte una delle Parche e disse: “Perché, donna crudelissima, permetti che si tormenti un tale uomo? Non si riposerà mai, dopo essere stato così a lungo torturato? Sono sessantaquattro anni che lotta con la sua anima. Perché sei ostile a lui e allo Stato? Lascia che per una volta abbiano ragione gli astrologi, che da quando è principe ogni anno e ogni mese gli rendono gli onori funebri. E tuttavia non meraviglia il fatto che si sbaglino e che nessuno conosca la sua ultima ora, dato che nessuno lo ha mai considerato nato. Fa quello che bisogna fare: dagli la morte e lascia che uno migliore regni nella reggia liberata dalla sua presenza”. Ma Cloto: “Per Ercole – disse – avrei voluto accordargli ancora un poco di tempo da vivere, almeno finché non avesse concesso la cittadinanza a quei pochi che sono rimasti: infatti, si era posto come obiettivo di vedere togati tutti i Greci, i Galli, gli Spagnoli, i Britannici. Ma poiché è deciso che qualche straniero rimanga come semenza e tu così ordini, così sia”.

  • Claudio e i suoi potenti liberti Plin., Epist., 7.29.1-2 (la tomba di M. Antonius Pallas, procurator a rationibus di Claudio) C. Plinius Montano suo s(alutem). Ridebis, deinde indignaberis, deinde ridebis, si legeris, quod nisi legeris non potes credere. Est via Tiburtina intra primum lapidem — proxime adnotavi — monimentum Pallantis ita inscriptum: 'Huic senatus ob fidem pietatemque erga patronos ornamenta praetoria decrevit et sestertium centies quinquagies, cuius honore contentus fuit.' Gaio Plinio saluta il suo Montano. Riderai, poi ti indignerai, se leggerai ciò che se tu non lo leggessi non potresti credere. Sulla via Tiburtina, entro il primo miglio (or ora lo osserverai) c’è il monumento funebre di Pallante, con la seguente iscrizione: “ Per la sua fedeltà e devozione verso i patroni, a costui il senato conferì le insegne pretorie e quindici milioni di sesterzi, ma egli si accontentò del solo onore” [riferimento a senatusconsultum del 52 d,C.] cfr. Lex. Top. Urbis Romae – Suburbium, IV. 2006, p. 155, s.v. Pallantis Monumentum (Z. Mari)] CIL, XV, 7500 b = ILS 1666 (Roma, fistula da via IV Novembre) Narcissi Aug(usti) l(iberti) ab epistul(is) (scil. aqua).

    La conquista della Britannia (43 d.C.) CIL, VI 920, cfr. 31203 e pp. 841, 3777 = 40416 (Roma, via del Corso, 51-52 d.C.) Ti(berio) Clau[dio Drusi f(ilio) Cai]sa̲̲r̲i ̲/ Augu[sto Germani]co̲̲, / pontific[i maxim(o), trib(unicia) potes]ta̲̲t(̲e) X̲̲̅I ̲ ̲̅, / co(n)s(uli) V̅, im[p(eratori) XXII (?), cens(ori), patri pa]tr̲̲ia̲̲i,̲ / senatus po[pulusque] R̲o̲[manus, q]u̲o̲d̲ / reges Brit[annorum] X̲I ̲d̲[iebus paucis sine] / ulla iactur[a devicerit et regna eorum] / gentesque b[arbaras trans Oceanum sitas] /prìmus in dicị[onem populi Romani redegerit].

    Claudio e il pomerio di Roma CIL, VI 40852 (Roma, via Flaminia 52, 49 d.C.)

    〈:in vertice〉Pomerium //〈:in fronte〉 Ti(berius) Claudius Drusi f(ilius) Caisar / Aug(ustus) Germanicus, / pont(ifex) max(imus), trib(unicia) pot(estate) / V̅II̅I̅I̅,̅ imp(erator) XVI, co(n)s(ul) II̅I̅I̅,̅ / censor, p(ater) p(atriae), /

  • auctis populi Romani / finibus, pomerium ampliavit terminavitq(ue). //〈:in latere sinistro〉CXXXIX.

    Claudio e i cristiani Suet., Divus Claudius, 25,4 Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit. Nerone (54-68 d.C.) CIL, VI 40307 (Roma, piazza del Colosseo – scavo della Meta Sudans; 55-56 d.C.):

    〈col. I〉Imp(eratori) Caisari Divi f(ilio) /Augusto, / pontifici maximo, co(n)s(uli) X̅I,̅ / tribunicia potestat(e) XI.

    〈col. II〉Neroni Claudio Divi / Claudii f(ilio), / Germanici Caisaris n(epoti), / Ti(beri) Caisaris Aug(usti) pron(epoti), / Divi Augusti abn(epoti), / Caisari Aug(usto) Germanico, pont(ifici) / max(imo), trib(unicia) potest(ate) II̅,̅ imp(eratori), co(n)s(uli).

    〈col. III〉Ti(berio) Claudio Drusi f(ilio) / Caisari Augusto / Germanico, pontifici / maximo, tribunicia pot(estate), / imp(eratori), co(n)s(uli) II̅.̅

    〈col. IV〉Iuliae Au[gustae] / Agri[ppinae] / Germanic[i Caisaris f(iliae)] / divi Cla[udi uxori]. /

  • arrestati quanti si professavano cristiani; poi, su loro denuncia, venne condannata una quantità enorme di altri, non tanto per l'incendio, quanto per il loro odio contro il genere umano. Quanti andavano a morire subivano anche oltraggi, come venire coperti di pelli di animali selvatici ed essere sbranati dai cani, oppure crocefissi ed arsi vivi come torce, per servire, al calar della sera, da illuminazione notturna. Per tali spettacoli Nerone aveva aperto i suoi giardini e offriva giochi nel circo, mescolandosi alla plebe in veste d'auriga o mostrandosi ritto su un cocchio. Per cui, benché si trattasse di colpevoli, che avevano meritato punizioni così particolari, nasceva nei loro confronti anche la pietà, perché vittime sacrificate non al pubblico bene bensì alla crudeltà di uno solo.

  • (La dinastia giulio-claudia) La dinastia dei Flavi (69-96 d.C.) Tac., Hist., 1.4.2 Finis Neronis ut laetus primo gaudentium impetu fuerat, ita varios motus animorum non modo in urbe apud patres aut populum aut urbanum militem, sed omnis legiones ducesque conciverat, evulgato imperii arcano posse principem alibi quam Romae fieri La morte di Nerone, come era stata fonte di gioia con un iniziale impeto di coloro che si rallegravano, così aveva suscitato sentimenti diversi non solo a Roma tra i senatori o il popolo o le truppe di stanza in città, ma anche tra tutte le legioni e i comandanti, essendosi svelato il segreto dell’impero: che l’imperatore poteva essere creato anche fuori da Roma. Tac., Hist., 1.16 «Se l’immenso corpo dell’impero potesse reggersi e stare in equilibrio senza un reggente, sarebbe allora meglio che con me iniziasse una repubblica. Ma per come stanno le cose, abbiamo da tempo raggiunto la condizione che, adesso, la mia vecchiaia non può dare al popolo romano niente di meglio di un buon successore – e la tua giovinezza un buon princeps. Siamo passati da Tiberio, a Gaio e a Claudio quasi come l’eredità di un’unica famiglia; al posto della libertà avremo la possibilità di sceglierci ora il princeps. Esaurita la casata dei Giulio-Claudi, l’adozione sceglierà il migliore. Infatti, essere generato e nascere da un princeps è casuale e non c’è altro da dire, invece la facoltà di adottare è libera e, se vuoi scegliere, il consenso di tutti individua la persona. Teniamo ben presente Nerone, che orgoglioso di discendere da una lunga serie di Cesari, fu tirato giù dalle spalle del popolo non da Vindice con una provincia disarmata, non da me con una sola legione, ma dalla sua indole mostruosa, dalla sua stravaganza! Prima d’ora non esistevano precedenti di principes condannati. Noi, chiamati al potere dalla guerra e dal giudizio sul nostro valore, saremo oggetto d’invidia a prescindere dalle azioni onorevoli che faremo. Non temere se ci sono ancora due legioni in rivolta in un mondo scosso fin nelle sue fondamenta. Io stesso non sono arrivato al potere con sicurezza e

  • quando si saprà della tua adozione smetterò di sembrare un uomo anziano, che è il mio unico ostacolo. I peggiori rimpiangeranno sempre Nerone: il mio e il tuo compito è evitare che i migliori facciano lo stesso. Ma non è più tempo di parlare ancora, avrò fatto il mio dovere se tu sarai una buona scelta. Il mezzo più utile e più rapido per distinguere il bene dal male è pensare a ciò che avresti o non avresti desiderato sotto un altro princeps. Infatti qui non c’è, come tra i popoli soggetti a un re, una casata di regnanti definita e un popolo intero di schiavi; tu sei chiamato a comandare su uomini che non tollerano una schiavitù completa ma non sanno essere del tutto liberi». Galba parlò a Pisone più o meno così, come se stesse per creare un princeps, mentre gli altri si rivolgevano a lui come se lo fosse già. Le prerogative dell’imperatore Lex de imperio Vespasiani (CIL, VI 930, cfr. pp. 3070, 3777,4307, 4340 = ILS 244, Roma, 69-70 d.C.)

    ...o gli sia consentito stipulare trattati con chi vuole, così come fu consentito al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto, a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. Gli sia consentito convocare il senato, proporre mozioni, riferire, proporre senatoconsulti per relationem e per discessionem, così come fu consentito al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto, a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. Quando una seduta del senato è indetta per sua volontà, autorità, ordine, mandato o in sua presenza, tutto quello che lì si decide abbia e mantenga valore legale (ius), come se la seduta del senato fosse stata indetta e svolta in ottemperanza a una legge (e lege). Qualunque candidato a una magistratura, potere, imperium, incarico che lui raccomanda al senato o al popolo romano, o al quale egli dà o promette il suo appoggio elettorale, ottenga una considerazione speciale (extra ordinem) nei comizi. Gli sia consentito spostare e allargare i confini del pomerium quando lo ritiene utile per lo stato, così come fu consentito a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. Egli abbia il diritto e il potere di fare tutto quello che riterrà utile per lo stato e degno degli interessi divini, umani, pubblici e privati, così come era stato concesso al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto e a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. L’imperator Cesare Vespasiano sia sciolto dall’osservanza delle leggi e dei plebisciti dai quali erano formalmente dispensati il divino Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto e Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. All’imperator Cesare Vespasiano Augusto sia permesso fare tutto quello che il divino Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto e Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico ebbero l’opportunità di fare con leggi o plebisciti. Tutto quello che è stato fatto,

  • compiuto, decretato e ordinato, prima di questa legge, dall’imperator Cesare Vespasiano Augusto o da chiunque su sua delega, sia ritenuto conforme al diritto come se fosse stato fatto su ordine del popolo o della plebe. SANZIONE: Se in conseguenza di questa legge qualcuno ha fatto o fa qualcosa di contrario a leggi, rogazioni, plebisciti, senatoconsulti, oppure se, in conseguenza di questa legge, non ottempera a una legge, rogazione, plebiscito, senatoconsulto, ciò non gli vada a detrimento, non debba per questo pagare alcunché al popolo, non vi siano processi o giudizi su questo, nessuno proceda contro di lui per questo Il trionfo giudaico e la costruzione del Colosseo CIL, VI 40454 a (Roma, Colosseo)

    CIL, VI 944 cfr. pp. 3070, 3777, 4308 = ILS 264; cfr. M.G. Granino Cecere, in BCAR, 118, 2017, pp. 229-235 (Roma, Circo Massimo, 81 d.C.) Senatus / populusq(ue) Romanus / Imp(eratori) Tito Caesari Divi Vespasiani f(ilio) Vespasian[o] Augusto / pontif(ici) max(imo), trib(unicia) pot(estate) X, imp(eratori) XVII, [c]o(n)s(uli) VIII, p(atri) p(atriae), principi suo / quod praeceptis patri[is] consiliisq(ue) et auspiciis gentem / Iudaeorum domuit et urbem Hierusolymam omnibus ante se ducibus / , regibus, gentibus aut frustra petitam aut omnino intemptatam delevit. Il senato e il popolo romano all’imperatore Tito Cesare Vespasiano Augusto, figlio del divo Vespasiano, pontefice massimo, nella decima potestà tribunizia, acclamato imperator per la diciassettesima volta, console per l’ottava volta, padre della patria, suo principe, perché secondo gli ordini e gli auspici del padre, soggiogò il popolo giudaico e distrusse la città di Gerusalemme, prima di lui o o invano assalita o addirittura completamente intoccata da tutti i generali, re, popoli. Vespasiano e il ius Latii agli abitanti delle Hispaniae Plin., Nat. Hist., IIII, 4, 30 Metallis plumbi, ferri, aeris, argenti, auri tota ferme Hispania scatet, citerior et specularis lapidis, Baetica et minio. sunt et marmorum lapidicinae. Universae Hispaniae Vespasianus Imperator Augustus iactatum procellis rei publicae Latium tribuit. Quasi tutta la Spagna abbonda di miniere di piombo, ferro, rame, argento, oro; in particolare la Citeriore è ricca anche di pietra speculare; la Betica di minio. Vi sono anche cave di marmo. All’intera Spagna l’imperatore Vespasiano concesse il diritto latino, nel tempo in cui il Lazio era squassato dalle bufere della guerra civile.

  • La damnatio memoriae di Domiziano Suet., Domitianus, 23. Il popolo accolse con indifferenza la notizia della sua [di Domiziano] uccisione, i soldati invece con grande sdegno, e cercarono subito di divinizzarlo, pronti anche a vendicarlo, se non fossero venuti meno i comandanti; cosa che invero fecero poco dopo, chiedendo con insistenza la punizione dei responsabili del delitto. Il senato, al contrario, si rallegrò tanto che, dopo aver affollato la Curia, non poté trattenersi dal vilipendere a gara il defunto con le invettive più ingiuriose e violente, e anche dall’ordinare che fossero portate delle scale per staccare, seduta stante, gli scudi e i ritratti di Domiziano e abbatterli al suolo, e infine dal decretare che si eliminassero ovunque le tutte le iscrizioni e si cancellasse la sua memoria. Nerva (96-98 d.C.) e Traiano (98-117 d.C.): gli inizi del principato adottivo Tac., Agricola, 3,1 Ora finalmente ritorna l’animo; e sebbene al primo sorgere del suo regno subito felicissimo, Nerva Cesare abbia unito cose un tempo inconciliabili, principato e libertà, e Nerva Traiano accresca ogni giorno la felicità dei tempi, e la sicurezza pubblica non solo abbia creato speranze e desideri, ma anche la salda fiducia in quegli stessi desideri, tuttavia per la natura dell’infermità umana, i rimedi sono più lenti dei mali. Le provvidenze di Traiano CIL,V 5894 = ILS 298 (Ancona, porto, 114-115 d.C.)

    Plotinae / Aug(ustae), / coniugi Aug(usti). // Imp(eratori) Caesari, dìvì Nervae f(ilio), Nervae / Traiano Optimo Aug(usto) Germanic(o) / Dacico, pont(ifici) max(imo), tr(ibunicia) pot(estate) / X̅V̅II̅I̅I̅ ̅ , imp(eratori) IX̅̅, / co(n)s(uli) V̅I,̅ p(atri) p(atriae), providentissimo principi. / Senatus p(opulus)q(ue) R(omanus), quod accessum / Italiae, hoc etiam addito ex pecunia sua / portu, tutiorem navigantibus reddiderit. // Divae / Marcianae / Aug(ustae), / sorori Aug(usti).

  • Il porto di Ostia (Fiumicino) Il sistema degli alimenta Cass. Dio, 58.5 Dopo che fu arrivato a Roma, realizzò molte opere per riformare l’assetto dello stato e per ingraziarsi gli uomini onesti; conferì un’inusuale attenzione agli affari pubblici, per esempio facendo molti doni alle città d’Italia per garantire l’allevamento dei fanciulli e ai cittadini benemeriti concesse molti favori. CIL, IX 1455 = ILS 6509 = FIRA, III, 117, vv. 1-4 (Ligures Baebiani [Circello], 101 d.C.) [Imp(eratore) Caes(are)] Nerva Traiano Aug(usto) G[ermanic]o IIII / [Q(uinto)] Articuleio Paeto [co(n)s(ulibus)] / [qui i(nfra) s(cripti) s(unt) ex praecepto Optim]i Maximiq(ue) principis obligarunt prae[dia ut ex em]pto Ligures Baebiani / [usuras semestres i(nfra) s(cripti) percipiant e]t ex indulgentia eius pueri puellaeq(ue) a[limenta a]ccipiant //…

    Fornice dell’arco di Traiano a Benevento: rilievo con rappresentazione dell’institutio alimentaria

  • Gli Antonini Uffici dell’amministrazione centrale (a partire da Claudio) -a rationibus (cavaliere a partire da Traiano) -a censibus (cavaliere a partire da Adriano) -a commentariis (dall’età flavia) - a studiis (cavaliere a partire da Adriano) - a memoria (a partire da Adriano) - ab epistulis (cavaliere a partire da Traiano) - a libellis (cavaliere a partire da Adriano) - a cognitionibus - a declamationibus - a patrimonio SHA, Hadrianus, 22.8 Ab epistulis et a libellis primus equites Romanos habuit. Per primo (Adriano) ebbe dei cavalieri romani come segretari addetti alla corrispondenza e all’esame delle petizioni. SHA, Hadrianus, 22.13 Quattuor consulares per omnem Italiam iudices constituit. (Adriano) Nominò quattro ex consoli come giudici per tutta l’Italia. SHA., Marcus., 11.6 Datis iuridicis Italiae consuluit ad id exemplum, quo Hadrianus consulares viros reddere iura praeceperat Assegnati dei giudici (iuridici [di rango pretorio]) all’Italia provvide seguendo l’esempio di Adriano che aveva stabilito che ex consoli amministrassero la giustizia. SHA, Marcus, 11.8 Leges etiam addidit de vicensima hereditatum, de tutelis libertorum, de bonis maternis et item de filiorum successionibus pro parte materna, utque senatores peregrini quartam partem in Italia possiderent. Introdusse anche nuove leggi concernenti l’imposta sulle eredità [istituita da Augusto], la tutela dei liberti, i beni materni, e anche la successione dei figli nel possesso dell’eredità materna, e sull’obbligo dei senatori provinciali si investire ¼ del loro patrimonio fondiario in Italia Oros., Historiae contra paganos, 7.13.1-5 (la repressione della rivolta in Giudea, 132-135 d.C.) Nell’anno 867 dalla fondazione di Roma [117 d.C.], Adriano, figlio di una cugina di Traiano, ottenne il principato come dodicesimo Augusto, e regnò per ventun anni […] Con un’ultima strage ridusse all’obbedienza i Giudei che, inaspriti dal disordine provocato dai loro stessi crimini, si erano dati al saccheggio della provincia di Palestina, già loro possesso ; e vendicò i Cristiani che essi, guidata da Cocheba [Bar Kokhba], tormentavano perché non inclini ad appoggiarli contro i Romani ; dispose anche che a nessun Giudeo fosse permesso, e ai soli Cristiani consentito, di entrare in Gerusalemme, città che egli rimise in ottimo stato con la costruzione di nuove mura e che volle chiamata Elia (Aelia Capitolina) dal suo prenome. SHA, Antoninus, 2, 9-11 (Il futuro imperatore Antonino Pio) rivestì la questura, dando prova di liberalità, la pretura, che esercitò con signorile larghezza, e infine il consolato, insieme a Catilio Severo [120 d.C.]. In tutti i periodi della sua vita, trascorsi libero da pubbliche incombenze, si ritirava assai di frequente in campagna, ma era assai ben conosciuto ovunque. Adriano lo elesse tra i quattro consolari a cui era affidato il governo dell’Italia, assegnandogli l’amministrazione di quella parte in cui egli aveva estesi possedimenti, così da garantire a un tempo prestigio e tranquillità di vita a un uomo così valente. CIL, XIV 2070 = ILS 6183 (base di statua onoraria, Lavinium) Divo Antonino Aug(usto) / senatus populusque Laurens, / quod privilegia eorum non modo / custodierit, sed etiam / ampliaverit, curatore / M. Annio Sabino Libone c(larissimo) v(iro), / curantibus Ti. Iulio Nepotiano / et P. Aemilio Egnatiano praet(oribis) // II q(uin)q(uennalibus) Laurentium / Lavinatium.

  • Medaglione bronzeo di Antonino Pio (cfr. A. Chiappini, Scritti in memoria di Roberto Pretagostini, II, Roma 2009, pp. 907-913) La peste antonina SHA, Verus, 8, 1-3 Il suo destino volle che in tutte le province per cui passò tornando a Roma, egli apparisse quale portatore di pestilenza. In realtà si dice che la pestilenza abbia avuto origine in Babilonia, dove da un forziere d’oro del tempio di Apollo, che per avventura un soldato aveva forzato, sarebbe spirato fuori il germe appestante, che di lì diffuse il contagio fra i Parti e in tutto il mondo ; e questo non per colpa di Vero, ma di (Avidio) Cassio, che mancando di parola, espugnò Seleucia, città che aveva accolto come amici i nostri soldati. Amm. Marc., XXIII, 6, 24 Dopo che Seleucia fu espugnata dai generali di Vero Cesare (come abbiamo narrato in precedenza), la statua di Apollo Comeo (= Cumeo) fu tolta dalla sua sede e portata a Roma e i sacerdoti la collocarono nel tempio di Apollo Palatino. Si racconta che dopo il rapimento di questa statua, mentre la città era in fiamme, alcuni soldati, che rovistavano nel tempio trovarono un foro angusto e apertolo, sperando di trovare qualcosa di prezioso, da un recesso chiuso con formule magiche dei Caldei, balzò fuori una pestilenza primordiale che, prodotta dalla violenza di insanabili malattie, all’epoca dello stesso Vero e di Marco Antonino contaminò con contagi e morti tutto l’impero dagli stessi confini della Persia fino alla Gallia e al Reno. CIL, III 5567 cfr. p. 238,201 = ILLPRON, 1508 (Bedaium - Noricum, 182 d.C.) D(is) M(anibus). / Iul(ius) Victor, Martial(is) f(ilius), / ob(itus) an(norum) LV, / Bessa Iuvenis f(ilia) ux(or) ((obita)) an(norum) XLV, / Novella Essibni f(ilia) ob(ita) a(nnorum) XVIII, / Victorinus parentib(us) / et coniugi et Victorinae / fil(iae) fecit / qui per luem vita functi sunt Mamertino et Rufo co(n)s(ulibus) [= 182 d.C.], / et Aur(elio) Iustino fratri mil(iti) / leg(ionis) II Ital(icae) stipend(iorum) X ((obito)) a(nnorum) XXX. Agli Dèi Mani. Giulio Vittore, figlio di Marziale, morto all’età di 55 anni, la moglie Bessa, figlia di Iuvene, morta all’età di 45 anni, Novella, figlia di Essibne, morta all’età di 18. Vittorino fece (questo monumento) per i genitori, per la moglie e la figlia Vittorina, morti di peste nell’anno del consolato di Mamertino e Rufo e per il fratello Aurelio Giustino, soldato della II legione Italica, al suo decimo anno di milizia, morto all’età di 30 anni. SHA, Marcus, 13 Mentre era ancora in corso la guerra partica, scoppiò quella marcomannica […] Una volta tornato il fratello dopo un quinquennio [trascorso in Oriente] Marco affrontò l’argomento in senato, asserendo che per la guerra con i Germani erano necessari entrambi gli imperatori. E il timore per questa guerra marcomannica fu così grande, che (Marco) Antonino fece venire da ogni parte sacerdoti, fece compiere cerimonie religiose straniere, purificò la città di Roma in ogni modo; e ritardando la partenza per il fronte di guerra fece anche celebrare per sette giorni i banchetti degli dei secondo il rituale romano. Vi fu una pestilenza così virulenta che per portare via i cadaveri si usarono carri e carrozze. […] Amm. Marc., XXIX, 6, 1 Quadorum natio motu est excita repentino, parum nunc formidanda, sed inmensum quantum antehac bellatrix et potens, ut indicant properata quondam raptu proclivi, obsessaque ab isdem Marcomannisque Aquileia diu

  • Opitergiumque excisum et cruenta conplura perceleri acta procinctu, vix resistente perruptis Alpibus Iuliis principe Pio, quem ante docuimus, Marco. La nazione dei Quadi si sollevò repentinamente e da loro e dai Marcomanni fu assediata a lungo Aquileia e fu rasa al suolo Oderzo, e molte altre spedizioni sanguinose furono compiute con rapidi assalti, tanto che a stento, varcate le Alpi Giulie, poté opporsi a loro l’imperatore Marco Pio, di cui abbiamo già parlato in precedenza. Cass. Dio, LXXII, 8 Così Marco Aurelio sottomise i Marcomanni e gli Iazigi, dopo molte lotte e pericoli. Gli capitò anche una grande guerra contro la popolazione chiamata dei Quadi e gli capitò la fortuna di vincerli inaspettatamente, o piuttosto la vittoria gli fu donata dal cielo. Infatti, mentre i Romani erano in pericolo durante la battaglia, il potere divino li salvò in modo del tutto inaspettato. I Quadi li avevano circondati in un luogo favorevole per loro e i Romani combatterono animosamente con gli scudi legati l’uno all’altro; allora i barbari sospesero la battaglia, pensando di prenderli facilmente per il caldo e la sete. Quindi, avendo chiuso i passaggi tutto intorno, li circondarono in modo che non potessero prendere acqua da nessuna parte; i barbari infatti erano molto superiori di numero. I Romani dunque erano in una situazione disastrosa per il caldo e le ferite, per il sole e la sete e così non potevano né combattere né ritirarsi, ma stavano schierati e ai loro posti, bruciati dal sole, quando improvvisamente si raccolsero molte nuvole e cadde una pioggia abbondante non senza interposizione divina. E vi è infatti una storia secondo la quale un certo Arnufis, un mago egiziano che accompagnava Marco Aurelio, avrebbe invocato alcuni demoni e in particolare Ermes, dio dell’aria, con degli incantesimi e in questo modo avrebbe attirato la pioggia. Inscriptiones Aquileiae, I, 234 Ἀρνοῦφις / ἱερογραμματεὺς / τῆς Αἰγύπτου καὶ /Τερέντ(ιος) Πρεῖσκος / Θεᾷ ∙ Ἐπιφανεῖ (“alla dea che si manifesta”).

    Roma, piazza Colonna, Colonna antonina (particolare del rilievo con “miracolo della pioggia)

  • L’età dei Severi (193-235 d.C.) Cass. Dio, 75.7 (l’adozione ‘postuma’ di Settimio Severo) Più di tutto recò spavento al senato, poiché si diceva figlio di Marco (Aurelio) e fratello di Commodo. A Commodo, al quale inizialmente era stato prodigo di ingiurie, attribuì gli onori eroici. SHA, Severus, 12, 1-4 (le proscrizioni) Furono uccisi un gran numero di sostenitori di Albino e tra essi molti dei cittadini più in vista della città e molte donne di nobile famiglia; i beni di tutti costoro furono confiscati e andarono ad accrescere l’erario; vennero allora uccisi anche molti maggiorenti ispanici e gallici. Diede così ai soldati stipendi quali nessun altro imperatore aveva dato. E anche ai figli, grazie alle proscrizioni, lasciò una fortuna tale che mai nessun imperatore aveva lasciato, poiché aveva reso di proprietà imperiale la gran parte dell’oro raccolto per le Gallie, le Spagne e l’Italia. Ed allora, per la prima volta, fu istituito un ufficio per l’amministrazione della res privata.

    CIL, III 1464 cfr. p. 1407 = ILS 1370 = IDR, III,2, 100 = AE 1980, 758 (Sarmizegetusa, 244-249 d.C.; cfr. PIR2, V 794)

    Ulpio [---] / proc(uratori) Aug[[g(ustorum)]] pr[ov(inciae)] / Dac(iae) Apul(ensis) a(genti) v(ice) p(raesidis) item / proc(uratori) prov(inciae) Porol(issensis) sub/praef(ecto) annon(ae) sacrae / urbis praep(osito) leg(ionis) VII Gem(inae) / [[Philip(pianae)]] / item proc(uratori) stat(ionis) / privat(ae) per Tusciam et / Picenum item proc(uratori) ad / bona Plautiani trib(uno) / mil(itum) leg(ionis) II Part(hicae) [[Philip(pianae)]] / praep(osito) vexill(ationis) auxiliar(iorum) / Pann(oniae) infer(ioris) praef(ecto) coh(ortis) / VII Breucor(um) / Siscius Valerius |(centurio) leg(ionis) XIII Gem(inae) [[Philip(pianae)]] / patrono optimo.

    Herod., Ab excessu divi Marci, III, 8,4-5 (Settimio Severo e l’esercito) Dunque Severo, dopo essersi recato al tempio di Giove e dopo aver compiuto anche gli altri sacrifici rituali, si ritirò nel palazzo imperiale e concesse al popolo per le vittorie ottenute generose largizioni di cibo. Alle truppe diede un rilevante donativo e concesse anche altri privilegi che prima non avevano; infatti per primo aumentò il loro stipendio, permise che portassero l’anello d’oro e contraessero matrimoni legittimi, tutte cose ritenute nocive per la disciplina militare e la capacità guerriera. Ed egli fu il primo che minò la loro forza, l’austerità, la resistenza alle fatiche, l’obbedienza e il rispetto dei capi, insegnando loro a desiderare la ricchezza e abituandoli al lusso.

    CIL, VI 1033 cfr. pp. 3071, 3777, 4318, 4340, 4351 (Roma, Foro Romano, 202-203 d.C.)

    Ìmp(eratori) Caes(ari) Lucio Septimio M(arci) fil(io) Severo Pio Pertinaci Aug(usto) patri patriae Parthico Arabico et / Parthico Adiabenico, pontific(i) maximo, tribunic(ia) potest(ate) X̅I,̅ ìmp(eratori) X̅I,̅ co(n)s(uli) II̅I̅,̅ proco(n)s(uli) et / Ìmp(eratori) Caes(ari) M(arco) Aurelio L(uci) fil(io) Antonino Aug(usto) Pio Felici, tribunic(ia) potest(ate) V̅I,̅ co(n)s(uli),

  • proco(n)s(uli), 《p(atri) p(atriae)》, /《optimis fortissimisque principibus》/ ob rem publicam restitutam imperiumque populi Romani propagatum /insignibus virtutibus eorum domi forisque s(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus). SHA, Severus, 23.1-2 (Settimio Severo e Roma) (1) Restano in moltissime città importanti sue opere pubbliche. Ma soprattutto questo ne dimostra il senso civico, il fatto che abbia restaurato a Roma tutti gli edifici pubblici pericolanti per la loro vetustà senza quasi mai aggiungere il proprio nome ed anzi conservando sempre le iscrizioni relative a coloro che li avevano fatti erigere. (2) Alla sua morte lasciò una quantità di grano corrispondente al canone di sette anni, tale da poter distribuire 75.000 modii al giorno. Quanto all’olio ve ne era una riserva sufficiente a soddisfare per cinque anni non solo il fabbisogno di Roma, ma di tutta l’Italia che ne ha penuria. SHA, Severus, 19, 5 Le sue principali opere pubbliche ancora oggi esistenti sono il Settizonio e le terme Severiane e anche le Settimiane, a Trastevere, nei pressi della porta urbica a lui intitolata; il crollo dell’acquedotto che le serviva ne impedì da subito l’uso pubblico. CIL, VI 29844, 23 (Roma, frammento della Forma urbis severiana, Foro della Pace)

    CIL, VI 1620 cfr. pp. 854, 3163, 3811, 4720 = ILS 1342 (Roma, 117-161 d.C.) C̲(aio) Iu̲̲n̲io̲̲ C̲(ai) f(̲ilio) Q̲u̲ir̲̲(ina) / Fl̲a̲̲v̲ia̲̲n̲o̲, / p̲r̲a̲̲e̲fe̲̲ct̲o̲̲ a̲n̲n̲o̲n̲a̲e̲, / p̲r̲o̲c(̲uratori) a̲ r̲a̲ti̲o̲̲n̲ib̲̲u̲s̲, p̲r̲o̲c(̲uratori) / p̲r̲o̲v̲in̲̲ci̲a̲̲r̲u̲m̲ Lu̲̲g̲d̲u̲n̲e̲si̲s̲ ̲ / e̲t ̲ A̲q̲u̲it̲a̲̲ṇịcae, proc(uratori) hẹr̲e̲d̲it̲a̲̲t(̲ium), / p̲r̲o̲c(̲uratori) H̲is̲p̲aniae citer̲io̲̲r̲is̲̲ / p̲e̲r̲ A̲st̲u̲̲r̲icam et Callae̲ci̲a̲̲m̲, / p̲r̲o̲c(̲uratori) A̲lp̲̲ium maritimạr̲u̲m̲ / p̲r̲o̲ m̲a̲g̲is̲t̲r̲o ((vicesimae)) hereditati̲u̲̲m̲, / tr̲̲ib̲̲(uno) m̲il̲(̲itum) le̲̲g̲(ionis) V̅II̅ ̅Gem(inae), pontif(ici) min̲̲o̲r̲i,̲ / m̲e̲r̲ca̲̲to̲̲res frumentạr̲i(̲i) / e̲t̲ o̲le̲̲a̲r̲i(̲i) Afrari.

    CIL, XV 4114 (Roma, monte Testaccio)

    α CVIIII

    β Fisci rationis patrimoni(i) / provinciae Baeticae

    γ (desideratur)

    δ R(ecognitum) Astigis arca p(ondo) [---] / Secundus Grato e(t) Sel[euco co(n)s(ulibus)] (221 d.C.)

    ε (desideratur)

  • SHA, Severus, 18,3 (le provvidenze di Settimio Severo) Rese del tutto sicura la Tripolitania, sua terra di origine, dopo aver sconfitto popolazioni particolarmente bellicose e assicurò stabilmente al popolo romano una razione giornaliera gratuita di olio. Papyrus Gissensis, 40,1 = FIRA, I2, nr. 88 (Constitutio Antoniniana de civitate, 212 d.C.)

    L’imperatore Cesare Marco Aurelio Severo Antonino Augusto dice: “Ora poi […], messe da parte le accuse e i libelli, bisogna piuttosto cercare come io possa rendere grazie agli dèi immortali, poiché con tale vittoria […] mi salvarono. Pertanto io credo di poter così soddisfare la loro maestà in modo magnifico e conforme alla religione, se conduco al culto degli déi i peregrini una volta che siano entrati a far parte dei miei sudditi. Concedo dunque la cittadinanza romana a tutti i peregrini che vivono nell’impero, pur conservando ogni genere di organizzazione cittadina, tranne i dediticii […]

  • Cass. Dio, LXXVII, 9, 4-6 […] e le tasse, sia quelle nuove da lui istituite, sia la tassa del 10% che egli creò al posto della tassa del 5% sulla manomissione degli schiavi e su tutti i lasciti testamentari, avendo egli abolito il diritto di successione e l’esenzione dalle imposte che in questi casi era stata concessa a coloro che erano strettamente imparentati al defunto. Questa fu la ragione per la quale rese cittadini romani tutti coloro che abitavano nel suo impero: a parole egli rendeva loro un onore, ma il suo vero scopo era quello di aumentare in questo modo le sue rendite, poiché coloro che non avevano la cittadinanza romana non erano soggetti al pagamento della maggior parte di queste tasse.

    La dinastia dei Severi Aureliano e Roma (270-275 d.C.) SHA, Divus Aurelianus, 35,2 Nam idem Aurelianus et porcinam carnem p(opulo) R(omano) distribuit, quae hodie dividitur. SHA, Divus Aurelianus, 39, 1-2 (le mura Aureliane) Costruì un tempo magnifico in onore del Sole. Ampliò la cerchia delle mura di Roma, di modo che il perimetro da essa racchiuso era di quasi cinquanta miglia. SHA, Divus Aurelianus, 47, 1-3 Con le entrate fiscali dell’Egitto aumentò di un’oncia il peso dei pani distribuiti nella città di Roma come proprio lui si compiace in una lettera indirizzata al prefetto dell’annona urbana; “Aureliano Augusto a Flavio Arabiano, prefetto dell’annona. Tra le cose con cui, grazie al favore degli dèi, abbiamo giovato allo stato romano, nulla per me ha più valore dell’aver aumentato di un’oncia il peso di tutte le razioni di pane della città. Affinché tale beneficio si mantenga per sempre, ho assoldato nuovi navicularii per la navigazione lungo il Nilo in Egitto e a Roma per la navigazione fluviale, ho rafforzato gli argini del Tevere, ho scavato il fondo del fiume dove esso si alza, ho fatto voti agli dei e alla Perennità, ho consacrato l’alma Cerere”. SHA, Divus Aurelianus, 48, 1-4 Aveva stabilito di distribuire gratuitamente il vino al popolo romano in modo che come sono elargiti gratuitamente l’olio, il pane e la carne di maiale, così fosse anche per il vino e aveva concepito che ciò avvenisse in perpetuo grazie a questa misura: vi sono in Etruria, lungo la via Aurelia e fino alle Alpi Marittime, grandi estese di terreno, fertili e boscose. Aveva dunque deciso di concedere la remissione dagli obblighi fondiari ai proprietari dei terreni incolti, purché lo volessero, e di insediare lì le famiglie dei prigionieri di guerra, di far piantare viti sui monti e così produrre vino in modo che non vis fosse entrata per l’erario ma fosse tutto concesso al popolo romano. Era già stato fatto il conto dei recipienti, delle botti, delle navi e dei lavori necessari. […] Che Aureliano abbia realmente progettato ciò, che abbia anzi dato disposizioni per farlo o che l’avesse in parto realizzato è provato dal fatto che nei portici del tempio del Sole si pone il vino di proprietà del fisco da distribuire non gratuitamente ma a pagamento al popolo.

  • Diocleziano e la tetrarchia Aur. Vict., Liber de Caesaribus, 39, 17-32 Diocleziano infatti, apprendendo che Eliano e Amando, alla morte di Carino, dopo avere arruolato in Gallia un esercito di contadini e di briganti (gli abitanti li chiamano Bagaudi) e aver saccheggiato la campagna per un ampio tratto, attaccavano la maggior parte delle città, dà subito il titolo di imperatore a Massimiano, amico fedele benché semibarbaro, comunque buon soldato e dotato di buona indole. A quest’ultimo, in ragione della sua venerazione per questa divinità, si diede poi il nome di Erculio, così come Valerio aveva preso quello di Giovio. […] Per queste ragioni Diocleziano e Massimiano si prendono come Cesari Giulio Costanzo e Massimiano Galerio, soprannominato Armentario, e poi, tramite legami matrimoniali, ne fanno loro parenti. Dopo aver annullato i loro matrimoni precedenti, i Cesari sposarono il primo la nuora dell’Erculio, il secondo la figlia di Diocleziano; così come un tempo aveva fatto Augusto con Tiberio e sua figlia Giulia. Erano tutti originari dell’Illiria; benché fossero poco istruiti, erano stati educati dalle miserie della vita dei campi e dalla guerra e furono eccellenti imperatori. […] E poiché il peso delle guerre, di cui abbiamo parlato sopra, si faceva sentire più gravemente, l’impero fu diviso in quattro parti: tutto quello che si trova al di là delle Alpi galliche fu affidato a Costanzo; l’Africa e l’Italia all’Erculio; le coste dell’Illirico sino al Ponto Eusino a Galerio; Valerio conservò tutto il resto. Infine l’immensa calamità dell’imposta fu estesa a una parte dell’Italia. Infatti, allorquando essa nella sua globalità si trovò ad essere sottoposta alla stessa tassazione a condizioni moderate, perché l’esercito e l’imperatore che vi soggiornavano sempre o molto spesso, potessero essere vettovagliati, si emanò per l’esazione dell’imposta una nuova legge; a quest’epoca essa era tollerabile nella sua moderazione, ma ai nostri giorni, è divenuta un flagello.

    Laterculus Veronensis (VII sec. d.C.) Diocesi: Oriens; Pontica; Asiana; Thracia; Moesiae; Pannoniae; Britanniae; Galliae; Viennensis; Italia; Hispaniae; Africa Province della Diocesi Italiciana: 1. Venetia et Histria; 2. Aemilia et Liguria; 3. Flaminia et Picenum; 4. Tuscia et Umbria; 5. Campania; 6. Apulia et Calabria; 7. Lucania et Bruttii; 8. Sicilia; 9. Sardinia; 10. Corsica; 11. Alpes Cottiae; 12. Raetia Lactantius, De mortibus persecutorum, 23, 1-4 Ma ciò che causò calamità pubblica e lutto generale fu il censo imposto al contempo alle province e alle città. I censitori erano sparpagliati ovunque e mettevano ogni cosa sottosopra, come un’invasione nemica e un’orrenda schiavitù. I campi venivano misurati zolla per zolla, le viti e gli alberi erano contati, gli animali di ogni specie erano registrati e segnati i singoli individui; in città era raccolta la popolazione urbana e rurale, tutte le piazze erano piene di

  • gruppi di famiglie: ognuno era lì con i propri figli e i propri schiavi; risuonavano torture e percosse, i figli erano tenuti appesi [perché testimoniassero] contro i padri, anche gli schiavi più fedeli erano sottoposti a tormenti contro i loro padroni, le mogli contro i mariti. Se tutto falliva, essi stessi erano torturati e, quando il dolore li aveva sopraffatti, denunciavano anche ciò che non avevano. Nessuna giustificazione di età o salute valeva; anche malati e deboli dovevano presentarsi, si valutava l’età di ciascuno, si aggiungevano gli anni ai bambini, si toglievano ai vecchi. Tutto era pieno di pianto e tristezza. Edictum Diocletiani et collegarum de pretiis rerum venalium (1 settembre 301 d.C.) Praefatio; I.de frugibus; II. de vinis; III. de oleo; IV. de carnibus; V. de piscibus; VI. de oleribus et pomis; VII. de mercedibus operariorum; VIII. de pellibus; IX. de formis caligaribus; X. de loramentis; XI. de saetis caprinis sive camelinis;XII. de materiis; XIII. de radiis;XIV. de oneribus lignariis; XV. de lignis in vehiculis; XVI. de materiis satoriis XVII. de vecturarum mercedibus; XVIII. de pluma; XIX. de vestibus; XX. de mercedibus plumariorum et sericariorum; XXI. de lanariis; XXII. de fullonibus; XXIII. de sericis; XXIV. de purpura; XXV. de lana ; XXVI. de lino ; XXVII. de linteis; XXVIII. de linteis; XXIX. de clavis; XXX. de auro; XXXI. de pretiis mancipiorum ;XXXII. de pecoribus; XXXIII. de marmoribus ; XXXIV. de feris Libycis ; XXXV. de chartis; XXXVI. de aromatibus et medicamentis XXXVII. ex quibus locis ad quas provincias quantum nauli excedere minime sit licitum. Praefatio (vv. 106-115) Dai fatti sopra esposti giustamente e legittimamente commossi, e sembrando che ormai l’intera umanità supplicasse di venire liberata, ritenemmo il dover fissare non già i prezzi delle merci – non sembra infatti che ciò si potesse fare in modo giusto, dal momento che numerose province talvolta si rallegrano della felicità dei desiderati prezzi bassi e quasi di un certo privilegio di abbondanza – bensì di stabilire un limite massimo, affinché, quando si manifestasse qualche forte rincaro dei prezzi – gli dèi allontanino questa disgrazia – l’avidità, che non aveva potuto essere contenuta in una vasta area quasi per una certa smisuratezza, venisse costretta nei limiti della nostra norma e nei termini della legge moderatrice.

    II. Item de vinis 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19

    Piceni Italicum s(extarium) unum Tiburtini Italicum s(extarium) unum Sabini Italicum s(extarium) unum Aminnei Italicum s(extarium) unum Saiti Italicum s(extarium) unum Surrentini Italicum s(extarium) unum Falerini Italicum s(extarium) unum item vini veteris primi gustus Ital. s(extarium) unum vini veteris sequentis gustus Italicum s(extarium) unum vini rustici Ital. s(extarium) unum cervesiae cami Italicum s(extarium) unum zythi Italicum s(extarium) unum item caroeni Maeoni Italicum s(extarium) unum chrysattici Italicum s(extarium) unum decocti Italicum s(extarium) unum [def]ritis Italicum s(extarium) unum conditi Italicum s(extarium) unum apsinthi Italicum s(extarium) unum rhosati Italicum s(extarium) unum

    ж (denarii) triginta ж (denarii) triginta ж (denarii) triginta ж (denarii) triginta ж (denarii) triginta ж (denarii) triginta ж (denarii) triginta ж (denarii) viginti quattuor ж (denarii) sedecim ж (denarii) octo ж (denarii) quattor ж (denarii) duobus ж (denarii) triginta ж (denarii) viginti quattuor ж (denarii) sedecim ж (denarii) viginti ж (denarii) viginti quattuor ж (denarii) viginti ж (denarii) viginti

    CIL, VI 1130 cfr. 31242 e pp. 845, 3071, 3778, 4326, 4340 = ILS 646 = AE 2012, 203 (Roma, iscrizione dedicatoria delle terme di Diocleziano, 305-306 d.C.)

    http://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep01.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep02.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep03.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep04.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep05.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep06.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep07.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep07.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep08.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep09.htmlhttp://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost04/Diocletianus/dio_ep10.html

  • [DD. nn. D]ìocletia[nus et 〚Maximian]us〛 Invìcti / Seni[ores Augg. patres Impp. et Ca]ess.(:Caesarum) et /

    DD. nn. Cons[tantius et Maximianus Invicti Augg. et] / [Severus et] Ṃax[iminus nobilissimi Caesares] / [ther]mas Feli[ces Diocletianas quas] / [Maxi]mianus Aug(ustus) [rediens ex Africa sub] / [praesen]tia mai[estatis suae (?) disposuit ac] / [fieri iussit e]ṭ [Diocletiani Aug(usti) fratris sui] / [nomine consecrav]ịṭ [coemptis aedific]ịịs / [pro] ta̲̲[nti ope]ṛịs magnị[tudine omni c]ultu / p̲e̲r̲fe̲̲c[̲tas] Romanis sui[s] dedic̣̣[ave]r̲u̲[nt]. Il regno di Costantino Lactantius, de mortibus persecutorum, 44, 3-5 (la vittoria di Ponte Milvio) Ebbe luogo un combattimento in cui le truppe di Massenzio ebbero la meglio, sino a che Costantino, in una seconda fase, ripreso coraggio e pronto per la vittoria o per la morte, avvicinò tutte le sue forze a Roma e prese posizione nella zona del ponte Milvio . […] Costantino fu esortato in sogno a far contrassegnare gli scudi dei suoi soldati con i segni celesti di Dio e a iniziare quindi la battaglia. Egli fece così e, girando e piegando su se stessa la punta superiore della lettera chi, scrisse in forma abbreviata “Cristo” sugli scudi.

    Ricostruzione grafica delle insegne imperiali (scettri, lance e portastendardi) rinvenute alle pendici NE del Palatino (cfr. C. Panella [a cura di], I segni del potere. Realtà e immaginario della sovranità nella Roma imperiale, Bari 2011) Lactantius, De mortibus persecutorum, 48, 1-2 (epistula inviata a governatore della provincia di Bitinia; Nicomedia, 13 giugno 313 d.C.): l’editto di tolleranza “ Poiché tanto io, Costantino Augusto, quanto anche io, Licinio Augusto ci siamo incontrati felicemente a Milano e abbiamo preso in considerazione tutte le cose che mirano al bene e alla sicurezza pubblica, tra tutte le altre decisioni che pensavamo avrebbero giovato alla maggior parte delle persone, abbiamo creduto giusto dovesse essere regolato in assoluto per primo ciò che è connesso con il rispetto per la divinità, e quindi di dare ai Cristiani e a tutti gli altri libera facoltà di seguire la religione che ciascuno volesse, affinché qualunque divinità nella sede celeste possa essere benevola e propizia con noi e con tutti coloro che sono sotto il nostro potere”.

  • CIL, VI 1139 cfr. 31245 e pp. 3778, 4328 = ILS 694 = AE 267 = AE 2012, 176 (Roma, arco di Costantino, 315-316 d.C.) (iscrizione ripetuta sulle due facce dell’attico): Imp(eratori) Caes(ari) Fl(avio) Constantino Maximo / P(io) F(elici) Augusto, S(enatus) P(opulus)q(ue) R(omanus), / quod instinctu divinitatis, mentis / magnitudine, cum exercitu suo / tam de tyranno quam de omni eius / factione, uno tempore, iustis / rem publicam ultus est armis, /arcum triumphis insignem dicavit. CIL, XI 5265 = ILS 705; G.A. Cecconi, in Costantino prima e dopo Costantino, Bari 2012, pp. 273-290 (Hispellum, 333-337 d.C.) L’imperatore Cesare Flavio Costantino Massimo Germanico Sarmatico Gotico vincitore trionfatore Augusto e Flavio Costantino e Flavio Giulio Costanzo e Flavio Costante: a tutto ciò che tutela la società del genere umano noi prestiamo una cura particolare, ma la nostra attenzione principale è rivolta a far sì che tutte le città, che nelle luci delle province e delle regioni la bellezza fa emergere, non solo conservino l’antica dignità, ma siano anche elevate ad una condizione migliore grazie alla nostra beneficenza. Poiché dunque voi affermate di essere uniti all’Etruria in modo tale che, in virtù di un’antica consuetudine, ogni anno da voi e dai suddetti Etruschi sono creati dei sacerdoti che a Volsinii, città etrusca, allestiscano ludi scenici e spettacoli gladiatori, ma a causa dell’altezza dei monti e della difficoltà delle strade chiedete che, accordato il rimedio, il vostro sacerdote non debba recarsi a Volsinii per fare la rappresentazione; inoltre chiedete che sia dato il nome tratto dal nostro alla città, che ora si chiama Hispellum e che ricordate essere contigua alla via Flaminia, in cui sorga un tempio della gens Flavia co nun’opera magnifica corrispondente alla grandezza della denominazione, e lì quel sacerdote, che ogni anno l’Umbria avesse scelto, allestisse uno spettacolo tanto di ludi scenici quanto di giochi gladiatori, rimanendo in Etruria la consuetudine che il sacerdote eletto a Volsinii, come era solito, continui gli spettacoli delle rappresentazioni suddette, concediamo facilmente il nostro consenso alla vostra preghiera e al vostro desiderio. Infatti abbiamo concesso alla città di Hispellum l’eterno appellativo e il venerando nome tratto dal nostro, in modo che sia chiamata in futuro Flavia Constans; nel suo centro vogliamo che, come desiderate, sia portata a termine con magnifica opera un sacello della nostra gens Flavia, prescritta la regola che il tempio dedicato al nostro nome non sia contaminato dagli inganni di una superstizione contagiosa. Di conseguenza vi diamo il permesso anche di allestire rappresentazioni nella suddetta città, naturalmente in modo tale che, come si è detto, la periodica solennità di tali rappresentazioni non venga meno a Volsinii, dove la ricordata celebrazione deve essere fatta dai sacerdoti eletti dall’Etruria. In questo modo, infatti, non sembrerà che si sia derogato moltissimo dalle antiche tradizioni e voi, che vi siete rivolti supplici a noi per le ragioni sopra elencate, gioiscano di aver ottenuto ciò che molto chiedeste. Eusebio di Cesarea, Vita Constantini, III, 10 (Costantino al concilio di Nicea) Nel giorno stabilito per il concilio [di Nicea, maggio 325 d.C.], in cui bisognava dare una soluzione alle controversie, tutti i partecipanti si trovarono presenti nella sala centrale del palazzo che per grandezza sembrava superare tutte le altre […] Quando l’intero concilio si fu seduto con l’onore dovuto, tutti tacquero in attesa dell’ingresso del sovrano: entrò dapprima uno, poi un secondo e infine un terzo componente del suo seguito. Avanzarono anche gli altri, non i soliti opliti o dorifori, ma degli amici fedeli. Alzandosi tutti in piedi al segnale che indicava l’ingresso dell’imperatore, Costantino quindi passò nel mezzo, come un angelo celeste di Dio, sfolgorante nella sua veste splendente degli scintillii lucenti dell’oro e delle pietre preziose. Questo era l’aspetto del suo corpo, quanto alla sua anima, egli era chiaramente ornato del timore e della venerazione di Dio: lo rivelano gli occhi rivolti verso il basso, il rossore del volto e il suo incedere. Per il resto delle sue eccellenze personali, egli superava in altezza tutti i presenti e nella bellezza della forma, così come nella maestosa dignità del suo aspetto, e per la forza invincibile e il suo vigore fisico […] Quando raggiunse la prima fila dei seggi, si fermò nel mezzo, si mise a sedere su un piccolo seggio d’oro massiccio che gli era stato posto accanto, non prima di aver fatto cenno ai vescovi di fare altrettanto.

  • Solidus di Costantino (315 d.C.) D/: COSTANTINVS AVG Busto con corazza e elmo, rivolto a destra R/:VICTORIAE LAETAE PRINC PERP Due Vittorie affrontate che sorreggono uno scudo (con iscrizione VOT X) su colonna PR in esergo Anonimo, De rebus bellicis, II, 1,3 Ai tempi di Costantino la eccessiva erogazione di denaro assegnò ai vili commerci l’oro al posto del rame, che in precedenza era stimato di grande valore. Sembra che di qui prendesse origine l’avidità. Quando l’oro, l’argento e la grande quantità di pietre preziose che sin dall’antichità giacevano nei templi divennero pubblici, si accese in tutti la bramosia di spendere e di acquistare. E sebbene l’erogazione del rame – che, come si è detto, era contrassegnato dal volto dei principi – fosse ormai enorme e difficile da sostenere, nondimeno, ci si impegnò, per una certa irragionevolezza, a erogare in misura eccessiva oro, che era considerato prezioso.

    L’impero romano al tempo di Costantino

  • Giuliano l’Apostata Amm. Marc., Res Gestae, XXV, 4,15 Sono molteplici e del tutto fondati gli atti che testimoniano la sua [di Giuliano] liberalità. Tra questi vi e l’imposizione dei tributi più lievi che si siano mai visti, l’esenzione dal pagamento dell’aurum coronarium, la remissione dei debiti accumulati nel tempo, l’equilibrio delle dispute fra il fisco e i privati, la restituzione delle entrate municipali alle città insieme alle loro proprietà fondiarie, che i precedenti imperatori avevano venduto arrogandosene il diritto. Inoltre, non fu mai desideroso di aumentare la sua ricchezza, che reputava piu sicuro lasciare nelle mani dei privati; infatti di tanto in tanto andava raccontando che Alessandro Magno, cui fu chiesto dove si trovassero le sue ricchezze, rispose benevolmente: “presso gli amici”. Codex Theodosianus, XIII, 3,5 I maestri di scuola e i professori devono eccellere in primo luogo per moralità, poi per eloquenza. Ma poiché io non posso essere presente in ogni citta, ordino che chiunque voglia insegnare non all’improvviso e senza riflettere si affretti a tale compito, ma approvato dal giudizio del consiglio municipale ottenga un decreto dei curiali, con il consenso dei migliori cittadini. Questo decreto sarà portato a me perché lo esamini, affinchè essi si dedichino all’insegnamento con un onore reso più alto dal nostro giudizio. (17 giugno 362). Amm. Marc., Res Gestae, XXV, 4.20 Infatti (egli (Giuliano) fece promulgare leggi non cattive, che ordinavano o impedivano in modo assoluto di fare qualcosa, tranne poche eccezioni: tra queste ci fu quella spietata legge che vieto di insegnare ai maestri di retorica e grammatica cristiani, se non fossero passati al culto degli dei. Codex Theodosianus, XVI, 1.2 (editto di Tessalonica, 27 febbraio 380) Gli imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio Augusti. Editto al popolo della citta di Costantinopoli. Vogliamo che tutti i popoli, che la moderazione della nostra clemenza governa, si convertano a quella religione che il santo apostolo Pietro introdusse tra i Romani e si e trasmessa fino ad oggi e che il pontefice Damaso chiaramente segue come anche il vescovo Pietro di Alessandria, uomo di santità apostolica, cioè che secondo l’insegnamento apostolico e la dottrina evangelica crediamo nell’unica divinita del padre e del figlio e dello spirito santo sotto una pari maestà e sotto la santa trinità. Ordiniamo che coloro che seguono tale legge prendano il nome di Cristiani Cattolici, quanto agli altri, dementi e folli, che giudicano opportuno sostenere l’infamia di un dogma eretico, i loro luoghi di riunione non ricevano il nome di chiese, ma subiscano dapprima la vendetta divina, poi anche la nostra, in base alla decisione che abbiamo preso per volontà del cielo. Orosius, Historiae adversus paganos, VII, 38, 1-5 (giudizio su Stilicone) Intanto il generale Stilicone, che proveniva dalla stirpe imbelle, avara, perfida e ingannatrice dei Vandali, non preoccupandosi di essere agli ordini di un imperatore, in ogni modo cercava di sostituirlo col proprio figlio Eucherio

  • che, secondo le notizie dei più meditava sin da fanciullo e da privato una persecuzione di cristiani. Pertanto, favorendo Alarico e tutta la gente dei Goti, la quale domandava pregando con suppliche e con semplicità una pace alle migliori condizioni e una qualsiasi sede, con un patto segreto mentre pubblicamente veniva loro negata la possibilità di guerra e di pace, li tenne in serbo per logorare e terrorizzare l’impero. In aggiunta, incitando alle armi altre genti incontenibili per numero d’uomini e forza, dalle quali ora sono tenute in scacco le Gallie e la Spagne, ossia gli Alani, gli Svevi, i Vandali e, sospinti dallo stesso moto, i Burgundi, le sobillo, una volta eliminata la paura del nome romano. Volle che intanto esse devastassero la riva del Reno e colpissero le Gallie con la speranza, povero illuso!, che in una simile condizione di necessita egli potesse strappare al genero l’impero in favore del figlio e che le genti barbare potessero essere fermate con la stessa facilita con cui erano state indotte a muoversi. Pertanto, appena lo spettacolo di così gravi colpe fu chiaro all’imperatore Onorio e all’esercito romano, a seguito della rivolta delle truppe Stilicone fu ucciso: lui che per vestire di porpora suo figlio sacrifico il sangue di tutto il genere umano.

    Girolamo, Epistulae, 127 (il sacco di Roma del 410 d.C.) Mentre così vanno le cose a Gerusalemme, dall’Occidente ci giunge la terribile notizia che Roma viene assediata, che si compra a peso d’oro la incolumità dei cittadini, ma che dopo queste estorsioni riprende l’as