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Cavalleria,

Onore, Giust

izia

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Ciclo Bretone

Ciclo Carolingio

Il cavaliere

La Corte

Autori e Opere

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Re Artù

Il Graal… leggenda o verità?

Il ciclo bretone nella letteratura moderna

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La nascita della Cavalleria

L’Educazione del Cavaliere

Armatura Vita al Castello

L’Ideale Cavalleresco

La Giostra

Il Declino della Cavalleria

Gli Ordini Cavallereschi

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Gli Ordini Cavallereschi

I cavalieri Templari

I Cavalieri Teutonici

I Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme

Ordine della Giarrettiera e del Bagno (Inghilterra)

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I cavalieri TemplariIl nome ufficiale dell'ordine religioso e militare è: Ordine dei cavalieri

poveri di Cristo, più noto come Ordine dei cavalieri del tempio di Salomone o più brevemente Ordine dei cavalieri Templari.

La congregazione si sviluppò nel 1119, a partire da una piccola formazione di nove cavalieri capeggiata dai crociati francesi Ugo des Payens e Goffredo di Saint Omer. Lo scopo dell'iniziativa,

ben accolta da Baldovino II Re di Gerusalemme, era quello di proteggere i pellegrini che si recavano in Terra Santa, lungo le

insicure vie che conducono da Gerusalemme al Giordano. Successivamente i Templari furono i principali difensori degli Stati

latini (e non solo), prendendo attivamente parte ai combattimenti.

Il nome dell'Ordine deriva dal fatto che Re Baldovino posizionò i cavalieri nella moschea di Al-Aqsa, sulla spianata del distrutto

tempio di Salomone.I templari ottennero l'approvazione papale, e nel 1128 al Concilio di Troyes fu stabilita per loro una regola, redatta da San Bernardo da Chiaravalle, ispirata alla regola

cistercense

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I cavalieri TemplariDai "fratelli" Cistercensi, i Templari ereditarono anche il colore del

mantello: bianco.La gerarchia all'interno dell'Ordine prevedeva al vertice il

maestro, la cui autorità era limitata da un capitolo composto dai dignitari.L'uniforme era composta da un mantello, come già

anticipato, bianco, arrichito da una croce rossa sul petto e sulla spalla destra.

La forma della croce è greca (simmetrica) o latina (con la punta inferiore più lunga), con le punte che vanno ad allargarsi verso

l'estremità. Le punte terminano con un bordo dritto o, più raramente, concavo.

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I Cavalieri TeutoniciLe origini dei cavalieri Teutonici sono simili a quelle degli altri cavalieri gerosolimitani, in particolare con i cavalieri Ospitalieri

condivide la partenza: un ospedale fondato da mercanti di Brema e di Lubecca in Terrasanta (1128). L'intento inziale era, quindi, di

proteggere i pellegrini e curare i malati.Nel 1198, un gruppo di cavalieri tedeschi, al seguito della prima

crociata, rifonda l'ordine accentuandone il carattere militare.Perfezionò tale riforma Federico II intorno al 1212, adeguando gli statuti al modello ospitaliero per gli aspetti religiosi, e al modello

templare per quel che riguardava la guerra.Il colore del mantello era bianco (alla maniera dei Templari)

contrassegnato dalla caratteristica croce nera patente, simile, nella forma, a quella templare. L'insegna dell'ordine vedeva la

croce nera in ampo argento, oggi simbolo dell'esercito Tedesco. cRicorreva sugli scudi e sui sigilli l'emblema dell'aquila, dalle ali aperte e gli artigli protesi a ghermire, ma non difettavano altri

animali araldici, quale il leone rampante.

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I Cavalieri TeutoniciA differenza degli altri ordini gerosolimitani, che professavano un

ecumenismo cristiano "europeo", i Teutonici rimasero vincolati fin dalle origini ad un'idea nazionale rigidamente circoscritta alla

Vaterland germanica.In altre parole, mentre Templari e Ospitalieri costituirono

autentiche "multinazionali della fede", i cavalieri teutonici non furono che dei tedeschi associati tra loro per un'impresa

straordinaria in terre lontane. E' interessante osservere il ruolo riservato alle donne all'interno dell'ordine, che furono sempre

presenti e attive nei suoi ranghi, soprattutto per quanto riguardava l'assistenza ai feriti ed agli ammalati.

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I Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in

GerusalemmeL'Ordine degli Ospitalieri ha antiche origini, antecedenti alla

spedizione crociata. Infatti il nome stesso dell'ordine deriva dallo "spedale" dei pellegrini cristiani, eretto dai mercanti Amalfitani negli anni cordiali di Carlo Magno, Imperatore dei Paladini, e di Harun, Califfo delle Mille e una Notte, quando, in Terrasanta i

cristiani ed i musulmani si tolleravano.Non a caso, il simbolo dell'Ordine è una croce ad otto punte,

proprio come la croce Amalfitana.Scopo dello "spedale" era chiaramente quello di accogliere i

pellegrini malmessi dopo il lungo e difficile viaggio. Successivamente il fine mutò, in parte, ed i Cavalieri Ospitalieri

parteciparono anche alle azioni di guerra, affianco ai Templari, in difesa dei territori conquistati nella prima crociata.

L'Ordine Ospitaliero di San Giovanni in Gerusalemme (successivamente noto come Ordine dsi San Giovanni) fu

costituito da Fra Gerardo De' Sasso, reggente dell'ospedale e chiesa amalfitani già dal 1099. L'Ordine fu ufficialmente

approvato da Papa Pasquale II nel 1113.

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I Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in

Gerusalemme

Le vesti originarie erano quelle benedettine (tunica nera). Ottenuto il riconoscimento ufficiale, gli ospitalieri aggiunsero il mantello,

ancora nero, e la croce bianca, ad otto punte (amalfitana), apposta nel petto, dalla parte del cuore.

Lo stendardo, invece, era rosso, con una croce bianca lineare. Successivamente, anche le vesti divennero rosse (periodo in cui

l'Ordine era noto come Ordine di San Giovanni).

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Ordine del Bagno Costituito da Enrico IV nel 1399, anno della sua incoronazione.

Anche in questo caso l'origine è incerta. Non è da escludere il nome si ricolleghi all'usanza ricorrente di far precedere

l'iniziazione cavalleresca da un bagno purificatore.Si tratta di una pratica molto comune, tanto che ricorre nel

lessico cavalleresco il termine di cavaliere bagnato per indicare, un cavaliere di nuova investitura.

L'Ordine del Bagno riveste tutt'ora un significato di particolare rilievo nell'ottica dell'unità britannica. Il suo emblema è

contrassegnato da uno scudo con tre corone imperiali d'oro, che sotto il profilo religioso rappresentano la Trinità e sotto quello

politico i tre regni d'Inghilterra, Scozia e Galles.

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Ordine della Giarrettiera Costituito, secondo le fonti storiche più attendibili, da Edoardo III nel

1344.Secondo una versione "eroica" il segnale dell'attacco alla battaglia di Crecy (1346) sarebbe stato dato dal re in persona sventolando

sulla punta della lancia un laccio azzurro, di quelli usati per assicurare alla gamba la calza. Inoltre la parola d'ordine nel campo inglese sarebbe stato garter, cioè giarrettiera. Non mancano altre

versioni che ne spiegano la nascita, sicuramente meno epiche.L'ordine ottenendone il riconoscimento (con il nome definitivo di

Ordine della Giarrettiera e di San Giorgio) dal pontefice Clemente VI con due bolle, nel 1348 e nel 1349.

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L’Educazione del CavaliereQuando un rampollo di nobile casata era ritenuto maturo per iniziare la

sua educazione di cavaliere (ciò avveniva intorno ai sette anni), veniva inviato come paggio nella dimora di un gentiluomo (spesso un parente, come uno zio, oppure un grande signore).Qui imparava

sia a stare in società, sia a cavalcare. Intorno ai quattordici anni passava al seguito di un cavaliere in qualità di scudiero. Apprendeva così a maneggiare le armi, ad accudire il cavallo del suo signore, a tenere in ordine il suo equipaggiamento.Accompagnava il cavaliere

in battaglia, aiutandolo ad indossare l’armatura e soccorrendolo quando era ferito o disarcionato. Imparava a tirare con l’arco ed a trinciare la carne da mettere in tavola. Infine, se svolgeva in modo

soddisfacente questo apprendistato, intorno ai ventuno anni, riceveva la sospirata investitura a cavaliere. I giovani che volevano assurgere al rango di cavaliere, dovevano curare con attenzione la

loro preparazione fisica. Così, gli scudieri esercitavano in continuazione i loro muscoli e si addestravano con costanza

nell’impiego delle armi. Era un tirocinio di notevole durezza, a cui non tutti resistevano. Infatti, solo quelli che resistevano, potevano

aspirare al cavalierato.

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L’Educazione del CavaliereIl compito iniziale dello scudiero, come si evince dal nome stesso, era

quello di portare lo scudo del cavaliere. Sembra infatti che, nell’XI e XII secolo, molti scudieri venissero dalle classi inferiori e molti

rimanevano in questa condizione perché nel XIII secolo diventare cavaliere era così costoso che parecchi si sforzavano di evitare la promozione, mantenendo il rango inferiore. Lo scudiero era infine

nominato cavaliere con una solenne cerimonia di investitura. Il “buffetto”, affibbiato con la mano sulla guancia o sulla nuca del

cavaliere, venne sostituito nel XIII secolo da un colpetto dato con il piatto della spada. Il cavaliere cingeva poi spada e speroni,

ornamenti con cui partecipava alle successive celebrazioni, in cui faceva sfoggio della sua abilità. La cerimonia d’investitura era

sempre seguita da un altro cavaliere.

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Armatura

Il cimiero: questo ornamento rendeva agevole l’identificazione sul campo di battaglia, tuttavia già in quell’epoca, andava perdendo

popolarità a favore di elmi meno ornati, come il bacinetto con visiera.

Il bacinetto: o elmetto con visiera, nato in Italia nel XIV secolo, aveva probabilmente in origine una celata ribaltabile sulla fronte. Ma venne poi affermandosi la più pratica incernieratura laterale,

quella che in Germania veniva scherzosamente chiamata Hundgugel, museruola.

  Maglia metallica: nelle cotte di maglia ogni anello era intrecciato, mentre era ancora aperto, con quattro altri anelli.Poi veniva ribattuto così da chiudersi. Il peso di una simile corazza si

aggirava attorno ai 9-14 kg, in parte gravanti sulle spalle del combattente. Poiché la maglia era flessibile, un colpo inferto con forza, poteva provocare serie contusioni, od anche fratture letali.

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Armatura

Lo scudo: i cavalieri protetti dalla sola maglia metallica, erano molto vulnerabili da parte di forti colpi di mazza o di lancia. Dovevano perciò proteggersi dietro grandi scudi. Nel Quattrocento, grazie ai progressi della corazza a piastre, gli scudi divennero molto più piccoli e leggeri.

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Vita al CastelloIl castello non era solo una costruzione militare: era innanzi tutto la

casa del signore feudale e della sua famiglia. Il suo ambiente più importante era la grande sala comune, dove tutti si riunivano per i pasti, e dove si svolgeva la multiforme vita di tutti i giorni. Poi, ma non sempre, c’erano le stanze private del signore, la cucina,

spesso esterna, la cappella, l’armeria, l’officina del maniscalco, le stalle, i canili, i recinti per i vari animali ed i magazzini che

contenevano le provviste. Essenziale era una riserva di acqua interna – meglio ancora un pozzo- per garantire

l’approvvigionamento idrico in caso di assedio. I muri esterni potevano essere imbiancati per proteggerli dalle intemperie; quelli interni erano spesso intonacati con cura e decorati con

disegni ed affreschi. I castelli fungevano anche da luoghi di sosta per i nobili durante i loro spostamenti. In previsione del loro arrivo, gli appartamenti privati erano tirati a lucido, e, sul

pavimento, si stendevano paglia pulita, canne ed erbe aromatiche.

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L’Ideale Cavalleresco“Un Cavaliere è devoto al valore...  

  ...il suo cuore conosce solo la virtù...

...la sua spada difende i bisognosi..

...la sua forza sostiene i deboli...

  ...le sue parole dicono solo la verità...

  ...la sua ira si abbatte sui malvagi.”

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L’Ideale CavallerescoBenché i cavalieri fossero uomini di guerra, si facevano un punto

d’onore di comportarsi, appunto, “cavallerescamente” con i loro nemici. Nel corso del XII secolo questo atteggiamento tradizionale assunse la forma di un preciso codice di

comportamento, che sottolineava, con particolare enfasi, il dovere di comportarsi cortesemente verso le donne.

I poemi sull’amor cortese, recitati dai trovatori della Linguadoca, erano basati su questo codice; anche le storie cavalleresche così popolari nel Duecento, ribadivano tale ideale di vita. Le gerarchie

ecclesiastiche favorivano questa evoluzione, al punto di fare dell’investitura a cavaliere una vera e propria cerimonia

religiosa, con tanto di veglia d’arme e bagno purificatore. Ma , purtroppo, pur se numerosi libri ribadirono gli ideali

cavallereschi, nella realtà, fu ben difficile far corrispondere i comportamenti quotidiani ad un simile alto ideale.

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La Giostra

Nel corso del XIII secolo al torneo si aggiunse una nuova, spettacolare forma di combattimento,: la Giostra. In essa i

cavalieri si combattevano uno contro l’altro singolarmente, in duello. Era, dunque, uno scontro in cui un combattente poteva

dimostrare la sua valentia senza turbamento di elementi estranei. Generalmente i contendenti si battevano a cavallo, usando le

lance, tuttavia, in qualche occasione, continuavano la lotta anche a colpi di spada. I due cavalieri si lanciavano l’uno contro l’altro al galoppo, cercando ognuno di disarcionare l’avversario con un ben

assestato colpo di lancia. Se non ci riusciva, ma comunque si arrivava a spezzare la lancia contro lo scudo dell’opponente, si

“segnava un punto”.

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La Giostra

Talvolta ci si scontrava in una “giostra di guerra” usando lance da battaglia dalla punta acuminata, che potevano anche uccidere un

uomo); ma in generale ci si batteva in una “giostra di pace”, impiegando lance smussate o con un tampone in cima: una

specie di coroncina che distribuiva su una superficie maggiore l’impatto del colpo. Per la giostra si svilupparono anche armature di tipo particolare, che garantivano una maggiore protezione. Nel corso del XV secolo si introdusse anche una sorta di barriera che separava i settori dei due avversari, così da impedire le collisioni

frontali.

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Il Declino della CavalleriaI sovrani preferivano sempre più ricorrere ad eserciti di professionisti,

lasciando che i cavalieri feudali oziassero nei loro ormai inutili castelli; finchè, nel Seicento, la guerra divenne esclusivo

appannaggio di milizie mercenarie, reclutate tra le classi inferiori. I nobili erano ancora usati come ufficiali (generalmente di

cavalleria), ma ormai la concezione medievale di una classe di guerrieri a cavallo era diventata un ricordo del passato.Così come

era sparita l’idea che un cavaliere dovesse essere obbligatoriamente figlio di un altro cavaliere. Il titolo era diventato semplicemente un appellativo onorifico, un riconoscimento che il

monarca concedeva a coloro (anche non nobili) che egli voleva far oggetto di particolari distinzioni. E così accade tutt’oggi in molti

Paesi. Tuttavia i “cavalieri antiqui” non sono del tutto dimenticati. Il loro fascino continua ad aleggiare nella nostra società,

rinfocolato dalla romantica presenza dei castelli e dal sopravvivere delle leggende cavalleresche, come quella di Re Artù, narrate dai

poemi medievali o da quelli rinascimentali come il Tasso e l’Ariosto, e riprese dal Romanticismo ottocentesco.

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La nascita della Cavalleria

Nel V secolo dell’era cristiana l’Impero Romano d’Occidente crollò sotto i colpi delle tribù barbariche che invasero i suoi territori e vi si stabilirono. Tra queste tribù assunsero sempre più importanza i Franchi, che si erano insediati nelle terre dell’antica Gallia e nella

Valle del Reno. Essi allargarono gradualmente la loro sfera d’influenza, tanto che, nell’anno 800, il loro re Carlomagno potè

assumere il titolo di imperatore del Sacro Romano Impero, riunendo sotto il suo scettro quasi tutta l’Europa occidentale.

Carlomagno, come già i suoi predecessori, incrementò il numero di cavalieri militanti nell’esercito franco, assegnando loro, per

pagare il costoso armamento ed il lungo addestramento necessari per combattere a cavallo, ampie estensioni di terre demaniali. Allorchè nel IX secolo l’Impero Carolingio, sconvolto da guerre

civili e da invasioni, si disgregò, la società si riorganizzò intorno a questi armati locali, cui i contadini si offrirono in servitù in cambio

di protezione.

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La nascita della Cavalleria

A loro volta i signori locali si legarono in un analogo rapporto di vassallaggio con i signori più importanti, in una catena di

reciproci legami di fedeltà che permearono, condizionando, tutta la società europea e che assunse il nome di “feudalesimo”.

Al centro del sistema stava il rango di cavaliere:la capacità, sia tecnica che economica, di combattere a cavallo, che

contraddistingueva la classe dominante.Questo nuovo ordine sociale, basato su una classe di cavalieri al

servizio di un nobile locale (conte, marchese,duca) e, servita a sua volta, dai contadini, si consolidò definitivamente intorno all’XI

secolo.

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Torquato Tasso e “La Gerusalemme Liberata

Ludovico Ariosto e “L’Orlando Furioso

Matteo M. Boiardo e “L’Orlando Innamorato”

Baldassarre Castiglione

e “Libro del Cortegiano”

Chretien de Troyes

e “Lancillotto”

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Chretien de Troyes e “Lancillotto”

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Chretien de Troyes

(Troyes, 1135 ca. - 1183 ca.)Poco sappiamo della sua vita, e le scarse notizie sono estrapolate

dalle opere. Apparteneva al gruppo di poeti lirici del Nord della Francia che subirono l'influenza della poetica dell’“amor cortese” dei trovatori della Francia meridionale. Fu tra i primi ad usare la rima baciata nelle composizioni d'amore. Egli era originario della regione di Champagne, cominciò a scrivere romanzi in versi alla corte di Maria di Champagne. Letterato colto e raffinato, dovette compiere gli studi del trivio e del quadrivio, come si evince dalla qualità della sua poesia. L’ideologia di Chrétien è intimamente legata alla società aristocratica feudale; l’avventura e l’amore sono considerati infatti come privilegi destinati a pochi eletti. Considerato l'iniziatore del romanzo cavalleresco medievale, i cinque romanzi cavallereschi da lui scritti sono improntati al ciclo bretone. Due di essi rimasero incompiuti: il Lancillotto e il

Perceval

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Lancillotto

Lancelot è un romanzo che fa parte del ciclo bretone, scritto da Chretien dal 1165 al 1185, sarà successivamente completato da Geoffroy de Lagny. I protagonisti sono Lancillotto, cavaliere della

tavola rotonda, e Ginevra, la moglie di re Artù. Meleagant, l’antagonista per eccellenza, cavaliere ribelle, rapisce Ginevra:

Artù, così, invia alla sua ricerca il più valoroso trai suoi cavalieri, Lancillotto che, al momento del “ritrovamento”, si innamora della donna. Il valore del vassallaggio rispetto al proprio re, che nella prima parte è esaltato, poiché l’eroe mette in pericolo la propria vita per il signore, degenera al momento dell’innamoramento,

fino ad interrompersi totalmente. Gli altri due concetti fondamentali in questo passo sono l’amore, che in questo caso è

troppo forte per essere negato dall’Autorità, e la donna, che è sovrana sull’uomo. In questa fase è descritto Lancillotto che, per

amore della “regina”, sfila i ferri della prigione lacerandosi le mani, “…non conta se i ferri son forti; niente oltre voi mi può

impedire che io possa da voi venire…”.

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Lancillotto

La bramosia e l’attrazione sono tali da trascurare il dolore delle ferite. L’amore, quindi, è associato al sacrificio, poiché per

raggiungerlo è necessario superare delle prove.Passata insieme la notte d’amore, Lancillotto deve lasciare la propria amata, così

sistema le inferriate e, insieme all’amarezza della “separazione“, ”…vero martire fu ad alzarsene, tanto penoso fu di andarsene;

martirio è il dolore che ha…”, compare anche il dolore delle dita “torturate”: “…solo allora si meraviglia dei tagli che alle dita

trova…”. L’autore, infatti, afferma che l’eroe se ne va concretamente, ma non con il pensiero: ”…va il corpo, il cuore lì

soggiorna…”. Altri versi da sottolineare sono quelli in cui è descritta la gioia dei due amanti: “e l’adora. Ed a lei s’inchina,

perché non c’è reliquia a cui creda di più…perché nei cuori altrui fu Amore niente, al suo rispetto…tiene fra le braccia lui lei, e lei

lui tra le sue...”.

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LancillottoIn queste ultime due frasi,sono da notare due diversi profili della narrazione: il primo, il collegamento al dio Amore e l’allusione alla

carenza di premura da parte del re Artù; il secondo la figura stilistica, l’anafora, che permette una maggiore musicalità alla prosa. Contrariamente a poemi epici del tipo della Chanson de Roland, i caratteri positivi esaltati (il coraggio, la diligenza, il

vassallaggio, il rispetto…) non appartengono più alla collettività, bensì al singolo eroe: inoltre sembra indebolirsi, se pur

leggermente, l’ideale di perfezione legata al cosiddetto superuomo. I fatti si svolgono nell’ Alto Medioevo.Convenzionalmente se ne fa

coincidere la fine con la "scoperta" dell'America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492; altrettanto convenzionalmenla sua

data d'inizio nel 476, anno in cui venne deposto Romolo Augustolo, ultimo sovrano dell'impero romano d'Occidente. La vicenda ha luogo

in Bretagna, regione storica e amministrativa della Francia, corrispondente all'estesa penisola che costituisce l'estremità

nordoccidentale del paese, compresa tra l'oceano Atlantico a sud e a ovest e il canale della Manica a nord

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LancillottoChrétien de Troyes, vissuto,

come suddetto, qualche secolo fa, scrive in versi, adottando un linguaggio

molto pomposo, ma abituale per l’epoca in cui sono

ambientati i suoi racconti. Anche se la traduzione (il

testo originale era scritto in francese) non è in versi, il lessico con cui l’autore ci narra la vicenda è senza

dubbio abbastanza “pesante”.

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Matteo M. Boiardo e “L’Orlando Innamorato”

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Matteo M. Boiardopoeta italiano (Scandiano di Reggio 1441-Reggio nell’Emilia 1494). Di

famiglia nobile, portato bambino a Ferrara, dove ebbe il primo indirizzo agli studi classici dal nonno Feltrino, tornò a Scandiano nel 1451 alla morte del padre. A diciannove anni restò unico erede del

feudo avito di Scandiano. Qui si stabilì alternando gli studi con i passatempi del signore di campagna, pur cominciando a vivere

sempre più spesso a Ferrara, dove partecipava alla vita di corte ed era intimo degli Estensi, per cui conto svolse varie missioni

diplomatiche. A Ercole d’Este dedicò la sua prima opera di poesia, i quindici Carmina de laudibus Estensium, scritti dal 1461 al 1463.

Sempre d’impronta cortigiana è l’opera successiva, i Pastoralia(ca. 1463), dieci egloghe di stampo virgiliano in onore di Ercole. Negli anni successivi (1463-71) applicò la sua conoscenza della cultura

classica (vasta ma non particolarmente profonda; tra l’altro conosceva poco il greco) a diverse traduzioni, pubblicate postume:

oltre le Vite di Cornelio Nepote, la Ciropedia di Senofonte e le Storie di Erodoto (queste ultime tradotte

rispettivamente dalle traduzioni in latino di Poggio Bracciolini e di L. Valla).

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Matteo M. Boiardo La sua brillante vita di corte fu segnata dall’amore per la bellissima Antonia

Caprara, conosciuta nel 1469. Da questo amore nacque il Canzoniere, dedicato appunto alla Caprara, una raccolta di componimenti poetici,

che si protrasse fino al 1477, in tre libri, ognuno di sessanta componimenti, di cui cinquanta sonetti. La raccolta spicca nella lirica

del Quattrocento per la sua freschezza e spontaneità, appena appesantita dai motivi classicistici e petrarcheggianti, che restano estrinseci rispetto alla più genuina ispirazione del poeta, alla sua

immediatezza e al suo calore espressivo. Scrisse molte altre composizioni in latino e in volgare, prevalentemente bucoliche e

pastorali sul modello virgiliano, di argomento galante e cortigiano. Dal 1476 prese stabilmente dimora nel palazzo ducale di Ferrara. La serena

vita di corte fu interrotta dalla guerra contro i Veneziani. Nel 1485, dopo la Pace di Bagnolo, B. accompagnò il suo signore a Venezia, nella

visita di riconciliazione. Nel 1480 aveva avuto una nuova prova dell’amicizia del duca con l’elezione alla carica di capitano ducale di Modena. Ricoprì successivamente (dal 1487) fino alla morte la stessa

carica a Reggio.

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L’Orlando InnamoratoL’opera a cui resta legata la sua fama è l’ Orlando innamorato.Sommariamente il testo può essere diviso in quattro sequenze:

l’inizio con il destinatario e l’espediente del manoscritto, la descrizione della sontuosa corte reale, aperta a tutti, l’entrata in scena di Angelica e la reazione che provoca l’arrivo di questa

sugli invitati, soprattutto sui paladini.La novità che inserisce il Boiardo è quella di aver composto un’opera creando un miscuglio di elementi appartenenti al ciclo bretone ed a quello carolingio, per questo l’autore parla di cose

“nove”. Rispetto a quanto accadeva nel passato il Boiardo ha voluto dare una grande importanza all’amore facendolo addirittura diventare tema portante dell’opera, infatti il fatto che Orlando si innamori è così innovativo e degno di nota che l’autore cita proprio questo

inaspettato cambiamento agli spettatori, con i quali vi è un rapporto molto diretto che si può notare in alcuni dei versi iniziali.

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L’Orlando InnamoratoAltra cosa degna di nota è l’introduzione dell’artificio del manoscritto:

in questo modo si fa risalire l’origine dell’opera all’arcivescovo di Reims Turpino, il quale avrebbe scritto questa storia e poi l’avrebbe nascosta con il pretesto che quelle cose sarebbero dispiaciute allo stesso Orlando.La scena passa poi nella corte di Carlo Magno, nella

quale sono presenti tutti i paladini provenienti da ogni parte del mondo e, per il fatto che quella è un’occasione speciale, vi sono

addirittura i Saraceni. Dalla descrizione del banchetto e degli invitati possono essere ritrovati tutti i valori cavallereschi ma allo stesso tempo vediamo l’entrata in scena di valori nuovi, più legati

al mondo della ragione e dello studio, che tendono ad elevare l’uomo spiritualmente. Finita questa descrizione è il momento di

Angelica che entra fra quattro giganti nella sala e la bellezza che sprigiona viene subito paragonata a quella di una stella la cui luce riesce ad abbagliare ed a soverchiare le altre seppur belle dame.Il ritorno all’ideale classico di bellezza è chiaro ed è ricorrente anche

il fatto che ella, con un solo sguardo, riesca a fare innamorare anche i più duri di cuore.

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L’Orlando Innamorato

L’apparenza però a volte inganna, infatti non appena Angelica rivolge la parola ad Orlando riusciamo a capire il vero intento

della ragazza: indebolire le forze cristiane per far sì che Gradasso abbia via libera per poter raggiungere il suo scopo. Naturalmente

la visione di Angelica turba profondamente i paladini presenti i quali, attirati dalla proposta che gli viene fatta (otterranno

Angelica se batteranno suo fratello Argalia), sono ancora più attratti da così immensa bellezza.

Tutti cedono alla tentazione, persino Orlando, il quale capisce che innamorarsi non è una cosa adatta ad un tipo come lui che deve invece spendere tutta la sua vita a combattere per Dio, per il re e

per la patria. Tuttavia neanche il paladino francese riesce a resistere; l’unica persona che capisce il vero intento di Angelica è

Malagigi; un mago cristiano che legge nel cuore della dama e vede quali sono le sue mire.

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L’Orlando InnamoratoIl Boiardo ha inoltre pensato di

rendere più attuale l’opera usando alcuni elementi

provenienti dall’ambiente toscano ed altri che risalgono al mondo pagano.La godibilità del testo è dovuta anche da

altri fattori tra i quali ricordiamo le figure retoriche

quali l’iperbole o ancora l’ironia con la quale è

trattata l’intera vicenda.

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Ludovico Ariosto e “L’Orlando Furioso”

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Ludovico AriostoAriòsto (Ludovico), poeta italiano (Reggio nell'Emilia 1474 - Ferrara

1533). Di nobile famiglia, dopo aver studiato con vari precettori, nel 1489 fu avviato dal padre agli studi giuridici, ma ben presto li

abbandonò per seguire la vocazione letteraria. Fece le prime prove poetiche dedicandosi dapprima alla lirica latina (agli anni

1494-1503 risalgono i Carmina) e quindi a quella in volgare cui le Rime risalgono e dove l'A. sperimentò le diverse forme della

tradizione petrarchesca. La morte del padre (1500) pose fine alla spensieratezza dei primi anni: l'A., che era il primogenito, dovette provvedere all'amministrazione familiare e alla sistemazione dei

fratelli e delle sorelle, oltre che alla propria. Nell'intento di conciliare gli interessi letterari con le necessità pratiche, cercò

dapprima di inserirsi, sull'esempio del padre, nella struttura laica dello Stato ferrarese, e fu capitano, dal 1501 al 1503, della rocca di Canossa. Nel 1503 tornò a Ferrara e iniziò una diversa carriera:

prese gli ordini minori e nel 1504 entrò al servizio del cardinale Ippolito, fratello di Alfonso d'Este, che nel 1505 sarebbe diventato

duca.

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Ludovico AriostoNell'insieme, il servizio presso il cardinale non era molto gradito al poeta,

e tuttavia gli permise di ottenere alcuni benefici ecclesiastici e di accudire agli interessi propri e familiari e di comporre le prime

commedie, destinate alle rappresentazioni di corte, La Cassaria in prosa (1508) e I Suppositi in prosa (1509), e di attendere inoltre, con

cura paziente, alla prima stesura (1504-1516) del suo capolavoro, l'Orlando furioso. Lasciato il mondo un po'angusto della corte di

Ippolito, il poeta entrò al servizio del duca Alfonso, che stava cercando con ogni sforzo di salvare, sullo scacchiere politico di quegli anni, in un

gioco ormai ampio ed europeo, l'esistenza del suo Stato. L'A. gli fu stimato collaboratore, e ricevette da lui incombenze e onori

ragguardevoli, anche se gli incarichi non furono sempre tranquilli, come quando fu inviato (1522-1525) a governare la turbolenta provincia della Garfagnana; e anche se non mancarono dissapori e tensioni, dovuti a una disputa patrimoniale, fra lui e il duca. Incontrata prima a Ferrara,

poi a Firenze una gentildonna fiorentina, Alessandra Benucci, si innamorò di lei, prima ancora che le morisse, nel 1515, il marito Tito

Strozzi. La Benucci si trasferì quindi a Ferrara e la relazione con il poeta prese l'aspetto di un amore calmo e costante e si regolarizzò in un

matrimonio celebrato in segreto nel 1526.

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Ludovico Ariosto

Dopo la seconda stesura dell'Orlando furioso, preparata nel 1521, il poeta ne preparò una terza, con ampie aggiunte e correzioni,

pubblicata nel 1532. Per le rappresentazioni di corte egli preparò inoltre il rifacimento delle vecchie commedie e ne compose di

nuove: La Lena (1528-1529), Il Negromante (1528), I Suppositi in versi (1529-1531), La Cassaria in versi (1531). La morte lo colse

nell'intimità della famiglia quando la sua fama di poeta era ormai vasta in Italia e in Europa e gli erano giunti autorevoli

riconoscimenti, anche da parte dell'imperatore Carlo V. Fra le opere minori vanno ricordate anche le Satire (1517-1525).

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L’Orlando FuriosoE' un poema cavalleresco, in quanto la materia narrativa è tratta dalla

tradizione epico-cavalleresca (romanzo cortese, cantàri, chanson de geste...: tradizione questa ripresa dal Boiardo con l'Orlando

innamorato). Le fonti del poema vanno ricercate anche nei poemi classici (Iliade, Eneide, ecc.: ad es. la pazzia d'Orlando ricorda l'ira di Achille). I tre contenuti fondamentali sono: epico (lotta tra cristiani e

musulmani), erotico (la passione d'Orlando per Angelica) ed encomiastico (Ariosto fa discendere la casa d'Este dall'amore di

Bradamante e Ruggero).

L'Ariosto riprende il poema del Boiardo laddove questi l'aveva lasciato, quando Carlo Magno, preoccupato delle rivalità che Angelica accende tra i cavalieri cristiani, sottraendoli così alla difesa di Parigi

assediata dai musulmani, la affida al duca Namo di Baviera, perché la custodisca, promettendola a chi (fra Orlando e Rinaldo) si fosse

distinto di più nella battaglia imminente. Ma Angelica, approfittando della confusione che segue alla sconfitta dei cristiani, fugge, sicché i cavalieri ricominciano a cercarla, imbattendosi in varie avventure.

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L’Orlando FuriosoNell'Orlando Furioso le avventure sono più complicate ed è difficile

riassumerle. I filoni narrativi principali sono tre: 1) la battaglia intorno a Parigi, che poi si sposta in Africa e si conclude con la

vittoria dei cristiani (l'eroe è Orlando); 2) la storia di Angelica, che fuggita dal duca Namo, viene inseguita dai cavalieri cristiani e saraceni, invaghiti di lei. Angelica però sceglierà di sposare un giovane soldato saraceno (Medoro) ferito in battaglia e da lei curato. Orlando, accortosi del fatto, impazzisce dal dolore e

distrugge, percorrendo Francia e Spagna, tutto ciò che gli si para davanti; finché il cavaliere cristiano Astolfo, salito con l'Ippogrifo

(cavallo alato) sulla Luna -dove erano raccolte tutte le cose che gli uomini avevano perso sulla Terra-, vi prende il senno di Orlando

racchiuso in un'ampolla che farà poi annusare ad Orlando, restituendogli la ragione. Così Orlando può tornare a combattere contro i saraceni determinando la loro definitiva sconfitta. 3) La

storia di Orlando viene spesso interrotta dal poeta con l'inserimento del terzo filone narrativo: l'amore di Bradamante,

sorella del cavaliere cristiano Rinaldo, per l'eroe saraceno Ruggero.

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L’Orlando Furioso

Bradamante, dopo una serie di fantastiche avventure, riesce a sposare Ruggero, che intanto si era fatto cristiano. Il poema infatti si chiude

con la vittoria in duello di Ruggero contro il saraceno Rodomonte. Da questa coppia sia il Boiardo che l'Ariosto fanno discendere gli

Estensi.

Stilisticamente è raffinato, cioè senza dialettismi ma anche senza enfasi drammatica, senza ricerca del sublime. La varietà delle

vicende è notevole. Gli eventi sono intrecciati in maniera magistrale: nessun personaggio viene sacrificato a vantaggio di altri, nessuna

situazione resta incompiuta. Le vicende danno l'impressione di poter continuare all'infinito. Si alternano continuamente, per evitare che un tema narrativo prenda il sopravvento, il tono drammatico con l'idillico e il comico, l'amoroso con l'avventuroso, il realistico col

fantastico, le scene di forza con quelle di tenerezza. Non esiste un luogo fisso: l'azione è sempre dinamica e mutevole.

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L’Orlando Furioso

Vi è un quadro estremamente vario della psicologia umana: passioni e sentimenti si avvicendano di continuo, senza che mai uno

prevalga sull'altro (amore, eroismo guerriero, gusto dell'avventura si armonizzando perfettamente). Tuttavia, nessun

personaggio presenta un complesso sviluppo psicologico individuale, cioè un contrasto interiore di bene e male (ad es.

Bradamante impersona la fedeltà e solo questa), benché l'Ariosto eviti con cura la figura dell'eroe invincibile, sovrumano. La stessa

donna non è più un angelo o un demone (come nel Medioevo), ma un essere umano. Tuttavia i personaggi restano

individualistici, generalmente incuranti dell'interesse generale.

Non esiste un riferimento ideale particolare: l'Ariosto esclude dalle vicende terrene ogni intervento provvidenziale o divino. La religione non è mai vista come fonte di dissidio interiore né come

guida dell'agire umano.

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L’Orlando FuriosoEssa è piuttosto una condizione che influisce esteriormente su alcune

situazioni (ad es. Ruggero deve convertirsi al cristianesimo per sposare Bradamante). I personaggi si muovono sulla base dei loro istintivi impulsi vitali. I caratteri sono naturali, a volte volubili (ad es. Angelica da fredda e altera diventa dolce con Medoro; l'eroe

forte e avveduto Orlando diventa pazzo d'amore).Vi sono anche alcuni temi pessimistici: l'amore non apprezzato e

non corrisposto, i desideri perseguiti con affannosa tensione e mai appagati, l'inutile correre degli uomini dietro le proprie illusioni

(vedi ad es. il castello di Atlante, ove viene rinchiuso Ruggero per impedirgli di sposare Bradamante. Qui i cavalieri vengono attratti

dalla falsa immagine -suscitata dal mago- di un bene a lungo cercato, come ad es. una persona amata, ma una volta entrati nel castello l'immagine subito scompare, per ricomparire appena essi

ne escono). La pazzia, la vanità, le illusioni dimorano stabilmente sulla Terra,

mentre la ragione è sulla Luna. Infine il prevalere della "fortuna" (caso) sulla capacità dell'uomo di dominare il proprio destino.

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L’Orlando Furioso L'Ariosto guarda con ironia, cioè

con distaccata superiorità le assurde vicende degli uomini,

vittime delle loro illusioni e delle loro passioni: però è un'ironia comprensiva non

sprezzante.Vi sono anche elementi di critica politica: contro il

malgoverno e la follia dei principi italiani che, lottando tra di loro, facevano entrare gli stranieri in patria: cosa peraltro che impediva di

combattere i turchi, che allora erano molto potenti.

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Torquato Tasso e “La Gerusalemme Liberata”

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Torquato Tasso

Nato a Sorrento nel 1544 la madre era una nobildonna toscana e il padre gentiluomo d corte e poeta, autore del poema cavalleresco “Amdigi”, era segretario del principe d Salerno che, mandato in esilio, fu costretto a seguire. Tasso, dopo aver studiato a Napoli presso i Gesuiti seguì il padre a Roma poi a Urbino alla corte dei Della Rovere. Nel 56 la madre morì senza che lui l’avesse potuta

rivedere. Seguì il padre a Venezia dove, a 15 anni, iniziò un poema epico sulla prima crociata lasciandolo però interrotto. In

seguito si trasferì a Padova per studiare prima diritto poi filosofia e letteratura. A 18 anni scrisse un poema epico cavalleresco, il

“Rinaldo”, e compose rime d’amore per Lucrezia, una dama della duchessa d’Estensi e per Laura, conosciuta a Mantova. Ambiente

cortigiano e accademico. Si trasferì a Ferrara al servizio del cardinale Luigi D’Estè (quelli furono anni sereni e fecondi dal punto di vista creativo). Si inserì agevolmente nell’ambiente

cortigiano ma anche in quello intellettuale, conoscendo Battista Guarini e G.Battista Pigna.

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Torquato Tasso

Nel 1577 passò al servizio diretto del duca a potè dedicarsi interamente alla poesia. La corte di Ferrara era sempre stata amante della

letteratura cavalleresca e per questo Tasso fu spinto a lavorare al poema epico sulla crociata e per la corte aveva composto un dramma

pastorale, l’ “Aminta” e aveva tentato una tragedia lasciata però incompiuta. Ma al suo poema guardava con inquietudine e

insoddisfazione, tormentato dallo scrupolo d renderla perfettamente aderente alle regole della Controriforma. La sottopose a Roma al giudizio d autorevoli letterati che lo criticarono rendendo il Tasso

sempre più insicuro. Compose anche un‘”Allegoria” per giustificare gli episodi amorosi attribuendo loro significati allegorici. Assalito da

dubbi sulla propria ortodossia religiosa, nel 1577 si sottopose spontaneamente all’Inquisizione che lo assolse, ma fu sempre

inquieto e a questo si aggiunsero manie di persecuzione..

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Torquato Tasso

Dopo continue peregrinazioni per l’Italia, Urbino, Mantova, Torino,tornò a Ferrara per le terze nozze del duca Alfonso ma non trovando l’accoglienza che si aspettava si dimostrò molto violento

e fu rinchiuso nell’ospedale di Sant’Anna dove poté riprendere l’attività letteraria scrivendo numerose rime e buona parte dei

“Dialoghi”, ma era turbato continuamente da incubi e allucinazioni . Scrisse numerose lettere a principi, intellettuali, prelati per chiedere aiuto e difendere la propria persona. La

pubblicazione non autorizzata del poema in una edizione incompleta e scorretta scatenò una polemica fra i sostenitori del

tasso e quelli che ritenevano superiore l’Orlando Furioso. Tasso fu amareggiato, scrisse un’APOLOGIA DELLA GERUSALEMME

LIBERATA revisionando completamente l’opera. Il duca d Mantova ottenne l’affidamento del poeta ma la sua irrequietezza lo portò a continuare nelle sue peregrinazioni. Nel 1593 ripubblicò il poema col titolo GERUSALEMME CONQUISTATA: il papa Clemente VIII gli

propose l’incoronazione poetica ma Tasso era gravemente ammalato e morì nel 1595.

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La Gerusalemme LiberataConflitti ideologici e spirituali, motivi epici e amorosi, intenzioni

religiose e profane, si intrecciano in modo assai più complesso nella Gerusalemme Liberata, composta da Tasso nell’arco di dieci anni circa ( 1564 – 1575 ), rielaborando il primo testo giovanile,

del 1559 – 1560, e riflettendovi la concezioni del poema epico già teorizzata nei Discorsi. Il poema, dedicato ad Alfonso II d’Este, attinge le informazioni dagli storici delle crociate, in particolare

Guglielmo di Tiro, e canta la prima crociata, bandita da Urbano II, iniziata nel 1096 e conclusa nel 1099 con la presa di

Gerusalemme, trasformata in un regno feudale sotto Goffredo di Buglione, che assume il titolo di <difensore del Santo Sepolcro>.

Tasso limita la narrazione agli ultimi tre o quattro mesi della crociata, che immagina durata non tre, ma sei anni.L’intento di

tasso è sottolineato dallo stesso argomento scelto, dalla sua attualità in un’epoca che vede i cattolici aspramente impegnati sia contro l’eresia protestante, sia contro l’avanzata dei turchi,

sconfitti proprio in quegli anni con la battaglia di Lepanto ( 1571 ).

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La Gerusalemme LiberataInoltre la crociata era un argomento storico non tanto remoto da

confondersi con un’invenzione favolosa e romanzesca, né tanto vicino da togliere al poeta ogni possibilità di finzione fantastica. A

differenza di Ariosto, egli non tratta una materia epico – cavalleresca. Il tema epico – religioso costituisce la struttura unitaria del poema, intorno alla quale gravita la varietà degli

episodi lirici e fantasiosi, in intima e dinamica concatenazione. Accanto al motivo religioso, che attraversa tutto il poema, c’è

quindi una concezione severa della vita, intesa come eroismo e come ricerca di gloria. A questa struttura epica si intrecciano le

grandi storie d’amore, ora tenere e sospirose ( l’amore di Erminia per Tancredi ), ora patetiche e tragiche ( l’amore di Tancredi per Clorinda ), ora sensuali ( gli amori di Armida e Rinaldo ). Questa

vena amorosa, si contrappone appunto al tema eroico. L’intenzione del Tasso, nei confronti della storia, non era il

rigoroso attenersi al <vero>. L’argomento del poema doveva essere perciò quello che il Tasso chiama il <verosimile>.

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La Gerusalemme Liberata

In questo modo il Tasso fonde in un solo elemento la “varietà e l’unità ”. L’unità era data dalla grande impresa, voluta e aiutata

da Dio, la varietà dal fluttuare alterno delle passioni degli interessi egoistici, che si scontravano con all’impegno religioso ed

eroico. A tutto ciò va anche unito l’intervento del <meraviglioso> : concili di angeli e demoni e loro partecipazione attiva alla vicenda, rappresentanti della magia nera e della magia

bianca.Per quanto riguarda i personaggi, ognuno riflette il dramma

spirituale del poeta. Abbiamo Tancredi, amante non corrisposto e condannato da un destino crudele ad uccidere la donna amata; Armida, che simboleggia il tema della voluttà, insidiata da una vena sottile di labilità e malinconia; Rinaldo, che rappresenta

l’ardore giovanile di gloria; Goffredo e Sofronia, entrambi rappresentanti di un ideale tassiano di generosa ed

incontaminata forza morale.

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La Gerusalemme LiberataL’Ariosto ed il Tasso quindi, divennero due

emblemi di concepire l’arte e la vita: l’Ariosto fu visto come il

rappresentante di una limpida misura classica ed umana; il Tasso invece, fu il rappresentante di una visione della vita tormentata. Dolorose infatti furono per

Tasso le critiche spesso meschine opposte al suo poema, che lo indussero

a rielaborarlo nel contenuto e nello stile. Nacque così la “Gerusalemme

Conquistata”, uscita nel 1593. Il nuovo poema esprimeva la dolente vicenda

degli ultimi anni del poeta, ormai chiuso in un pessimismo rassegnato,

nella rinuncia ad ogni sforzo costruttivo, alla fede nell’uomo e nella

vita.

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Baldassarre Castiglione e “Libro del Cortegiano”

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Baldassarre Castiglione

Scrittore italiano (Casatico, Mantova, 1478-Toledo 1529). Nobile di nascita, compì gli studi umanistici a Milano, alla scuola di G.

Merula e D. Calcondila e fu iniziato alla vita di corte nel palazzo di Ludovico il Moro. Dal 1499 al 1503 visse presso i Gonzaga; poi,

nel 1504, andò a risiedere nella splendida corte di Urbino, presso Guidobaldo da Montefeltro e poi Francesco Maria della Rovere,

per i quali svolse vari incarichi diplomatici. Ambasciatore (1513-16) presso Leone X a Roma, dove si legò d'amicizia con Raffaello,

ritornò al servizio dei Gonzaga dopo la caduta del Ducato d'Urbino; a Mantova sposò nel 1516 Ippolita Torelli che, dopo

avergli dato tre figli, morì di parto. Nel 1524 C., che aveva frattanto abbracciato lo stato ecclesiastico, fu inviato da

Clemente VII come nunzio presso Carlo V in Spagna, dove morì circa quattro anni dopo, affranto per il sacco di Roma dei

lanzichenecchi (1527): un evento del quale era stato ingiustamente ritenuto responsabile per non aver saputo

prevederlo.

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Libro del Cortegiano

La prima edizione del Libro del Cortegiano di Castiglione fu pubblicata a Venezia presso Aldo Manuzio nella primavera del

1528 Portata a termine nel 1516 una prima stesura che comprendeva una

dedica indirizzata a Francesco I, Castiglione appronta una seconda versione intorno al 1518 per poi riprenderla fra il 1521 e

il 1524: le tre diverse redazioni testimoniano una serie di cambiamenti sia di carattere formale sia culturale, che

riproducono il progressivo definirsi di una pratica cortigiana all’interno di una cultura orientata alla ricerca di modelli

universali.Il Cortegiano è composto di quattro libri: i protagonisti del trattato sono illustri e dotti personaggi che, impegnati in piacevoli giochi e in liete conversazioni, passano virtuosamente il tempo libero della

sera, dopo le occupazioni quotidiane, e decidono di dedicarsi al gioco di "formar con parole un perfetto cortegiano".

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Libro del Cortegiano

La scelta della forma dialogo rappresenta, inoltre, un implicito riferimento alla conversazione cortigiana di cui, nel corso del

trattato, si rappresentano le regole: la discussione sulle materie di volta in volta prescelte dal gruppo che si è riunito pur sempre per intrattenimento reciproco, non può oltrepassare il limite di un’esposizione non professionale, e deve sempre tener conto delle circostanze comunicative in cui i dialoghi si compiono.Dall’esigenza di riqualificare la figura del cortigiano deriva la

trattazione che Ludovico di Canossa fa nel primo libro, dove sono definite le caratteristiche fisiche e morali del perfetto "uomo di

corte": viene sottolineata la necessità di comportamenti prudenti, sapientemente ispirati ad una mediocritas che si traduce in

equilibrato senso della misura.

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Libro del Cortegiano

Categoria centrale di questo sistema di norme è la grazia, cui dovranno conformarsi i modi di vestire e di parlare, di muoversi e

di mangiare, di apparire e di essere: il cortigiano, esperto conoscitore di armi e di lettere, nobile dotato di ogni virtù fisica e morale, avrà come compito precipuo quello di dissimulare ogni artificio, in nome di quella sprezzatura che è specifica forma del

suo vivere in corte.Nel corso del secondo libro, la parola passa da Federico Fregoso, impegnato ad illustrare le modalità di applicazione dei precetti delineati in precedenza, a Bernardo Dovizi da Bibbiena , che

propone il tema delle facezie come forma propria dell’intrattenimento cortigiano. Giuliano de’ Medici illustra, nel terzo libro, i tratti della perfetta "donna di palazzo", immagine

speculare a quella dell’ "uomo di corte" cui appartengono discrezione e decoro.

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Libro del Cortegiano

Il quarto ed ultimo libro affronta una serie di tematiche che si differenziano sensibilmente dalle precedenti, in quanto è in questa sede che vengono analizzati i rapporti fra principe e

cortigiano all’interno della struttura politica e sociale della corte. Ottaviano Fregoso enuncia, infatti, i compiti di colui che, grazie

alle sue qualità intellettuali, diviene l’ "istitutore" del suo signore, il consigliere in cui è agevole riconoscere le caratteristiche dei

filosofi classici. Nella seconda parte del libro, Bembo viene interpellato sul tema dell’amore platonico, che, a differenza di

quello cortese, descritto soprattutto come forma di galante intrattenimento, viene esaltato in termini filosofici e invocato

come sola strada possibile per giungere al bene divino.

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Libro del Cortegiano

Il testo di Castiglione fonda la grammatica del

comportamento cortigiano destinata a costituire non solo

il punto di riferimento per i trattati posteriori, quali, ad

esempio, il Galateo e la Civil conversazione, ma anche il manifesto esemplare del

perfetto "uomo di corte" fino

alla Rivoluzione francese.

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Marion Zimmer Bradley

 

Dan Brown

Terry Brooks

Letteratura fantastica

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Letteratura fantastica

La Fantascienza è probabilmente il genere più noto al grande pubblico. Nasce dal romanzo fantastico-avventuroso e trova negli anni 1950 il suo periodo d'oro. L'esperienza del non quotidiano, in

questo tipo di letteratura, non è da ricollegarsi alla magia o al mistero, ma a fatti scientificamente possibili, agli effetti di teorie o tecnologie plausibili anche se non ancora scoperte. Nascono quindi, come variazione a questa semplice definizione di base,

vari tipi di fantascienza, sottogeneri e filoni, come ad esempio il Cyberpunk.

Padri del genere fantascientifico sono considerati, tra gli altri, Giulio Verne, Edgar Rice Burroughs, Isaac Asimov, Philip K. Dick, Frank

Herbert, Ray Bradbury.

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Letteratura fantastica

Il genere Fantasy è, nell'uso comune, quello più legato al fantastico, pur se in realtà ne è un semplice comparto. È, tra tutti i generi

fantastici, quello più legato alla letteratura mitica, alle fiabe e alle favole, in cui la magia e gli eventi inspiegabili, nemmeno con ipotesi scientifiche, sono una parte importante nella vicenda.

Tra i padri del genere un posto di primo piano va assegnato a Tolkien, autore de Il Signore degli Anelli. Sulla sua scia si inserisce

tutta una serie di interessanti autori come Marion Zimmer Bradley, Roald Dahl, Tanith Lee, Terry Pratchett, Michael Ende (La

storia infinita e Momo), Robert Jordan (The Wheel of Time) e David Eddings (Il ciclo del Belgariad).

Si ha poi anche il sottogenere di fantasy epico dall'unione tra il romanzo epico, di cui si accennerà più sotto, e il fantasy:

maestro in questo genere era Robert Ervin Howard con la saga di Conan

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Letteratura fantastica

Il primo passo, però, vero la letteratura dell'orrore e del mistero è la Letteratura gotica. Se i racconti di streghe e fantasmi sono da considerarsi i primi esempi stilistici di tale genere, le sue origini

sono però da porsi con Il castello di Otranto di Orace Walpole. Da lì in poi molti autori si sono cimentati con questa particolare

forma di espressione: tra i principali la scrittrice Mary Shelley con il suo Frakenstein e Bram Stoker, il cui romanzo più famoso,

Dracula, è anche considerato uno degli ultimi, se non l'ultimo, romanzo gotico. Una citazione allora la merita anche John William Polidori, che con il suo racconto Il vampiro ha dato origine al mito

letterario del Vampiro (di cui Dracula è il più illustre esempio), che ancora oggi affascina i lettori di tutto il mondo. Nella

categoria del romanzo gotico vengono spesso classificati tutti quei romanzi che parlano di creature mostruose, come appunto Frankenstein o Il Golem. Uno degli esponenti contemporanei di

questo genere di letteratura è considerato l'italiano Valerio Evangelisti

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Letteratura fantastica

Il passo successivo è la Letteratura horror o dell'orrore, un genere che ha da un lato attirato il nostro lato morboso e macabro, e

dall'altro respinto proprio a causa della paura, sentimento su cui si basa il genere.

I padri dell'orrore, coloro che, in un certo senso, ne hanno dettato le fondamenta e le leggi con le loro opere sono Edgar Allan Poe e

Howard Phillips Lovecraft. Da qui in poi l'orrore ha marciato spedito, raccogliendo consensi e un sempre maggiore seguito.

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Dan BrownHa fatto discutere il best seller di Dan

Brown: un romanzo thriller che mette in scena una vera e propria caccia al

tesoro, il Santo Graal. Robert Langdon, un famoso semiologo americano,

viene coinvolto nell'indagine dell'assassinio di Jacques Saunière, un curatore del Museo Louvre di Parigi,

perché quest'ultimo, prima di morire, ha lasciato scritto il suo nome con il sangue, insieme ad un messaggio scritto in codice. Sophie Neveu,

criptologa del Dipartimento di Polizia e nipote di Saunière, aiuta Langdon a

sfuggire alla polizia per iniziare con lui la ricerca del segreto che il nonno

aveva tenuto nascosto all'aggressore, ma che voleva trasmettere a lei..

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Dan BrownComincia così una roccambolesca avventura

fatta di inseguimenti, codici da decifrare ed incredibili teorie che mescolano religione,

arte, storia ed esoterismo. Chi era realmente Leonardo da Vinci? Cosa hanno nascosto per secoli i Templari? Quale chiave dà accesso al segreto del Santo Graal? Il Santo Graal, non

sarebbe realmente una coppa che ha raccolto il sangue di Cristo, bensì una donna, Maria Maddalena, che sarebbe stata la moglie di

Gesù e che da lui avrebbe avuto dei figli. La Chiesa Cattolica recita in questo libro la parte del "cattivo" che vuole sopprimere l'elemento

femminile e, per far questo, avrebbe perpetrato uccisioni, mosso guerre, perseguitato i discendenti di Gesù, organizzato la caccia alle streghe,

combattuto i Templari e la Massoneria.

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Dan BrownScrivendo questo romanzo Dan Brown si è rifatto alla leggenda creatasi attorno ad un parroco francese, don Berenger Saunière,

morto nel 1917, diventato misteriosamente ricco. La sua perpetua Marie Denarnaud,

avendo ricevuto in eredità le sue proprietà di Rennes-le-Chậteau, ha alimentato la leggenda insieme all'esoterico Pierre

Plantard che negli anni '50 sosteneva di essere l'ultimo discendente di Gesù Cristo.

Piuttosto avvincente, Il Codice Da Vinci ricorda le trame di film come la serie di

Indiana Jones, o della Mummia, che tuttavia non hanno la pretesa di "rispecchiare la

realtà", come invece dichiara l'autore nella sua breve introduzione, che pure inserisce nella sua opera clamorosi errori storici ed

improbabili accostamenti.

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Dan Brown

L'America intera si è appassionata a questi

interrogativi e ha decretato Dan Brown scrittore dell'anno (al primo posto in classifica

da sette mesi). Il suo romanzo, tradotto in tutti i

paesi del mondo, ha spiegato a milioni di lettori perché, in definitiva, Monna Lisa, nel

celebre ritratto della Gioconda, sorride.

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Dan Brown

Ritengo che “Il Codice da Vinci” abbia mantenuto la sua postazione in cima alla classifica dei best-seller così a lungo per la sua

facilità di lettura, la suspense, e il coinvolgimento che provoca nel lettore. Tuttavia, dopo aver letto “Il Codice” è sconsigliabile

leggere “Angeli e Demoni”, del medesimo autore. Pur essendo infatti le trame differenti, gli inganni e i sotterfugi utilizzati

risultano essere molto simili e quindi facilmente individuabili, così da rendere il libro abbastanza prevedibile. Nel complesso però,

anche “Angeli e Demoni” è degno di lode.

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Marion Zimmer Bradley 

"Le nebbie di Avalon"  

 "...La spada, Artú. Excalibur. Stringila e lanciala lontano nelle acque del Lago [...] Lascia che le nebbie di Avalon

l'inghiottano per sempre... " 

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Marion Zimmer Bradley 

Questo libro racconta la storia di re Artú e dei Cavalieri della Tavola Rotonda.

In questo scenario storico si svolgono e s'intrecciano le vite di grandi personaggi femminili tra le

quali la fata Morgana, sorella e amante di Artú e la bionda ed eterea

Ginevra, infelice consorte del re. Ma è soprattutto il magico regno di

Avalon a fare da grande protagonista; qui religione e magia si

fondono per creare grandi misteri, conosciuti solo dalle sacerdotesse di Avalon e dalla somma sacerdotessa Morgana, che andranno ad influire sulle vite di re Artú e dei Cavalieri

della Tavola Rotonda

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Marion Zimmer Bradley Il cardine del romanzo è il conflitto tra la religione cristiana, ai suoi

albori, e l'antica religione britannica, quella celtica, che ha il suo "cuore" e il suo simbolo nell'Isola Sacra di Avalon, dove i Druidi

venerano la Dea Madre. Morgana, sorella di Artù per parte di madre, è stata allevata ad Avalon, è una sacerdotessa della Dea e viene

prescelta dalla Dama del Lago, la Grande Sacerdotessa Viviana (zia di Artù e della stessa Morgana) per partecipare al rito antichissimo delle Nozze Sacre, in cui il nuovo re si unisce alla terra che giura di proteggere... Separata fin da bambina dal fratellastro, lo riconosce troppo tardi e quando si scopre incinta, sconvolta ma decisa a non essere una docile marionetta nelle mani di Viviana (che teme che Artù possa trasformare la Britannia in una terra cristiana e perciò vuole che almeno il suo erede sia fedele ad Avalon), fugge... non

può sapere che quel figlio non voluto sarà lo strumento della distruzione del padre.

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Marion Zimmer Bradley Ginevra rappresenta il Cristianesimo, è sposata

ad Artù e gli è devota, ma è innamorata da sempre di Lancillotto e la sua coscienza è

lacerata tra il dovere e il vero amore... Anche le altre protagoniste sono altrettanto

affascinanti e complesse: c'è Viviana, capace di grandi affetti, ma anche di gesti spietati in nome della Dea a cui rimarrà fedele fino alla

morte; Igraine, sua sorella, prima data in moglie a un uomo vecchio che non ama e poi al Grande Re, Uther Pendragon, padre di Artù; Morgause, la più giovane delle tre, ambiziosa e crudele, ma ben decisa a usare gli uomini

piuttosto che farsi usare da loro; e la sfortunata Nimue, strumento nelle mani di Morgana, che cade vittima del sortilegio

d'amore ordito per distruggere Kevin, Messaggero degli Dei divenuto traditore di

Avalon.

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Terry BrooksTerry Brooks è nato in Illinois nel 1944.Ha studiato Letteratura Inglese all'

Hamlinton college e si è laureato in Legge alla Washington & Lee University. Scrittore fin dalla scuola superiore, ha scritto storie di Science-Fiction, Westerns, e Non-Fictions, fin quando, all'inizio del primo semestre, gli venne assegnato da leggere "Il Signore degli Anelli".Da quel momento la carriera di scrittore di Terry cambiò

radicalmente, perchè nelle pagine di Tolkien egli ha trovato tutti gli elementi combinati di un genere che permettesse di far spaziare su carta tutte le sue idee sulla vita, l'amore e le cose meravigliose che

riempiono questo mondo. Da qui alla pubblicazione del suo primo libro il passo è breve; nel 1977 Terry infatti pubblica "La Spada di

Shannara.Nel periodo in cui Terry ha esercitato la professione di avvocato ha scritto "Le Pietre Magiche di Shannara", che è stato

pubblicato nel 1982.Nel 1985, invece, ha pubblicato "La Canzone di Shannara" che ha completato al trilogia. Dopo la pubblicazione dei suoi

primi tre romanzi, Terry capì che quella di scrittore era l'ambizione della sua vita, quindi lasciò del tutto la professione di avvocato e si trasferì a Seattle dove iniziò a scrivere il primo libro della serie di Landover, Una volata completati i libri di Landover, Terry torna nuovamente alla serie di Shannara, pubblicando "Il Primo Re di

Shannara" .

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Terry Brooks

Fin dall'inizio della stesura dei libri dell "Eredità di Shannara", Terry pensava ad una nuova serie, ambientata nei giorni nostri, un fantasy di tipo "dark" e "contemporaneo, scrisse la Trilogia del Verbo e del Vuoto. Al momento Terry è tornato di nuovo alla serie di Shannara

scrivendo altre due trilogie; la prima è intitolata "Il Viaggio della Jerle Shannara" e comprende i libri "La Strega di Ilse", "Il Labirinto" e "L '

Ultima Magia"; la seconda è intitolata "Il Druido Supremo di Shannara" che comprende per il momento solo "Jarka Ruus", ma a

cui seguiranno "Tanequil" ed un mysterioso terzo libro di cui si ignora ancora il titolo.

Per il futuro si vocifera di una nuova serie, totalmente estranea alle altre... Terry oggi vive con sua moglie Judine nel Nordovest dell'

Oceano Pacifico.

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Ciclo CarolingioIl ciclo carolingio rievoca le epiche

imprese di Carlo Magno e dei suoi paladini a difesa del suolo

patrio contro le invasioni saracene. Si compone di

numerose “Chanson de geste”, poemi in versi, in cui si riflettono

e si esaltano i sentimenti più schietti del popolo francese e per

questo motivo esse trovarono larga risonanza e profonda eco

presso le classi popolari così francesi come italiane, nelle zone

della nostra penisola in cui penetrarono.

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Ciclo CarolingioDi questo ciclo il poema più antico a nostra

conoscenza è la Chanson de Roland: proprio dall'enorme successo di questo

avrebbe preso avvio il processo di ciclizzazione, rispondente al desiderio del

pubblico di conoscere antefatti e conseguenze della sconfitta di Roncisvalle.

Nasce così tutta una serie di canzoni (Entrée d'Espagne, Prise de Pampelune,

Otinel, Gaydon, Galiens, Gui de Bourgogne); altre canzoni trasportano

invece la scena dell'azione dalla Spagna all'Italia, narrando le spedizioni di Carlo Magno contro i Longobardi (Chevalerie

Ogier) o quelle più fantastiche nel Mezzogiorno invaso dai Saraceni (Chanson d'Aspremont) o il soccorso portato a Roma

assalita dagli infedeli (Destruction de Rome, Fierabras);

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Ciclo Carolingioaltre ancora cantano le guerre

dell'imperatore contro gli infedeli che occupano la Bretagna (Aquin). Alcuni

poemi rievocano le vicende e le imprese giovanili di

Rolando, altri ancora gli inizi romanzeschi della vita di

Carlo Magno, la sua nascita da Berta (Berthe aux grands pieds), l'infanzia, la fuga e

l'esilio in Spagna, l'amore con la bella Galiana.

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Ciclo BretoneIl ciclo bretone, che si espresse nei

romanzi (sorta di narrazioni epiche miste di prosa e versi),narra le

imprese di eroi favolosi (re Artù e i cavalieri della Tavola rotonda) che corrono mille rischiose avventure per conquistare una donna, per

difendere un debole,per vendicare un sopruso,insomma sempre e

soltanto per spirito d'avventura,per affermare cioè un ideale di coraggio individuale che

occupa troppo di sé l'eroe per poter essere messo al servizio di

un interesse collettivo.

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Ciclo BretoneOvviamente questo ciclo incontrò maggior

fortuna presso i nobili,tanto più raffinati nel gusto quanto meno sensibili ai

sentimenti popolario assunto in cielo.

Esso aveva come protagonisti persone delle antiche genti Germaniche

(Inghilterra e Irlanda) e si diffuse in Bretagna e in Normandia.

Il tema di questi cicli lo si poteva trovare ad esempio in “Tristano e Isotta”,

una storia d’amore drammatica. Quest’opera non ci è arrivata tutta per intero e si pensa fosse stata redatta da

un poeta Normanno Thomas tra il 1160-1170; tuttavia siamo in grado di

ricostruirla grazie ai successivi rifacimenti ad essa da altre persone.

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Ciclo BretoneNella Francia del Nord nacque

contemporaneamente la romanzesca “Historia regum britanniae”

scritta da Goffredo Monmouth che creò la legenda di re Artù e di

Merlino. In seguito a Chretiène de Troye si fanno risalire altri cicli come

“La ricerca del Santo Graal”, le avventure di sir Lancillotto e così via.

Da ciò Chrètien e i suoi continuatori furono il nucleo del “Ciclo Bretone”.

Mentre il “Ciclo carolingio” si apprestava a tutte le classi sociali, quello Bretone era invece stato redatto per le classi

più agiate e aristocratiche.

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Il mito della tavola rotonda

Excalibur e il mistero di San galgano

I protagonisti

Avalon

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Lancillotto

Re ArtùPerceval

GinevraMerlino

Sagremor

Tristano e IsottaMorgana

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Ginevra era la moglie del leggendario re Artù del ciclo romanzesco della Tavola Rotonda.

Di lei si innamorò segretamente il cavaliere Lancillotto del Lago (cit. Inf. V, 128), che tradì così la fiducia di Artù, suo signore ed

amico.Come il cavaliere feudale, l'amante chiedeva di essere accolto a servire la sua dama, ricevendone in cambio l'amore, come dal

signore riceveva protezione. Il bacio fra i due amanti era, dunque, un pegno di fedeltà.

Proprio la lettura del passo del bacio fra Lancillotto e Ginevra, molto noto negli ambienti di corte, spinge Paolo e Francesca, protagonisti del V canto dell'Inferno, alla reciproca presa di

coscienza del loro amore.

Ginevra

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Artù

Re Uther Pendragon (detto il drago rosso) era il sovrano di Britannia e la sfortuna per così dire fece sì che non avesse un erede degno al trono. Il re era ormai vecchio e malandato e il

suo legittimo figlio nonché futuro re perì durante una battaglia contro gli odiati Sassoni, così il regno si ritrovò nella sventurata situazione di non poter avere una certezza di un futuro roseo! Tra questi figli c'erano Morgana e il fratello

minore Artù.Altri sostengono che il pargolo fosse figlio di Artù nato in circostanze anche qua assai complicate che spiegherò in

seguito. Accadde poi che Uther si ammalò ulteriormente e che il

problema della successione al trono fosse impellente, perché i nemici cominciavano ad approfittare della precaria salute del sire. Pendragon era restio a consegnare il trono ad un figlio

“bastardo” e il consiglio dei nobili spingeva per poter collocare un loro uomo sul trono della Britannia.

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Artù

Cosicché Uther si decise a lasciare il proprio trono al nipote ancora poppante e, sotto le pressioni di Merlino e Morgana si vide

costretto a nominare Artù come tutore di Mordred, questo era il nome del re neonato, cosicché il fato volle che alla morte del grande Uther Pendragon Artù fu il condottiero di Britannia,

ma non fu mai veramente re. In seguito si dice che Mordred crebbe in fretta ed era smanioso

di salire al trono che gli spettava, ma che il popolo e l’esercito amasse Artù, volendo che fosse lui a continuare a condurre il Paese.Il favore del popolo non fece altro che inasprire l’odio provato da Mordred per il rivale. Così vuole la leggenda che

Mordred ormai cresciuto e divenuto un forte cavaliere, vedendosi negare il trono a lui spettante, uccise Artù durante una battaglia con una lama avvelenata, ma che lui stesso perì per mano dell’odiato. Fu così che la Britannia cadde in mano dei

Sassoni”.

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ArtùRe Artù si sposò con Ginevra, che gli portò in dono una grande tavola di

legno rotonda, tanto vasta che centocinquanta cavalieri potevano sedervisi attorno assieme. La sua forma impediva che tra loro ve ne fosse uno che primeggiasse, e Re Artù e i suoi cavalieri si resero celebri, non soltanto per le loro avventure, ma anche e soprattutto perché vissero sempre secondo giustizia e onestà. I Cavalieri della Tavola Rotonda erano i più valenti campioni della cristianità, e tra

loro si contavano molti famosi guerrieri, come Sir Bedivere, Sir Lancillotto e suo figlio Sir Galahad, e ancora Sir Gawain, nipote del re, e Sir Tristano della Leonessa. Ma di tutte le storie dei Cavalieri

della Tavola Rotonda, la più celebre è senz’altro quella della Cerca del Santo Graal, la coppa usata durante l’ultima cena di Gesù con i

suoi discepoli. Molte leggende correvano, ai tempi di Re Artù, sul Santo Graal e una di esse voleva che fosse stato riempito con il

sangue di Cristo crocifisso da Giuseppe di Arimatea, ma nessuno sapeva che fine avesse fatto la coppa. Una sera, mentre Artù e i suoi cavalieri cenavano attorno alla Tavola Rotonda, udirono un grande

scroscio di tuono mentre nella sala appariva un raggio di luce sette volte più intensa di ogni altra luce.

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Artù

E parve, a ciascuno dei presenti, che tutti gli altri fossero assai più belli di quanto fossero mai stati, e rimasero muti, persuasi che fosse giunto il giorno del giudizio. In quel momento , invisibili portatori recarono, facendola girare per la sala, una coppa

coperta di candida seta, mentre si spandeva un dolcissimo profumo e davanti a ciascuno dei commensali comparivano il

cibo e la bevanda preferiti. Poi la coppa scomparve.

Il re ringraziò allora Dio per avere concesso quella visione, e Sir Gawain disse: - Indubbiamente ci è stata offerta una visione di grazia. Ma io faccio voto che domani, e non più tardi, partirò alla ricerca del Santo Graal. Voglio vederlo senza veli, e

continuerò la mia ricerca finché potrò reggere, e se non dovessi riuscirci, so che sarò stato ritenuto indegno di trovarlo.

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Artù

Quando gli altri cavalieri udirono il voto di Sir Gawain, si alzarono in piedi e fecero lo stesso giuramento, ma Re Artù ne fu

profondamente addolorato. - Ahimè - disse a Gawain - con il tuo voto mi hai ucciso, perché mi hai fatto perdere la compagnia

dei più nobili e valorosi cavalieri che ci siano.

E sono certo che molti di noi non si rivedranno più, poiché molti periranno nella cerca e gli occhi si imperlarono di lacrime.

Lunga e difficile fu la cerca tra mille avventure e pericoli, e alla fine soltanto Galahad, il giovane figlio di Lancillotto, fu degno di portare a termine l’impresa, ma neppure lui visse tanto a lungo da portarne la notizia a re Artù alla corte di questi. C’è chi dice che il Santo Graal sia tuttora sepolto a Glastonbury nel Somerset, ma questa è un’altra storia”.

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Sagremor

Cavaliere della tavola rotonda . Nel ciclo di “Vulgate” si accenna a Sagremor come il nipote dell'imperatore di

Constantinople,che una malattia improvvisa, e ciò induce Kay a denominarlo Jeune del le mort ("il corpse giovane").

Nella prosa “Tristan” , è messaggero di Tristan 'che porta il suoi schermo e spada quando Tristan sta morendo’. Ancora, è accennato in Chrétien de Troyes Perceval , Meliador del

Froissart ed idylls del Tennyson del re .

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Tristano e Isotta

Un giorno, Isotta principessa d'Irlanda dai lunghi capelli biondi, trovò sulla spiaggia un giovane orfano di nome Tristano,

moribondo per una ferita. Ne ebbe pietà e lo curò amorevolmente fino a guarirlo. Il giovane cavaliere, ormai

rimessosi, dovette ripartire per recarsi da suo zio, il re Marco di Cornovaglia. Lo zio lo accolse a braccia aperte e, dato che non aveva eredi al trono, lo volle designare suo successore. Ma i nobili del regno si opposero e, così il re, Marco acconsentì a

sposarsi, ma solo con la donna a cui era appartenuta la ciocca di magnifici capelli biondi che una rondine aveva appena

deposto dinanzi a lui.

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Tristano e Isotta Tristano riconobbe immediatamente i capelli, e disse che appartenevano

alla bella Isotta, principessa d'Irlanda, e che, si sarebbe recato volentieri nel suo paese per chiederla in sposa per conto del re. Quando Tristano arrivò in Irlanda, vide che il paese era terrorizzato da un drago e, decise perciò di affrontarlo per acquistare valore agli occhi di Isotta.

Riuscì ad uccidere il drago, ma fu ridotto in fin di vita dal suo alito velenoso, ed un altro cavaliere gli sottrasse il merito dell'impresa.

Sospettando un raggiro, Isotta e la madre scoprirono e soccorsero il giovane cavaliere morente. Per la seconda volta, grazie alle sue amorevoli cure, Isotta riuscì a salvarlo. Ma un giorno, mentre lo

medicava, Isotta notò che nella spada di Tristano vi era una grossa tacca, nel punto in cui un pezzo di metallo si era staccato dalla lama.

Scoprì con raccapriccio che a questa tacca corrispondeva perfettamente il frammento di metallo trovato nella testa di suo cugino Morholt. Tristano, infatti, aveva ucciso questo cavaliere in Cornovaglia, durante una battaglia contro gli irlandesi. Fuori di sé, per il desiderio di

vendicare il cugino, Isotta, levò la spada per uccidere Tristano, ma all'ultimo istante le mancò il cuore di farlo, perché sentiva di amare

quel giovane.

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Tristano e Isotta 

Quando Tristano guarì e la chiese in sposa per conto dello zio Marco di Cornovaglia, Isotta fu colta dalla disperazione, ma dovette accettare perché suo padre confidava in quel matrimonio per

riportare la pace tra i regni di Irlanda e Cornovaglia. La madre di Isotta, per alleviare il dolore della principessa, preparò un filtro

d'amore che, bevuto Da Isotta e Marco la sera delle nozze, avrebbe fatto innamorare per sempre i due sposi, e lo affidò a

Brangaine, l'ancella di Isotta. Nel viaggio di ritorno verso la Cornovaglia, tuttavia le cose non andarono secondo le i piani

della regina. Un giorno Tristano, assetato bevve per errore parte del filtro, e ne offrì ciò che ne rimaneva ad Isotta. Così Tristano e

Isotta si innamorarono perdutamente l'uno dell'altra.

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Tristano e Isotta Fedele alla sua promessa, Isotta sposò comunque re Marco;durante

la prima notte di nozze però, la sua ancella Brangaine, prese segretamente il suo posto, per ingannare il re. Tristano e Isotta

invece continuarono a incontrarsi in segreto, finché il loro amore venne scoperto. Un giorno, infatti il re Marco, sorprese i due

amanti, mentre dormivano, ma come segno di castità, vi era la spada  di Tristano in mezzo ai due.  Il re deciso dapprima ad

ucciderli entrambi, fu toccato da quel particolare e rinunciò alla sua vendetta. Ma prima di andarsene, lasciandoli addormentati, volle avvertirli che la loro tresca era stata scoperta e, sostituì la

spada di Tristano con la sua. Destatasi, e trovata fra loro la spada del re, i due amanti capirono di essere stati scoperti e

furono sopraffatti dalla vergogna.

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Tristano e Isotta

Tristano, colpito dall'atto di misericordia dello zio, convinse Isotta a tornare dal re; per sè stesso invece scelse l'esilio in Bretagna. Ma Tristano non poteva vivere a lungo lontano da Isotta. Così

egli tornò ancora una volta dal re Marco, questa volta fingendosi pazzo. Il re, impietosito dalla follia del nipote, lo

trattò con indulgenza e gli consentì di frequentare la sua corte. Grazie al suo espediente, Tristano riuscì ad incontrare e

frequentare di nuovo la sua amata Isotta. Ma i giorni dei due erano ormai contati. Re Marco, tormentato dai sospetti e dalla sua bruciante gelosia, spiò Tristano sino a che non lo sorprese nuovamente con la regina. Questa volta non ebbe misericordia

alcuna e, decise di uccidere Tristano. Isotta si gettò singhiozzando sul corpo del cavaliere. Quell'immenso dolore non la risparmiò e, morì, di disperazione sul cadavere del suo

amatissimo Tristano.

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Merlino

Merlino Ambrosio (o Merlino Celidonio, a seconda dei testi), nacque nel villaggio di Carmarthen, nel Galles meridionale. Figlio di un diavolo incubo e di una vergine, dopo la morte

dell'usurpatore Vortigern diventa il consigliere e il protettore dei legittimi re di Britannia, innalza per loro il monumento

megalitico di Stonehenge, acquisisce poteri magici grazie ai quali favorisce la nascita di Artù, costruisce la Tavola Rotonda e intercede presso la "Signora del Lago" per dotare il suo re di

Excalibur, la spada invincibile.

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Lancillotto

(fr. Lancelot du Lac), cavaliere della Tavola Rotonda, figlio di re Ban di Benoic.

Nel poema di Chrétien de Troyes, Lancelot ou le chevalier à la charrette, e in un rimaneggiamento in prosa del 1225 egli è

l'amante di Ginevra, moglie di re Artù, e impersona il perfetto eroe cavalleresco, capace di conciliare amore e valore e infine pronto a ritornare a vita cristiana, alla fine dei suoi giorni. Nella

letteratura tedesca s'ispira alla figura di L. il poema Lanzelet (ca. 1195) di Ulrich von Zatzikhoven, dallo stile piuttosto rozzo e in cui manca l'aspetto più significativo della storia, e cioè il

Minnedienst (servizio d'amore) dell'eroe nei confronti di Ginevra.

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MorganaNome probabilmente deriva da quello della regina dei Demoni e signora della guerra Celtica, Morrigan. Sembra fosse sorella di Re

Artù, fu donna bellissima o orribile (a seconda delle tradizioni arrivate fino a noi). Fu terribile nemica di Merlino ed Artù secondo alcuni; secondo altri fu fedele consigliera di entrambi. Insomma la nebbia regna sovrana non solo sull’isola di Avalon ma anche sui

ricordi e le storie tramandate!Fata Morgana fu dotata di poteri magici potentissimi, molti dei quali

appresi dal maestro Merlino; fa parte di un gruppo di nove fate e compare per la prima volta nella Vita Merlini di Geoffrey of

Monmouth. Dopo aver appreso che è sorella di Artù, Morgana assume le sembianze di Ginevra e concepisce il figlio di suo fratello, Mordred (che poi diventerà l’assassino di Re Artù)

In alcune opere del basso medioevo Morgana diventa creatura molto terrena e poco spirituale, una donna cattiva, malvagia e perfida

seduttrice.

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PercevalDetto il Gallese, nobile cavaliere della Tavola Rotonda.

Perceval, attratto dalla cavalleria nonostante le cure della madre per tenerlo lontano, si rechi alla corte di re Artù per ricevere

educazione e investitura. Sulla strada del ritorno ha la rivelazione del Graal nel castello del re Pescatore. Di qui parte la sua lunga ricerca per penetrare il mistero del Graal e scoprire la

colpa, il pentimento e il senso della propria vita. Il giovane P., rampollo di una stirpe eletta e ignaro del mondo, destinato ad ascendere alla purezza spirituale, commette in buona fede una

serie di fatali errori, tra cui quello di non domandare per pietà ad Anfortas, re del Graal, la causa del suo male, e sprofonda in uno stato angoscioso di dubbio, che investe anche la bontà di Dio. Solo gli insegnamenti dell'eremita Trevrizent lo ricondurranno sulla via dell'umiltà e della grazia e lo ricongiungeranno con l'amata sposa Condwiramur. Asceso al trono del Graal, egli impersona il perfetto eroe cristiano in opposizione all'altro

grande campione del Medioevo germanico, Tristano: il cercatore metafisico di Dio in opposizione al martire dell'amore.

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La spada nella roccia e il mistero di san Galgano

Sono due leggende simili ma con simbologie diametralmente opposte. Una è popolarissima, conosciuta ai quattro angoli della

Terra; l'altra nota solo agli addetti ai lavori e a pochissimi toscani. Chi non ha sentito parlare almeno una volta nella vita della

“Spada nella roccia” di disneyana memoria? Uno degli innumerevoli episodi di quella saga medievale parla di Artù che

riesce a divellere la magica spada conficcata in una roccia, e con quella diviene un re quasi invincibile nelle innumerevoli battaglie

di cui fu protagonista.La leggenda toscana narra invece del nobile e prepotente

Galgano Guidotti il quale, dopo una giovinezza dissennata e violenta, decise di cambiare radicalmente stile di vita ed esternò

questo proposito piantando la sua spada in un macigno a Montesiepi (non lontano da Chiusdino, dove era nato), in tal modo

trasformandola simbolicamente in una croce.Due leggende simili, si è detto.

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La spada nella roccia e il mistero di san Galgano

Ma dai significati profondamente lontani fra loro. In quella inglese, del sesto, settimo secolo, si enfatizza il valore soldatesco, si

canta un peana all'audacia, alla competizione, alla conquista. La leggenda di Galgano, morto a trentatre anni nel 1181, tende

invece a valorizzare l'elemento mistico, a privilegiare sentimenti di pace, di fratellanza, di spiritualità. E da leggenda si è trasformata in realtà viva e tangibile, pochi anni dopo la

morte del suo protagonista, con la costruzione - intorno a quel masso dal quale affiora, per pochi centimetri, la lama

sormontata da una semplice elsa - di una cappellina cilindrica che via via si è ingrandita ed arricchita di ulteriori

testimonianze di fede. In un piccolo edificio adiacente sono ancora visibili - anche se il tempo ha lasciato un suo pesante

segno - alcuni affreschi di Ambrogio Lorenzetti e, curiosamente, una teca con due mani di secolare memoria. Due mani che

evocano ancora una leggenda.

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La spada nella roccia e il mistero di san Galgano

L'anno è forse il 1178. Galgano ha già formato una piccola comunità che si riunisce nel suo eremo. Lui decide di recarsi a Roma per

chiedere a papa Alessandro III (un papa senese) il riconoscimento ufficiale di quell'iniziativa. Ma durante la sua

assenza tre religiosi di Chiusdino, invidiosi dei suoi successi, si introducono nell'eremo, spezzano la spada e danno fuoco alle

misere suppellettili. L'ira divina si abbatté su di loro quello stesso giorno: il pievano morì trafitto da un fulmine, un monaco annegò in un vicino ruscello e l'altro venne assalito da un branco di lupi che lo addentarono ai polsi e gli staccarono di netto tutt'e due le mani. Pentitosi del malfatto, il monaco raccolse con i moncherini le mani, se le legò alla vita e cominciò a percorrere la campagna per narrare il suo gesto vigliacco e testimoniare della santità di

Galgano. Bene, quelle due mani che si conservano come reliquie nella teca all'interno dell'eremo non appartengono, come

sarebbe logico pensare, al sant'uomo bensì al cattivo monaco redento.

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Avalon

Strettamente legata al miti arturiano e’ l’isola di Avalon, mitico luogo da dove provennero i Thuatha de Danann e ove, secondo la leggenda fu seppellito il primo Artu’.Il nome Avallon deriva dal cimrico AFAL cioe’ pomo. La figura del pomo, e quindi del

legame agricolo fa parte di tutta una simbologia dell’isola che la lega cosi’ di diritto al culto lunare altrimenti poi detto della dea

Madre.Avalon dunque significa "terra dei pomi", ma il nome Avalon riporta da vicino a Ablem\Belem che sarebbe

l’equivalente celtico di Apollo e quindi ritroviamo anche qui il dualismo Terra-Sole di cui abbiamo gia’ parlato. Un altro nome di Avalon era la "terra degli immortali" O, detta anche Tir na n’-

og , "paese della giovinezza".

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AvalonSempre secondo le leggende celtiche simbolo della terra iperborea

e’ anche l’ ALBERO D’ARGENTO CHE RECA IL SOLE ALL’ESTREMITA’ ( e il simbolo e’ facilmente riconducibile al culto

lunare il cui metallo e’ proprio l’argento) LA FONTANA DELLA GIOVINEZZA e LA COPPA ( ovviamente legata al simbolismo

tellurico).

E’da Avalon che provengono i Thuatha de Danann , letteralmente "la stirpe della dea Dana " , detta anche ANA la quale nn solo e’ madre ma’

anche nutrice invisibile.Potrebbe essere un caso se la madre della Madonna, spesso scambiata

con una vergine nera , si chiama proprio ANNA? Quindi da tradizioni iperboriche il nome anna e’ simbolo di Madre.

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Avalon

legame tra Avalon e le terre iperboree dei miti greci e’ notevole, infatti secondo i miti greci nelle terre iperboriche avevano

soggiornato sia Apollo che Artemide, e quindi anche nelle terre iperboriche ritroviamo il ricordo del culto lunare-solare e del dualismo uomo-donna , terra-sole….Le terre iperboree erano posizionate per i greci nelle vicinanze del polo nord, come del resto il Giardino delle Esperidi. Molti eroi si recarono in siffatto

luogo alla ricerca, guarda un po’, delle mele d’oro, che nn fanno altro che ricordare la "terra dei pomi" cioe’ ancora avalon. Molti furono gli eroi che tentarono di raggiungere questo mitico luogo, tra loro Eracle riesce ad accedere al

giardino poiche’ immortale , e nn a caso un’altra dizione di avalon e’ quella di "terra degli immortali", qui il nostro erode deve lottare contro tritone e per passare indenne attraverso

l’oceano usa la COPPA DEL SOLE (altro riferimento ai miti celtici).

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Avalon

Custode del giardino e dell’albero delle mele d’oro e’ il serpente Ladone, secondo alcune versioni Eracle uccide il serpente.

Abbiamo gia’ esaminato la profonda simbologia dell’uccisione del serpente o del drago da parte di Thot, San Michele e

numerosi altri santi…essa nn rappresenta altro che la conquista della conoscenza e il saper domare le potenti energie telluriche.

Ma un mito simile lo ritroviamo anche in oriente, con Alessandro Magno , egli raggiunge il famoso regno di Prete Gianni ,ove

"crescono gli alberi del sole e della luna", dizione che ricorda da vicino l’albero d’argento con il sole in sommita’ di Avalon e nn solo, perche’ anche nel regno di Prete Gianni e’ presente una fonte della giovinezza, , le cui acque ridonavano gioventù e

vigore, lo stesso Prete Gianni vi si sarebbe immerso più volte raggiungendo la rispettabile età di cinquecentosessantadue

anni.

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Avalon

Cosi’ cercando abbiamo risolto un altro enigma ,un enigma racchiuso tra le mura di Castel del monte.

Infatti ricordiamo il bassorilievo fortemente voluto da Federico II a che rappresenta una scena di caccia il cui protagonista e’

proprio Alessandro Magno, bene esso rappresenta proprio la "cerca di Avalon" mitico luogo da ove proviene il graal e la

religione primordiale!

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La Tavola Rotonda

Tra i luoghi più celebrati dalla storia e dalla letteratura c'è Winchester,

nell'Hampshire, città medievale ricca di monumenti in stile gotico, antico centro romano poi conquistato dai sassoni che ne fecero, nell'827, la capitale dell'Inghilterra. Uno dei

simboli della città è la cattedrale che, con i suoi 170 metri è la più lunga cattedrale d'Europa. Lo scrittore

inglese Sir Thomas Malory, nella sua Le Morte Darthur del 1450, tende a

identificare Winchester con Camelot, la mitica sede dei cavalieri di Artù, forse per la presenza della Tavola

Rotonda

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La Tavola Rotonda Appesa nel grande salone (Great Hall)

del castello della città, la Tavola ha un diametro di 6 m circa, pesa oltre una

tonnellata ed è costituita da 121 pezzi di quercia di almeno 7 alberi. La

datazione al radiocarbonio fa risalire la sua costruzione intorno al 1260,

probabilmente nella fase iniziale del regno di Edoardo I, quando l'arte della

cavalleria era al suo apice. La leggenda narra che fu costruita da

mago Merlino per il padre di Artù, re Uther Pendragon. Alla sua morte finì

nelle mani di Leodogrance, re di Camelerd, che la diede in dote a sua figlia Ginevra quando andò in sposa

ad Artù. Al suo intorno potevano sedere più di 100 cavalieri, tutti con

uguali diritti.

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La Tavola Rotonda

Fu decorata nel XVI secolo, probabilmente per la visita dell'imperatore Carlo V alla corte di Enrico VIII nel 1522.

Infatti, la figura di Artù mostra le sembianze di un

giovane Enrico, quasi a voler reclamare da parte sua

l'eredità dei re di Britannia.

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La leggenda

Il Priorato di Sion

Il Graal e il Cristianesimo

Il Graal e l’Arte

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Il Graal e l’ArteIl mito del Santo Graal non è stato oggetto di studi solo per i

ricercatori e gli appassionati del campo, ma è divenuto un vero e proprio protagonista di numerosissime opere d’Arte.

L’Ultima Cena

La Damigella del Santo Graal

Maria Maddalena

La Regina Eleonora

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Maria MaddalenaAnthony Frederick Sandys (1829-

1904)"Maria Maddalena“

Come si può notare dal dipinto, la fanciulla, Maddalena, tiene in

mano una piccola coppa di fattura modesta, che rappresenta il Graal. Molti infatti ritenevano che, poiché Gesù frequentava gente umile, il Graal probabilmente non dovesse essere molto prezioso dal punto di

vista “materiale”.

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La Regina Eleonora

Anthony Frederick Sandys (1829-1904)"La Regina Eleonora“

Lo stesso Autore di “Maria Maddalena”, pone invece una visione diversa del Graal in questo dipinto, “La Regina

Eleonora”. Infatti qui il materiale che lo compone è evidentemente

pregiato.

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La Damigella del Santo Graal

Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) è il principale esponente

della Confraternita dei Preraffaelliti, costituita in

Inghilterra nel 1848. Nonostante il nome italiano, Rossetti è un pittore inglese che sviluppa la sua attività

nella seconda metà dell’Ottocento. La

Confraternita dei Preraffaelliti è la corrente artistica che più di qualsiasi altro movimento

romantico si rifà al medioevo.

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L’Ultima CenaSicuramente, la più famosa e conosciuta è “L’Ultima Cena”, di

Leonardo da Vinci.Pochi sanno però, i segreti che di celano dietro questo capolavoro.

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L’Ultima Cena

-Indicata dalla seconda freccia rossa è invece una mano con un pugnale: essa simboleggia

naturalmente il gesto del tradimento: ma la domanda è un’altra… A chi appartine la mano?

Due particolari attraggono

l’attenzione nel dipinto:

-la mano di Pietro, che

poggiata sotto il mento di Paolo-

Maddalena, compie un

segno evidente di minaccia

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L’Ultima CenaE’ qui rappresentata la scena

centrale de “L’ultima cena”; molti ritengolo che il personaggio seduto alla sinistra di gesù non sia Paolo,

ma Maria Maddalena. Quest’ipotesi è avvalorata da alcune particolartià:

-L’inclinazione delle figure di Maria Maddalena e Gesù forma uno spazio vuoto a forma di V, che simboleggia

il femminino sacro

-Il loro contorno forma invece una M, iniziale sia di Maria, sia di

Maddalena. Ques’ultima è quindi chimata quasi per nome.

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Il Priorato di SionGuglielmo di Tiro scrisse nella sua "Histoire des

Croisades" che l'Ordine del Tempio fosse stato istituito da nove cavalieri nobili crociati e dal

loro seguito sul finire dell'anno 1118. Essi avrebbero assunto inizialmente la

denominazione di "Poveri Cavalieri di Cristo", ed avrebbero posto quartiere in un'ala del chiostro

del Tempio di Salomone in Gerusalemme. Successivamente

per volontà di Goffredo di Buglione fu istituito intorno all'anno 1090 il "Priorato di Sion" nel

monastero di Orval, la cui sede venne portata nell'abbazia di Nostra Signora del Monte Sion a

Gerusalemme dopo la conquista della Santa Città. La finalità iniziale del Priorato fu quello di

riportare sul trono di Gerusalemme, e di ivi mantenerli, i discendenti del Graal inteso come

“discendenza” di Gesù Cristo, cui era stato espropriato il trono quasi undici secoli prima.

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Il Priorato di Sion"Rose-Croix Veritas”era il sottotitolo che il Priorato di Sion

avevaaggiunto alla propria denominazione a partire dal 1188.

Si tramanda fosse custode di importantissimi segreti, in grado, secondo

dossier riservati, di sovraintendere agli equilibri del mondo.

Alcuni documenti attesterebbero anche un elenco di tutti i Gran Maestri dell’Ordine. Tra questi spiccano

grandi personalità dellacultura e dell’arte di ogni tempo: per fare alcuni esempi,

vi sono SandroFilipepi detto Botticelli, Leonardo Da Vinci e Sir Isaac

Newton.È affine al Priorato di Sion anche la setta dei "Fedeli

d'Amore" checomprendeva gli stilnovisti, da Dante a Cavalcanti, da

Boccaccio, a Petrarca.

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Il Graal e il Cristianesimo

Il Graal, nel suo Mito e Leggenda, possiede una miriade di interpretazioni. Alcuni studiosi credono che esso fosse veramente

il calice dell’ultima cena e nel quale sarebbe stato raccolto il sangue di Gesù Cristo, altri invece ritengono che esso rapprenti

una donna, che conteneva il “sangue” della dinastia di Gesù. Secondo alcuni studiosi (fra cui L. Gardner) infatti, Maria

Maddalena fu la sposa sacra di Gesù in pieno rispetto delle procedure del matrimonio ebraico per i discendenti della sirpe di Davide e le nozze di Canaan (in cui Gesù era lo sposo) sarebbero

appunto il primo atto di tale matrimonio. Da Maria e Gesù sarebbero nati, secondo tale tradizione, in cui credevano anche i Catari, tre figli, dando luogo,dopo la fuga di Maria Maddalena in

Francia alla dinastia Merovingia.

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Il Graal e il Cristianesimo

In alcune sette gnostiche tra il 2° e il 5°secolo dC, Maria Maddalena giocava un ruolo simbolico molto importante. Si riteneva che per

la sua vicinanza con Gesù avesse ricevuto una rivelazione speciale da Lui e conoscenze che in seguito Ella avrenbbe

trasmesso agli altri discepoli. Maria Maddalena era anche l’archetipo del sacerdozio femminile.

Vi è un gruppo di fonti gnostiche che afferma di aver ricevuto una tradizione di insegnamenti segreti da Gesù tramite Giovanni e

Maria Maddalena. Una parte di tale rivelazione aveva a che vedere con il concetto che il divino è sia maschile che femminile.

Essi interpretarono ciò nel senso simbolico e astratto in cui il divino consiste da una parte dell’Ineffabile, del Profondo, del

Padre Primo e dall’altra della Grazia, del Silenzio, della Madre di ogni cosa.

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Il Graal e il CristianesimoSecondo alcune fonti Maria Maddalena morì nel 63 d.C, all'età di 60

anni, in quella che oggi è St.Baume, nella Francia meridionale. Il suo esilio venne raccontato da Giovanni, nella "Rivelazione" (12:1-

17), in cui descrive Maria e suo figlio e narra della sua persecuzione, della sua fuga e della caccia al resto del suo seme (i suoi discendenti) condotta senza tregua dai Romani. Oltre a Maria Maddalena, fra gli emigrati in Gallia nel 44 d.C, c'erano Marta e la sua serva Marcella. C'erano anche l'apostolo Filippo, Maria Iacopa

(moglie di Cleofa) e Maria Salomè (Elena). Il luogo dove sbarcarono in Provenza era Ratis, divenuto poi noto come Les Saintes Maries de

la Mer.

Tra le fonti scritte sulla vita di Maria Maddalena in Francia troviamo "La vita di Maria Maddalena", di Raban Maar (776-856), arcivescovo

di Magonza (Mainz) e abate di Fuld. In Francia Maria Maddalena avrebbe continuato l’opera di predica e

di guarigione e trascorso lunghi anni in meditazione e in digliuno (nutrndosi esclusiamente dell apresenza degli angeli) in una grotta.

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La leggenda

La versione classica del Graal che tutti abbiamo in mente, anche grazie ad Indiana Jones, è quella della coppa dell'ultima cena, usata da Giuseppe di Arimatea per raccogliere il sangue dal

costato del Cristo crocefisso. Ma questa versione del Graal risale al 1202 quando Robert De Boron la inserisce nel poema Joseph

d'Arimathie - Le Roman de l Estoire dou Graal. In realtà nel racconto di Robert De Boron la coppa nella quale Giuseppe di

Arimatea raccolse il sangue di Gesù non la definisce Graal , solo una volta usa questo termine dicendo 'io non oso raccontare né riferire, né potrei farlo (...) le cose dette e fatte dai Grandi Saggi. Là sono scritte le ragioni segrete per cui il Graal è stato definito

con questo nome.'

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La leggenda

La ferita al costato ebbe, secondo la dottrina cristiana, il duplice effetto di creare la lancia di Longino ed il Graal, tutti e due dotati

di poteri straordinari grazie al sangue di Gesù.Ma la religione cristiana ha rubato a piene mani da miti precedenti,

in tal modo non si perdevano festività rispettate da sempre, ed era più semplice fare accettare ai vari popoli il nuovo credo.

Così è stato per la leggenda del Graal, termine derivato dal latino Gradalis col quale si designa una "scutella lata ed alquantulum

prufunda" (una tazza larga e alquanto profonda). Il termine Graal viene utilizzato per la prima volta da Chrétien de Troyes nel

poema "Perceval le Gallois ou le conte du Graal".

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La leggenda

Ma qui non si tratta ancora del Graal, bensì di un graal, portato da una damigella. Il cavaliere Perceval assiste a qusta curiosa

processione nel castello del Re Pescatore.Ma in un altro poema Artù scese negli inferi per recuperare un

calderone, si tratta del Preiddu Anwnn, un poema gaelico. Giuseppe di Arimatea fu rinchiuso per quarant'anni in una torre

prima di essere liberato per intercessione dell'Imperatore Vespasiano, e non appariva invecchiato di un sol giorno. Durante la prigionia Gesù gli apparve affidandogli la custodia della coppa. In seguito a questo miracolo l'Imperatore Vespasiano si convertì.

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La leggenda

Giuseppe lascia il medioriente inviato da San Filippo con altri undici uomini a convertire i Galli. I dodici passando per Marsiglia, Arles, Limoges e Mount Saint Michael (l'isola Inglese gemella di Mont Sant Michel) giunge in Inghilterra. Raggiunto Glanstonbury vi

edificano la prima chiesa cattolica dell'Inghilterra, forse portando con se il Graal.

Da quel momento in poi la leggenda ha subito continue trasformazioni ed integrazioni, ma nelle sue origini si trova la

verità. Nel Preiddu Anwnn, attribuito al bardo Talesin, Artù recupera il calderone di Dagda o calderone dell'Anwnn portato nel

mondo dai Tuatha de Danaan, rappresentanti ultraterreni del piccolo popolo. Il calderone era l'unico posto dove Dagda poteva

riporre la sua lancia, che se lasciata incustodita poteva distruggere il mondo a causa del suo immenso potere.

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Le corti italiane e europee

I Giullari … buffoni di corte

Biblioteche e accademie … culle del sapere

Epoca storica

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La Corte francese

La Signoria dei De Medici

Il Ducato di Milano

La Corte degli Estensi

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La Signoria dei De MediciSicuramente il periodo più Florido della Signoria di Firenze si

ebbe sotto il potere di Lorenzo De Medici: egli infatti non solo fu “l’ago della bilancia” politica di quel periodo, ma

anche contribuì a far diventare Firenze il cuore della Cultura Italiana e in parte anche Europea. Intorno al

Magnifico di riunirono infatti Leonardo da Vinci, Poggio Bracciolini, Pico della Mirandola, Michelangelo buonarroti,

artisti e intellettuali che, disinteressandosi quasi totalmente della politica ( a Firenze infuriava intanto il

periodo delle congiure, La Congiura dei Pazzi, e i bambini si uccidevano in strada senza alcun controllo) creavano a

Firenze un Cenacolo di pace e di “Ozium” sia artistico che letterario. Il Magnifico intanto si dedicava alle composizioni

delle poesie( “Trionfo di Bacco e Arianna”) e alla “questione Linguistica”, predicando il valore del volgare

puro di Boccaccio e del Petrarca

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La Corte degli Estensi

E’ impossibile non citare, parlando di Corti illustri, la Corte degli Estensi, o per meglio dire di Ferrara, una delle più

influenti d’Italia. Essa era composta da moltissime terre su cui la casata degli Estensi governò dal 400 al 500. E’ da far

presente che il potere che gli Estensi esercitavano su questi territori, non ne comprende anche il possesso:

questo era infatti riservato alla Chiesa, ma ciò non limitò l’influenza che gli Estensi ebbero su questa regione. In questa signoria, fu caratteristica l’attrazione verso la

letteratura francese dei romanzi e dei poemi di matrice cavalleresca, che rifletteva valori e principi valididissimi a

quei tempi per i signori di Corte. Bisogna ricordare che comunque la corrente umanista fu presente anche in

questa zona, e anzi, gettò le basi per la sua futura organizzazione intellettuale.

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La Corte franceseIl 400, oltre che la nascita di moltissimi movimenti culturali,

vede anche sorgere le monarchie nazionali: e sicuramente una delle più importanti è la monarchia francese, non

soltanto dal punto di vista politico, ma anche culturale. E’ qui infatti che si ha il primo distaccamento dal latino, con la

creazione di due diversi volgari: la lingua d’oil, tipica dei poemi cavallereschi, e la lingua d’oc, che celebrava invece

il semplice amore, che era però riservato, secondo la visione dell’epoca, ai nobili, possessori di un “cuor gentire

e puro”. La “gentilezza”, l’”onesta” erano valori che caratterizzavano una persona in grado di amare, perché

l’amore non è qualità delle persone rozze. Si sviluppa dunque in Francia la Letteratura Provenzale, e

parallelamente il Ciclo Bretone e Carolingio: la prima sarà la progenitrice dello Stilnovo, la seconda influenza invece

ancor oggi il genere Fantasy.

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Il Ducato di Milano

Dal momento in cui Milano cadde sotto il potere dei Visconti, la sua attività culturale si sviluppò enormemente; infatti,

sotto Gian Galeazzo Visconti, il Ducato cominciò a espandersi enormemente inglobando corti e città con una florida e vivissima attività commerciale, quindi culturale; è

infatti da sottolineare che lo scambio di merci( e quindi anche d’opere d’arte) contribuiva moltissimo alla diffusione di correnti di pensiero diverse. E’ inoltre da ricordare che in quel periodo, Milano ospitò il Tetrarca che terminò, proprio nel ducato alcune fra le sue opere più prestigiose. Non di meno, quando il potere dei Visconti si subordinò a quello

degli Sforza, la sua attività culturale cessò: anzi, si ravvivò ancor di più.

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Le biblioteche

La filologia

Le accademie

“Non ha senso raccogliere pietre e mattoni se poi non si vuole costruire nulla”

Poggio Bracciolini

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AccademiaIl nome generico di "Accademia" trae origine dal

nome dell'antico ateniese Accademo, il quale donò al popolo un ampio terreno che fu

convertito in un pubblico giardino, nel quale poi Platone era solito adunare i suoi discepoli:

per cui la scuola fu chiamata Accademia e Accademici i suoi scolari. Il nome

"Accademia" fu i seguito assunto anche da altre scuole filosofiche derivate da quella di

Platone. Attualmente con il termine "accademia" si indica qualunque raduno di

dotti studiosi,  in qualsiasi ramo di letteratura o di scienza, ed il luogo stesso in cui si

ritrovarono. Fin dal tempo di Cicerone il nome accademia non indicò più una scuola

filosofica, ma una raccolta di letterati, poiché egli diede questo nome ad una sua villa

presso Pozzuoli, nella quale soleva ospitare poeti e letterati del suo tempo, affinché ivi si

intrattenessero in dotte dispute.

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AccademiaLa società riunita da Carlo Magno fu la prima vera

accademia moderna, mentre un secolo più tardi il Re Alfredo d'Inghilterra fondava la celebre

Accademia di Oxford. Tuttavia fu l'Italia il primo paese in cui fiorirono accademie letterarie e

scientifiche secondo la forma moderna: dal secolo XIII in avanti sorsero numerosissime accademie, tra

le quali le più degne di menzione sono quella fondata da Brunetto Latini, maestro di Dante, a Firenze nel 1270, quella costituita a Palermo da Federico II nel 1300, l'Accademia Platonica di

Firenze fondata da Lorenzo de' Medici, l'accademia dei Lincei sorta a Roma nel 1606 (di cui fu membro

Galileo Galilei), l'Accademia della Crusca nata a Firenze  nel 1580 (nota per essersi prefissa lo scopo

di purificare la lingua italiana e di stamparne il Vocabolario). L'Accademia degli Arcadi, costruitasi

a Roma verso la fine del secolo XVII.

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AccademiaMa accanto a quelle di maggior importanza ne sorsero molte altre più

modeste, che comunque non mancarono di dare il loro contributo nel tener desti la fiaccola del sapere e l'amore del bello tra i membri delle

varie associazioni. Ogni Istituto quindi, ogni casa di educazione che raccogliesse tra le sue mura un buon numero di giovani studiosi,

specialmente se benestanti, costituiva un'accademia in forma regolare e stabiliva quante tornate dovessero prescriversi ogni anno. Queste

tornate erano una specie di festa, in cui i vari accademici dovevano leggere qualche loro componimento poetico, italiano o latino, raramente

greco, intorno a un comune argomento che veniva precedentemente fissato. A questa festa erano invitate tutte le persone più autorevoli e

dotte della città o del luogo dove era data la serata accademica, la quale veniva rallegrata di solito da canti e suoni talora anche da balli per

alternare il piacere ed il divertimento degli spettatori. In molti Istituiti, anche se non vi era un'accademia regolarmente costituita, venivano ugualmente presentate serate accademiche, non solo per esercitare

l'ingegno degli allievi, ma anche per procurare loro sollievo, dal momento che quelle serate erano le feste più belle per i collegiali di quei tempi.

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Filologia

Il termine filologia, di origine greca, composto da philos, (amico) e da logos, (parola,

discorso) indicava in principio l’amore per la parola e in genere per le lettere. Durante i

secoli il suo significato, pur rimanendo fondamentalmente lo stesso, assunse varie

accezioni. In epoca umanistico-rinascimentale la filologia si è configurata come amore peculiare per i testi classici e

come impegno per recuperarli dalle contaminazioni subite nel medioevo. Il lavoro di recupero, che non era agevole, si basava sull’emendatio, cioè sulla correzione degli

errori evidenti, spesso effettuata attraverso il confronto tra manoscritti diversi. 

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Filologial più grande filologo del XV° secolo è LORENZO

VALLA.  Con costui lo "studio della parola" raggiunge la sua più alta coscienza teorica

divenendo una vera e propria scienza basata su storia, retorica, diritto, morale e religione Nel

1435 l’avversione per la chiesa e le sue istituzioni e la sua esperienza di filologo- umanista

convergono per dar vita ad una delle opere più conosciute del Valla, "De falso credita et ementita constantini donatione" (la falsità della donazione

di Costantino), l’opera che con estremo rigore filologico e senso storico dimostrò la falsità

dell’editto su cui si basava il potere temporale della Chiesa. Secondo la tradizione infatti tale

potere traeva origine e legittimità da un documento in cui l’imperatore Costantino avrebbe ceduto al papa Silvestro I il possesso, giuridico ed

amministrativo, del futuro Stato Pontificio. 

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FilologiaSempre alla luce di una visione libera del cristianesimo compose

nel 1449 le "Adnotatione in novum Testamentum". A tale

impresa egli si accinse confrontando tre manoscritti greci e tre latini del Nuovo Testamento.

Con i componimenti del Valla si ha l’inizio di quella corrente filologica

basata sull’analisi critica e la ricostruzione dei testi biblici che sarà strumento essenziale della

Riforma protestante  e che rappresenterà il centro della

speculazione "filosofica" degli umanisti d’oltralpe.

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Filologia

In questo quadro di grande sviluppo culturale, il problema religioso,

come si è detto, non era rimasto estraneo agli umanisti, i quali anzi ne avevano affrontati vari aspetti.

Con l’atteggiamento critico nei riguardi della religione "scolastica" infatti, gli intellettuali europei e in

special modo quelli italiani cercarono anche se indirettamente, di intraprendere un movimento di

riforma interno alla Chiesa. E’ perciò sbagliato pensare alla civiltà umanistica come un’età percorsa da atteggiamenti paganeggianti e

antireligiosi. 

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Le BibliotecheL'esigenza di avere una biblioteca, intesa sia

come collezione di libri sia come luogo dove ospitarli, è antica quanto la scrittura, come dimostra il rinvenimento in Mesopotamia di

testi databili tra il 3000 e il 2000 a.C. conservati in locali adibiti ad archivio.

In Occidente, fin dai primi decenni del VI secolo, erano andati formandosi nuclei di

biblioteche presso i centri monastici: famoso fu quello di Vivarium voluto da Cassiodoro e quelli benedettini, fra cui, in Italia, Bobbio,

Montecassino, Nonantola e Pomposa, e all'estero Cluny e San Gallo. La consistenza di queste biblioteche era numericamente

limitata, in genere a poco meno di un migliaio di codici (cioè, secondo un'antica

definizione, libri manoscritti).

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Le BibliotecheDiversa era la situazione in quelle

bizantine, cinesi e arabe, che erano invece molto ricche. Quelle arabe, grazie all'opera di studiosi che, a partire dal VII secolo, trascrissero molti testi antichi,

soprattutto di carattere scientifico, divennero veicoli di trasmissione del

sapere sia all'interno del mondo islamico sia verso l'Occidente. La tecnica per la

fabbricazione della carta, ideata in Cina, consentì poi di abbassare il costo delle opere e di diffonderle in tutto il mondo islamico: a Cordova, in Spagna, nel X

secolo, esisteva ad esempio una biblioteca con circa 400.000 testi.

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Le BibliotecheIn Occidente furono invece i monaci a

conservare e copiare i manoscritti negli scriptoria (sale dedicate alla trascrizione

e alla copiatura dei manoscritti) dei monasteri: tra i più importanti centri della cultura monastica spiccano San

Gallo in Svizzera, Lindisfarne in Inghilterra, Fulda in Germania e

Montecassino in Italia. I contatti con l'Oriente, intensificati all'epoca delle

prime crociate nell'XI e XII secolo, contribuirono inoltre a far giungere in Occidente manoscritti di opere che si

riteneva fossero andate irrimediabilmente perdute.

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Le BibliotecheL'affermarsi delle scuole di medicina a Salerno e

di diritto a Bologna diede ulteriore impulso alla raccolta di manoscritti destinati a

insegnanti e studenti, e le biblioteche, a questo punto laiche, si moltiplicarono con la

nascita delle prime università europee, diventando nel XIV secolo importanti centri di cultura, nonostante eventi catastrofici come

la guerra dei Cent'anni o la peste nera. In Francia Carlo V diede inizio alla raccolta da

cui ebbe origine la Biblioteca reale di Francia; in Inghilterra Riccardo di Bury, vescovo di Durham, descrisse nel Philobiblion il suo

metodo per creare e consultare una biblioteca; in Italia poeti come Francesco

Petrarca e i classicisti eruditi che si riconobbero negli ideali dell'umanesimo scoprirono, copiarono e raccolsero testi

classici in precedenza trascurati.

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Le BibliotecheCon la diffusione della stampa e con l'espansione dei commerci, a partire dal XV secolo i libri divennero meno costosi, disponibili in maggior quantità e sempre più apprezzati. In epoca rinascimentale si

formarono così il primo nucleo della Biblioteca marciana di Venezia, originata da un lascito del cardinale Bessarione, la Biblioteca Apostolica Vaticana a Roma, la collezione privata del bibliofilo francese

Jean Grolier e la Biblioteca Mediceo-Laurenziana a Firenze, che raccolse la collezione dei Medici. Le biblioteche in

Occidente si arricchirono anche in seguito alla conquista ottomana di

Costantinopoli nel 1453 che fece affluire in Europa, al seguito di religiosi ed eruditi, molti manoscritti e volumi

preziosi

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Epoca storicaAll’inizio del 300 si verificò la tendenza alla formazione di signorie

personali. Furono queste signorie a Milano, Venezia e Firenze ad avviare la costruzione degli stati regionali. Il XIV secolo fu decisivo

anche per la formazione dello Stato della chiesa: col ritorno del papa a Roma (1377), dopo la cattività avignonese, fu rinsaldato velocemente il controllo sul Lazio; sugli altri terreni pontifici si alternavano però signorie e libere istituzioni comunali. L’ultima

importante aggregazione statale in Italia era il regno di Sicilia, che comprendeva la Sardegna e il regno di Napoli. Nel 1302 venne

diviso: il regno di Napoli rimase alla dinastia degli Angiò, la Sicilia andò agli Aragonesi. Nel 1442 gli Aragonesi si impossessarono di

Napoli, perché gli Angiò erano troppo impegnati in guerre esterne. Così il Meridione italiano si trovò ad essere legato per molti secoli

alle sorti della Spagna. Vi erano tentativi di espansione che mettevano i signori l’uno contro l’altro, ma la pace di Lodi del

1454 portò a quarant’anni di stabilità, ma era solo un equilibrio apparente, in quanto non cessarono le rivalità tra i diversi stati.

Questa situazione culminerà nelle guerre d’Italia attorno al 1500.

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Epoca storica

Guerre civili sanguinose sconvolsero le maggiori monarchie europee per molto tempo.

In Francia, i Valois riuscirono a sconfiggere la potenza dei rivali duchi di Borgogna (1477).

In Inghilterra, la guerra dei Cento anni aveva lasciato una situazione di scontri civili e crisi dinastica. Nel 1453 ebbe inizio un nuovo

conflitto tra due dinastie, i Lancaster e gli York, che ebbe il nome di guerra delle Due rose (1453-85) e si concluse con

l’affermazione della nuova dinastia dei Tudor. Nella penisola iberica la situazione era molto instabile. Era dominata da tre

dinastie principali: quella portoghese, quella di Castiglia e quella d’Aragona. Tutte tre le dinastie (nel XIV secolo) furono

attraversate da conflitti interni e solo nel secolo successivo la penisola assunse un assetto più stabile. La Castiglia e l’Aragona fecero un primo passo verso l’unificazione con il matrimonio tra

Isabella e Ferdinando (1469).

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Epoca storica

Il passaggio decisivo dalle monarchie medievali al moderno stato nazionale si attuò nei decenni attorno al 1500. Uno dei primi passi

verso l’affermazione del potere statale sui corpi feudali fu l’affermazione del monopolio dell’”alta giustizia” da parte delle

corti regali e delle autorità di polizia. Un altro punto importante fu l’accentramento del sistema fiscale, col passaggio dalle

occasionali richieste di aiuto ai sudditi a imposizioni fiscali permanenti. Un ruolo speciale toccò alla guerra: divenuta sempre più costosa, poté essere condotta solo da sovrani in grado di far fronte ai costi delle truppe, per lo più mercenarie, e delle armi da fuoco. Per far funzionare la macchina statale, si moltiplicarono i funzionari pubblici. Questi processi cominciarono a realizzarsi in

Francia, Inghilterra e nella penisola iberica.

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Epoca storica

La monarchia francese era la più forte in Europa: i re riuscirono a imporre il loro potere sulla chiesa e sull’aristocrazia, creando una “nobiltà di toga”, costituita dagli alti funzionari pubblici, fedeli alla

monarchia. Anche in Inghilterra Enrico VII Tudor accrebbe il controllo della monarchia, tanto da non convocare più il parlamento. In Spagna, un ostacolo all’unificazione era

rappresentato dal problema delle minoranze ebrea e musulmana: dopo la resa di Granata, i mori furono costretti a conversioni

forzate e gli ebrei vennero espulsi in massa dal paese. Accanto ai regni nazionali in formazione, sopravviveva l’impero germanico,

che continuava a richiamarsi all’universalismo medievale, ma che in realtà era ormai ridotto a un mosaico di elementi eterogenei e

autonomi che non riuscivano a comporsi in uno stato unitario.

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Epoca storica

Anche l’Italia alla fine del Quattrocento era una realtà composita, in cui convivevano stati regionali, organismi feudali, domini

stranieri. L’equilibrio stabilito dalla pace di Lodi nel 1454 si rivelò fragilissimo, perché i principi cedettero di usare l’uno contro

l’altro, a proprio vantaggio, rischiose alleanze con sovrani europei animati da mire egemoniche sulla penisola. Questa debolezza

politica si rivelò in due occasioni: con la spedizione del re francese Carlo VIII che, approfittando delle rivalità tra i principi italiani, occupò Napoli nel 1495, e nel 1515, quando Francesco I di Francia poté contare sull’aiuto dei veneziani per riconquistare

Milano.

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I Giullari"...Un giullare è un essere molteplice: è un musico, un poeta,

un attore, un saltimbanco; una specie d’intendente ai piaceri nelle corti di principi e re; è un vagabondo errante che dà spettacolo nei villaggi; è il suonatore di viella che

canta “le gesta” durante le tappe dei pellegrini; è il ciarlatano che diverte la folla ai crocevia; è l’autore e

l’attore dei lazzi che si recitano nei giorni di festa all’uscita delle chiese; è il maestro di danze che fa saltare e ballare i giovani; lo strillone, annunciatore dei paesi; è il

suonatore di bombarda e ghironda che dirige la marcia nelle processioni; è il prologo e il cantante che rallegra i festini, le nozze e le veglie; è il cavallerizzo che volteggia sui cavalli, l’acrobata che danza sulle mani; che gioca coi coltelli, che attraversa i cerchi in corsa, che sputa fuoco, che si disarticola e fa contorsioni; è l’annunciatore delle parate cantate e mimate; il buffone che smorfieggia e dice balordaggini. Ecco il giullare è tutto questo e altre

cose ancora…"

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I GiullariSi considera spesso il medioevo, come un'epoca

oscura e morta, ma questa e un'idea, in parte, erronea. Non era tutto grigio e tetro, i colori

d'affreschi e quadri erano piuttosto rossi, azzurri e dorati; 1'immagine era molto più importante della

stessa realtà, il cielo era dipinto d'oro, lo spirito era più importante del corpo.

Lo scoprire, il cercare, il guardare erano considerati peccato, era un'epoca dorata fuori, ma piuttosto

ruggine dentro.Con il teatro da strada, con i loro dialetti, il mimo, il

grommelots, facevano circolare le notizie Dicevano: "No. non credete a ciò che vi dicono, 1'uomo é

importante, Cristo non parlava solo di spirito, ma anche di corpo. È bello guardare, sentire, toccare; é

bello uscire dalle vostre case, sconfinare dalle vostre terre. Dall'altra parte della montagna c'è

gente come voi, che guarda con gli occhi, tocca con le mani.

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I Giullari

Peccato che risvegliassero il diavolo che c'è in noi con i loro spettacoli. Logicamente il giudizio storico-politico-morale li condannava, ma la voce circolava ugualmente. L'uomo e i valori umani diventavano le cose più importanti. Si ritorna a leggere i filosofi latini e greci; la vita

stessa diventa un valore, 1'uomo entra in contatto con se stesso. Quando riesce a sentirsi, sentirà poi, anche i suoi simili.

La gente comincio ad aprire le porte delle case e dei castelli ad aprire gli occhi e, alzando lo

sguardo vide che il cielo era veramente azzurro.