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Le monde et l'église selon Maxime le Confesseur, « Théologie Historique », 22 by A. Riou Review by: Vittorio Croce Aevum, Anno 49, Fasc. 5/6 (SETTEMBRE-DICEMBRE 1975), pp. 591-594 Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/25821488 . Accessed: 14/06/2014 01:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Aevum. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.127.119 on Sat, 14 Jun 2014 01:23:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

Le monde et l'église selon Maxime le Confesseur, « Théologie Historique », 22by A. Riou

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Le monde et l'église selon Maxime le Confesseur, « Théologie Historique », 22 by A. RiouReview by: Vittorio CroceAevum, Anno 49, Fasc. 5/6 (SETTEMBRE-DICEMBRE 1975), pp. 591-594Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/25821488 .

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RECENSIONI 591

terna comune nella tradizione esegetica all'assunto

principale eWexpositio, cio alla descrizione del Tattivit profetica. Base dell'allegoria sono anzi tutto i vocaboli facies , pennae , pedes da eui S. Gregorio, nel soleo di una tradizione les

sicografica che il Recchia puntualmente richiama

(pp. 101-107), deduce Tatteggiamento contempla tivo in eui il profeta incessantemente si pone per progredire nella conoscenza e nelTannuncio del Cristo. Nel commento ai w. 8-9 si intravedono altre fonti utilizzate da S. Gregorio. Per il simboli smo del numero quattro, suggerito dal v. 8: et

manus hominis sub pennis eorum in quatuor par tes , il Recchia (p. 110) indica S. Gerolamo, che

accoglie una lunga tradizione esegetica a eui non sono estranei filoni delTallegorismo pagano. Nel commento al citato versetto si notano due digres sioni: una prende spunto dal diverso comporta

mento di Marta e di Maria (Lc. 10,39-40) e dai valori di eui i due personaggi sono s mbolo nella tradi

zione, Taltra da Ex. 21,2-6 ove Tordine di Dio di lasciar libero il servo nel settimo anno, suggerisce a S. Gregorio il terna della libert come nota fon damentale del carisma profetico.

Ancora S. Gerolamo, come indica TA. (pp. 120

121), fonte delTesegesi gregoriana al v. 9b, men tre per quelli che seguono e descrivono atteggia

menti e movenze dei quattro animali, il quadro della precedente tradizione pi vasto e complesso, collegato con gli scritti di molti padri ed anche con autori profani (cfr. pp. 132 ss.). Di questi ani

mali del testo di Ezechiele continua la descrizione la quarta omelia, ove si colgono gli elementi sim bolici che illustrano la natura della missione profe tica, quale appare soprattutto negli autori dei

Vangeli. Infatti le facies hominis, leonis, bovis, aquilae sono riferite prima ai quattro Evangelist! con la diretta menzione alYexordium di ogni evan

gelo (p. 141). Anche qui S. Gregorio sente il l -

game che unisce Tazione dei profeti a quella del

Redentore, e per questo allarga il tessuto dell'al

legoria al mistero stesso del Verbo incarnato, per ch Tunigenito figlio di Dio, incarnandosi si fatto uomo, si immolato come vitulus, risorto in quanto leone, asceso al cielo perch aquila (P- 141)-. Le virtutes di questi animali sono analizzate nella quinta omelia che trova nei vocaboli e nelle

immagini del testo sacro vari spunti per descri vere le oppositae qualitates dello spirito di

profezia. In alcuni casi l'esegesi di S. Gregorio descrive opposizioni inconciliabili, quali esistono fra un valore e il suo contrario; in altri vengono

presentati momenti diversi di un'identica esperien za cristiana, che tro vano compimento e armon a

nella realt stessa di Dio. Cos T impetus Spiri tus che investe il profeta e di eui parla il v. 12,

suggerisce a S. Gregorio Tampio elenco di virt a eui esso conduce, ma richiama pure la potenza dell' impetus carnis e dello sfacelo morale di eui

questo causa (cfr. pp. 164-165). Espressioni del v. 13, quali visio discurrens , splendor ignis ,

fulgur egrediens , testimoniano la sovrumana

mobilit dello Spirito a eui, sulTautorit stessa della Scrittura (Sap. 7,22-23; cfr. p. 173), va at tribuita anche la stabilitas che scaturisce dal Feterna natura. Gregorio vede queste oppositae qualitates riflesse in cordibus sanctorum , ove la presenza continua dello Spirito di Dio si

accompagna a momenti di intervento straordinario: il munus propheticum va appunto annoverato fra le manifestazioni transitoire del divino. Anche

l'apparente contraddizione di certe metafore del testo di Ezechiele offre a S. Gregorio lo spunto per descrivere momenti diversi dell'azione profetica e, in genere, della vita spirituale. Cosi egli nota che nel v. 14 gli animali avanzano e ritornano come

folgore comisca, mentre in 12 c. essi sono pr sen tai come protesi di continuo in avanti. Per armo nizzare queste diverse raffigurazioni, Fesegeta ri chiama la diversit della vita attiva rispetto a

quella contemplativa. In quest'ultima si assurge a mistiche altezze furtim et per transitum , non

potendo la nostra mente reggere a lungo la luce

increata, e si discende poi alla quotidiana fatica in eui tuttavia lo spirito deve restare sempre pro teso verso Dio.

L'A. (pp. 183 ss.) non manca di notare i filoni della tradizione esegetica a eui attinge S. Gregorio soprattutto per le metafore costruite in Ezechiele su elementi della natura, quali le folgori, il fuoeo, i fiumi. Questa attenzione aile fonti accompagna costantemente la fatica del Recchia, che esplora temi e moduli espressivi di S. Gregorio alla luce della cultura che li precede. Sono indicati con fre

quenza nel volume gli schemi retorici entro i quali si snoda il discorso del santo pontefice, e per que sto FA. ricorre, e giustamente, ai termini teenici della paideia antica a lui noti per lunga consuetu dine. Non negheremo che questo pu creare in certi casi qualche difficolt al lettore meno proweduto. Ci si augura, per , che, superato Fostacolo, tomi evidente la validit di una ricerca che fissa nella cornice di certi schemi espressivi spiriti e temi del Fannuncio cristiano.

GIUSEPPE CREMASCOLI

A. Riou, Le monde et V glise selon Maxime le

Confesseur, Th ologie Historique , 22, Beau

chesne, Paris 1973. Un volume di pp. 279.

Non c' che da salutare con piacere la pubbli cazione di un nuovo studio sui pensiero di S. Mas simo il Confessore. Tanto pi che esso fa parte di una trilog a org nica, il eui primo contributo

(C. von Schoenborn, Sophrone de J rusalem. Vie

monastique et confession dogmatique, Th ologie Historique , 20) ha visto la luce due anni fa, men tre del terzo e pi voluminoso studio (J. M. Gar

rigues, Maxime le Confesseur. La charit avenir divin de Vhomme) si attende a presto la pubblica zione, sempre nella collana Th ologie Historique della Beauchesne.

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592 RECENSIONI

Il presente lavoro del Riou testimonia anzitutto dell'interesse crescente che la persona ed il pensie ro di Massimo il Confessore vanno suscitando nella riflessione patr stica e teol gica di oggi, da quando il von Balthasar nel 1941 ne intuiva e dimostrava

l'originalit e la forza. Esso si pone inoltre sulla scia degli innumerevoli articoli che I. H. Dalmais vi ha dedicato, dal 1948 ad oggi. Esso si presenta infine come un tentativo di sintesi della teolog a del Confessore, accanto a quelli gi validamente

esperiti, oltre che da H. U. von Balthasar (Kosmi sche Liturgic Das Weltbild Maximus des Bekenners, Einsiedeln 1961, 2a ed. riveduta e completata di

quella del 1941), da W. Voelker (Maximus Con

fessor als Meister des geistlichen Lebens, Wiesba den 1965) e da L. Thunberg (Microcosm and Me diator. Theological Anthropology of Maximus the

Confessor, Lund 1965). Mi pare per che il titolo non renda ragione del

contenuto del libro. Esso infatti sembra far pen sare ad un taglio contenutistico particolare, quale quello del rapporto fra Chiesa e mondo, mentre la lettura presenta con ogni evidenza un'interpreta zione globale di tutto il pensiero massimiano. Ba sta vedere l'intestazione dei tre grossi capitoli di eui il libro si compone: Cosmolog a , Cristo

logia , Pneumatolog a - Ecclesiologia

- Escato

logia .

Occorre rendere atto all'A. del coraggio di fare

sintesi, in un tempo in eui si preferisce per la

maggior parte limitarsi ad analisi molto particolari. Ci gli ha certamente richiesto lunga riflessione e

fatica, i eui frutti sono ora of erti a tutti. Ma quai infine il punto focale del lavoro di

Riou? La risposta, ci pare, al problema del rap porto fra creato e increato, fra Dio e mondo. Di fronte aWimpasse della riflessione attuale, la quale o contrappone Dio e mondo, o, pante sticamente, li confonde, Fannuncio della novit escatologica, og getto del Nuovo Testamento la sola strada possi bile e promettente. Il rapporto Dio-uomo non metafisicamente deducibile da una riflessione sull'essere, ma solo din micamente afferrabile nella dialettica viva del mistero pasquale di Cristo. Proprio questo, secondo Riou, ha sa

puto intuir e proporre S. Massimo. Vissuto in un sec lo davvero apocalittico, segnato da lotte politico-teologiche all'ultimo sangue, ha

saputo riscoprire la tem tica neotestamentaria dietro e oltre le dispute teologiche sulle volont ed operazioni in Cristo, recuperando cos il senso della vita cristiana come martino di carit al seguito di Cristo. Il rapporto di Massimo con la Scrittura non da cogliere tanto a livello di ese

gesi spicciola e dettagliata quanto di aderenza pro fonda ai grandi temi teologici della Scrittura. Lodevole a questo proposito lo sforzo dell'A. di evidenziare ad ogni pi sospinto i passi biblici che possono aver ispirato il Confessore; ma fran camente moite volte non se ne vede l'utilit e neanche la giustificazione.

La riflessione teol gica di Massimo si presenta come il superamento dei due grandi sistemi teolo

gici che dominavano l'Oriente cristiano: l'orige nismo e il pensiero dello Pseudo-Dionigi. Il supera mento dell' econom a origenista e dell' onto

logia dionisiana viene coito come esplicito nel

cap. 7 degli Ambigua. Non nuova la valorizza zione di questo brano massimiano, da quando P. Sherwood (The Earlier Ambigua of saint Maximus the Confessor and his refutation of Origenism,

Studia Anselmiana , 36, Roma 1955) vi ha coito la chiave interpretativa degli Ambigua. Notevole tuttavia l'analisi dettagliata del testo ed il com

mento che conduce a cogliere non solo il n cleo della conf tazione antiorigeniana, ma anche il cuore dell'ispirazione massimiana, quella dottrina dei logoi che gli fa superare sia il cosmismo eco n mico di Origene che quello ontologico di

Dionigi verso un'escatologia del cosmo, il eui av

venire non a priori predeterminato, ma donato come destino libero. S. Massimo non deduce questa apertura escatologica da un'analisi metaf sica del l'essere creato, ma dal fatto inaudito dell'incarna zione di Cristo. Questo il cuore della teolog a del Confessore. L'originalit del lavoro di Riou al

riguardo non consiste tanto nell'aver confermato nella cristologia la fonte e la chiave di volta del

pensiero di S. Massimo e neanche nell'aver sottoli neato che per lui la struttura negativa della formula calcedonese a salvare l'inefFabilit del mistero e quindi la sua irriducibilit ad una metaf -

sica deduttivamente costruita, quanto nello sforzo di cogliere le tappe dello sviluppo della riflessione di Massimo verso questa conclusione.

La distinzione logos-tropos non sarebbe per lui un punto di partenza, ma di passaggio nel suo cara mino verso la confessione del Cristo v vente. In fatti l'innovazione delle nature proclamata come effetto dell'incarnazione del Logos non da inten dersi del logos tes physeos (ratio naturae), ma del

tropos tes hyparxeos (modus subsistentiae), sia per quanto riguarda la persona del Cristo in eui ipo staticamente si uniscono le nature umana e divina, rimanendo del tutto integre e distinte, sia per quanto attiene alla rinnovazione dell'uomo ad

opera di Cristo. La distinzione e la tensione irri ducibile tra ordine personale e ordine naturale inclinano ad una certa priorit del primo nelFini ziativa della salvezza. La natura non perde la sua

consistenza, ma si realizza veramente quando enipostatizzata. Tutta questa riflessione si articola sulla base di un commento ad Ambigua 42, di eui si sottolineano l'importanza e la tipicit davvero

notevoli, soprattutto nel fondare esplicitamente Pantropologia e la cosmolog a sui mistero di Cristo .

L'incarnazione infatti lo scopo ultimo della creazione. L'unione ipostatica di natura umana e divina in Ges Cristo il cardine della struttura del mondo e l'oggetto stesso del consiglio divino. Non dunque, ancora una volta, l'ontologia a

spiegare il mistero, ma il mistero a fondare un'on

tologia. Dallo stesso mistero di Cristo emerge an che lo statuto conoscitivo della teolog a come scien

za, la quale ha come scopo di ritrovare il progetto

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RECENSIONI 593

di Dio in e per mezzo degli esseri creati alla luce della parola divina.

Mi si consenta a questo punto un'osservazione critica. Nella sua riflessione, basata soprattutto sulla Quaestio 60 ad Thalassium, il Riou sembra

supporre che questa sia anteriore ad Ambigua 10, su eui verte il par grafo successivo (cfr. p. Ill),

mentre sappiamo dalia penna s tessa di S. Mas simo che Ambigua 65-68 erano gi scritti quando lavorava alie questioni a Talassio (Thal. 39, PG

90,393 B). Ci evidenzia il rischio di tentare inter

pretazioni di sviluppo di idee senza aver chiara mente stabilito la cronolog a delle opere. Sarebbe stato utile, in un lavoro del genere, porre da qual che parte lo schema cronol gico pi verosimile delle Stesse, per non costringere il lettore a mettere insieme da s dei cenni sparsi.

Il terna dell'articolazione fra teolog a afferma tiva e negativa viene sviluppato dall'autore nel commento di Ambigua 10,31, contemplazione sulla trasfigurazione del Signore. Da essa appare che apofasi e catafasi non sono tipi di conoscenza

opposti ed escludentisi a vicenda, ma comple mentan e concomitanti, anzi compenetrantisi in una mutua pericoresi, come le nature umana e divina in Cristo. In Lui appare infatti ci che

nascosto, si manifesta ci che era segreto, Egli Yicona del Padre. Apofasi e catafasi si articolano

dunque in una struttura simb lica, essendo il simbolo della manifestazione e presenza ipostatica di Dio. Ma il simbolo non rinchiude sui presente, bensi proietta nel futuro escatologico che in esso

appare come anticipato. E nella croce di Cristo che traspare il volto di Dio nella sua volontaria kenosis per la salvezza e traspare insieme il destino

escatologico del mondo consistente nel modo filiale di vivere proprio di Cristo. In essa Massimo intra vede pure il suo destino personale, quello del mar tino (Ep. 14, PG 91, 541C-544A).

Si passa cos al terzo capitolo che raccoglie in sieme la riflessione sulla pneumatologia, sull'ec

clesiologia e sull'escatologia del Confessore. La

pneumatologia viene centrata sulla filiazione, di eui lo Spirito santo autore nel battezzato, come rinascita e ricreazione dell'uomo, e poi sui martirio come meta a eui la grazia dello Spirito spinge il libero arbitrio personale. La confessione suprema per Cristo il termine ultimo eui deve portare nel cristiano la sinergia fra la grazia dello Spirito e la libera volont umana. Si fa notare qui come la tradizione orientale sia rimasta lontana dalia pro blem tica agostiniana e dalle sue soluzioni (cfr. pp. 197-198). Ma proprio nelPambito di questa riflessione mi pare che si sarebbe dovuto accennare

all'opera dello Spirito santo nella conoscenza in

generale (Quaestio 59 ad Thalassium) e alla sua

presenza universale (ibid., 15) ), alio scopo di far

meglio risaltare quell'unit del piano divino che in molte parti di questo lavoro appare come scopo dell'A. mostrare tra le convinzioni di fondo di S. Massimo.

A proposito di ecclesiologia vengono messi in

rilievo tre punti. Anzitutto la Chiesa vista come

presenza iconica di Dio nel mondo, poich svolge tra gli uomini opera di unificazione a somi

glianza di quella di Dio nel mondo intero. Essa non gerarchizza come v rtice di pir mide, ma unifi ca come centro di cerchio eui convergono tutti i

punti della circonferenza. Non siamo, nonostante che la Mystagogia si present come continuazione del commento dionisiano, nella visione statica mente gerarchica dello Pseudo-Dionigi, ma in

quella di unit din mica e dialettica che affonda le radici nella definizione di Calcedonia.

La seconda riflessione, basata su di un passo di

Ambigua 41 e sui capp. 2-7 della Mystagogia, verte sulla liturgia c smica come celebrazione di unit sulle divisioni operate dal peccato tra na tura creata e increata, tra esseri sensibili e intelli

gibili, tra terra e cielo, tra terra abitata e paradiso, tra maschio e femmina. Non si tratta di una lista

esaustiva, bench Massimo si compiaccia di ripe terla spesso, ma di una esemplificazione dello schema della storia del mondo: dalia divisione ope rata dal peccato alla ricapitolazione universale realizzata dal Cristo, della quale la Chiesa tipo e immagine anticipata. Essa il luogo della libera unione con Dio in spirito di figli. Essa la pre senza di questa nuova possibilit offerta alFuomo

sing lo e al mondo. Il discorso si restringe infine al significato che

la S. Sinassi riveste per S. Massimo. Essa non considerata nella sua ritualit , ma nel suo signifi cato spirituals . Da un lato essa anamnesi della prima venuta di Cristo, dalFaltro antici

pazione mistica della sua seconda venuta. La li

turgia non gesto sacrale che rende presente un altro mondo dentro quello che sperimentiamo per estraniarci da esso, ma dice il vero significato del

mondo creato da Dio in vista di unirlo a s in Cristo. La prova chiara della grazia di parteci pare alla sorte dei santi nella luce (Col. 1,9-12) la disposizione volontaria di benevolenza verso il simile (Mystagogia 24, PG 91,713 A). Massimo abbandona dun que la splendida architettura delle

teurgie areopagitiche per un riferimento costante al realismo delFincarnazione. Alla contemplazione

mistica e c smica associa l'ascesi quotidiana e con creta della carit .

Anche l'escatologia di S. Massimo tutta co mandata da questa tensione ad imitare Dio nella sua kenosi in Cristo nella carit . Cos nella rifles sione sui triduo pasquale (Centuriae theologicae et economicae 1,51-70), cos nel prospettare la morale cristiana come lotta per la liberazione dalle pas sioni, che ha come termine ultimo Pamore dei ne

mici, imitazione perfetta di Cristo, che Massimo

magn ficamente propone nel Liber asceticus. Ainsi le saint, dans sa personne, en s'appropriant

par la k nose des passions la Passion du Fils, pouse la m diation r capitulatrice de Celui-ci

et devient lui seul l'Eglise qui fait lever, comme

le levain enfoui dans la pate, la nature enti re

ressuscitant pour la vie nouvelle (p. 191). Ora S. Massimo ha vissuto questa kenosi nella testi monianza suprema che fece di lui il Confessore .

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594 RECENSIONI

Conduciendo, alcune osservazioni. Ottima e di

grande importanza mi pare la tesi di fondo, che alla fine della lettura del libro risulta anche solida mente dimostrata. Pero il m todo appare a volte un po1 artificioso, condotto com' sulla base di passi singoli, ancor ch i pi import anti. Non il caso di limitarsi sistem ticamente ad un solo luogo per dimostrare un'affermazione che di molti passi. Non sufficientemente dimostrato - e gi lo si accennato - lo sviluppo nel tempo della teolog a di Massimo. Tale sviluppo stato coito dall'A. a

spese di una semplificazione non permessa allo stato attuale della ricerca. Infine, mi pare eccessiva

- a volte anche compiaciuta - la tecnicit dei

termini, gi fin dalia titolazione dei capitoli. Per

questo c' da temer che il lavoro, pur ottimo, resti circoscritto alla cerchia degli iniziati, men tre sarebbe auspicabile che molti teologi e storici del pensiero cristiano ne traessero frutto. Ad essi tuttavia non pu essere che consigliato.

VITTORIO CROCE

FRANCESCO CORNA DA SONCINO, Florette- de le antiche croniche de Verona, etc., Introduzione, testo critico e glossario a eura di G. P. MARCHI,

Note storiche e dichiarative a eura di P. BRU GNOLI, Valdonega, Verona 1973. Un volume di

pp. XXXVIII-151.

La presente edizione stata impressa a Verona dalia stamperia Valdonega su carta appositamente fabbricata dalle cartiere Magnani di Pescia. Di cembre MCMLXXIII si legge alla fine di questo stupendo volume, che formerebbe Forgoglio di

qualsiasi editore. Contiene le rime del Petrarca, o qualche scritto raro di Dante, o qualche novella del Boccaccio? Nossignori: contiene le 256 ottave del pressoch ignoto fabbro poeta Francesco Corna da Soncino (fl488) che formano un cantare in lode di Verona e tracciano fino dalle origini la storia della citt e dei suoi dintorni. A rimetterlo in luce, dopo il Cinquecento (che ne vide due edizioni, nel 1503 e nel 1515) stato un gio vane e valente

studioso, G. P. Marchi; a lui sono dovute l'intro

duzione, il testo critico e il glossario, mentre le note storiche e dichiarative sono opera, diligente e pre ziosa, di P. Brugnoli.

Nella Introduzione (pp. IX-XXXVIII) si rif , ex-novo, anche su ricerche d'archivio, la storia del curioso poeta che fu fabbro di professione e che

scrisse, per quanto sappiamo, due sole opere: il cantare in lode di Verona, nel 1477, e la Piazevole istoria de la regina Oliva finita nel 1487, poco prima della morte, in 144 ottave.

Quest'ultima, anche perch contenente un rac conto favoloso e molto amato dal pop lo, ebbe pi larga fortuna e fu stampata numer se volte fino al sec. XIX.

Ma veniamo ora al Fioretto. Il Marchi ne de scrive e studia dapprima i manoscritti: B (Londra,

British Museum, Add. 14097, offerte al card.

Rangoni (1477-86), in 184 ottave); M (Verona, Bibi. Comunale 2636, scritto nel 1532, in 184 otta

ve, e derivante da B); C (Verona, Bibi. Capitolare, CCCCLIV, del 1549, contenente 247 ottave); V (Verona, Bibi. Comunale 2166, scritto nel 1783 su un modello vicino a C, pure di 247 ottave);

F (Verona, Bibi. Comunale 2252, messo insieme dalTabate Cavattoni (fl872), dipendente da V, di 247 ottave); H (Verona, Bibi. Comunale 752, scritto nel 1617, mutilo delle prime 152 ottave e derivante da R). Questi sei codici sono tutti di

origine veronese (anche B proviene dalia collezione veronese Gianfilippi); come pure le due edizioni,

quella princeps del 1503 (trovata nella Biblioteca Nazionale di Parigi dal Marchi, ma stampata a

Verona, in 256 ottave, V rone impressum die 2 Martii MCCCCCIII) e quella del 1515 (stam pata a Venezia per Giorgio de Rusconi milanese

pure in 256 ottave, che id ntica alla precedente e si riteneva, prima della sua scoperta, Tunica edizione del cantare). La tradizione manoscritta e le due stampe manifestano un lavorio ininterrotto intorno al cantare di Verona che va, anche se non ha dato luogo ad un'edizione, dal primo Cinque cento al sec. XIX: e questo sta a dimostrare che l'int resse intorno al carme non venuto mai meno.

Il Marchi, seguendo il criterio del numero delle strofe invece che quello delTet dei manoscritti, vede -

giustamente, a mio giudizio - tre reda

zioni del Fioretto: rappresentate rispettivamente da 184, 247, 256 ottave: e fonda il suo testo riso lutamente su 'edizione princeps del 1503 come

quella che rifletterebbe Tultima volont delTau tore (morto, ripetiamo, nel 1488). Per non manca di darci, in una prima appendice (pp. 100-108) sotto il titolo di variae lectiones un cospicuo mani

polo di varianti di B e di C; mentre le lezioni della

princeps 1503, modif cate o respinte dal Marchi, sono scrupolosamente segnate nell' apparato (pp. 95-99). Utilissimo il glossario (pp. 109

117). Puntuali e frutto di vasta erudizione sono le note (pp. 119-145) a eura di P. Brugnoli; talora si vorrebbe sapere di pi , ma non si pu chiedere di essere informati su tutto. Esaurite queste premesse critiche sulla costituzione del testo che mi pare abbia avuto ora, per le cure del Marchi, la sua forma

definitiva, veniamo al contenuto. E mi sia lecito subito dire che questo cantare , per un v neto, una cosa assolutamente deliziosa. Il Marchi mo destamente osserva: C' da credere dunque che Tinchiesta sui fabbro soncinese possa riuscire di

qualche int resse per chi intenda indagare sullo

spessore sociale e cult rale dei canterini e anche sulla poes a volgare veronese del Quattrocento (pp. XIV-XV). Di estremo interesse, direi. E non tanto per la storia di Verona (abbiamo tante fonti

storiche, tante cronache, pi o meno veritiere), delle sue chiese (con un mondo di reliquie di santi e di martin), dei suoi monumenti (TArena de scritta nelle ottave 149-160), quanto per il respiro di aria viva che esce da ogni sua strofa e ci conduce

quasi per mano fra le strade, le piazze, le chiese, i

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