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www.grikamilume.altervista.org [email protected] o periòdiko griko derentinò VALE TIN FONÌ MU ... P edì mu m’upe: “Mana, vale tin fonì mu mes tin kardìa su na su kratesi panta kalà arte ka evò tarasso larga apu sena ce en èrkome ampì makà. Mio figlio mi disse: “Mamma, metti la mia voce nel tuo cuore, perché ti arrechi sempre bene adesso che io partirò lontano da te e non tornerò indietro mai più. Mavro sìnnevo sciòpase t’am- màdia mu, èklatsa ma prikà pu m’èfike manekhì mu ce se fònaza: “ degghe, degghe, stasu ma mèa, pedì mu, lustro esù is tsikhì mu. Nera nuvola avvolse i miei occhi, piansi amaramente che mi lasciasti sola e io ti chiamavo : “No, no, resta con me, figlio mio, luce sei tu dell’ anima mia. Diammèno arte ise esù ce evò kiàntetsa us fiùru m’a òrria culùrria ka ‘su gapà, dinno nerò mimmeno passon emèra stes kiànte na su doko kharà. Andato adesso sei tu ed io ho piantato i fiori dai bei colori che tu ami, do acqua mischiata alle mie lacrime ogni giorno alle piante per arrecarti gioia. Pu ‘su stei, pedì mu … me kui? Ànitso ti' kèccia fenestra tu ADI n’ambi ‘cessu e drosìa ja sena a’ te fiurimmène su kiante ….. Dove sei tu, figlio mio, mi ascolti? Apri la piccola finestra dell’ADE perché entri dentro, per te, la rugiada delle piante fiorite .... O griko mas andiàzete Il griko ci serve U na volta una ragazza, mia alunna, poiché dovevamo fare un corso di griko a scuola, mi chiese: “Professore, a cosa serve il Griko?” Io a dire il vero, lì per lì rimasi senza parole, ma dopo qualche secondo che rimasi interdetto, le risposi soltanto che il griko serve per capire e imparare meglio l’italiano, perché molte parole derivano dal greco antico, parole che abbiamo anche noi nella lingua grika. Poi, riflettendo, pensai che una lingua non s’impara soltanto perché serve, sennò dovremmo studiare solo l’inglese o le altre lingue che ci possono dare un lavoro, ma una lingua s’impara anche e soprattutto perché la si ama. E come amiamo il nostro paese, il padre e la madre, la festa di S. Giorgio o della Madonna degli Angeli, come rimaniamo sempre legati alle tradizioni del nostro paese, così dovremmo amare la lingua dei nostri padri. Perché dimenticare le nostre radici? Oggi girando lo sguardo nei paesi vediamo dappertutto parole inglesi; le botteghe si chiamano market e sconto sta scritto discount e tu non sai se ti trovi in Italia o nel Regno unito. Un tempo la lingua greca aveva un prestigio maggiore di quello che ha oggi l’inglese. L’antica Roma, che soggiogò la Grecia, rimase affascinata dalla sua cultura e civiltà e prese molte parole dal greco antico, che entrarono poi nell’italiano. Col passar dei secoli quest’uso si continuò in tutto il mondo occidentale fino al milleottocento, quando furono fatte M ia’ forà mia’ kiatèra, alùnna dikì-mmu, jatì ìkhamo na kàmome na’ korso atsè griko si’skòla, mu aròtise: “Professùri, ja ti andiàzete o griko?” Ivò na sas po’ tin alìtia, ‘cì pu cì ìmina senza lòja, ma de poi, dopu kanè sekòndo ka ìmina interdètto, tis respùndetsa manekhà ka o Griko andiàzete na ‘noìsi ce na mati kàjo ton italiàno, jatì poddà loja èrkotte a’ to greko palèo, lòja pu èkhome puru imì sin glossa grika. Poi, reflettèonta, pènsetsa ka mian glossa e’màtete manekhà jatì andiàzete, sindè ìkhamo na studiètsome manekhà ton inglèse o tes addes glosse pu mas sòzone dòi fatìa, ma mian glossa màtete puru ce plo’ poddì jatì tin agapùme. Ce kundu agapù- me to paìsi-ma, to ciùri ce ti’ mana, ti’ festa t’ a’ Jorgìu o tis Maddònna tos Àngelo, kundu mènome panta demèni ses tradiziùne tis chòra-ma, itu èprepe na ‘gapìsome tin glossa tos ciùrio-ma. Jatì e’ n’ allimonì- some tes rìzes-ma? Sìmmeri angirèonta ti’ kanonisìa sa paìsia vlèkhome is pukanè loja inglèsa; e putèke fonàzotte market ce “scont”, "sales" “discount” ce isù en itsèri an vrìskese sin Itàlia o so’ Regno Unito. Mia’ fora, i glossa greka ikhe na’ prestìgio plo’ mea atse cino pu echi sìmmeri o inglèse. I palèa Romi, pu èvale aka’ sa pòdia tin Grecia, ìmine avaskomèni a’ ti’ kultùra ce a’ ti’ civiltà dikè-tti, ce èpike poddà lòja a’ to greko palèo, pu ‘mbìkane poi son italiàno. Javènnonta i sèkuli, tutton uso perpetuètti is olo to kosmo occidentale sara to khìjeottokòssie, motte kàmano Mìliso Grica!

Mìliso Grica! - rizegrike.comrizegrike.com/spitte/spitta_11.pdf · n’ambi ‘cessu e drosìa ja sena a’ ... fonaza tarantella ce addhi i fonaza pìzzica, ma panta cini ìane

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Àgusto 2014 Direttore : Nunzio Pacella Nùmero 11

Stampatopresso"TipografiaHydruntum

",viaFaccolli,47

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operiòdikogrikoderentinò

VALE TIN FONÌ MU ...Theonia Diakidis

Pedì mu m’upe: “Mana, vale tinfonì mu mes tin kardìa su na

su kratesi panta kalà arte ka evòtarasso larga apu sena ce en èrkomeampì makà.

Mio figlio mi disse: “Mamma,metti la mia voce nel tuo cuore,perché ti arrechi sempre beneadesso che io partirò lontano da tee non tornerò indietro mai più.

Mavro sìnnevo sciòpase t’am-màdia mu, èklatsa ma prikà pum’èfike manekhì mu ce se fònaza:“ degghe, degghe, stasu ma mèa,pedì mu, lustro esù is tsikhì mu.

Nera nuvola avvolse i mieiocchi, piansi amaramente che milasciasti sola e io ti chiamavo : “No,no, resta con me, figlio mio, luce seitu dell’ anima mia.

Diammèno arte ise esù ce evòkiàntetsa us fiùru m’a òrria culùrriaka ‘su gapà, dinno nerò mimmenopasson emèra stes kiànte na sudoko kharà.

Andato adesso sei tu ed io hopiantato i fiori dai bei colori che tuami, do acqua mischiata alle mielacrime ogni giorno alle piante perarrecarti gioia.

Pu ‘su stei, pedì mu … me kui?Ànitso ti' kèccia fenestra tu ADIn’ambi ‘cessu e drosìa ja sena a’te fiurimmène su kiante …..

Dove sei tu, figlio mio, … miascolti? Apri la piccola finestradell’ADE perché entri dentro, per te,la rugiada delle piante fiorite ....

O griko mas andiàzete Il griko ci serveCarmine Greco

Una volta una ragazza, miaalunna, poiché dovevamo fare

un corso di griko a scuola, michiese: “Professore, a cosa serve ilGriko?” Io a dire il vero, lì per lìrimasi senza parole, ma dopoqualche secondo che rimasiinterdetto, le risposi soltanto che ilgriko serve per capire e impararemeglio l’italiano, perché molteparole derivano dal greco antico,parole che abbiamo anche noi nellalingua grika. Poi, riflettendo, pensaiche una lingua non s’imparasoltanto perché serve, sennòdovremmo studiare solo l’inglese ole altre lingue che ci possono dareun lavoro, ma una lingua s’imparaanche e soprattutto perché la siama. E come amiamo il nostropaese, il padre e la madre, la festa diS. Giorgio o della Madonna degliAngeli, come rimaniamo semprelegati alle tradizioni del nostropaese, così dovremmo amare lalingua dei nostri padri. Perchédimenticare le nostre radici?

Oggi girando lo sguardo neipaesi vediamo dappertutto paroleinglesi; le botteghe si chiamanomarket e sconto sta scritto discounte tu non sai se ti trovi in Italia o nelRegno unito.

Un tempo la lingua greca avevaun prestigio maggiore di quello cheha oggi l’inglese. L’antica Roma, chesoggiogò la Grecia, rimaseaffascinata dalla sua cultura e civiltàe prese molte parole dal grecoantico, che entrarono poinell’italiano. Col passar dei secoliquest’uso si continuò in tutto ilmondo occidentale fino almilleottocento, quando furono fatte

Mia’ forà mia’ kiatèra, alùnnadikì-mmu, jatì ìkhamo na

kàmome na’ korso atsè grikosi’skòla, mu aròtise: “Professùri, jati andiàzete o griko?” Ivò na sas po’tin alìtia, ‘cì pu cì ìmina senza lòja,ma de poi, dopu kanè sekòndo kaìmina interdètto, tis respùndetsamanekhà ka o Griko andiàzete na‘noìsi ce na mati kàjo ton italiàno,jatì poddà loja èrkotte a’ to grekopalèo, lòja pu èkhome puru imì singlossa grika. Poi, reflettèonta,pènsetsa ka mian glossa e’màtetemanekhà jatì andiàzete, sindèìkhamo na studiètsome manekhàton inglèse o tes addes glosse pumas sòzone dòi fatìa, ma mianglossa màtete puru ce plo’ poddìjatì tin agapùme. Ce kundu agapù-me to paìsi-ma, to ciùri ce ti’ mana,ti’ festa t’ a’ Jorgìu o tis Maddònnatos Àngelo, kundu mènome pantademèni ses tradiziùne tis chòra-ma,itu èprepe na ‘gapìsome tin glossatos ciùrio-ma. Jatì e’ n’ allimonì-some tes rìzes-ma?

Sìmmeri angirèonta ti’ kanonisìasa paìsia vlèkhome is pukanè lojainglèsa; e putèke fonàzotte marketce “scont”, "sales" “discount” ceisù en itsèri an vrìskese sin Itàlia oso’ Regno Unito.

Mia’ fora, i glossa greka ikhe na’prestìgio plo’ mea atse cino pu echisìmmeri o inglèse. I palèa Romi, puèvale aka’ sa pòdia tin Grecia, ìmineavaskomèni a’ ti’ kultùra ce a’ ti’civiltà dikè-tti, ce èpike poddà lòjaa’ to greko palèo, pu ‘mbìkane poison italiàno. Javènnonta i sèkuli,tutton uso perpetuètti is olo tokosmo occidentale sara tokhìjeottokòssie, motte kàmano

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MìlisoGrica!

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Es tutton numero:

Vale tin foni mu ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

O griko mas andiàzete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

Pizzica ce tarantàe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2

E giustìzia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2

Ta travùdia grica, i emigraziùna ... . . . . . . . 4

Jortì mali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6

Griko Salentino ce Grico kalabro .. . . . . ..6

O Grico apà sto internet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

I Spitta, o periódiko griko derentinó

a'tin Associaziùna Grika Milùme!

Reg. Tribunale di Lecce, 16/07/2007, n.

972

Direttore responsabile :

Nunzio Pacella

Redazione: Via Marconi, 2773025 Martano (LE)

[email protected]

Stampa: tip. Hydrubtum - Otranto

Polemìsane ja tutton nùmero:

S. Abate, T. Diakidis, G. De Pascalis, D.

Donno, L. A Giannuzzi, C. Greco,

F. Iervoglini, A. Spagnolo

O khorefsi tis pìzzica ce cino a’tes tarantàe apo panta ine

pratimmena nomena, ma passonenasto cosmo dico-ttu. I pìzzica ìone okhorefsi tes ghetonìe, tes jortè apàst'alogna: 'a khorefsi fse kharà. Okhorefsi tes tarantàe ìone 'a khorefsiadìnato, ìone o khorefsi tu ponu ceekhorèato es ena topo manekhò: ambrò es tin agglisìa t'A' Pavlu, ston A'Petro. A' prama ta èdenne: e mùsica -cini a' tes tarantàe evasta a ritmopleo dinatò - ma ta àrmata pu èrcatondalimmeni. I pìzzica ìkhe khasòntagià stus khronu saranta, na ghiurisidepoi stus khronu annovinta; ofenòmeno tes tarantàe esvisti stuskhronu afsinta ce ja calì sorta en enepleo jiurimmeno.

Ettùcau e ricordi cinò pu tuttapràmata ta zìsane:

"E mùsica ia panta cini, mia ifonaza tarantella ce addhi i fonazapìzzica, ma panta cini ìane e stòria: opìzzica o tarantella. Emì appena appena estàsamo na dume motti ndalù-sane ce khorèane apà st'aloni: e vèc-chie, e mane-ma evastusa tu fustìanumacrèu, a mantìja ka ìsoze vali atùmeno sitari ecessu ce allora epiànnato mantili, epiànna to fustiano ce obattèane ce zumpèa. Elona evo:“vecchie ce conòscio po zumpèune!Ma motti empizzettimosto emì èstasee guerra ce poddhì antropi epìrtanestin guèrra ce ettù ikha mìnonta evecchi ce a redi ce allora quasi quasica ikhe khasonta.”. Jalìssia ìkhanestàsonta e cinùrie tecnologìe ce,sacundu tossa addha pràmata, purucitti musica ssadìa ssadìa ìrteafimmeni ce allimonimmeni.

“E tarantàe ìane ghinechepizzimene a’to sfsalangi (iu epistèato).Stes emere t’A Pavlu epìane ston A’Pedro na ghiurèfsune i khari najànune. Ndimene aspre m'a mainantròpu pu panu, ma mutandunu rosta pòja, evàddhe tes carzette ce piasenza scarpe , evàddhane a maccaluricalào apà sta ammàddia ce crivìnna tomuso ce en ennòrize an ia vècchia, ania coràsi, an ia khiatereddha,enzumpèane es to mero es t'àddho caìa sacundu us cardillu. Ikhe cini pumes sti strada endalùsane o violino,on organetto, o tamburièddhi, ce cìekùonta i musica ekhorèane panta

Il ballo della pizzica e quello delletarantate per molto hanno

camminato insieme, ma ciascuno nelproprio mondo. La pizzica, infatti, erail ballo del vicinato, delle feste sull’aia:un ballo di gioia. Il ballo delletarantolate, invece, era un ballo malato,era un ballo di dolore e si ballava in unsolo luogo cioè presso la chiesa di S.Paolo, a Galatina. Un elemento lilegava: la musica - quello delletarantate aveva un ritmo più incalzante- insime con gli strumenti con cuiveniva suonata. La pizzica già a partiredagli anni quaranta non veniva piùballata per poi fare ritorno negli anninovanta. Il feno-meno delle tarantate,invece, si è esaurito negli anni sessantae, per a fortuna, non è più ricomparso.

Qui seguono alcune testimonianzi dipersone che questi fatti gli hanno vissuti:

“La musica era sempre la stessa,una la chiamavano tarantella e l’altrapizzica, ma sempre quella era lastoria: o pizzica o tarantella. Noiappena appena abbiamo fatto intempo ad assistervi: le vecchie, lenostre madri, avevano gonne lunghee grembiuli - che dentro ci potevimettere un tomolo di grano - e alloraprendevano i grembiulei e le gonne liscuotevano e saltavano. Io dicevo:Ma guarda queste vecchie comesaltano! Quando noi raggiungemmol’età giusta arrivò la guerra e quirimasero solo vecchi e bambini percui la pizzica quasi andò scompa-rendo”. In realtà - aggiungiamo noi -erano sopraggiunte nuove tecnologiee, come tante altre cose, anche quellatradizione musicale venne pian pianoabbandonata e dimenticata.

“Le tarantate erano donne piz-zicate dalla taranta - o così si credeva -.Nei giorni della festa di san Paolo sirecavano a Galatina a chiedere lagrazia per poter guarire. Vestite dibianco, con una camicia da uomo,con mutandoni lunghi fino ai piedi,indos-savano le calze camminavanosenza scarpe. Mettevano in testa unfazzoletto calato sugli occhi enascondevano la faccia: così non siriusciva a distinguere la tarantatafossese vecchia, giovane o bambina.Saltavano da un parte all’altra comecardellini. C’erano per strada sunatoridi violino, organetto e tamburello ed

PIZZICA CE TARANTAEG. D.

E giustìzia: evò en etsero tiprama ene tuo. E àntrepi klèt-

tune, sfàzune depoi sti televisiùnalèune ka en echi giustìzia pleo stokosmo ce e kristianì àrtena kàn-nune cio pu tèlune.

La Giustizia: io non so cosa sia.Gli uomini rubano, ammazzano edin televisione poi dicono che non cisia giustizia nel mondo e le personefanno ciò che vogliono

Evò tòrisa o pàppo – mmu, ofònasa ce t’upa: “pappe, evò ìtelana se na se rotiso a prama. Esùetseri na mu pì ti ene i giustìzia?”.

Ho visto mio nonno, l’ho

E GIUSTIZIADonato Donno

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pleo dinatò, embelìatto ecimesa ce esìatto cestravònnatto. An mia ìbbie ndimeni rodinì o maculùrria ferma oi m'in vesta m’u fiuru ia capace nambelìstune apanu; e antròpi en vaddha mancu iscoddha rodinì, e' tin vàddha ja macà andè e' capaceca cìe pìa, embelìatto ce os ti sìrnane; en e' caennamurèatto manekhò es ti scoddha ce ikhe n'is i doisandè su in estrappèane, se nfuchèane, ma puru stomai colorào oi mia giacca colorata. Ste ce pìamo nacùsome lutrìa ce estazi mìas ìtte tarantàe ce embelìeteanù, pu ste ce ìbbie cistèa stin agglisìa, pu vasta iscoddha, on ebbìce aputtù ... Cio mbelìsti n'i fìi, maembelisti o ciùri-ti, ca pìane panta cumpagnate a’ tifamija, ce ipe: “stasu fermo, ca cio pu ene ene seccuteme, canì, ipe, ka e' ti kanni danno!”. - En ìkhecuncerto e festa, jatì tosso etori fèonta gheno aputtù,fèonta gheno apucì, jatì e tarantàa ìbbie feonta cemotti nzigna na cai disastru o gheno èffie cekhànnatto aputtù ce apucì puru missìa ttaccosi esèa ceempònnes es addho mero. Ecanna nsomma ci pu osestre a mialà. Ce ces stin agglisìa e tarantàendevènnane apà st'artària ca episteca arte efsàzutte, arte eclànnutte;ìkhe i scala pu ndèvenne opredicaturi ce ida mia malendimenica ècanne ìu sacundu afìddia,ediàvenne apu c'es e scale ce ìbbieapanu ce votìato anupucàu”.

Pos khorizi apo utte dio chèccietestimonianze plèppi i musica, taàrmata ce o noma (pìzzica) ta diòpràmata en èkhune tìpoti nameràsune: kharà ce jortì ena, ponoce pàtima t’addho.

E taranta: e taranta ene ‘a simadi,.o simadi is ghineca daccameni stinfsìkhi pleppi es to soma. I pìzzica tistarantata ene khorefsi fse liberaziùna,liberaziùna afse ole tes daccamàe ceta ola sfalàngia pu is spànnune cardiace fsikhì.

E “Notte della taranta”, malìjortì. Plèo mali fse ole tes jortèssianomene es tutta meri. Ce allorati èrchete sto pì “taranta”, jatì ennasmifsi pàtima ce kharà? Jati ennasmifsi sacro ce profano? O noma “notte dellataranta” combonni. Combonni o nu ce ti Storia. IoPrama calò na afistì utti moda ce lòo ce simadi naghiurìsune sto paleo nòima, jatì ancora sìmberi m’oloca e’ khorùne plèo ambrò stin agglisìa t’A Pavlu,gheno daccameno a’ti Taranta ekhi tosso.

esse si buttavano per terra, si muovevano e sicontorcevano. Se qualche donna era vestita di rosso o concolori vivaci o indossava un vestito a fiori, erano capaci discagliarvisi addosso. Gli uomini non portavano cravattarossa, anzi non indossavano affatto la gravatta perchésapevano che le tarantate si sarebbero gettate contro perstrappargliele. Esse non erano attratte solto della cravatterosse - e dovevi dargliele altrimenti te le strappavano acosto di strozzarti! - ma anche dalle camicie dalle giacchecolorate. Mentre andavamo ad sentir Messa sopraggiungeuna tarantata che di un uomo che si dirigeva verso la chiesae portava lacravatta. Lei lo afferro ma quello regì perallontanarla; a qule punte intervenne il padre di lei - ché letarantate erano sempre accompagnate dai familiari - e glidisse: stai fermo, ciò che sarà, sarà: sarai risarcito, basta chetu non le faccia del male!- Non c’era un'atmosfera di festaperché all'improvviso vedevi gente correre di qua e di là,perché le tarante correndo combinavano disastri la gentefuggiva e si disperdeva da una parte e dall’altra perchétemeva di essere assalita e si a accalcava dalla parteopposta. Le tarantate, insomma, acevano qualsiasi cosa venisse

loro in mente. Nella la chiesa le tarantateesalivano sugli altari e ,vedendole, credevi chestessero sempre per cadere e rompersi le ossao ammazzarsi. C’era una scala da cui saliva ilpredicatore e lì ne vidi una mal vestita chefaceva come fanno le serpii: passava tra gliscalini, andava su e si rivoltava sottosopra.”.

Come si può notare da queste duebrevi testimonianze, tranne la musica,gli strumenti usati ed il nome (pizzica),le due cose non hanno niente daspartire: gioia e festa ca ratterizzanouna, dolore e sofferenza l’altra.

La Taranta: la taranta è un simbolo,è ll simbolo della donna morsicatanell’anima più che nel corpo. Lapizzica della tarantata è un ballo diliberazione, liberazione da tutti i morsie da tutte le tarante che le laceranocuore ed anima.

La “Notte della taranta”, grande festa, lapiù grande di tutte le feste messe insiemeda queste parti. Ma allora cosa vuol dire“taranta”, perché mescolare sofferenza egioia? Perché mescolare "sacro e profano”.Il nome “notte della taranta” è

ingannevole. Inganna la memoria, inganna la Storia.Sarebbe opportuno abbandonare questa moda e far sì chequesta parola e questo simbolo riacquistino l'anticosignificato, dato che ancora oggi, benché non ballino piùvicino alla chiesa di San Paolo, di persone morse dallaTaranta ve ne sono tante.

chiamato e gli ho chiestoi: “Nonno, vorrei chiedertiuna cosa: mi sai dire cosa è la giustizia?”.

Cino m’upe: ”pedài-mu, esù enna tseri ka ehi diogiustìzie, mia in èkame o Kristò ce mian àddhi ikàmane e àntrepi: cini tos antrepo ene kundu miakannèa pu pianni tes mie kecce ce finni to damali meace pacheo. Enòise, pedài-mu? Iu ene àrtena o cosmo.

Lui mi rispose: ” Figlio mio, tu devi sapere cheesistono due giustizie: la giustizia di Dio e quella fattadagli uomini. Quella degli uomini è come una ragnatela,che intrappola le mosche piccole e lascia perdere il vitelloforte e robusto. Hai capito, figlio mio, come va il mondoadesso?”.

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Ta travùdia grica, i emigraziùna, i AdrianaS. Abbate e A. Spagnolo

I emigraziùna ene na prama cinùrrio icèssu satravùdia grica. “Àremu rindinèddha” grammèni atto

Giuseppe Aprile pu Calimera so 1899 (“Es miarindinedda”) omilì posso e’ pricò cino ca stei largaatto spìtitu, ca en sozzi jurìsi secùndu cànnune tesrindinèddhe; to travùdi “Klama” (travudimmèni purusin Grecia atti Maria Farandouri) grammèni attoFranco Corlianò pu Calimera so 1972 omilì atto ponoattes ghinèche ce atta pedìa ca torùne tus àndruto cetus ciùruto ca taràssune na pane na polemìsune sinGermania; ce to travùdi “Grecìamu Grecìa “,grammèni atti Irene Lanzone ce atti Lucia Tamborrinoso 2004 (musica atto Luigi Corsano), ca ene to innoatti Scola Primaria pu Martàna : “Canonònta ampìdìume mia chera cinù ca stazzi tse nitta mô pono sicardìa[…] ce spiti en ei’ macà”.

Tutta travùdia mas avisùne na noìsume ti ìsane ce tiene tin emigraziùna ja to gheno attochoma dikòmma. Tui ine i ricòrdi tiAdriana Spagnolo ka ìzzise secùnduchiatèra azze ena emigrào.

Adriana ene pu Coriàna, echisarantaottò chronu ce ene madrelinguagrica attes pleo giòvenu atto paìsi. Ciniètiche na mali avisìa jai tus libbrudidàtticu “Pos Màtome Griko” (www.e-griko.eu , Alpha Edizioni 2013) ce tsèricappòssa travùddia palèa jatì travùdiseme tus vècchiu atto Circolo “Argalìo”pu Coriàna.

-Motte ghennìsi isù o ciùrisu enìstinne is Coriana ...

Mòtte ghennìsimo ivò, o ciùrimu ìche amàntaemigrào si Svizzera. Ighennìsimo icèssu nan avlì, puìche cappòsson ghèno ca abbìte, ce i mànamu ìchepoddhì avisìa jàtì imì ìsamo dio giamèlle, ce nan addhiaderfì pleo màli azze tèssaru chrònu. Mu lène ancòraàrtena, ca si stràa pu ghennìsamo imì, càmane na’ffesta, jài ìsane na pràma cinùrrio ca torùane.

-Poa torònnato o ciùrisa?Mòtte azziccosàmo na' azzìsume, o ciùrimu èrcoto

dio, tri forè to chròno, ce motte iche na stasi, pìamooli ciumbrò si farmacìa palèa na to mìnume, jài pu ìcitorìato i stràa ti staziùna. Motte ìs fènato me olu tusàddhu ca istàzzane, i mànamu mas èperne atti chèrafèonta ambrò cinù. Mòtte istàzzamo, o ciùrimu ambèjatus bacàju ciùmèsa ce mas èbbianne anu ole ce trì teschiatère nomène, i manamu tin ambràzzonne ce tifìlinne fìnca en ìstazzàmo èssuma. Motte glinnàne tesscole, i mànamu mas èbbianne ole ce trì ce mas èperne,manìchìtti, me to papùni, si Svizzera so ciùrimu, cestèamo fìnca en anìane matapàle tes scole.

-Ti fatia ècanne o cìurisu ?Cino ècanne o “gessino”, cìno ca imì fonàzzume

“cazzafittàro”, sus palàzzu azze ottò, deca piànu.-Pos càmato na comunichèzzete me to cìùrisa

motte cino ìstinne si Svizzera?O ciùrimu ìsane analfabèta, ce i mànamu jai na

Quello dell’emigrazione è un tema relativamentenuovo nei canti in lingua grica. “Chissà rondinella”,

scritta da Giuseppe Aprile di Calimera nel 1899 (“Aduna rondine”) racconta della tristezza di colui che èlontano dalla sua casa e che non può tornare, comeinvece fanno le rondini; il canto “Pianto” (conosciutoanche in Grecia con la voce di Maria Farandouri),scritto da Franco Corlianò di Calimera nel 1972 cheparla del dolore delle donne e dei bambini che vedonopartire il proprio marito ed il proprio padre per andare alavorare in Germania; ed il canto “Grecìa mia, Grecìa”scritta da Irene Lanzone e Lucia Tamborrino nel 2004(musica di Luigi Corsano), che è l’inno della ScuolaPrimaria di Martano: “Guardando nel passato, tendiamouna mano a chi arriva di notte col dolore nel cuore […]e casa non ha.” Questi canti ci aiutano a capire cosa erae cosa è l’emigrazione per la gente della nostra terra.

Seguono i ricordi di AdrianaSpagnolo che ha vissuto come figlia diun emigrante. Adriana è di Corigliano,ha quarantotto anni ed è dimadrelingua grica. Ha dato il suocontribuito ai volumi didattici “Comeimpariamo il Grico” (www.e-griko.eu ,Alpha Edizioni 2013) e conosce molticanti antichi perché cantava insieme aicantori anziani del Circolo “Argalìo” diCorigliano.

Quando sei nata, tuo padre nonstava a Corigliano…

Quando sono nata io, mio padreera già emigrante e stava in Svizzera. Sono nata in unacasa a corte dove abitava molta gente e dove mia madreha ricevuto molto aiuto perché eravamo due gemelle edun’ altra sorella più grande di quattro anni. Mi diconoancora oggi che nella nostra strada quando siamo natenoi hanno fatto una festa perché le gemelle erano unanovità.

Quando vedevate vostro padre?Quando abbiamo iniziato a crescere mio padre

veniva due, tre volte all’anno e quando doveva arrivareandavamo tutti davanti alla vecchia farmacia adaspettarlo, perché da lì si vedeva la strada della stazione.Quando compariva con tutti gli altri che arrivavano, miamadre ci portava per mano correndo verso di lui.Quando gli arrivavamo vicino, mio padre buttava tutti ibagagli e ci prendeva in braccio tutte e tre le figlieinsieme, abbracciava mia madre e la baciava fino aquando non arrivavamo a casa. Quando chiudevano lescuole, mia madre ci prendeva tutte e tre e ci portava, dasola, con il treno, in Svizzera da mio padre. E stavamo lìfino a quando non aprivano nuovamente le scuole.

Che lavoro faceva tuo padre?Lui faceva il “gessino”, quello che noi chiamiamo

“cazzafittaro”, ai palazzi di otto, dieci piani.Come facevate a comunicare con vostro padre

quando stava in Svizzera?Mio padre era analfabeta e per comunicare con lui

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comunichèzzune motte cino ìstinne larga, tis màttesena gratsi ce na meletìsi, (puru ca to' noa sulu cini); iuambièatto ta gràmmata. Motte ghennimòsto imì, isCoriàna iche dio centralìnu: ena si’ mmesi so barra ceton addho si stràa pu abìtonna ivò. O ciùrimu dio forèto mina, fònazze so centralino ce i ghinèca carespùnde, èrcoto èssumu ce ele si mànamu: " Maria, deca o Giuvanni se fonàzzi fra pente minùtu ". Alloraipìamo ole so centralìno ce mènamo na simàni tondelèfano. Echo stennù pos mirìzze citti cabina, ce mucacofènete ca dopu sarànta chronu àrtena milò ce toròtus cumpàgnu dicùmmu me to compiùterre. Àrtenaìtela na stasì si Svizzera o ciùrimu!

quando stava lontano, mia madre gli ha insegnato a leggeree a scrivere (anche se riusciva a capirlo solo lei); così simandavano le lettere. Quando siamo nate noi, a Coriglianoc’erano due telefoni pubblici: uno al bar in piazza e l’altronella strada dove abitavo io. Mio padre due volte al mesechiamava al centralino telefonico e la donna che glirispondeva veniva a casa mia e diceva a mia madre: “Maria,vedi che Giovanni ti chiama fra cinque minuti.” Alloraandavamo tutte al centralino e aspettavamo che suonasse iltelefono. Ricordo ancora l’odore di quella cabina, e non misembra vero che adesso, solo quaranta anni dopo, parlo evedo i miei amici con il computer. Adesso doveva stare inSvizzera mio padre!

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Ddhàfse, corasi, ca sìmberi e' mali jortìce vale to fustiàno fse matafsi lettò,pline ta maddhìa-su m'i lissìace depoi vale a rodo rodinòce an addho sto petto-ssu artò ce rodinò.Àmone m'i' fili-ssu a' ti' cardìana se torisi iso paddhicari-ssu,cio pu su stei panta sto lemò.Itu, m'i canonsìa, t'ammadia-ssu piànnune lumerace i cardìa-su petà stin ajeraj'in agapi tu paddhicari pu panta epai gomài.S'ide ce s'upe: ehi, epù pai, padruna apù sti cardìa-mmum'itti curuna afse fiùru pu ekhi sti ciofali?Isela na se paro na se di e mana-mu,n'i cai kherùmeni sa' furtuna.To corasi ipe: amo vàscia, agàpi-mu, amonvàscia,enna diavì to cerò, esù to fseri.To fsero pu m'agapà, t'ammài-ssu mu to lei.Ammài-mu e' lei tìpoti, ma s'agapà;e cardìa-mu ce e fsikhi-mmu s'agapùnece na milìsune e' sòzune macà, agàpi-mu.

Cambiati di vestito, giovinetta, che oggi è festa grandee metti la gonna di seta fine,lava i capelli con la liscivae dopo adornali con una rosa rossaed un altra mettila sul tuo petto prosperoso e rosso.

Vai con la tua amica del cuoreché ti veda quel giovane,quello che ti sta sempre sulla bocca.Così, con lo sguardo, i tuoi occhi prendonofuoco,ed il tuo cuore vola nel cieloper l'amore del giovane di cui va sempre pieno.Ti vide e disse: ehi, dove vai, padrona del miocuore,con quella corona di fiori che porti in testa?Vorrei portarti a farti vedere da mia madre,per farla contenta come la fortuna.La giovane disse: vai piano, amor mio, vai piano,

deve passare il tempo, tu lo sai.Lo so che mi ami, il tuo occhio me lo dice.Il mio occhi non dice niente, ma ti ama;il mio cuore e la mia anima ti amanoe non possono parlare, amore mio.

JORTÌ MALI FESTA GRANDELeonardo Antonio Giannuzzi

Grico Salentino ce Grico Càlabro 's confrontoG. D.

O cràulo èclefse miadaccamà fse crea ce èffie apà esena àrgulo n’o fai. E alipùna tonìde ce etròato ta mialà n’avripose ìkhe na cai n’u to clèfsi:stasi, stasi, poi tosso èdrameapucàu ce t’ùpe: “ma ti pramaekhi?” Cadevenni o arcobalenoapo tutto àrgulo? Ah esù ise! Tipuddhì mea! Ti òrria culùrria!Pe-mmu pos cui ca e’na po alòpu ìvrica to animali pleon òrio cemea tu gonìu!

Pos ìgue utta lòja, o cràuloànifse o lemò ce ècame:“Cra…”, ce èmine cànnonta: “Cra… cra… cra…” ti o crèat’òpese ecimesa ce e alipunaekhiùsti, tu to èbbiche ce t’upe:“Cràule, cràule, ise mea ce òrioma en vasta noisìa”

Il corvo rubò un morso dicarne e fuggì su di un albero permangiarlo. La volpe lo vide e silambiccava il cervelo per trovarecome fare per rubarglielo: stette,stette poi all'improvviso corse disotto e gli disse: “Ma cosa c’è?Scende l’arcobaleno da questoalbero? Ah sei tu! Che uccellogrande! Che bei colori! Dimmicome ti chiami che devo dire atutti che ho trovato l’animale piùbello e più grande della montagna!

Come udì queste parole ilcorvo apri la bocca e fece“Cra…”, e rimase a fare: “Cra…cra.. cra..”, così che la carne glicadde per terra e la volpe si gettò ,gliela prese e gli disse: “Corvo,corvo, sei grande e bello, ma nonhai ingegno!”.

O còraca èclezze man dangamìaazze crea c’eristi se nan dendrò ja nati ffai. I alupuda to ascestic’efagònnetto o ammialondi na ivripos echi na cami na tu to trizzi:esthati, esthati, poi posso ètrezzeabucaòtte ce tu ìpe: ”Ma ti echi?Ecatevi to lirì se tundon dendrò?”Ah ise ‘su! ti citronoleo mega! timagna culùria! Pemu po ccràzeset’echo na tos ipo olò t’ivra to nimalito plem mega! Ce to plem magno tisozzìa!”

Pos ìcue tunda loja, o còracaànizze to stoma c’ècame: “Cra…”, c’èmine cànnonda: “ Cra…cra…, cra…”, ti to crea tò ppesechamme ce i alupuda eristi, tu topiae ce tù pe: “Còraca, còraca! Isemega ce magno… ma ‘en echingègno!”

I Alupuda ce o Còraca *E Alipuna ce o Cràulo La Volpe ed il Corvo

* Apu "La glossa di Bova" tu Giovanni Andrea Crupi

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molte invenzioni : basta dire che i fratelli Lumièrechiamarono la loro cinematografo, termine chesignifica “scrivo col movimento”. Il linguaggioscientifico è pieno di termini ripresi dal greco antico,ma forse non sappiamo che tante parole dellinguaggio comune che usiamo ogni giorno, hannoradici greche che troviamo anche nel griko.

Nostro scopo è di inserire in ogni “I Spitta” un ar-ticolo che indichi le parole italiane che hanno un eti-mologia greca, per mostrare che la nostra non è lalin- gua dei poveri ma la lingua da cui derivano moltealtre.

L'italiano "scrivo" in griko lo esprimiamo con gra-fo. Quante parole italiane derivano da grafo? Molte,certo: grafìa, calligrafia, gràfica, grafologìa, ma ci sonoaltre che forse non sappiamo: sono graffiare, graffio,graffito: nell’antichità non conoscevano la carta escrivevano sulla cera o sulla argilla, incidendo le letterecon uno stilo. Perciò quando graffiamo facciamo lastessa cosa che facevano gli antichi quando scrivevano.

Che c’entra il diamante con un animale che non sidoma? Niente, mi direte voi. Invece c’è una relazione:il termine diamante deriva da damàzo (come diciamoin griko) ed è formato dall’alfa privativo e da damàzo(=io domo): significa indomabile indomabile, perchécome sappiamo il vetro è sì più duro del ferro, ma ildiamante è più duro del vetro.

E cos’è l’anima? Deriva da ànemo (=vento),perché gli antichi pensavano che l’anima era un vento,un soffio vitale che stava dentro di noi e spirava (cfr.l'i italiano spirare) quando una persona moriva.

L’elenco delle parole potrebbe continuare non soper quante pagine, ma qui ci fermiamo, però ci diamoappuntamento ad un altro numero de “I Spitta” perdimostrare come il griko serva pure a capire megliol’italiano.

kappòsse invenziùne: kanì na pùme ka t’adrèffiaLumière fonàsane tin dikì-tto “cinematografo” puèrkete sto pì “grafo me to movimènto”. I glossascientifica ene jomàta atsè loja piammèna a’ to grekopalèo. Ma forsi en itsèrome ka kappòssa lòja a’ tonitaliàno komùne, pu usèome kuài mera, èkhone rizegreke, pu vrìskome puru son griko.

Skupò dikò-mma ene na vàlome is passi ediziùnaa’ti’ Spitta nan artìkulo pu difi ta lòja italiàna puèkhone ètimo greko, na dìtsome ka i dikì-mma en ene iglossa tos forèso, ma i glossa apùtte èrkotte poddèsadde.

O italiàno "scrivo" so’ griko to leme "grafo". Possa lòjaitaliàna erkotte apù grafo? Poddà, sekuramènte: grafìa,calligrafia, gràfica, grafologìa, ma ekhi adda pu forsi enitsèrome ka èrkotte apù gràfo: ine graffiare, graffio, graffito:sin antikità en annorìzane to khartì ce gràfane apa’ si’ cera oapa’ son volo scrascèonta ta gràmmata me nan stilo. Ja tuomotte scrascèome kànnome to stesso prama pu kànnane ipalèi motte gràfane.

Ti accentrèi o diamante me nan damàli pu endamàzete? Tìpoti, mu lete isì. Anvece ekhi mia’relaziùna: o lo’ diamante èrkete apù damàzo (kunduleme sto griko) ce en ghenomèno a tin alfa privativa cedamàzo: èrkete sto pì "indomabile", jatì kundu tsèromeo vitro ene plo’ sterì a’ to sìdero, ma o diamante eneplo’ sterì a’ton vitro.

Ce ti ene i anima? Ene ànemo, jatì i palèi pistèane kai anima ìsane nan ànemo pu stèi amèsa is emà cespìregghe (cfr. ton italiano spirare) motte na’ kristianòapetìniske.

O elènko a’ta lòja ìsoze kulutìsi en itsèro ja possespagine, ce ittù prepi na fermettùmesta, però masdìome appuntamento is enan addo nùmero tis Spittana dìtsome posi o griko andiàzete puru na ‘noìsi kàjoton italiàno.

Saccoèrcero en estei artò

Sacco vuoto non si reggein piedi

Sciddo pinammenoe' forìete o ravdì

Cane affamatonon ha paura del bastone

Αύγουστος 2014 ∆ιευθυντής : Nunzio Pacella Τευχος 11

Το ελληνικόυδρεντινό περιοδικό

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Votonta apà sto internet sozi ìvri tossu tupuepù milìete fse Grecìa Salentina ce fse Grico,

alìi ine però cini grammeni es grica.Es to pànu pu tuttin pagina evrìscutte

campossi link fse topu grammenu es grica.camposse forè tuttus topu èrcutte permeni

ambrò afse cristianù fsenu - forè cispu noàposso varì usi glossa en ene aputtù -.

Tunì forà dìfome “Glossagrika.it”.O topo - permeno ambrò apo Iannis

Papageorgiadis a’to Belgio - siannonni tapenserrìa tu Rohlf ce tu karanastasi apà stogrico, sianònni ta nea apo tutta meri ce cratennicamposse registraziùne griche; ene grammenoes grica, italiana, francesa ce inglesa.

Ene prama ndiasticò n’o nazitisi.

O Grico apà sto internet

Cercando su internet si possono trovare tantisiti in cui si parla di Gracia Salentina e di

grico, pochi sono, però, quelli scritti in grico.In alto in questa pagina si trovano alcuni link di

siti scritti in grico.Diverse volte questi siti vengono diretti da

persone straniere - a volte chi comprende quantovale questa lingua non è di qua -.

Questa volta presentiamo "Glossagrika.it".Il sito - condotto da Iannis Papageorgiadis

dal Belgio - raccoglie il pensiero del Rohlfs edel Karanastasi sul grico, raccoglie notizie diquesti luoghi e contiene diverse registrazionigriche. E' scritto in grico, italiano, francese edin inglese.

Sarebbe interessante visitarlo.

G. D.