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Pasqua 2013
«ECCO L’AGNELLO DI DIO!»
Pasqua 2013
Pasqua 2013
Pasqua 2013
Pasqua 2013
essuna parola nelle Scritture cristiane ha un significato più grande
per me di quelle pronunciate dall’angelo a Maria Maddalena che
piangeva e all’altra Maria, quando, il primo giorno della settimana, si
recarono al sepolcro per prendersi cura del corpo del loro Signore.
L’angelo disse:
«Perché cercate il vivente fra i morti?
Egli non è qui, ma è risuscitato» (Luca 24:5-6).
Il nostro Salvatore visse di nuovo. Era avvenuto l’evento più glorioso,
confortante e rassicurante di tutti gli eventi nella storia dell’umanità: la
vittoria sulla morte. Il dolore e l’agonia nel Getsemani e sul Calvario
erano stati cancellati. La salvezza dell’umanità era stata assicurata. La
caduta di Adamo era stata rivendicata.
La tomba vuota di quella prima mattina di Pasqua fu la risposta alla
domanda di Giobbe: «Se l’uomo muore, può egli tornare in vita?» A tutti
coloro che sono alla portata della mia voce io dichiaro che se un uomo
muore, questi vivrà di nuovo. Lo sappiamo, perché abbiamo la luce della
verità rivelata. […]
«E [Dio] asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro e la morte non
sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le
cose di prima sono passate» (Apocalisse 21:4).
Miei cari fratelli e sorelle, nell’ora del più intenso dolore, possiamo
ricevere una pace profonda dalle parole dell’angelo in quel primo
mattino di Pasqua: «Egli non è qui, poiché è risuscitato» (Matteo 28:6).
Presidente Thomas S. Monson
N
ii
INDICE
Scritture sull’Espiazione di Gesù Cristo i
«Ecco l’Agnello di Dio» - David R. e Jo Ann H. Seely 1
La Resurrezione come foglia d’olivo: Una meditazione – George S. Tate 17
Comprendere la Resurrezione – Donald W. e Jay A. Parry 27
Rappresentare la Resurrezione – Herman Du Toit 29
Le qualità uniche e supreme di Gesù il Cristo – Terry B. Ball 35
Gesù Cristo: Il Salvatore che conosce – Frank F. Judd, Jr. 39
L’Espiazione: Tutto per tutti – Anziano Bruce C. Hafen 49
L’Espiazione e il valore di una sola anima – Anziano M. Russell Ballard 53
La Resurrezione – Anziano Robert D. Hales 57
«Egli guarisce gli oppressi» - Anziano Dallin H. Oaks 65
«L’Espiazione: La nostra più grande speranza» - Presidente James E. Faust 69
«È compiuto» - Anziano John H. Groberg 75
Al minimo, all’ultimo e al perduto – Richard N. Holzapfel e Kent P. Jackson 83
Lezioni dall’Espiazione – Anziano Merrill J. Bateman 87
L’Espiazione e il viaggio della vita terrena – Anziano David A. Bednar 95
La domenica arriverà – Anziano Joseph B. Wirthlin 101
Nessuno era con Lui – Anziano Jeffrey R. Holland 105
L’Espiazione può guarire tutto il dolore – Anziano Kent F. Richards 109
«Più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati» - Anziano Paul V. Johnson 113
Il miracolo dell’Espiazione – Anziano C. Scott Grow 117
«Perché io vivo e voi vivrete» - Anziano Shayne M. Bowen 121
La fede nell’Espiazione di Gesù Cristo è scritta nel nostro cuore? – Linda K. Burton 125
L’Espiazione – Presidente Boyd K. Packer 131
Signora Patton: la storia continua – Presidente Thomas S. Monson 135
«È risorto!» - Presidente Thomas S. Monson 139
«Io so che vive il Redentor» - Presidente Thomas S. Monson 145
iii
«E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né fatica, perché le cose di prima son passate».
(Apocalisse 21:4)
i
Scritture SULL ’ESPIAZIONE DI GESÙ CRISTO
«Noi crediamo che tramite l'espiazione di Cristo tutta l'umanità può essere salvata,
mediante l'obbedienza alle leggi e alle ordinanze del Vangelo» (AdF 1:3).
«Poiché ecco, questa è la mia opera e la mia gloria: fare avverare l'immortalità e la
vita eterna dell'uomo» (Mosè 1:39).
«E il Signore disse: Chi manderò? E rispose uno, simile al Figlio dell'Uomo:
Eccomi, manda me. E un altro rispose, e disse: Eccomi, manda me.
E il Signore disse: Manderò il primo» (Abrahamo 3:27).
«E Adamo ed Eva, sua moglie, invocarono il nome del Signore, e udirono la voce del Signore che
parlava loro dalla direzione verso il Giardino di Eden; ma non Lo videro, poiché erano esclusi dalla
sua presenza.
Ed Egli diede loro dei comandamenti: che adorassero il Signore loro Dio, e offrissero i primogeniti
dei loro greggi come offerta al Signore. E Adamo fu obbediente ai comandamenti del Signore.
E dopo molti giorni, un angelo del Signore apparve ad Adamo, dicendo: Perché offri dei sacrifici al
Signore? E Adamo gli disse: Non so, salvo che il Signore me lo ha comandato.
ii
E allora l'angelo parlò, dicendo: Ciò è a similitudine del sacrificio dell'Unigenito del Padre, che è
pieno di grazia e di verità. Fai dunque tutto ciò che fai nel nome del Figlio, e pentiti, e invoca Dio nel
nome del Figlio, da ora e per sempre.
E in quel giorno scese su Adamo lo Spirito Santo, che porta testimonianza del Padre e del Figlio,
dicendo: Io sono l'Unigenito del Padre fin dal principio, d'ora innanzi e per sempre, affinché, poiché
sei caduto, tu possa essere redento, e tutta l'umanità, sì, tutti coloro che vorranno.
E in quel giorno Adamo benedisse Dio e fu riempito di Spirito, e cominciò a profetizzare riguardo a
tutte le famiglie della terra, dicendo: Benedetto sia il nome di Dio, poiché a motivo della mia
trasgressione i miei occhi sono aperti, e in questa vita avrò gioia, e di nuovo nella carne vedrò Dio.
Ed Eva, sua moglie, udì tutte queste cose e fu contenta, e disse: Se non fosse stato per la nostra
trasgressione, non avremmo mai avuto una posterità e non avremmo mai conosciuto il bene e il
male, e la gioia della nostra redenzione, e la vita eterna che Dio dà a tutti gli obbedienti» (Mosè 5:4-
11).
«E avvenne che il Dio del cielo guardò il resto del popolo e pianse; ed Enoc ne portò testimonianza,
dicendo: Come è possibile che i cieli piangano e versino le loro lacrime come la pioggia sulle
montagne?
Come è possibile che tu possa piangere, visto che sei santo, e da tutta l'eternità a tutta l'eternità?
E se fosse possibile che l'uomo potesse contare le particelle della terra, e i milioni di terre come
questa, non sarebbe neppure il principio del numero delle tue creazioni; e le tue cortine sono ancora
distese; e tuttavia tu sei là, e il tuo seno è là; e anche sei giusto, sei misericordioso e benevolo per
sempre. E hai preso Sion nel tuo seno, da tutte le tue creazioni, da tutta l'eternità a tutta l'eternità; e
nulla, se non la pace, la giustizia e la verità, sono la dimora del tuo trono; e la misericordia andrà
dinanzi al tuo volto e non avrà fine; come è possibile che tu possa piangere?
Il Signore disse ad Enoc: Guarda questi tuoi fratelli; sono l'opera della mie mani, e io diedi loro la
conoscenza che hanno, nel giorno in cui li creai; e nel Giardino di Eden diedi all'uomo il suo libero
arbitrio; E ai tuoi fratelli ho detto, e ho dato anche un comandamento, che si amassero l'un l'altro e
che scegliessero me, loro Padre; ma ecco, sono senza affezione e odiano il loro stesso sangue; E il
fuoco della mia indignazione è acceso contro di loro; e nel mio bruciante dispiacere manderò su di
loro il diluvio, poiché la mia collera ardente è accesa contro di loro.
Ecco, io sono Dio; Uomo di Santità è il mio nome; Uomo di Consiglio è il mio nome; e Infinito ed
Eterno è anche il mio nome. Pertanto, posso stendere le mani e tenere tutte le creazioni che ho fatto;
e anche i miei occhi possono penetrarle, e fra tutte le opere delle mie mani non v'è mai stata
malvagità così grande come fra i tuoi fratelli. Ma ecco, i loro peccati saranno sul capo dei loro padri;
Satana sarà loro padre e l'infelicità sarà la loro sorte; e il cielo intero piangerà su di loro, sì, tutta
l'opera delle mie mani: non piangeranno dunque i cieli, vedendo che questi dovranno soffrire? Ma
ecco, questi sui quali stanno i tuoi occhi, periranno nel diluvio; ed ecco, io li rinchiuderò; ho
preparato una prigione per loro.
E colui che ho scelto ha interceduto dinanzi al mio volto. Pertanto, egli soffre per i loro peccati; nella
misura in cui si pentiranno nel giorno in cui il mio Eletto ritornerà a me, e fino a quel giorno essi
rimarranno nei tormenti; Pertanto, è per questo che i cieli piangeranno, sì, e tutte le opere delle mie
mani.
iii
E avvenne che il Signore parlò ad Enoc e narrò ad Enoc tutte le azioni dei figlioli degli uomini;
pertanto Enoc conobbe e vide la loro malvagità e la loro infelicità, e pianse, e stese le braccia, e il suo
cuore si gonfiò, vasto come l'eternità; e le sue viscere si impietosirono e tutta l'eternità fu scossa.
Ed Enoc vide anche Noè e la sua famiglia; e vide che la posterità di tutti i figli di Noè sarebbe stata
salvata con una salvezza materiale; Enoc vide dunque che Noè costruì un'arca; e che il Signore sorrise
su di essa e la tenne nella Sua mano; ma sul resto dei malvagi venne il diluvio e li inghiottì.
E quando Enoc vide ciò, ebbe amarezza nell'anima e pianse sui suoi fratelli, e disse ai cieli: Rifiuterò
d'essere consolato; ma il Signore disse ad Enoc: Rincuorati e sii contento; e guarda.
E avvenne che Enoc guardò; e dopo Noè, vide tutte le famiglie della terra; e gridò al Signore, dicendo:
Quando verrà il giorno del Signore? Quando sarà versato il sangue del Giusto, affinché tutti coloro
che piangono possano essere santificati e avere vita eterna?
Ed ecco, Enoc vide il giorno della venuta del Figlio dell'Uomo, sì, nella carne; e la sua anima gioì e
disse: Il Giusto è elevato e l'Agnello è immolato fin dalla fondazione del mondo; e tramite la fede io
sono nel seno del Padre; ed ecco, Sion è con me» (Mosè 7:28-47).
«Ecco, io sono Colui che fu preparato fin dalla fondazione del mondo per redimere il mio popolo.
Ecco, io sono Gesù Cristo. Sono il Padre e il Figlio. In me tutta l'umanità avrà vita, e ciò eternamente,
ossia, coloro che crederanno nel mio nome; e diverranno miei figli e mie figlie» (Ether 3:14).
«E Isacco parlò ad Abrahamo suo padre e disse: 'Padre mio!' Abrahamo rispose: 'Eccomi qui, figlio
mio'. E Isacco: 'Ecco il fuoco e le legna; ma dov'è l'agnello per l'olocausto?'
Abrahamo rispose: 'Figliuol mio, Iddio se lo provvederà l'agnello per l'olocausto'» (Genesi 22:7-8).
«L'Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne nel paese d'Egit
dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell'anno. Parlate a tutta la raunanza d'Israele, e dite:
Il decimo giorno di questo mese, prenda ognuno un agnello per famiglia, un agnello per casa; e se la
casa è troppo poco numerosa per un agnello, se ne prenda uno in comune col vicino di casa più
prossimo, tenendo conto del numero delle persone; voi conterete ogni persona secondo quel che può
mangiare dell'agnello.
Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, dell'anno; potrete prendere un agnello o un capretto. Lo
serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la raunanza d'Israele, congregata, lo
immolerà sull'imbrunire.
E si prenda del sangue d'esso, e si metta sui due stipiti e sull'architrave della porta delle case dove lo
si mangerà. E se ne mangi la carne in quella notte; si mangi arrostita al fuoco, con pane senza lievito
e con dell'erbe amare. Non ne mangiate niente di poco cotto o di lessato nell'acqua, ma sia arrostito
al fuoco, con la testa, le gambe e le interiora. E non ne lasciate nulla di resto fino alla mattina; e quel
che ne sarà rimasto fino alla mattina, bruciatelo col fuoco.
iv
E mangiatelo in questa maniera: coi vostri fianchi cinti, coi vostri calzari ai piedi e col vostro bastone
in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua dell'Eterno.
Quella notte io passerò per il paese d'Egitto, e percoterò ogni primogenito nel paese d'Egitto, tanto
degli uomini quanto degli animali, e farò giustizia di tutti gli dèi d'Egitto. Io sono l'Eterno.
E quel sangue vi servirà di segno sulle case dove sarete; e quand'io vedrò il sangue passerò oltre, e
non vi sarà piaga su voi per distruggervi, quando percoterò il paese d'Egitto.
Quel giorno sarà per voi un giorno di ricordanza, e lo celebrerete come una festa in onore
dell'Eterno; lo celebrerete d'età in età come una festa d'istituzione perpetua.
Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case;
poiché, chiunque mangerà pane lievitato, dal primo giorno fino al settimo sarà reciso da Israele. E il
primo giorno avrete una santa convocazione, e una santa convocazione il settimo giorno. Non si
faccia alcun lavoro in que' giorni; si prepari soltanto quel ch'è necessario a ciascuno per mangiare, e
non altro.
Osservate dunque la festa degli azzimi; poiché in quel medesimo giorno io avrò tratto le vostre
schiere dal paese d'Egitto; osservate dunque quel giorno d'età in età, come una istituzione perpetua.
Mangiate pani azzimi dalla sera del quattordicesimo giorno del mese, fino alla sera del ventunesimo
giorno. Per sette giorni non si trovi lievito nelle vostre case; perché chiunque mangerà qualcosa di
lievitato, quel tale sarà reciso dalla raunanza d'Israele: sia egli forestiero o nativo del paese. Non
mangiate nulla di lievitato; in tutte le vostre dimore mangiate pani azzimi'.
Mosè dunque chiamò tutti gli anziani d'Israele, e disse loro: 'Sceglietevi e prendetevi degli agnelli per
le vostre famiglie, e immolate la Pasqua. E prendete un mazzetto d'issopo, intingetelo nel sangue che
sarà nel bacino, e spruzzate di quel sangue che sarà nel bacino, l'architrave e i due stipiti delle porte; e
nessuno di voi varchi la porta di casa sua, fino al mattino. Poiché l'Eterno passerà per colpire gli
Egiziani; e quando vedrà il sangue sull'architrave e sugli stipiti, l'Eterno passerà oltre la porta, e non
permetterà al distruttore d'entrare nelle vostre case per colpirvi.
Osservate dunque questo come una istituzione perpetua per voi e per i vostri figliuoli. E quando
sarete entrati nel paese che l'Eterno vi darà, conforme ha promesso, osservate questo rito; e quando i
vostri figliuoli vi diranno: Che significa per voi questo rito? risponderete: Questo è il sacrifizio della
Pasqua in onore dell'Eterno, il quale passò oltre le case dei figliuoli d'Israele in Egitto, quando colpì
gli Egiziani e salvò le nostre case'.
E il popolo s'inchinò e adorò. E i figliuoli d'Israele andarono, e fecero così; fecero come l'Eterno
aveva ordinato a Mosè e ad Aaronne.
E avvenne che, alla mezzanotte, l'Eterno colpì tutti i primogeniti nel paese di Egitto, dal primogenito
di Faraone che sedeva sul suo trono al primogenito del carcerato ch'era in prigione, e tutti i
primogeniti del bestiame. E Faraone si alzò di notte: egli e tutti i suoi servitori e tutti gli Egiziani; e vi
fu un gran grido in Egitto, perché non c'era casa dove non fosse un morto.
Ed egli chiamò Mosè ed Aaronne, di notte, e disse: 'Levatevi, partite di mezzo al mio popolo, voi e i
figliuoli d'Israele; e andate, servite l'Eterno, come avete detto. Prendete i vostri greggi e i vostri
armenti, come avete detto; andatevene, e benedite anche me!' E gli Egiziani facevano forza al popolo
per affrettarne la partenza dal paese, perché dicevano: 'Noi siamo tutti morti'.
Il popolo portò via la sua pasta prima che fosse lievitata; avvolse le sue madie ne' suoi vestiti e se le
mise sulle spalle. Or i figliuoli d'Israele fecero come Mosè avea detto: domandarono agli Egiziani
degli oggetti d'argento, degli oggetti d'oro e de' vestiti; e l'Eterno fece entrare il popolo nelle buone
grazie degli Egiziani, che gli dettero quel che domandava. Così spogliarono gli Egiziani.
I figliuoli d'Israele partirono da Ramses per Succoth, in numero di circa seicentomila uomini a piedi,
senza contare i fanciulli. E una folla di gente d'ogni specie salì anch'essa con loro; e avevano pure
greggi, armenti, bestiame in grandissima quantità.
v
E cossero la pasta che avean portata dall'Egitto, e ne fecero delle focacce azzime; poiché la pasta non
era lievitata, essendo essi stati cacciati dall'Egitto senza poter indugiare e senza potersi prendere
provvisioni di sorta.
Or la dimora che i figliuoli d'Israele fecero in Egitto fu di quattrocentotrent'anni. E al termine di
quattrocentotrent'anni, proprio il giorno che finiva, avvenne che tutte le schiere dell'Eterno uscirono
dal paese d'Egitto.
Questa è una notte da celebrarsi in onore dell'Eterno, perché ei li trasse dal paese d'Egitto; questa è
una notte consacrata all'Eterno, per essere osservata da tutti i figliuoli d'Israele, d'età in età.
E l'Eterno disse a Mosè e ad Aaronne: 'Questa è la norma della Pasqua: Nessuno straniero ne mangi;
ma qualunque servo, comprato a prezzo di danaro, dopo che l'avrai circonciso, potrà mangiarne.
L'avventizio e il mercenario non ne mangino.
Si mangi ogni agnello in una medesima casa; non portate fuori nulla della carne d'esso, e non ne
spezzate alcun osso. Tutta la raunanza d'Israele celebri la Pasqua.
E quando uno straniero soggiornerà teco e vorrà far la Pasqua in onore dell'Eterno, siano circoncisi
prima tutti i maschi della sua famiglia; e poi s'accosti pure per farla, e sia come un nativo del paese;
ma nessun incirconciso ne mangi. Siavi un'unica legge per il nativo del paese e per lo straniero che
soggiorna tra voi'.
Tutti i figliuoli d'Israele fecero così; fecero come l'Eterno aveva ordinato a Mosè e ad Aaronne.
E avvenne che in quel medesimo giorno l'Eterno trasse i figliuoli d'Israele dal paese d'Egitto, secondo
le loro schiere (Esodo 12-13).
«Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si leverà sulla terra. Dopo che questa mia pelle sarà
distrutta, nella mia carne vedrò Dio» (Giobbe 19:25-26; Nuova Diodati).
«Chi ha creduto a quel che noi abbiamo annunziato? e a chi è stato rivelato il braccio dell'Eterno?
Egli è venuto su dinanzi a lui come un rampollo, come una radice ch'esce da un arido suolo; non
avea forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza, da farcelo desiderare.
Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare col patire, pari a colui dinanzi al
quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.
E, nondimeno, eran le nostre malattie ch'egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s'era caricato;
e noi lo reputavamo colpito, battuto da Dio, ed umiliato!
Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il
castigo, per cui abbiam pace, è stato su lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione.
Noi tutti eravamo erranti come pecore, ognuno di noi seguiva la sua propria via; e l'Eterno ha fatto
cader su lui l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, umiliò se stesso, e non aperse la bocca. Come l'agnello menato allo scannatoio, come la
pecora muta dinanzi a chi la tosa, egli non aperse la bocca.
Dall'oppressione e dal giudizio fu portato via; e fra quelli della sua generazione chi rifletté ch'egli era
strappato dalla terra de' viventi e colpito a motivo delle trasgressioni del mio popolo?
Gli avevano assegnata la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato col ricco, perché non
aveva commesso violenze né v'era stata frode nella sua bocca.
vi
Ma piacque all'Eterno di fiaccarlo coi patimenti. Dopo aver dato la sua vita in sacrifizio per la colpa,
egli vedrà una progenie, prolungherà i suoi giorni, e l'opera dell'Eterno prospererà nelle sue mani.
Egli vedrà il frutto del tormento dell'anima sua, e ne sarà saziato; per la sua conoscenza, il mio servo,
il giusto, renderà giusti i molti, e si caricherà egli stesso delle loro iniquità.
Perciò io gli darò la sua parte fra i grandi, ed egli dividerà il bottino coi potenti, perché ha dato se
stesso alla morte, ed è stato annoverato fra i trasgressori, perch'egli ha portato i peccati di molti, e ha
interceduto per i trasgressori» (Isaia 53).
«La mano dell'Eterno fu sopra di me, e l'Eterno mi trasportò in ispirito, e mi depose in mezzo a una
valle ch'era piena d'ossa.
E mi fece passare presso d'esse, tutt'attorno; ed ecco erano numerosissime sulla superficie della valle
ed erano anche molto secche.
E mi disse: 'Figliuol d'uomo, queste ossa potrebbero esse rivivere?' E io risposi: 'O Signore, o Eterno,
tu il sai'.
Ed egli mi disse: 'Profetizza su queste ossa, e di' loro: Ossa secche, ascoltate la parola dell'Eterno!
Così dice il Signore, l'Eterno, a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito, e voi rivivrete; e
metterò su voi de' muscoli, farò nascere su voi della carne, vi coprirò di pelle, metterò in voi lo
spirito, e rivivrete; e conoscerete che io sono l'Eterno'.
E io profetizzai come mi era stato comandato; e come io profetizzavo, si fece un rumore; ed ecco un
movimento, e le ossa si accostarono le une alle altre.
Io guardai, ed ecco venir su d'esse de' muscoli, crescervi della carne, e la pelle ricoprirle; ma non c'era
in esse spirito alcuno.
Allora egli mi disse: 'Profetizza allo spirito, profetizza, figliuol d'uomo, e di' allo spirito: Così parla il
Signore, l'Eterno: Vieni dai quattro venti, o spirito, soffia su questi uccisi, e fa' che rivivano!'
E io profetizzai, com'egli m'aveva comandato; e lo spirito entrò in essi, e tornarono alla vita, e si
rizzarono in piedi: erano un esercito grande, grandissimo.
Ed egli mi disse: 'Figliuol d'uomo, queste ossa sono tutta la casa d'Israele. Ecco, essi dicono: - Le
nostre ossa sono secche, la nostra speranza è perita noi siam perduti! -
Perciò, profetizza e di' loro: Così parla il Signore, l'Eterno: Ecco, io aprirò i vostri sepolcri, vi trarrò
fuori dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d'Israele.
E voi conoscerete che io sono l'Eterno, quando aprirò i vostri sepolcri e vi trarrò fuori dalle vostre
tombe, o popolo mio!
E metterò in voi il mio spirito, e voi tornerete alla vita; vi porrò sul vostro suolo, e conoscerete che io,
l'Eterno, ho parlato e ho messo la cosa ad effetto, dice l'Eterno'» (Ezechiele 37:1-14).
«Ed avvenne che quando Gesù ebbe finiti tutti questi ragionamenti, disse ai suoi discepoli: voi sapete
che fra due giorni è la Pasqua, e il Figliuol dell'uomo sarà consegnato per esser crocifisso.
Allora i capi sacerdoti e gli anziani del popolo si raunarono nella corte del sommo sacerdote detto
Caiàfa, e deliberarono nel loro consiglio di pigliar Gesù con inganno e di farlo morire. Ma dicevano:
Non durante la festa, perché non accada tumulto nel popolo.
Or essendo Gesù in Betania, in casa di Simone il lebbroso, venne a lui una donna che aveva un
alabastro d'olio odorifero di gran prezzo, e lo versò sul capo di lui che stava a tavola.
vii
Veduto ciò, i discepoli furono indignati e dissero: A che questa perdita? Poiché quest'olio si sarebbe
potuto vender caro, e il denaro darlo ai poveri.
Ma Gesù, accortosene, disse loro: Perché date noia a questa donna? Ella ha fatto un'azione buona
verso di me. Perché i poveri li avete sempre con voi; ma me non mi avete sempre. Poiché costei,
versando quest'olio sul mio corpo, l'ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico che per
tutto il mondo, dovunque sarà predicato questo evangelo, anche quello che costei ha fatto, sarà
raccontato in memoria di lei.
Allora uno dei dodici, detto Giuda Iscariot, andò dai capi sacerdoti e disse loro: Che mi volete dare, e
io ve lo consegnerò? Ed essi gli contarono trenta sicli d'argento. E da quell'ora cercava il momento
opportuno di tradirlo.
Or il primo giorno degli azzimi, i discepoli s'accostarono a Gesù e gli dissero: Dove vuoi che ti
prepariamo da mangiar la pasqua?
Ed egli disse: Andate in città dal tale, e ditegli: Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la pasqua
da te, co' miei discepoli.
E i discepoli fecero come Gesù avea loro ordinato, e prepararono la pasqua.
E quando fu sera, si mise a tavola co' dodici discepoli. E mentre mangiavano, disse: In verità io vi
dico: Uno di voi mi tradirà.
Ed essi, grandemente attristati, cominciarono a dirgli ad uno ad uno: Sono io quello, Signore?
Ma egli, rispondendo, disse: Colui che ha messo con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Certo,
il Figliuol dell'uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell'uomo per cui il Figliuol dell'uomo
è tradito! Meglio sarebbe per cotest'uomo, se non fosse mai nato.
E Giuda, che lo tradiva, prese a dire: Sono io quello, Maestro? E Gesù a lui: L'hai detto.
Or mentre mangiavano, Gesù prese del pane; e fatta la benedizione, lo ruppe, e dandolo a' suoi
discepoli, disse: Prendete, mangiate, questo è il mio corpo.
Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio
sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per la remissione dei peccati.
Io vi dico che d'ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò
nuovo con voi nel regno del Padre mio.
E dopo ch'ebbero cantato l'inno, uscirono per andare al monte degli Ulivi.
Allora Gesù disse loro: Questa notte voi tutti avrete in me un'occasion di caduta; perché è scritto: Io
percoterò il pastore, e le pecore della greggia saranno disperse. Ma dopo che sarò risuscitato, vi
precederò in Galilea.
Ma Pietro, rispondendo, gli disse: Quand'anche tu fossi per tutti un'occasion di caduta, non lo sarai
mai per me.
Gesù gli disse: In verità ti dico che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre
volte.
E Pietro a lui: Quand'anche mi convenisse morir teco, non però ti rinnegherò. E lo stesso dissero
pure tutti i discepoli.
Allora Gesù venne con loro in un podere detto Getsemani, e disse ai discepoli: Sedete qui finché io
sia andato là ed abbia orato.
E presi seco Pietro e i due figliuoli di Zebedeo, cominciò ad esser contristato ed angosciato.
Allora disse loro: L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate meco.
E andato un poco innanzi, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: Padre mio, se è
possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi.
viii
Poi venne a' discepoli, e li trovò che dormivano, e disse a Pietro: Così, non siete stati capaci di vegliar
meco un'ora sola? Vegliate ed orate, affinché non cadiate in tentazione; ben è lo spirito pronto, ma la
carne è debole.
Di nuovo, per la seconda volta, andò e pregò, dicendo: Padre mio, se non è possibile che questo
calice passi oltre da me, senza ch'io lo beva, sia fatta la tua volontà.
E tornato, li trovò che dormivano perché gli occhi loro erano aggravati. E lasciatili, andò di nuovo e
pregò per la terza volta, ripetendo le medesime parole.
Poi venne ai discepoli e disse loro: Dormite pure oramai, e riposatevi! Ecco, l'ora è giunta, e il
Figliuol dell'uomo è dato nelle mani dei peccatori. Levatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è
vicino.
E mentre parlava ancora, ecco arrivar Giuda, uno dei dodici, e con lui una gran turba con spade e
bastoni, da parte de' capi sacerdoti e degli anziani del popolo.
Or colui che lo tradiva, avea dato loro un segnale, dicendo: Quello che bacerò, è lui; pigliatelo. E in
quell'istante, accostatosi a Gesù, gli disse: Ti saluto, Maestro! e gli dette un lungo bacio.
Ma Gesù gli disse: Amico, a far che sei tu qui? Allora, accostatisi, gli misero le mani addosso, e lo
presero.
Ed ecco, un di coloro ch'eran con lui, stesa la mano alla spada, la sfoderò; e percosso il servitore del
sommo sacerdote, gli spiccò l'orecchio. Allora Gesù gli disse: Riponi la tua spada al suo posto, perché
tutti quelli che prendon la spada, periscon per la spada. Credi tu forse ch'io non potrei pregare il
Padre mio che mi manderebbe in quest'istante più di dodici legioni d'angeli? Come dunque si
adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?
In quel punto Gesù disse alle turbe: Voi siete usciti con spade e bastoni come contro ad un ladrone,
per pigliarmi. Ogni giorno sedevo nel tempio ad insegnare, e voi non m'avete preso; ma tutto questo
è avvenuto affinché si adempissero le scritture dei profeti. Allora tutti i discepoli, lasciatolo, se ne
fuggirono.
Or quelli che aveano preso Gesù, lo menarono a Caiàfa, sommo sacerdote, presso il quale erano
raunati gli scribi e gli anziani.
E Pietro lo seguiva da lontano, finché giunsero alla corte del sommo sacerdote; ed entrato dentro, si
pose a sedere con le guardie, per veder la fine.
Or i capi sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro a Gesù per farlo
morire; e non ne trovavano alcuna, benché si fossero fatti avanti molti falsi testimoni.
Finalmente, se ne fecero avanti due che dissero: Costui ha detto: Io posso disfare il tempio di Dio e
riedificarlo in tre giorni.
E il sommo sacerdote, levatosi in piedi, gli disse: Non rispondi tu nulla? Che testimoniano costoro
contro a te? Ma Gesù taceva.
E il sommo sacerdote gli disse: Ti scongiuro per l'Iddio vivente a dirci se tu se' il Cristo, il Figliuol di
Dio.
Gesù gli rispose: Tu l'hai detto; anzi vi dico che da ora innanzi vedrete il Figliuol dell'uomo sedere
alla destra della Potenza, e venire su le nuvole del cielo.
Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti, dicendo: Egli ha bestemmiato; che bisogno abbiamo
più di testimoni? Ecco, ora avete udito la sua bestemmia. Che ve ne pare? Ed essi, rispondendo,
dissero: È reo di morte.
Allora gli sputarono in viso e gli diedero de' pugni; e altri lo schiaffeggiarono, dicendo: O Cristo
profeta, indovinaci: Chi t'ha percosso?
ix
Pietro, intanto, stava seduto fuori nella corte; e una serva gli si accostò, dicendo: Anche tu eri con
Gesù il Galileo.
Ma egli lo negò davanti a tutti, dicendo: Non so quel che tu dica.
E come fu uscito fuori nell'antiporto, un'altra lo vide e disse a coloro ch'eran quivi: Anche costui era
con Gesù Nazareno.
Ed egli daccapo lo negò giurando: Non conosco quell'uomo.
Di lì a poco, gli astanti, accostatisi, dissero a Pietro: Per certo tu pure sei di quelli, perché anche la tua
parlata ti dà a conoscere.
Allora egli cominciò ad imprecare ed a giurare: Non conosco quell'uomo! E in quell'istante il gallo
cantò.
E Pietro si ricordò della parola di Gesù che gli aveva detto: Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai
tre volte. E uscito fuori, pianse amaramente.
Poi, venuta la mattina, tutti i capi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro a Gesù
per farlo morire.
E legatolo, lo menarono via e lo consegnarono a Pilato, il governatore.
Allora Giuda, che l'avea tradito, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì, e riportò i trenta
sicli d'argento ai capi sacerdoti ed agli anziani, dicendo: Ho peccato, tradendo il sangue innocente.
Ma essi dissero: Che c'importa? Pensaci tu. Ed egli, lanciati i sicli nel tempio, s'allontanò e andò ad
impiccarsi.
Ma i capi sacerdoti, presi quei sicli, dissero: Non è lecito metterli nel tesoro delle offerte, perché son
prezzo di sangue. E tenuto consiglio, comprarono con quel danaro il campo del vasaio da servir di
sepoltura ai forestieri. Perciò quel campo, fino al dì d'oggi, è stato chiamato: Campo di sangue.
Allora s'adempì quel che fu detto dal profeta Geremia: E presero i trenta sicli d'argento, prezzo di
colui ch'era stato messo a prezzo, messo a prezzo dai figliuoli d'Israele; e li dettero per il campo del
vasaio, come me l'avea ordinato il Signore.
Or Gesù comparve davanti al governatore; e il governatore lo interrogò, dicendo: Sei tu il re de'
Giudei? E Gesù gli disse: Sì, lo sono.
E accusato da' capi sacerdoti e dagli anziani, non rispose nulla.
Allora Pilato gli disse: Non odi tu quante cose testimoniano contro di te?
Ma egli non gli rispose neppure una parola: talché il governatore se ne maravigliava grandemente.
Or ogni festa di Pasqua il governatore soleva liberare alla folla un carcerato, qualunque ella volesse.
Avevano allora un carcerato famigerato, di nome Barabba.
Essendo dunque radunati, Pilato domandò loro: Chi volete che vi liberi, Barabba, o Gesù detto
Cristo?
Poiché egli sapeva che glielo avevano consegnato per invidia.
Or mentre egli sedeva in tribunale, la moglie gli mandò a dire: Non aver nulla che fare con quel
giusto, perché oggi ho sofferto molto in sogno a cagion di lui.
Ma i capi sacerdoti e gli anziani persuasero le turbe a chieder Barabba e far perire Gesù.
E il governatore prese a dir loro: Qual de' due volete che vi liberi? E quelli dissero: Barabba.
E Pilato a loro: Che farò dunque di Gesù detto Cristo? Tutti risposero: Sia crocifisso.
Ma pure, riprese egli, che male ha fatto? Ma quelli vie più gridavano: Sia crocifisso!
x
E Pilato, vedendo che non riusciva a nulla, ma che si sollevava un tumulto, prese dell'acqua e si lavò
le mani in presenza della moltitudine, dicendo: Io sono innocente del sangue di questo giusto;
pensateci voi.
E tutto il popolo, rispondendo, disse: Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figliuoli.
Allora egli liberò loro Barabba; e dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati del governatore, tratto Gesù nel pretorio, radunarono attorno a lui tutta la coorte.
E spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; e intrecciata una corona di spine, gliela misero
sul capo, e una canna nella man destra; e inginocchiatisi dinanzi a lui, lo beffavano, dicendo: Salve, re
dei Giudei!
E sputatogli addosso, presero la canna, e gli percotevano il capo.
E dopo averlo schernito, lo spogliarono del manto, e lo rivestirono delle sue vesti; poi lo menaron via
per crocifiggerlo.
Or nell'uscire trovarono un Cireneo chiamato Simone, e lo costrinsero a portar la croce di Gesù.
E venuti ad un luogo detto Golgota, che vuol dire: Luogo del teschio, gli dettero a bere del vino
mescolato con fiele; ma Gesù, assaggiatolo, non volle berne.
Poi, dopo averlo crocifisso, spartirono i suoi vestimenti, tirando a sorte;
e postisi a sedere, gli facevan quivi la guardia.
E al disopra del capo gli posero scritto il motivo della condanna: QUESTO È GESÙ, IL RE DE'
GIUDEI.
Allora furon con lui crocifissi due ladroni, uno a destra e l'altro a sinistra.
E coloro che passavano di lì, lo ingiuriavano, scotendo il capo e dicendo:
Tu che disfai il tempio e in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso, se tu sei Figliuol di Dio, e scendi giù
di croce!
Similmente, i capi sacerdoti con gli scribi e gli anziani, beffandosi, dicevano:
Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Da che è il re d'Israele, scenda ora giù di croce, e noi
crederemo in lui.
S'è confidato in Dio; lo liberi ora, s'Ei lo gradisce, poiché ha detto: Son Figliuol di Dio.
E nello stesso modo lo vituperavano anche i ladroni crocifissi con lui.
Or dall'ora sesta si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.
E verso l'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Elì, Elì, lamà sabactanì? cioè: Dio mio, Dio mio, perché
mi hai abbandonato?
Ma alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Costui chiama Elia.
E subito un di loro corse a prendere una spugna; e inzuppatala d'aceto e postala in cima ad una
canna, gli diè da bere.
Ma gli altri dicevano: Lascia, vediamo se Elia viene a salvarlo.
E Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rendé lo spirito.
Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, e la terra tremò, e le rocce si
schiantarono, e le tombe s'aprirono, e molti corpi de' santi che dormivano, risuscitarono; ed usciti
dai sepolcri dopo la risurrezione di lui, entrarono nella santa città, ed apparvero a molti.
E il centurione e quelli che con lui facean la guardia a Gesù, visto il terremoto e le cose avvenute,
temettero grandemente, dicendo: Veramente, costui era Figliuol di Dio.
xi
Ora quivi erano molte donne che guardavano da lontano, le quali avean seguitato Gesù dalla Galilea
per assisterlo; tra le quali erano Maria Maddalena, e Maria madre di Giacomo e di Jose, e la madre
de' figliuoli di Zebedeo.
Poi, fattosi sera, venne un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era divenuto
anch'egli discepolo di Gesù.
Questi, presentatosi a Pilato, chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato comandò che il corpo gli fosse
rilasciato.
E Giuseppe, preso il corpo, lo involse in un panno lino netto, e lo pose nella propria tomba nuova,
che aveva fatta scavar nella roccia, e dopo aver rotolata una gran pietra contro l'apertura del
sepolcro, se ne andò.
Or Maria Maddalena e l'altra Maria eran quivi, sedute dirimpetto al sepolcro.
E l'indomani, che era il giorno successivo alla Preparazione, i capi sacerdoti ed i Farisei si
radunarono presso Pilato, dicendo: Signore, ci siamo ricordati che quel seduttore, mentre viveva
ancora, disse: Dopo tre giorni, risusciterò. Ordina dunque che il sepolcro sia sicuramente custodito
fino al terzo giorno; che talora i suoi discepoli non vengano a rubarlo e dicano al popolo: È
risuscitato dai morti; così l'ultimo inganno sarebbe peggiore del primo.
Pilato disse loro: Avete una guardia: andate, assicuratevi come credete.
Ed essi andarono ad assicurare il sepolcro, sigillando la pietra, e mettendovi la guardia.
Or nella notte del sabato, quando già albeggiava, il primo giorno della settimana, Maria Maddalena e
l'altra Maria vennero a visitare il sepolcro.
Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la
pietra, e vi sedette sopra.
Il suo aspetto era come di folgore; e la sua veste, bianca come neve.
E per lo spavento che n'ebbero, le guardie tremarono e rimasero come morte.
Ma l'angelo prese a dire alle donne: Voi, non temete; perché io so che cercate Gesù, che è stato
crocifisso.
Egli non è qui, poiché è risuscitato come avea detto; venite a vedere il luogo dove giaceva.
E andate presto a dire a' suoi discepoli: Egli è risuscitato da' morti, ed ecco, vi precede in Galilea;
quivi lo vedrete. Ecco, ve l'ho detto.
E quelle, andatesene prestamente dal sepolcro con spavento ed allegrezza grande, corsero ad
annunziar la cosa a' suoi discepoli.
Quand'ecco Gesù si fece loro incontro, dicendo: Vi saluto! Ed esse, accostatesi, gli strinsero i piedi e
l'adorarono.
Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunziare a' miei fratelli che vadano in Galilea; là mi
vedranno.
Or mentre quelle andavano, ecco alcuni della guardia vennero in città, e riferirono ai capi sacerdoti
tutte le cose ch'erano avvenute.
Ed essi, radunatisi con gli anziani, e tenuto consiglio, dettero una forte somma di danaro a' soldati,
dicendo: Dite così: I suoi discepoli vennero di notte e lo rubarono mentre dormivamo.
E se mai questo viene alle orecchie del governatore, noi lo persuaderemo e vi metteremo fuor di
pena. Ed essi, preso il danaro, fecero secondo le istruzioni ricevute; e quel dire è stato divulgato fra i
Giudei, fino al dì d'oggi.
xii
Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea sul monte che Gesù avea loro designato.
E vedutolo, l'adorarono; alcuni però dubitarono.
E Gesù, accostatosi, parlò loro, dicendo: Ogni potestà m'è stata data in cielo e sulla terra.
Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello
Spirito Santo, insegnando loro d'osservar tutte quante le cose che v'ho comandate. Ed ecco, io sono
con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente» (Matteo 26-28).
«Or la festa degli azzimi, detta la Pasqua, s'avvicinava; e i capi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo
di farlo morire, perché temevano il popolo.
E Satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era del numero de' dodici.
Ed egli andò a conferire coi capi sacerdoti e i capitani sul come lo darebbe loro nelle mani.
Ed essi se ne rallegrarono e pattuirono di dargli del denaro.
Ed egli prese l'impegno, e cercava l'opportunità di farlo di nascosto alla folla.
Or venne il giorno degli azzimi, nel quale si dovea sacrificar la pasqua.
E Gesù mandò Pietro e Giovanni, dicendo: Andate a prepararci la pasqua, affinché la mangiamo.
Ed essi gli dissero: Dove vuoi che la prepariamo?
Ed egli disse loro: Ecco, quando sarete entrati nella città, vi verrà incontro un uomo che porterà una
brocca d'acqua; seguitelo nella casa dov'egli entrerà.
E dite al padron di casa: Il Maestro ti manda a dire: Dov'è la stanza nella quale mangerò la pasqua co'
miei discepoli?
Ed egli vi mostrerà di sopra una gran sala ammobiliata; quivi apparecchiate.
Ed essi andarono e trovaron com'egli avea lor detto, e prepararon la pasqua.
E quando l'ora fu venuta, egli si mise a tavola, e gli apostoli con lui.
Ed egli disse loro: Ho grandemente desiderato di mangiar questa pasqua con voi, prima ch'io soffra;
poiché io vi dico che non la mangerò più finché sia compiuta nel regno di Dio.
E avendo preso un calice, rese grazie e disse: Prendete questo e distribuitelo fra voi; perché io vi dico
che oramai non berrò più del frutto della vigna, finché sia venuto il regno di Dio.
Poi, avendo preso del pane, rese grazie e lo ruppe e lo diede loro, dicendo: Questo è il mio corpo il
quale è dato per voi: fate questo in memoria di me.
Parimente ancora, dopo aver cenato, dette loro il calice dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel
mio sangue, il quale è sparso per voi.
Del resto, ecco, la mano di colui che mi tradisce è meco a tavola.
Poiché il Figliuol dell'uomo, certo, se ne va, secondo che è determinato; ma guai a quell'uomo dal
quale è tradito!
Ed essi cominciarono a domandarsi gli uni gli altri chi sarebbe mai quel di loro che farebbe questo.
Nacque poi anche una contesa fra loro per sapere chi di loro fosse reputato il maggiore.
Ma egli disse loro: I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che hanno autorità su di esse son
chiamati benefattori.
Ma tra voi non ha da esser così; anzi, il maggiore fra voi sia come il minore, e chi governa come colui
che serve.
xiii
Poiché, chi è maggiore, colui che è a tavola oppur colui che serve? Non è forse colui che è a tavola?
Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve.
Or voi siete quelli che avete perseverato meco nelle mie prove; e io dispongo che vi sia dato un regno,
come il Padre mio ha disposto che fosse dato a me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel
mio regno, e sediate sui troni, giudicando le dodici tribù d'Israele.
Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te
affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli.
Ma egli gli disse: Signore, con te son pronto ad andare e in prigione e alla morte.
E Gesù: Pietro, io ti dico che oggi il gallo non canterà, prima che tu abbia negato tre volte di
conoscermi.
Poi disse loro: Quando vi mandai senza borsa, senza sacca da viaggio e senza calzari, vi mancò mai
niente? Ed essi risposero: Niente. Ed egli disse loro:
Ma ora, chi ha una borsa la prenda; e parimente una sacca; e chi non ha spada, venda il mantello e ne
compri una.
Poiché io vi dico che questo che è scritto deve esser adempito in me: Ed egli è stato annoverato tra i
malfattori. Infatti, le cose che si riferiscono a me stanno per compiersi.
Ed essi dissero: Signore, ecco qui due spade! Ma egli disse loro: Basta!
Poi, essendo uscito, andò, secondo il suo solito, al monte degli Ulivi; e anche i discepoli lo seguirono.
E giunto che fu sul luogo, disse loro: Pregate, chiedendo di non entrare in tentazione.
Ed egli si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava, dicendo:
Padre, se tu vuoi, allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta.
E un angelo gli apparve dal cielo a confortarlo.
Ed essendo in agonia, egli pregava vie più intensamente; e il suo sudore divenne come grosse gocce
di sangue che cadeano in terra.
E alzatosi dall'orazione, venne ai discepoli e li trovò che dormivano di tristezza, e disse loro: Perché
dormite? Alzatevi e pregate, affinché non entriate in tentazione.
Mentre parlava ancora, ecco una turba; e colui che si chiamava Giuda, uno dei dodici, la precedeva, e
si accostò a Gesù per baciarlo.
Ma Gesù gli disse: Giuda, tradisci tu il Figliuol dell'uomo con un bacio?
E quelli ch'eran con lui, vedendo quel che stava per succedere, dissero: Signore, percoterem noi con
la spada?
E uno di loro percosse il servitore del sommo sacerdote, e gli spiccò l'orecchio destro.
Ma Gesù rivolse loro la parola e disse: Lasciate, basta! E toccato l'orecchio di colui, lo guarì.
E Gesù disse ai capi sacerdoti e ai capitani del tempio e agli anziani che eran venuti contro a lui: Voi
siete usciti con spade e bastoni, come contro a un ladrone; mentre ero ogni giorno con voi nel
tempio, non mi avete mai messe le mani addosso; ma questa è l'ora vostra e la potestà delle tenebre.
E presolo, lo menaron via e lo condussero dentro la casa del sommo sacerdote; e Pietro seguiva da
lontano.
E avendo essi acceso un fuoco in mezzo alla corte ed essendosi posti a sedere insieme, Pietro si
sedette in mezzo a loro.
E una certa serva, vedutolo sedere presso il fuoco, e avendolo guardato fisso, disse: Anche costui era
con lui.
xiv
Ma egli negò, dicendo: Donna, io non lo conosco.
E poco dopo, un altro, vedutolo, disse: Anche tu sei di quelli. Ma Pietro rispose: O uomo, non lo
sono.
E trascorsa circa un'ora, un altro affermava lo stesso, dicendo: Certo, anche costui era con lui,
poich'egli è Galileo.
Ma Pietro disse: O uomo, io non so quel che tu ti dica. E subito, mentr'egli parlava ancora, il gallo
cantò.
E il Signore, voltatosi, riguardò Pietro; e Pietro si ricordò della parola del Signore com'ei gli avea
detto: Prima che il gallo canti oggi, tu mi rinnegherai tre volte.
E uscito fuori pianse amaramente.
E gli uomini che tenevano Gesù, lo schernivano percuotendolo; e avendolo bendato gli
domandavano: Indovina, profeta, chi t'ha percosso?
E molte altre cose dicevano contro a lui, bestemmiando.
E come fu giorno, gli anziani del popolo, i capi sacerdoti e gli scribi si radunarono, e lo menarono nel
loro Sinedrio, dicendo:
Se tu sei il Cristo, diccelo. Ma egli disse loro: Se ve lo dicessi, non credereste; e se io vi facessi delle
domande, non rispondereste.
Ma da ora innanzi il Figliuol dell'uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio.
E tutti dissero: Sei tu dunque il Figliuol di Dio? Ed egli rispose loro: Voi lo dite, poiché io lo sono.
E quelli dissero: Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? Noi stessi l'abbiamo udito dalla sua
propria bocca.
Poi, levatasi tutta l'assemblea, lo menarono a Pilato.
E cominciarono ad accusarlo, dicendo: Abbiam trovato costui che sovvertiva la nostra nazione e che
vietava di pagare i tributi a Cesare, e diceva d'esser lui il Cristo re.
E Pilato lo interrogò, dicendo: Sei tu il re dei Giudei? Ed egli, rispondendo, gli disse: Sì, lo sono.
E Pilato disse ai capi sacerdoti e alle turbe: Io non trovo colpa alcuna in quest'uomo.
Ma essi insistevano, dicendo: Egli solleva il popolo insegnando per tutta la Giudea; ha cominciato
dalla Galilea ed è giunto fin qui.
Quando Pilato udì questo, domandò se quell'uomo fosse Galileo.
E saputo ch'egli era della giurisdizione d'Erode, lo rimandò a Erode ch'era anch'egli a Gerusalemme
in que' giorni.
Erode, come vide Gesù, se ne rallegrò grandemente, perché da lungo tempo desiderava vederlo,
avendo sentito parlar di lui; e sperava di vedergli fare qualche miracolo.
E gli rivolse molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla.
Or i capi sacerdoti e gli scribi stavan là, accusandolo con veemenza.
Ed Erode co' suoi soldati, dopo averlo vilipeso e schernito, lo vestì di un manto splendido, e lo
rimandò a Pilato.
E in quel giorno, Erode e Pilato divennero amici, perché per l'addietro erano stati in inimicizia fra
loro.
E Pilato, chiamati assieme i capi sacerdoti e i magistrati e il popolo, disse loro:
xv
Voi mi avete fatto comparir dinanzi quest'uomo come sovvertitore del popolo; ed ecco, dopo averlo
in presenza vostra esaminato, non ho trovato in lui alcuna delle colpe di cui l'accusate; e neppure
Erode, poiché egli l'ha rimandato a noi; ed ecco, egli non ha fatto nulla che sia degno di morte.
Io dunque, dopo averlo castigato, lo libererò.
Ma essi gridarono tutti insieme: Fa' morir costui, e liberaci Barabba!
(Barabba era stato messo in prigione a motivo di una sedizione avvenuta in città e di un omicidio).
E Pilato da capo parlò loro, desiderando liberar Gesù; ma essi gridavano: Crocifiggilo, crocifiggilo!
E per la terza volta egli disse loro: Ma che male ha egli fatto? Io non ho trovato nulla in lui, che meriti
la morte. Io dunque, dopo averlo castigato, lo libererò.
Ma essi insistevano con gran grida, chiedendo che fosse crocifisso; e le loro grida finirono con avere
il sopravvento.
E Pilato sentenziò che fosse fatto quello che domandavano.
E liberò colui che era stato messo in prigione per sedizione ed omicidio, e che essi aveano richiesto;
ma abbandonò Gesù alla loro volontà.
E mentre lo menavan via, presero un certo Simon, cireneo, che veniva dalla campagna, e gli misero
addosso la croce, perché la portasse dietro a Gesù.
Or lo seguiva una gran moltitudine di popolo e di donne che facean cordoglio e lamento per lui.
Ma Gesù, voltatosi verso di loro, disse: Figliuole di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete
per voi stesse e per i vostri figliuoli. Perché ecco, vengono i giorni nei quali si dirà: Beate le sterili, e i
seni che non han partorito, e le mammelle che non hanno allattato. Allora prenderanno a dire ai
monti: Cadeteci addosso; ed ai colli: Copriteci. Poiché se fan queste cose al legno verde, che sarà egli
fatto al secco?
Or due altri, due malfattori, eran menati con lui per esser fatti morire.
E quando furon giunti al luogo detto «il Teschio», crocifissero quivi lui e i malfattori, l'uno a destra e
l'altro a sinistra.
E Gesù diceva: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Poi, fatte delle parti delle
sue vesti, trassero a sorte.
E il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si facean beffe di lui, dicendo: Ha salvato altri, salvi
se stesso, se è il Cristo, l'Eletto di Dio!
E i soldati pure lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell'aceto e dicendo:
Se tu sei il re de' Giudei, salva te stesso!
E v'era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI.
E uno de' malfattori appesi lo ingiuriava, dicendo: Non se' tu il Cristo? Salva te stesso e noi!
Ma l'altro, rispondendo, lo sgridava e diceva: Non hai tu nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel
medesimo supplizio?
E per noi è cosa giusta, perché riceviamo la condegna pena de' nostri fatti, ma questi non ha fatto
nulla di male.
E diceva: Gesù, ricordati di me quando sarai venuto nel tuo regno!
E Gesù gli disse: Io ti dico in verità che oggi tu sarai meco in paradiso.
Ora era circa l'ora sesta, e si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona, essendosi oscurato il
sole.
La cortina del tempio si squarciò pel mezzo.
xvi
E Gesù, gridando con gran voce, disse: Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. E detto questo
spirò.
E il centurione, veduto ciò che era accaduto, glorificava Iddio dicendo: Veramente, quest'uomo era
giusto.
E tutte le turbe che si erano raunate a questo spettacolo, vedute le cose che erano successe, se ne
tornavano battendosi il petto.
Ma tutti i suoi conoscenti e le donne che lo avevano accompagnato dalla Galilea, stavano a guardare
queste cose da lontano.
Ed ecco un uomo per nome Giuseppe, che era consigliere, uomo dabbene e giusto, il quale non avea
consentito alla deliberazione e all'operato degli altri, ed era da Arimatea, città de' Giudei, e aspettava
il regno di Dio, venne a Pilato e chiese il corpo di Gesù.
E trattolo giù di croce, lo involse in un panno lino e lo pose in una tomba scavata nella roccia, dove
niuno era ancora stato posto.
Era il giorno della Preparazione, e stava per cominciare il sabato.
E le donne che eran venute con Gesù dalla Galilea, avendo seguito Giuseppe, guardarono la tomba, e
come v'era stato posto il corpo di Gesù.
Poi, essendosene tornate, prepararono aromi ed oli odoriferi.
Durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento; ma il primo giorno della settimana, la
mattina molto per tempo, esse si recarono al sepolcro, portando gli aromi che aveano preparato.
E trovarono la pietra rotolata dal sepolcro.
Ma essendo entrate, non trovarono il corpo del Signor Gesù.
Ed avvenne che mentre se ne stavano perplesse di ciò, ecco che apparvero dinanzi a loro due uomini
in vesti sfolgoranti; ed essendo esse impaurite, e chinando il viso a terra, essi dissero loro: Perché
cercate il vivente fra i morti?
Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordatevi com'egli vi parlò quand'era ancora in Galilea, dicendo
che il Figliuol dell'uomo doveva esser dato nelle mani d'uomini peccatori ed esser crocifisso, e il terzo
giorno risuscitare.
Ed esse si ricordarono delle sue parole; e tornate dal sepolcro, annunziarono tutte queste cose agli
undici e a tutti gli altri.
Or quelle che dissero queste cose agli apostoli erano: Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di
Giacomo, e le altre donne che eran con loro.
E quelle parole parvero loro un vaneggiare, e non prestaron fede alle donne.
Ma Pietro, levatosi, corse al sepolcro; ed essendosi chinato a guardare, vide le sole lenzuola; e se ne
andò maravigliandosi fra se stesso di quel che era avvenuto.
Ed ecco, due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio nominato Emmaus,
distante da Gerusalemme sessanta stadi; e discorrevano tra loro di tutte le cose che erano accadute.
Ed avvenne che mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si accostò e cominciò a
camminare con loro.
Ma gli occhi loro erano impediti così da non riconoscerlo.
Ed egli domandò loro: Che discorsi son questi che tenete fra voi cammin facendo? Ed essi si
fermarono tutti mesti.
xvii
E l'un de' due, per nome Cleopa, rispondendo, gli disse: Tu solo, tra i forestieri, stando in
Gerusalemme, non hai saputo le cose che sono in essa avvenute in questi giorni?
Ed egli disse loro: Quali? Ed essi gli risposero: Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente
in opere e in parole dinanzi a Dio e a tutto il popolo; e come i capi sacerdoti e i nostri magistrati
l'hanno fatto condannare a morte, e l'hanno crocifisso.
Or noi speravamo che fosse lui che avrebbe riscattato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo
giorno da che queste cose sono avvenute.
Vero è che certe donne d'infra noi ci hanno fatto stupire; essendo andate la mattina di buon'ora al
sepolcro, e non avendo trovato il corpo di lui, son venute dicendo d'aver avuto anche una visione
d'angeli, i quali dicono ch'egli vive.
E alcuni de' nostri sono andati al sepolcro, e hanno trovato la cosa così come aveano detto le donne;
ma lui non l'hanno veduto.
Allora Gesù disse loro: O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette!
Non bisognava egli che il Cristo soffrisse queste cose ed entrasse quindi nella sua gloria?
E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo
concernevano.
E quando si furono avvicinati al villaggio dove andavano, egli fece come se volesse andar più oltre.
Ed essi gli fecero forza, dicendo: Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno è già declinato. Ed egli
entrò per rimaner con loro.
E quando si fu messo a tavola con loro, prese il pane, lo benedisse, e spezzatolo lo dette loro.
E gli occhi loro furono aperti, e lo riconobbero; ma egli sparì d'innanzi a loro.
Ed essi dissero l'uno all'altro: Non ardeva il cuor nostro in noi mentr'egli ci parlava per la via, mentre
ci spiegava le Scritture?
E levatisi in quella stessa ora, tornarono a Gerusalemme e trovarono adunati gli undici e quelli
ch'eran con loro, i quali dicevano: Il Signore è veramente risuscitato ed è apparso a Simone.
Ed essi pure raccontarono le cose avvenute loro per la via, e come era stato da loro riconosciuto nello
spezzare il pane.
Or mentr'essi parlavano di queste cose, Gesù stesso comparve in mezzo a loro, e disse: Pace a voi!
Ma essi, smarriti e impauriti, pensavano di vedere uno spirito.
Ed egli disse loro: Perché siete turbati? E perché vi sorgono in cuore tali pensieri?
Guardate le mie mani ed i miei piedi, perché son ben io; palpatemi e guardate; perché uno spirito
non ha carne e ossa come vedete che ho io.
E detto questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Ma siccome per l'allegrezza non credevano ancora, e si stupivano, disse loro: Avete qui nulla da
mangiare?
Essi gli porsero un pezzo di pesce arrostito; ed egli lo prese, e mangiò in loro presenza.
Poi disse loro: Queste son le cose che io vi dicevo quand'ero ancora con voi: che bisognava che tutte
le cose scritte di me nella legge di Mosè, ne' profeti e nei Salmi, fossero adempiute.
Allora aprì loro la mente per intendere le Scritture, e disse loro:
Così è scritto, che il Cristo soffrirebbe, e risusciterebbe dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome
si predicherebbe ravvedimento e remission dei peccati a tutte le genti, cominciando da
Gerusalemme.
xviii
Or voi siete testimoni di queste cose.
Ed ecco, io mando su voi quello che il Padre mio ha promesso; quant'è a voi, rimanete in questa città,
finché dall'alto siate rivestiti di potenza.
Poi li condusse fuori fino presso Betania; e levate in alto le mani, li benedisse.
E avvenne che mentre li benediceva, si dipartì da loro e fu portato su nel cielo.
Ed essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme con grande allegrezza; ed erano del continuo nel
tempio, benedicendo Iddio» (Luca 22-24).
«Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva a lui, e disse: Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il
peccato del mondo!» (Giovanni 1:29)
«Così parlò; e poi disse loro: Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo.
Perciò i discepoli gli dissero: Signore, s'egli dorme, sarà salvo.
Or Gesù avea parlato della morte di lui; ma essi pensarono che avesse parlato del dormir del sonno.
Allora Gesù disse loro apertamente: Lazzaro è morto; e per voi mi rallegro di non essere stato là,
affinché crediate; ma ora, andiamo a lui!
Allora Toma, detto Didimo, disse ai suoi condiscepoli: Andiamo anche noi, per morire con lui!
Gesù dunque, arrivato, trovò che Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro.
Or Betania non distava da Gerusalemme che circa quindici stadî; e molti Giudei eran venuti da
Marta e Maria per consolarle del loro fratello.
Come dunque Marta ebbe udito che Gesù veniva, gli andò incontro; ma Maria stava seduta in casa.
Marta dunque disse a Gesù: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; e anche
adesso so che tutto quel che chiederai a Dio, Dio te lo darà.
Gesù le disse: Tuo fratello risusciterà.
Marta gli disse: Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno.
Gesù le disse: Io son la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive
e crede in me, non morrà mai. Credi tu questo? (Giovanni 11:11-26).
«Dette queste cose, Gesù uscì coi suoi discepoli di là dal torrente Chedron, dov'era un orto, nel quale
egli entrò co' suoi discepoli.
Or Giuda, che lo tradiva, conosceva anch'egli quel luogo, perché Gesù s'era molte volte ritrovato là
coi suoi discepoli.
Giuda dunque, presa la coorte e delle guardie mandate dai capi sacerdoti e dai Farisei, venne là con
lanterne e torce ed armi.
Onde Gesù, ben sapendo tutto quel che stava per accadergli, uscì e chiese loro: Chi cercate?
Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Son io. E Giuda, che lo tradiva, era anch'egli là con
loro.
Come dunque ebbe detto loro: 'Son io', indietreggiarono e caddero in terra.
xix
Egli dunque domandò loro di nuovo: Chi cercate? Ed essi dissero: Gesù il Nazareno.
Gesù rispose: V'ho detto che son io; se dunque cercate me, lasciate andar questi.
E ciò affinché s'adempisse la parola ch'egli avea detta: Di quelli che tu m'hai dato, non ne ho perduto
alcuno.
Allora Simon Pietro, che avea una spada, la trasse, e percosse il servo del sommo sacerdote, e gli
recise l'orecchio destro. Quel servo avea nome Malco.
Per il che Gesù disse a Pietro: Rimetti la spada nel fodero; non berrò io il calice che il Padre mi ha
dato?
La coorte dunque e il tribuno e le guardie de' Giudei, presero Gesù e lo legarono, e lo menaron prima
da Anna, perché era suocero di Caiàfa, il quale era sommo sacerdote di quell'anno.
Or Caiàfa era quello che avea consigliato a' Giudei esser cosa utile che un uomo solo morisse per il
popolo.
Or Simon Pietro e un altro discepolo seguivano Gesù; e quel discepolo era noto al sommo sacerdote,
ed entrò con Gesù nella corte del sommo sacerdote; ma Pietro stava di fuori, alla porta. Allora
quell'altro discepolo che era noto al sommo sacerdote, uscì, parlò con la portinaia e fece entrar
Pietro.
La serva portinaia dunque disse a Pietro: Non sei anche tu de' discepoli di quest'uomo? Egli disse:
Non lo sono.
Or i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e stavan lì a scaldarsi; e anche
Pietro stava con loro e si scaldava.
Il sommo sacerdote dunque interrogò Gesù intorno ai suoi discepoli e alla sua dottrina.
Gesù gli rispose: Io ho parlato apertamente al mondo; ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel
tempio, dove tutti i Giudei si radunano; e non ho detto nulla in segreto. Perché m'interroghi?
Domanda a quelli che m'hanno udito, quel che ho detto loro; ecco, essi sanno le cose che ho detto.
E com'ebbe detto questo, una delle guardie che gli stava vicino, dette uno schiaffo a Gesù, dicendo:
Così rispondi tu al sommo sacerdote?
Gesù gli disse: Se ho parlato male, dimostra il male che ho detto; ma se ho parlato bene, perché mi
percuoti?
Quindi Anna lo mandò legato a Caiàfa, sommo sacerdote.
Or Simon Pietro stava quivi a scaldarsi; e gli dissero: Non sei anche tu dei suoi discepoli? Egli lo negò
e disse: Non lo sono.
Uno de' servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro avea tagliato l'orecchio, disse: Non
t'ho io visto nell'orto con lui?
E Pietro da capo lo negò, e subito il gallo cantò.
Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non
contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.
Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?
Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.
Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A
noi non è lecito far morire alcuno.
E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte dovea morire.
Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?
xx
Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?
Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie
mani; che hai fatto?
Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei
servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in man de' Giudei; ma ora il mio regno non è di
qui.
Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io son nato per
questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità
ascolta la mia voce.
Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non
trovo alcuna colpa in lui.
Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?
Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.
Allora dunque Pilato prese Gesù e lo fece flagellare.
E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, e gli misero addosso un manto di
porpora; e s'accostavano a lui e dicevano:
Salve, Re de' Giudei! e gli davan degli schiaffi.
Pilato uscì di nuovo, e disse loro: Ecco, ve lo meno fuori, affinché sappiate che non trovo in lui
alcuna colpa.
Gesù dunque uscì, portando la corona di spine e il manto di porpora. E Pilato disse loro: Ecco
l'uomo!
Come dunque i capi sacerdoti e le guardie l'ebbero veduto, gridarono: Crocifiggilo, crocifiggilo!
Pilato disse loro: Prendetelo voi e crocifiggetelo; perché io non trovo in lui alcuna colpa.
I Giudei gli risposero: Noi abbiamo una legge, e secondo questa legge egli deve morire, perché egli s'è
fatto Figliuol di Dio.
Quando Pilato ebbe udita questa parola, temette maggiormente; e rientrato nel pretorio, disse a
Gesù: Donde sei tu? Ma Gesù non gli diede alcuna risposta.
Allora Pilato gli disse: Non mi parli? Non sai che ho potestà di liberarti e potestà di crocifiggerti?
Gesù gli rispose: Tu non avresti potestà alcuna contro di me, se ciò non ti fosse stato dato da alto;
perciò chi m'ha dato nelle tue mani, ha maggior colpa.
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridavano, dicendo: Se liberi costui, non
sei amico di Cesare. Chiunque si fa re, si oppone a Cesare.
Pilato dunque, udite queste parole, menò fuori Gesù, e si assise al tribunale nel luogo detto Lastrico,
e in ebraico Gabbatà.
Era la preparazione della Pasqua, ed era circa l'ora sesta. Ed egli disse ai Giudei: Ecco il vostro Re!
Allora essi gridarono: Tòglilo, tòglilo di mezzo, crocifiggilo! Pilato disse loro: Crocifiggerò io il
vostro Re? I capi sacerdoti risposero: Noi non abbiamo altro re che Cesare.
Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
Presero dunque Gesù; ed egli, portando la sua croce, venne al luogo del Teschio, che in ebraico si
chiama Golgota, dove lo crocifissero, assieme a due altri, uno di qua, l'altro di là, e Gesù nel mezzo.
E Pilato fece pure un'iscrizione, e la pose sulla croce. E v'era scritto: GESÙ IL NAZARENO, IL RE
DE' GIUDEI.
xxi
Molti dunque dei Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino
alla città; e l'iscrizione era in ebraico, in latino e in greco.
Perciò i capi sacerdoti dei Giudei dicevano a Pilato: Non scrivere: Il Re dei Giudei; ma che egli ha
detto: Io sono il Re de' Giudei.
Pilato rispose: Quel che ho scritto, ho scritto.
I soldati dunque, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, e ne fecero quattro parti, una
parte per ciascun soldato e la tunica. Or la tunica era senza cuciture, tessuta per intero dall'alto in
basso.
Dissero dunque tra loro: Non la stracciamo, ma tiriamo a sorte a chi tocchi; affinché si adempisse la
Scrittura che dice: Hanno spartito fra loro le mie vesti, e han tirato la sorte sulla mia tunica. Questo
dunque fecero i soldati.
Or presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria moglie di Cleopa, e
Maria Maddalena.
Gesù dunque, vedendo sua madre e presso a lei il discepolo ch'egli amava, disse a sua madre: Donna,
ecco il tuo figlio!
Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché la Scrittura fosse adempiuta,
disse: Ho sete.
V'era quivi un vaso pieno d'aceto; i soldati dunque, posta in cima a un ramo d'issopo una spugna
piena d'aceto, gliel'accostarono alla bocca.
E quando Gesù ebbe preso l'aceto, disse: È compiuto! E chinato il capo, rese lo spirito.
Allora i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato (poiché era la
Preparazione, e quel giorno del sabato era un gran giorno), chiesero a Pilato che fossero loro fiaccate
le gambe, e fossero tolti via.
I soldati dunque vennero e fiaccarono le gambe al primo, e poi anche all'altro che era crocifisso con
lui; ma venuti a Gesù, come lo videro già morto, non gli fiaccarono le gambe, ma uno de' soldati gli
forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua.
E colui che l'ha veduto, ne ha reso testimonianza, e la sua testimonianza è verace, ed egli sa che dice il
vero, affinché anche voi crediate.
Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: Niun osso d'esso sarà fiaccato.
E anche un'altra Scrittura dice: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.
Dopo queste cose, Giuseppe d'Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma occulto per timore de'
Giudei, chiese a Pilato di poter togliere il corpo di Gesù; e Pilato glielo permise. Egli dunque venne e
tolse il corpo di Gesù.
E Nicodemo, che da prima era venuto a Gesù di notte, venne anche egli, portando una mistura di
mirra e d'aloe di circa cento libbre.
Essi dunque presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in pannilini con gli aromi, com'è usanza di
seppellire presso i Giudei.
Or nel luogo dov'egli fu crocifisso c'era un orto; e in quell'orto un sepolcro nuovo, dove nessuno era
ancora stato posto.
Quivi dunque posero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, perché il sepolcro era vicino.
xxii
Or il primo giorno della settimana, la mattina per tempo, mentr'era ancora buio, Maria Maddalena
venne al sepolcro, e vide la pietra tolta dal sepolcro.
Allora corse e venne da Simon Pietro e dall'altro discepolo che Gesù amava, e disse loro: Han tolto il
Signore dal sepolcro, e non sappiamo dove l'abbiano posto.
Pietro dunque e l'altro discepolo uscirono e si avviarono al sepolcro.
Correvano ambedue assieme; ma l'altro discepolo corse innanzi più presto di Pietro, e giunse primo
al sepolcro; e chinatosi, vide i pannilini giacenti, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro, e vide i pannilini giacenti, e
il sudario ch'era stato sul capo di Gesù, non giacente coi pannilini, ma rivoltato in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto primo al sepolcro, e vide, e credette.
Perché non aveano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli dovea risuscitare dai morti.
I discepoli dunque se ne tornarono a casa.
Ma Maria se ne stava di fuori presso al sepolcro a piangere. E mentre piangeva, si chinò per guardar
dentro al sepolcro, ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, là
dov'era giaciuto il corpo di Gesù.
Ed essi le dissero: Donna, perché piangi? Ella disse loro: Perché han tolto il mio Signore, e non so
dove l'abbiano posto.
Detto questo, si voltò indietro, e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che era Gesù.
Gesù le disse: Donna, perché piangi? Chi cerchi? Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse:
Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai posto, e io lo prenderò.
Gesù le disse: Maria! Ella, rivoltasi, gli disse in ebraico: Rabbunì! che vuol dire: Maestro!
Gesù le disse: Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di'
loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, all'Iddio mio e Iddio vostro.
Maria Maddalena andò ad annunziare ai discepoli che avea veduto il Signore, e ch'egli le avea dette
queste cose.
Or la sera di quello stesso giorno, ch'era il primo della settimana, ed essendo, per timor de' Giudei,
serrate le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, Gesù venne e si presentò quivi in mezzo, e
disse loro:
Pace a voi! E detto questo, mostrò loro le mani ed il costato. I discepoli dunque, com'ebbero veduto
il Signore, si rallegrarono.
Allora Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi.
E detto questo, soffiò su loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo.
A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti.
Or Toma, detto Didimo, uno de' dodici, non era con loro quando venne Gesù.
Gli altri discepoli dunque gli dissero: Abbiam veduto il Signore! Ma egli disse loro: Se io non vedo
nelle sue mani il segno de' chiodi, e se non metto il mio dito nel segno de' chiodi, e se non metto la
mia mano nel suo costato, io non crederò.
E otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Toma era con loro. Venne Gesù, a porte
chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: Pace a voi!
Poi disse a Toma: Porgi qua il dito, e vedi le mie mani; e porgi la mano e mettila nel mio costato; e
non essere incredulo, ma credente.
Toma gli rispose e disse: Signor mio e Dio mio!
xxiii
Gesù gli disse: Perché m'hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non han veduto, e hanno
creduto!
Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri miracoli, che non sono scritti in questo libro; ma
queste cose sono scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figliuol di Dio, e affinché, credendo,
abbiate vita nel suo nome.
Dopo queste cose, Gesù si fece veder di nuovo ai discepoli presso il mar di Tiberiade; e si fece vedere
in questa maniera.
Simon Pietro, Toma detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figliuoli di Zebedeo e due altri de'
suoi discepoli erano insieme.
Simon Pietro disse loro: Io vado a pescare. Essi gli dissero: Anche noi veniamo con te. Uscirono, e
montarono nella barca; e quella notte non presero nulla.
Or essendo già mattina, Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che fosse Gesù.
Allora Gesù disse loro: Figliuoli, avete voi del pesce? Essi gli risposero: No.
Ed egli disse loro: Gettate la rete dal lato destro della barca, e ne troverete. Essi dunque la gettarono,
e non potevano più tirarla su per il gran numero dei pesci.
Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore! E Simon Pietro, udito ch'era il
Signore, si cinse il camiciotto, perché era nudo, e si gettò nel mare.
Ma gli altri discepoli vennero con la barca, perché non erano molto distanti da terra (circa duecento
cubiti), traendo la rete coi pesci.
Come dunque furono smontati a terra, videro quivi della brace, e del pesce messovi su, e del pane.
Gesù disse loro: Portate qua de' pesci che avete presi ora.
Simon Pietro quindi montò nella barca, e tirò a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci; e
benché ce ne fossero tanti, la rete non si strappò.
Gesù disse loro: Venite a far colazione. E niuno dei discepoli ardiva domandargli: Chi sei? sapendo
che era il Signore.
Gesù venne, e prese il pane e lo diede loro; e il pesce similmente.
Quest'era già la terza volta che Gesù si faceva vedere ai suoi discepoli, dopo essere risuscitato da'
morti.
Or quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: Simon di Giovanni, m'ami tu più di
questi? Ei gli rispose: Sì, Signore tu sai che io t'amo. Gesù gli disse: Pasci i miei agnelli.
Gli disse di nuovo una seconda volta: Simon di Giovanni, m'ami tu? Ei gli rispose: Sì, Signore; tu sai
che io t'amo. Gesù gli disse: Pastura le mie pecorelle.
Gli disse per la terza volta: Simon di Giovanni, mi ami tu? Pietro fu attristato ch'ei gli avesse detto
per la terza volta: Mi ami tu? E gli rispose: Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che io t'amo. Gesù gli
disse: Pasci le mie pecore.
In verità, in verità ti dico che quand'eri più giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando
sarai vecchio, stenderai le tue mani, e un'altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti.
Or disse questo per significare con qual morte egli glorificherebbe Iddio. E dopo aver così parlato, gli
disse: Seguimi.
Pietro, voltatosi, vide venirgli dietro il discepolo che Gesù amava; quello stesso, che durante la cena
stava inclinato sul seno di Gesù e avea detto: Signore, chi è che ti tradisce?
Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: Signore, e di lui che sarà?
xxiv
Gesù gli rispose: Se voglio che rimanga finch'io venga, che t'importa? Tu, seguimi.
Ond'è che si sparse tra i fratelli la voce che quel discepolo non morrebbe; Gesù però non gli avea
detto che non morrebbe, ma: Se voglio che rimanga finch'io venga, che t'importa?
Questo è il discepolo che rende testimonianza di queste cose, e che ha scritto queste cose; e noi
sappiamo che la sua testimonianza è verace.
Or vi sono ancora molte altre cose che Gesù ha fatte, le quali se si scrivessero ad una ad una, credo
che il mondo stesso non potrebbe contenere i libri che se ne scriverebbero» (Giovanni 18-21).
«Or se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come mai alcuni fra voi dicono che non v'è
risurrezione de' morti?
Ma se non v'è risurrezione dei morti, neppur Cristo è risuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana
dunque è la nostra predicazione, e vana pure è la vostra fede.
E noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiam testimoniato di Dio, ch'Egli ha
risuscitato il Cristo; il quale Egli non ha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano.
Difatti, se i morti non risuscitano, neppur Cristo è risuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana è la
vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati.
Anche quelli che dormono in Cristo, son dunque periti.
Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini.
Ma ora Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono.
Infatti, poiché per mezzo d'un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo d'un uomo è venuta la
risurrezione dei morti.
Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati; ma ciascuno nel suo
proprio ordine: Cristo, la primizia; poi quelli che son di Cristo, alla sua venuta» (1 Corinzi 15:12-23).
«Sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di
vivere tramandatovi dai padri, ma col prezioso sangue di Cristo, come d'agnello senza difetto né
macchia, ben preordinato prima della fondazione del mondo, ma manifestato negli ultimi tempi per
voi, i quali per mezzo di lui credete in Dio che l'ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, onde la
vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio» (1 Pietro 1:18-21).
«E vidi nella destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con
sette suggelli.
E vidi un angelo potente che bandiva con gran voce: Chi è degno d'aprire il libro e di romperne i
suggelli?
E nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, o guardarlo.
E io piangevo forte perché non s'era trovato nessuno che fosse degno d'aprire il libro, o di guardarlo.
E uno degli anziani mi disse: Non piangere; ecco, il Leone che è della tribù di Giuda, il Rampollo di
Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette suggelli.
xxv
Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi,
che pareva essere stato immolato, ed avea sette corna e sette occhi che sono i sette Spiriti di Dio,
mandati per tutta la terra. Ed esso venne e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono.
E quando ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono
davanti all'Agnello, avendo ciascuno una cetra e delle coppe d'oro piene di profumi, che sono le
preghiere dei santi.
E cantavano un nuovo cantico, dicendo: Tu sei degno di prendere il libro e d'aprirne i suggelli,
perché sei stato immolato e hai comprato a Dio, col tuo sangue, gente d'ogni tribù e lingua e popolo
e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e de' sacerdoti; e regneranno sulla terra.
E vidi, e udii una voce di molti angeli attorno al trono e alle creature viventi e agli anziani; e il
numero loro era di miriadi di miriadi, e di migliaia di migliaia, che dicevano con gran voce: Degno è
l'Agnello che è stato immolato di ricever la potenza e le ricchezze e la sapienza e la forza e l'onore e la
gloria e la benedizione.
E tutte le creature che sono nel cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare e tutte le cose che sono in
essi, le udii che dicevano: A Colui che siede sul trono e all'Agnello siano la benedizione e l'onore e la
gloria e l'imperio, nei secoli dei secoli.
E le quattro creature viventi dicevano: Amen! E gli anziani si prostrarono e adorarono (Apocalisse 5).
«Dopo queste cose vidi, ed ecco una gran folla che nessun uomo poteva noverare, di tutte le nazioni
e tribù e popoli e lingue, che stava in piè davanti al trono e davanti all'Agnello, vestiti di vesti bianche
e con delle palme in mano.
E gridavano con gran voce dicendo: La salvezza appartiene all'Iddio nostro il quale siede sul trono,
ed all'Agnello.
E tutti gli angeli stavano in piè attorno al trono e agli anziani e alle quattro creature viventi; e si
prostrarono sulle loro facce davanti al trono, e adorarono Iddio dicendo:
Amen! All'Iddio nostro la benedizione e la gloria e la sapienza e le azioni di grazie e l'onore e la
potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen.
E uno degli anziani mi rivolse la parola dicendomi: Questi che son vestiti di vesti bianche chi son
dessi, e donde son venuti?
Io gli risposi: Signor mio, tu lo sai. Ed egli mi disse: Essi son quelli che vengono dalla gran
tribolazione, e hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell'Agnello.
Perciò son davanti al trono di Dio, e gli servono giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul
trono spiegherà su loro la sua tenda. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà
più il sole né alcuna arsura; perché l'Agnello che è in mezzo al trono li pasturerà e li guiderà alle
sorgenti delle acque della vita; e Iddio asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro» (Apocalisse 7:9-17).
«Ed io udii una gran voce nel cielo che diceva: Ora è venuta la salvezza e la potenza ed il regno
dell'Iddio nostro, e la potestà del suo Cristo, perché è stato gettato giù l'accusatore dei nostri fratelli,
che li accusava dinanzi all'Iddio nostro, giorno e notte. Ma essi l'hanno vinto a cagion del sangue
dell'Agnello e a cagion della parola della loro testimonianza; e non hanno amata la loro vita, anzi
l'hanno esposta alla morte» (Apocalisse 12:10-11).
xxvi
«Poiché avvenne che dopo che ebbi desiderato di conoscere le cose che mio padre aveva visto,
credendo che il Signore fosse in grado di farmele conoscere, mentre sedevo meditando nel mio
cuore, fui rapito nello Spirito del Signore, sì, su un'altissima montagna che non avevo mai visto
prima e sulla quale prima non avevo mai messo piede.
E lo Spirito mi disse: Ecco, cosa desideri?
E io dissi: Desidero vedere le cose che vide mio padre.
E lo Spirito mi disse: Credi tu che tuo padre vide l'albero di cui ha parlato?
E io dissi: Sì, tu sai che io credo a tutte le parole di mio padre.
E quando ebbi detto queste parole, lo Spirito gridò ad alta voce, dicendo: Osanna al Signore,
l'altissimo Iddio, poiché egli è Dio su tutta la terra, sì, proprio su tutta. E benedetto sei tu, Nefi,
perché credi nel Figlio dell'altissimo Iddio; pertanto tu vedrai le cose che hai desiderato. Ed ecco
questo ti sarà dato come segno, che dopo aver veduto l'albero che portava il frutto che tuo padre
assaggiò, tu vedrai pure un uomo scendere dal cielo e testimonierai di lui; e dopo che avrai
testimoniato di lui, porterai testimonianza che egli è il Figlio di Dio.
E avvenne che lo Spirito mi disse: Guarda! E guardai e vidi un albero; ed era come l'albero che aveva
visto mio padre; e la sua bellezza era di gran lunga superiore, sì, superava ogni altra bellezza; e il suo
candore sorpassava il candore della neve sospinta dal vento.
E avvenne che dopo che ebbi visto l'albero, dissi allo Spirito: Vedo che mi hai mostrato l'albero che è
prezioso più di ogni altra cosa.
Ed egli mi disse: Cosa desideri?
E io gli dissi: Conoscerne l'interpretazione poiché gli parlavo come parla un uomo, poiché vedevo
ch'egli aveva la forma di un uomo; tuttavia sapevo che era lo Spirito del Signore; ed egli mi parlava
come un uomo parla ad un altro uomo.
E avvenne che egli mi disse: Guarda! E io guardai come per osservarlo, ma non lo vidi; poiché se
n'era andato dalla mia presenza.
E avvenne che guardai e vidi la grande città di Gerusalemme e anche altre città. E vidi la città di
Nazaret; e nella città di Nazaret vidi una vergine, ed ella era straordinariamente leggiadra e pura.
E avvenne che vidi i cieli aprirsi; e un angelo scese, stette dinanzi a me, e mi disse: Nefi, cosa vedi?
E gli dissi: Una vergine più bella e più leggiadra di ogni altra vergine.
Ed egli mi disse: Conosci tu la condiscendenza di Dio?
E io gli dissi: So che egli ama i suoi figlioli; nondimeno non conosco il significato di tutte le cose.
Ed egli mi disse: Ecco, la vergine che vedi è la madre del Figlio di Dio, secondo la carne.
E avvenne che io vidi ch'ella era rapita nello Spirito; e dopo che era stata rapita nello Spirito per lo
spazio di un tempo, l'angelo mi parlò, dicendo: Guarda!
E io guardai e vidi di nuovo la vergine che portava un bambino fra le sue braccia.
E l'angelo mi disse: Ecco l'Agnello di Dio, sì, proprio il Figlio del Padre Eterno! Conosci tu il
significato dell'albero che vide tuo padre?
E io gli risposi, dicendo: Sì, è l'amore di Dio, che si effonde nel cuore dei figlioli degli uomini;
pertanto è la più desiderabile di tutte le cose.
Ed egli mi parlò, dicendo: Sì, e la più gioiosa per l'anima.
E dopo che ebbe dette queste parole mi disse: Guarda! E io guardai, e vidi il Figlio di Dio avanzare
tra i figlioli degli uomini, e ne vidi molti cadere ai suoi piedi e adorarlo.
xxvii
E avvenne che io vidi che la verga di ferro che mio padre aveva visto era la parola di Dio, che
conduceva alla sorgente di acque vive, ossia all'albero della vita; le quali acque sono una
rappresentazione dell'amore di Dio; e vidi pure che l'albero della vita era una rappresentazione
dell'amore di Dio.
E l'angelo mi disse di nuovo: Guarda e vedi la condiscendenza di Dio!
E guardai e vidi il Redentore del mondo, del quale aveva parlato mio padre; e vidi pure il profeta che
avrebbe preparato il cammino dinanzi a lui. E l'Agnello di Dio si fece avanti e fu battezzato da lui; e
dopo che fu battezzato, vidi i cieli aperti e lo Spirito Santo scendere dal cielo e soffermarsi su di lui in
forma di una colomba.
E vidi che andava esercitando il suo ministero presso il popolo, in potenza e grande gloria. E le
moltitudini si radunavano per udirlo; e vidi che lo scacciavano di frammezzo a loro.
E vidi pure dodici altri che lo seguivano. E avvenne che essi furono rapiti nello Spirito dalla mia
presenza e non li vidi più.
E avvenne che l'angelo mi parlò di nuovo, dicendo: Guarda! E guardai, e vidi i cieli di nuovo aperti e
vidi degli angeli discendere sui figlioli degli uomini; ed essi esercitavano il loro ministero presso di
loro.
Ed egli mi parlò di nuovo, dicendo: Guarda! E guardai, e vidi l'Agnello di Dio che andava fra i figlioli
degli uomini. E vidi moltitudini di persone che erano ammalate, e che erano afflitte da ogni sorta di
malattie, da demoni, e da spiriti impuri; e l'angelo parlò e mi mostrò tutte queste cose. Ed esse
furono guarite mediante il potere dell'Agnello di Dio; e i demoni e gli spiriti impuri venivano
scacciati.
E avvenne che l'angelo mi parlò di nuovo, dicendo: Guarda! E io guardai, e vidi l'Agnello di Dio che
era preso dal popolo; sì, il Figlio dell'eterno Iddio era giudicato dal mondo; e io vidi e ne porto
testimonianza.
E io, Nefi, vidi che egli veniva innalzato sulla croce e ucciso per i peccati del mondo» (1 Nefi 11:1-33).
«Ed egli disse: Ecco, esce dalla bocca di un Giudeo. E io, Nefi, lo vidi; ed egli mi disse: Il libro che
vedi è una storia dei Giudei, che contiene le alleanze che il Signore ha fatto con il casato d'Israele; e
contiene pure molte delle profezie dei santi profeti; ed è una storia simile alle incisioni che sono sulle
tavole di bronzo, salvo che non ce ne sono così tante; nondimeno esse contengono le alleanze che il
Signore ha fatto con il casato d'Israele; pertanto sono di grande valore per i Gentili.
E l'angelo del Signore mi disse: Hai visto che il libro usciva dalla bocca d'un Giudeo; e quando usciva
dalla bocca di un Giudeo, conteneva la pienezza del Vangelo del Signore del quale i dodici apostoli
portano testimonianza; ed essi portano testimonianza secondo la verità che è nell'Agnello di Dio.
Pertanto queste cose passano in purezza dai Giudei ai Gentili, secondo la verità che è in Dio.
E dopo essere passate per mano dei dodici apostoli dell'Agnello, dai Giudei ai Gentili, vedi la
formazione di quella chiesa grande e abominevole, che è la più abominevole di tutte le altre chiese;
poiché, ecco, essi hanno tolto dal Vangelo dell'Agnello molte parti che sono chiare e preziosissime; e
hanno anche tolto molte alleanze del Signore.
E hanno fatto tutto questo per poter pervertire le giuste vie del Signore, per poter accecare gli occhi e
indurire il cuore dei figlioli degli uomini.
Pertanto tu vedi che, dopo che il libro è passato per le mani della chiesa grande e abominevole, vi
sono molte cose chiare e preziose che sono state tolte dal libro, che è il libro dell'Agnello di Dio.
xxviii
E dopo che queste cose chiare e preziose sono state tolte, esso si diffonde in tutte le nazioni dei
Gentili; e dopo che è diffuso fra tutte le nazioni dei Gentili, sì, anche al di là delle molte acque che tu
hai visto assieme ai Gentili che sono usciti fuori di schiavitù, tu vedi a causa delle molte cose
chiare e preziose che sono state tolte dal libro, che erano chiare alla comprensione dei figlioli degli
uomini, secondo la chiarezza che è nell'Agnello di Dio a causa di queste cose che sono tolte dal
Vangelo dell'Agnello, moltissimi davvero inciampano, sì, tanto che Satana ha grande potere su di
loro.
Nondimeno tu vedi che i Gentili che sono usciti fuor di schiavitù e che sono stati elevati dal potere di
Dio sopra tutte le altre nazioni, sulla faccia della terra che è scelta sopra tutte le altre terre che è la
terra riguardo alla quale il Signore Iddio fece alleanza con tuo padre che la sua posterità avrebbe
posseduto come terra di loro eredità; pertanto vedi che il Signore Iddio non permetterà che i Gentili
annientino completamente la mescolanza della tua posterità che è fra i tuoi fratelli.
E neppure permetterà che i Gentili annientino la posterità dei tuoi fratelli.
Né il Signore Iddio permetterà che i Gentili rimangano per sempre in quell'orribile stato di cecità in
cui vedi che si trovano a causa delle parti chiare e preziosissime del Vangelo dell'Agnello che sono
state celate da quella chiesa abominevole di cui hai visto la formazione.
Pertanto dice l'Agnello di Dio: Io sarò misericordioso verso i Gentili, fino a visitare il residuo del
casato d'Israele con grandi giudizi.
E avvenne che l'angelo del Signore mi parlò, dicendo: Ecco, dice l'Agnello di Dio, dopo che avrò
visitato il residuo del casato d'Israele e questo residuo di cui parla è la posterità di tuo padre
pertanto, dopo che l'avrò visitato in giudizio e percosso per mano dei Gentili, e dopo che i Gentili
avranno inciampato grandemente a causa delle parti molto chiare e preziose del Vangelo
dell'Agnello che sono state celate da quella chiesa abominevole, che è la madre delle meretrici, dice
l'Agnello in quel giorno io sarò misericordioso verso i Gentili, tanto che farò venire alla luce per
loro, mediante il mio potere, gran parte del mio Vangelo, che sarà chiaro e prezioso, dice l'Agnello.
Poiché ecco, dice l'Agnello: Io mi manifesterò alla tua posterità, cosicché essi scriveranno molte cose
che io impartirò loro, che saranno chiare e preziose; e dopo che la tua posterità sarà stata distrutta e
sarà degenerata nell'incredulità, come pure la posterità dei tuoi fratelli, ecco, queste cose saranno
nascoste per venire alla luce per i Gentili, per dono e potere dell'Agnello.
E in esse sarà scritto il mio Vangelo, dice l'Agnello, e la mia roccia e la mia salvezza.
E benedetti sono coloro che cercheranno di far sorgere la mia Sion in quel giorno, poiché avranno il
dono e il potere dello Spirito Santo; e se persevereranno fino alla fine, saranno elevati all'ultimo
giorno e saranno salvati nel regno eterno dell'Agnello; e coloro annunzieranno la pace, sì, notizie di
grande gioia, quanto saranno belli essi sulle montagne.
E avvenne che io vidi il residuo della posterità dei miei fratelli, e anche il libro dell'Agnello di Dio,
che era uscito dalla bocca del Giudeo, che passò dai Gentili al residuo della posterità dei miei fratelli.
E dopo che fu passato ad essi, vidi altri libri che passavano dai Gentili a loro, per il potere
dell'Agnello, per convincere i Gentili e il residuo della posterità dei miei fratelli, e anche i Giudei che
erano dispersi su tutta la faccia della terra, che gli annali dei profeti e dei dodici apostoli dell'Agnello
sono veritieri.
E l'angelo mi parlò, dicendo: Questi ultimi annali, che hai visto fra i Gentili, confermeranno la verità
dei primi, che sono dei dodici apostoli dell'Agnello, e faranno conoscere le cose chiare e preziose che
ne sono state tolte; e faranno conoscere a tutte le tribù, lingue e popoli che l'Agnello di Dio è il Figlio
del Padre Eterno e il Salvatore del mondo; e che tutti gli uomini debbono venire a lui, altrimenti non
possono essere salvati.
xxix
E devono venire secondo le parole che saranno confermate dalla bocca dell'Agnello; e le parole
dell'Agnello saranno rese note negli annali della tua posterità, così come negli annali dei dodici
apostoli dell'Agnello; pertanto saranno entrambi confermati in uno, poiché vi è un solo Dio e un solo
Pastore su tutta la terra.
E viene il tempo in cui egli si manifesterà a tutte le nazioni, sia ai Giudei che ai Gentili; e dopo essersi
manifestato ai Giudei e anche ai Gentili, allora egli si manifesterà ai Gentili, e anche ai Giudei, e gli
ultimi saranno i primi, e i primi saranno gli ultimi» (1 Nefi 13:23-42).
«Pertanto la redenzione viene nel Santo Messia e tramite lui; poiché egli è pieno di grazia e di verità.
Ecco, egli offre se stesso quale sacrificio per il peccato, per rispondere ai fini della legge, per tutti
coloro che hanno un cuore spezzato e uno spirito contrito; e per nessun altro è possibile rispondere
ai fini della legge.
Pertanto quanto è importante far conoscere queste cose agli abitanti della terra, affinché possano
sapere che non c'è nessuna carne che possa dimorare alla presenza di Dio, se non tramite i meriti e la
misericordia e la grazia del Santo Messia, che depone la sua vita secondo la carne e la riprende per il
potere dello Spirito, perché egli possa far avverare la risurrezione dei morti, essendo egli il primo a
dover risuscitare.
Pertanto egli è la primizia per Dio, inquantoché farà intercessione per tutti i figlioli degli uomini; e
coloro che credono in lui saranno salvati» (2 Nefi 2:6-9).
«Ecco, miei diletti fratelli, io vi dico queste cose perché possiate gioire e sollevare il capo per sempre,
a motivo delle benedizioni che il Signore Iddio riverserà sui vostri figlioli.
Perché so che avete cercato assai, molti di voi, di conoscere le cose a venire; so pertanto che voi
sapete che la nostra carne deve corrompersi e morire; nondimeno nel nostro corpo noi vedremo Dio.
Sì, io so che voi sapete che egli si mostrerà nel corpo a quelli in Gerusalemme, donde venimmo;
poiché è opportuno che ciò avvenga fra loro; perché è necessario che il grande Creatore acconsenta
di assoggettarsi all'uomo nella carne, e di morire per tutti gli uomini, affinché tutti gli uomini
possano divenire a lui soggetti.
Poiché, come la morte è venuta a tutti gli uomini per adempiere il piano misericordioso del grande
Creatore, è necessario che vi sia un potere di risurrezione, e la risurrezione è necessario che venga
all'uomo a causa della Caduta, e la Caduta venne a causa della trasgressione; e poiché l'uomo divenne
decaduto, essi furono recisi dalla presenza del Signore.
Pertanto è necessario che vi sia una espiazione infinita e se non fosse una espiazione infinita,
questa corruzione non potrebbe rivestirsi di incorruttibilità. Pertanto il primo giudizio che cadde
sull'uomo avrebbe dovuto necessariamente restare per un tempo infinito. E se così fosse, questa
carne avrebbe dovuto giacere per marcire e decomporsi nella madre terra, per non risorgere mai più.
Oh, la saggezza di Dio, la sua misericordia e la sua grazia! Poiché ecco, se la carne non risuscitasse
più, il nostro spirito dovrebbe divenire soggetto a quell'angelo che cadde dalla presenza dell'eterno
Iddio, e divenne il diavolo, per non risorgere mai più.
E il nostro spirito avrebbe dovuto divenire come lui, e noi divenire diavoli, angeli di un diavolo, per
essere esclusi dalla presenza del nostro Dio, e per rimanere con il padre delle menzogne,
nell'infelicità, come lui stesso; con quell'essere che ingannò i nostri primi genitori, che si trasforma
quasi in un angelo di luce e istiga i figlioli degli uomini verso associazioni segrete di omicidio e ogni
sorta di tenebrose opere segrete.
xxx
Oh, com'è grande la bontà del nostro Dio, che ci prepara una via per sfuggire alla stretta di
quest'orribile mostro; sì, quel mostro, morte e inferno, che io chiamo la morte del corpo, e anche la
morte dello spirito.
E grazie alla via di liberazione del nostro Dio, il Santo d'Israele, questa morte di cui ho parlato, che è
quella temporale, restituirà i suoi morti; la qual morte è la tomba.
E questa morte di cui ho parlato, che è la morte spirituale, restituirà i suoi morti; la qual morte
spirituale è l'inferno; pertanto, la morte e l'inferno debbono restituire i loro morti, e l'inferno deve
restituire i suoi spiriti prigionieri e la tomba deve restituire i suoi corpi prigionieri, e il corpo e lo
spirito degli uomini saranno ricongiunti l'uno all'altro; e ciò sarà per il potere di risurrezione del
Santo d'Israele.
Oh, quanto è grande il piano del nostro Dio! Poiché, d'altro canto, il paradiso di Dio dovrà restituire
gli spiriti dei giusti e la tomba restituire i corpi dei giusti; e lo spirito e il corpo è ricongiunto
nuovamente a se stesso, e tutti gli uomini diventano incorruttibili e immortali, e sono anime viventi,
che hanno una conoscenza perfetta come noi nella carne, salvo che la nostra conoscenza sarà allora
perfetta.
Pertanto avremo una perfetta conoscenza di tutte le nostre colpe, delle nostre impurità e della nostra
nudità; e i giusti avranno una perfetta conoscenza della loro contentezza e della loro rettitudine,
essendo rivestiti di purezza, sì proprio di una veste di rettitudine.
E avverrà che quando tutti gli uomini saranno passati da questa prima morte alla vita, in quanto
divenuti immortali, dovranno comparire davanti al seggio del giudizio del Santo d'Israele; e allora
verrà il giudizio, e allora dovranno essere giudicati secondo il santo giudizio di Dio.
E certamente, come vive il Signore, poiché il Signore Iddio l'ha detto, ed è sua parola eterna, che non
può passare, che coloro che sono giusti resteranno giusti, e coloro che sono immondi resteranno
immondi; pertanto coloro che sono immondi sono il diavolo e i suoi angeli; e se ne andranno nel
fuoco perpetuo, preparato per loro; e il loro tormento è come un lago di fuoco e di zolfo, le cui
fiamme ascendono per sempre e in eterno, e non hanno fine.
Oh, grandezza e giustizia del nostro Dio! Poiché egli mette ad effetto tutte le sue parole; esse sono
uscite dalla sua bocca, e la sua legge deve essere adempiuta.
Ma ecco, i giusti, i santi del Santo d'Israele, coloro che hanno creduto nel Santo d'Israele, coloro che
hanno sopportato le croci del mondo e che ne hanno disprezzato l'onta, essi erediteranno il regno di
Dio, che fu preparato per loro fin dalla fondazione del mondo, e la loro gioia sarà completa per
sempre.
Oh, grandezza della misericordia del nostro Dio, il Santo d'Israele! Poiché egli libera i suoi santi da
quell'orribile mostro, il diavolo, e dalla morte e dall'inferno, e da quel lago di fuoco e di zolfo, che è
tormento infinito.
Oh, quanto è grande la santità del nostro Dio! Poiché egli conosce ogni cosa, e non vi è nulla che egli
non conosca.
Ed egli verrà nel mondo per poter salvare tutti gli uomini, se daranno ascolto alla sua voce; poiché
ecco, egli soffre le pene di tutti gli uomini, sì, le pene di ogni creatura vivente, siano uomini, donne e
bambini, che appartengono alla famiglia d'Adamo.
Ed egli soffre queste cose affinché la risurrezione possa venire su tutti gli uomini, affinché tutti
possano stare dinanzi a lui, nel gran giorno del giudizio.
Ed egli comanda a tutti gli uomini di pentirsi, e di essere battezzati nel suo nome, avendo fede
perfetta nel Santo d'Israele, altrimenti non possono essere salvati nel regno di Dio» (2 Nefi 9:3-23).
xxxi
«Pertanto, diletti fratelli, riconciliatevi con lui tramite l'espiazione di Cristo, suo Figlio Unigenito, e
potrete ottenere la risurrezione, secondo il potere della risurrezione che è in Cristo, ed essere
presentati a Dio come la primizia di Cristo, avendo fede, e avendo ottenuto una buona speranza di
gloria in lui, prima che egli si manifesti nella carne.
Ed ora, diletti, non vi stupite ch'io vi dica queste cose; perché infatti non parlare dell'espiazione di
Cristo, e tendere a una conoscenza perfetta di lui, come tendere alla conoscenza della risurrezione e
del mondo a venire?» (Giacobbe 4:11-12).
«Poiché ecco, viene il tempo, e non è molto lontano, in cui il Signore Onnipotente che regna, che fu
ed è d'eternità in eternità, scenderà con potere dal cielo tra i figlioli degli uomini, e dimorerà in un
tabernacolo di creta, e andrà fra gli uomini, compiendo possenti miracoli, come guarire gli infermi,
risuscitare i morti, far sì che gli storpi camminino, i ciechi ottengano la vista e i sordi sentano, e
curando ogni sorta di malattie.
Ed egli scaccerà i demoni, ossia gli spiriti maligni che dimorano nel cuore dei figlioli degli uomini.
Ed ecco, egli soffrirà le tentazioni, e i dolori del corpo, la fame, la sete e la fatica anche più di quanto
l'uomo possa sopportare a meno che ne muoia; poiché ecco, il sangue gli uscirà da ogni poro, sì
grande sarà la sua angoscia per la malvagità e le abominazioni del suo popolo.
Ed egli sarà chiamato Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Padre del cielo e della terra, il Creatore di tutte
le cose fin dal principio; e sua madre sarà chiamata Maria.
Ed ecco, egli viene ai suoi, affinché la salvezza possa venire ai figlioli degli uomini, sì, tramite la fede
nel suo nome; e anche dopo tutto ciò, essi lo considereranno un uomo e diranno che ha un demonio,
lo flagelleranno e lo crocifiggeranno.
Ed egli risorgerà dai morti il terzo giorno; ed ecco, egli si erge a giudicare il mondo; ed ecco, tutte
queste cose sono fatte affinché un giusto giudizio possa venire sui figlioli degli uomini.
Poiché ecco, il suo sangue espia anche per i peccati di coloro che sono caduti per la trasgressione di
Adamo, che sono morti senza conoscere la volontà di Dio a loro riguardo, o che hanno peccato per
ignoranza» (Mosia 3:5-11).
«Ed ora avvenne che quando re Beniamino ebbe cessato di dire le parole che gli erano state
comunicate dall'angelo del Signore, egli gettò gli occhi tutt'intorno sulla moltitudine, ed ecco erano
caduti a terra, poiché il timore del Signore era sceso su di loro.
Ed essi si erano visti nel loro stato carnale, inferiore perfino alla polvere della terra. Ed essi tutti
gridarono forte, con voce unanime, dicendo: Oh, abbi misericordia, e applica il sangue espiatorio di
Cristo affinché possiamo ricevere il perdono dei nostri peccati e il nostro cuore possa essere
purificato; poiché noi crediamo in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che creò il cielo e la terra e tutte le
cose, che scenderà fra i figlioli degli uomini.
E avvenne che dopo che ebbero pronunciato queste parole lo Spirito del Signore scese su di loro, e
furono riempiti di gioia, avendo ricevuto la remissione dei loro peccati e avendo la coscienza in pace
a motivo della grandissima fede ch'essi avevano in Gesù Cristo che sarebbe venuto, secondo le parole
che re Beniamino aveva detto loro.
E re Beniamino aprì di nuovo la bocca e cominciò a parlare loro, dicendo: Amici miei e fratelli miei,
mia stirpe e mio popolo, vorrei richiamare di nuovo la vostra attenzione, affinché possiate udire e
comprendere il resto delle parole che vi dirò.
xxxii
Poiché ecco, se la conoscenza della bontà di Dio in questo momento ha risvegliato in voi il
sentimento della vostra nullità e del vostro stato indegno e decaduto
Io vi dico, se siete giunti a conoscere la bontà di Dio e il suo incomparabile potere, la sua saggezza, la
sua pazienza e la sua longanimità verso i figlioli degli uomini, e anche l'espiazione che è stata
preparata fin dalla fondazione del mondo, affinché in tal modo la salvezza possa venire a colui che
ripone la sua fiducia nel Signore e che è diligente nell'obbedire ai suoi comandamenti, e continua
nella fede sino alla fine della sua vita, intendo la vita del corpo mortale
Io dico che questo è l'uomo che riceve la salvezza, tramite l'espiazione che fu preparata fin dalla
fondazione del mondo per tutta l'umanità che è esistita fin dalla caduta d'Adamo, che esiste ora, o
che sempre esisterà sino alla fine del mondo.
E questo è il mezzo per il quale viene la salvezza. E non vi è nessun'altra salvezza, salvo questa di cui
si è parlato; né esistono altre condizioni per le quali l'uomo possa essere salvato, eccetto le condizioni
che vi ho detto.
Credete in Dio; credete che egli esiste, e che ha creato tutte le cose, sia in cielo che in terra; credete
che egli ha tutta la saggezza e tutto il potere, sia in cielo che in terra; credete che l'uomo non
comprende tutte le cose che il Signore può comprendere.
E di nuovo credete che dovete pentirvi dei vostri peccati e abbandonarli, e umiliarvi dinanzi a Dio; e
chiedere con sincerità di cuore che vi perdoni; ed ora, se voi credete a tutte queste cose, badate di
farle» (Mosia 4:1-10).
«Ed ora, voi avete detto che la salvezza viene mediante la legge di Mosè. Io vi dico che è opportuno
che voi obbediate alla legge di Mosè per ora; ma vi dico che verrà il tempo in cui non sarà più
opportuno obbedire alla legge di Mosè.
E inoltre io vi dico che la salvezza non viene mediante la sola legge; e se non fosse per l'espiazione
che Dio stesso farà per i peccati e le iniquità del suo popolo, esso dovrebbe inevitabilmente perire,
nonostante la legge di Mosè.
Ed ora io vi dico che era opportuno che una legge fosse data ai figlioli d'Israele, sì, una legge molto
rigida; poiché erano un popolo dal collo rigido, svelto a compiere l'iniquità e lento a ricordare il
Signore suo Dio.
Perciò gli fu data una legge, sì, una legge di adempimenti e di ordinanze, una legge che esso doveva
osservare strettamente, giorno dopo giorno, per tenerlo nel ricordo di Dio e del suo dovere verso di
lui.
Ma ecco, io vi dico che tutte queste cose erano simboli di cose a venire.
Ed ora, compresero essi la legge? Io vi dico: No, non tutti compresero la legge; e ciò a causa della
durezza del loro cuore; poiché non compresero che nessun uomo avrebbe potuto essere salvato, se
non tramite la redenzione di Dio.
Poiché ecco, non profetizzò loro Mosè riguardo alla venuta del Messia, e che Dio avrebbe redento il
suo popolo? Sì, e anche tutti i profeti che hanno profetizzato da che ebbe inizio il mondo non
hanno essi parlato più o meno riguardo a queste cose?
Non hanno essi detto che Dio stesso sarebbe sceso fra i figlioli degli uomini, e avrebbe preso forma
d'uomo e avrebbe camminato in grande potere sulla faccia della terra?
Sì, e non hanno anche detto che egli avrebbe realizzato la risurrezione dei morti, e che egli stesso
sarebbe stato oppresso ed afflitto?» (Mosia 13:27-35)
xxxiii
«Ed ora Abinadi disse loro: Vorrei che comprendeste che Iddio stesso scenderà fra i figlioli degli
uomini e redimerà il suo popolo.
E poiché dimorerà nella carne, egli sarà chiamato il Figlio di Dio, ed avendo sottomesso la carne alla
volontà del Padre, è il Padre e il Figlio
Il Padre, perché concepito per il potere di Dio; e il Figlio, a causa della carne, divenendo così il Padre
e il Figlio
Ed essi sono un solo Dio, sì proprio il Padre Eterno del cielo e della terra.
E così, la carne diventando sottomessa allo Spirito, ossia il Figlio al Padre, che sono un solo Dio,
soffre la tentazione, e non cede alla tentazione, ma permette di essere beffato, flagellato, scacciato e
ripudiato dal suo popolo.
E dopo tutto ciò, dopo aver operato molti possenti miracoli tra i figlioli degli uomini, egli sarà
condotto, sì, proprio come disse Isaia, come una pecora è muta dinanzi al tosatore; così egli non
aprirà la bocca.
Sì, proprio così egli sarà condotto, crocifisso e ucciso, e la carne diventa così sottomessa anche alla
morte, e la volontà del Figlio viene assorbita dalla volontà del Padre.
E così Iddio spezza i legami della morte, avendo riportato la vittoria sulla morte; dando al Figlio il
potere di intercedere per i figlioli degli uomini
Essendo asceso al cielo, avendo viscere di misericordia, essendo pieno di compassione verso i figlioli
degli uomini, stando fra loro e la giustizia, avendo spezzato i legami della morte, preso su di sé le loro
iniquità e le loro trasgressioni, avendoli redenti e avendo soddisfatto le esigenze della giustizia.
Ed ora io vi dico: Chi proclamerà la sua generazione? Ecco, io vi dico che quando la sua vita sarà
stata offerta in sacrificio per il peccato, egli vedrà la sua posterità. Ed ora, che dite? Chi sarà la sua
posterità?
Ecco, io vi dico che chiunque ha udito le parole dei profeti, sì, di tutti i santi profeti che hanno
profetizzato riguardo alla venuta del Signore io vi dico che tutti coloro che hanno dato ascolto alle
loro parole e hanno creduto che il Signore avrebbe redento il suo popolo, e hanno atteso con ansia
quel giorno per la remissione dei loro peccati, io vi dico che sono questi la sua posterità, ossia essi
sono gli eredi del regno di Dio.
Poiché questi sono coloro i cui peccati egli avrà portato; sono questi coloro per cui egli sarà morto,
per redimerli dalle loro trasgressioni. Ed ora, non sono essi la sua posterità?
Sì, e non sono i profeti, tutti quelli che hanno aperto la bocca per profetizzare e che non sono caduti
in trasgressione, voglio dire tutti i santi profeti fin da quando ebbe inizio il mondo? Io vi dico che
essi sono la sua posterità.
E questi sono coloro che hanno annunciato la pace, che hanno portato buone novelle di bene, che
hanno annunciato la salvezza e hanno detto a Sion: Il tuo Dio regna!
Ed oh, quanto erano belli, sui monti, i loro piedi!
E ancora, quanto sono belli, sui monti, i piedi di coloro che stanno ancora annunciando la pace!
E ancora, come saranno belli, sui monti, i piedi di coloro che d'ora innanzi annunceranno la pace, sì,
da questo tempo in poi e per sempre!
Ed ecco, io vi dico: Ciò non è tutto. Poiché oh, quanto sono belli, sui monti, i piedi di colui che porta
buone novelle, che è il fondatore della pace, sì, proprio il Signore, che redimerà il suo popolo; sì,
Colui che accorderà la salvezza al suo popolo!
Poiché, se non fosse per la redenzione ch'egli compirà per il suo popolo, che era preparata fin dalla
fondazione del mondo, io vi dico, se non fosse per questo, tutta l'umanità dovrebbe perire.
xxxiv
Ma ecco, i legami della morte saranno spezzati; e il Figlio regna e ha potere sui morti; perciò egli
realizza la risurrezione dei morti.
E viene una risurrezione, anzi una prima risurrezione; sì, una risurrezione di coloro che sono stati, e
che sono, e che saranno fino alla risurrezione di Cristo poiché così egli sarà chiamato.
Ed ora, la risurrezione di tutti i profeti e di tutti coloro che hanno creduto nelle loro parole, ossia di
tutti coloro che hanno obbedito ai comandamenti di Dio, avverrà nella prima risurrezione; essi sono
dunque la prima risurrezione.
Essi sono elevati per dimorare con Dio che li avrà redenti; così essi avranno la vita eterna tramite
Cristo, che avrà spezzato i legami della morte.
E questi sono coloro che partecipano alla prima risurrezione; e questi sono coloro che sono morti
prima che Cristo venga, nella loro ignoranza, non essendo stata proclamata loro la salvezza. E così il
Signore realizza la restaurazione di costoro; ed essi partecipano alla prima risurrezione, ossia hanno
vita eterna, essendo redenti dal Signore.
Ed anche i bambini hanno la vita eterna» (Mosia 15:1-25).
«Ed ecco, egli nascerà da Maria, a Gerusalemme, che è la terra dei nostri padri, essendo ella una
vergine, un vaso prezioso e scelto, che sarà coperta dall'ombra e concepirà per il potere dello Spirito
Santo, e partorirà un figlio, sì, proprio il Figlio di Dio.
Ed egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e ciò affinché si possa adempiere
la parola che dice: egli prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo.
E prenderà su di sé la morte, per poter sciogliere i legami della morte che legano il suo popolo; e
prenderà su di sé le loro infermità, affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia,
secondo la carne, affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle
loro infermità.
Ora, lo Spirito conosce ogni cosa: nondimeno il Figlio di Dio soffrirà, secondo la carne, per poter
prendere su di sé i peccati del suo popolo, per poter cancellare le loro trasgressioni, secondo il potere
della sua liberazione; ed ora, ecco, questa è la testimonianza che è in me.
Ora io vi dico che dovete pentirvi e nascere di nuovo; poiché lo Spirito dice che se non nascete di
nuovo non potete ereditare il regno dei cieli; venite dunque, e siate battezzati al pentimento, affinché
possiate essere lavati dai vostri peccati, affinché possiate aver fede nell'Agnello di Dio, che toglie i
peccati del mondo, che è potente per salvare e per purificare da ogni ingiustizia» (Alma 7:10-14).
«Il Figlio di Dio è proprio il Padre Eterno?
Ed Amulec gli disse: Sì, egli è proprio il Padre Eterno del cielo e della terra, e di tutte le cose che sono
in essi; egli è il principio e la fine, il primo e l'ultimo;
E verrà nel mondo per redimere il suo popolo; e prenderà su di Sé le trasgressioni di coloro che
credono nel suo nome; e sono questi coloro che avranno la vita eterna, e la salvezza non viene a
nessun altro.
Perciò i malvagi rimangono come se non vi fosse stata nessuna redenzione, eccetto che i legami della
morte saranno sciolti; poiché ecco, verrà il giorno in cui tutti risorgeranno dai morti e staranno
dinanzi a Dio, e saranno giudicati secondo le loro opere.
Ora, c'è una morte che è chiamata morte temporale; e la morte di Cristo scioglierà i legami di questa
morte temporale, affinché tutti siano risuscitati da questa morte temporale.
xxxv
Lo spirito e il corpo saranno riuniti di nuovo nella loro forma perfetta; sia le membra che le giunture
saranno restituite alla loro propria forma, proprio come siamo noi ora in questo momento; e saremo
portati a stare dinanzi a Dio, sapendo proprio come sappiamo ora; e avremo un chiaro ricordo di
tutte le nostre colpe.
Ora, questa restaurazione verrà per tutti, sia vecchi che giovani, sia schiavi che liberi, sia maschi che
femmine, sia malvagi che giusti; e non sarà perduto neppure un capello del loro capo; ma ogni cosa
sarà restituita alla sua forma perfetta come è ora, ossia nel corpo, e saranno portati e chiamati in
giudizio davanti alla sbarra di Cristo, il Figlio, e di Dio, il Padre, e dello Spirito Santo, che sono un
solo Eterno Dio, per essere giudicati secondo le loro opere, siano esse buone o siano esse cattive.
Ora, ecco, io vi ho parlato riguardo alla morte del corpo mortale, ed anche riguardo alla risurrezione
del corpo mortale. Io vi dico che questo corpo mortale è risuscitato in un corpo immortale, cioè dalla
morte, sì, dalla prima morte, alla vita, cosicché non possono più morire; il loro spirito si unisce al
loro corpo per non esser più divisi; il tutto diviene così spirituale e immortale, cosicché non possono
più vedere la corruzione» (Alma 11:38-45).
«Ed ora, ecco, vi renderò testimonianza io stesso che queste cose sono vere. Ecco, io vi dico che so
veramente che Cristo verrà fra i figlioli degli uomini per prendere su di Sé le trasgressioni del suo
popolo, e che egli espierà per i peccati del mondo; poiché il Signore Iddio lo ha detto.
Poiché è opportuno che sia fatta un'espiazione; poiché, secondo il grande piano dell'Eterno Iddio,
dev'esser fatta un'espiazione, altrimenti tutta l'umanità dovrà inevitabilmente perire; sì, tutti sono
induriti; sì, tutti sono decaduti e perduti, e devono perire, a meno che non avvenga tramite
l'espiazione che è opportuno sia fatta.
Poiché è opportuno che vi sia un grande e ultimo sacrificio; sì, non un sacrificio di uomini, né di
bestie, né d'alcuna sorta di volatili; poiché non sarà un sacrificio umano; ma dovrà essere un
sacrificio infinito ed eterno.
Ora, non v'è alcun uomo che possa sacrificare il proprio sangue per espiare i peccati di un altro. Ora,
se un uomo uccide, ecco, la nostra legge, che è giusta, toglierà la vita a suo fratello? Io vi dico: No.
Ma la legge richiede la vita di colui che ha ucciso; perciò non vi può essere nulla di meno di
un'espiazione infinita che possa bastare per i peccati del mondo.
È necessario perciò che vi sia un grande e ultimo sacrificio; e dopo vi sarà, ossia è opportuno che vi
sia, un termine allo spargimento di sangue; allora la legge di Mosè sarà compiuta; sì, sarà tutta
compiuta, ogni iota, ogni apice, e niente sarà annullato.
Ed ecco, questo è l'intero significato della legge; ogni più piccola parte sta a indicare quel grande e
ultimo sacrificio; e quel grande e ultimo sacrificio sarà quello del Figlio di Dio, sì, infinito ed eterno.
E così egli porterà la salvezza a tutti coloro che crederanno nel suo nome; poiché essendo questo
l'intento di questo ultimo sacrificio: richiamare le viscere della misericordia, la quale vince la
giustizia e procura agli uomini i mezzi perché possano aver fede fino a pentirsi.
E così la misericordia può soddisfare le esigenze della giustizia e le circonda con le braccia della
salvezza, mentre colui che non esercita la fede fino a pentirsi è esposto all'intera legge delle esigenze
della giustizia; perciò solo per colui che ha fede fino a pentirsi si realizza il grande ed eterno piano
della redenzione» (Alma 34:8-16).
xxxvi
«Ora, riguardo alla condizione dell'anima fra la morte e la risurrezione ecco che mi è stato reso
noto da un angelo che gli spiriti di tutti gli uomini, appena hanno lasciato questo corpo mortale, sì,
gli spiriti di tutti gli uomini, siano essi buoni o cattivi, sono ricondotti a quel Dio che diede loro la
vita.
E allora avverrà che gli spiriti di coloro che sono giusti saranno ricevuti in una condizione di felicità,
che è chiamata paradiso, una condizione di riposo, una condizione di pace, dove si riposeranno da
tutte le loro afflizioni, da tutte le preoccupazioni e dolori» (Alma 40:11-12).
«Poiché ecco, dopo che il Signore Iddio ebbe scacciato i nostri primi genitori fuori dal Giardino di
Eden, per coltivare la terra dalla quale erano stati tratti sì, egli allontanò l'uomo e pose al lato
orientale del Giardino di Eden dei cherubini, e una spada fiammeggiante che girava da ogni parte,
per proteggere l'albero della vita
Ora, vediamo che l'uomo era divenuto come Dio, conoscendo il bene e il male; e per tema che
stendesse la mano e cogliesse anche il frutto dell'albero della vita, ne mangiasse e vivesse per sempre,
il Signore Iddio pose dei cherubini e la spada fiammeggiante, affinché non mangiasse il frutto
E così vediamo che fu accordato all'uomo un tempo per pentirsi, sì, un tempo di prova, un tempo
per pentirsi e servire Dio.
Poiché ecco, se Adamo avesse steso subito la mano, e avesse mangiato il frutto dell'albero della vita,
sarebbe vissuto per sempre, secondo la parola di Dio, senza avere il tempo di pentirsi; sì, e inoltre la
parola di Dio sarebbe rimasta senza effetto, e il grande piano di salvezza sarebbe stato frustrato.
Ma ecco, fu stabilito che l'uomo morisse perciò, così come furono recisi dall'albero della vita, essi
dovevano essere recisi dalla faccia della terra e l'uomo divenne perduto per sempre, sì, divenne
decaduto.
Ed ora, da questo vedi che i nostri primi genitori furono recisi sia fisicamente che spiritualmente
dalla presenza del Signore; e così vediamo che divennero soggetti a seguire la loro propria volontà.
Ora ecco, non era opportuno che l'uomo fosse redento da questa morte fisica, poiché ciò avrebbe
distrutto il grande piano di felicità.
Perciò, siccome l'anima non può mai morire e la caduta aveva portato su tutta l'umanità sia una
morte spirituale che una morte fisica, cioè fu recisa dalla presenza del Signore, era opportuno che
l'umanità fosse redenta da questa morte spirituale.
Perciò, siccome erano divenuti carnali, sensuali e diabolici per natura, questa condizione di prova
divenne per loro una condizione per prepararsi; divenne una condizione preparatoria.
Ed ora ricorda, figlio mio, se non fosse stato per il piano di redenzione (lasciandolo da parte), la loro
anima, quando fossero morti, sarebbe stata infelice, essendo stata recisa dalla presenza del Signore.
Ed ora, non v'era alcun mezzo per affrancare gli uomini da questa condizione decaduta, che l'uomo
aveva richiamato su di sé a causa della sua disobbedienza;
Perciò, secondo giustizia, il piano di redenzione non avrebbe potuto essere realizzato se non a
condizione che gli uomini si pentissero in questo stato di prova, sì, in questo stato preparatorio;
poiché, se non fosse stato a queste condizioni, la misericordia non avrebbe potuto aver effetto senza
distruggere l'opera della giustizia. Ora, l'opera della giustizia non poteva essere distrutta; se così
fosse, Dio cesserebbe d'essere Dio.
E così vediamo che tutta l'umanità era decaduta, ed era nelle mani della giustizia; sì, la giustizia di
Dio che l'aveva consegnata ad essere recisa per sempre dalla sua presenza.
xxxvii
Ed ora, il piano della misericordia non avrebbe potuto essere realizzato, a meno che non fosse
compiuta un'espiazione; perciò Dio stesso espia per i peccati del mondo, per realizzare il piano della
misericordia, per placare le richieste della giustizia, affinché Dio possa essere un Dio perfetto e
giusto, e anche un Dio misericordioso.
Ora, il pentimento non avrebbe potuto venire agli uomini, a meno che non vi fosse una punizione,
che fosse inoltre eterna, come deve essere la vita dell'anima, fissata in opposizione al piano di felicità,
che era pure altrettanto eterno quanto la vita dell'anima.
Ora, come potrebbe un uomo pentirsi, a meno che non abbia peccato? Come potrebbe peccare, se
non vi fosse una legge? Come potrebbe esserci una legge, se non vi fosse una punizione?
Ora, era stata fissata una punizione ed era stata data una legge giusta, il che produsse nell'uomo il
rimorso di coscienza.
Ora, se non fosse stata data una legge se l'uomo ammazzava doveva morire avrebbe egli paura
di morire se avesse ammazzato?
E inoltre, se non fosse stata data una legge contro il peccato, gli uomini non avrebbero paura di
peccare.
E se non fosse stata data una legge, se gli uomini peccavano cosa poteva fare la giustizia, o anche la
misericordia, poiché non avrebbero avuto nessun diritto sulla creatura?
Ma è stata data una legge, e una punizione è stata fissata, ed è stato concesso il pentimento;
pentimento che la misericordia esige; altrimenti la giustizia reclama la creatura e applica la legge, e la
legge infligge la punizione. Se non fosse così, le opere della giustizia sarebbero distrutte, e Dio
cesserebbe di essere Dio.
Ma Dio non cessa di essere Dio, e la misericordia reclama il penitente, e la misericordia viene a causa
dell'espiazione; e l'espiazione fa avverare la risurrezione dei morti; e la risurrezione dei morti
riconduce gli uomini alla presenza di Dio; e così essi sono restituiti alla sua presenza, per essere
giudicati secondo le loro opere, secondo la legge e la giustizia.
Poiché ecco, la giustizia mette in atto tutte le sue richieste, ed anche la misericordia reclama tutto ciò
che è suo; e così nessuno, se non chi si pente veramente, sarà salvato.
Perché, credi tu che la misericordia possa derubare la giustizia? Io ti dico: No, neppure in un punto.
Se così fosse, Dio cesserebbe di essere Dio.
E così Dio realizza i suoi grandi ed eterni propositi che erano preparati fin dalla fondazione del
mondo. E così avviene la salvezza e la redenzione degli uomini» (Alma 41:2-26).
«E affinché possiate pure sapere della venuta di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Padre del cielo e della
terra, il Creatore di tutte le cose fin dal principio; e che possiate conoscere i segni della sua venuta
perché possiate credere nel suo nome.
E se voi credete nel suo nome, vi pentirete di tutti i vostri peccati, perché possiate in tal modo averne
remissione tramite i suoi meriti.
Ed ecco, di nuovo, vi do un altro segno, sì, un segno della sua morte.
Poiché ecco, egli dovrà sicuramente morire, affinché possa venire la salvezza; sì, è necessario ed è
opportuno ch'egli muoia, per fare avverare la risurrezione dei morti, affinché in tal modo gli uomini
possano essere portati alla presenza del Signore.
Sì, ecco, questa morte fa avverare la risurrezione e redime tutta l'umanità dalla prima morte, la morte
spirituale; poiché tutta l'umanità, essendo recisa dalla presenza del Signore a causa della caduta
d'Adamo, è considerata come morta, sia quanto alle cose temporali che a quelle spirituali.
xxxviii
Ma, ecco, la risurrezione di Cristo redime l'umanità, sì, proprio tutta l'umanità, e la riporta alla
presenza del Signore.
Sì, e realizza le condizioni del pentimento, cosicché chiunque si pente non è falciato e gettato nel
fuoco; ma chiunque non si pente è falciato e gettato nel fuoco; e sopraggiunge di nuovo su di lui la
morte spirituale, sì, una seconda morte, poiché vien di nuovo reciso quanto alle cose che
appartengono alla giustizia» (Helaman 14:12-18).
«Ecco, io sono Gesù Cristo, di cui i profeti attestarono che sarebbe venuto nel mondo.
Ed ecco, io sono la luce e la vita del mondo: ed ho bevuto da quella coppa amara che il Padre mi ha
dato ed ho glorificato il Padre prendendo su di me i peccati del mondo, e in questo ho accettato la
volontà del Padre in tutte le cose, fin dal principio.
E avvenne che quando Gesù ebbe pronunciato queste parole, tutta la moltitudine cadde a terra;
poiché si ricordarono che era stato profetizzato fra loro che Cristo si sarebbe manifestato a loro dopo
la sua ascensione al cielo.
E avvenne che il Signore parlò loro, dicendo:
Alzatevi e venite avanti verso di me, affinché possiate mettere le vostre mani nel mio fianco, e
possiate sentire anche le impronte dei chiodi nelle mie mani e nei miei piedi; cosicché possiate
sapere che io sono il Dio d'Israele e il Dio di tutta la terra, e che sono stato ucciso per i peccati del
mondo.
E avvenne che la moltitudine avanzò e pose le mani nel suo costato, e sentì le impronte dei chiodi
nelle sue mani e nei suoi piedi; e fecero questo facendosi avanti ad uno ad uno, finché furono tutti
passati, ed ebbero veduto con i loro occhi e sentito con le loro mani e seppero con certezza, e ne
resero testimonianza, che era Colui di cui era stato scritto dai profeti che sarebbe venuto.
E quando tutti si furono fatti avanti ed ebbero testimoniato per se stessi, gridarono tutti di comune
accordo, dicendo:
Osanna! Benedetto sia il nome dell'Altissimo Dio. E caddero ai piedi di Gesù e lo adorarono» (3 Nefi
11:10-17).
«Perciò io vi comando di pentirvi pentitevi, perché non abbia a colpirvi con la verga della mia
bocca, e con la mia ira, e con la mia collera, e che le vostre sofferenze siano dolorose quanto
dolorose non sapete, quanto intense non sapete, sì, quanto dure da sopportare non sapete.
Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno;
Ma se non volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me;
E queste sofferenze fecero sì che io stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e
sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo che nello spirito e desiderassi di non bere la
coppa amara e mi ritraessi
Nondimeno, sia gloria al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i figlioli degli uomini»
(DeA 19:15-19).
xxxix
«Sì, e beati i morti che d'ora innanzi muoiono nel Signore, quando il Signore verrà, e le cose vecchie
passeranno, e tutte le cose diverranno nuove, essi risorgeranno dai morti e non moriranno più, e
riceveranno una eredità dinnanzi al Signore, nella città santa.
E colui che sarà in vita quando verrà il Signore, e avrà conservato la fede, beato lui; nondimeno, è
stabilito che egli muoia all'età dell'uomo.
Pertanto, i bambini cresceranno fino a diventare vecchi; i vecchi moriranno, però non dormiranno
nella polvere, ma saranno mutati in un batter d'occhio.
Pertanto, per questo motivo gli apostoli predicarono al mondo la risurrezione dei morti» (DeA
63:49-52).
«Mediante il potere dello Spirito i nostri occhi furono aperti e il nostro intelletto fu illuminato, così
da vedere e da comprendere le cose di Dio;
Sì, quelle cose che erano fin dal principio, prima che il mondo fosse, che furono ordinate dal Padre
tramite il suo Figlio Unigenito, che era nel seno del Padre fin dal principio;
Del quale noi portiamo testimonianza; e la testimonianza che portiamo è la pienezza del Vangelo di
Gesù Cristo, che è il Figlio, che noi vedemmo e con il quale conversammo nella visione celeste.
Poiché, mentre stavamo eseguendo il lavoro di traduzione che il Signore ci aveva assegnato,
giungemmo al ventinovesimo verso del quinto capitolo di Giovanni, che ci fu dato come segue:
Che parla della risurrezione dei morti, riguardo a coloro che udranno la voce del Figlio dell'Uomo:
E si leveranno; coloro che hanno fatto il bene nella risurrezione dei giusti, e coloro che hanno fatto il
male nella risurrezione degli ingiusti.
Ora, di ciò restammo meravigliati, poiché c'era stato dato dallo Spirito.
E mentre meditavamo su queste cose il Signore toccò gli occhi del nostro intelletto ed essi furono
aperti, e la gloria del Signore risplendette intorno.
E noi vedemmo la gloria del Figlio alla destra del Padre e fummo partecipi della sua pienezza;
E vedemmo i santi angeli, e coloro che sono santificati davanti al suo trono, che adoravano Dio e
l'Agnello, e che lo adorano per sempre e in eterno.
Ed ora, dopo le numerose testimonianze che sono state date di lui, questa è la testimonianza, l'ultima
di tutte, che diamo di lui: Che egli vive!
Poiché lo vedemmo, sì, alla destra di Dio; e udimmo la voce che portava testimonianza che egli è il
Figlio Unigenito del Padre
Che da lui, e tramite lui, e mediante lui, i mondi sono e furono creati, ed i loro abitanti sono generati
figli e figlie per Dio» (DeA 76:12-24).
«Ora, in verità vi dico che tramite la redenzione che è fatta per voi si realizza la risurrezione dai
morti.
E lo spirito e il corpo sono l'anima dell'uomo.
E la risurrezione dai morti è la redenzione dell'anima.
E la redenzione dell'anima viene da colui che vivifica ogni cosa, nel seno del quale è decretato che i
poveri e i mansueti della terra la erediteranno.
xl
Perciò è necessario che essa sia santificata da ogni ingiustizia, affinché sia preparata per la gloria
celeste;
Poiché, dopo che avrà adempiuto la misura della sua creazione sarà coronata di gloria, sì, con la
presenza di Dio Padre;
Affinché i corpi che sono del regno celeste la posseggano per sempre e in eterno; poiché a questo
scopo essa fu fatta e creata, e a questo scopo essi sono santificati.
E vi sarà silenzio in cielo per lo spazio di mezz'ora; e immediatamente dopo la cortina del cielo si
dispiegherà come si dispiega un papiro dopo che è stato arrotolato, e il volto del Signore sarà svelato;
E i santi che saranno sulla terra, che saranno in vita, saranno vivificati e verranno rapiti per andargli
incontro.
E coloro che hanno dormito nella tomba ne usciranno, poiché le tombe saranno aperte e anch'essi
saranno rapiti per andargli incontro nel mezzo della colonna del cielo;
Essi sono di Cristo, le primizie: coloro che scenderanno con lui per primi e coloro che sono sulla
terra e nella tomba, che saranno per primi rapiti per andargli incontro; e tutto ciò per la voce del
suono della tromba dell'angelo di Dio» (DeA 88:14-20; 95-98).
«Poiché l'uomo è spirito. Gli elementi sono eterni, e spirito ed elementi inseparabilmente connessi
ricevono una pienezza di gioia.
E quando sono separati, l'uomo non può ricevere una pienezza di gioia» (DeA 93:33-34).
«Io credo che la venuta del Figlio dell'Uomo non sarà certo prima di quel tempo.
Qualsiasi principio di intelligenza noi conseguiamo in questa vita sorgerà con noi nella risurrezione.
E se una persona guadagna maggiore conoscenza e intelligenza in questa vita, mediante la sua
diligenza e la sua obbedienza, che un'altra, essa ne avrà altrettanto vantaggio nel mondo a venire.
Vi è una legge irrevocabilmente decretata nei cieli, prima della fondazione di questo mondo, sulla
quale si basano tutte le benedizioni.
E quando otteniamo una qualche benedizione da Dio, è mediante l'obbedienza a quella legge su cui
essa è basata.
Il Padre ha un corpo di carne ed ossa, tanto tangibile quanto quello dell'uomo; il Figlio pure; ma lo
Spirito Santo non ha un corpo di carne e ossa, ma è un personaggio di Spirito. Se non fosse così, lo
Spirito Santo non potrebbe dimorare in noi» (DeA 130:17-22).
«Sì, quando scenderai e le montagne fonderanno davanti a te, verrai incontro a colui che gioisce e
opera in rettitudine, a chi si ricorda di te nelle tue vie.
Poiché, fin dal principio del mondo gli uomini non hanno udito né percepito con l'orecchio, né
alcun occhio ha veduto, o Dio, a parte te, quali grandi cose hai preparato per colui che ti attende.
E si dirà: Chi è questo che scende da Dio nel cielo in vesti tinte, sì, dalle regioni che non sono
conosciute, rivestito delle sue vesti gloriose, che viaggia nella grandezza della sua forza?
Ed egli dirà: Sono colui che parlò in giustizia, potente per salvare.
xli
E il Signore sarà rosso nelle sue vesti, e i suoi abiti come colui che calca i piedi nel torchio.
E così grande sarà la gloria della sua presenza che il sole nasconderà la sua faccia per la vergogna, e la
luna tratterrà la sua luce, e le stelle saranno rimosse dal loro posto.
E si udrà la sua voce: Ho calpestato il tino da solo e ho portato il giudizio su tutti i popoli; e nessuno
era con me.
E li ho calpestati nella mia furia, e ho calcato i piedi su di loro nella mia collera, e ho spruzzato il loro
sangue sui miei abiti, e ho macchiato tutte le mie vesti; poiché questo era il giorno della vendetta che
era nel mio cuore.
Ed ora, l'anno dei miei redenti è giunto; ed essi racconteranno dell'amorevole benevolenza del loro
Signore e tutto ciò che egli ha dato loro, secondo la sua bontà e secondo la sua amorevole
benevolenza, per sempre e in eterno.
Egli fu afflitto in tutte le loro afflizioni. E l'angelo della sua presenza lì salvò; e nel suo amore e nella
sua compassione egli li redense e li sostenne e li portò in tutti i giorni antichi;
Sì, e anche Enoc, e coloro che erano con lui; i profeti che furono prima di lui; e anche Noè e coloro
che furono prima di lui; e anche Mosè e coloro che furono prima di lui;
E da Mosè a Elia, e da Elia a Giovanni, che erano con Cristo nella sua risurrezione, e i santi apostoli,
con Abrahamo, Isacco e Giacobbe, saranno in presenza dell'Agnello.
E le tombe dei santi si apriranno; ed essi usciranno e staranno alla destra dell'Agnello, quando egli
starà sul Monte Sion e nella città santa, la Nuova Gerusalemme; ed essi canteranno il canto
dell'Agnello, giorno e notte, per sempre e in eterno» (DeA 133:44-57).
«Ed ora, dopo le numerose testimonianze che sono
state date di lui, questa è la testimonianza, l’ultima di tutte, che diamo di lui:
Che egli vive!».
(DeA 76:22)
1
David Rolph Seely e Jo Ann H. Seely
David Rolph Seely era professore associato di Scritture antiche e Jo Ann H. Seely era professoressa di Scritture antiche presso la
Brigham Young University, al momento della pubblicazione di questo articolo.
David Rolph Seely e Jo Ann H. Seely, «Behold the Lamb of God», in Behold the Lamb of God: An Easter Celebration, a cura di Richard Neitzel Holzapfel, Frank F. Judd Jr., e Thomas A. Wayment (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 2008), 17–48.
«Ecco l'Agnello di Dio, sì, proprio il Figlio del Padre Eterno!» (1 Nefi 11:21).
e Scritture contengono molte metafore che c’insegnano riguardo al Signore Gesù Cristo, e un simbolo
particolarmente appropriato a Pasqua è quello dell’agnello. Il Salvatore è chiamato l’Agnello di Dio
dalla Sua vita preterrena fino al Suo trionfante regno millenario. Il simbolo dell’agnello è affascinante
per la sua semplicità, ma, nel contempo, presenta molte sfaccettature e offre spunti di riflessione per
approfondire la nostra comprensione del Salvatore. L’artista e poeta del XIX secolo William Blake ci ha dato
una magnifica immagine di un agnello, rappresentato in questa breve poesia:
Agnellino, chi ti fece?
Sai chi ti fece?
Ti diede la vita, e ti disse di mangiare
Dal ruscello e sopra il prato;
Ti diede un vestito di delizia,
Il più morbido vestito, di lana, chiaro;
Chi ti diede una così tenera voce,
da fare gioire tutte le valli!
Agnellino, chi ti fece?
Sai chi ti fece?
Agnellino, te lo dirò,
Agnellino, te lo dirò:
Egli è chiamato col tuo nome,
Poiché Egli Si chiama Agnello.
Egli è mite, ed Egli è buono;
Divenne un piccolo bambino.
Io un bambino, e tu un agnello,
Siamo chiamati col Suo nome.
Agnellino, Dio ti benedica!
Agnellino, Dio ti benedica!1
Blake ha descritto in modo poetico un agnello, oltre al nostro rapporto con l’Agnello. Gli agnelli sono
innocenti e puri, teneri, mansueti e miti, tutte caratteristiche che attribuiamo al Signore; essi sono una
meravigliosa metafora per il Salvatore. Blake ci collega anche all’Agnello in quanto Suoi figli, invitandoci a
diventare come Lui.
L
2
Fig. 1. William Bouguereau, L’innocence, 1893. Immagine riprodotta per gentile concessione dell’Art
Renewal Center; ® www.artrenewal.org. L’agnello vuole trasmettere l’idea di innocenza del Cristo
bambino.
La metafora dell’Agnello fu introdotta dal profeta Enoc nella sua visione del Salvatore del mondo:
«Il Giusto è elevato e l'Agnello è immolato fin dalla fondazione del mondo» (Mosè 7:47), istituendo l’agnello
come simbolo del sacrificio di Gesù Cristo centinaia di anni prima della Sua nascita. Quasi seicento anni
prima di Cristo, Nefi riportò la sua meravigliosa visione dell’Agnello di Dio, a cominciare dalla Sua nascita
e concludendo con la visione di Giovanni il Rivelatore riguardo agli eventi della fine dei tempi (vedere 1
Nefi 11–14). Nefi desiderava capire ciò che suo padre Lehi aveva visto in visione, e fu benedetto con una
gloriosa visione personale. Gli fu mostrata Maria con il Cristo fanciullo tra le braccia, alla quale visione
l’angelo annunciò: «Ecco l'Agnello di Dio, sì, proprio il Figlio del Padre Eterno!» (1 Nefi 11:21).
La visione continua, e Nefi vede l’Agnello di Dio che viene battezzato e svolge il Suo ministero
presso i figlioli degli uomini, la Sua crocifissione, la persecuzione degli Apostoli dell’Agnello e il Suo
ministero presso i Nefiti. Il vangelo dell’Agnello viene visto venire alla luce per «[far] conoscere a tutte le
tribù, lingue e popoli che l'Agnello di Dio è il Figlio del Padre Eterno e il Salvatore del mondo; e che tutti gli
uomini debbono venire a lui, altrimenti non possono essere salvati» (1 Nefi 13:40) e la visione si conclude
con la battaglia finale tra la chiesa dell’Agnello di Dio (vedere 1 Nefi 14). Pertanto, profeticamente, l’Agnello
è il simbolo tramite il quale Nefi contempla il ministero di Gesù Cristo e la storia del Suo regno sulla terra,
prima della nascita del Salvatore.
All’inizio del ministero terreno del Salvatore, nel Vangelo di Giovanni, facciamo la conoscenza di
Giovanni Battista, che sta battezzando nel deserto, portando testimonianza di Gesù Cristo. Dopo uno
scambio con i Farisei, Giovanni riconobbe Gesù che veniva verso di lui e dichiarò: «Ecco l'Agnello di Dio, che
toglie il peccato del mondo!» (Giovanni 1:29).
3
Fig. 2. Leonardo da Vinci, San Giovanni Battista, 1515. Erich Lessing/
Art Resource, NY. Louvre, Parigi, Francia. «Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!»
(Giovanni 1:29).
È interessante notare come, nella sua prima presentazione formale di Gesù, Giovanni utilizzi la semplice
metafora dell’Agnello di Dio. Questo ci dice molto riguardo a Gesù e alla Sua Espiazione. Egli è l’Agnello
sacrificale e toglierà i nostri peccati, un concetto che ha implicazioni dal significato eterno. L’immagine
dell’agnello è molto ricca e avvincente. Una breve analisi di questa metafora illuminerà molti aspetti di
questo simbolo, fornendo un modello per ciascuno di noi. Esamineremo poi il modo in cui questa immagine
è utilizzata nelle Scritture per descrivere il ministero terreno del Messia, il Suo sacrificio espiatorio, il Suo
ritorno trionfale e la Sua dimora eterna nel regno celeste. Abbiamo suddiviso il nostro argomento in quattro
categorie: (1) Agnello Sacrificale; (2) Agnello Pasquale; (3) Gesù Cristo come servo sofferente e Agnello
Pasquale; (4) Agnello Apocalittico.
L’Agnello Sacrificale
Fig. 3. Francisco de Zurbarán, L’Agnello di Dio, 1635–40. Diritti riservati © Museo Nacional del Prado –
Madrid.
«Ciò è a similitudine del sacrificio dell'Unigenito del Padre, che è pieno di grazia e di verità» (Mosè 5:7).
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Adamo ed Eva ricevettero il comandamento di offrire i primogeniti dei loro greggi al Signore
(vedere Mosè 5:5). Essi furono obbedienti, sebbene non capissero ancora le ragioni di questo sacrificio, fino a
quando un angelo insegnò loro: «Ciò è a similitudine del sacrificio dell'Unigenito del Padre, che è pieno di
grazia e di verità» (Mosè 5:7). L’agnello, dunque, è un simbolo del Salvatore sin dal principio: è il
primogenito del gregge, puro, immacolato e, nel compimento del sacrificio, in cui viene sparso del sangue e
viene data la vita, c’è un atto di obbedienza offerta liberamente secondo la volontà del Signore. Questi
principi collegati al sacrificio si trovano in tutte le Scritture e possiamo imparare molto dalle numerose storie
relative ai sacrifici e alle offerte. La storia di Caino e Abele
Fig. 4. I sacrifici presentati da Abele, Melchisedec e Abrahamo, antico mosaico Cristiano.
Sant’Apollinare in Classe, Ravenna, Italia. Scala/Art Resource, NY.
dimostrano la necessità della giusta motivazione nel fare un’offerta, in quanto i primogeniti di Abele furono
accolti, mentre l’offerta di Caino, ispirata da Satana, fu rigettata (vedere Mosè 5:18–21). Abrahamo portò una
decima di tutto ciò che aveva a Melchisedec e fu da questi benedetto: «Ed egli elevò la voce e benedisse
Abramo, poiché era il sommo sacerdote e il custode del magazzino di Dio» (TJS, Genesi 14:37). L’esempio
supremo di sacrificio nell’Antico Testamento è la storia di Abrahamo e di suo figlio Isacco, da cui possiamo
cogliere buona parte del significato di sacrificio.
Abrahamo fu chiamato dal Signore e gli fu comandato di sacrificare il suo amato figlio Isacco. Non
fu data alcuna spiegazione e la ragione, da sola, è insufficiente per fornire una completa comprensione di
questo comandamento. Abrahamo, uomo di fede, rispose semplicemente: «Eccomi» e procedette
all’adempimento delle istruzioni del Signore, senza ulteriori commenti (vedere Genesi 22:1–3). Giunti al
luogo stabilito, preparati la legna e il fuoco, Isacco chiamò il padre e chiese: «Dov'è l'agnello … Abraamo
rispose: «Figlio mio, Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto». E proseguirono tutti e due insieme.
Giunsero al luogo che Dio gli aveva detto. Abraamo costruì l'altare e vi accomodò la legna; legò Isacco suo
figlio, e lo mise sull'altare, sopra la legna» (Genesi 22:7–9; corsivo dell’autore).
Questo testo è ricco di significato, «carico di contesto»2 e offre un punto di partenza a numerose
discussioni sulla fede, l’obbedienza e il rapporto dell’uomo con Dio, ma noi ci concentreremo sul simbolo
dell’agnello e sul significato del sacrificio. Che cosa intende dire Abrahamo, nel suggerire a Isacco « Dio
stesso si provvederà l'agnello» (Genesi 22:8)? Dio ha comandato ad Abrahamo di sacrificare Isacco, eppure
Abrahamo dice al figlio che Dio provvederà un agnello. Abrahamo sta forse cercando di alleviare la paura di
Isacco, oppure sta profetizzando avvenimenti futuri? O entrambe le cose?
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Fig. 5. Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1603. Scala/Art Resource, NY.
In questa scena, i nostri occhi passano da un personaggio all’altro nel tentativo di cogliere il significato
del sacrificio che sta per avvenire. Siamo colpiti dall’orrore dipinto sul volto di Isacco, con la lama a
pochi centimetri dal suo collo. Osserviamo Abrahamo, rappresentato come perfettamente in silenzio.
L’angelo rivolge la nostra attenzione verso il montone, il quale sembra quasi proteggere e coprire
Isacco. L’animale sarà offerto come sostituto, un sacrificio offerto in vece di Isacco.
Nella letteratura ebraica, questo capitolo scritturale è chiamato Akedah o «legatura», in riferimento
al fatto che Abrahamo «legò Isacco suo figlio» (Genesi 22:9).3 Abrahamo aveva chiaramente compreso che
cosa ci si aspettava da lui, ma Isacco fu risparmiato. Il montone preso in mezzo al cespuglio fu offerto al
posto di Isacco, il figlio beneamato di Abrahamo. Il sangue dell’animale fu sparso al posto di quello di
Isacco, prefigurando il grande sacrificio del Signore Gesù Cristo a favore di tutti. Prima che Abrahamo e
Isacco fossero consapevoli della presenza di un sostituto che avrebbe salvato la vita di Isacco stesso,
entrambi manifestarono una fede incredibile e agirono senza esitazione. Un’offerta accettevole comporta
grandi sacrifici da parte di chi la offre, non soltanto beni materiali presi dalla propria abbondanza. Dopo che
Abrahamo e Isacco si furono dimostrati degni, la vita dell’animale fu offerta al posto di Isacco, proprio come
il Padre offrirà il Suo Diletto Figlio a favore di tutta l’umanità.
Quando l’angelo chiamò Abrahamo per prevenire il sacrificio, gli disse: «Ora so che tu temi Dio,
poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo» (Genesi 22:15). Qui sta la chiave: Abrahamo era disposto a
offrire al Signore suo figlio, il suo amato Isacco. Sacrificarsi significa dare del proprio meglio, il bene a cui
teniamo di più, al Signore.
Il sacrificio nel tempio. Il sacrificio, introdotto da Adamo, divenne parte del culto formale, prima nel
tabernacolo nel deserto, poi nel tempio sotto la legge di Mosè. Gli agnelli sono menzionati in modo specifico
per essere offerti come olocausto nei sacrifici della mattina e della sera, oltre a quelli del giorno del riposo,
delle festività speciali e dei giorni santi (vedere Esodo 29:38–42; Numeri 28; 29).
Il Signore istruisce il popolo d’Israele affinché porti i suoi sacrifici «senza difetto», «di sua spontanea
volontà» [Nuova Diodati, in accordo con la KJV; la Nuova Riveduta, invece, omette questa espressione; NdT] e
l’offerente «poserà la mano sulla testa dell'olocausto, e il SIGNORE lo accetterà come espiazione» (Levitico
1:3–4).
I concetti di purezza, mancanza di difetti, spontaneità e offerta della vita e del sangue come
espiazione volgono tutti a Cristo. Il sacrificio di sangue è commovente, nell’enfasi posta sulla vita offerta
come espiazione:
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«Poiché la vita della carne è nel sangue. Per questo vi ho ordinato di porlo sull'altare per fare
l'espiazione per le vostre persone; perché il sangue è quello che fa l'espiazione, per mezzo della vita»
(Levitico 17:11).
L’animale viene offerto al posto dell’offerente, con la vita dell’agnello o di un altro animale come
sostituzione. Gli effetti santificanti del sacrificio sono evidenti nella promessa data all’antica Israele, in
seguito alle istruzioni relative ai sacrifici del mattino e della sera: «Lì mi troverò con i figli d'Israele e la tenda
sarà santificata dalla mia gloria … Abiterò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio. Essi conosceranno che
io sono il SIGNORE, il loro Dio; li ho fatti uscire dal paese d'Egitto per abitare in mezzo a loro. Io sono il
SIGNORE, il loro Dio» (Esodo 29:43, 45–46).
L’Agnello Pasquale
«Il decimo giorno di questo mese, ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa» (Esodo 12:3).
L’Agnello Pasquale diventa l’immagine più interessante dell’agnello sacrificale. Durante il sacro
pasto Pasquale, i figli d’Israele rivivono e commemorano gli eventi legati alla redenzione dall’Egitto. Questi
sono gli elementi che compongono il pasto: l’agnello, il sangue, il pane azzimo e le erbe amare, tutte rivolte
alla venuta del Messia e alla redenzione che Egli avrebbe offerto dal peccato, dalla morte e dall’inferno.
Notate le caratteristiche dell’agnello: «Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, dell'anno … non gli
spezzate neanche un osso» (Esodo 12:5, 46). Tutto è un simbolo del Salvatore. Ciascuna famiglia sceglieva un
agnello e lo uccideva il quattordicesimo giorno del primo mese. Il sangue dell’animale veniva poi sparso
sull’architrave e sugli stipiti della porta come «segno» della loro obbedienza ai comandamenti del Signore.
Quando il Signore venne, nella notte, riconobbe l’obbedienza della famiglia, dimostrata dal sangue sulla
porta e «pass[ò] oltre», risparmiando il loro primogenito (Esodo 12:13).
Secondo la Bibbia, il simbolo principale della Pasqua era l’agnello sacrificale, che poteva essere
sacrificato soltanto presso il Tempio di Gerusalemme. La Pasqua doveva poi essere consumata all’interno
della singola famiglia o da un insieme di famiglie, che recavano in pellegrinaggio a Gerusalemme e
mangiavano l’intero agnello: la famiglia si riuniva, arrostiva l’agnello e lo mangiava con pane azzimo ed
erbe amare. Il pasto doveva essere consumato in fretta, ricordando la loro fuga dall’Egitto, con i fianchi cinti,
le scarpe calzate e il bastone in mano. Sebbene le tradizioni legate alla Pasqua siano mutate nel corso del
tempo, il pasto Pasquale continuò a Gerusalemme fino alla distruzione del Tempio, nel 70 d.C., dopo la
quale non vi fu più un luogo appropriato per sacrificare gli agnelli. In seguito, le famiglie continuarono a
celebrare la Pasqua, con i suoi possenti promemoria dell’intervento di Dio a loro favore, ma senza più poter
prendere parte al sacrificio di sangue. L’idea che il sangue dell’animale fosse un sostituto in vece della vita di
un altro fu soltanto raccontata ai figli per istruirli in merito al loro retaggio.
Pasqua Samaritana. Sebbene gli Ebrei abbiano proibito il sacrificio di sangue sin dalla distruzione del
Tempio, i Samaritani continuano ancora la tradizione Pasquale di sacrificare un agnello. Essi sono i
discendenti dei Samaritani del Nuovo Testamento, un popolo dal retaggio misto, disprezzati dagli Ebrei a
quel tempo e attualmente residenti in due villaggi in Israele e in Palestina. Essi celebrano una festa Pasquale
annuale in cui le famiglie si riuniscono per pregare e sacrificare gli agnelli.
Osservare questa cerimonia è un’esperienza toccante e molto profonda. Il sacrificio animale è
estraneo alla nostra società e, culturalmente, è un concetto molto strano per una mente moderna. È
interessante osservarlo attraverso gli occhi di persone che non solo si sentono culturalmente a proprio agio,
ma che la considerano un’importante esperienza di culto.
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Fig. 6. Ragazzi Samaritani con degli agnelli, in preparazione per il sacrificio Pasquale. Immagine per
gentile concessione di Jo Ann H. Seely.
I Samaritani si riuniscono una volta all’anno in cima al Monte Gerizim, con parenti e amici. Sono
vestiti con gli abiti migliori e c’è un’atmosfera festosa simile al nostro Giorno del Ringraziamento. I
preparativi cominciano al mattino presto, nelle varie case e nella piazza pubblica in cui il sacrificio avrà
luogo. Si preparano le buche nel terreno per l’arrosto e i falò vengono accesi con largo anticipo, per creare un
letto di braci ardenti per arrostire gli agnelli. I sacerdoti Samaritani cominciano a cantare la liturgia rituale
con molte ore d’anticipo. È molto interessante vederli portare gli agnelli per il sacrificio, i quali non vengono
spinti come animali al macello, ma sono portati nella pubblica piazza individualmente, di solito da giovani
uomini che li chiamano per nome e li accarezzano affettuosamente. Gli agnelli sono il loro bene prezioso, che
offrono a Dio. La gola dell’agnello viene tagliata al tramonto, nell’esatto momento stabilito dal sommo
sacerdote Samaritano. Il popolo alza un grande grido, ci sono gioia, applausi, abbracci e baci. Le persone
bagnano le mani nel sangue dell’agnello e lo spargono sulla fronte l’uno dell’altro, dai nonni fino ai giovani,
esultando nel sangue dell’agnello che manifesta la loro obbedienza ai comandamenti di Dio. È difficile
immaginarlo, ma essi si sentono uniti nell’aver adempiuto i requisiti di Dio, insieme.
Fig. 7. Agnelli Pasquali sacrificati e Samaritani che celebrano l’adempimento dei requisiti di Dio. ©
Hanan Isachar/isachar-photography.com
Le carcasse degli agnelli vengono esaminate dai sacerdoti, per assicurarsi che non vi siano difetti.
Quindi, gli agnelli vengono preparati per essere arrostiti nelle buche preparate appositamente. La festa è
condivisa dalle famiglie e dai vicini riuniti, mentre la storia della Pasqua viene ripetuta. C’è grande gioia tra
il popolo per aver adempiuto i principi del sacrificio insegnati sin dal principio: un atto di obbedienza ai
comandamenti, lo spargimento di sangue per donare la vita e l’offerta volontaria di un bene molto prezioso.
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La Pasqua fu identificata come momento prescelto per insegnare l’importanza dell’Esodo alla
generazione successiva: «Quando i vostri figli vi diranno: "Che significa per voi questo rito? risponderete:
"Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del SIGNORE, il quale passò oltre le case dei figli d'Israele in
Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case"» (Esodo 12:26–27). Il pasto Pasquale era un memento
della grande liberazione dalla schiavitù in Egitto, e agli Ebrei fu comandato di celebrarla con la propria
posterità, per ricordarsi l’intervento del Signore a loro favore.
Gesù Cristo come Servo Sofferente e Agnello Pasquale
«Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a
chi la tosa, egli non aprì la bocca» (Isaia 53:7).
Isaia descrive il Messia come un servo mite e umile, la Sua Espiazione come un agnello «condotto al
mattatoio», che «non aprì la bocca» in Sua difesa (Isaia 53:7). Durante la Settimana della Passione, Gesù
adempì il Suo ruolo di Agnello Pasquale in collegamento con la profezia del servo sofferente di Isaia.
I Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) riferiscono che Gesù e i Suoi Apostoli si riunirono in una
sala superiore e celebrarono la Pasqua all’Ultima Cena (vedere Marco 14:13–15). Al mattino, Gesù mandò
Pietro e Giovanni a compiere i preparativi per la celebrazione. Essi entrarono a Gerusalemme, piena di folle
di pellegrini, e acquistarono un agnello Pasquale senza difetti, che portarono al tempio. Poiché, da
tradizione, l’offerente doveva uccidere l’animale, uno degli Apostoli tagliò la gola all’agnello legato e lo
passò al sacerdote, che raccolse il sangue in un catino e lo sparse sull’altare, in memoria di Mosè, il quale
asperse il sangue sull’altare e sul popolo, quando strinsero l’alleanza con il Signore sul Sinai (vedere Esodo
24:6). Gli Apostoli portarono poi l’agnello preparato nella sala superiore, dove lo arrostirono senza
spezzarne alcun osso (vedere Esodo 12:46). Al tramonto, Gesù e i Suoi Apostoli si sedettero, reclinati,
attorno al tavolo e, raccontando la storia della liberazione miracolosa della prima Pasqua, consumarono la
Pasqua composta dall’agnello, dal pane azzimo, dalle erbe amare e dal vino, tutti simboli della redenzione
dall’Egitto avvenuta secoli prima.4
Fig. 8. Walter Rane, In memoria di Me. Immagine per gentile concessione del Museo di Arte e Storia della Chiesa, ©
Intellectual Reserve, Inc.. Gesù e gli Apostoli consumarono l’Ultima Cena insieme, secondo l’uso del tempo, seduti
reclinati attorno a un tavolo.
Dopo il pasto, Gesù prese due elementi simbolici della cena Pasquale, il pane azzimo e il vino, li
benedì e li santificò perché rappresentassero il Suo corpo e la Sua vita: ««Prendete, mangiate, questo è il mio
corpo». Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti»» (Matteo 26:26–27).
Sebbene gli Occidentali associno comunemente il sangue alla morte, dobbiamo ricordare che, nell’antica
Israele e in tutta la Bibbia, il sangue rappresentava la vita. Ad esempio, Deuteronomio 12:23 insegna:
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«Il sangue è la vita».
Con il pane e il vino, Gesù offre ai Suoi seguaci la vita, tramite la Sua Espiazione. Pertanto, in quella
sera di primavera, Gesù e i Suoi Apostoli consumarono l’agnello Pasquale, celebrando mediante simboli
l’antico atto di redenzione in cui Geova liberò il Suo popolo dalla schiavitù fisica dell’Egitto e dalla morte nel
Mar Rosso. Gesù, quindi, offrì agli Apostoli il pane e il vino e li trasformò nel sacramento, i simboli della
redenzione che sarebbe presto avvenuta. Dall’Ultima Cena, Gesù si sarebbe recato nel Giardino di
Getsemani, dove l’Espiazione avrebbe avuto inizio.
A differenza dei sinottici, Giovanni riporta nel suo Vangelo che l’Ultima Cena avvenne il giorno
prima di Pasqua (vedere Giovanni 13:1; 19:31) e, dunque, rappresenta Gesù legato e crocifisso esattamente
nel momento in cui gli agnelli Pasquali venivano uccisi nel tempio.5 Giovanni è l’unico autore evangelico a
chiamare Gesù l’Agnello di Dio, sebbene si trovino degli echi in Paolo, il quale chiama Cristo «la nostra
Pasqua ... [che] è stata immolata» (1 Corinzi 5:7) e in Pietro, il quale insegnò che la santificazione avviene
«con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia» (1 Pietro 1:19).
Giovanni, inoltre, nel suo Vangelo, identifica Gesù in modo esplicito con l’Agnello Pasquale,
modellando di conseguenza il suo racconto per inquadrare il ministero di Gesù il Cirsto quale Agnello di
Dio, dalla prima testimonianza di Giovanni Battista: «Ecco l’Agnello di Dio!» (Giovanni 1:36) fino alla
testimonianza di Giovanni il Diletto, alla morte del Salvatore, dichiarando che Egli era l’Agnello Pasquale:
«Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: «Nessun osso di lui sarà spezzato»» (Giovanni
19:36).
Fig. 9. Gerrit van Honthorst, Cristo dinanzi al Sommo Sacerdote. © National
Gallery, Londra. Le rappresentazioni artistiche di Gesù durante il Suo processo includono spesso il dettaglio
delle Sue mani legate, rammentando all’osservatore Isacco e gli animali legati per il sacrificio del tempio.
Dopo che Cristo ebbe iniziato a adempiere la volontà del Padre bevendo dalla coppa amara
dell’Espiazione nel Giardino di Getsemani, Giovanni riporta che Gesù fu tradito da Giuda, «la coorte,
dunque, il tribuno e le guardie dei Giudei presero Gesù e lo legarono» (Giovanni 18:12). Gesù legato è un
simbolo centrale in tutti i Vangeli, particolarmente in Marco, in cui gli Ebrei, dopo il processo dinanzi al
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sommo sacerdote, «legarono Gesù» e Lo mandarono da Pilato (Marco 15:1; vedere anche Matteo 27:2). Nel
Vangelo di Giovanni, tuttavia, Gesù fu legato al momento dell’arresto. L’immagine di Gesù legato ci ricorda
Isacco legato nell’Akedah, dall’ebraico ‘aqad, «legare», che appare nella Bibbia soltanto in Genesi 22:9, ma,
nell’ebraico post-biblico, significa «legare le zampe di un animale per il sacrificio».6 Nel caso degli animali, i
lacci volevano impedire loro di dimenarsi al momento dell’uccisione. Nel caso di Abrahamo e Isacco, alcuni
hanno notato come la legatura del giovane Isacco da parte del suo anziano padre funga da simbolo della
disponibilità di Isacco a sottomettersi alla volontà del padre.7
Iniziò dunque la serie di processi in cui Gesù, come profetizzato da Isaia, stette dinanzi ai Suoi
giudici, mansueto, legato come un agnello al mattatoio, e non aprì la bocca.
Egli comparve prima dinanzi ad Anna, poi al sommo sacerdote Caiafa e infine a Pilato. Inizialmente,
Gesù rispose solennemente ai Suoi accusatori, attestando di essere il Messia. Nella seconda parte del
processo davanti a Pilato (vedere Marco 15:3–5) e, in modo particolare, dinanzi ad Erode Antipa, come
profetizzato da Isaia, Gesù letteralmente «non ha aperto la bocca» (Atti 8:32; vedere anche Luca 23:8–9). La
storia è nota. Come conseguenza dello scambio dinamico tra i capi Giudei e Romani e il popolo, Gesù fu
condannato a morire. Quando Abrahamo stava per uccidere suo figlio Isacco, il Signore fornì un sostituto
sotto forma di un montone nel cespuglio; tuttavia, quando Pilato suggerì di rispettare la tradizione del
sostituto pasquale per salvare la vita di Gesù, fu Barabba, «figlio dell’uomo» in aramaico, ad essere liberato.
Quando Isacco, sulla strada verso Moria, chiese a suo padre: «Dov'è l'agnello per l'olocausto?» Abrahamo
replicò: «Figlio mio, Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto» (Genesi 22:7–8). Gesù era l’agnello
promesso e preparato dalla pre-esistenza a morire perché noi potessimo vivere, il «montone in un
cespuglio».
Giovanni cita diversi simboli della Pasqua nel suo resoconto della crocifissione, simboli che
mostrano Gesù quale Agnello Pasquale.8 In primo luogo, Giovanni nota come gli Ebrei, portando Gesù
dinanzi a Pilato, non entrassero nel Pretorio, «per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua»
(Giovanni 18:28). Con questa semplice nota, Giovanni, con la sua pungente ironia, mostra come, sebbene gli
Ebrei fossero ben consapevoli dell’importanza di evitare l’impurità per la Pasqua, essi stessero prendendo
parte, ignari, all’uccisione di Gesù il Messia, il vero Agnello Pasquale.
In secondo luogo, il lettore può scorgere, in questa nota cronologica, il fatto che Gesù sarà
effettivamente ucciso sulla croce nel momento esatto in cui gli agnelli Pasquali saranno uccisi nel tempio.9
In terzo luogo, Giovanni osserva: «Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta,
affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Per spegnere la Sua sete, qualcuno ai piedi della croce
«posta dunque una spugna, imbevuta d'aceto [oxos in greco], in cima a un ramo d'issopo, l'accostarono alla
sua bocca» (Giovanni 19:28–29). La scrittura che Gesù sta adempiendo è Salmi 22:1 oppure Salmi 69:21, ove
si parla di un giusto che soffre la sete nella persecuzione. Il termine greco tradotto come «aceto» nella Nuova
Riveduta si riferisce a un vino amaro, forse un’allusione ironica al vino bevuto durante la cena Pasquale,
santificato all’Ultima Cena perché rappresentasse la vita del Salvatore. Il lettore può ricordare che il
ministero di Gesù iniziò con il miracolo di Cana, quando Gesù mutò l’acqua in vino; ora, al termine della Sua
vita, Gesù berrà il vino amaro prima di morire e l’acqua scaturirà dal Suo fianco (vedere Giovanni 19:34).
Quarto: la verga usata per portare la spugna alla bocca del Salvatore era di issopo, la pianta prescritta
in Esodo 12 perché fosse usata per aspergere il sangue dell’agnello sull’architrave e sugli stipiti delle case dei
fedeli (vedere Esodo 12:22).
Infine, quando Pilato ordinò di spezzare le gambe dei due criminali ai lati di Gesù per affrettarne la
morte, i soldati ferirono il fianco di Gesù per accertarsi che fosse morto. Ne fuoriuscirono acqua e sangue,
l’acqua viva e il sangue della vita di Gesù offerti per i figlioli degli uomini. Questo portò Giovanni a
testimoniare: «Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: «Nessun osso di lui sarà spezzato»»
(Giovanni 19:36), in adempimento della prescrizione di Esodo per l’agnello Pasquale (vedere Esodo 12:46).
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Fig. 10. Matthias Grünewald, Pala d’altare di Isenheim. Musée Unterlinden, fotografia di O.
Zimmermann Colmar. L’agnello ai piedi della croce ci ricorda l’immagine giovannea di Gesù quale
Agnello di Dio. Qui, l’Agnello raccoglie il sangue in un calice che simboleggia il sacramento,
l’ordinanza tramite cui Gesù è in grado di trasmettere a noi la Sua vita, quando prendiamo della Sua
carne e del Suo sangue.
Dunque, nelle parole di Isaia, l’Agnello di Dio «Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni,
stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue
lividure noi siamo stati guariti … Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è
stato con il ricco» (Isaia 53:5, 9). Tre giorni dopo, l’Agnello di Dio vinse il peccato, la morte e l’inferno,
risorgendo dalla morte e ascendendo al cielo.
Gesù Cristo quale Agnello Apocalittico
«Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che sembrava
essere stato immolato, e aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio, mandati per tutta la terra»
(Apocalisse 5:6).
Negli scritti di Giovanni, incontriamo Gesù come Agnello di Dio nel libro dell’Apocalisse. Gran
parte delle immagini e dei simboli utilizzati da Giovanni per descrivere Gesù trovano il loro culmine in
Apocalisse. Quando leggiamo l’Apocalisse, dobbiamo ricordarci che si tratta di una ripetizione della storia
cosmica della salvezza, nota all’antica Israele soltanto tramite l’Antico Testamento, attraverso la lente della
vita e dell’Espiazione di Gesù Cristo. Pertanto, molti dei simboli dell’Antico Testamento trovano il loro
adempimento in Apocalisse.
Giovanni vide in visione Dio seduto sul Suo trono celeste, circondato da ventiquattro anziani, un
mare di vetro e le quattro bestie già citate da Ezechiele. Giovanni vide un libro sigillato con sette suggelli, e
Cristo, descritto come «un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, e aveva sette corna e sette
occhi» (Apocalisse 5:6). Questi è Cristo, l’Agnello - servo sofferente e mansueto e l’Agnello Pasquale.
L’Agnello, tramite l’Espiazione, trionfa sulla morte e vince il peccato e l’inferno. Tutta la creazione s’inchina
dinanzi all’Agnello trionfante e Lo loda perché Egli ha il potere di aprire i sette suggelli del libro, di rivelare
la storia del mondo e di sconfiggere la bestia, un simbolo di Satana.
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Fig. 11. Fratelli Limbourg, San Giovanni a Patmo contempla la visione dell’Agnello sul trono, le Quattro
Creature e i Ventiquattro Anziani, tratto da Les Très Riches Heures du Duc de Berry, 1416. Manoscritto su
pergamena, Musée Condé, Chantilly, Francia. Reunion des Musées
Nationaux/Art Resource, NY. L’arte Cristiana rappresenta spesso la visione di Giovanni dell’Agnello
sul Suo trono in cielo, circondato dai ventiquattro anziani e dalle quattro creature presso il Suo trono
celeste.
C’è un profondo paradosso riguardo all’immagine dell’Agnello mite e umile, ora vittorioso e in
grado di sconfiggere e scacciare la bestia. Il paradosso è uguale a quello del servo sofferente: la vittoria sul
peccato, sulla morte e sull’inferno poteva compiersi soltanto tramite l’umiltà e la sottomissione alla volontà
del Padre, grazie al sacrificio di Sé a favore degli altri.
Fig. 12. Agnus Dei trionfante con croce su un bastone. Coperchio di un sacrario per reliquie, dono del
Re d’Asturia Alfonso il Grande (866–910). Cattedrale di Astorga. Disegno di Hans-Ruedi Weber, in The
Way of the Lamb: Christ in the Apocalypse, Lenten Meditations (Geneva: WCC Publications, 1988).
In questa visione, l’Agnello di Dio viene altresì equiparato al «leone della tribù di Giuda, il
discendente di Davide», l’immagine di Cristo quale Messia Davidico dell’Antico Testamento (Apocalisse
5:5). La metafora del leone è un meraviglioso promemoria della dignità e del potere regale di Gesù quale
Messia Davidico. Questa immagine è un rovesciamento del paradosso dell’agnello e ci ricorda che Gesù, il
possente Leone di Giuda, il Dio dei cieli e della terra, scese sulla terra e, in umiltà, offrì la Sua vita con
mansuetudine, come un agnello. Sebbene il leone ci rammenti la Sua forza e il Suo potere, è Cristo
nell’immagine dell’Agnello immolato che vincerà, alla fine, le forze di Satana: «Combatteranno contro
l'Agnello e l'Agnello li vincerà» (Apocalisse 17:14).
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Nei suoi libri, Giovanni identifica i titoli e le metafore del Salvatore che c’insegnano sia riguardo alla
Sua natura e al Suo sacrificio espiatorio, sia riguardo alla natura del nostro rapporto con Lui e, dunque, del
nostro ruolo all’interno del piano evangelico. Ad esempio, Gesù insegnò ai Suoi Apostoli: «Io sono la vite,
voi siete i tralci» (Giovanni 15:5), «Io sono il pane della vita … se uno mangia di questo pane vivrà in eterno»
(Giovanni 6:48, 51) e «Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore» (Giovanni 10:11).
Questo stesso schema si ripresenta in Apocalisse e possiamo imparare molto dalle immagini utilizzate per
spiegare il nostro rapporto con l’Agnello, mediato dall’Espiazione.
Fig. 13. Leone con croce su un bastone. Liber floridus, 1250–70. Bibliothèque nationale de France.
Il sangue santificatore dell’Agnello. Durante l’apertura del sesto suggello, Giovanni vide la
Restaurazione del Vangelo e i 144.000. Egli descrisse il raduno dei fedeli seguaci di Cristo che si recavano
presso il trono dove siede l’Agnello. Essi sono descritti come «quelli che vengono dalla grande tribolazione.
Essi hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell'Agnello. Perciò sono davanti al trono di
Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro»
(Apocalisse 7:14–15). Giovanni, dunque, descrive il paradosso dell’Espiazione e la dottrina della
santificazione. Coloro i quali lavano le proprie vesti, macchiate dal sangue dei loro peccati, nel sangue
dell’Agnello, sono santificati e le loro vesti divengono bianche nel sangue dell’Agnello, il quale permette loro
di dimorare per sempre alla presenza di Dio.
L’Agnello come Pastore. Giovanni, inoltre, descrive le persone alla presenza dell’Agnello in questi
termini: «Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché
l'Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà
ogni lacrima dai loro occhi» (Apocalisse 7:16–17). Il significato di questo passo attinge dall’Antico
Testamento in misura notevole. Qui, l’Agnello è diventato Pastore, descritto usando l’immagine di Salmi 23,
attingendo da diverse metafore dell’Antico Testamento in cui Dio è il Buon Pastore che raduna il Suo gregge
(vedere Ezechiele 34).
Eppure, i membri del Suo gregge devono diventare pastori anch’essi, come insegnò Gesù nella
parabola della pecorella smarrita, disposti a sacrificarsi per trovare quest’ultima e gioire quando la
ritrovano.10
L’idea dell’agnello che diventa pastore coglie il profondo significato dell’incarnazione del Salvatore,
che Dio si fa carne, che Egli sa come soccorrerci nella carne (vedere Ebrei 2:18; Alma 7:12). Chi potrebbe
essere un pastore migliore di un agnello che conosce le necessità, i desideri e le inclinazioni delle pecore del
gregge? Chi potrebbe diventare un padre migliore di un figlio, o una madre migliore di una figlia, e un
miglior padrone di un fedele servitore? Pertanto, ci viene insegnato semplicemente che anche noi, come
pecore, dobbiamo seguire l’Agnello, il nostro Pastore, per diventare pastori del Suo gregge.
14
Sapere che l’Agnello ha il potere di «asciug[are] ogni lacrima dai loro occhi» è importante, per coloro
che conoscono la profezia di Isaia sulla Seconda Venuta del Messia, il Quale «annienterà per sempre la
morte; il Signore, Dio, asciugherà le lacrime da ogni viso» (Isaia 25:8). Chi può offrirci conforto meglio
dell’Agnello che ha sofferto per noi?
L’Agnello e le acque della vita. Infine, nella visione di Giovanni della città santa di Gerusalemme alla
fine dei tempi, egli dice: «Nella città non vidi alcun tempio, perché il Signore, Dio onnipotente, e l'Agnello
sono il suo tempio. La città non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la
illumina, e l'Agnello è la sua lampada» (Apocalisse 21:22–23). In questa visione, molti dei simboli del
Vangelo di Giovanni trovano il loro culmine. Giovanni vide scorrere dal trono di Dio e dell’Agnello «il fiume
dell'acqua della vita, limpido come cristallo», che bagnava l’albero della vita e portava il suo frutto «per la
guarigione delle nazioni» (Apocalisse 22:1–2). L’Agnello come tempio celeste è il culmine della dottrina
dell’incarnazione. Nella sua prefazione, Giovanni descrisse la venuta di Gesù sulla terra per ottenere un
corpo con l’espressione «ha abitato per un tempo fra di noi» (vedere Giovanni 1:14; nella Versione inglese di Re
Giacomo, ‘abitato’ è reso col termine ‘tabernacling’, più preciso ma intraducibile in italiano; vedi anche il commento
dell’autore sotto; NdT): Egli ha piantato letteralmente la Sua tenda (lo stesso termine greco usato nell’Antico
Testamento per indicare il Tabernacolo). In seguito, Gesù fece riferimento al proprio corpo come a un
tempio: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» (Giovanni 2:19). Il fatto che la città
celeste non abbia bisogno della luce del sole è in adempimento del detto di Gesù: «Io sono la luce del
mondo» (Giovanni 8:12). Dal corpo dell’Agnello sulla croce, quando il soldato conficcò una lancia nel Suo
costato, fuoriuscirono «sangue e acqua» (Giovanni 19:34): il sangue deve essere bevuto in concomitanza con
il Pane della Vita (vedere Giovanni 6:51–53) e l’acqua viva doveva scaturire dal seno del Messia (vedere
Giovanni 7:38). Le acque che scorrono dal trono dell’Agnello per irrigare l’albero della vita sono
l’adempimento celeste delle profezie di Ezechiele (vedere Ezechiele 47) e Zaccaria (vedere Zaccaria 14:8), i
quali videro nel futuro le acque scorrere dal tempio della Gerusalemme terrena per guarire il Mar Morto.
Questa immagine adempie anche la profezia di Nefi, il quale vide la sorgente di acque vive che scorrevano
dall’albero della vita, «le quali acque sono una rappresentazione dell'amore di Dio» (1 Nefi 11:25). Queste
acque vive rappresentano la vita resa possibile dall’Espiazione che dona la vita e bagnano anche l’albero
della vita «per la guarigione delle nazioni» (Apocalisse 22:2). E quelli che adorano dinanzi al trono «
vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte» (Apocalisse 22:4).
«Ecco l’Agnello di Dio»: in questa semplice frase, impariamo dagli autori dei Vangeli il significato
della missione, del messaggio e dell’Espiazione di Gesù Cristo. Durante la Primavera, in tutto il Medio
Oriente, in Europa, in America e, in verità, in tutto il mondo, viaggiando per le campagne, possiamo essere
testimoni e meravigliarci della nuova vita manifesta negli innumerevoli, innocenti e neonati agnelli. È il
tempo della Pasqua Ebraica e Cristiana, in cui possiamo contemplare un agnello e stupire dinanzi alla grazia
di Dio resa manifesta nell’Agnello di Dio.
Fig. 14. Jan van Eyck, L’Adorazione
dell’Agnello dettaglio della pala
d’altare di Gent, 1432. Scala/Art
Resource, NY. Cattedrale di S.
Bavo, Gent, Belgio. Questo dipinto
rappresenta l’Agnello di Dio su un
altare sopraelevato, con la fonte
della vita davanti a esso, circondata
dai profeti, dagli apostoli e da altri
seguaci di Cristo.
15
Noi che accettiamo l’Espiazione di Gesù Cristo siamo invitati al banchetto nuziale dell’Agnello
(vedere Apocalisse 19:1–9; DeA 58:1–11). Possiamo così unirci alle schiere celesti che s’inchinano dinanzi
all’Agnello trionfante, cantando l’inno reso immortale dalla musica di Handel: «Degno è l'Agnello, che è
stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode … «A
colui che siede sul trono, e all'Agnello, siano la lode, l'onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli»»
(Apocalisse 5:12–13).
NOTE
[1] William Blake, «The Lamb», in The Complete Poetry and Prose of William Blake, a cura di David V. Erdman, (Berkeley, CA: University of California Press, 1982), 8–9.
[2] Erich Auerbach, Mimesis: The Representation of Reality in Western Literature (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1974), 12. Auerbach discute la brevità con cui la storia di Abrahamo e Isacco viene presentata in Genesi 22, eppure, anche, quanto «profonda» sia l’obbedienza silenziosa di Abrahamo, in realtà, e quanto «carichi di contesto» siano i personaggi biblici rispetto ad altri personaggi della letteratura occidentale, come, ad esempio, gli eroi omerici.
[3] Vedere Carol Delaney, Abraham on Trial: The Social Legacy of Biblical Myth (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1998), 111.
[4] Al tempo di Gesù, i calici di vino erano diventati una parte importante della Pasqua. Per un resoconto più dettagliato dell’Ultima Cena come pasto Pasquale, vedere David Rolph Seely, «The Last Supper According to Matthew, Mark, and Luke», in The Life and Teachings of Jesus Christ: From the Last Supper through the Resurrection, a cura di Richard Neitzel Holzapfel e Thomas A. Wayment (Salt Lake City: Deseret Book, 2003), 82–94.
[5] Sono stati compiuti molti tentativi di riconciliare la cronologia delle due fonti. Forse, sono entrambe corrette in quanto c’era più di un giorno in cui celebrare la Pasqua; forse, la differenza è dovuta alla deliberata composizione dei due diversi racconti. Per una discussione più dettagliata di questo punto, vedere David Rolph Seely, «The Last Supper», 64–74.
[6] Victor P. Hamilton, The Book of Genesis: Chapters 18–50 (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1995), 110–11.
[7] Vedere Gordon J. Wenham, Word Biblical Commentary: Genesis 16–50 (Dallas: Word Books), 109.
[8] Una buona analisi di Gesù quale Agnello Pasquale si trova in S. Keener, The Gospel of John: A Commentary (Peabody, MA: Hendrickson, 2003), 2:1133–57.
[9] Ci sono molti dibattiti sull’ora dei sacrifici pasquali e sulla cronologia di Giovanni nel giorno della crocifissione. La maggior parte di essi concorda sul fatto che Gesù sia stato ucciso nel momento in cui gli agnelli venivano uccisi nel tempio (vedere Keener, The Gospel of John, 2:1100–103).
[10] Per uno studio esauriente su Gesù Cristo quale Pastore, vedere Dana M. Pike, «Jesus, the Great Shepherd King», in Celebrating Easter, a cura di Thomas A. Wayment e Keith J. Wilson (Provo, UT: BYU Religious Studies Center, 2006), 61–86.
16
17
La Resurrezione come foglia d’olivo:
Una meditazione George S. Tate
George S. Tate era professore di discipline umanistiche e letteratura comparata presso la Brigham Young University,
al momento della pubblicazione di questo articolo.
George S. Tate, «The Resurrection as Olive Branch: A Meditation», in Behold the Lamb of God: An Easter Celebration, ed. Richard Neitzel Holzapfel, Frank F. Judd Jr., and Thomas A. Wayment (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 2008), 165–84.
uesto capitolo vuole forse essere più una meditazione personale sulla Resurrezione che
un’esposizione dottrinale. Vorrei iniziare con uno dei momenti più toccanti di tutta la musica sacra,
che troviamo verso la fine della Passione di S. Giovanni di Bach. In quest’opera, Bach mise in musica
ogni parola della storia della Passione nel Vangelo di Giovanni, dal tradimento, passando per la
crocifissione, fino alla sepoltura. Inoltre, Bach incluse dei brani corali e delle arie, in mezzo ai passi cantati
dall’Evangelista, volti a commentare gli avvenimenti del racconto in vari modi. L’aria che mi commuove di
più giunge poco dopo le parole di Gesù, alla fine della Sua agonia sulla croce: «È compiuto». L’Evangelista,
allora, dice: «E, chinato il capo, rese lo spirito» (Giovanni 19:30). Qui, Bach inserì quest’aria introspettiva,
lirica, per basso, in cui un testimone della crocifissione, come rappresentante di ciascuno di noi, s’interroga
in merito alle implicazioni delle parole «È compiuto» e del capo chino:
Mio amato Salvatore, permettimi di chiederTi,
poiché … Tu stesso hai detto: «È compiuto»;
significa questo che sono stato liberato dalla morte?
Posso ottenere il regno celeste
mediante la Tua sofferenza e la Tua morte?
È la redenzione del mondo intero vicina?
Tu non puoi parlare per l’agonia,
eppure, chini il Tuo capo
e, in silenzio, dici: «Sì»!1
Per come Bach ordina il testo, l’ultima azione terrena di Gesù, il chinare il capo, attesta che
l’Espiazione è invero stata compiuta, che siamo stati liberati dalla morte, che possiamo ritornare a Dio e che
la redenzione è disponibile a tutti.
Notate come prima della Resurrezione il testimone riflessivo di Bach chieda: «Significa questo che
sono stato liberato dalla morte?» Vorrei analizzare una domanda apparentemente strana: Qual è il rapporto
tra l’Espiazione e la Resurrezione del corpo? L’Espiazione non fu forse completata con la morte di Cristo
sulla croce? Il prezzo del peccato fu pagato tramite l’agonia di Cristo nel Getsemani e il Suo sacrificio sul
Golgota. Il Salvatore prese i nostri peccati su di Sé e, portandoli, fu ucciso per noi. Le Scritture ci dicono che,
da Adamo fino ai giorni di Cristo, l’offerta dei sacrifici prefigurò il sacrificio espiatorio dell’Agnello di Dio
(vedere Mosè 5:6–7). In nessuno di questi sacrifici, tuttavia, all’agnello sacrificale era richiesto di resuscitare
perché l’offerta fosse accettabile e completa.
Perché, allora, una resurrezione del corpo? Cristo, sotto la direzione del Padre, non creò forse il
mondo fisico pur non avendo ancora ottenuto un corpo fisico? Quale Geova, Dio dell’Antico Testamento,
Q
18
Egli operò miracoli con gli elementi: il Diluvio, l’apertura del Mar Rosso, l’acqua dalla roccia, il
fuoco dal cielo sull’altare. Egli toccò le pietre staccate dal fratello di Giared (il quale, per fede, vide il Suo
dito, poi il Suo intero corpo di spirito) e fece sì che emettessero luce (vedere Ether 3:6–13). Se un corpo fisico
non è necessario per esercitare potere sulla materia, perché dovrebbe essere necessaria una Resurrezione?
Nei momenti di dolore, parliamo spesso del conforto della Resurrezione. Troviamo una certa
consolazione nella riverenza che mostriamo al corpo nella morte: lo rivestiamo con gli abiti del tempio, ove
appropriato, lo conserviamo in una bara, riunendoci attorno a essa per una preghiera familiare, dedicando la
tomba come luogo di riposo e di rimembranza. Tuttavia, non è come se, alla morte, la persona amata cessi di
esistere o resti ferma e dormiente fino alla Resurrezione. Nonostante le nostre metafore sul riposo e il sonno,
noi sappiamo, tramite alcune esperienze personali, che lo spirito continua a vivere dopo la morte come
persona attiva.2 Dunque, la continuità della vita, paradossalmente, non viene spezzata dalla morte. La
persona, essendo stata messa alla prova nel corpo in questo mondo, ha compiuto questo stato e continua
come corpo di spirito, che Dottrina e Alleanze 131:7 ci dice essere materia anch’esso, ma più raffinata di
quella che compone la nostra carne: «Ogni spirito è materia, ma è più fine o pura, e può essere percepito
soltanto mediante occhi più puri». Non è forse un conforto sufficiente, avere questa conoscenza di continuità
e la rassicurazione che saremo riuniti in spirito con i nostri cari defunti quando moriamo? Dopotutto, fu nel
Suo corpo di spirito che Cristo creò il mondo fisico. Non sembra esserci una limitazione così grande.
Perché, dunque, la resurrezione del corpo è necessaria nello schema eterno delle cose? Potremmo
prima chiederci quale sia la nostra idea del corpo. Ricordo diverse poesie medievali in cui s’immaginano il
corpo e lo spirito in lotta, al momento della morte; lo spirito accusa il corpo perché l’ha corrotto, il corpo
accusa lo spirito perché non l’ha domato e così via.3 Il disprezzo del corpo è abbastanza comune nella
tradizione Cristiana: uno dei primi e principali dibattiti sulla natura della Divinità riguardò il fatto che Cristo
potesse essere uguale al Padre, dato che prese su di Sé la carne e, pertanto, si macchiò di corruzione.4 I Santi
degli Ultimi Giorni non condividono questa domanda; tuttavia, credo vi sia una certa ambivalenza riguardo
al corpo, nella nostra cultura.
Da un lato, consideriamo prezioso il corpo, sapendo che la sua acquisizione fu uno dei motivi
principali per venire sulla terra; eppure, ci troviamo spesso in conflitto con i suoi appetiti e le sue limitazioni,
nel tentativo di raggiungere una spiritualità più elevata. Paolo scrisse riguardo a questa lotta in Romani:
«Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie
membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è
nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Romani 7:22–24).
Forse, un’analogia potrebbe aiutarci nel notare questa ambivalenza in modo più chiaro: nessun
artista è mai stato più convinto della nobiltà, bellezza ed espressività naturale del corpo umano, la somma
creazione di Dio, di quanto non fu Michelangelo. Come scrisse in un sonetto:
Né Dio, suo grazia, mi si mostra altrove
più che ’n alcun leggiadro e mortal velo;
e quel sol amo, perch’in lui si specchia.5
La forma umana era il centro di tutta l’arte di Michelangelo. Il suo primo coinvolgimento con il
Neoplatonismo, tuttavia, lo portò a considerare il corpo, composto di materia, come una prigione da cui
l’anima cerca di liberarsi, attirata dal reame superiore. Egli scorse un rapporto tra questa lotta di liberazione
e la sua opera di scultore, descritta come quella di chi cerca di liberare la forma trattenuta in schiavitù dal
marmo (fig. 1). Come scrisse nella poesia per l’amica Vittoria Colonna:
Sì come per levar, donna, si pone
in pietra alpestra e dura
una viva figura,
che là più cresce u’ più la pietra scema;
tal alcun’opre buone,
19
per l’alma che pur trema,
cela il superchio della propria carne
co’ l’inculta sua cruda e dura scorza.6
Fig. 1. Michelangelo Buonarroti (1475–1564). Schiavo che si ridesta.
Accademia, Firenze, Italia. Scala/Art Resource, NY.
All’inizio di un altro famoso sonetto, Michelangelo scrisse nuovamente della forma implicita nel
marmo, ansiosa di essere liberata:
Non ha l’ottimo artista alcun concetto
c’un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all’intelletto.7
L’ambivalenza di Michelangelo è evidente: la forma umana riflette quella divina, eppure l’anima,
come la forma che lo scultore cerca di liberare dal marmo, è imprigionata in un guscio di carne corrotta.
Ritornando a Paolo, dobbiamo ricordare che, sebbene egli scrisse ai Romani riguardo alle membra
del corpo in guerra l’una contro l’altra, egli chiamò anche il corpo «il tempio di Dio», «il tempio dello Spirito
Santo» e membra di Cristo (1 Corinzi 3:16; 6:15; 6:19). Paolo scrisse anche ai Corinzi: «Poiché noi che siamo in
questa tenda [o tabernacolo, di carne] gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati
[cioè liberati dal corpo], ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita» (2 Corinzi
5:4). Egli fa riferimento al fatto di essere «rivestiti della nostra abitazione celeste» (2 Corinzi 5:2), il nostro
corpo risorto, descrivendolo come « un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria» (2 Corinzi 4:17).
Per ritornare alla nostra domanda: perché la resurrezione del corpo fisico, se la continuità dell’essere
non viene spezzata dalla morte e se il corpo di spirito può agire sulla materia? La risposta che trovo più
soddisfacente è che la Resurrezione è una foglia d’olivo offerta al corpo: essa completa l’Espiazione, invero,
completa la Creazione, riconciliando in eterno la materia e lo spirito. La Resurrezione, dunque, sostiene e
santifica il corpo e il mondo fisico da cui derivano i suoi elementi.
20
È in questo contesto che possiamo considerare il noto passo di Giovanni 3:16: «Perché Dio ha tanto
amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio». Giovanni non dice: «Dio ha tanto amato i Suoi figli che,
per forza, essi dovettero essere posti nel mondo per essere messi alla prova», bensì che Egli ha amato il
mondo. Il passo scritturale continua: «Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il
mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Giovanni 3:17). Questo, ovviamente, non significa
che il mondo (inteso in un suo significato specifico) non debba essere vinto - ricordate l’espressione vivida
del presidente Gordon B. Hinckley: «il contagio lento della macchia del mondo» - quando presentò il
proclama al mondo sulla famiglia8 - ma significa che il mondo, in quanto creazione fisica, era ed è bello (il
greco usa spesso termini diversi per questi due diversi significati di ‘mondo’: kosmos, creazione fisica, per il
mondo che Dio ha tanto amato e aiōn, da cui «eone» o «epoca», per il mondo che non dobbiamo amare).9 Dio
disse che la creazione fisica del mondo era buona; la terra fu battezzata nell’acqua e lo sarà col fuoco; soffrì
alla Crocifissione del Salvatore e sarà rinnovata fisicamente e «coronata di gloria celeste».10 La gioiosa
rinascita della primavera prefigura questo rinnovamento supremo. La terra e la sua pienezza appartengono
davvero al Signore (vedere Salmi 24:1; 1 Corinzi 10:26).
Dopotutto, fu con il Suo corpo fisico che Cristo ci mostrò la via; fu tramite il Suo corpo che
l’Espiazione fu compiuta; è mediante il Suo corpo che l’Espiazione viene rappresentata e rinnovata nel
sacramento (vedere 2 Corinzi 4:10); fu tramite i gesti e il respiro del Suo corpo risorto che Cristo conferì la
pace e il dono dello Spirito Santo sui Suoi discepoli (vedere Giovanni 20:21–22). Cristo portò testimonianza
della Sua divinità invitando i Suoi discepoli Nefiti, uno ad uno, a toccare le ferite nel Suo corpo risorto
(vedere 3 Nefi 11:14–15). Tramite la Sua incarnazione e mediante la Resurrezione del Suo corpo, il Salvatore
diede importanza alla materia e ci confermò che avere un corpo è parte integrante della vita eterna, sì, della
divinità. In questo, come in tutto, Egli ci mostrò la via.
Pertanto, è nel corpo che dobbiamo ricevere le ordinanze di salvezza; gli spiriti non possono farlo, se
non tramite un corpo vicario. Il corpo è nostro compagno nelle prove; è sia lo strumento tramite il quale
siamo tentati più direttamente, sia il maestro che c’insegna attraverso il dolore e le percezioni sensoriali. Il
corpo è il registro tangibile della nostra storia terrena, non è un guscio o una prigione, né qualcosa che
possediamo così come possediamo un’automobile, ma è parte di noi, al punto che persino i giusti «morti …
considera[n]o la lunga assenza del loro spirito dal loro corpo come una schiavitù» (DeA 138:50). La schiavitù
non consiste, come vorrebbe farci credere il retaggio del dualismo Platonico, nell’avere un corpo, bensì
nell’essere separati da esso.
In una lettera indirizzata a W. W. Phelps nel 1833, Joseph Smith chiamò la rivelazione ora inclusa in
DeA 88 la «foglia d'olivo . . . staccata dall'Albero del Paradiso; il messaggio di pace del Signore a noi».11 Ho
tratto il titolo del mio intervento da questo passo. La sezione 88 contiene la dottrina più profonda sulla
Resurrezione di tutte le Scritture moderne. Nei versetti 15–16 leggiamo: «E lo spirito e il corpo sono l'anima
dell'uomo. E la risurrezione dai morti è la redenzione dell'anima», vale a dire la redenzione come
riunificazione del corpo e dello spirito. Questi versetti mi dicono che, in ultima analisi, è impossibile
separare la morte spirituale da quella fisica. Paolo scrisse che «il salario del peccato è la morte» (Romani
6:23): noi ereditiamo la morte fisica dalla trasgressione di Adamo e quella spirituale dai nostri peccati.
Pensare che la soluzione della morte spirituale sia soltanto una purificazione, un lavar via i peccati,
significa dimenticare del tutto che si tratta pur sempre di una morte. Se è una morte, allora il suo rimedio si
trova in una rinascita: la resurrezione nel mattino della Prima Resurrezione, compiuta mediante il sacrificio
del Salvatore, prefigurata nella Sua Resurrezione e simboleggiata dal nostro battesimo, che è il simbolo della
nostra rinascita spirituale. Come scrisse Giacobbe:
«Poiché ecco, se la carne non risuscitasse più, il nostro spirito dovrebbe divenire soggetto a
quell'angelo che cadde dalla presenza dell'eterno Iddio, e divenne il diavolo, per non risorgere mai
più» (2 Nefi 9:8).
21
È nell’unità di materia e spirito che siamo redenti e proviamo gioia. Secondo DeA 93:33–34: «Gli
elementi sono eterni, e spirito ed elementi inseparabilmente connessi ricevono una pienezza di gioia. E quando
sono separati, l'uomo non può ricevere una pienezza di gioia» (corsivo dell’autore). Come scrisse il Profeta
Joseph Smith: «Il grande principio di felicità consiste nell’avere un corpo».12
Amo in modo particolare le parole del presidente Howard W. Hunter riguardo alla centralità della
Resurrezione: «La dottrina della resurrezione è la dottrina più importante e cruciale della religione Cristiana.
La sua importanza non può essere esagerata, né è possibile ignorarla. Senza la Resurrezione, il vangelo di
Gesù Cristo diventa una litania di detti saggi e miracoli apparentemente inspiegabili; detti e miracoli,
tuttavia, privi del trionfo supremo. No, il trionfo supremo e il supremo miracolo».13
In altre parole, sebbene le ultime parole di Cristo dalla croce siano state «È compiuto» (Giovanni
19:30) e la testimonianza contemplativa di Bach trovi una risposta affermativa alla sua domanda: «Significa
questo che sono stato liberato dalla morte?», in ultima analisi il trionfo sulla morte viene espresso e
l’Espiazione viene completata tramite la santa Resurrezione.
La Resurrezione è la foglia d’olivo che dona pace al corpo. Il termine ebraico che indica la pace,
shalom, ha molti significati a esso collegati, incluso ‘benessere’, ‘sicurezza’, ‘tranquillità’ e ‘amicizia’. Tuttavia,
il suo significato principale è completezza, integrità o interezza e persino perfezione. Questo significato di
integrità o interessa soggiace le parole di Gesù alla donna che toccò la Sua veste in mezzo alla folla: «Figliola,
la tua fede ti ha salvata; va' in pace» (Luca 8:48).14 Ripensando a questo miracolo e ad altri simili, in cui Gesù
collega la pace e l’integrità, ricordo l’enfasi posta sulla salute fisica nelle rivelazioni moderne: la Parola di
Saggezza, le benedizioni pronunciate nel tempio e la possibilità di un rinnovamento spirituale del corpo
menzionata in DeA 88:67: «Tutto il vostro corpo sarà riempito di luce» e comprenderà ogni cosa. Tutto
questo volge il nostro sguardo alla futura pace suprema che sarà stretta tra corpo e spirito, in cui il corpo
rinascerà dal battesimo della sua vita terrena per essere integrato con lo spirito in un’interezza perfetta e
glorificata. Questa, per me, è una prospettiva gioiosa e deve esserlo particolarmente per coloro la cui
chiamata specifica è sopportare malattie croniche, zoppia, cecità o altri problemi, e che attendono
pazientemente, spesso nel dolore, l’adempimento delle promesse.
Quando mi sono trovato a Londra per motivi di studio, ho tenuto diverse volte un corso sulla Prima
Guerra Mondiale e sul suo impatto. Come parte del programma, io e i miei studenti abbiamo visitato alcuni
dei campi di battaglia e dei monumenti commemorativi associati alla Battaglia della Somme, in cui solo i
Britannici persero 60.000 uomini durante il primo giorno. Uno di questi monumenti è il Memoriale di Thiepval
dei Dispersi della Somme (fig. 2–3). Sui grandi pilastri del monumento, visibili per chilometri, sono incisi i
nomi di più di 73.000 soldati britannici i cui resti non furono mai trovati, essendo stati fatti a pezzi o
polverizzati dall’artiglieria e dagli esplosivi, oppure sepolti nel fango durante i continui attacchi. Questi
soldati combatterono su una sezione di soli 22 chilometri, su un fronte complessivo di 800.
Vi sono circa mille cimiteri britannici della Prima Guerra Mondiale in Francia e nelle Fiandre,
centosettanta dei quali compresi entro un raggio di circa 20 chilometri da Albert, sulla Somme. Su ogni
campo di battaglia, vi viene rammentato che state camminando sui defunti mai ritrovati che vi
giacciono.15 Quasi nove milioni di soldati morirono durante la guerra, la maggior parte di un’intera
generazione andata perduta. Su questa terra, ci si sente sopraffatti da un senso di emozione e riverenza (fig.
4).
22
Fig. 2. Memoriale Thiepval ai Dispersi della
Somme, Francia del Nord. Per gentile concessione
di George S. Tate.
Fig. 3. Piloni e Pietra/Altare della
Grande Guerra, Memoriale Thiepval.
Per gentile concessione di George S.
Tate.
Fig. 4. Serre, Cimitero, Strada 2, Somme. Per
gentile concessione di George S. Tate.
23
Come scrisse una delle mie studentesse sul suo diario: «È stato così … faccio fatica a trovare le
parole. Fa riflettere. Molto tragico. Da spezzare il cuore. Ingiusto. Uno spreco. Pieno di pace. Mi ha fatto
sentire grata. Mi ha fatto pensare alla Resurrezione. Che momento sarà in luoghi come questo!»16
Avendo trovato un po’ di conforto nel riuscire a mostrare riverenza verso il corpo nelle mie
profonde esperienze di dolore, penso a quei giovani dispersi sulla Somme, fatti a pezzi o impastati nel fango;
alla mia trisnonna sepolta con il figlio mai nato lungo il suo viaggio dalla Danimarca a Sion; a una padre
Santo degli Ultimi Giorni, riguardo al quale Robert Matthews scrisse in una delle discussioni più profonde
sulla Resurrezione che io abbia mai letto, un padre che aveva perso la speranza di rivedere suo figlio,
persino nella vita a venire, perché era stato ucciso durante la Seconda Guerra Mondiale nell’esplosione della
sua nave, scomparsa nel Pacifico. Nel suo dolore, l’assenza del corpo di suo figlio superò la sua fede in una
resurrezione; non riusciva a immaginare che gli elementi, così dispersi, potessero mai essere ricostituiti.17
Quando nostro figlio Doug si stava specializzando in biofisica presso l’Università Johns Hopkins,
tenne una presentazione sulla rigenerazione dei nervi, sul perché gli assoni del Sistema Nervoso Centrale
umano non si rigenerano dopo una ferita, al contrario di quelli del Sistema Nervoso Periferico.18 L’assone di
una cellula del SNC è un elemento minuscolo del corpo nel suo complesso. La differenza tra la possibile
rigenerazione di un assone, un segreto ancora da scoprire, e la rigenerazione di intere parti del corpo i cui
elementi sono da lungo tempo dispersi e decomposti è astronomica. La differenza tra un’unica rigenerazione
di questo tipo e la resurrezione di ogni corpo che abbia mai ospitato uno spirito nella storia della terra è
semplicemente al di là di ogni comprensione.
Non possiamo neppure cominciare a capire in che modo avverrà questa riappacificazione, o tramite
quale miracoloso potere gli elementi dispersi che un tempo componevano il corpo saranno nuovamente
riuniti cosicché, come ci è stato promesso, non un solo capello, né una pagliuzza saranno perduti (vedere
DeA 29:25), ma io porto testimonianza che queste promesse sono vere. Il trionfo di questo miracolo è tanto
grande che la Pasqua ricorre ogni giorno. George Herbert, il poeta religioso del XVII secolo, conclude così la
sua poesia «Pasqua»:
Può forse esserci un altro giorno oltre a questo,
Seppur molti soli cerchino di splendere?
Noi ne contiamo trecento, ma sbagliamo:
Non ve n’è che uno, e questo per sempre.19
NOTE:
[1] BWV 245, n. 32. Il testo tedesco, riportato sotto, è tratto da Alfred Dürr, Johann Sebastian Bach, St John Passion: Genesis,
Transmission, and Meaning, traduz. inglese di Alfred Clayton (Oxford: Oxford University Press, 2000), 164.
Mein teurer Heiland, laß dich fragen,
Da du … selbst gesagt: Es ist vollbracht,
Bin ich vom Sterben frei gemacht?
Kann ich durch deine Pein und Sterben
Das Himmelreich ererben?
Ist aller Welt Erlösung da?
Du kannst vor Schmerzen zwar nichts sagen;
Doch neigest du das Haupt
Und sprichst stillschweigend: ja.
Questa è una delle cinque poesie a metro libero che Bach adattò da un libretto sulla Passione composto nel 1712 da
Barthold Heinrich Brockes: Der für die Sünden der Welt gemarterte und sterbende Jesus (Gesù, torturato e morente per i
peccati del mondo), un libretto messo in musica per intero da Telemann, Handel e altri compositori. Bach, tuttavia,
cominciò con il testo intero di Giovanni 18–19, poi aggiunse un coro e dodici brevi testi tratti da fonti varie, incluso
24
Brockes (vedere Christoph Wolff, Johann Sebastian Bach: The Learned Musician [New York: W. W. Norton, 2000], 292–93).
L’espressione tedesca «Es ist vollbracht» (terza strofa) è più forte dell’equivalente traduzione italiana «È compiuto»: il
verbo suggerisce «portato pienamente a compimento, a interezza».
[2] Il sonno, ovviamente, è una metafora frequente della morte e, per questo motivo, può portare a una qualche
confusione tra il significato letterale e quello figurativo. Un buon esempio si trova in Giovanni 11, quando Gesù disse ai
Suoi discepoli: « «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato [kekoimētai]; ma vado a svegliarlo». Perciò i discepoli gli
dissero: «Signore, se egli dorme, sarà salvo». Or Gesù aveva parlato della morte di lui, ma essi pensarono che avesse
parlato del dormire del sonno [tēs koimēseōs tou hypnou]. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto» » (vv.
11–14). Vedere anche l’uso figurativo del sonno da parte di Paolo nel far riferimento a Cristo come «primizia di quelli che
dormono [tōn kekoimēmenōn]» (1 Corinzi 15:20; Riveduta). Il verbo greco koimaō usato in questi esempi è all’origine della
parola cimitero, da koimētērion «dormitorio, luogo per dormire». A volte, è piacevole immaginare che lo spirito dorma,
che riposi (in pace) tra la morte e la resurrezione. Il Profeta Joseph Smith affermò questo, in modo implicito, nel sermone
per la morte di Lorenzo Barns, il primo missionario sepolto all’estero: «È bello, per gli amici, giacere insieme abbracciati
nelle braccia dell’amore, e dormire, uniti nell’abbraccio reciproco & rinnovare le loro conversazioni» quando «si
alzeranno al mattino» (Diario di Joseph Smith, Willard Richards, 16 aprile 1843, in The Words of Joseph Smith, a cura di
Andrew F. Ehat e Lyndon W. Cook [Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 1980], 195).
Tuttavia, da diverse fonti, particolarmente DeA 138, è chiaro come lo spirito non dorma. Piuttosto, è il corpo (intero o
diviso) a dormire: «La loro polvere addormentata doveva essere riportata alla forma perfetta, osso su osso, e i tendini e la
carne su di essi; lo spirito e il corpo si dovevano unire per non essere più divisi, per poter ricevere una pienezza di gioia»
(DeA 138:17; corsivo dell’autore).
[3] La poesia più completa e drammatica tra queste è «Als I lay in a winteris nyt: A Debate between the Body and the
Soul», in John W. Conlee, a cura di, Middle English Debate Poetry: A Critical Anthology (East Lansing, MI: Colleagues Press,
1991), 18–49. Queste poesie esistono in diversi dialetti e in latino; riguardo a quest’ultimo, vedere Eleanor Kellog
Heningham, «An Early Latin Debate of the Body and Soul, Preserved in MS Royal 7 A III in the British Museum»
(Dissertazione di dottorato, New York University, 1939).
[4] Vedere «Arianism» nella Catholic Encyclopedia, che inizia così: «Prima tra le dispute dottrinali che turbarono i Cristiani
dopo il riconoscimento della Chiesa da parte di Costantino, nel 313 d.C., e origine di molte altre nel corso di tre secoli,
l’Arianismo occupa un posto importante nella storia ecclesiastica». Ario «descrisse il Figlio come un secondo Dio,
inferiore, a metà strada tra la Causa Prima e le creature … Usando una terminologia greca, [l’Arianismo] nega che il
Figlio sia della stessa essenza, natura o sostanza con Dio. Egli non è consustanziale (homoousios) con il Padre e, dunque,
Egli non è simile a Lui, o eguale in dignità, o co-eterno, o compreso entro la sfera della Divinità» (Charles G.
Herbermann et al., a cura di, Catholic Encyclopedia [1913], s.v. «Arianism», ora disponibile online presso
thttp://www.newadvent.org/cathen/01707c.htm [accesso effettuato il 23 maggio 2007]).
[5] Dal testo dell’edizione di Enzo Girardi (1960).:
[6] Ibid.
[7] Ibid.
Per una discussione più approfondita dell’estetica e della poetica di Michelangelo, vedere Robert J.
Clements, Michelangelo’s Theory of Art (New York: Gramercy, 1961).
[8] Gordon B. Hinckley, «Resistete fermamente alle lusinghe del mondo», La Stella, gennaio 1996, 116. L’espressione «the
slow stain of the world» è tratta dalla poesia «Adonais: Elegia sulla morte di John Keats» di P. B. Shelley, strofe 356–57
nell’originale inglese: «From the contagion of the world’s slow stain / He is secure» (The Complete Poems of Percy Bysshe
Shelley with Notes by Mary Shelley [New York: Modern Library, 1994], 495).
[9] Questo schema non è del tutto coerente e varia a seconda dell’autore. Giovanni, ad esempio, usa soltanto kosmos,
seppur in senso neutro (creazione fisica senza connotazioni morali), tranne forse in Giovanni 16:33: «Io ho vinto il
mondo» e 17:14: «Il mondo li ha odiati». Ad esempio, vedere la preghiera sacerdotale in Giovanni 17, dove il termine
kosmos compare quindici volte (vv. 5, 6, 9, 11, 12, 13, 14 [2], 15, 18 [2], 21, 23, 24, 25). Alcuni esempi dell’uso morale di aiōn
«mondo» sono Matteo 13:22, «le sollecitudini di questo mondo» (Parabola del seminatore; Nuova Diodati); Romani 12:2,
«non conformatevi a questo mondo»; 1 Corinzi 2:8, «dominatori di questo mondo»; 2 Corinzi 4:4, «il dio di questo
mondo»; Galati 1:4, «per strapparci da questo mondo perverso» [CEI]; Efesini 6:12, «i dominatori di questo mondo di
tenebre» e 2 Timoteo 4:10, «avendo amato questo mondo».
25
[10] Vedere Joseph Smith, Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph Smith (2007), 265: «Questa terra sarà riportata alla
presenza di Dio e incoronata di gloria celeste»; cfr. DeA 88:25–26).
[11] Dall’intestazione di DeA 88; vedere anche Joseph Smith, History of the Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, a cura
di B. H. Roberts, seconda ediz. riv. (Salt Lake City: Deseret Book, 1957), 1:316.
[12] Joseph Smith, Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph Smith (2007), 217.
[13] Howard W. Hunter, «La testimonianza della resurrezione di un apostolo», La Stella, luglio 1986, 16.
[14] Per una discussione più completa del rapporto tra pace e integrità, vedere George S. Tate, «The Peace of
Christ», Ensign, aprile 1978, 44–47.
[15] Questo è esplicito, ad esempio, nella poesia di John Oxenham riportata all’ingresso del Newfoundland Memorial
Park a Beaumont-Hamel, i cui campi di battaglia e le trincee sono state preservate, in parte, per commemorare un
reggimento distrutto quasi interamente durante il primo giorno della battaglia della Somme:
Camminate dolcemente, qui! Andate piano e procedete con riverenza!
Sì, che la vostra anima s’inginocchi
E, con il capo abbassato e il cuore umile, si sforzi
Di cogliere il beneficio futuro in quest’amara perdita!
Poiché non un solo centimetro di questo terreno umido non bevve
La sua dose del sangue di uomini coraggiosi,
I quali, per la loro fede, la loro speranza, di Vita e di Libertà,
Compirono qui il sacrificio; qui diedero la propria vita,
E lo fecero spontaneamente, per voi e per me.
Gran parte delle campagne nella Francia del Nord e nelle Fiandre è tuttora un ossario; ogni anno, i contadini scavano le
ossa dei defunti nell’arare i propri campi.
[16] Diario di Sharon J. Harris, 14 luglio 2000, usato per gentile concessione; ellissi in originale.
[17] Vedere Robert J. Matthews, «Resurrection: The Ultimate Triumph», in Jesus Christ: Son of God, Savior, a cura di Paul
H. Peterson, Gary L. Hatch e Laura D. Card (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 2002),
332–33.
[18] Douglas H. Bradshaw, «Axon Regeneration: A Receptor for Nogo-66 Is Identified», saggio presentato al
Dipartimento di Biofisica, Johns Hopkins University, 2 aprile 2001.
[19] «Easter», strofe 27–30, in George Herbert, The Complete English Works, a cura di Ann Pasternak Slater, ed. riv. (New
York: Knopf, 1995), 39.
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27
Comprendere la Resurrezione Donald W. Parry e Jay A. Parry
Donald W. Parry e Jay A. Parry, «Understanding Death and the Resurrection» (Salt Lake City, UT: Deseret Book Co., 2003).
nostri profeti hanno descritto il sacrificio espiatorio e della Resurrezione di Gesù Cristo come l’evento
più importante della storia umana.1 Una tale affermazione appare ovvia a tutti coloro che vi riflettono su:
che cosa potrebbe essere più importante dell’atto che ci offrì la liberazione dal peccato e dalla morte?
Il peccato e la morte sono i due maggiori nemici della razza umana, entrambi introdotti nel mondo dalla
Caduta di Adamo ed Eva. L’Espiazione di Gesù Cristo vinse entrambi questi nemici; vinse la morte per tutta
l’umanità e vinse il peccato per tutti coloro che si pentono e seguono il loro Redentore.
«L’Espiazione», scrisse il presidente Gordon B. Hinckley, «è il miracolo più grande» di tutti i tempi.2 Quale
miracolo potrebbe essere più grande del purificare un’anima macchiata dal peccato, o far risorgere dalla
tomba un corpo morto da tempo, completamente disintegrato? Altri miracoli, come camminare sull’acqua,
calmare il mare, guarire i ciechi, moltiplicare i pani e i pesci, sono importanti, ma i miracoli che scaturiscono
dall’Espiazione, i miracoli che vincono la morte, i miracoli che ci aiutano a vincere il peccato, sono questi a
spalancare la porta alla nostra esaltazione eterna.
L’Espiazione per il peccato e l’Espiazione per la morte operano in tandem. Entrambe sono essenziali per
poter raggiungere la vera divinità. Se fossimo redenti dalla morte, ma non purificati dal peccato,
risorgeremmo dalla tomba come anime corrotte. Se fossimo santificati dal peccato, ma non risorgessimo mai,
non saremmo esseri corporei come Dio e non raggiungeremmo mai una pienezza di gioia (vedere DeA
93:33–34). Non c’è da sorprendersi che sia i profeti, sia i santi abbiamo elevato la propria voce in lode a
nostro Padre e al Suo Figlio Diletto, i Quali offrirono una via per sfuggire agli artigli di questi due grandi
nemici. Il loro amore è così perfetto, il loro piano così divino, che Essi fecero molto più che permetterci di
essere innalzati dalla morte a corpi senza peccato e immortali. Essi intendono elevarci alla gloria!
La Resurrezione fu l’atto culminante della meravigliosa Espiazione di Cristo. Essa è «la manifestazione
esteriore e visibile del trionfo spirituale più invisibile e interiore dell’Espiazione». Come tale, «essa resta il
fatto centrale e grandioso al cuore del messaggio Cristiano. È la sublime realtà che differenzia il
Cristianesimo da tutte le altre religioni».3 Pertanto, la Resurrezione, importante di per sé, si erge anche quale
simbolo delle numerose altre benedizioni dell’Espiazione. Se la Resurrezione è vera e reale, allora anche gli
altri poteri di Cristo di benedirci e riportarci al Padre lo sono. Parlando della Resurrezione come del culmine
dell’Espiazione, il presidente Hinckley: «Di tutte le vittorie nella storia umana, nessuna è così grande,
nessuna così universale nei suoi effetti, nessuna così eterna nelle sue conseguenze quanto la vittoria del
Signore crocifisso, che si levò nella Resurrezione quella prima mattina di Pasqua.
Noi lodiamo i capitani e i re e le nazioni vittoriose contro gli oppressori. Edifichiamo giustamente dei
monumenti per ricordarne i sacrifici e i trionfi contro le forze dell’oppressione. Tuttavia, per quanto grandi e
importanti siano questi successi, nessuno è paragonabile alla vittoria di quella figura sulla croce del Calvario,
solitaria, stremata dal dolore, che trionfò sulla morte e portò il dono della vita eterna a tutta l’umanità».4
La portata della Resurrezione è infinita: tocca ogni membro dell’umana famiglia in ogni epoca del mondo;
benedice ogni persona di ogni mondo creato da Cristo; risale al principio del tempo e procede fino alla fine
del mondo; benedice gli animali, le piante e la terra stessa. Nessun corpo defunto sarà mai dimenticato, tutti
I
28
risorgeranno. Nessun corpo andrà perduto agli estremi della terra; il Signore conosce tutti, e tutti
risorgeranno dalla morte. Dio farà risorgere ogni membro dell’umana famiglia, senza eccezione alcuna.
Parlando della Resurrezione, John Taylor ci assicurò: «La sua portata abbraccia tutti i popoli, le nazioni e le
lingue».5
Nel ricercare una comprensione più profonda della gloriosa dottrina della Resurrezione, [possiamo
riflettere riguardo a]:
i numerosi simboli e le prefigurazioni relativi alla Resurrezione,
le chiavi che rendono possibile la Resurrezione, chiavi detenute da Gesù Cristo,
in che modo Gesù Cristo ha distrutto la morte e redento tutta l’umanità,
la Resurrezione come parte dell’Espiazione infinita di Cristo,
le numerose testimonianze e descrizioni del Signore risorto,
le molte e meravigliose capacità degli esseri risorti,
gli esseri celesti, terrestri e telesti nella Resurrezione,
i tempi e l’ordine della Resurrezione,
la continuazione dei rapporti familiari tra i giusti, dopo la Resurrezione,
come saremmo privi di speranza, conforto e redenzione se non vi fosse Resurrezione,
l’esistenza e il vantaggio dell’intelligenza acquisita nella mortalità, dopo la Resurrezione,
in che modo comprendere la Resurrezione ci guida alla rettitudine e
la natura universale della Resurrezione.
Pochi argomenti del Vangelo portano tanto conforto e tanta pace quanto la Resurrezione. Infatti, Paolo
c’insegnò a confortarci l’un l’altro insegnando la dottrina della Resurrezione. Dopo aver parlato della
Resurrezione di Gesù e della nostra, Paolo esortò: «Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole …»
(vedere 1 Tessalonicesi 4:14–18; Riveduta). Riguardo a questo, l’Anziano Neal A. Maxwell insegnò: «Il nostro
'fulgore di speranza' [vedere 2 Nefi 31:20] … significa che, ai funerali, le nostre lacrime sono sincere, ma non
a causa di una conclusione, bensì a motivo di un’interruzione. Sebbene siano altrettanto bagnate, le nostre
lacrime non sono di disperazione, bensì di apprezzamento e di attesa. Sì, per i discepoli, la chiusura di una
tomba non è che la chiusura di una porta che, in seguito, sarà spalancata con gioia. Noi diciamo con umiltà,
ma con fermezza, che è la tomba nel giardino, non la vita, ad essere vuota».6
NOTE
1. Vedere Talmage, The House of the Lord, 66; David O. McKay, Conference Report, aprile 1944, 120.
2. Gordon B. Hinckley, Teachings of Gordon B. Hinckley, 28.
3. Jeffrey R. Holland, Christ and the New Covenant, 238.
4. Gordon B. Hinckley, «La tomba vuota rese testimonianza», La Stella, luglio 1988, 59.
5. John Taylor, Mediation and Atonement, 178–79.
6. Neal A. Maxwell, BYU Speeches, 8 novembre 1977, 181.
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Rappresentare la Resurrezione Herman Du Toit
Herman Du Toit era direttore della ricerca presso il Museo d’Arte della Brigham Young University, al momento della pubblicazione
di questo articolo.
Herman du Toit, «Picturing the Resurrection», in Behold the Lamb of God: An Easter Celebration, a cura di Richard Neitzel
Holzapfel, Frank F. Judd Jr. e Thomas A. Wayment (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University,
2008), 185–200.
l potere delle immagini non può essere sottovalutato. Le opere d’arte ispirate ci parlano attraverso i
secoli, le culture e i confini nazionali, perché l’arte ispirata ha il potere di visualizzare e articolare il
mondo spirituale. Uno dei modi in cui l’artista serve l’osservatore è offrire un’interpretazione, una
visione personale di un particolare evento; questo, a sua volta, spinge noi osservatori a prendere in
considerazione e a rivalutare le nostre idee e i nostri concetti. Possiamo essere d’accordo o meno con una
particolare rappresentazione, ma l’atto stesso di guardare ci porta a mettere alla prova le nostre
interpretazioni e idee preconcette. Ciò che conta maggiormente, tuttavia, quando siamo attirati dalla visione
artistica di un evento religioso, è renderci conto della verità celata dietro la rappresentazione dell’artista. In
questo processo di scoperta i concetti vengono chiariti, si formano nuovi significati e la comprensione ne
risulta ampliata. Spesso, possiamo imparare molto dal confronto tra rappresentazioni diverse di uno stesso
argomento. La selezione di opere che segue vuole offrire un’opportunità di trarre spunti profondi riguardo
ad avvenimenti fondamentali immediatamente susseguenti la crocifissione di Cristo.
Fig. 1. Carl Heinrich Bloch, La sepoltura, ca.
1873. Museo di Storia Nazionale presso il
Castello di Frederiksborg, Danimarca. Per
gentile concessione di Intellectual Reserve,
Inc.
Carl Heinrich Bloch, un pittore danese del XIX secolo, nella
sua opera intitolata La sepoltura rappresenta il momento in
cui il corpo esanime del Signore sta per essere sollevato e
portato nel sepolcro (fig. 1). Sulla destra vediamo Giuseppe
d’Arimatea fare un gesto verso gli oscuri recessi della tomba,
mentre un piccolo gruppo di persone facenti cordoglio
piegano il capo in muto riconoscimento dei tragici,
imprevisti e orribili eventi verificatisi quello stesso
pomeriggio.
Dopo aver assistito alla frettolosa sepoltura nel sepolcro,
passiamo a una commovente rappresentazione del pittore
britannico del XIX secolo William Dyce. Nel suo quadro S.
Giovanni porta a casa la sua madre adottiva (fig. 2), vediamo l’Apostolo Giovanni portare via la sua nuova
madre adottiva, Maria, in accordo con l’ultimo incarico del Signore al Suo discepolo diletto, affinché si
prendesse cura di lei. Giovanni tiene dolcemente la mano di Maria. Lei sembra pallida e si appoggia a
I
30
Giovanni per essere sostenuta. In lontananza, sulla sinistra, vediamo tre croci di legno vuote, indicando
l’avvenuta rimozione delle loro vittime. Sulla destra vediamo appena un’apertura nella collina, simile a una
grotta, con due figure reclinate. Forse si tratta dei soldati inviati per vigilare la tomba.
Mentre era privo del Suo corpo, tra la morte sulla croce e la
Resurrezione, Cristo svolse un ministero presso gli spiriti dei defunti. I
pittori medievali rappresentarono spesso questo avvenimento, noto
come Anastasias, in cui Cristo salva le anime dalla stretta di Satana
nell’Ade. Cristo nel Limbo, un’incisione di Albrecht Dürer (XVI secolo),
rapprsenta una parte del cancello dell’inferno spezzata, sullo sfondo
(fig. 3). Cristo si inginocchia per sollevare un’anima dalla stretta dei
demoni che compaiono minacciosi dagli orifizi posti sopra il portale
aperto.
La Resurrezione, di Carl Bloch (fig. 4), coglie il momento
dell’uscita di Cristo dal sepolcro. L’avvento della
Resurrezione del Signore viene presentato attraverso una
possente composizione simmetrica in cui il Suo capo è
l’apice di un triangolo equilatero. Il Signore guarda verso il
cielo, le Sue braccia sono sollevate in un gesto solenne di
ringraziamento, gratitudine e affermazione. Il Signore
risorto è affiancato da due angeli inginocchiati che Lo
osservano con sguardo di lode devota. Dall’ingresso della
tomba vediamo un mazzo splendente di gigli, il simbolo
della castità, della virtù, della purezza e, particolarmente a
Pasqua, di una nuova vita.
Fig. 2. William Dyce, S. Giovanni porta a casa
sua madre adottiva, ca. 1840.
Per gentile concessione di John H. Schaeffer
Fig. 4. Carl
Heinrich Bloch, La
Resurrezione, 1873.
Museo di storia
nazionale presso
il Castello di
Frederiksborg,
Danimarca. Per
gentile conces-
sione della Hope
Gallery.
Fig. 3. Albrecht Dürer, Cristo nel Limbo, 1511. Per gentile
concessione di Shawn e Andrea Merriman.
31
Leggiamo nelle Scritture che, il primo giorno della settimana, alle prime luci
dell’alba, la devota Maria Maddalena si recò con altre donne presso la tomba.
Dopo aver chiesto: «Chi ci rotolerà la pietra dall'apertura del sepolcro?» (Marco
16:3) rimasero attonite nel vedere che la pietra era già stata spostata. Un angelo
si rivolse direttamente e brevemente a loro, prima alleviando i loro timori e poi
annunciando per la prima volta la Resurrezione del Signore dai morti. Dopo
averle invitate a essere testimoni della tomba vuota, l’angelo disse loro di
andare rapidamente a informare i discepoli che Cristo era risorto dai morti,
come aveva detto che avrebbe fatto. Questo commovente incontro è
rappresentato dal pittore francese William Aldophe Bouguereau (XIX secolo)
nel suo quadro Le tre Marie alla Tomba (fig. 5).
Maria Maddalena, addolorata, non riesce a comprendere il grandioso e glorioso
messaggio dell’angelo; coglie soltanto il concetto che il corpo del suo Signore è
stato rimosso. Percepiamo la sua angoscia, quando dichiara triste: «Han tolto il
Signore dal sepolcro, e non sappiamo dove l'abbiano posto» (Giovanni 20:2).
Dopo aver fatto rapporto ai discepoli. Pietro e Giovanni accorsero al
sepolcro, un evento rappresentato meravigliosamente dal pittore francese
Eugene Burnand (XIX secolo). Nella sua opera I discepoli accorrono al
sepolcro, Giovanni e Pietro corrono fianco a fianco nella fresca aria mattutina,
agitati, verso la tomba ora vuota (fig. 6). Notiamo il senso di ansiosa anticipazione sui loro volti. Soltanto
quando videro la tomba vuota e incontrarono gli angeli essi credettero per la prima volta, come riportò
Giovanni, alla Scrittura secondo cui Cristo sarebbe risorto dai morti (vedere Giovanni 20:8–9).
Fig. 6. Eugenè Burnand, I discepoli accorrono al sepolcro, 1898.
Erich Lessing/Art Resource, NY. Musée d’Orsay, Parigi.
Nel frattempo, l’addolorata e confusa Maria Maddalena aveva seguito i discepoli verso la tomba e qui
ella divenne la prima mortale a incontrare il Signore risorto faccia a faccia. In un’azione che l’Anziano James
E. Talmage definì di «amore riverente»,[1] Maria allungò le braccia per abbracciare il suo Signore, ma Egli
replicò subito: «Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre» (Giovanni 20:17). Questo incontro è
stato rappresentato da molti artisti nella storia dell’arte Cristiana. Nel quadro Noli me Tangere dell’artista
italiano Antonio Correggio (XVI secolo), un dipinto nello stile manierista del tardo Rinascimento, notiamo
l’attenta coreografia dei protagonisti. Le loro figure mostrano la virtuosità tecnica dell’artista nel
rappresentare la vita della forma umana con vitalità e convinzione (fig. 7).
Fig. 5. William Bouguereau, Le tre Marie
alla Tomba, 1876. KMSKA—Per gentile
concessione Reproductiefonds—Lukas.
32
Un’altra versione dello stesso evento, dipinta dall’artista russo
Alexander Ivanoff (XIX secolo), rappresenta il versetto in uno stile
tardo-neoclassico che esemplifica le qualità originarie della
scultura greca classica. Notiamo la posa in contrapposto di Cristo e
il drappeggio diafano della Sua veste bianca, caratteristica dello
stile di questo periodo neoclassico (fig. 8).
Durante il pomeriggio del giorno della Resurrezione, due
discepoli incontrarono per caso Cristo mentre si recavano ad
Emmaus, circa undici chilometri da Gerusalemme. Essi
erano talmente presi dalla conversazione con questo
estraneo a loro ignoto che lo invitarono a mangiare con loro
quella sera, una volta giunti a destinazione. Fu soltanto
mentre erano seduti a tavola che i loro occhi si aprirono. Leggiamo: «E lo riconobbero; ma egli sparì
d'innanzi a loro» (Luca 24:31). Nel dipinto Cena ad Emmaus del pittore italiano Caravaggio, vediamo un
Cristo senza barba seduto a tavola con i discepoli (fig. 9). Caravaggio ha messo in evidenza i colori brillanti
degli abiti e ha profuso attenzione sul cibo posto sulla tavola, considerandola come una natura morta
sontuosa.
Fig. 9. Caravaggio, Cena ad Emmaus, ca. 1600. Nimatallah/Art Resource,
NY. National Gallery, Londra.
Fig. 7. Correggio, Noli Me Tangere, 1530. Erich Lessing/Art
Resource, NY.
Museo del Prado, Madrid
Fig. 8. Alexander Ivanov, Apparizione di Cristo a Maria Maddalena
(Noli Me Tangere), 1860. Scala/Art Resource, NY.
33
Fig. 10. Rembrandt van Rijn, I discepoli ad Emmaus, 1864. Erich
Lessing/Art Resource, NY. Louvre, Parigi.
Circa ottanta anni più tardi, il maestro olandese
Rembrandt dipinse questa versione della cena ad
Emmaus (fig. 10). Nel suo dipinto, la tavola è
alquanto spoglia e assomiglia quasi a un altare.
Rembrandt immerge la quieta serenità di questa
scena umile nella luce divina che sembra
emanare dalla figura seduta di Cristo. Nella
rappresentazione di Rembrandt, Cristo diventa
davvero il soggetto del dipinto in modo
tranquillo e umile. L’artista coglie il momento
superno di coinvolgimento tra questo piccolo
gruppo di mortali con il loro Signore risorto
mentre conversano con Lui attorno alla tavola.
Possiamo imparare molto dal modo in cui gli artisti
visualizzano gli stessi avvenimenti. La rappresentazione
dipinta da Caravaggio di Toma che pone il dito nel fianco
del Salvatore per confermare la veridicità della Sua
Resurrezione può essere confrontata con quella di Carl Bloch
(figure 11, 12). Bloch ha dipinto un Cristo più riservato e
maestoso. Non c’è alcun contatto viscerale tra Toma e il
Salvatore. Riconosciamo invece la conversione di Toma
mentre volge lo sguardo verso il basso, in adorazione, ai
piedi feriti del Signore, venendo così a sapere per la prima
volta della Divinità di Cristo e di trovarsi alla presenza del
suo Salvatore.
Fig. 12. Carl Heinrich Bloch, Tommaso dubbioso, 1881. Museo di Storia
Nazionale presso il Castello di Frederiksborg, Danimarca. Per
gentile concessione di Intellectual Reserve, Inc.
Fig. 11. Caravaggio, L’incredulità di S. Tommaso, ca.
1603. Scala/Art Resource, NY. Uffizi, Firenze
34
Il ministero post-terreno del Signore nelle Americhe è rappresentato in un quadro di Minerva Teichert,
un’artista SUG del XX secolo, intitolato Il sacramento (fig. 13). Qui vediamo il Signore risorto mentre istituisce
il sacramento nel Nuovo Mondo. Questa è una rappresentazione raffinata da parte di un’artista sincera e
sensibile. La prova incontrovertibile del fatto che il Salvatore risorto vive oggi è rappresentata anch’essa da
Minerva Teichert nel suo dipinto dell’apparizione di Cristo e del Padre celeste al giovane Joseph Smith, nel
suo amato e famoso quadro La Prima Visione (fig. 14).
Fig. 13. Minerva Teichert (1888–1976), Il Sacramento, 1950–51, olio su masonite, 91 x 122 cm.
Per gentile concessione del Museo d’Arte della Brigham Young University.
Le opere d’arte ispirate hanno il potere di edificarci e istruirci,
nella misura in cui ci avviciniamo a loro con un atteggiamento di
riverenza e umiltà. L’Anziano M. Russell Ballard dichiarò: «L’arte
ispirata parla nel linguaggio dell’eternità, insegnando al cuore
cose che gli occhi e le orecchie non possono mai
comprendere».[2] Noi possiamo essere edificati e istruiti, quando
apprezziamo in modo profondo le migliori opere d’arte prodotte
da artisti ispirati nel corso della storia. L’immagine, tuttavia, non
può parlare da sola: noi dobbiamo sottometterci dinanzi a ciò che
l’opera d’arte rappresenta, per poter ‘vedere’ davvero un’opera
d’arte devozionale. Questo è un toccante promemoria del fatto
che le cose dello Spirito sono comprese al meglio con lo Spirito e
soltanto quando ricerchiamo lo Spirito possiamo cogliere, o
immaginare, la Resurrezione.
NOTE
[1] James E. Talmage, Gesù il Cristo, 632.
[2] M. Russell Ballard, «Filling the World with Goodness and
Truth», Ensign, luglio 1996, 10.
Fig. 14. Minerva Teichert (1888–1976), La Prima Visione, 1937,
olio, 259 x 198 cm. Per gentile concessione del Museo d’Arte
della Brigham Young University.
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Le qualità uniche e supreme di Gesù il Cristo
Terry B. Ball
Terry B. Ball era il preside del Dipartimento di Educazione Religiosa della Brigham Young University,
al momento della pubblicazione di questo articolo.
Terry B. Ball, «The Unique and Supreme Attributes of Jesus the Christ», in Celebrating Easter: The 2006 BYU Easter
Conference, a cura di Thomas A. Wayment e Keith J. Wilson (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young
University), 33–42.
urante il ministero di Alma tra il popolo di Ammoniha, egli li istruì riguardo al sacerdozio al quale
era stato ordinato, sacerdozio che lo autorizzava e allo stesso tempo gli imponeva di insegnare i
comandamenti di Dio. Egli portò testimonianza che «il Signore Iddio ordinò dei sacerdoti secondo il
suo santo ordine, che era secondo l'ordine di suo Figlio, per insegnare» i comandamenti di Dio al popolo
(Alma 13:1). Egli spiegò poi: «E questa è la maniera secondo cui erano ordinati — essendo chiamati e
preparati fin dalla fondazione del mondo, secondo la prescienza di Dio, a causa della loro grandissima fede e
delle loro buone opere; essendo in primo luogo lasciati liberi di scegliere il bene o il male; perciò, avendo essi
scelto il bene ed esercitando una grandissima fede, erano chiamati con una santa chiamata, sì, con quella
santa chiamata» (v. 3).
La posizione di Alma, secondo cui coloro gli uomini ordinati al sacerdozio superiore lo erano stati a causa
«della loro grandissima fede … in primo luogo» suscita alcune domande provocatorie. Ad esempio, «in
primo luogo», ovvero nella vita preterrena, Dio «stette in mezzo» ai nobili e grandi scelti prima di nascere
(Abrahamo 3:22–23). L’Anziano Bruce R. McConkie spiegò che «nella vita preterrena, tutti noi dimorammo
alla Sua [di Dio] presenza, vedemmo il Suo volto e udimmo la Sua voce».¹ In tali circostanze, dunque, in che
cosa gli uomini pre-ordinati al sacerdozio superiore esercitano la fede che li qualificò a ricevere questa
distinzione? Se, come insegnò Alma, accettiamo che «la fede non è l'avere una conoscenza perfetta delle
cose», quanto piuttosto una «spera[nza] in cose che non si vedono» (Alma 32:21), allora la fede esercitata da
coloro che furono preordinati al sacerdozio superiore nella vita preterrena deve essere stata qualcosa di
diverso dalla fede nell’esistenza di Dio, poiché essi dimoravano con Dio e Lo vedevano. Avevano una
conoscenza perfetta della Sua esistenza. In cosa speravano senza aver visto, dunque?
Certamente, una verità invisibile su cui devono aver esercitato fede fu che Gesù, «Scelto fin dal principio»
dal Padre (Mosè 4:2), poteva davvero compiere e avrebbe compiuto la grande e infinita Espiazione, una
parte così vitale del piano di Dio. Essi devono aver creduto che soltanto Gesù poteva davvero compiere e
avrebbe compiuto la volontà del Padre, che Egli poteva davvero essere e sarebbe stato il nostro Salvatore,
che Egli poteva davvero condurre e avrebbe condotto una vita senza peccato, soffrendo e morendo per noi.
Questa conclusione ci porta a un’altra domanda importante: perché? Perché in quel contesto preterreno essi
– in effetti tutti noi, prima di nascere sulla terra - avevano fede in Gesù, che Egli poteva essere e sarebbe
effettivamente stato il nostro Redentore?
Io credo che una possibile risposta sia questa: noi vedemmo in Gesù allora, come oggi, delle qualità che Lo
rendono sia preparato, sia qualificato, in modo unico e supremo, per essere il nostro Salvatore. Dobbiamo
D
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aver creduto ciò che Cecil F. Alexander dichiarò nel suo inno: «Nessuno avrebbe mai potuto compier tal
mission; Ei solo aprì la porta che conduce al ciel lassù».²
Le qualità del Gesù preterreno e terreno
Il Primogenito e l’Unigenito. Come Santi degli Ultimi Giorni, crediamo alla dichiarazione di Gesù: «Io ero
al principio con il Padre e sono il Primogenito» (DeA 93:21; cfr. Romani 8:29; Colossesi 1:15), vale a dire il
Primogenito di tutti i figli di spirito preterreni di Dio Padre.³ Sappiamo anche che, poiché fu scelto per essere
nostro Salvatore, nella vita terrena Egli divenne anche l’Unigenito nella carne (vedere Giovanni 1:14, 18;
Giovanni 3:16; 1 Giovanni 4:9).4 Inoltre sappiamo che, quando nacque sulla terra, Gesù adempì la profezia di
Michea (vedere Michea 5:2), poiché nacque a Betlemme, la città di Davide (vedere Luca 2:4–6). Pertanto,
Gesù è sia unico, sia supremo, tra tutti i figli di Dio, essendo il Primogenito di spirito, l’Unigenito nella carne,
nato a Betlemme in adempimento alla profezia.
La gloria e l’immagine del Padre. Il primo capitolo dell’epistola agli Ebrei ci informa che Gesù «lo
splendore della sua [di Dio Padre] gloria e l'impronta della sua essenza» (Ebrei 1:2–3; cfr. Giovanni 1:14).
Parlando del Loro aspetto, Joseph Smith insegnò che il Padre e il Figlio «assomigliavano esattamente l’Uno
all’altro nell’aspetto».5 Forse, questo è il motivo per cui Gesù, sulla terra, poté dichiarare a Filippo: «Chi ha
veduto me, ha veduto il Padre» (Giovanni 14:9). Sebbene Egli possa aver mantenuto la Sua somiglianza fisica
al Padre durante il Suo ministero terreno, apparentemente Cristo non andò attorno mostrando apertamente
lo «splendore» della gloria del Padre che aveva raggiunto nella vita preterrena, poiché Isaia profetizzò che,
nella vita terrena, Egli «non avea forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza, da farcelo
desiderare» (Isaia 53:2).6 Parlando del contrasto notevole esistente tra la condizione e la gloria del Gesù
preterreno e di quello terreno, l’Anziano Francis M. Gibbons attestò: «La condizione suprema del nostro
Salvatore, Gesù Cristo, e il ruolo preminente che Egli occupa nello schema eterno delle cose ci portano ad
ammirare con stupore la cosiddetta condiscendenza di Cristo, ovvero la Sua disponibilità a scendere dal suo
posto esaltato e ad andare innanzi, come dice la scrittura, «soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni
specie … per poter sciogliere i legami della morte che legano il suo popolo; e prenderà su di sé le loro
infermità, affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia, secondo la carne, affinché egli possa
conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle loro infermità … per poter prendere su di sé
i peccati del suo popolo, per poter cancellare le loro trasgressioni, secondo il potere della sua liberazione»
(Alma 7:11–13)».7 Ancora una volta, Gesù presenta una qualità unica e suprema in quanto Egli non solo
assomiglia al Padre nell’aspetto, ma anche in splendore e gloria, una gloria che Egli mise da parte per servire
nella carne. Nessun altro figlio di Dio ha mostrato una tale condiscendenza, poiché nessuno avrebbe potuto
rinunciare a qualcosa di più grande per diventare mortale.
In principio con Dio. Il Vangelo di Giovanni contribuisce molto alla nostra comprensione delle qualità
preterrene di Gesù e alla sua statura spirituale. Aprendo il suo Vangelo, Giovanni dichiara che Gesù, definito
«la Parola», fu «nel principio» (Giovanni 1:1; cfr. DeA 93:6–8). Noi interpretiamo questo come a significare
che Egli non fu l’ultimo arrivato nell’opera e nei piani di Dio. Egli non fu semplicemente - come cercarono di
spiegare alcune antiche sette cristiane - un uomo che condusse una vita talmente retta nella mortalità da
spingere Dio a porre il Suo Spirito in Lui.8 Gesù fu invece, come spiega Mosè, «Scelto fin dal principio»
(Mosè 4:2). Giovanni attesta quindi non soltanto che Gesù era presente sin dal principio, ma anche che Egli
era «con Dio» (Giovanni 1:1). Io ritengo questo più una dichiarazione d’impegno che di semplice presenza.
In altre parole, Gesù non era semplicemente insieme al Padre, ma era «con» Lui nel pensiero, negli scopi e
nella volontà, al punto da poter testimoniare: «Io ed il Padre siamo uno» (Giovanni 10:30). Nessun’altra
persona su questa terra si è mai conformata alla volontà del Padre tanto da poter esprimere una simile
rivendicazione.
Il Grande Geova. Giovanni dichiara poi che Gesù non soltanto era nel principio con Dio, ma che «la Parola
era Dio» (Giovanni 1:1; cfr. DeA 38:1–5). I Santi degli Ultimi Giorni interpretano questo come a significare
che, in qualche modo, persino prima di scendere sulla terra Gesù aveva raggiunto la statura di un Dio,
37
divinamente investito da Dio Padre dell’autorità di essere Geova, il Dio dell’Antico Testamento. Come Gesù
Cristo testimoniò in una rivelazione al Profeta Joseph Smith: «Così dice il Signore vostro Dio, sì, Gesù Cristo,
il Grande IO SONO, l'Alfa e l'Omega, il principio e la fine, colui che contemplò l'ampia distesa dell'eternità e
tutte le schiere serafiche dei cieli prima che fosse fatto il mondo; Colui che conosce ogni cosa, poiché ogni
cosa è presente dinanzi ai miei occhi; Io sono colui che parlò e il mondo fu fatto, e ogni cosa è venuta tramite
me. Io sono colui che ha preso nel suo seno la Sion di Enoc, e in verità io dico: Anche tutti coloro che hanno
creduto nel mio nome, poiché io sono Cristo» (DeA 38:1–4). Gesù vuole farci comprendere che Egli è il Dio
che parlò ad Abrahamo, Isacco e Giacobbe; il Dio che aprì il Mar Rosso e fece crollare le mura di Gerico; il
Dio che si fece carne e dimorò in mezzo a noi (vedere Giovanni 1:14). Pertanto, Egli poté attestare tramite
Isaia: «Io, io sono l'Eterno [Geova], e fuori di me non v'è salvatore» (Isaia 43:11).9
Il Creatore. Giovanni continuò la sua descrizione delle qualità di Gesù spiegando che Egli ebbe un ruolo
anche nella Creazione. Giovanni attestò: «Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una
delle cose fatte è stata fatta» (Giovanni 1:3). Mosè chiarisce ulteriormente il ruolo di Gesù nella Creazione,
insegnandoci che Gesù creò mondi sotto la direzione del Padre: «E mediante la parola del mio potere le ho
create, che è il mio Figlio Unigenito, che è pieno di grazia e di verità. E mondi innumerevoli ho creato; e
anch'essi ho creato per un mio proprio scopo; e mediante il Figlio li ho creati, che è il mio Unigenito» (Mosè
1:32–33). Quanto è appropriato che Colui il quale fu nel principio; che fu con Dio in ogni modo; che fu
Geova, il Dio dell’Antico Testamento e il Creatore della terra, fosse anche scelto per esserne il Salvatore.
La Vita e la Luce degli uomini
Continuando a descrivere le qualità e le «credenziali» di Gesù», Giovanni disse di Lui: «In lei [la Parola] era
la vita; e la vita era la luce degli uomini» (Giovanni 1:4). Per vita, io credo che Giovanni intendesse qualcosa
di più della vita terrena; piuttosto, Gesù è il mezzo mediante il quale noi abbiamo accesso alla vita eterna.
Per luce, io credo che Giovanni intendesse la luce così come è definita in DeA 93: Gesù è la fonte della verità,
della conoscenza e dell’intelligenza (vedere DeA 93:24–37). Giovanni spiegò poi che la «vera luce» di Gesù
«illumina ogni uomo … [che viene] nel mondo» (Giovanni 1:9). Quale caratteristica essenziale e notevole per
un Salvatore: la capacità di donare luce, verità, intelligenza e infine vita eterna a ciascuno di noi!10 Giovanni
descrive poi le benedizioni che ci attendono se accettiamo la luce e la verità offerte da Gesù. Giovanni
promise: «Ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figliuoli di Dio; a quelli,
cioè, che credono nel suo nome» (Giovanni 1:12). Questa promessa ci dice che, se siamo disposti ad accettare
Gesù, la luce e la vita che Egli offre, allora diventiamo come Lui, figli di Dio proprio come Gesù, eredi di
tutto ciò che il Padre ha. Come si rassicura la rivelazione sul sacerdozio: «E colui che accetta me, accetta mio
Padre; E colui che accetta mio Padre, riceve il regno di mio Padre; perciò, tutto quello che mio Padre ha gli
sarà dato» (DeA 84:37–38). Io credo che soltanto Gesù potesse offrirci questo. Soltanto credendo in Gesù e
ricevendo Gesù, il Suo Vangelo e la Sua Espiazione noi possiamo divenire eredi di tutto ciò che il Padre ha.
Come dichiarò Nefi: «Ed ora ecco, miei diletti fratelli, questa è la via; e non c'è nessun'altra via e nessun altro
nome dato sotto i cieli, per il quale l'uomo possa essere salvato nel regno di Dio» (2 Nefi 31:21).
Conclusione
Sebbene questa discussione sulle qualità di Gesù sia intesa a essere illustrativa, piuttosto che esauriente, io
mi auguro sia stata adeguata per sostenere questa verità: Gesù, Colui che sulla terra fu noto come Gesù di
Nazaret, era qualificato in modo unico e supremo per essere il nostro Salvatore. Egli era davvero il
Primogenito e l’Unigenito del Padre. Egli era con il Padre sin dal principio. Egli era persino come il Padre,
uno con Lui in amore, scopo, potere e volontà, a tal punto da essere divinamente investito dell’autorità di
essere Geova, il Dio dell’Antico Testamento, Colui che creò il mondo e gli offrì luce, verità, intelligenza e vita
eterna. Egli accondiscese a venire sulla terra come uomo mortale, dall’aspetto comune, e diventare come i
Suoi fratelli in ogni cosa (vedere Ebrei 2:17). Come dichiarò Alma, Egli soffrì dolori, afflizioni, e tentazioni di
ogni genere, e infine la morte, cosicché potesse spezzare i legami della morte (vedere Alma 7:11–12). Io credo
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che nel concilio preterreno, quando Egli fu scelto per essere il nostro Salvatore, ciascuno di noi fu d’accordo
con la scelta. Avevamo fede in Lui. Credevamo che Egli fosse giusto, saggio e che ci amasse. Come dichiarò
Cecil Alexander e come noi riconoscemmo in quel concilio celeste: «Nessuno avrebbe mai potuto compier tal
mission; Ei solo aprì la porta che conduce al ciel lassù».
NOTE
1. Bruce R. McConkie, A New Witness for the Articles of Faith (Salt Lake City: Deseret Book, 1985), 45; corsivo
dell’autore. Vedere anche Sterling W. Sill, in Conference Report, ottobre 1956, 66.
2. «Un verde colle v’è lontano», Inni, n. 115.
3. Mentre Romani 8:29 identifica Gesù come primogenito «fra molti fratelli» e Colossesi 1:15 viene visto come indicante
Gesù quale primogenito dalla tomba nella resurrezione, l’Anziano Joseph B. Wirthlin ci aiuta a capire che Gesù fu
davvero «il Primogenito del nostro Padre celeste nello spirito» («Christians in Belief and Action», Ensign, novembre 1996,
70).
4. Vedere anche la Topical Guide nella Bibbia KJV pubblicata dalla Chiesa, «Jesus Christ, Only Begotten Son», 251.
5. Joseph Smith, History of the Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, a cura di B. H. Roberts, seconda ed. riv. (Salt Lake
City: Deseret Book, 1957), 4:536.
6. In questa profezia, Isaia usa il tempo passato, o «perfetto profetico», «parlando di cose a venire come se fossero già
accadute» (Mosia 16:6). Per altre descrizioni delle apparizioni preterrene e post-terrene del Gesù glorificato, vedere la
Topical Guide [nella Bibbia SUG di Re Giacomo in lingua inglese; NdT], alle voci «Jesus Christ, Appearances, Antemortal» e
«Jesus Christ, Appearance, Postmortal».
7. Francis M. Gibbons, «The Savior and Joseph Smith — Alike yet Unlike», Ensign, maggio 1991, 33.
8. Questa credenza era tipica di alcuni Cristiani Gnostici. Per una discussione su questo argomento, vedere Bart D.
Ehrman, The New Testament: A Historical Introduction to the Early Christian Writings, terza ediz. (New York: Oxford
University Press, 2004), 6–7, 191.
9. Qui ho scelto di interpretare il tetragrammaton, il nome del Dio dell’Antico Testamento, come Geova, invece che
seguire la pratica della KJV nel tradurlo come «Signore» [oppure «Eterno» nella Riveduta; NdT].
10. Per un’ulteriore discussione su questo argomento, vedere Dallin H. Oaks, «The Light and Life of the World», Ensign,
novembre 1987, 63.
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Gesù Cristo: Il Salvatore che conosce Frank F. Judd, Jr.
Frank F. Judd, Jr. è assistente professore di Scritture antiche presso la Brigham Young University.
Frank F. Judd, Jr., «Jesus Christ: The Savior Who Knows», in Celebrating Easter: The 2006 BYU Easter Conference, a cura di
Thomas A. Wayment e Keith J. Wilson (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University), 113–36.
esù ci conosce e ci ama. Questa è la realtà possente e rassicurante del vangelo restaurato. Il Salvatore
risorto dichiarò questa verità ai Nefiti: «Io conosco le mie pecore ed esse sono contate» (3 Nefi 18:31;
vedere anche Giovanni 10:14, 27). Che cosa significa affermare che Gesù ci conosce? Questa verità va
oltre la Sua conoscenza della nostra identità. L’Anziano Richard G. Scott insegnò: «Il Salvatore vi conosce.
Egli vi ama ed è consapevole delle vostre necessità specifiche».[1] Il nostro Redentore non possiede soltanto
una conoscenza superficiale, ma comprende personalmente la nostra vera identità, le nostre necessità più
profonde e il nostro potenziale eterno. Questo capitolo esplora ciò che Gesù Cristo conosce di ciascuno di
noi, in che modo Egli ottenne questa conoscenza profonda e, più di ogni altra cosa, perché è essenziale che
noi siamo consapevoli di questa gloriosa verità. Io spero che una comprensione migliore di questi argomenti
possa favorire a sua volta una comprensione più profonda della vita, della morte, della Resurrezione del
nostro Salvatore e portare a una maggiore gioia per la celebrazione pasquale.
Diversi generi di conoscenza
Due modalità fondamentali per ottenere conoscenza sono lo studio e l’esperienza.[2] Entrambi i mezzi sono
importanti. Il Signore comandò al Profeta Joseph Smith di imparare attraverso la ricerca personale: «Studia, e
impara, e familiarizzati con tutti i buoni libri e con le lingue e gli idiomi, ed i popoli» (DeA 90:15; vedere
anche 88:118; 109:7, 14). Joseph Smith fu anche istruito riguardo alla sua sofferenza nel Carcere di Liberty:
«Tutte queste cose ti daranno esperienza, e saranno per il tuo bene» (DeA 122:7).
Alcune lingue, come il greco del Nuovo Testamento, contengono termini diversi per distinguere questi
generi di conoscenza. Sebbene si sovrappongano leggermente nel significato, il verbo greco oida significa
«avere informazioni riguardo a», mentre il verbo ginōskō può far riferimento alla «familiarità acquisita
tramite esperienza oppure conoscenza di persone o cose».[3] Sfortunatamente, tuttavia, nella Versione
Riveduta del Nuovo Testamento entrambi questi termini, separati e distinti in greco, sono tradotti come
«conoscere» in italiano. Ad esempio, il Salvatore insegnò che dovremmo conoscere le informazioni contenute
nelle Scritture. Nel Vangelo di Matteo, quando Gesù riprese un gruppo di Sadducei, viene utilizzato il
termine greco per indicare ‘conoscenza dei fatti’: «Voi errate, perché non conoscete [oida] le Scritture»
(Matteo 22:29). D’altro canto, Gesù sottolineò anche la necessità di conoscere tramite l’esperienza. Nella
famosa preghiera intercessoria del Salvatore, il Vangelo di Giovanni usa il termine greco per indicare la
‘conoscenza esperienziale’: «E questa è la vita eterna: che conoscano [ginōskō] te, il solo vero Dio, e colui che
tu hai mandato, Gesù Cristo» (Giovanni 17:3). Questo esempio evidenzia quanto profondamente dobbiamo
conoscere Dio Padre e Suo Figlio Gesù Cristo per ottenere la vita eterna.[4]
La rivelazione moderna rafforza il collegamento tra l’ottenere conoscenza e l’ottenere la salvezza: «È
impossibile per l'uomo essere salvato nell'ignoranza» (DeA 131:6). Certamente, studiare le Scritture e altri
buoni libri aiuta a costruire fondamenta essenziali, ma la conoscenza scritturale o letteraria non è il requisito
supremo per la salvezza. Il Profeta Joseph Smith chiarì:
«Il leggere l’esperienza degli altri o la rivelazione fatta loro non potrà mai dare a noi un’idea
completa della nostra vera condizione e relazione rispetto a Dio. La conoscenza di queste cose può essere
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ottenuta soltanto con l’esperienza, tramite le ordinanze di Dio stabilite a questo scopo. Se poteste
guardare nel cielo cinque minuti, ne sapreste di più che non leggendo tutto ciò che è mai stato scritto
sull’argomento».[5]
Oltre ad imparare tramite la partecipazione a sacre ordinanze e alla rivelazione, la conoscenza esperienziale
può essere ottenuta interiorizzando i principi del Vangelo. Il presidente David O. McKay insegnò:
«Acquisire conoscenza e applicarla sono due cose distinte. La saggezza è la giusta applicazione della
conoscenza e la vera educazione, l’educazione che la Chiesa sostiene, è l’applicazione della
conoscenza allo sviluppo di un carattere nobile e divino. Un uomo può possedere una profonda
conoscenza della storia e della matematica; può essere un’autorità nel campo della psicologia, della
biologia o dell’astronomia; può conoscere tutte le verità riguardo alla geologia e alle scienze naturali;
tuttavia, se nella sua conoscenza non possiede la nobiltà d’animo che lo spinge a trattare con
giustizia il prossimo, a praticare la virtù e la santità nella vita personale, questi non è un uomo
davvero educato. Il carattere è il vero fine dell’educazione».[6]
In che modo una persona giunge a «conosc[ere] … il solo vero Dio e Gesù Cristo» tramite l’esperienza, come
intendeva il Salvatore? Giovanni il Diletto fornì la risposta: «E da questo sappiamo che l'abbiam conosciuto:
se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: Io l'ho conosciuto e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo,
e la verità non è in lui» (1 Giovanni 2:3–4; corsivo dell’autore).[7] La conoscenza più importante si ottiene
mediante l’esperienza – in modo specifico tramite la rivelazione e l’obbedienza ai comandamenti di Dio. Il
Signore ha spiegato: «Qualsiasi principio di intelligenza noi conseguiamo in questa vita sorgerà con noi nella
risurrezione. E se una persona guadagna maggiore conoscenza e intelligenza in questa vita, mediante la sua
diligenza e la sua obbedienza, che un'altra, essa ne avrà altrettanto vantaggio nel mondo a venire» (DeA 130:18–
19; corsivo dell’autore).[8]
Alcuni tipi di conoscenza possono essere acquisiti soltanto dagli obbedienti. Il presidente Gordon B.
Hinckley ha insegnato: «Coloro che osservano la Parola di Saggezza conoscono la veridicità della Parola di
Saggezza. Coloro che svolgono il servizio missionario conoscono la saggezza divina presente dietro questo
servizio. Coloro che s’impegnano a rafforzare la propria famiglia in obbedienza alla chiamata del Signore
sanno che, così facendo, ne raccoglieranno le benedizioni. Coloro che partecipano al lavoro di tempio
conoscono la veridicità di questo lavoro, le sue implicazioni divine ed eterne. Coloro che pagano la decima
conoscono la promessa divina alla base di questa grande legge, la legge finanziaria della Chiesa. Coloro che
osservano il giorno del riposo conoscono la saggezza divina che lo istituì … Vivete il Vangelo, e tutti coloro
che lo faranno riceveranno nel cuore una convinzione della veridicità di ciò che vivono».[9] Questi principi
relativi all’acquisizione della conoscenza tramite l’esperienza e l’obbedienza si applicano anche a Gesù
Cristo.
La conoscenza personale del Salvatore
Il nostro Salvatore è Onnisciente in entrambi i sensi del termine conoscenza: mediante lo studio e mediante
l’esperienza. Il profeta Giacobbe insegnò: « Oh, grandezza della misericordia del nostro Dio, il Santo
d'Israele! … Poiché egli conosce ogni cosa, e non vi è nulla che egli non conosca» (2 Nefi 9:19–
20).[10] Inoltre, in una rivelazione moderna, il Salvatore dichiarò che Egli è «Colui che conosce ogni cosa,
poiché ogni cosa è presente dinanzi ai miei occhi» (DeA 38:2; vedere anche Giovanni 16:30).[11]
La TJS sottolinea il fatto che, durante la Sua vita terrena, Gesù non dipendeva da insegnanti terreni come le
altre persone: «E avvenne che Gesù crebbe con i suoi fratelli e si fece forte, e servì il Signore per il tempo del
suo ministero che doveva venire. E serviva sotto suo padre, e non parlava come gli altri uomini, né gli si
poteva insegnare, poiché non aveva bisogno che nessuno gli insegnasse» (TJS Matteo 3:23).[12]
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Nonostante fosse il Figlio di Dio, Gesù acquisì conoscenza come un essere mortale, linea su linea e precetto
su precetto. A Nazaret, «Gesù cresceva in sapienza e in statura, e in grazia dinanzi a Dio e agli uomini»
(Luca 2:52).[13]
Gesù ottenne una conoscenza fattuale mediante lo studio, particolarmente lo studio delle Scritture. Egli
conosceva a fondo l’Antico Testamento e lo citò spesso durante i Suoi sermoni (vedere Matteo 5:21–47).
Mentre digiunava nel deserto della Giudea, il Salvatore citò versetti specifici per controbattere le tentazioni
di Satana (vedere Matteo 4:1–11; Luca 4:1–13).[14] Presso una sinagoga di Nazaret, Gesù lesse le Scritture e si
auto-definì l’adempimento della profezia (vedere Luca 4:16–21). Sulla via per Emmaus, il Salvatore risorto
camminò insieme ad alcuni discepoli e «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le
Scritture le cose che lo concernevano» (Luca 24:27). Quale Geova, il Salvatore preterreno disse: «Io sono più
intelligente di tutti loro» (Abrahamo 3:19).[15] A questo proposito, l’Anziano Neal A. Maxwell spiegò:
«Questo significa che Gesù sa più cose riguardo all’astrofisica di tutti gli esseri umani che siano mai
vissuti, che vivono ora o che mai vivranno. Lo stesso vale per qualsiasi altro argomento o materia.
Inoltre, ciò che il Signore sa è fortunatamente molto di più - non poco più - della combinazione di
tutto il sapere umano».[16]
Il Salvatore acquisì conoscenza anche mediante la Sua esperienza terrena, incontrando le stesse situazioni
affrontate da tutti i comuni mortali. Re Beniamino profetizzò che Gesù avrebbe «soff[erto] le tentazioni, e i
dolori del corpo, la fame, la sete e la fatica» (Mosia 3:7).[17]
Durante il Suo ministero terreno, Gesù sapeva anche che avrebbe sofferto e sarebbe morto per i peccati del
mondo (vedere Matteo 16:21; 17:22–23; 28:18–19). L’esperienza del Salvatore, tuttavia, unita alla Sua
obbedienza al Padre perfezionò tale conoscenza. Come spiegò l’Anziano Maxwell:
«Gesù sapeva dal punto di vista cognitivo ciò che doveva fare, ma non dal punto di vista
dell’esperienza. Egli non aveva mai conosciuto prima personalmente il processo intenso e rigoroso
di un’Espiazione. Pertanto, quando l’agonia giunse nella sua pienezza, essa fu molto, molto peggio
di quanto persino Egli avesse mai immaginato, pur con il Suo intelletto perfetto!»[18]
La conoscenza vicaria del peccato da parte del Salvatore
Un’altra dimensione della conoscenza del Salvatore è che Egli sa ciò che proviamo quando pecchiamo. Come
detto in precedenza, Gesù ci capisce perché la Sua vita terrena, piena di tentazioni, fu simile a quella di tutti
gli esseri umani. Una differenza fondamentale, tuttavia, distingue l’esperienza terrena del Salvatore dalla
nostra. Come insegnò l’apostolo Paolo riguardo a noi: «Tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio»
(Romani 3:23). Gesù Cristo, tuttavia, «in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare» (Ebrei 4:15;
corsivo dell’autore).[19] Come può il nostro Salvatore capire davvero che cosa significa cedere alla
tentazione, se non commise alcun peccato? La risposta si trova nell’esperienza espiatoria del Salvatore.[20]
A motivo della Sua vita terrena, Gesù sa cosa significa essere tentati, ma, a motivo della Sua esperienza nel
Giardino di Getsemani e sulla croce, [21] Gesù conosce anche vicariamente la nostra esperienza con il
peccato. Il Salvatore risorto dichiarò questo ai Nefiti riguardo alla Sua esperienza: «Ho bevuto da quella
coppa amara che il Padre mi ha dato ed ho glorificato il Padre prendendo su di me i peccati del mondo, e in
questo ho accettato la volontà del Padre in tutte le cose, fin dal principio» (3 Nefi 11:11; corsivo
dell’autore).[22] Mentre il Salvatore pregava nel Giardino di Getsemani, dopo l’Ultima Cena, Egli fu in una
tale agonia che «il suo sudore divenne come grosse gocce di sangue che cadeano in terra» (Luca
22:44).[23] Che cosa fece sudare sangue da ogni poro del Salvatore?
Fu, ovviamente, l’incomprensibile esperienza di prendere su di Sé i peccati del mondo. Il nome del luogo
ove questo avvenne ha un significato simbolico. Il nome ebraico Getsemani significa «pressa delle olive».[24]
42
L’Anziano Russell M. Nelson spiegò che, nel luogo dove Gesù soffrì, «le olive venivano pressate sotto il peso
di grandi macine di pietra, fino a spremerne il prezioso olio. Così, il Cristo nel Giardino di Getsemani fu
letteralmente pressato sotto il peso dei peccati del mondo. Egli sudò grandi gocce di sangue, ‘l’olio’ della sua
vita, da ogni poro».[25] Tuttavia, sembra esservi un elemento specifico che contribuì direttamente a questa
terribile reazione fisica.
Mentre era sulla croce, Gesù gridò: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Matteo 27:46). Per
qualcuno può essere difficile immaginare che Dio abbia potuto davvero abbandonare il Suo Unigenito.
Tuttavia, questo è esattamente ciò che accadde. Il presidente Brigham Young insegnò: «Nel momento e
nell’ora esatta in cui giunse il momento critico di offrire la Sua vita, il Padre ritirò il Suo Spirito e fece scendere
un velo su Lui. Questo è ciò che Gli fece sudare sangue. Se avesse avuto il potere di Dio su di Lui, Egli non
avrebbe sudato sangue; ad ogni modo, tutto fu ritirato da Lui e un velo fu fatto scendere su di Lui; allora
Egli supplicò il Padre di non abbandonarlo».[26] È vero che, nel Getsemani, «un angelo gli apparve dal cielo
a confortarlo» (Luca 22:43), ma questo conforto sembra sia stato solo temporaneo, poiché, secondo le parole
del Salvatore stesso in merito alle presse del Getsemani, «[Gesù ha] calpestato il tino da solo … e nessuno era
con [Lui]» (DeA 133:50; vedere anche 76:107; 88:106; Isaia 63:3).
Secondo il presidente Young, l’allontanamento dello Spirito sembra essere stata la chiave per capire come
mai il Salvatore abbia sudato sangue nel Giardino di Getsemani. Lo Spirito (e un angelo di sostegno) Gli
avevano offerto protezione dalla pienezza della Sua sofferenza vicaria. In un’occasione, il Signore disse a
Martin Harris ciò che segue riguardo alla Sua esperienza nel Giardino:
«Io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno; Ma se non
volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me; E queste sofferenze fecero sì che io stesso,
Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro …
Pertanto io ti comando di nuovo di pentirti, perché io non ti umili con il mio potere onnipotente; e di
confessare i tuoi peccati, per non subire questi castighi di cui ho parlato, e che nella misura più piccola,
sì, in minimo grado, hai provato nel momento in cui ritirai il mio Spirito» (DeA 19:16–20; corsivo
dell’autore).[27]
Questa rivelazione ribadisce la terribile sofferenza causata dal peccato di cui non ci si pente e dalla perdita
dello Spirito, oltre a confermare che, quando Martin Harris peccò e perse lo Spirito, provò la stessa
sofferenza – seppur in minima parte - provata dal Salvatore nel Getsemani, quando sanguinò da ogni
poro.[28] D’altro canto, questa scrittura mostra come, nel Giardino di Getsemani, Gesù Cristo abbia provato
ciò che provano gli esseri umani quando peccano: la sofferenza quale risultato della perdita dello Spirito del
Signore.[29] Poiché lo Spirito si era ritirato, il Salvatore soffrì per i peccati del mondo al massimo grado e sudò
sangue da ogni poro.[30]
Perché Dio Padre ritirò il Suo Spirito dal Suo Beneamato Figliolo, nel Suo momento di bisogno? Come con
Martin Harris, lo Spirito Santo si ritira da noi quando pecchiamo. Il Signore ha dichiarato negli ultimi giorni
che «a colui che non si pente, sarà tolta anche la luce che ha ricevuto; poiché il mio Spirito non lotterà sempre
con l'uomo» (DeA 1:33; vedere anche Genesi 6:3; 1 Nefi 7:14; 2 Nefi 26:11; Ether 2:15; Mosè 8:17). Quando
Gesù prese su di Sé i peccati del mondo, Egli divenne colpevole, vicariamente ma letteralmente, al posto
nostro. L’Apostolo Paolo insegnò: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto
maledizione per noi» (Galati 3:13; corsivo dell’autore).[31] In un’altra epistola, Paolo insegnò anche che Dio
«l'ha [Cristo] fatto esser peccato per noi» (2 Corinzi 5:21).[32] In qualche modo, Gesù prese su di Sé i peccati
di tutta l’umanità in modo molto reale, diventando una «maledizione» e «peccato»; di conseguenza, il Padre
ritirò dal Salvatore il Suo Spirito.[33]
Stephen E. Robinson riassunse così questo principio:
43
«Cristo era divenuto colpevole dei peccati del mondo, colpevole al posto nostro … Nel Getsemani, il
migliore tra noi divenne vicariamente il peggiore tra noi e patì le profondità stesse dell’inferno.
Quale colpevole, il Salvatore sperimentò per la prima volta nella Sua vita la perdita dello Spirito di
Dio e della comunione con Suo Padre».[34]
Poiché Gesù Cristo prese letteralmente su di Sé i peccati del mondo, diventando vicariamente pieno di
peccato, Egli perse lo Spirito e provò una sofferenza incomprensibile. Pertanto, Egli non soltanto sa cosa
significa essere tentati, ma sa anche intimamente che cosa proviamo quando disobbediamo. Come
conseguenza dell’aver portato il pesante fardello della colpa e del rimorso causati dal peccato, il Salvatore
prova una perfetta empatia per l’anima peccatrice.
Conoscenza e sofferenza aggiuntive
La conoscenza che il Salvatore ha di noi, tuttavia, include molto più della semplice comprensione della
tentazione e del peccato. Quanto di più? L’autore dell’Epistola agli Ebrei insegnò ciò che segue riguardo a
Cristo: «In ogni cosa simile ai suoi fratelli» (Ebrei 2:17; corsivo dell’autore).[35] Alma il Giovane profetizzò
che Cristo non avrebbe sperimentato soltanto «pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie» (Alma 7:11) e
«pre[so] su di sé i peccati del suo popolo» (v. 13), ma avrebbe preso su di Sé le «pene», le «malattie» e le
«infermità» dell’umanità (vv. 11–12). Secondo Alma, dunque, nel Getsemani il Salvatore ottenne una
comprensione perfetta non soltanto del peccato, ma anche di altre esperienze negative che noi affrontiamo.
L’Anziano Jeffrey R. Holland trasse la conclusione che questa sofferenza aggiuntiva permise al Salvatore di
«assumersi ogni infermità terrena, sentire lo strazio, il dolore e la sofferenza di ogni singola persona».
[36] Pertanto, a motivo del Getsemani, Gesù Cristo giunse a conoscere pienamente non soltanto ciò che
proviamo quando pecchiamo, ma anche ciò che proviamo quando affrontiamo il dolore e le afflizioni che
non hanno nulla a che vedere con il peccato.[37]
Perché Gesù affrontò ulteriori sofferenze, in particolare quelle non collegate in alcun modo al peccato?
Quando Alma profetizzò che Gesù avrebbe preso su di Sé le pene, le malattie e le infermità dell’umanità, egli
spiegò che il Salvatore l’avrebbe fatto «affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia, secondo
la carne, affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle loro infermità»
(Alma 7:12).[38] L’Anziano Maxwell, sulla base di questi passi, spiegò che Gesù soffrì in questo modo
aggiuntivo «affinché potesse essere pieno di misericordia ed empatia perfette e personali e, quindi, affinché
potesse soccorrerci nelle nostre infermità. Dunque, Egli comprende pienamente la sofferenza umana».[39] Gesù
Cristo sa davvero che cosa significa essere ciascuno di noi, quando proviamo dolore e sofferenza. Di
conseguenza, Egli nutre una compassione perfetta per noi nelle nostre situazioni individuali.
In questo modo, Gesù è diventato il giudice ideale del nostro destino eterno. Soltanto un giudice che
comprende pienamente le esperienze dell’imputato può determinare il verdetto giusto al di là di ogni
ragionevole dubbio. In caso contrario, potrebbe sempre esserci la possibilità che il giudice non conoscesse
alcuni fatti essenziali che avrebbero potuto modificare il verdetto. A questo proposito, l’Anziano Glenn L.
Pace dichiarò: «Parte del motivo per cui il Salvatore soffrì nel Getsemani fu affinché Egli potesse avere una
compassione infinita per noi, mentre affrontiamo le nostre prove e tribolazioni. Tramite la Sua sofferenza nel
Getsemani, il Salvatore si qualificò per essere il giudice perfetto. Nessuno di noi potrà accostarsi a Lui, nel
Giorno del Giudizio, e dire: ‘Tu non sai cosa significa’. Egli conosce la natura delle nostre prove meglio di
noi, poiché Egli ‘scese al di sotto’ di tutte queste [prove]’».[40]
Degli ulteriori passi scritturali gettano luce sull’estensione della conoscenza che il nostro Salvatore ha di noi.
La conoscenza di Cristo non è semplicemente collettiva, ma individuale. Profetizzando del futuro Messia, il
profeta Isaia dichiarò: «Dopo aver dato la sua vita in sacrifizio per la colpa, egli vedrà una progenie» (Isaia
53:10; vedere anche Mosia 14:10). Dopo aver citato questo passo al popolo di Re Noè, il profeta Abinadi
definì l’identità della «progenie» di Cristo:
44
«Chiunque ha udito le parole dei profeti, sì, di tutti i santi profeti che hanno profetizzato riguardo
alla venuta del Signore — io vi dico che tutti coloro che hanno dato ascolto alle loro parole e hanno
creduto che il Signore avrebbe redento il suo popolo, e hanno atteso con ansia quel giorno per la
remissione dei loro peccati, io vi dico che sono questi la sua posterità» (Mosia 15:11).[41]
Pertanto, la «progenie» di Cristo sono coloro i quali hanno creduto al Salvatore e hanno utilizzato la Sua
Espiazione. Che cosa intendeva Isaia, dicendo che Cristo avrebbe visto «una progenie» dopo aver «dato la
sua vita in sacrifizio per la colpa» nel Getsemani?[42] L’Anziano Merrill J. Bateman interpretò questo passo
nel modo seguente: «Nel giardino e sulla croce, Gesù vide ciascuno di noi» e, pertanto, «l’Espiazione del
Salvatore nel giardino e sulla croce è tanto intima quanto è infinita. È infinita perché copre le eternità, è
intima perché il Salvatore provò le pene, le sofferenze e le malattie di ogni singola persona».[43]
Come risultato della Sua esperienza nel Getsemani, il nostro Salvatore non soltanto comprende che cosa
significa essere tentati e cedere al peccato, ma possiede anche una conoscenza personale dell’esperienza
terrena di ciascun individuo. Come insegnò l’Anziano Maxwell: «Non esiste problema personale che una
qualsiasi persona abbia affrontato o affronterà e che Gesù non comprenda profondamente, perfettamente e
personalmente».[44] Egli sa che cosa significa essere ciascuno di noi quando siamo ammalati, quando ci
sentiamo soli, quando siamo depressi o veniamo maltrattati.[45] Gesù Cristo è nella posizione ideale per
avere compassione nei nostri confronti, proprio in quanto Egli ci conosce perfettamente e personalmente,
meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Egli, pertanto, è diventato non soltanto il nostro giudice perfetto,
ma anche il nostro avvocato perfetto e il nostro amico perfetto.
Applicazione personale
Una volta compreso il fatto che il Salvatore possiede una conoscenza perfetta di ciascuno di noi, che cosa
dovremmo fare? L’autore dell’Epistola agli Ebrei dichiarò: «Perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che
non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato
come noi, però senza peccare. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo
misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno» (Ebrei 4:15–16; corsivo dell’autore).
L’espressione «trono della grazia» fa riferimento al «propiziatorio» posto sopra l’arca dell’alleanza situata
nel Luogo Santissimo, nel tempio di Gerusalemme (vedere Esodo 25:18–22). Il propiziatorio simboleggiava
la presenza di Dio (vedere Esodo 30:6). Una volta l’anno, nel Giorno dell’Espiazione, il sommo sacerdote
entrava nel Luogo Santissimo e spruzzava di sangue il propiziatorio, «simboleggiando il potere
dell’Espiazione di purificare tutta la penitente Israele dai suoi peccati, rendendo il popolo degno di stare alla
presenza del Signore».[46] Accostarsi «con piena fiducia al trono della grazia», dunque, simboleggia
l’accostarsi al nostro Padre celeste in preghiera nel nome di Suo Figlio, il supremo Sommo Sacerdote,
affinché possiamo trarre beneficio dalla misericordia e dal perdono disponibili tramite l’Espiazione (vedere
Ebrei 3:1, 5:5, 9:11).
Non dobbiamo cercare timidamente queste benedizioni, pensando che il nostro Salvatore non capisca ciò che
abbiamo fatto o ciò che stiamo attraversando. Egli conosce! Egli capisce! L’Anziano Maxwell insegnò: «Gesù
conosce e prende in considerazione, in modo personale e perfetto, le situazioni altamente individualizzate
delle nostre difficoltà e delle nostre distrette, inclusi i desideri e gli intenti più profondi del nostro
cuore».[47] Di conseguenza, noi dovremmo cercare fiduciosi il sollievo tramite l’Espiazione di Gesù Cristo,
la quale include non soltanto il perdono dei peccati, ma anche l’aiuto spirituale quotidiano necessario per
vivere e perseverare. L’Anziano Gene R. Cook concluse: «Quale pensiero glorioso! In verità, Gesù Cristo è in
grado di portare i problemi e le difficoltà che ciascuno di noi affronta nella vita quotidiana. Egli non ci
aiuterà soltanto ad essere salvati nel Giorno del Giudizio, ma sia Lui, sia Suo Padre sono coinvolti
regolarmente nella nostra vita, se troviamo il modo di accostarci a Loro».[48]
45
Conclusione
Durante la Sua vita terrena, Gesù imparò tutto riguardo alla tentazione. Nel Getsemani, Gesù imparò che
cosa significa peccare. Per questo motivo, alcuni potrebbero pensare che l’Espiazione riguardi soltanto il
pentimento e il perdono dei peccati, ma l’esperienza nel Getsemani conferì al Salvatore anche un’intima
conoscenza dell’esperienza terrena di ciascuno di noi, affinché Egli possa aiutarci.
L’Anziano Holland attestò che «l’Espiazione del Salvatore solleva non solo i fardelli dei nostri peccati, ma
anche i fardelli dovuti alle nostre delusioni e pene, al nostro dolore e disperazione» e che questa conoscenza
ci offre «un modo per migliorare, un incentivo per deporre i nostri fardelli e per ottenere la nostra
salvezza».[49]
Sapendo che il Salvatore possiede una conoscenza perfetta della nostra condizione e situazione individuale,
noi dovremmo prenderLo per mano nell’affrontare la strada della vita dinanzi. Il profeta Nefi dichiarò ciò
che segue riguardo alla propria condizione mortale e al proprio rapporto con il Salvatore: «Quando desidero
gioire, il mio cuore geme a causa dei miei peccati; nondimeno io so in chi ho riposto fiducia. Il mio Dio è
stato il mio sostegno; egli mi ha guidato nelle mie afflizioni nel deserto» (2 Nefi 4:19–20). Gesù Cristo è
davvero il Salvatore che conosce e, poiché conosce, Egli è qualificato in modo unico sia per salvarci dal
peccato, sia per accompagnarci attraverso l’imprevedibile deserto della nostra vita.
NOTE
[1] Richard G. Scott, «The Power to Make a Difference», Ensign, novembre 1983, 70.
[2] Per una discussione più dettagliata relativa alle numerose modalità per ottenere conoscenza, vedere Gerald N. Lund,
«An Anti-Christ in the Book of Mormon — The Face May Be Strange, but the Voice is Familiar», in Selected Writings of
Gerald N. Lund (Salt Lake City: Deseret Book, 1999), 120–22.
[3] Vedere Frederick William Danker, a cura di, A Greek - English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian
Literature, terza ediz. (Chicago: University of Chicago Press, 2000), 693, 199.
[4] È interessante notare come questo stesso termine greco per indicare la «conoscenza esperienziale» sia usato
nell’Antico Testamento in greco (la LXX) per indicare il rapporto coniugale tra marito e moglie (vedere Genesi 4:1, 17,
25). Simbolicamente, il nostro rapporto di alleanza con il Salvatore viene spesso descritto in termini di matrimonio, con
Gesù quale Sposo e i membri della Chiesa come sposa (vedere Matteo 9:14–15; 25:1–13; Giovanni 3:27–29; Apocalisse
19:7–9). Vedere anche Stephen E. Robinson, Believing Christ (Salt Lake City: Deseret Book, 1992), 24–25.
[5] Joseph Smith, Insegnamenti del Profeta Joseph Smith (Salt Lake City: Deseret Book, 1976), 256-257; corsivo dell’autore.
Da notare anche i commenti dell’Anziano Jeffrey R. Holland: «A volte cerchiamo il cielo troppo indirettamente,
focalizzandoci sui programmi, sulla storia o sulle esperienze degli altri. Queste cose sono importanti ma non così
importanti come l’esperienza personale, l’essere veri discepoli e la forza che proviene dallo sperimentare personalmente
il potere del Suo tocco» («Cose rotte da riparare», Liahona, maggio 2006, 70).
[6] David O. McKay, Gospel Ideals (Salt Lake City: Improvement Era, 1953), 440. Riguardo a questo, l’Anziano Neal A.
Maxwell insegnò: «La conoscenza, la sua scoperta, la sua conservazione e perpetuazione sono molto importanti. Eppure,
essere bene informati senza sviluppare abbastanza le virtù dell’amore, della mansuetudine e della pazienza non è
sufficiente per essere discepoli completi. Il semplice consenso intellettuale nei confronti di una verità ci priva delle
esperienze rilevanti e personali che derivano dall’applicare ciò che professiamo di credere. Probabilmente, nel mondo
preterreno vi furono briefing di orientamento riguardo al modo in cui questa vita terrena si sarebbe dispiegata per noi,
ma l’esperienza concreta è un’altra cosa! Pertanto, pur essendo certamente molto importante, la conoscenza da sola non
può salvarci» («Becoming a Disciple», Ensign, giugno 1996, 13–14).
[7] In questo versetto, ciascun utilizzo del verbo italiano «conoscere» è una traduzione del termine greco per indicare la
‘conoscenza esperienziale’ (ginōskō).
[8] Per il collegamento tra obbedienza e conoscenza, vedere Giovanni 7:17; 8:31–32; Mosia 4:10; Alma 26:22; DeA 89:18–
19.
46
[9] Gordon B. Hinckley, Teachings of Gordon B. Hinckley (Salt Lake City: Deseret Book, 1997), 403–4. Il presidente Hinckley
insegnò anche: «Nessuna forza sulla terra può impedire all’Onnipotente di riversare conoscenza … se viviamo in
rettitudine, se obbediamo ai principi del Vangelo, se facciamo ciò che dovremmo fare come membri della Chiesa di Gesù
Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni e camminiamo in obbedienza ai comandamenti di Dio. Allora riceveremo illuminazione,
conoscenza, comprensione e fede e la nostra vita sarà arricchita, resa più felice e fruttuosa» (citato in «News of
the Church», Ensign, ottobre 1995, 75; corsivo dell’autore).
[10] Il Libro di Mormon insegna chiaramente che «il Santo d’Israele» è Gesù Cristo (vedere 2 Nefi 25:29; Omni 1:26).
[11] Vedere anche Marion G. Romney, «My Testimony of Jesus Christ», Ensign, settembre 1974, 5.
[12] Vedere anche Thomas A. Wayment, a cura di, The Complete Joseph Smith Translation of the New Testament (Salt Lake
City: Deseret Book, 2005), 5.
[13] La rivelazione moderna insegna che il Salvatore «non ricevette la pienezza all'inizio, ma ricevette grazia su grazia; E
non ricevette la pienezza all'inizio, ma continuò di grazia in grazia fino a che ricevette la pienezza. E così fu chiamato il
Figlio di Dio, perché non ricevette la pienezza all'inizio» (DeA 93:12–14).
[14] Vedere anche Howard W. Hunter, «The Temptations of Christ», Ensign, novembre 1976, 18.
[15] Per l’identità di Gesù quale Geova, vedere 3 Nefi 15:4–5 e Giovanni 8:58–59.
[16] Neal A. Maxwell, All These Things Shall Give Thee Experience (Salt Lake City: Deseret Book, 1979), 22.
[17] Oltre alle famose tentazioni nel deserto della Giudea (vedere Matteo 4:1–11; Luca 4:1–13), vedere anche Matteo 16:1;
19:3; 22:8, 35. Alma profetizzò che Cristo sarebbe «andato], soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie» (Alma
7:11).
[18] Neal A. Maxwell, «Willing to Submit», Ensign, maggio 1985, 72–73.
[19] Paolo insegnò che Cristo «non ha conosciuto peccato» (2 Corinzi 5:21).
[20] Vedere Robinson, Believing Christ, 116–25.
[21] Sia l’Anziano James E. Talmage che l’Anziano Bruce R. McConkie insegnarono che le terribili sofferenze patite dal
Salvatore nel Giardino di Getsemani «ritornarono» mentre Egli era sulla croce. Vedere James E. Talmage, Gesù il
Cristo (Salt Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, 1915), 661; Bruce R. McConkie, A New Witness for
the Articles of Faith (Salt Lake City: Deseret Book, 1985), xiv, 289; e Bruce R. McConkie, The Mortal Messiah (Salt Lake City:
Deseret Book, 1979–81), 4:224.
[22] Vedere anche Alma 34:8: «Cristo verrà fra i figlioli degli uomini per prendere su di Sé le trasgressioni del suo
popolo, e che egli espierà per i peccati del mondo».
[23] Sia Il Libro di Mormon che DeA confermano che questo linguaggio va preso alla lettera (vedere Mosia 3:7; DeA
19:18).
[24] Ulrich Luz, Matthew 21–28 (Minneapolis: Fortress Press, 2005), 395.
[25] Russell M. Nelson, «Why This Holy Land?» Ensign, dicembre 1989, 17–18. Vedere anche Robinson, Believing Christ,
119–20.
[26] Brigham Young, Journal of Discourses, 3:206; corsivo dell’autore. Su questo argomento, vedere anche Robert L. Millet,
«Treading the Winepress Alone», in Studies in Scripture, Vol. 5: The Gospels (Salt Lake City: Deseret Book, 1986), 434–35.
[27] In questo periodo della storia della Chiesa, Martin Harris stava nutrendo dei dubbi riguardo all’ipotecare parte della
sua fattoria per pagare la pubblicazione del Libro di Mormon (vedere Stephen E. Robinson e H. Dean Garrett, A
Commentary on the Doctrine and Covenants [Salt Lake City: Deseret Book, 2000–2005], 1:110–11).
[28] Riguardo a questi versetti, Robinson e Garrett concludono: «Gli impenitenti, tuttavia, soffriranno tutti per i propri
peccati, come [Gesù] soffrì per i peccati del mondo, patendo esattamente la stessa angoscia, ma non nello stesso grado»
(Robinson e Garrett, Commentary on the Doctrine and Covenants, 1:118; corsivo dell’autore).
[29] Robert J. Matthews insegnò: «[Cristo] subì la morte fisica sulla croce e la ‘morte spirituale’ nel Giardino di
Getsemani (oltre che sulla croce), quando prese su di sé i peccati di tutta l’umanità» (A Bible! A Bible! [Salt Lake City:
Bookcraft, 1990], 260).
47
[30] Nella rivelazione moderna, il Signore ha dichiarato che il Salvatore «è sceso al di sotto» di tutto ciò che qualsiasi
mortale abbia mai provato. Vedere DeA 122:8; 88:6. Su questo argomento, vedere anche Millet, «Treading the Winepress
Alone», 436–38.
[31] Paolo si riferiva alla legge di Mosè, in cui il Signore dichiarò all’antica Israele: «E quand'uno avrà commesso un
delitto degno di morte … tu l'avrai fatto morire e appiccato a un albero … perché l'appiccato è maledetto da Dio»
(Deuteronomio 21:22–23).
[32] Da notare l’interpretazione di C. K. Barrett: «Cristo divenne peccato, vale a dire che Egli giunse a trovarsi in quella
relazione con Dio normalmente dovuta al peccato, alienato da Dio e oggetto della Sua ira» (The Second Epistle to the
Corinthians [London: A & C Black, 1973], 180). F. F. Bruce fa riferimento a questo passo di C. K. Barrett nella sua
interpretazione di Galati 3:13; vedere The Epistle to the Galatians (Grand Rapids: Eerdmans, 1982), 166. Alla luce
dell’interpretazione di Paolo effettuata da Barrett, secondo cui Cristo divenne peccato e l’oggetto dell’ira di Dio, è da
notare come la rivelazione moderna chiami l’esperienza di Cristo nel Getsemani «il tino della furia dell'ira di Dio
Onnipotente» (DeA 76:107; vedere anche 88:106).
[33] Robert L. Millet interpretò Galati 3:13 e 2 Corinzi 5:21 come a significare che l’uomo innocente Gesù divenne
vicariamente «il grande peccatore» nel Getsemani (The Power of the Word: Saving Doctrines from the Book of Mormon [Salt
Lake City: Deseret Book, 1994], 13, 92, 178).
[34] Robinson, Believing Christ, 118–19. Studi recenti sull’esperienza del Salvatore nel Getsemani si trovano in Andrew C.
Skinner, Gethsemane (Salt Lake City: Deseret Book, 2002) e Terry B. Ball, «Gethsemane», in The Life and Teachings of Jesus
Christ: The Savior’s Final Hours, a cura di Thomas A. Wayment e Richard Neitzel Holzapfel (Salt Lake City: Deseret Book,
2003), 138–64.
[35] L’autore dell’Epistola agli Ebrei insegnò anche che Gesù «in ogni cosa … tentato come noi, però senza peccare» (Ebrei
4:15; corsivo dell’autore).
[36] Jeffrey R. Holland, «Testimoni speciali di Cristo», Liahona, aprile 2001, 15.
[37] L’Anziano Neal A. Maxwell spiegò la profezia di Alma: «Gesù si offrì volontario anche per prendere su di
Sé un’ulteriore agonia, al fine di poter sperimentare e quindi conoscere certe cose ‘secondo la carne’, vale a dire le malattie,
le infermità e le sofferenze umane, incluse quelle non associate al peccato» («Becoming a Disciple», Ensign, giugno 1996, 12;
corsivo dell’autore).
[38] L’autore dell’Epistola agli Ebrei insegnò similmente che il Salvatore sperimentò queste cose «affinché diventasse un
misericordioso e fedel sommo sacerdote nelle cose appartenenti a Dio, per compiere l'espiazione dei peccati del popolo.
Poiché, in quanto egli stesso ha sofferto essendo tentato, può soccorrere quelli che son tentati» (Ebrei 2:17–18; corsivo
dell’autore). È importante notare come, dopo la Sua esperienza nel Getsemani e sul Golgota, il Salvatore risorto abbia
dichiarato ai Nefiti: «Ho compassione di voi; le mie viscere sono piene di misericordia» (3 Nefi 17:7).
[39] Neal A. Maxwell, «Enduring Well», Ensign, aprile 1997, 7; corsivo dell’autore.
[40] Glenn L. Pace, «Crying with the Saints», Ensign, settembre 1988, 71. L’Anziano Neal A. Maxwell insegnò anche:
«Egli [Cristo] prese su di Sé i nostri peccati, oltre ai nostri dolori, alle nostre malattie e infermità (vedere Alma 7:11–12).
Pertanto, Egli conobbe – non in astratto, ma concretamente, ‘secondo la carne’ – l’intera sofferenza umana. Egli portò le
nostre infermità prima ancora che noi le patissimo. Egli sa perfettamente come soccorrerci. Noi non possiamo
insegnarGli nulla riguardo al dolore, alla tentazione o all’afflizione» (We Will Prove Them Herewith [Salt Lake City:
Deseret Book, 1982], 46–47).
[41] Vedere anche Mosia 5:7: «A motivo dell'alleanza che avete fatto, sarete chiamati figlioli di Cristo, suoi figli e sue figlie;
poiché ecco, in questo giorno egli vi ha spiritualmente generati, poiché dite che il vostro cuore è cambiato, tramite la fede
nel suo nome; perciò siete nati da lui e siete diventati suoi figli e sue figlie» (corsivo dell’autore).
[42] Il verbo ebraico «vedere» (ra’ah) può significare letteralmente «vedere» con gli occhi, oppure figurativamente
«percepire» con la mente. Vedere Francis Brown, S. R. Driver e Charles A. Briggs, a cura di, A Hebrew and English Lexicon
of the Old Testament (New York: Oxford University Press, 1951), 906–8.
[43] Merrill J. Bateman, «The Power to Heal from Within», Ensign, maggio 1995, 14; corsivo dell’autore.
[44] Neal A. Maxwell, Plain and Precious Things (Salt Lake City: Deseret Book, 1983), 43. Da notare anche un ulteriore
insegnamento di Anziano Maxwell: «Gesù conosce le pecore del Suo gregge non soltanto per ciò che sono ora, ma anche
per ciò che hanno il potere di diventare» (Even As I Am [Salt Lake City: Deseret Book, 1982], 78).
48
[45] Da notare la supplica di Anziano Neal A. Maxwell: «Ci rendiamo conto - comprendiamo davvero – che Gesù sa e
capisce quando siamo stressati e perplessi? La completa consacrazione che realizzò l’Espiazione assicurò l’empatia
perfetta di Gesù; Egli provò i nostri stessi dolori e le nostre stesse afflizioni prima di noi, e sa come soccorrerci»
(«Swallowed Up in the Will of the Father», Ensign, novembre 1995, 24). Vedere anche Neal A. Maxwell, If Thou Endure It
Well (Salt Lake City: Bookcraft, 1996), 52; Robinson, Believing Christ, 122–23.
[46] Richard Neitzel Holzapfel e David Rolph Seely, My Father’s House: Temple Worship and Symbolism in the New
Testament (Salt Lake City: Bookcraft, 1994), 60; vedere anche Levitico 16:14–15; Ebrei 9:7.
[47] Neal A. Maxwell, One More Strain of Praise (Salt Lake City: Deseret Book, 1999), 40. In un libro precedente, l’Anziano
Maxwell aveva insegnato: «Gesù conosce e si preoccupa di ciascun individuo; Egli veglia con cura sulle cose
apparentemente più piccole» (That Ye May Believe [Salt Lake City: Bookcraft, 1992], 205).
[48] Gene R. Cook, «The Grace of the Lord», New Era, dicembre 1988, 4.
[49] Jeffrey R. Holland, «Cose rotte da riparare», Liahona, maggio 2006, 70–71.
49
ANZIANO BRUCE C. HAFEN
Membro del Primo Quorum dei Settanta
egli ultimi anni, noi Santi degli Ultimi Giorni abbiamo insegnato, cantato e testimoniato del
Salvatore Gesù Cristo in modo molto più intenso. Mi rallegro del fatto che ci rallegriamo di più.
Quando «parliamo [di più] di Cristo»,1 la pienezza della dottrina evangelica esce dall’oscurità. Per
esempio, alcuni dei nostri amici non riescono a capire in che modo le nostre credenze sull’Espiazione si
relazionino con le nostre credenze sul diventare più simili al nostro Padre celeste. Altri
pensano erroneamente che la nostra chiesa stia andando verso una comprensione del rapporto tra grazia ed
opere che si rifà agli insegnamenti protestanti. Tali malintesi mi spingono a parlare oggi della singolare
dottrina dell’Espiazione emersa con la Restaurazione.
Il Signore restaurò il Suo vangelo tramite Joseph Smith perché c’era stata un’apostasia. Fin dal quinto secolo
il cristianesimo insegnava che la caduta di Adamo ed Eva era stata un tragico errore, portando così le
persone a credere che, nella stessa natura umana, fosse insita una natura malvagia. Questo punto di vista è
sbagliato, non soltanto per quanto riguarda la Caduta e la natura umana, ma anche per quanto attiene
all’esatto scopo della vita.
La Caduta non fu un disastro. Non fu un errore né un incidente. Fu una parte deliberata del piano di
salvezza. Noi siamo la «progenie» spirituale di Dio,2 e siamo stati mandati sulla terra, «innocenti»3 della
trasgressione di Adamo. Eppure, il piano del Padre ci espone alla tentazione e all’infelicità in questo mondo
decaduto quale prezzo da pagare per comprendere la vera gioia. Senza assaggiare l’amaro, non possiamo in
effetti conoscere il dolce.4 Abbiamo bisogno della disciplina e del perfezionamento della vita terrena quale
«passo successivo del nostro sviluppo» per poter diventare simili al nostro Padre.5 Ma crescere significa
sperimentare la sofferenza. Significa anche imparare dai nostri errori, in un processo continuo reso possibile
dalla grazia del Salvatore, che Egli elargisce sia durante che «dopo aver fatto tutto ciò che possiamo fare».6
Adamo ed Eva imparavano costantemente dalle loro esperienze, spesso molto dure. Conoscevano i dolori di
una famiglia nelle difficoltà. Pensate a Caino e Abele. Eppure, grazie all’Espiazione, potevano imparare dalle
proprie esperienze senza venire da esse condannati. Il sacrificio di Cristo non significava annullare le loro scelte e
riportarli all’innocenza dell’Eden. Sarebbe una storia senza trama e priva di crescita caratteriale. Il Suo piano
prevede lo sviluppo — linea su linea, passo per passo, grazia per grazia.
Dunque, se nella vostra vita incontrate delle difficoltà, non pensate che ci sia qualcosa di sbagliato in voi.
Lottare con quei problemi è l’essenza stessa dello scopo della vita. Nell’avvicinarci a Dio, Egli ci mostrerà le
nostre debolezze, e mediante esse ci renderà più saggi, più forti.7 Se riscontrate molte più debolezze in voi,
può significare che vi state avvicinando maggiormente a Dio, non allontanando.
Uno dei primi convertiti australiani disse: «La mia vita passata era un campo di erbacce dove raramente
cresceva un fiore. [Ma] adesso le erbacce sono sparite e al loro posto crescono i fiori».8
Cresciamo in due modi: eliminando le erbe infestanti e coltivando fiori beneauguranti. Il Salvatore concede
la Sua grazia in entrambi gli aspetti—se noi facciamo la nostra parte. Per prima cosa, e a diverse riprese,
dobbiamo estirpare le erbacce del peccato e delle scelte errate. Non basta solo tagliare le erbacce. Tiratele
fuori con le radici, pentendovi in maniera completa per soddisfare le condizioni della misericordia.
N
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Ma ricevere il perdono è solo una parte della nostra crescita. Non stiamo soltanto pagando un debito. Il
nostro obiettivo è diventare esseri celesti. Una volta che abbiamo ripulito il nostro cuore (la nostra terra),
dobbiamo continuare a piantare, estirpare le erbacce e nutrire i semi delle qualità divine. E poi, quando
grazie al nostro sudore e disciplina possiamo arrivare a ricevere i Suoi doni, «la pace [sentiamo] dentro [di
noi] d’un limpido mattin»,9 quali la speranza e la mansuetudine. Persino l’albero della vita può mettere
radici in questo cuore, e dare frutti tanto dolci da alleviare i nostri fardelli «tramite la gioia in suo Figlio».10 E
quando sboccerà il fiore della carità, allora ameremo gli altri con il potere dell’amore stesso di Cristo.11
Abbiamo bisogno della grazia sia per estirpare le erbacce del peccato sia per coltivare i fiori divini. Non
possiamo fare da soli nessuna delle due cose. Ma la grazia non costa poco. È molto costosa, anzi molto cara.
Quanto costa la grazia? Basta semplicemente credere in Cristo? L’uomo che trovò la perla di gran prezzo
dette in cambio «tutto quel che aveva».12 Se desideriamo avere «tutto quello che [il] Padre ha»,13 Dio ci
chiede tutto quello che abbiamo. Per qualificarci a ricevere tale grande tesoro, in qualsiasi modo ci adoperiamo,
dobbiamo dare come Cristo diede, ogni cosa che aveva: «Quanto intens[o] non sapete, sì, quanto dur[o] da
sopportare non sapete».14 Paolo disse: «Se pur soffriamo con lui», «siamo coeredi di Cristo».15 Tutto il Suo
cuore, tutto il nostro cuore.
Quale perla poteva avere un valore tanto alto, per Lui e per noi? Questa terra non è la nostra casa. Stiamo
andando a scuola per vedere di assimilare le lezioni del «grande piano di felicità»16 in modo da poter tornare
a casa e sapere cosa significa essere di nuovo a casa. Il Signore ci spiega ripetutamente perché il piano vale il
nostro sacrificio, e il Suo. Eva lo chiamò «la gioia della nostra redenzione».17 Giacobbe lo chiamò «quella
felicità che è preparata per i santi».18 Per necessità il piano è pieno di spine e lacrime, le Sue e le nostre. Ma
poiché Lui e noi siamo totalmente coinvolti insieme in questa causa, il nostro essere «uno» con Lui nel
superare l’opposizione ci porterà di per sé «sconfinata gioia».19
L’espiazione di Cristo è al centro di questo piano. Senza il Suo caro, caro sacrificio non ci sarebbe una via di
ritorno a casa, non ci sarebbe modo di stare insieme a Lui, né di essere simili a Lui. Ci ha dato tutto quello
che Egli aveva. Per cui, «quanto grande è la sua gioia»20 quando anche solo uno di noi «ne comprende
l’importanza», quando dal mucchio di erbacce alziamo lo sguardo voltandoci verso il Figlio.
Solo il vangelo restaurato possiede la pienezza di queste verità! Eppure il Maligno è impegnato in una tra le
imprese più grandi della storia, cercando di persuadere gli uomini che questa chiesa poco sa – quando di
fatto sa molto – del modo in cui il nostro rapporto con Cristo fa di noi dei veri cristiani.
Se dobbiamo dare tutto quello che abbiamo, allora il fatto di dare soltanto quasi tutto non è sufficiente.
Se quasi osserviamo i comandamenti, quasi riceviamo le benedizioni. Alcuni giovani pensano di potersi
abbandonare al fango del peccato e farsi una doccia di pentimento proprio prima dell’intervista per poter
andare in missione o al tempio. Nel momento stesso dell’atto della trasgressione, alcuni programmano di
pentirsi. Essi si fanno beffe del dono della misericordia concesso dal vero pentimento.
Alcune persone vogliono tenere una mano sul muro del tempio e, allo stesso tempo, con l’altra mano, toccare
le cose «impure del mondo».21 Dobbiamo posare entrambe le mani sul tempio e rimanere saldamente
attaccati per tutta la vita. Una mano non è neanche quasi sufficiente.
Il giovane ricco aveva dato quasi tutti i suoi averi. Quando il Salvatore gli disse di vendere tutti i suoi
possedimenti, non si trattava più soltanto di liberarsi delle ricchezze.22 Se lo vogliamo, possiamo ottenere la
vita eterna, ma a condizione che non ci sia nessun’altra cosa che desideriamo di più.
Dunque dobbiamo desiderare di dare ogni cosa, perché Dio stesso non può farci crescere contro la nostra
volontà, e senza la nostra piena partecipazione. Persino quando usiamo tutte le nostre energie per compiere
una cosa, ci manca il potere di creare la perfezione che solo Dio può aggiungere. Quello che per noi
significa tutto, di per sé è ancora quasi abbastanza — finché non venga completato dal tutto di Colui che è «il
perfezionatore della nostra fede».23 A quel punto, il nostro quasi, imperfetto ma consacrato, diventa
sufficiente.
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La mia amica Donna crebbe sperando di sposarsi e avere una famiglia numerosa. Ma quella benedizione non
arrivò mai. Invece, ella ha trascorso gli anni della maturità servendo le persone del suo rione con smisurata
compassione, e seguendo i bambini con disturbi psichici presso una grande scuola. Soffriva di artrite
deformante e molte volte le sue giornate erano lunghe e tristi; eppure era sempre di conforto e confortata dai
suoi amici e familiari. Una volta, mentre insegnava il sogno di Lehi, disse dolcemente: «Nel quadro io mi
dipingerei sulla via stretta e angusta, fermamente attaccata alla verga di ferro, ma crollata dalla stanchezza
proprio sulla via». In un'ispirata benedizione impartitale prima di morire, l’insegnante familiare di Donna
disse che il Signore l’aveva «accettata». Donna pianse. Non aveva mai pensato che la sua vita di donna sola
fosse accettabile. Ma il Signore disse che coloro che «sono disposti a osservare le loro alleanze col sacrificio...
io li accetto».24 Posso vederLo percorrere il sentiero dall’albero della vita per sollevare Donna con gioia e
portarla a casa.
Prendete in considerazione altre persone che, come Donna, si sono pienamente consacrate al punto
che quasi è sufficiente:
molti missionari in Europa o in località simili non smettono mai di offrire il loro cuore ferito, malgrado i
continui rifiuti.
I pionieri dei carretti a mano dissero di aver conosciuto Dio nelle loro condizioni estreme, e che fu per loro
un privilegio pagare il prezzo pagato per arrivare a conoscerLo.
Un padre che ha fatto tutto il possibile pur senza riuscire a influenzare le scelte della figlia, che poté soltanto
rivolgersi al Signore, supplicandoLo, come Alma, di aver pietà della sua creatura.
Una moglie che incoraggiò il marito a dispetto degli anni di debolezza, finché i semi del pentimento
finalmente germogliarono nel suo cuore. Ella disse: «Cercavo di guardarlo come Cristo avrebbe guardato
me».
Un marito la cui moglie soffriva da anni di disordini emotivi; lui la definiva sempre «la nostra piccola sfida»,
mai soltanto «la sua malattia». Nel regno del loro matrimonio, egli soffriva per le afflizioni di lei,25 proprio
come Cristo nel Suo regno infinito fu «afflitto in tutte le [nostre] afflizioni».26
Le persone descritte in 3 Nefi 17 erano sopravvissute alla distruzione, al dubbio e all’oscurità solo per
arrivare al tempio con Gesù. Dopo averLo ascoltato per ore meravigliati, diventarono troppo esausti per
capirLo. Quando si preparò per lasciarli, Lo guardarono con le lacrime agli occhi e il profondo desiderio che
rimanesse e benedicesse i loro infermi e i loro bambini. Essi non Lo capivano neppure, ma desideravano
rimanere con Lui più di qualsiasi altra cosa. E dunque Egli rimase. Il loro quasi fu sufficiente.
Quasi è sufficiente in modo particolare quando i nostri sacrifici ricordano, in qualche modo, il sacrificio del
Salvatore, per quanto imperfetti siamo. Non possiamo sentire veramente carità—l’amore di Cristo per gli
altri—senza almeno aver assaggiato le Sue sofferenze per gli altri, perché l’amore e la sofferenza sono le due
facce di una stessa realtà. Quando siamo veramente afflitti per le afflizioni delle altre persone, allora
possiamo prender parte alla «comunione delle sue sofferenze»27 in maniera abbastanza profonda da
diventare coeredi di Cristo.
Possiamo noi non ritirarci quando scopriamo, paradossalmente, quanto è alto il prezzo da pagare per
ricevere quello che, alla fine, è un dono da parte Sua. Quando il tutto del Salvatore e il nostro tutto si
uniranno, non troveremo allora soltanto il perdono dei peccati — «lo vedremo come egli è» e «saremo simili
a Lui».28Gli voglio bene. Voglio essere con Lui. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
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NOTE
1. 2 Nefi 25:26.
2. Vedere Atti 17:28.
3. Vedere DeA 93:38.
4. Vedere DeA 29:39.
5. Jeffrey R. Holland, Christ and the New Covenant: The Messianic Message of the Book of Mormon (1997), 207.
6. 2 Nefi 25:23; corsivo dell’autore.
7. Vedere Ether 12:27.
8. Martha Maria Humphreys, citato in Marjorie Newton, Southern Cross Saints: The Mormons in Australia (1991), 158.
9. «Nell’anima mia c’è il sol», Inni, 140.
10. Alma 33:23.
11. Vedere Moroni 7:48.
12. Matteo 13:46; vedere anche Alma 22:15.
13. DeA 84:38.
14. DeA 19:15.
15. Romani 8:17.
16. Alma 42:8.
17. Mosè 5:11.
18. 2 Nefi 9:43.
19. Vedere Alma 28:8.
20. DeA 18:13; corsivo dell’autore.
21. Vedere Alma 5:57.
22. Vedere Matteo 19:16–22.
23. Ebrei 12:2; vedere anche Moroni 6:4.
24. DeA 97:8; corsivo dell’autore.
25. Vedere DeA 30:6.
26. Vedere DeA 133:53.
27. Filippesi 3:10.
28. Moroni 7:48; 1 Giovanni 3:2; corsivo dell’autore.
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L’Espiazione e il valore di una sola anima
ANZIANO M. RUSSELL BALLARD
Membro del Quorum dei Dodici Apostoli
o scorso gennaio la nostra famiglia è stata in lutto per la tragica perdita di nostro nipote Nathan in un
incidente aereo. Nathan era stato un missionario nella Missione Baltica di lingua russa; amava la
gente e sapeva che era un privilegio servire il Signore. Tre mesi dopo aver celebrato il matrimonio
eterno tra lui e la sua cara Jennifer, questo incidente gli tolse la vita. L’improvvisa scomparsa di Nathan dalla
nostra presenza, ha volto il cuore e la mente di tutti noi all’espiazione del Signore Gesù Cristo. Sebbene mi
sia impossibile esprimervi a parole il pieno significato dell’espiazione di Cristo, prego di potervi spiegare ciò
che essa vuol dire per me e la nostra famiglia, come pure quello che potrebbe significare per voi e i vostri
cari.
Per noi la preziosa nascita del Salvatore, la Sua vita, l’espiazione nel Giardino di Getsemani, la sofferenza
sulla croce, la sepoltura nella tomba di Giuseppe di Arimatea e la gloriosa resurrezione sono divenuti una
rinnovata realtà. La risurrezione del Salvatore assicura a tutti che un giorno anche noi Lo seguiremo e
passeremo attraverso la nostra risurrezione. Quale pace e conforto porta questo dono grandioso, che giunge
attraverso la grazia amorevole di Gesù Cristo, il Salvatore e Redentore di tutta l’umanità. Grazie a Lui
sappiamo che potremo di nuovo stare con Nathan.
Non c’è espressione d’amore superiore a quella dell’eroica espiazione portata a termine dal Figlio di Dio. Se
non fosse per il piano del nostro Padre celeste, stabilito prima della fondazione del mondo, tutta l’umanità—
passata, presente e futura—non avrebbe avuto di fatto la speranza di un progresso eterno. In conseguenza
della trasgressione di Adamo, i mortali furono separati da Dio (vedere Romani 6:23) e lo sarebbero rimasti
per sempre, a meno che non si fosse trovato un modo per spezzare le catene della morte. Non sarebbe stato
facile, poiché occorreva il sacrificio vicario di Uno che fosse senza peccato e che potesse, quindi, prendere su
di Sé i peccati di tutto il genere umano.
Nell’antica Gerusalemme Gesù Cristo compì con coraggio questo sacrificio. Nel quieto isolamento del
Giardino di Getsemani, il Salvatore s’inginocchiò tra gli ulivi nodosi e, in un qualche modo incredibile, che
nessuno di noi può del tutto comprendere, prese su di Sé i peccati del mondo. Benché la Sua vita fosse pura e
senza peccato, Egli pagò la pena estrema per i peccati—miei, vostri e quelli di chiunque abbia mai vissuto o
vivrà. La Sua angoscia mentale, emotiva e spirituale fu tale da far sì che sanguinasse da ogni poro (vedere
Luca 22:44; DeA 19:18). Gesù, tuttavia, soffrì volontariamente, affinché potessimo tutti avere la possibilità di
essere purificati mediante la nostra fede in Lui, il pentimento dei nostri peccati, il battesimo tramite la debita
autorità del sacerdozio, la confermazione e il dono purificatore dello Spirito Santo, accettando inoltre tutte le
altre ordinanze essenziali. Senza l’espiazione del Signore, nessuna di queste benedizioni sarebbe alla nostra
portata né potremmo diventare degni e preparati per ritornare a dimorare alla presenza di Dio.
Il Salvatore in seguito sopportò l’agonia dell’interrogatorio, delle crudeli percosse e della morte per
crocifissione sul Calvario. Recentemente si è molto parlato di questi avvenimenti, ma non è mai stato chiarito
il punto essenziale che nessuno ebbe il potere di togliere la vita al Salvatore, ma che Egli la offrì per riscattare
tutti noi. Quale Figlio di Dio, Egli aveva il potere di cambiare la situazione, tuttavia le Scritture enunciano
chiaramente che Egli offrì Se stesso alla sferza, all’umiliazione, alla sofferenza e, alla fine, alla crocifissione, a
motivo del Suo amore verso i figlioli degli uomini (vedere 1 Nefi 19:9–10).
L
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L’Espiazione era una parte indispensabile del piano del Padre celeste per la missione terrena di Suo Figlio e
per la nostra salvezza. Quanto dovremmo essere grati che il Padre non sia intervenuto ma, piuttosto, abbia
trattenuto il Proprio istinto paterno di salvare il Suo Figlio diletto. Grazie al Suo amore eterno per voi e per
me, Egli consentì a Gesù di portare a termine la Sua missione preordinata di divenire il nostro Redentore.
Attraverso la grazia amorevole di Gesù Cristo, il dono della risurrezione e dell’immortalità è offerto
liberamente a tutte le persone di ogni epoca, a prescindere dalle loro azioni buone o cattive. A coloro che
scelgono di amare il Signore e che Gli mostrano amore e fedeltà, osservando i Suoi comandamenti e
qualificandosi per tutti i benefici dell’Espiazione, Egli promette in aggiunta l’esaltazione e la vita eterna, che
è la benedizione di vivere per sempre alla presenza di Dio e del Suo Figlio diletto.
Cantiamo spesso un inno che esprime i sentimenti che provo quando penso al caritatevole sacrificio
espiatorio del Salvatore:
Attonito resto pensando all’immenso amor
che il grande Sovrano professa ed offre a me.
Io tremo al pensier del dolore che un dì patì,
per me peccatore in croce Gesù morì.
(«Attonito resto», Inni, 114).
Gesù Cristo, il Salvatore e Redentore di tutta l’umanità, non è morto. Egli vive, sì, il risorto Figlio di Dio vive,
questa è la mia testimonianza, e oggi Egli guida gli affari della Sua chiesa.
Nella primavera del 1820, una colonna di luce illuminò un bosco nello Stato di New York. Il nostro Padre
celeste e il Suo beneamato Figlio apparvero al profeta Joseph Smith. Quest’esperienza diede inizio alla
restaurazione di principi dottrinali possenti che erano andati persi da secoli. Tra i principi offuscati dalle
tenebre dell’apostasia, c’era la commovente realtà che noi siamo tutti figli e figlie di spirito di un Dio
amorevole, che è nostro Padre. Noi facciamo parte della Sua famiglia. Egli non è un padre in senso allegorico
o metaforico. Egli è letteralmente il Padre dei nostri spiriti; Egli si cura di ognuno di noi. Per quanto questo
mondo abbia la tendenza a sminuire gli uomini e le donne, la realtà è che tutti abbiamo un lignaggio divino.
In quell’apparizione senza precedenti del Padre e del Figlio nel Bosco Sacro, la primissima parola
pronunciata dal Padre di tutti noi fu proprio il nome di Joseph. Tale è il rapporto personale che nostro Padre
ha con ognuno di noi. Egli conosce il nostro nome e desidera ardentemente che diventiamo degni di
ritornare a vivere con Lui.
Attraverso il Suo profeta eletto, Joseph Smith, il Vangelo fu restaurato e il Signore Gesù Cristo ha ancora una
volta rivelato le ordinanze e l’autorità del sacerdozio per celebrarle per la salvezza di tutti coloro che
credono.
In un’altra epoca, a un profeta diverso furono mostrate «le nazioni della terra» (Mosè 7:23). «E il Signore
mostrò ad Enoc ogni cosa, sì, fino alla fine del mondo» (Mosè 7:67). Enoc vide, inoltre, che Satana «aveva una
grande catena in mano, ed essa velava di tenebre l’intera faccia della terra; ed egli [Satana] guardò in su e
rise» (Mosè 7:26).
Tra tutte le cose che egli vide, ce ne fu una che sembrò catturare la sua attenzione più di tutte le altre: Enoc
vide Dio che guardò «il resto del popolo e pianse» (Mosè 7:28). Poi negli scritti sacri leggiamo che Enoc
chiese ripetutamente a Dio: «Come è possibile che tu possa piangere?… Come è possibile che tu possa
piangere?» (Mosè 7:29, 31).
Il Signore rispose a Enoc: «Guarda questi tuoi fratelli; sono l’opera della mie mani... Ai tuoi fratelli… ho dato
anche un comandamento, che si amassero l’un l’altro e che scegliessero me, loro Padre; ma ecco, sono senza
affezione e odiano il loro stesso sangue» (Mosè 7:32–33).
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Enoc vide le condizioni di questi ultimi giorni. Egli, insieme ad altri antichi profeti, sapeva che solo se
accettiamo l’Espiazione nella nostra vita e ci sforziamo di vivere secondo i principi del Vangelo possiamo
superare le prove e trovare pace, gioia e felicità. È solo attraverso una ricerca personale che ogni figlio di Dio
può giungere alla comprensione di questo grande dono.
Fratelli e sorelle, ritengo che se noi potessimo comprendere veramente l’espiazione del Signore Gesù Cristo,
ci renderemmo conto di quanto è prezioso un figlio ouna figlia di Dio. Credo che lo scopo eterno del nostro
Padre celeste per i Suoi figli si raggiunga in genere mediante cose piccole e semplici che facciamo l’uno per
l’altro. In mezzo al termine inglese atonement, ossia «espiazione», c’è la parola one, cioè «uno». Se tutta
l’umanità giungesse a comprendere questo fatto, non ci sarebbe mai nessuno di cui non ci preoccuperemmo,
a prescindere da età, razza, sesso, religione o situazione socio-economica. Cercheremmo di emulare il
Salvatore e non saremmo mai scortesi, indifferenti, irrispettosi o insensibili verso gli altri.
Se comprendessimo davvero l’Espiazione e il valore eterno di ogni anima, cercheremmo il ragazzo o la
ragazza smarriti, come pure tutti i figli di Dio che si sono persi; li aiuteremmo a conoscere l’amore che Cristo
prova per loro; faremmo tutto ciò che è in nostro potere per aiutarli a prepararsi a ricevere le ordinanze di
salvezza del Vangelo.
Sicuramente se l’Espiazione fosse chiara nella mente dei dirigenti di rione e ramo, nessun nuovo convertito o
membro riattivato sarebbe mai trascurato. Dato che ogni anima è preziosa, si riunirebbero in consiglio per
accertarsi che ad ognuna vengano insegnate le dottrine del vangelo di Gesù Cristo.
Quando penso a Nathan e a quanto è prezioso per noi, posso capire e sentire più chiaramente ciò che il
Padre celeste deve provare per tutti i Suoi figli. Non vogliamo che Dio pianga perché noi non abbiamo fatto
tutto quello che potevamo per parlare ai Suoi figli dei principi rivelati del Vangelo. Prego affinché ognuno
dei nostri giovani cerchi di conoscere le benedizioni dell’Espiazione e si sforzi di essere degno di servire il
Signore sul campo di missione. Sicuramente molte più coppie anziane, come pure altre persone, la cui salute
lo consente, desidererebbero ardentemente servire il Signore come missionari, se solo meditassero sul
significato del sacrificio espiatorio del Signore Gesù Cristo. Fu Gesù che disse: «Se… doveste faticare tutti i
vostri giorni nel gridare il pentimento a questo popolo, per portare non fosse che una sola anima a me,
quanto sarà grande la vostra gioia in sua compagnia nel regno di mio Padre!» (DeA 18:15; corsivo
dell’autore). Non solo questo, ma grande sarà la gioia del Signore nell’anima che si pente! Poiché per Lui è
preziosa una sola anima.
Fratelli e sorelle, il nostro Padre celeste ci è venuto in soccorso mediante l’espiazione del Salvatore. Egli
invita tutti a venire a Cristo, che è il Santo d’Israele, e a diventare partecipi della Sua salvezza e del potere
della Sua redenzione (vedere Omni 1:26). Egli ci ha insegnato che possiamo ritornare alla Sua sacra presenza
tramite la nostra fedele devozione ai principi evangelici; ricevendo le ordinanze di salvezza che sono state
restaurate; attraverso l’incessante servizio e perseverando fino alla fine. Rispetto a questa conoscenza, quale
altra cosa mai al mondo gli si avvicina lontanamente per importanza?
Tristemente, nel mondo d’oggi, l’importanza di una persona è spesso misurata dalla dimensione del
pubblico davanti a cui si esibisce. Questo è il criterio conformemente al quale i programmi sportivi e dei
mass media sono valutati; in base a cui, talvolta, l’importanza delle aziende è stabilita; secondo il quale,
spesso, l’organico governativo è definito. Questo potrebbe essere il motivo per cui i ruoli come quello di
padre, madre e missionario raramente ricevono acclamazioni. I padri, le madri e i missionari si «esibiscono»
davanti a un pubblico assai limitato. Sì, agli occhi del Signore, può esserci solo una dimensione di pubblico
che ha un’importanza durevole: una sola persona, ogni persona, io e voi, nonché ogni singolo figlio di Dio. Il
fatto incredibile dell’Espiazione è che è infinita ed eterna, tuttavia, si applica individualmente, una persona
alla volta.
Sotto alcuni aspetti l’inno dei bambini, «Sono un figlio di Dio» (Inni, 190), è in armonia con la musica
dell’eternità. Noi siamo figli di Dio; ognuno di noi è tanto prezioso da portare il Signore Dio Onnipotente a
una pienezza di gioia, se siamo fedeli, o alle lacrime, se non lo siamo.
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Quello che il Salvatore risorto disse ai Nefiti, oggi lo potrebbe ripetere a noi:
«Benedetti siete voi a motivo della vostra fede. Ed ora ecco, la mia gioia è completa.
E quando ebbe detto queste parole, egli pianse, e la moltitudine ne rese testimonianza; ed egli prese i loro
bambini, ad uno ad uno, e li benedisse, e pregò il Padre per loro» (3 Nefi 17:20; corsivo dell’autore).
Fratelli e sorelle, non sminuite mai, veramente mai, il prezioso valore del singolo individuo. Ricordate
sempre il semplice ammonimento del Signore: «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti»
(Giovanni 14:15). Cercate sempre di vivere degni di tutte le sacre benedizioni dell’espiazione del Signore
Gesù Cristo. Nel dolore per la separazione dal nostro caro Nathan è giunta la pace che solo il Salvatore e
Redentore può dare. La nostra famiglia si è rivolta a Lui, uno a uno. Ora cantiamo con grande
apprezzamento e comprensione:
Meraviglioso è il Suo grande amor,
che Gli costò dolor;
meraviglioso è il Suo amor per me!
(«Attonito resto», Inni, 114).
Miei cari fratelli e sorelle, possiate voi donare agli altri e ricevere per voi stessi tutte le benedizioni che
l’espiazione del Signore Gesù Cristo offre. Questa è la mia umile preghiera, nel nome di Gesù Cristo. Amen.
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L’ESPIAZIONE ANZIANO ROBERT D. HALES
Membro del Quorum dei Dodici Apostoli
Robert D. Hales, «The Atonement», in Return: Four Phases of Our Mortal Journey Home, Salt Lake City: Deseret Book
Company, 2010.
ento il bisogno di sottolineare ciò che troppo spesso trascuriamo, nel piano del nostro Padre celeste: la
vita eterna e la felicità eterna sono possibili soltanto a motivo del nostro Salvatore Gesù Cristo e della
Sua grande e infinita Espiazione.
Notate le parti in corsivo in questo famoso passo scritturale, tratto dal grandioso sermone che Padre Lehi
rivolse ai suoi figli riguardo al piano di Dio per noi:
«Adamo cadde affinché gli uomini potessero essere; e gli uomini sono affinché possano provare
gioia».
Spesso, citiamo questo versetto da solo, ma il versetto successivo spiega come sia possibile questa gioia:
«E il Messia verrà nella pienezza del tempo, per poter redimere i figlioli degli uomini dalla caduta. E poiché
sono stati redenti dalla caduta, essi sono diventati per sempre liberi, distinguendo il bene dal male; per
agire da sé e non per subire, se non la punizione della legge nel grande e ultimo giorno, secondo i
comandamenti che Dio ha dato.
Pertanto gli uomini sono liberi secondo la carne; e sono date loro tutte le cose che sono opportune
per l'uomo. E sono liberi di scegliere la libertà e la vita eterna, tramite il grande Mediatore di tutti gli
uomini, o di scegliere la schiavitù e la morte, secondo la schiavitù e il potere del diavolo; poiché egli
cerca di rendere tutti gli uomini infelici come lui» (2 Nefi 2:25–27; corsivo dell’autore).
La vita e la gioia eterne sono possibili perché Gesù Cristo, il Messia e il Grande Mediatore, ci ha redenti dalla
morte e ha espiato per i nostri peccati. Questo fatto spiega la dichiarazione del Profeta Joseph Smith, secondo
cui «i principi fondamentali della nostra religione sono la testimonianza degli Apostoli e dei Profeti intorno a
Gesù Cristo; che Egli morì, fu sepolto, risuscitò il terzo giorno ed ascese al cielo; tutte le altre cose inerenti
alla nostra religione sono soltanto un complemento di ciò».[1]
Aggiungo la mia voce a quella di Joseph Smith e di tutti gli altri profeti degli ultimi giorni: il centro di tutto
ciò in cui crediamo è il nostro Salvatore; la Sua opera e la Sua gloria sono realizzare la nostra immortalità e
vita eterna mediante il Suo sacrificio espiatorio. La mia più profonda gratitudine è per Lui e per ciò che ha
fatto per noi. L’Espiazione è la base su cui poggiano tutte le verità del Vangelo. Desidero offrire un tributo a
Lui, l’Espiatore d’Israele, il mio e il vostro personale Salvatore.
Perché l’Espiazione è importante
Perché l’Espiazione del Salvatore è il principio evangelico centrale della Chiesa e della nostra vita? È
l’Espiazione a rendere operativo il piano del nostro Padre celeste, poiché «tramite l'espiazione di Cristo tutta
l'umanità può essere salvata, mediante l'obbedienza alle leggi e alle ordinanze del Vangelo» (AdF 3).
Senza l’Espiazione, la vittoria della morte sarebbe definitiva e noi saremmo soggetti al potere di Satana.
S
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«Poiché, come la morte è venuta a tutti gli uomini per adempiere il piano misericordioso del grande
Creatore, è necessario che vi sia un potere di risurrezione, e la risurrezione è necessario che venga
all'uomo a causa della Caduta, e la Caduta venne a causa della trasgressione; e poiché l'uomo
divenne decaduto, essi furono recisi dalla presenza del Signore.
Pertanto è necessario che vi sia una espiazione infinita — e se non fosse una espiazione infinita,
questa corruzione non potrebbe rivestirsi di incorruttibilità. Pertanto il primo giudizio che cadde
sull'uomo avrebbe dovuto necessariamente restare per un tempo infinito. E se così fosse, questa
carne avrebbe dovuto giacere per marcire e decomporsi nella madre terra, per non risorgere mai
più» (2 Nefi 9:6–7).
Perché la corruzione della mortalità, ovvero la morte fisica e quella spirituale, si rivesta di incorruttibilità,
deve esserci misericordia. Questa misericordia, ci insegnano le Scritture, «viene a causa dell’espiazione»
(Alma 42:23). Come opera l’Espiazione? Noi non sappiamo tutto a questo riguardo, ma sappiamo che essa
rende possibile la resurrezione rovesciando gli effetti della morte fisica e della decomposizione. Sappiamo
anche che l’Espiazione rende possibili il pentimento e il perdono rovesciando gli effetti del peccato, il quale è
principalmente una morte spirituale. Cristo ha vinto volontariamente per ciascuno di noi sia la morte, sia il
peccato – un dono incalcolabile che riceviamo venendo a Lui e seguendoLo. In altre parole, Cristo è «per
tutti quelli che gli ubbidiscono, autore d'una salvezza eterna» (Ebrei 5:9-10).
Porto testimonianza che questa salvezza attende tutti noi, se siamo disposti a soddisfare i suoi requisiti
semplici e sicuri. Non è soltanto una destinazione, quanto piuttosto un modo di essere con privilegi e
«benedizioni innumerevoli».[2] L’Espiazione rende possibile questa condizione perché ci dà il potere di
diventare come Dio (vedere Giovanni 1:12), che è il desiderio del Salvatore per noi e il motivo per cui noi
scegliemmo di venire sulla terra.
Senza l’Espiazione, sarebbe impossibile per noi ritornare alla presenza del Padre celeste. Perché? Perché
nessuna cosa impura può entrare alla presenza del Padre e nulla può essere reso puro se non tramite
l’Espiazione. Non c’è altra via. Quando Gesù insegnò «Io son la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre
se non per mezzo di me» (Giovanni 14:6), Egli non stava esprimendo una prospettiva o una preferenza
personale, ma stava dichiarando un fatto: «Io son la porta; se uno entra per me, sarà salvato, ed entrerà ed
uscirà, e troverà pastura» (Giovanni 10:9). «In questo è l'amore», scrisse Giovanni, «non che noi abbiamo
amato Iddio, ma che Egli ha amato noi, e ha mandato il suo Figliuolo per essere la propiziazione per i nostri
peccati» (1 Giovanni 4:10). In verità, Isaia dichiarò: «Noi tutti eravamo erranti come pecore, ognuno di noi
seguiva la sua propria via; e l'Eterno ha fatto cader su lui l'iniquità di noi tutti» (Isaia 53:6).
Le qualifiche uniche del Salvatore per poter espiare i nostri peccati
Perché soltanto Gesù Cristo poteva espiare per i peccati del mondo?
Il Salvatore fu preordinato. Lo spirito di Gesù nacque da genitori celesti in un mondo preterreno. Egli fu il
primogenito di spirito del nostro Padre celeste, scelto per essere il nostro Salvatore. Pietro insegnò che Gesù
fu «preordinato prima della fondazione del mondo» (1 Pietro 1:20). Il Padre Stesso dichiarò che Gesù era il
Suo «Diletto e Scelto fin dal principio» (Mosè 4:2). I profeti di tutte le dispensazioni predissero la venuta di
Gesù Cristo e la Sua missione. Giacobbe insegnò:
«Poiché con questo intento abbiamo scritto queste cose, affinché essi possano sapere che noi
sapevamo di Cristo, e avevamo una speranza della sua gloria molte centinaia di anni prima della sua
venuta; e non solo noi stessi avevamo una speranza della sua gloria, ma anche tutti i santi profeti che
furono prima di noi» (Giacobbe 4:4).
Prima di scendere sulla terra, ciascuno di noi sapeva che Gesù avrebbe svolto il ruolo essenziale nel piano
del nostro Padre celeste, per noi e per tutti i Suoi figli.
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Il Salvatore nacque da un Padre divino e da una madre mortale. In modo quasi incomprensibile per
noi, Gesù svolse il Suo ruolo con esattezza e onore: Egli fu perfettamente obbediente alla volontà di Suo
Padre. Il retaggio umano di Maria rese possibile per Gesù soffrire le tentazioni, sforzarsi di evitare il peccato,
provare compassione per noi e, dunque, fungere da mediatore dinanzi a Dio all’ultimo giorno. La divinità
del Padre celeste rese possibile per Gesù resistere completamente alla tentazione, non cedere mai al peccato e
condurre una vita perfetta, redimendoci dunque dai nostri peccati all’ultimo giorno. Maria, essendo mortale,
Gli diede la capacità di morire. Il Suo immortale Padre celeste Gli conferì il potere di vincere la morte. A
motivo di questo lignaggio unico ed essenziale, Gesù fu in grado di essere il nostro Amico, Esempio,
Salvatore, Mediatore e Maestro, l’Unico mediante il quale tutta l’umanità possa essere salvata.
Il Salvatore era beneamato da Suo Padre e aveva la Sua fiducia. Le Scritture parlano spesso della gioia
che il Padre celeste prova per Suo Figlio, Gesù Cristo. Quando Gesù fu battezzato, il Padre disse: «Questo è il
mio diletto Figliuolo, nel quale mi sono compiaciuto» (Matteo 3:17). Sul Monte della Trasfigurazione, «una
voce venne dalla nuvola, dicendo: Questo è il mio figliuolo, l'eletto mio; ascoltatelo» (Luca 9:35). Quando il
Salvatore apparve ai discendenti di Lehi dopo la Sua resurrezione, il Padre dichiarò nuovamente: «Ecco il
mio Figlio beneamato, nel quale io mi compiaccio» (3 Nefi 11:7). Mi tocca profondamente l’episodio in cui
Suo Padre, mentre Gesù stava soffrendo nel Giardino di Getsemani, per il grande amore e la compassione
che provava per il Suo Unigenito mandò un angelo perché Lo confortasse e Lo rafforzasse.
Il Salvatore fece uso del Suo libero arbitrio per essere obbediente. Perché l’Espiazione avesse effetto,
Gesù doveva deporre volontariamente la propria vita per noi. A motivo del grande amore che Gesù ha per
Suo Padre e per ciascuno di noi, Gesù disse: «Manda me» (Abrahamo 3:27). A differenza di Lucifero, che
pretese la gloria del Padre, il Salvatore si offrì volontario con umiltà: «Padre, sia fatta la tua volontà, e sia tua
la gloria per sempre» (Mosè 4:2). Quando Gesù disse «manda me», Egli fece uso del Suo libero arbitrio per
essere obbediente.
Come il Salvatore non poteva essere costretto a scendere sulla terra, così la Sua vita non poteva esserGli tolta
a meno che Egli non lo permettesse: «Come il Padre mi conosce ed io conosco il Padre; e metto la mia vita
per le pecore … Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per ripigliarla poi. Nessuno me la
toglie, ma la depongo da me. Io ho potestà di deporla e ho potestà di ripigliarla» (Giovanni 10:15–18). Paolo
scrisse che Gesù «abbassò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce» (Filippesi
2:8).
Legioni di angeli avrebbero potuto salvare Gesù dalla croce, se Egli l’avesse voluto, e avrebbe potuto
ritornare al Padre più presto. Egli aveva il Suo libero arbitrio e Lo uso per sacrificarSi, per noi, per adempiere
la Sua missione sulla terra, per perseverare fino alla fine e completare il sacrificio espiatorio.
Il Salvatore era l’unico essere perfetto. Gesù era l’unico essere perfetto, senza peccato. Nell’Antico
Testamento, il sacrificio era un sacrificio di sangue che indirizzava l’attenzione al sacrificio del nostro
Signore e Redentore sulla croce, in adempimento della grande Espiazione. Quando si compiva un sacrificio
di sangue, nei templi antichi, si prendeva un agnello senza difetto e perfetto sotto ogni aspetto. Nelle
Scritture, il Salvatore viene chiamato spesso «Agnello di Dio»,[3] a motivo della Sua purezza. Pietro insegnò
che noi siamo redenti «col prezioso sangue di Cristo, come d'agnello senza difetto né macchia» (1 Pietro
1:19). Il Salvatore stesso pregò: «Padre, guarda le sofferenze e la morte di colui che non peccò» (DeA 45:4;
corsivo dell’autore).
Il Salvatore perseverò fino alla fine. Mentre Gesù soffriva nel Giardino di Getsemani, gli Apostoli si
addormentarono. Tre volte Egli li trovò addormentati e tre volte ritornò scoraggiato. «Poi venne a' discepoli,
e li trovò che dormivano, e disse a Pietro: Così, non siete stati capaci di vegliar meco un'ora sola?» (Matteo
26:40).
Egli era stato lasciato da solo a completare la Sua missione. Sotto il peso dei nostri peccati e dolori collettivi,
Egli aveva pregato: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice!» (Matteo 26:39).
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In seguito, Egli descrisse le Sue sofferenze a Joseph Smith in questi termini: «E queste sofferenze fecero sì che
io stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel
corpo che nello spirito — e desiderassi di non bere la coppa amara e mi ritraessi» (DeA 19:18).
Nonostante la Sua agonia, Gesù aggiunse queste parole fatidiche nella Sua preghiera nel Giardino: «Ma
pure, non come voglio io, ma come tu vuoi» (Matteo 26:39). In seguito, Egli disse al popolo radunato presso
il Abbondanza: «Ho accettato la volontà del Padre in tutte le cose, fin dal principio» (3 Nefi 11:11). Soltanto
quando ebbe sopportato le prove, le sofferenze, il sacrificio e le tribolazioni del Getsemani e del Golgota
Gesù poté finalmente dire: «È compiuto» (Giovanni 19:30). Gesù era venuto sulla terra e aveva mantenuto la
Sua rettitudine, in modo da poter compiere il sacrificio espiatorio quale agnello senza difetto. Egli aveva
perseverato fino alla fine. «Nondimeno, sia gloria al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i
figlioli degli uomini» (DeA 19:19).
Apprezzare l’Espiazione
In che modo possiamo dimostrare la nostra personale gratitudine per questo dono miracoloso
dell’immortalità e delle altre benedizioni disponibili tramite l’Espiazione? Gesù disse: «Se voi mi amate,
osserverete i miei comandamenti» (Giovanni 14:15). Questo è il nostro modo di dimostrare gratitudine per il
dono della Sua vittoria sul peccato e sulla morte, per la Resurrezione e per rendere possibile il pentimento e
la vita eterna. Noi dimostriamo il nostro amore pentendoci tramite la fede in Lui e perdonando noi stessi e il
prossimo.
Vi sono molte persone a cui, un tempo, è stato insegnato a camminare nelle vie di Dio e che si sono poi
ribellate contro questi insegnamenti. Alcune di loro desiderano pentirsi e cambiare la propria vita per poter
godere della pace di mente disponibile quando viviamo secondo i comandamenti. Abbiamo spesso dei buoni
propositi per il nuovo anno, promesse che facciamo a noi stessi o alle persone che amiamo e che poi non
manteniamo. A volte, stipuliamo persino sacre alleanze con il Signore per poi venir meno ripetutamente agli
impegni presi. Dopo un certo numero di errori e mancanze rispetto al genere di vita che dovremmo
condurre, perdiamo fiducia in noi stessi e ci creiamo un’immagine negativa di chi siamo e di chi possiamo
diventare. Possiamo perdere la nostra fede in Dio, a volte incolpando Lui per la nostra infelicità. Possiamo
semplicemente gettare la spugna perché non vogliamo deludere noi stessi, chi ci sta intorno e il Signore
ancora una volta. Tuttavia, ogniqualvolta noi gettiamo la spugna, l’avversario ha vinto. Dimentichiamo che
siamo figli di Dio capaci di vivere alla Sua presenza, se soltanto obbediamo ai comandamenti. Pertanto, non
dobbiamo mai dimenticare l’invito del Salvatore: «Guardate a me in ogni pensiero; non dubitate, non
temete» (DeA 6:36).
Che cosa dobbiamo fare per avere la forza e il coraggio di essere obbedienti e osservare i comandamenti di
Dio? I profeti ci dicono che «il Signore sarebbe certamente venuto per redimere il suo popolo [tramite
l’Espiazione], ma che non sarebbe venuto a redimerlo nei suoi peccati, ma a redimerlo dai suoi peccati … a
motivo del pentimento» (Helaman 5:10–11; corsivo dell’autore).
Perché le benedizioni dell’Espiazione possano avere pienamente effetto nella nostra vita e permetterci di
ritornare a vivere con il nostro Padre celeste, dobbiamo pentirci dei nostri peccati ed essere fedeli
nell’osservare i comandamenti di Dio. Le benedizioni redentrici del pentimento e del perdono sono una
parte importante dell’Espiazione, ma esse sono condizionali e basate sulla nostra fedeltà nell’obbedire ai
comandamenti e alle ordinanze di Dio.
«Poiché ecco, la giustizia mette in atto tutte le sue richieste, ed anche la misericordia reclama tutto
ciò che è suo; e così nessuno, se non chi si pente veramente, sarà salvato» (Alma 42:24).
Scegliere di credere nell’Espiazione di Gesù Cristo. Scegliete di accettare il perdono del Salvatore. Scegliete
dunque di perdonare voi stessi e andate avanti in modo nuovo, con un nuovo cuore, con un nuovo e perfetto
fulgore di speranza. Grazie al Suo sacrificio per noi, le cose vecchie possono finire e tutte le cose possono
divenire nuove (vedere 3 Nefi 12:47).
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Egli ha il potere di non ricordare più i nostri peccati (vedere DeA 58:42). Ora dobbiamo fare lo stesso.
Rifiutarci di perdonare noi stessi dopo esserci pentiti completamente significa rifiutare il dono del Salvatore,
acquistato con il Suo sangue.
Ricordarsi sempre di Lui
Dopo essere ritornati sul sentiero giusto ed essere nuovamente «liberi di scegliere» (2 Nefi 2:27), dobbiamo
scegliere di rigettare i sentimenti di colpa per peccati di cui ci siamo già pentiti. Scegliete di non essere
scoraggiati a causa del peccato e di gioire nella speranza per il futuro. Ricordate: è Satana che vuole farci
essere «infelici come lui» (2 Nefi 2:27). Noi dobbiamo fare in modo che i nostri desideri siano più forti dei
suoi. Noi possiamo essere felici e fiduciosi riguardo alla nostra vita, riguardo alle opportunità e alle
benedizioni che ci attendono qui e in tutta l’eternità.
Forse, il modo più efficace per restare sul sentiero è osservare la nostra alleanza battesimale di ricordarci
sempre di Lui. Istituita dal Salvatore nella Sua Ultima Cena con gli apostoli, noi rinnoviamo questa alleanza
prendendo gli emblemi del pane e dell’acqua, i simboli del Suo corpo e del Suo sangue. Noi promettiamo
anche di ricordarci sempre di Lui, di obbedire ai Suoi comandamenti e di prendere su di noi il Suo nome.
Nel fare questo, ci viene promesso che avremo sempre il Suo Spirito con noi – per confortarci, guidarci,
rafforzarci, santificarci e portare testimonianza alla nostra anima della Sua divinità (vedere Moroni 4–5; DeA
20:77–79).
Il modo in cui trattiamo i nostri familiari, colleghi di lavoro, vicini e chiunque incontriamo rivela se abbiamo
stipulato e osservato questa alleanza oppure no, poiché essa si esprime nella misura in cui noi stiamo
diventando più simili al Salvatore. Il modo in cui viviamo, tutto ciò che facciamo e diciamo riflette se ci
ricordiamo di Lui oppure no.
Noi dimostriamo di ricordarci di Lui e della Sua Espiazione portando testimonianza liberamente di Lui e
della Sua Espiazione agli altri. Qualunque sia la nostra chiamata, il nostro insegnamento migliore sarà
relativo al Salvatore e al Suo sacrificio espiatorio, poiché questa è la benedizione più personale che possiamo
ricevere nel Vangelo. È del tutto naturale, dunque, che i frutti dell’Espiazione siano al centro di tutto ciò che
facciamo e diciamo, poiché l’Espiazione è il centro della nostra vita. In questo modo, noi adempiamo uno
degli scopi principali della nostra vita: conoscere Gesù Cristo quale nostro Salvatore avendo mangiato il
frutto del Suo amore, che è più dolce e più puro di ogni altro frutto.
Attonito resto
Porto testimonianza che, se siamo obbedienti e desideriamo che lo Spirito ci porti testimonianza della
divinità del Salvatore e della Sua Espiazione, questa testimonianza ci sarà data. Noi possiamo sapere.
Non posso dirvi quando, dove o come tale testimonianza giungerà, ma io so che giungerà. Dalla mia
esperienza e dalla mia esperienza lavorando insieme ai missionari, io so che la fede svolgerà un ruolo chiave
nel farci ottenere una testimonianza personale. Questa fede, accesa dal vostro intenso desiderio, farà sì che –
nel tempo e nel modo speciali del Signore - voi riceviate una conoscenza certa che Gesù è davvero il Figlio di
Dio, il nostro Salvatore e Redentore, che c’è un Dio nei cieli e che Egli è nostro Padre.
Una volta ricevuta tale preziosa conoscenza, ciascuno di noi trascorrerà il resto della propria vita a esprimere
gratitudine al nostro Padre celeste in preghiera e a vivere ogni giorno in modo tale da essere degni delle
benedizioni dell’Espiazione nella nostra vita.
A quel punto, insieme a tutti i credenti sin dal principio, la nostra missione sarà andare in tutto il mondo e
predicare il Vangelo del Salvatore a ogni creatura. Il messaggio che ha riempito il nostro cuore e benedetto la
nostra vita scorre in tutto ciò che diciamo e facciamo. Noi diventiamo testimoni viventi di questo messaggio:
Dio vive, Gesù è il Cristo e tramite Lui tutta l’umanità può essere salvata.
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Prego che esprimeremo nelle nostre preghiere il nostro amore per il sacrificio redentore ed espiatore del
nostro Salvatore e che dimostreremo questo amore obbedendo ai Suoi comandamenti. Insieme al popolo di
Re Beniamino, possiamo noi pregare:
«Oh, abbi misericordia, e applica il sangue espiatorio di Cristo affinché possiamo ricevere il perdono
dei nostri peccati e il nostro cuore possa essere purificato; poiché noi crediamo in Gesù Cristo, il
Figlio di Dio, che creò il cielo e la terra e tutte le cose, che scenderà fra i figlioli degli uomini» (Mosia
4:2).
Porto testimonianza che, poiché Egli discese qui sulla terra, noi possiamo ritornare a casa, e ritornare con
onore. Porto testimonianza che il piano di Dio per noi è possibile grazie a Lui. Porto la mia testimonianza che
il nostro viaggio terreno è, a tutti gli effetti, la grande benedizione di cui godiamo perché siamo figli di Dio,
perché Egli è nostro Padre e il Suo Figlio Beneamato è il nostro Salvatore e Redentore. Io so questo e
Attonito resto pensando all’immenso amor
che il grande Sovrano professa ed offre a me.
Io tremo al pensier del dolore che un dì patì,
per me peccatore in croce Gesù morì.
Quaggiù in umiltà Ei discese dal sommo ciel,
salvando così un indegno qual io son.
A tutti estese il Suo divin amor,
aprendo il sentier che riporta lassù al Signor.
In croce Ei morì per potere ognun salvar;
non posso, non posso tal grande mercé scordar.
Con tutto me stesso per sempre Lo adorerò,
finché alle Sue alte dimore non giungerò.
Ritornello:
Meraviglioso è il Suo grande amor,
che Gli costò dolor;
meraviglioso è il Suo amor per me![4]
Domande di approfondimento
• Quanto comprendo e apprezzo l’Espiazione?
• Che cosa faccio nella mia vita per dimostrare la mia gratitudine per l’Espiazione?
• Quanto sono fedele alla mia alleanza di ricordarmi sempre del Salvatore?
• Quanto spesso e con quanta chiarezza porto testimonianza dell’Espiazione?
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NOTE
[1] Joseph Smith, History of The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, seconda ediz. riv, a cura di B. H. Roberts (Salt
Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, 1932–51), 3:30.
[2] «The Lord Is My Shepherd», Hymns of The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints (Salt Lake City: The Church of
Jesus Christ of Latter-day Saints, 1985), no. 108.
[3] Vedere Giovanni 1:29, 36; 1 Nefi 10:10; 11:21; 11:27; 11:31–32; 12:6, 10–11, 18; 13:24, 28–29, 33–34, 38, 40; 14:1–3, 6, 10,
12–14, 25; 2 Nefi 31:4–6; 33:14; Alma 7:14; Mormon 9:2–3; DeA 88:106.
[4] «Attonito resto», Inni, n°114.
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EGLI GUARISCE GLI OPPRESSI ANZIANO DALLIN H. OAKS
Membro del Quorum dei Dodici Apostoli
l Salvatore disse: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo» (Matteo
11:28). Molti portano pesanti fardelli. Alcuni hanno perso una persona cara o si prendono cura di una
persona disabile. Qualcuno è stato ferito dal divorzio. Altri anelano al matrimonio eterno. C’è chi è
nella morsa di sostanze o abitudini che danno assuefazione, come l’alcol, il tabacco, la droga o la
pornografia. Taluni hanno menomazioni invalidanti di tipo fisico o mentale. Alcuni sono attratti da
persone dello stesso sesso. C’è chi è terribilmente depresso o ha un forte senso d’inadeguatezza. Per un verso
o l’altro, molte persone sono oppresse.
A ognuno di noi il Salvatore fa questo affettuoso invito: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed
aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch’io son mansueto ed
umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero»
(Matteo 11:28–30).
Le Scritture riportano molte guarigioni degli oppressi a cura del Salvatore. Egli fece sì che i ciechi vedessero,
i sordi udissero, i paralitici o gli storpi guarissero, i lebbrosi fossero mondati, gli spiriti immondi fossero
scacciati. Spesso leggiamo che una persona sanata da queste indisposizioni fu «completamente guarita»
(vedere Matteo 14:36, 15:28; Marco 6:56, 10:52; Luca 17:19; Giovanni 5:9).
Gesù fece guarire molte persone fisicamente, ma non si rifiutò di aiutare chi cercava di essere «sanato» da
altri problemi. Matteo scrisse che Egli sanava ogni malattia ed ogni infermità fra il popolo (vedere Matteo
4:23, 9:35). Molti Lo seguivano ed Egli «li guarì tutti» (Matteo 12:15). Certamente queste guarigioni
riguardavano difficoltà emotive, mentali o spirituali. Egli li guarì tutti.
All’inizio del Suo ministero, nella sinagoga Gesù lesse ad alta voce questa profezia di Isaia: «Lo Spirito del
Signore è sopra di me; per questo egli mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato a bandir
liberazione a’ prigionieri, ed ai ciechi ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Luca 4:18).
Quando Gesù dichiarò di essere venuto a adempiere tale profezia, affermò espressamente che avrebbe
sanato coloro che erano afflitti da disturbi fisici, ma avrebbe anche liberato i prigionieri, rimesso in libertà gli
oppressi e guarito i cuori infranti.
Il Vangelo di Luca contiene molti esempi al riguardo. Esso racconta di una volta quando «molte turbe si
adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità» (Luca 5:15). In altre occasioni riporta che Gesù
«guarì molti di malattie» (Luca 7:21) e che «guariva quelli che avean bisogno di guarigione» (Luca 9:11).
Descrive, inoltre, come una gran folla proveniente dalla Giudea, da Gerusalemme e dalla marina di Sidone
venne in pianura «per udirlo e per esser guarit[a]» (Luca 6:18).
Quando il Salvatore apparve ai giusti nel Nuovo Mondo, chiamò a Sé gli storpi, i ciechi e coloro che avevano
disturbi fisici. Estese lo stesso invito a coloro che erano «afflitti in qualche maniera» (3 Nefi 17:7). «Portateli
qui», disse, «e li guarirò» (v. 7).
Il Libro di Mormon racconta che la moltitudine si fece avanti «con tutti coloro che erano afflitti in qualche
maniera» (versetto 9). Tra questi devono esserci stati uomini affetti da ogni tipo di afflizione fisica, emotiva o
mentale, e le Scritture attestano che Gesù «li guarì tutti» (versetto 9).
Il Salvatore ci insegna che nel mondo avremo tribolazioni, ma che dovremmo farci animo, perché Egli ha
«vinto il mondo» (Giovanni 16:33). La Sua espiazione non solo è abbastanza potente da pagare il prezzo del
peccato, ma anche da sanare ogni afflizione terrena.
I
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Il Libro di Mormon ci insegna che «Egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e ciò
affinché si possa adempiere la parola che dice: egli prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo»
(Alma 7:11; vedere anche 2 Nefi 9:21).
Egli conosce le nostre pene ed è lì per noi. Come il buon samaritano nella Sua parabola, quando ci trova feriti
a lato della via, Gesù ci fascia le ferite e si prende cura di noi (vedere Luca 10:34). Fratelli e sorelle, il potere
di guarigione della Sua espiazione è per voi, per noi, per tutti. L’onnicomprensivo potere di guarigione è
invocato nelle parole del nostro inno «Oh, qual furente tempesta»:
Vedi l’angoscia, Signore, che strazia il mio cuor;
ed oggi a Te, chino in dolore, salvezza io chiedo ancor.
Fiumi di colpa e di male turbano il mio pensier;
e s’appressa già l’onda fatale, deh, fermala, Condottier!
(Inni, 63)
Possiamo guarire grazie all’autorità del Sacerdozio di Melchisedec. Gesù diede ai Suoi Dodici Apostoli il
potere «di sanare qualunque malattia e qualunque infermità» (Matteo 10:1; vedere anche Marco 3:15; Luca
9:1–2), ed essi andarono attorno «evangelizzando e facendo guarigioni per ogni dove» (Luca 9:6; vedere
anche Marco 6:13; Atti 5:16). Anche i Settanta furono mandati innanzi con il potere e l’istruzione di guarire
gli ammalati (vedere Luca 10:9; Atti 8:6–7).
Benché il Salvatore potesse guarire tutti coloro che voleva, ciò non è vero per coloro che detengono la Sua
autorità sacerdotale. L’esercizio terreno di detta autorità è limitato dalla volontà di Colui al Quale appartiene
il sacerdozio. Di conseguenza, ci è detto che alcuni che sono benedetti dagli anziani non guariscono perché è
«stabilito che muoia[no]» (DeA 42:48). Similmente, quando l’apostolo Paolo chiese di essere guarito dalla
«scheggia nella carne» che lo schiaffeggiava (2 Corinzi 12:7), il Signore si rifiutò di sanarlo. Paolo in seguito
scrisse che il Signore gli aveva spiegato:
«La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza» (versetto 9).
Paolo rispose obbedientemente: «Mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi
su me … perché, quando son debole, allora sono forte» (vv. 9–10).
Le benedizioni di guarigione giungono in molti modi, ognuno dei quali adatto ai bisogni individuali, come
conosciuti da Colui che ci ama di più. Talvolta una «guarigione» sana le malattie o allevia i fardelli. Altre
volte, invece, siamo «guariti» ricevendo la forza, la comprensione o la pazienza di portare i fardelli che ci
sono posti. Il popolo che seguiva Alma era prigioniero di oppressori malvagi. Quando pregò per ottenere
aiuto, il Signore gli disse che alla fine lo avrebbe liberato ma, nel frattempo, avrebbe alleviato i loro fardelli
«cosicché non possiate sentirli più sulla schiena, anche mentre siete in schiavitù; e farò ciò affinché possiate
stare come miei testimoni … che io, il Signore Iddio, conforto il mio popolo nelle sue afflizioni» (Mosia
24:14). In quel caso, alle persone non furono rimossi i fardelli, tuttavia l’Eterno le rafforzò cosicché
«potessero portare agevolmente i loro fardelli, ed essi si sottoposero allegramente e con pazienza a tutta la
volontà del Signore» (versetto 15).
Questa stessa promessa ed effetto si applica a voi madri vedove o divorziate, a voi single che vi sentite soli,
agli individui in difficoltà che si prendono cura degli altri, alla gente affetta da assuefazioni e a tutti noi,
qualunque sia il nostro fardello. «Venite a Cristo», dice il profeta, «e siate perfetti in Lui» (Moroni 10:32).
A volte possiamo disperare ritenendo che i fardelli siano troppo grandi. Quando sembra che nella vita stia
infuriando una tempesta, possiamo sentirci abbandonati e gridare, come i discepoli: «Maestro, non ti curi tu
che noi periamo?» (Marco 4:38). In quei momenti dovremmo ricordare la Sua risposta: «Perché siete così
paurosi? Come mai non avete voi fede?» (versetto 40).
67
Il potere di guarigione del Signore Gesù Cristo, sia che ci rimuova i fardelli o ci rafforzi per sostenerli e
vivere con loro, come l’apostolo Paolo, è disponibile per ogni afflizione terrena.
Dopo aver tenuto a una conferenza generale un discorso sui mali della pornografia (vedere «La
pornografia», Liahona, maggio 2005, 87–90), ho ricevuto molte lettere da persone afflitte da questa
dipendenza. Alcune lettere erano state scritte da uomini che avevano vinto la pornografia. Uno di loro
scrisse:
«Ci sono diverse lezioni che ho appreso venendo fuori dalle tenebre di un peccato che domina tanto
intrinsecamente la vita delle persone che irretisce: (1) È un grave problema incredibilmente difficile
da superare … (2) La risorsa di sostegno e forza più importante nel processo di pentimento è il
Salvatore … (3) Un intenso studio quotidiano delle Scritture, un’adorazione regolare al tempio, come
pure una partecipazione seria e meditativa all‘ordinanza del sacramento sono tutti elementi
indispensabili nel vero processo di pentimento. Ciò, ritengo, perché tutte queste attività servono ad
approfondire e a rafforzare il rapporto di una persona con il Salvatore, la comprensione del Suo
sacrificio espiatorio e la fede nel Suo potere di guarigione» (lettera datata 24 ottobre 2005).
Il Salvatore disse: «Venite a me … e voi troverete riposo alle anime vostre» (Matteo 11:28–29). Quell’uomo
oppresso si rivolse al Salvatore, e così possiamo fare noi. Una donna, il cui matrimonio era minacciato dalla
dipendenza del marito dalla pornografia, scrisse come ella gli stette accanto per cinque lunghi anni, sino a
quando, come scrisse, «grazie al dono della gloriosa espiazione del nostro prezioso Salvatore e a ciò che Egli
mi ha insegnato sul perdono, [mio marito] alla fine è libero, ed io pure». Non necessitando la purificazione
dal peccato, ma cercando soltanto la liberazione di una persona cara dalla prigionia, ella diede questo
consiglio:
«Comunicate con il Signore … Egli è il vostro migliore amico! Egli conosce il vostro dolore perché lo
ha già provato per voi. Egli è pronto a portare quel fardello: confidate in Lui abbastanza da deporlo
ai Suoi piedi e da consentirGli di portarlo per voi. L’angoscia sarà allora rimpiazzata nel profondo
della vostra anima dalla Sua pace» (lettera datata 18 aprile 2005).
Un uomo scrisse a un’Autorità generale come il potere dell’Espiazione lo aveva aiutato con il suo problema
di attrazione verso lo stesso sesso. Egli era stato scomunicato per aver commesso gravi trasgressioni che
avevano violato le alleanze del tempio e le responsabilità verso i figli. Dovette scegliere se cercare di vivere
secondo il Vangelo oppure se continuare su una strada contraria ai Suoi insegnamenti.
«Sapevo che sarebbe stato difficile», scrisse, «ma non mi ero reso conto di ciò che avrei dovuto passare». La
lettera descrive il vuoto, la solitudine e il dolore incredibile che provò nella propria anima nel tentativo di
ritornare sulla retta via. Pregò con fervore per ottenere il perdono, talvolta per ore. Fu sostenuto dalla lettura
delle Scritture, dall’amicizia di un vescovo affettuoso e dalle benedizioni del sacerdozio. Ciò che però alla
fine fu determinante fu l’aiuto del Salvatore. Egli spiegò:
«[Fu] solo grazie a Lui e alla Sua espiazione … Ora provo una gratitudine immensa. A volte il dolore
era quasi superiore a quanto potessi sopportare, tuttavia era tanto piccolo paragonato a quello che
Egli soffrì. Dove una volta nella mia vita c’erano le tenebre, ora c’è amore e gratitudine».
Egli continuò:
«Alcuni professano che è possibile cambiare e che la terapia è l’unica risposta. Essi hanno grandi
conoscenze in materia e hanno moltissimo da offrire a coloro che sono in difficoltà … tuttavia temo
che nel processo si dimentichino di coinvolgere il Padre celeste. Se un cambiamento deve avvenire,
avverrà secondo la volontà di Dio. Temo, inoltre, che molte persone concentrino la loro attenzione
sulle cause [dell’attrazione allo stesso sesso]…
68
Non occorre stabilire perché ho [questo problema]. Non so se sono nato con esso o se i fattori
ambientali vi hanno contribuito. Il fatto è che nella vita ho questa difficoltà e ciò che conta è quello
che farò da ora in poi al riguardo» (lettera datata 25 marzo 2006).
Le persone che scrissero queste lettere sanno che l’espiazione di Gesù Cristo e la «guarigione» che offre
fanno molto di più che fornire la possibilità di pentirci dei peccati. L’Espiazione ci fornisce anche la forza di
sopportare «pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie», perché anche il Salvatore prese su di Sé «le pene e
le malattie del suo popolo» (Alma 7:11). Fratelli e sorelle, se la vostra fede e le preghiere e il potere del
sacerdozio non vi guariscono da un problema, il potere dell’Espiazione sicuramente vi darà la forza di
portare il fardello.
«Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati», disse il Salvatore, «e io … darò riposo [alle
anime vostre]» (Matteo 11:28–29).
Nel lottare con le difficoltà terrene, prego per ognuno di noi, come il profeta Mormon pregò per il figlio
Moroni: «Possa Cristo elevarti, e possano le sue sofferenze e la sua morte … e la sua misericordia e
longanimità, e la speranza della sua gloria e della vita eterna rimanere per sempre nella tua mente» (Moroni
9:25).
Rendo testimonianza di Gesù Cristo, il nostro Salvatore, che invita tutti noi a venire a Lui e ad essere perfetti
in Lui. Egli fascerà le nostre ferite e guarirà gli oppressi. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
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La nostra più grande speranza
PRESIDENTE JAMES E. FAUST
Secondo Consigliere della Prima Presidenza
iei cari fratelli, sorelle e amici, questa mattina vengo con umiltà a questo pulpito perché desidero
parlare del più grande evento di tutta la storia. Questo evento singolare fu l'incomparabile
espiazione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Questo fu l'atto più straordinario che sia
mai avvenuto, ma anche il più difficile da comprendere. Il motivo per cui desidero apprendere tutto quello
che posso sull'Espiazione è in parte egoistico: la nostra salvezza dipende dal credere e accettare
l'Espiazione.1Una tale accettazione richiede uno sforzo continuo per comprenderla più pienamente.
L'Espiazione promuove il nostro ciclo di apprendimento terreno rendendo possibile alla nostra natura
umana il raggiungimento della perfezione.2Tutti noi abbiamo peccato e dobbiamo pentirci per pagare la
nostra parte di debito. Quando ci pentiamo con sincerità, l'espiazione magnifica del Salvatore salda il resto
del debito.3
Paolo ci spiegò con semplicità il motivo per cui abbiamo bisogno dell'Espiazione. «Poiché, come tutti
muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati».4Gesù Cristo fu scelto e preordinato per essere
il nostro redentore prima che il mondo fosse formato. Quale Figlio divino, con la Sua vita priva di peccati, il
versamento del Suo sangue nel Giardino del Getsemani, la Sua atroce morte sulla croce e successiva
risurrezione fisica dalla tomba, divenne l'autore della nostra salvezza e portò a termine un'espiazione
perfetta per tutto il genere umano.5
Comprendere al meglio delle nostre capacità l'espiazione e la risurrezione di Cristo ci aiuta a conoscere Lui e
la Sua missione.6 Qualsiasi maggiore comprensione del Suo sacrificio espiatorio ci permette di avvicinarci a
Lui. Letteralmente, Espiazione significa essere «un tutt'uno» con Lui. La natura dell'Espiazione e i suoi effetti
sono così infiniti, così insondabili e profondi che superano la conoscenza e la comprensione dell'uomo
mortale. Sono profondamente grato per il principio della grazia salvatrice. Molte persone pensano che basti
solo confessare che Gesù è il Cristo per essere salvati solo per grazia. Non possiamo essere salvati per grazia
soltanto, «poiché sappiamo che è per grazia che siamo salvati, dopo aver fatto tutto ciò che possiamo fare».7
Qualche anno fa, presidente Gordon B. Hinckley raccontò «una specie di parabola» riguardo «una piccola
scuola formata da un'unica aula» tra le montagne della Virginia, i cui studenti erano così difficili che nessun
insegnante era in grado di controllarli.
Poi un giorno un giovane insegnante senza esperienza fece domanda per andarvi. Gli fu detto che tutti i
precedenti insegnanti erano stati picchiati, ma il giovane maestro accettò di correre il rischio. Il primo giorno
di scuola l'insegnante chiese alla classe di stabilire delle regole e la punizione per chi le avesse infrante. La
classe stessa decise dieci regole che furono scritte alla lavagna. Poi l'insegnante chiese:
«Che cosa faremo a chi infrange le regole?»
«Lo batteremo dieci volte sulla schiena senza la giacca», fu la risposta.
M
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Qualche giorno dopo, venne rubato il pranzo di uno degli alunni più grandi, di nome Tom. Fu trovato il
colpevole: un ragazzino affamato di dieci anni. Mentre il piccolo Jim si faceva avanti per ricevere la
punizione, continuava a implorare di poter tenere la giacca. «Togliti la giacca», disse l'insegnante. «Anche tu
hai contribuito a fissare le regole!»
Il ragazzo si tolse la giacca. Non indossava la camicia e aveva un corpicino esile e gracile. Mentre
l'insegnante esitava a colpirlo, il grande Tom saltò in piedi e si offrì volontario per ricevere i colpi che
spettavano al piccolo Jim.
«Molto bene, c'è una certa legge per cui una persona può sostituirne un'altra. Siete tutti d'accordo?»
chiese l'insegnante.
Dopo cinque colpi il bastone si spezzò. La classe singhiozzava. «Il piccolo Jim aveva buttato le braccia al
collo di Tom. «Tom, mi dispiace di aver rubato il tuo pranzo, ma avevo una fame terribile. Tom, ti vorrò
bene finché muoio per aver preso le bastonate al posto mio! Sì, ti vorrò bene per sempre!»8
Il presidente Hinckley poi citò Isaia:
«E nondimeno, eran le nostre malattie ch'egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s'era caricato
. . . Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità;
il castigo, per cui abbiam pace, è stato su lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione».9
Nessun uomo conosce tutto il carico che il nostro Salvatore portò, ma grazie al potere dello Spirito Santo
possiamo conoscere qualcosa riguardo al supremo dono che ci offrì.10Usando le parole dell'inno
sacramentale:
Noi non potremo mai capir
qual pena Ei sopportò;
Sappiamo, fu per noi
che Gesù soffrì e spirò.11
Egli soffrì molto dolore, «indescrivibile tormento» e
«insopportabili torture»12per amor nostro. La sua
intensa sofferenza nel giardino del Getsemani, dove
da solo prese su di sé tutti i peccati degli altri esseri
mortali, «fecero sì che . . . tremasse per il dolore e
sanguinasse da ogni poro, e soffrisse sia nel corpo
che nello spirito».13«Ed essendo in agonia, egli
pregava vie più intensamente»,14dicendo:
«Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre
da me, senza ch'io beva, sia fatta la tua volontà».15Egli fu
tradito da Giuda Iscariota e rinnegato da Pietro. Egli fu
schernito dai capi sacerdoti e dagli scribi; Egli fu
fustigato, colpito, ricevette degli sputi e venne deriso nella
sala del giudizio.16
Egli fu condotto sul Golgota, dove gli vennero conficcati
dei chiodi nelle mani e nei piedi; rimase appeso in agonia
per ore su una croce di legno che riportava il titolo fatto
scrivere da Pilato:
«Gesù il Nazareno, il Re de' Giudei».17
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Divenne buio e «verso l'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eli, Eli, lamà sabactani? Cioè: Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?»18Nessuno poteva venirGli in soccorso; Egli stava calpestando il tino da
solo.19Poi «Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rendé lo spirito».20«Uno de' soldati gli forò il
costato con una lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua».21«
La terrà tremò» e «il centurione e quelli che con lui facean la guardia a Gesù, visto il terremoto e le cose
avvenute, temettero grandemente, dicendo: Veramente, costui era Figliuol di Dio».22 Usando le parole
dell'inno: «Non lasciar che ci scordiamo che fu grande il Tuo dolor»,23mi chiedo quante gocce di sangue
furono versate per me.
Quello che compì poteva essere fatto solo da una Divinità. Quale Unigenito Figlio del Padre nella carne,
Gesù ereditò attributi divini. Egli fu l'unica persona mai nata sulla terra che potesse portare a termine questo
atto tanto importante e supremo. Quale unico uomo senza peccato che sia mai vissuto sulla terra, Egli non fu
soggetto a morte spirituale. Grazie alla Sua divinità, Egli aveva anche potere sulla morte fisica. Pertanto Egli
fece per noi quello che noi non potevamo fare per noi stessi. Egli ruppe le catene della morte. Egli fece anche
in modo che noi potessimo avere il sereno conforto del dono dello Spirito Santo.24
L'Espiazione e la Risurrezione hanno dei grandi effetti. L'Espiazione ci purifica dai peccati a condizione del
nostro pentimento. Il pentimento è la condizione che è reclamata dalla misericordia.25Dopo tutto quello che
possiamo fare per pagare in minima parte il nostro debito e riparare ai nostri errori, la grazia del Salvatore è
attivata nella nostra vita attraverso l'Espiazione che ci purifica e ci rende perfetti.26La resurrezione di Cristo
vinse la morte e ci assicurò la vita dopo la morte. Egli disse: «Io son la risurrezione e la vita; chi crede in me,
anche se muoia, vivrà».27La risurrezione è incondizionata e si applica a tutti coloro che mai hanno vissuto o
che mai vivranno.28È un dono gratuito. Presidente John Taylor lo descrisse bene quando disse: «Le tombe
saranno aperte e i morti ascolteranno la voce del Figlio di Dio e verranno fuori, quelli che hanno operato
bene in risurrezione di vita e quelli che hanno operato male in risurrezione di giudizio».29
Riferendosi alle nostre azioni terrene e all'Espiazione, presidente J. Reuben Clark Jr. fece questa profonda
osservazione quando disse:
«Sento che [il Salvatore] darà la minima punizione richiesta dalla nostra trasgressione. Credo che
Egli giudicherà tenendo conto di tutto l'infinito amore, benefici, misericordia, gentilezza e
comprensione che ha … D'altro canto, credo che quando arriverà il momento di assegnarci la
ricompensa per le nostre buone azioni, Egli ci darà quanto più sarà possibile, tenendo presente le
offese che avremo fatte».30
Come scrisse Isaia, se ritorneremo al Signore, Egli sarà largo nel perdonare.31 Ci è comandato di ricordarci i
singoli eventi della mediazione, Crocifissione ed Espiazione prendendo il sacramento tutte le settimane.
Secondo lo spirito delle preghiere sacramentali, prendiamo il pane e l'acqua in ricordo del corpo e del
sangue sacrificati per noi, ci ricordiamo di Lui e promettiamo di osservare i Suoi comandamenti in modo da
avere sempre con noi il Suo spirito.
Il nostro Redentore prese su di sé tutti i peccati, i dolori, le infermità e le malattie di tutti coloro che hanno
mai vissuto o che mai vivranno.32Nessuno ha mai sofferto qualcosa di simile a quello che Egli soffrì. Egli
conosce le nostre prove terrene in prima persona. È un po' come se provassimo a scalare il monte Everest
riuscendo a salire solamente di pochi metri. Ma Egli ha scalato tutti gli oltre ottomila metri fino alla cima
della montagna. Egli ha sofferto più di quanto potrebbe qualsiasi altro essere umano. L'Espiazione non
beneficia solo il peccatore, ma anche coloro contro i quali è stato commesso il peccato, ossia le vittime.
Attraverso il perdono di chi pecca contro di noi, l'Espiazione porta una certa misura di pace e conforto a
coloro che sono resi vittime innocenti dei peccati altrui. La fonte principale per la guarigione dell'anima è
l'espiazione di Gesù Cristo. Questo è vero sia in caso di tragedie personali o di una tremenda disgrazia
nazionale come avvenuto recentemente a New York, Washington e Pittsburgh.
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Una sorella, coinvolta in un doloroso divorzio, scrisse come riuscì ad attingere dall'Espiazione. Disse: «Il
divorzio . . . non mi liberò dall'obbligo di perdonare. Intendevo veramente farlo, ma fu come se mi fosse
stato comandato di fare qualcosa di cui ero incapace».
Il suo vescovo le diede questo consiglio: «Lasci nel suo cuore un posto per il perdono, quando lo troverà, lo
accolga». Trascorsero molti mesi, nel frattempo la battaglia per perdonare continuò. Ella raccontò: «Durante
quei lunghi momenti di preghiera . . . attinsi dalla sorgente di vita e conforto del mio Padre celeste. Sentii che
Egli non stava accanto a me condannandomi per non essere riuscita a perdonare, ma, piuttosto, stava
soffrendo con me mentre piangevo . . .
In ultima analisi, quello che accadde nel mio cuore è per me un'incredibile e miracolosa dimostrazione
dell'espiazione di Cristo. Avevo sempre considerato l'Espiazione come il modo in cui pentirsi dei peccati.
Non mi ero resa conto che rende, inoltre, possibile alla vittima del peccato ricevere nel cuore la dolce pace
del perdono».33
Le vittime devono fare quello che possono per superare le loro prove e il Salvatore soccorrerà il Suo popolo
nelle loro infermità.34 Ci aiuterà a portare i nostri fardelli. Alcune ferite sono così dolorose e profonde che
non possono guarire senza un potere superiore, senza sperare in una giustizia perfetta e in una restituzione
nella vita a venire. Dal momento che il Salvatore ha sofferto qualsiasi cosa e ogni cosa che mai sentiremo o
proveremo,35può aiutare i deboli a rafforzarsi. Egli in prima persona ha provato tutto ciò. Comprende la
nostra sofferenza e camminerà accanto a noi anche nei momenti più tetri.
Non vediamo l'ora di ricevere il beneficio finale dell'Espiazione: diventare uno con Lui, essere in Sua divina
presenza, chiamati individualmente per nome quando ci accoglierà calorosamente a casa, con un radiante
sorriso, invitandoci a braccia aperte per essere circondati dal suo amore infinito.36Quanto sarà gloriosa e
sublime questa esperienza, se potremo sentirci abbastanza degni di essere alla Sua presenza. Il dono del Suo
grande sacrificio espiatorio per ognuno di noi è l'unico modo in cui possiamo ricevere l'esaltazione in modo
da starGli davanti e vederLo faccia a faccia. Il grandioso messaggio dell'Espiazione è l'amore perfetto che il
Salvatore prova per ognuno di noi. È un amore pieno di misericordia, pazienza, grazia, giustizia,
longanimità e, soprattutto, perdono.
L'influenza maligna di Satana cerca di distruggere tutte le speranze che abbiamo di superare i nostri errori.
Egli vorrebbe che ci sentissimo persi e senza speranza. Gesù, invece, si china per rialzarci. Grazie al nostro
pentimento e al dono dell'Espiazione, possiamo prepararci a essere degni di stare alla Sua presenza. Di
questo io rendo testimonianza nel nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Vedere Mosia 4:6-7.
2. Vedere Moroni 10:32.
3. Vedere 2 Nefi 25:23.
4. 1 Corinzi 15:22.
5. Vedere Guida alle Scritture alla voce «Espiazione», 64.
6. Vedere Giacobbe 4:12.
7. 2 Nefi 25:23, corsivo dell'autore.
8. «La vera e meravigliosa storia di Natale»,Liahona, dicembre 2000, 5-6.
9. Isaia 53:4-5.
10. Vedere 1 Corinzi 12:3.
11. «Un verde colle c'è lontano»,Inni,115.
12. John Taylor, The Mediation and Atonement (1882), 150.
13. DeA 19:18.
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14. Luca 22:44.
15. Matteo 26:42.
16. Vedere Matteo 26:47-75, 27:28-31.
17. Giovanni 19:19.
18. Matteo 27:46.
19. Vedere DeA 133:50.
20. Matteo 27:50.
21. Giovanni 19:34.
22. Matteo 27:51, 54.
23. «Umilmente, Salvatore»,Inni, 102.
24. Vedere Giovanni 15:26.
25. Vedere Alma 42:22-25.
26. Vedere 2 Nefi 25:23; Alma 34:15-16, 42:22-24; Moroni 10:32- 33.
27. Giovanni 11:25.
28. Vedere Atti 24:15.
29. The Gospel Kingdom, 118. Vedere anche Giovanni 5:28-29.
30. «As Ye Sow. . . », Brigham Young University Speeches of the Year, (3 maggio 1955), 7.
31. Isaia 55:7.
32. Vedere Alma 7:11-12.
33. «My Journey to Forgiving», (nome non rivelato), Ensign, febbraio 1997, 42-43.
34. Alma 7:12.
35. Vedere Alma 7:11.
36. Vedere Alma 26:15; Mormon 5:11; 6:17; Mosè 7:63.
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75
«È compiuto» ANZIANO JOHN H. GROBERG
Membro Emerito del Primo Quorum dei Settanta
John H. Groberg, «It Is Finished», in My Redeemer Lives!, a cura di Richard Neitzel Holzapfel e Kent P. Jackson (Provo,
UT: Religious Studies Center, Brigham Young University; Salt Lake City: Deseret Book, Salt Lake City, 2010), 1–26.
asqua è un periodo meraviglioso per portare
testimonianza del nostro Signore e Salvatore, Gesù
Cristo, per esprimerGli la nostra gratitudine,
mostrarGli il nostro amore e accrescere la nostra
fede in Lui.
Io so che Egli vive. So che ci ama. È il Figlio di Dio. So che è il
nostro Amico. So che tramite Lui – le Sue creazioni, la Sua
Espiazione, la Sua Risurrezione e il Suo giudizio finale – è
possibile per tutti noi ritornare dal nostro Padre nei cieli e
ricevere i doni incomparabili dell’immortalità certa, la
possibilità della vita eterna e la gioia infinita che ne deriva.
Come possiamo esprimere in modo adeguato il nostro amore
e la nostra gratitudine per tutto ciò che Egli ha fatto e
continua a fare per noi? Gesù stesso ci offre la risposta: «Se
voi mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Giovanni
14:15). In altre parole, dimostriamo il nostro amore e la nostra
gratitudine osservando i Suoi comandamenti, ovvero vivendo
secondo le leggi di verità che portano vita e gioia eterna.
Gesù è perfetto. Ama Suo Padre completamente, osserva i Suoi comandamenti interamente e, dunque, prova
una pienezza di gioia. Noi siamo imperfetti. Amiamo Gesù, ma non osserviamo interamente i Suoi
comandamenti. Lui lo sa e vuole aiutarci. Sa che, all’aumentare della nostra obbedienza, anche il nostro
amore crescerà, e così la nostra obbedienza crescerà ulteriormente; questo circolo continua fino alla
perfezione finale, che è la nostra meta.
Egli lo ha detto chiaramente: «Perciò vorrei che foste perfetti, come me, o come il Padre vostro che è in cielo è
perfetto» (3 Nefi 12:48). Questo obiettivo spaventa alcuni di noi, poiché riteniamo di non poterci mai riuscire.
Non possiamo, da soli, ma con il Suo aiuto ce la faremo. Noi siamo deboli, Lui è forte. Quanti tentativi
saranno necessari? Di quanto aiuto abbiamo bisogno? Molti tentativi e molto aiuto; tuttavia, a prescindere da
ciò che sarà necessario, Gesù sarà vicino a noi, pronto ad aiutarci.
Moroni spiegò: «Venite a Cristo, e siate perfetti in Lui … e se … amate Dio con tutta la vostra forza, mente e
facoltà, allora la sua grazia vi sarà sufficiente, cosicché mediante la sua grazia possiate essere perfetti in
Cristo» (Moroni 10:32). Quale gloriosa promessa! Pensateci: alla fine, il nostro amore sarà perfetto. La nostra
obbedienza sarà perfetta. La nostra gioia può essere perfetta! Abbiamo ancora tanta strada da percorrere e
Lui lo sa meglio di noi, e non è scoraggiato davanti al nostro progresso, come invece potremmo esserlo noi.
Confidate in Lui, poiché è perfetto. Egli può purificarci anche se siamo rossi come lo scarlatto (vedere Isaia
1:18). Può offrirci fiducia, fede e speranza, eliminando dubbi, paure e insicurezze dal nostro cuore.
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Egli è il nostro onnipresente Amico. È consapevole dei passeri e delle persone che cadono. Controlla
l’universo e tutto ciò che contiene. I modi in cui Egli può aiutarci sono tanto innumerevoli quanto i granelli
di sabbia o le stelle del cielo. Pensateci: quando chiediamo il Suo aiuto con cuore umile e con la volontà di
obbedire, un intero universo di aiuto si apre per noi!
Rispondiamo prontamente al Suo dolce invito: «In verità vi dico, amici miei … invoc[atemi] … Avvicinatevi
a me ed io mi avvicinerò a voi; cercatemi diligentemente e mi troverete; chiedete e riceverete; bussate e vi
sarà aperto» (DeA 88:62–63). Nel cercare, chiedere e bussare, che cosa riceveremo? Che cosa ci sarà aperto?
Tutto ciò che è buono, tutto ciò che dura in eterno e tutto ciò che porta gioia. Da Lui riceveremo la forza di
vivere le leggi eterne di verità. Avvicinandoci a Lui, sapremo con maggiore certezza che Egli è il nostro
Salvatore, Aiutante e Amico fedele.
Anche io, come voi, ho scoperto che avvicinarsi al Salvatore e capire meglio ciò che Egli ha fatto e continua a
fare per noi è come scalare una montagna: più in alto saliamo, più cose vediamo. Più vediamo, più cose ci
sono da vedere. Quando raggiungiamo una vetta, vediamo altre cime sorgere sopra di noi, più alte e
maestose, e ci rendiamo conto che non v’è fine alla Sua bontà. Scopriamo che il Suo amore è più profondo, la
Sua misericordia più ampia, il Suo desiderio di aiutare più forte e il Suo potere più onnicomprensivo di
quanto possiamo capire. Egli vive. Ci ama. Vuole aiutarci. È nostro Amico. Io lo so.
O, quanto dovremmo desiderare di «ricordar[c]i sempre di lui e … obbedire ai suoi comandamenti … per
poter avere sempre con [noi] il suo Spirito» (DeA 20:77), come supplichiamo regolarmente nella preghiera
sacramentale.
Ogni cosa che Gesù fa e dice è intesa a farci progredire verso la perfezione finale in Lui, tentativo dopo
tentativo. Una parte importante del ricordarsi sempre di Lui è ricordarsi le Sue parole. Infatti, Egli ci chiede
di «vivere di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (DeA 84:44; corsivo dell’autore). Tutte le Sue parole
sono importanti; tutte hanno un profondo significato; tutte ci aiuteranno.
Verso il Golgota
Venite con me sul Golgota. Mentre Gesù era appeso alla
croce, con grande dolore fisico, emotivo e spirituale, Egli
continuò a pensare agli altri e a come poteva aiutarli. Con
amore e compassione, Egli guardò Sua madre e disse:
«Donna, ecco il tuo figlio!» e a Giovanni, «Ecco tua madre»
(Giovanni 19:26, 27).
Dopo queste parole, credo che Egli ripensò a tutto ciò che
aveva promesso di fare, cercando di assicurarsi che ogni
profezia relativa alla Sua missione terrena fosse stata
adempiuta. Mi chiedo se non si sia ricordato una profezia dei
Salmi: «Nella mia sete, m'han dato a ber dell'aceto» (Salmi
69:21). Poiché «Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta,
affinché la Scrittura fosse adempiuta, disse: Ho sete … i
soldati dunque, posta in cima a un ramo d'issopo una
spugna piena d'aceto, gliel'accostarono alla bocca» (Giovanni 19:28–29; corsivo dell’autore). Un’altra profezia
adempiuta!
A questo punto, mi piace pensare che in qualche modo – forse con un accenno, un sorriso, un’impressione –
Egli abbia ricevuto conferma dall’alto che ogni cosa era a posto, poiché «quando Gesù ebbe preso l'aceto,
disse: È compiuto! E chinato il capo, rese lo spirito» (Giovanni 19:30; corsivo dell’autore).
Fino al Suo ultimo respiro terreno, Egli continuò ad aiutare, insegnare e mostrarci la via per la gioia eterna. È
difficile per me non versare lacrime di gratitudine, mentre ripenso a questo momento in cui la Sua perfetta
vita terrena giunse alla Sua perfetta conclusione.
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Che cosa dovremmo imparare da queste parole finali, «È compiuto»? Che cosa fu compiuto? La Sua
Espiazione? La Sua vita? La Sua opera? Egli ci fornisce la risposta nella sezione 19 di Dottrina e Alleanze:
«Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti … E queste sofferenze fecero sì che io stesso,
Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo
che nello spirito — e desiderassi di non bere la coppa amara e mi ritraessi — Nondimeno, sia gloria
al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i figlioli degli uomini» (DeA 19:16, 18–19;
corsivo dell’autore).
Dunque, che cosa fu compiuto? I Suoi «preparativi per i figlioli degli uomini». Egli non disse che tutto era
compiuto, ma che lo erano i Suoi preparativi, ovvero quel preciso capitolo della Sua vita. Al termine
dell’intenso dramma del capitolo più importante di tutta la storia umana, alla pronuncia di quelle parole
umili e al contempo gioiose «È compiuto», il capitolo successivo stava già per iniziare.
Il viaggio continua
Quando il Suo spirito lasciò il Suo corpo, Cristo si recò nel mondo
degli spiriti e continuò ad istruire e aiutare gli altri: «Egli organizzò
le sue forze e nominò dei messaggeri, rivestiti di potere e di autorità,
e li incaricò di andare a portare la luce del Vangelo a coloro che
erano nelle tenebre, sì, a tutti gli spiriti degli uomini; e così il Vangelo
fu predicato ai morti» (DeA 138:30).
Non soltanto Egli stava passando da un capitolo all’altro della
propria vita, ma ci stava anche insegnando – mediante la parola e
l’esempio – che anche noi dobbiamo considerare i nostri incarichi
come capitoli e capire che, al termine di un capitolo, ne comincia un
altro. Nuovi capitoli ci attendono ovunque, anche dopo la morte,
come vide il presidente Joseph F. Smith in visione: «Vidi che i fedeli anziani [e le sorelle] di questa
dispensazione, quando lasciano la vita mortale, continuano le loro fatiche nella predicazione del Vangelo di
pentimento e di redenzione … nel grande mondo degli spiriti dei morti» (DeA 138:57).
Tutto ciò che Gesù ha fatto e continua a fare è aiutarci a capire e osservare la verità eterna, affinché possiamo
godere della gioia eterna. Ogni incarico che riceviamo è un’opportunità di prepararci a servire con più
efficacia. Il sacrificio espiatorio e la resurrezione di Gesù non furono il primo capitolo del Suo aiuto nei nostri
confronti, né l’ultimo. La nostra nascita non fu il nostro inizio, né la morte sarà la nostra fine. Tutte le
esperienze della vita sono capitoli intesi a prepararci ad aiutare
meglio il prossimo.
Questo principio fu inciso nella mia mente e nel mio cuore tanti
anni fa, quando ero un giovane missionario a Tonga e viaggiavo
spesso in barca da un’isola all’altra.
In un’occasione, di mattina, dopo aver predicato per molti giorni
su diversi isolotti, eravamo diretti finalmente verso casa. Non
avevamo motore, radio, né bussola; avevamo soltanto una piccola
vela, un capitano esperto e molta fede. Avevamo sperato di poter
essere a casa per sera, ma il vento si fece contrario, il mare agitato e
capimmo che saremmo rimasti in mare per il resto della giornata, la notte successiva e probabilmente parte
del giorno seguente.
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Al calar della notte buia e fredda, fummo colpiti e scossi da onde violente. Io stavo male e non riuscii a
dormire. Verso la fine della nottata, andai a trovare il capitano. Stava tenendo la corda della vela principale
con una mano e il timone con l’altra. Un sentimento di affetto mi sopraffece, nel percepire la sua
concentrazione volta a riportarci a casa sani e salvi in mezzo all’oceano in tempesta.
Parlando con lui, mi raccontò della profonda riverenza che nutriva verso Dio, il Quale egli considerava
Creatore dell’universo, compreso il mare tempestoso su cui stavamo navigando. La nostra chiacchierata
veniva interrotta, a volte, da grandi onde che scuotevano la barca o da forti raffiche di vento che colpivano la
vela e ci inclinavano pericolosamente verso la superficie dell’acqua. Chiesi se potessi essere di un qualche
aiuto, ma egli rispose di avere tutto sotto controllo.
Parlammo fino all’alba, quando entrammo finalmente nelle acque calme di Pangai Harbor. Rimasi attonito
dinanzi alla sua mente brillante e alla sua grandissima abilità. Era umile, eppure sicuro di sé. Sebbene non
avesse né bussola, né radio, la sua mente, il suo corpo, la sua esperienza e la sua fede in Dio resero possibile
il nostro ritorno in sicurezza.
Mentre ci avvicinavamo al pontile, ringraziai il capitano e gli espressi il mio affetto e la mia ammirazione.
Egli sorrise timidamente, ma era evidente la sua gratitudine per essere giunti sani e salvi a destinazione. Mi
misi in spalla il mio bagaglio, salii sul pontile e mi voltai per guardare il capitano, indaffarato a caricare casse
di acqua di sentina, pulire la barca e prepararsi per il viaggio successivo.
All’improvviso, capii una cosa: per il capitano, quel particolare viaggio era terminato, ma il suo viaggio in
senso lato continuava. Era stato attento, ci aveva riportato a casa e aveva ampliato la propria esperienza per i
viaggi successivi. Alcuni di quei viaggi sarebbero stati tranquilli, altri difficili, la maggior parte normali e
tutti fattibili. Lo stesso vale per il nostro viaggio della vita. Dobbiamo adempiere i nostri incarichi, prestare
attenzione, confidare nel Signore, portare gli altri a casa in sicurezza, imparare dalle nostre esperienze e
prepararci al nostro incarico o capitolo successivo, a prescindere dalle tempeste o dalle bonacce che
incontriamo. L’opera di redenzione procede in un cerchio eterno - viaggio dopo viaggio, incarico dopo
incarico, capitolo dopo capitolo – e Gesù è sempre vicino, pronto ad aiutare.
Nell’inno «Jesus, Lover of My Soul», queste parole di Charles Wesley esprimono una supplica a nome di noi
tutti:
Gesù, Tu che ami la mia anima,
Lasciami volare a Te,
Mentre le acque vicine scorrono,
Mentre la tempesta infuria.
Nascondimi, O mio Salvatore, nascondimi,
Finché la tempesta della vita è passata.
Guidami sicuro nel porto;
O, ricevi infine la mia anima.
Altri rifugi non ho;
La mia anima indifesa a te s’affida.
Non lasciarmi, o, non lasciarmi solo;
Sostienimi e confortami.
Tutta la mia fiducia è in te;
Ogni mio aiuto è in te.
Copri il mio capo indifeso
Con l’ombra delle tue ali.[1]
Quando sentiamo il Suo Spirito, proviamo la Sua gioia, il Suo potere e il Suo desiderio di aiutarci. Ogni cosa
buona viene tramite la diligenza e l’obbedienza alla verità, come spiegato in questo versetto:
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«Qualsiasi principio di intelligenza noi conseguiamo in questa vita sorgerà con noi nella
risurrezione. E se una persona guadagna maggiore conoscenza e intelligenza in questa vita,
mediante la sua diligenza e la sua obbedienza, che un'altra, essa ne avrà altrettanto vantaggio nel
mondo a venire» (DeA 130:18–19; corsivo dell’autore).
Questo processo, che comporta passare da un capitolo a un altro e
imparare da ciascuna esperienza, è evidente ovunque. Ad
esempio, pensate alla creazione di questo mondo. Il primo giorno,
il Signore lavorò duramente. Una volta terminate le Sue fatiche,
Egli disse che il tutto era «buono» o «compiuto» e passò al giorno
successivo. Continuò giorno dopo giorno, lavoro dopo lavoro,
finché poté dichiarare l’intera creazione «buona» o «compiuta».
Ogni giorno era una preparazione per il successivo. Chi può dire
quale giorno fu il più importante? Ogni giorno è collegato agli altri
e tutti sono interdipendenti. Lo stesso vale per la nostra vita: nascita, crescita, incarichi, sfide, famiglia, morte
– tutte queste cose sono importanti e collegate tra loro. Ogni capitolo è necessario.
Il progresso eterno in famiglia
Questo stesso processo è al cuore dell’unità più importante
nell’eternità: la famiglia. Quando nasce un bambino, il capitolo
della nascita è terminato, ma ci rendiamo presto conto che sono
soltanto i nostri preparativi per quel figlio a essere terminati. Un
capitolo si chiude e se ne apre un altro. Adesso siamo genitori e
abbiamo la responsabilità di aiutare quel figlio a crescere,
imparare, maturare e comprendere. Nel capitolo successivo,
istruiamo, educhiamo e nutriamo quel figlio. Probabilmente
inizieremo capitoli nuovi con gli altri figli, ma con maggior
esperienza alle spalle. E così il processo continua, capitolo dopo capitolo, giro dopo giro.
Occasionalmente, sento delle persone affermare che la loro famiglia è finita e mi chiedo cosa intendano
esattamente con questo. In senso spirituale, le famiglie non sono mai finite. In senso fisico, vi sono dei limiti.
Il numero o il genere dei figli non è un fattore fondamentale. I profeti e altre persone rette, nel corso dei
secoli, hanno avuto zero figli, pochi figli oppure molti figli. Non dobbiamo e non possiamo giudicare gli
altri. Mettere al mondo dei figli comporta così tanti fattori diversi, tutti di natura profondamente personale,
che soltanto Dio è in grado di comprenderli tutti. Egli darà le risposte giuste a coloro che cercano con umiltà
la Sua guida. Il fattore più importante è consultarsi l’uno con l’altro e con il Signore in preghiera, poi seguire
i suggerimenti dello Spirito.
Ai nostri giorni, potremmo pensare di avere sotto controllo molti di questi aspetti, ma dobbiamo sempre
ricordare che soltanto Dio ha il controllo completo. È Dio Colui al quale dobbiamo fare rapporto, in ultima
analisi, non a un dottore, un genitore, un professore, un assistente sociale o qualsiasi altro mortale. Se
poniamo limiti personali sul seguire il Salvatore e i suggerimenti del Suo Spirito, in qualsiasi modo, poniamo
limiti alle benedizioni che possiamo ricevere da Lui.
In questa vita, per diversi motivi, alcuni potrebbero non essere benedetti con una famiglia «normale», ma lo
saranno nell’eternità, se rimarranno fedeli. Dio vede oltre gli anni e le lacrime della vita terrena. Questa vita
non ha nulla a che fare con la nostra comodità, bensì con la nostra conversione da uomo o donna naturale a
uomo o donna di Dio, processo che avviene seguente costantemente i suggerimenti del Suo Spirito. Dio ci
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offre la possibilità di mutare una massa di potenziale debole in una forza grandiosa per il bene, offrendoci
incarichi o capitoli difficili da completare. Quando ci richiede questi impegni, Egli ci dona l’aiuto di cui
abbiamo bisogno, facendoci anche sapere quando siamo pronti per il capitolo successivo. Pace, progresso e
gioia derivano dal vivere secondo la volontà di Dio, non la nostra.
La nostra responsabilità verso i nostri figli o la nostra famiglia finirà mai? Un capitolo particolare potrebbe
essere terminato, ma il nostro viaggio non lo è mai.
Pensate al nostro esempio, il Salvatore. La Sua opera finisce
mai? Egli spiegò a Mosè: «Ti mostrerò le opere delle mie
mani, ma non tutte, poiché le mie opere sono senza fine, e
anche le mie parole, poiché non cessano mai ... E quando una
terra passerà, con i suoi cieli, così pure ne verrà un'altra; e
non v'è fine alle mie opere, né alle mie parole» (Mosè 1:4, 38;
corsivo dell’autore).
Quando un marito e una moglie si qualificano per il regno
celeste, che cosa è finito? La loro preparazione per un
nuovo capitolo! Il presidente Lorenzo Snow insegnò in
modo meraviglioso questo processo eterno:
«Quando due Santi degli Ultimi Giorni si uniscono in matrimonio, vengono fatte loro
promesse riguardanti i figli, promesse che si estendono di eternità in eternità. Viene
promesso loro che essi avranno il potere e il diritto di governare, controllare e
somministrare la salvezza, l’esaltazione e la gloria ai loro figli nei mondi senza fine …
Cos’altro può desiderare l’uomo? L’uomo e la donna nell’altra vita avranno corpi celesti,
liberi da infermità e menomazioni, glorificati e perfezionati oltre ogni descrizione, e si
alzeranno in mezzo ai loro posteri, per governarli e controllarli, per amministrare la vita,
l’esaltazione e la gloria, i mondi infiniti» ».[2]
Questo nuovo capitolo sarà glorioso, ma anche arduo. Quale conforto c’è nel sapere che Gesù sarà sempre
vicino a noi per aiutarci! Non cominceremo semplicemente a costruire o a organizzare da soli. Continueremo
a essere istruiti «linea su linea, precetto su precetto, qui un poco e là un poco» (2 Nefi 28:30; vedere anche
DeA 98:12; 128:21). Ogni capitolo ha un suo scopo e, come in capolavoro letterario, ogni capitolo deve essere
letto e sperimentato per poter vedere e capire tutta la storia.
Un altro capitolo
A volte, facciamo fatica a svolgere un incarico o ad affrontare un giorno alla
volta, per non parlare di un intero capitolo della vita. Potremmo persino
essere segretamente felici, quando un incarico particolare finisce, e speriamo
che non torni più. Dio comprende i nostri sentimenti, ma conosce anche il
nostro potenziale e continuerà a offrirci nuove opportunità che
aumenteranno la nostra capacità di aiutare gli altri, nella misura in cui le
riconosciamo e le accettiamo. Cresciamo nella fede e, quando ci troviamo in
difficoltà estreme, è come se Gesù ci dicesse: «Io ti aiuterò a completare quel
capitolo», come fece l’angelo sceso dal cielo che Lo rafforzò in un momento di
estremo bisogno, nel Giardino (vedere Luca 22:43).
Se gettiamo la spugna in un capitolo, non vedremo mai la fine della storia, né
saremo pienamente preparati per il capitolo successivo. Oppure, potremmo dover svolgere dei compiti di
recupero. Dobbiamo andare avanti, anche quando fa male. Non è ciò che diciamo o per cui preghiamo, bensì
ciò che facciamo e sacrifichiamo che «porta le benedizioni del cielo».[3]
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Il lavoro di tempio rappresenta una parte vitale di molti
capitoli. Quando comprendiamo la natura eterna del
lavoro di tempio, la renderemo una parte più importante
della nostra vita. Il Salvatore ci invita costantemente a
venire a Lui. Dove, esattamente? Dove si trova, a casa Sua,
nel sacro tempio. Io so che Lui si compiace, quando Gli
facciamo visita spesso in quel luogo. So anche che non c’è
fine all’aiuto che possiamo ricevere da Lui, là.
Passando da un capitolo all’altro, dobbiamo imparare a
stare lontani dagli idoli e dall’indolenza di questo mondo, volgendoci alla casa del Signore e al lavoro
essenziale che si svolge al suo interno. Il tempo trascorso nell’edificio grande e spazioso, pieno dell’orgoglio
del mondo, porta minuscoli risultati di importanza eterna. Il tempo trascorso in edifici pieni dello Spirito del
Signore, come i templi, può essere tanto grande e spazioso quanto l’eternità. In essi, impariamo ogni cosa e
visitiamo ogni luogo che abbia importanza eterna, poiché l’Insegnante là è il Creatore di ogni cosa buona ed
eterna. Egli ci ama e vuole aiutarci.
Chiamate e rilasci
Oltre ad insegnarci come passare fedelmente da un capitolo all’altro, le parole del Salvatore «È compiuto» ci
insegnano anche che le chiamate e i rilasci, nel Suo regno, provengono da coloro che detengono l’autorità.
Noi non ci chiamiamo né rilasciamo da soli, né stabiliamo i termini del servizio. Questo spetta a Dio. Gesù,
pur in enorme sofferenza, attese finché non Gli fu comunicato che «ogni cosa era … compiuta», prima di
esclamare «È compiuto» (Giovanni 19:28, 30). Al nostro livello, dobbiamo imparare a fare lo stesso.
Alcuni anni fa, un anziano signore mi aiutò a capire questo principio. Da giovane, aveva accettato un lavoro
da insegnante presso una piccola comunità rurale di Santi degli Ultimi Giorni. In quella zona, c’erano due
famiglie imparentate che non andavano d’accordo. Quando il presidente di palo chiamò vescovo un
componente di una delle due famiglie, l’altra famiglia non andò più in Chiesa. Un anno dopo, fu chiamato
vescovo un componente di quest’ultima famiglia, e la prima rimase a casa.
Poco tempo dopo, il presidente di palo chiamò come vescovo questo giovane insegnante, che non
apparteneva a nessuna delle due fazioni. Egli disse al presidente che avrebbe accettato volentieri la chiamata,
se fosse stato rilasciato anche lui dopo uno o due anni. Con sua grande sorpresa, il presidente rispose: «Se
non sei un bravo vescovo, ti rilascerò molto prima. Questa è una chiamata del Signore, non mia!» Così,
divenne vescovo, pregò, lavorò duramente e fu benedetto dal Signore. La distanza tra le due famiglie
diminuì gradualmente e, alla fine, tutti ritornarono in Chiesa. Quel giovane servì come vescovo per più di
quindici anni e poi fu chiamato come presidente di palo. Aveva una famiglia meravigliosa e mi disse di
credere che le sue benedizioni erano dovute al fatto di aver servito secondo la volontà del Signore, non alla
propria.
Dobbiamo tutti imparare questa lezione. Noi non scegliamo dove o per quanto tempo servire. Alcuni amano
la propria missione o chiamata a tal punto da voler servire più a lungo. Ad altri non piace la propria
chiamata e vorrebbero essere rilasciati prima. Soltanto quando il Signore, tramite i Suoi dirigenti, dice «È
compiuto», quel capitolo è terminato. Soltanto allora siamo pronti per il capitolo successivo.
Brigham Young lasciò la sua famiglia e servì missione dopo missione, e avrebbe continuato, sennonché il
Signore disse: «Mio servitore Brigham, non ti è più richiesto di lasciare la tua famiglia come nei tempi
passati, poiché la tua offerta mi è accettabile. Ho visto il tuo lavoro e la tua fatica nel viaggiare per il mio nome.
Perciò ti comando di mandare la mia parola nei paesi lontani e di prenderti cura speciale della tua famiglia
da questo momento, in seguito e per sempre» (DeA 126:1–3; corsivo dell’autore).
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Il Profeta Joseph Smith passò da un capitolo all’altro a una velocità
incredibile. Sebbene fosse inseguito e molestato, egli continuò a lavorare
duramente, attendere pazientemente ed essere fedele, fino a quando il
Signore lo chiamò a casa, come a dire: «La tua missione terrena è
compiuta. Ora sei pronto per il capitolo successivo, oltre la tomba, da cui
la tua voce sarà udita da milioni di persone».
Resto meravigliato dinanzi a molti dei fratelli e delle sorelle che, in
passato come oggi, hanno adempiuto fedelmente incarichi difficili e
prego che possiamo tutti fare lo stesso. È Dio a decidere quando dire «È compiuto», perché Egli – a
differenza da noi - comprende ogni cosa, compresa la nostra capacità e il nostro potenziale.
Il presidente Thomas S. Monson, il portavoce del Signore sulla terra oggi, ci chiede costantemente di seguire
l’esempio del Salvatore aiutando in ogni modo possibile coloro che si trovano nel bisogno. Ogni giorno è
come un mini-capitolo incompleto, se non aiutiamo qualcuno in qualche modo.
Compiendo azioni che richiedono la fede nel Signore, la nostra fede in Lui aumenta. Potremmo non voler fare
alcune cose, tuttavia, se ci proviamo sinceramente, Egli ci renderà possibile adempiere ogni incarico – che sia
costruire una nave, ottenere delle tavole di bronzo, avere un figlio, onorare una chiamata, prenderci cura di
una persona con difficoltà emotive o fisiche, risolvere divergenze, vincere l’ira o qualsiasi altro capitolo
difficile da affrontare. Ricordate che ogni atto d’amore offerto, ogni sacrificio compiuto e ogni incarico
adempiuto non è che un piccolo riflesso dell’amore, del sacrificio e dell’aiuto infinito del Salvatore.
Ogniqualvolta metto in dubbio la durata o la difficoltà di un qualsiasi incarico, cerco di ricordare l’agonia del
Salvatore appeso sulla croce, che continuò comunque ad aiutare il prossimo fino a quando ricevette dall’alto
la rassicurazione del completamento della Sua missione terrena. Soltanto allora Egli disse: «È compiuto». Nel
più grande atto d’amore e di sacrificio mai compiuto, Gesù vinse tutte le forze del male e portò a
compimento un’Espiazione e una Risurrezione per il beneficio e la gioia eterna di tutta l’umanità. Quale
esempio! Prego che ognuno di noi, come il Salvatore, accetterà ogni incarico o capitolo che ci sarà offerto e
continuerà in fedeltà, fino a quando qualcuno in autorità dirà: «È compiuto».
Passando di capitolo in capitolo, saremo meglio preparati e in grado di compiere ciò che il presidente
Monson ci chiede di fare in modo tanto costante e sincero: aiutare in ogni modo possibile chi si trova nel
bisogno. Quando viviamo secondo le parole del Salvatore, dimostriamo il nostro amore e la nostra
gratitudine per Lui e restiamo fermi sul sentiero che conduce a diventare simili a Lui e, alla fine, perfetti in
Lui!
Porto testimonianza che Gesù vive, ci ama, ci aiuta, si trova a casa nel Suo tempio ed è nostro Amico. Porto
testimonianza che Joseph Smith è il Profeta della Restaurazione e che Thomas S. Monson è il portavoce di
Dio sulla terra, oggi. Porto testimonianza che Gesù vive, ci ama, ci aiuta, si trova a casa nel suo tempio ed è il
nostro amico che ci aiuta per sempre.
NOTE
[1] Charles Wesley, «Jesus, Lover of My Soul», Hymns (Salt Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints,
1985), n. 102.
[2] Lorenzo Snow, Deseret Weekly News, 3 aprile 1897, 481.
[3] William W. Phelps, «Praise to the Man» [tr. it. «Lode all’uomo», Inni, n. 19], Hymns, n° 27.
83
Al minimo, all’ultimo e al perduto RICHARD N. HOLZAPFEL & KENT P. JACKSON
Richard Neitzel Holzapfel & Kent P. Jackson, «To the Least, the Last, and the Lost», in To Save the Lost: An Easter
Celebration, a cura di Richard Neitzel Holzapfel e Kent P. Jackson (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young
University, 2009), vii–xi.
n tema importante nelle Scritture è il ribaltamento. Spesso, restiamo sorpresi quando i mansueti,
invece dei potenti, ereditano la terra (vedere Matteo 5:5), un centurione Gentile si sottomette
all’autorità di Gesù, un umile Ebreo (vedere Matteo 8:5–13) e Dio rivela la Sua volontà ai
«piccoli», invece che ai sapienti (Matteo 11:25). In una scena davvero straordinaria, un proprietario
terriero mette da parte il proprio orgoglio e la propria posizione elevata e corre per abbracciare il figlio
ritornato (vedere Luca 15:20). Il più importante capovolgimento di tutti, comunque, resta questo: il Figlio
di Dio muore cosicché l’umanità possa vivere (vedere Marco 14:24).
La missione di Gesù, al minimo, all’ultimo e al perduto, è basata su tali rovesciamenti. La Sua opera
redentrice li facilita, come dimostrato dal significato principale del termine pentimento in ebraico e in
greco, cioè «volgersi nuovamente» o «ritornare». Tramite il Vangelo, i minimi diventano i maggiori nel
regno di Dio (vedere Luca 9:48), gli ultimi diventano i primi (vedere Matteo 19:30) e i perduti vengono
ritrovati (vedere Luca 15:32). La Pasqua è il periodo giusto per ricordare la missione di Gesù ai minimi,
agli ultimi e ai perduti, poiché Egli disse: «Poiché il Figlio dell'uomo è venuto a salvare ciò che era perduto»
(Matteo 18:11; corsivo dell’autore). Non c’è da sorprendersi, dunque, nello scoprire come Egli abbia
mandato i Suoi discepoli «verso le pecore perdute» (Matteo 10:6) e, dunque, la loro missione di ritrovare i
perduti diviene un’estensione naturale della Sua. Noi, che desideriamo essere i Suoi discepoli negli ultimi
giorni, abbracciamo con gioia la nostra parte in questa missione e rammentiamo le Sue parole, le quali
rappresentano il vero fulcro del vivere il Vangelo: «In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di
questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me» (Matteo 25:40).
Alcuni dei momenti d’insegnamento di Gesù più memorabili riguardarono il ritrovare i perduti. Luca
preserva la parabola della pecorella smarrita, della dramma smarrita e del figliolo perduto, collegandole
insieme con un tema comune: la gioia di ritrovare ciò che era perduto. L’evangelista introduce le parabole
fornendone il contesto storico: Gesù si stava incontrando con persone considerate malvagie e impure,
pubblicani e peccatori. Come in altre situazioni simili, i Farisei e gli scribi si lamentarono: «Costui accoglie
i peccatori e mangia con loro» (Luca 15:2).
Luca racconta la storia: «Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde
una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? E
trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro:
"Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta"» (Luca 15:3–6). La seconda
parabola continua lo stesso tema: «Oppure, qual è la donna che se ha dieci dramme e ne perde una, non
accende un lume e non spazza la casa e non cerca con cura finché non la ritrova? Quando l'ha trovata,
chiama le amiche e le vicine, dicendo: "Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo
perduta"» (Luca 15:8–9).
Queste parabole non hanno nulla a che vedere con pecorelle o monete, ovviamente, bensì col ritrovare le
anime perdute. Ciò che esse non includono sono i dettagli relativi agli sforzi necessari per ritrovare ciò che
era perduto, quanta fatica fu necessaria, quante lacrime furono versate e quante preghiere offerte.
U
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Entrambe le storie rivelano una conclusione comune: c’è gioia, in cielo, per un «solo peccatore che si
ravvede» (Luca 15:7, 10). Entrambe insegnano questo: qualunque sforzo fu richiesto per ritrovare il
peccatore perduto, ne valse la pena.
L’ultima parabola presenta questo tema in forma umana. La tradizione inglese, come quella italiana, vi ha
imposto il titolo inappropriato di «Figliol prodigo», in cui prodigo significa «sprecone», l’elemento meno
importante della parabola. Essa, in realtà, è la storia di un figlio perduto e si rivolge a noi, oggi, tanto
quanto fece ai discepoli ai tempi di Gesù.
Un padre ebreo ha due figli. Il più giovane chiede al padre la propria eredità e parte per una terra lontana,
una terra dei Gentili, dove «vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente» (Luca 15:13) e finendo per
diventare povero. La scena successiva rivela le conseguenze delle sue scelte sbagliate: «Allora si mise con
uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali» (Luca 15:15). Il
ribaltamento è completo: il figlio ebreo di un padre ricco possidente è costretto a diventare servo di un
Gentile, a pascolare i maiali! Eppure, quando sembra che il figlio perduto abbia toccato il fondo,
scopriamo che la situazione è ancora peggiore: egli deve competere con i maiali per il cibo. Alla fine,
«rientrato in sé», decide di ritornare al padre, dove persino i «servi» hanno «pane in abbondanza» (Luca
15:17).
A questo punto della storia, potremmo essere tentati a pensare: «Sono felice di non essere come lui».
Eppure, la storia presenta abbastanza paralleli con la vita di ciascuno da dover essere in grado di scorgervi
qualcosa che ci riguardi. Anche noi, perlomeno, a volte abbiamo bisogno di «rientrare in noi» e decidere di
ritornare a ciò che anche noi, come il figlio perduto, sappiamo essere giusto. Se siamo umili, anche noi
impareremo che le nostre risorse sono esaurite, che non abbiamo nulla più e dobbiamo fare affidamento
sulla grazia di qualcuno più grande di noi, che ci riaccolga nella sua famiglia e nella sua casa.
Il figlio perduto ritorna al padre, dicendo: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più
degno di essere chiamato tuo figlio"» (Luca 15:21). In un altro ribaltamento della storia, il padre sceglie di
«porta[r]e qui la veste più bella, e rivesti[r]lo, mette[r]gli un anello al dito e dei calzari ai piedi» (Luca
15:22). Inoltre, come i proprietari della pecorella smarrita e della dramma smarrita, il padre chiama le
persone intorno a sé per celebrare: «Portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo
festa» (Luca 15:23).
Ora, la parabola rivela una storia dentro la storia, e anch’essa rappresenta un ribaltamento. L’obbediente
figlio maggiore ritorna dalla sua giornata di lavoro nei campi e ode musica e danze presso la casa del
padre. Quando un servo lo informa che il fratello minore è ritornato e ha ricevuto un trattamento regale, il
fratello maggiore si adira e si rifiuta di entrare in casa. Per la seconda volta, il padre lascia la casa ed esce
per accogliere un figlio (vedere Luca 15:25–28). Sembra che persino i più retti tra noi abbiano bisogno della
«misericordia che perdona» e, per fortuna, noi siamo alla sua portata.1
«Ricordate che il valore delle anime è grande agli occhi di Dio; Poiché, ecco, il Signore vostro
Redentore soffrì la morte nella carne; pertanto egli soffrì i dolori di tutti gli uomini, affinché
tutti possano pentirsi e venire a lui. Ed è risorto dai morti per poter portare tutti a Sé, a
condizione del pentimento. E quanto grande è la sua gioia nell'anima che si pente!» (DeA
18:10–13).
Contemplando la «grazia duratura» e la «carità senza limiti» del nostro Salvatore,2 gioiamo anche noi, come i
personaggi delle parabole, nel ritrovare coloro che si erano perduti. Non limitiamoci ad accoglierli, ma
aiutiamo anche a ritrovarli, riconoscendo, tuttavia, di essere anche noi tra i perduti, sempre bisognosi che
qualcuno ci venga a cercare, ci prenda per mano e ci riporti alla casa del Padre.
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NOTE
1. Andrew F. Ehat e Lyndon W. Cook, a cura di, The Words of Joseph Smith: The Contemporary Accounts of the Nauvoo
Discourses of the Prophet Joseph (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 1980), 77.
2. Lee Tom Perry, «As Now We Take the Sacrament», Hymns (Salt Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day
Saints, 1985), n° 169.
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87
Lezioni dall Espiazione ANZIANO MERRILL J. BATEMAN
Membro Emerito del Primo Quorum dei Settanta e Presidente del Tempio di Provo, Utah
Elder Merrill J. Bateman, «Lessons from the Atonement», in To Save the Lost: An Easter Celebration, a cura di Richard
Neitzel Holzapfel e Kent P. Jackson (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 2009), 1-19.
l grande sacrificio compiuto dal Signore Gesù Cristo per i peccati dell’umanità è l’avvenimento più
importante nel tempo e nell’eternità. L’Espiazione è il fulcro del piano del Padre per la felicità dei Suoi
figli. Essa rende possibile la misericordia che salva ed esalta i figli del Padre, soddisfacendo al contempo
le richieste della giustizia (vedere Alma 42:15).
Nel programmare il nostro soggiorno sulla terra, il Padre Celeste comprese l’importanza del libero arbitrio
per il nostro progresso e ce lo offrì in dono. Egli capì anche che Adamo ed Eva avrebbero trasgredito, usando
il proprio libero arbitrio per far avverare la Caduta, affinché «gli uomini potessero essere … e affinché
possano provare gioia» (2 Nefi 2:25). La Caduta, tuttavia, avrebbe portato anche la morte, sia fisica che
spirituale. Quali esseri terreni, il nostro corpo sarebbe invecchiato e poi morto, separandosi dallo spirito. La
morte spirituale, la separazione da Dio, si sarebbe verificata in conseguenza della Caduta e del cedimento
all’opposizione e alle tentazioni da parte degli uomini e delle donne. Avendo il libero arbitrio, tutti
avrebbero peccato e «s[arebbero stati] privi della gloria di Dio» (Romani 3:23).
Per poter essere salvati dalla Caduta e dai nostri peccati, fu necessario che qualcuno avente potere sufficiente
venisse in nostro soccorso. Amulec, il collega di Alma, affermò che nessun uomo né alcun’altra cosa terrena
aveva potere sufficiente per redimere. La salvezza è possibile soltanto tramite «un sacrificio infinito ed
eterno» del Figlio di Dio (Alma 34:10; vedere anche v. 14). Lucifero, un figlio del mattino, si offrì per essere il
figlio che ci avrebbe salvato. Il suo piano, tuttavia, era insufficiente, i suoi motivi contrati alle leggi del cielo
ed egli non aveva né il potere, né la gloria per attuarlo (vedere DeA 76:25–27; Mosè 1:11–18; 4:1–4).
Gesù Cristo, il Figlio Diletto, fu scelto sin dal principio a motivo della Sua rettitudine, la quale portò alla Sua
unzione e al conferimento della gloria da parte del Padre (vedere Isaia 60:2; 1 Pietro 1:19–20; Helaman 5:11;
Mosè 1:14). Alla fine, il Salvatore ricevette dal Padre, infinito ed eterno, ogni potere, sufficiente a pagare il
prezzo del peccato. In umiltà e sofferenza al di là di ogni capacità umana, Egli disse al Padre: «Sia fatta la tua
volontà, e sia tua la gloria per sempre» (Mosè 4:2; vedere anche Matteo 28:18; Giovanni 17:2).
Pietro, Giacomo e Giovanni videro il Signore nella pienezza della Sua gloria sul Monte della Trasfigurazione.
Per due anni e mezzo, essi avevano percorso i sentieri di Israele con Lui senza apprezzarne pienamente la
grandezza, pur credendo in Lui. Pochi mesi prima della Sua crocifissione, il Salvatore prese questi tre uomini
e li condusse in cima a un monte, dove si rivelò in tutta la Sua «gloria come quella dell'Unigenito venuto da
presso al Padre», piena di grazia e di verità (Giovanni 1:14). Quale Unigenito nella carne, Egli aveva il potere
di deporre la Sua vita e di riprenderla nuovamente.
Dalla Sua madre mortale, Maria, Egli ricevette i semi della mortalità che Gli permisero di morire. Dal Suo
Padre immortale, Egli ricevette i semi dell’immortalità, la capacità di vincere la morte e vivere per sempre.
Come disse ai Giudei: «Come il Padre ha vita in se stesso, così ha dato anche al Figliuolo d'aver vita in se
stesso» (Giovanni 5:26).
I
88
In un’altra circostanza, Cristo affermò: «Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per
ripigliarla poi. Nessuno me la toglie, ma la depongo da me. Io ho potestà di deporla e ho potestà di
ripigliarla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio» (Giovanni 10:17–18).
Soltanto Cristo aveva il potere di vincere la morte fisica per Se stesso e per noi. Soltanto Cristo aveva il
potere di redimerci dai nostri peccati. Egli ereditò questo potere dal Padre per compiere l’Espiazione. Sulla
terra, Egli condusse una vita perfetta, senza peccato. Soddisfò le richieste della giustizia per Se stesso e le Sue
capacità infinite ed eterne Gli permisero di pagare i debiti a favore di coloro che esercitano la fede in Lui, siu
pentono, obbediscono alle leggi del Vangelo e ricevono le ordinanze di salvezza.
Una lettura della sezione 19 di Dottrina e Alleanze rivela il contrasto dell’immagine di un Dio senza peccato
dinanzi ai dolori fisici e spirituali connessi ai peccati degli altri, poiché Egli fu «trafitto a motivo delle nostre
trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità» (Isaia 53:5). Il Signore disse:
«Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno; Ma
se non volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me; E queste sofferenze fecero sì che io
stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia
nel corpo che nello spirito — e desiderassi di non bere la coppa amara e mi ritraessi — Nondimeno,
sia gloria al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i figlioli degli uomini» (DeA 19:16–
19).
Le sofferenze di Cristo ebbero inizio nel Giardino di Getsemani e si completarono sulla croce. Nel Giardino,
Egli pregò ferventemente che il Padre, se fosse stato possibile, rimuovesse la coppa amara, ma poi riconobbe:
«Non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Luca 22:42). Un angelo apparve nel Giardino per sostenerLo, ma
l’agonia era implacabile e Lo portò a pregare «più intensamente» (Luca 22:44). Passando dal Giardino al
processo e poi sulla croce, giunse il momento in cui il fardello era unicamente Suo. Dopo sei ore sul Golgota,
il Salvatore gridò con gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Matteo 27:46). Poco dopo,
il Redentore del mondo gridò nuovamente con gran voce: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. E
detto questo spirò» (Luca 23:46). Come aveva visto il profeta Nefi nella visione dell’albero della vita, Cristo
fu «innalzato sulla croce e ucciso per i peccati del mondo» (1 Nefi 11:33).
Il terzo giorno dopo la Sua sepoltura nella tomba di Giuseppe d’Arimatea, Egli risorse dai morti. La Sua
morte e Risurrezione rendono possibile a tutti coloro che sono vissuti, vivono o vivranno su questa terra di
risorgere ed essere riportati alla presenza di Dio, per esser giudicati. Dunque, Egli vinse la morte fisica, una
delle conseguenze della trasgressione di Adamo, per offrire una Risurrezione incondizionata a tutti. Eppure,
ciascun individuo resta responsabile dei propri peccati. Fortunatamente, Cristo ha il potere di perdonare e
santificare, poiché ha misericordiosamente pagato il prezzo per tutti coloro che esercitano fede in Lui, si
pentono dei propri peccati, osservano le proprie alleanze e ricevono le ordinanze del Vangelo.
La storia dell’Espiazione è una storia di miracoli. Noi non comprendiamo appieno il processo della
risurrezione o il modo in cui Egli funge da procuratore nel prendere su di Sé i nostri peccati. Sappiamo,
tuttavia, che vi furono molti testimoni oculari della Sua Risurrezione e che altri spiriti furono riuniti al
proprio corpo, dopo la Risurrezione di Cristo. Le Scritture affermano che «le tombe s'aprirono, e molti corpi
de' santi che dormivano, risuscitarono» (Matteo 27:52). Sappiamo anche, tramite la testimonianza del Santo
Spirito, che Egli è il Redentore del mondo e ha il potere di purificarci, di soddisfare le leggi infrante, di
santificarci e prepararci a ritornare al Padre (vedere 3 Nefi 27:14).
Vi sono molte lezioni fondamentali che possiamo trarre dagli avvenimenti meravigliosi collegati
all’Espiazione. Queste lezioni riguardano l’importanza della preghiera, il ruolo della fede e della
testimonianza nell’adempiere il nostro scopo eterno, l’importanza dell’amore quale forza che motiva, il ruolo
del sacrificio e dell’obbedienza nell’ottenere potere spirituale e l’opportunità – offerta dall’Espiazione – di
edificare una comunità forte e retta.
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L’IMPORTANZA DELLA PREGHIERA
La prima lezione che possiamo trarre dal sacrificio del Signore nel Getsemani e sulla croce riguarda la
preghiera. Durante tutto il Suo ministero, il Signore insegnò a pregare ai Suoi discepoli: «Pregate per quelli
che vi perseguitano», «fa' orazione al Padre tuo … nel segreto» e «non usate soverchie dicerie» (Matteo 5:44;
6:6, 7). Egli offrì la Preghiera del Signore come esempio (vedere Matteo 6:9–13). Egli pregò sia in privato, sia
in pubblico (vedere Matteo 14:23; 19:13). La preghiera fu una parte indispensabile della Sua vita ed Egli
desiderava che fosse lo stesso per i Suoi discepoli. L’ammonimento era quello di «chiedere», «cercare» e
«bussare» (Matteo 7:7).
Senza dubbio, le preghiere più intense offerte dal Salvatore furono quelle successive all’Ultima Cena. La
prima fu la grande preghiera intercessoria offerta prima che Lui e i Suoi discepoli si recassero nel Getsemani.
Nella preghiera, Cristo riconobbe che la Sua ora era giunta e chiese la forza di poter glorificare il Padre
nell’offrire la vita eterna ai fedeli (vedere Giovanni 17:1–2). Il resto della Sua preghiera fu dedicato ai Suoi
seguaci. Egli pregò per la loro fedeltà, affinché potessero essere eredi della vita eterna. Chiese al Padre di
benedirli con la gloria e l’amore che Lui stesso aveva ricevuto. Al primo posto, nei pensieri del Signore, c’era
l’unità che i discepoli avrebbero mostrato. Essa sarebbe stata un segno per gli altri che il Padre aveva
mandato il Figlio (vedere Giovanni 17:3–18).
La seconda preghiera ebbe inizio nel Getsemani. Lasciando otto dei discepoli all’ingresso e chiedendo loro di
pregare, Gesù prese Pietro, Giacomo e Giovanni e si addentrò nel Giardino. Esortando anche loro a pregare,
proseguì poco oltre e cadde prostrato a terra, «contristato ed angosciato» (Matteo 26:37). Egli pregò, dicendo:
«Padre, se tu vuoi, allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Luca 22:42).
La Sua comprensione e il riconoscimento del processo di redenzione Lo portarono a pregare ancora più
intensamente, con «grosse gocce di sangue che cadeano in terra» (Luca 22:44). La preghiera finale fu offerta
sulla croce, concludendosi con, «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. E detto questo spirò» (Luca
23:46).
Perché il Creatore del cielo e della terra, l’Unigenito del Padre, il Salvatore e Redentore del mondo, aveva
bisogno di pregare? Non sapeva forse ogni cosa? Non era forse onnipotente? Giovanni il Diletto attestò che
Gesù non ricevette la pienezza subito dopo la nascita terrena, ma «ricevette grazia su grazia; E non ricevette
la pienezza all'inizio, ma continuò di grazia in grazia fino a che ricevette la pienezza» (DeA 93:12–13).
Sottomettendo la Propria volontà, Egli conosceva l’importanza di comunicare con il Padre. Persino Lui
aveva bisogno di pregare per ricevere forza!
Quanto è importante la preghiera per noi? Chiaramente, se la preghiera era una parte essenziale della vita
del Salvatore, è importante anche per la nostra vita. La preghiera nel nome del Figlio è la porta attraverso cui
entriamo in comunicazione con il Padre. È il mezzo tramite il quale esprimiamo gratitudine, riceviamo guida
e istruzioni. Riceviamo il potere di cambiare la nostra vita tramite la preghiera e l’obbedienza. Mediante la
preghiera, chiediamo al Padre di aiutarci a perdonare gli altri e di benedirli. Tramite la preghiera,
esprimiamo il nostro sincero desiderio di perseverare fino alla fine e ritornare al Padre, per mezzo della
grazia e della misericordia del Figlio. Il Signore diede l’esempio per noi durante tutta la Sua vita e nelle Sue
ultime ore di vita terrena.
Il Redentore divenne il nostro Avvocato presso il Padre, in seguito all’Espiazione. La preghiera porta lo
Spirito Santo nella nostra vita e la Sua guida ci mantiene sul sentiero verso il regno celeste. La preghiera è
essenziale per riuscire a restare sul sentiero stretto e angusto, e il Signore fu l’Esempio supremo di questo
principio.
LA FEDE È IL POTERE
La seconda lezione appresa dall’Espiazione riguarda l’importanza della fede.
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Tutti saranno salvati da uno degli effetti della Caduta, ovvero la morte fisica, a motivo della Risurrezione del
Signore. Sia i giusti che gl’ingiusti usciranno dalla tomba (vedere Giovanni 5:28–29). Diversamente, vincere
la morte spirituale è condizionale e avviene a motivo della nostra fede nel Padre e nel Figlio, fede nel Loro
piano e fede nel Vangelo restaurato. Con fede non s’intende una cieca obbedienza, ma una forte credenza
che porta a pentirsi e a obbedire ai principi del Vangelo. La fede e l’obbedienza sono ricompensate con
quiete rassicurazioni dello Spirito che il Padre e il Figlio vivono, hanno un piano e – come parte di questo
piano – il Vangelo è stato restaurato tramite il Profeta Joseph Smith.
Questa rassicurazione giunge sotto forma di sentimenti nel cuore e di illuminazione nella mente, quando
preghiamo, digiuniamo, leggiamo le Scritture, serviamo nel Regno e siamo diligenti nel vivere il Vangelo
(vedere Alma 17:2–3; 32:27–43).
Lo sviluppo della fede e della testimonianza segue uno schema. Il Signore disse al Profeta Joseph Smith che
«ad alcuni è accordato dallo Spirito Santo di sapere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, e che fu crocifisso per i
peccati del mondo. Ad altri è accordato di credere alle loro parole, affinché anch'essi possano avere la vita
eterna, se rimangono fedeli» (DeA 46:13–14).
Lo schema comune consiste nei forti che aiutano i deboli. Agli inizi di una nuova dispensazione, degli angeli
vengono mandati a istruire i profeti e a comunicare loro verità spirituali, affinché questi possano preparare
altri a loro volta (vedere Moroni 7:30–31). Ad esempio, le esperienze che Joseph Smith ebbe con Moroni,
Giovanni Battista, Pietro, Giacomo e Giovanni e altri ancora lo prepararono a insegnare e condividere le
verità del Vangelo, cosicché chi lo avesse ascoltato avrebbe potuto credere nelle sue parole. Quando i
membri credettero e agirono secondo i principi insegnati, lo Spirito confermò la loro fede. Allo stesso modo,
i genitori devono insegnare ai propri figli i principi fondamentali del Vangelo. All’inizio, i figli credono alle
parole dei genitori, poi ricevono la propria testimonianza personale, se sono obbedienti ai principi e alle
ordinanze.
Una delle storie più belle del Libro di Mormon che mostra come si sviluppa la fede è l’apparizione del
Signore risorto ai Nefiti, dopo la Sua crocifissione e Risurrezione a Gerusalemme. Nel rileggere la storia di 3
Nefi, è interessante notare come il Signore abbia dato inizio alla Sua visita con un’esperienza, non un
sermone.1 Quell’esperienza speciale non soltanto preparò i Nefiti ai sermoni successivi, ma fornì anche le
fondamenta spirituali che sarebbero state trasmesse. Lo schema prevedeva che coloro i quali avevano
ricevuto testimonianze possenti avrebbero aiutato altri a credere nelle loro parole, fino a quando non
avessero ricevuto anch’essi la propria testimonianza. È utile procedere a una breve analisi di questo
episodio.
Duemilacinquecento fedeli erano radunati presso il tempio del paese di Abbondanza. Stavano discutendo
della distruzione e dei mutamenti che avevano avuto luogo poco prima, oltre che dei segni connessi alla
morte del Redentore. Mentre conversavano l’uno con l’altro, udirono una voce dal cielo. Sebbene non
compresero le parole, essi sentirono lo Spirito trafiggerli fino al centro dell’anima (vedere 3 Nefi 11:3). La
voce venne una seconda volta, e ancora essi non la compresero. La terza volta, le Scritture riportano che
«aprirono le loro orecchie per ascoltarla; e i loro occhi erano rivolti verso il suono» (3 Nefi 11:5). I versetti
seguenti indicano che essi capirono le parole, ma non ne colsero appieno il significato. Le parole furono:
«Ecco il mio Figlio beneamato, nel quale io mi compiaccio, nel quale ho glorificato il mio nome: ascoltatelo»
(3 Nefi 11:7). Mentre guardavano verso il cielo, videro «un Uomo che scendeva … vestito di una veste
bianca; e scese e stette in mezzo a loro; e gli occhi di tutta la moltitudine erano rivolti su di lui, e non osavano
aprir la bocca, neppure l'uno con l'altro … poiché pensavano che fosse un angelo» (3 Nefi 11:8). Non
apprezzando completamente Chi fosse il Visitatore, rimasero attoniti.
A questo punto, Cristo si presentò e disse loro di aver bevuto dalla coppa amara e di aver «glorificato il
Padre prendendo su di me i peccati del mondo» (3 Nefi 11:11). Mentre ascoltava, la moltitudine si rese conto
che il Visitatore altri non era che il Signore risorto, e caddero in terra. L’esperienza che seguì cambiò per
sempre la loro vita, poiché il Signore li invitò ad alzarsi e farsi avanti per sentire le impronte dei chiodi nelle
Sue mani e nei Suoi piedi e porre le mani nel Suo costato. Le Scritture riportano:
91
«E avvenne che la moltitudine avanzò e pose le mani nel suo costato, e sentì le impronte dei chiodi
nelle sue mani e nei suoi piedi; e fecero questo facendosi avanti ad uno ad uno, finché furono tutti
passati, ed ebbero veduto con i loro occhi e sentito con le loro mani e seppero con certezza, e ne
resero testimonianza, che era Colui di cui era stato scritto dai profeti che sarebbe venuto» (3 Nefi
11:15).
L’opportunità di vedere, udire e toccare il Signore, sostenuta dalla testimonianza dello Spirito Santo, portò
impressioni, pensieri e sentimenti impossibili da dimenticare. A loro volta, la fede e la testimonianza dei
presenti penetrarono profondamente nel cuore dei loro figli, nipoti e pronipoti. Le generazioni successive
furono tutte influenzate dalla testimonianza dei loro genitori.
Credendo nelle parole dei propri genitori, i figli possono ottenere una testimonianza forte tanto quanto la
loro, se uniscono alla fede l’obbedienza ai comandamenti. Osservare i comandamenti apre la porta affinché
lo Spirito Santo confermi la fede già presente. Ricordiamoci le parole che il Signore rivolse a Toma: «Perché
m'hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non han veduto, e hanno creduto» (Giovanni 20:29). Perché?
Perché una fede basata sulle parole di altri, unita alla rassicurazione spirituale proveniente dallo Spirito
Santo, può rivelarsi altrettanto e persino più possente di una fede basata sulla vista.
La fede in Cristo è fondamentale per accedere alla pienezza dell’Espiazione del Signore. Chi erediterà il
regno celeste sono «coloro che accetta[no] la testimonianza di Gesù e cred[ono] nel suo nome», stipulano le
Sue alleanze e osservano i Suoi comandamenti (DeA 76:51–52). In contrasto, le persone assegnate al regno
terrestre, gli uomini e le donne onorevoli della terra, non ricevono «la testimonianza di Gesù nella carne» e
sono «accecati dall'astuzia degli uomini» (DeA 76:74–75). A queste brave persone viene offerta una
testimonianza della verità, ma non hanno la fede sufficiente per accettarla. Come il Salvatore esercitò la Sua
fede nel Padre e sottomise la Propria volontà a quella di Dio per adempiere la Propria missione, così noi
adempiremo la nostra missione terrena tramite la fede in Loro.
L’AMORE È IL MOTIVO
La terza lezione dell’Espiazione è l’importanza dell’amore quale forza motivante. È più facile immaginare
una persona che sacrifichi la propria vita per salvarne un’altra, piuttosto che sacrificare la vita di un proprio
figlio. Eppure «Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque
crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3:16). L’amore di Dio per i Suoi figli fu la forza
motivante che plasmò l’Espiazione.
Parte del piano consistette nel fare tutto il possibile per estendere la misericordia e salvare i Suoi figli senza
distruggere il libero arbitrio. L’amore di Cristo per i Suoi fratelli e sorelle era tanto profondo quanto quello
del Padre. Quale Buon Pastore, Egli era disposto a dare la Propria vita per le pecore. Un mercenario
fuggirebbe dinanzi ai lupi, ma non il Buon Pastore, che conosce le pecore (vedere Giovanni 10:11–15). Il
Salvatore disse ai Suoi discepoli: «Nessuno ha amore più grande che quello di dar la sua vita per i suoi
amici» (Giovanni 15:13). Il puro amore di Cristo per i Suoi fratelli e sorelle Lo condusse nel Giardino e sul
Golgota, sebbene potesse chiamare legioni di angeli a proteggerLo (vedere Matteo 26:53).
Gesù non si aspetta nulla di meno dai Suoi discepoli. Dopo l’Ultima Cena, il Salvatore ribadì più
ampiamente la legge sull’amore. L’antico comandamento ricevuto da Mosè e ripetuto precedentemente a un
gruppo di non credenti da Gesù stesso era «Ama il tuo prossimo come te stesso» (Matteo 22:39). Dopo
l’Ultima Cena, Gesù innalzò il livello, dicendo: «Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli
altri. Com'io v'ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei
discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Giovanni 13:34–35).
Come discepoli, dobbiamo amare gli altri come Gesù ama noi, non come noi amiamo noi stessi. L’amore di
Dio per noi definisce il modo in cui dobbiamo amare. Dobbiamo diventare come Loro (vedere Matteo 5:48; 3
Nefi 27:27). Ci si aspetta che amiamo non soltanto coloro che ci amano, ma anche i nostri nemici, coloro che
ci usano e perseguitano i Santi (vedere Matteo 5:44–47).
92
Inoltre, un segno del nostro amore è osservare i comandamenti. Gesù disse: «Come il Padre mi ha amato,
così anch'io ho amato … Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; com'io ho osservato i
comandamenti del Padre mio, e dimoro nel suo amore» (Giovanni 15:9–10).
Verso la fine del Suo ministero, Cristo disse ai Dodici che, negli ultimi giorni, «perché l'iniquità sarà
moltiplicata, la carità dei più si raffredderà» (Matteo 24:12). Paolo descrisse le stesse condizioni nella sua
seconda lettera a Timoteo: «Or sappi questo, che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili; perché gli
uomini saranno egoisti … senz'affezione naturale» (2 Timoteo 3:1–3). D’altro canto, il Signore sta edificando
un popolo di Sion che si sforza di nutrire un amore cristiano reciproco e verso tutti gli uomini. L’Espiazione,
cambiando il cuore delle persone, rende tutto questo possibile. Cristo fu l’Esempio supremo dell’amore per
tutta la Sua vita, ma gli atti d’amore più straordinari avvennero nel Giardino di Getsemani e sulla croce.
L’OBBEDIENZA È IL PREZZO
La quarta lezione da apprendere dall’Espiazione del Signore è l’importanza di obbedire al piano evangelico.
Alcuni anni fa, venni a conoscenza del motto di una missione che descriveva i principi del Vangelo in
rapporto all’Espiazione. Il motto era questo:
La fede è il potere,
L’obbedienza è il prezzo,
L’amore è il motivo,
Lo Spirito è la chiave
E Cristo è la ragione.2
Fino ad ora, abbiamo parlato della fede quale potere di accedere alle benedizioni condizionali
dell’Espiazione e all’amore quale forza che motiva e dovrebbe guidare le nostre azioni, come dimostrato in
modo supremo dalla disponibilità del Padre a sacrificare Suo Figlio. Al fine di poter sviluppare la fede e
ricevere il potere che da essa deriva, il prezzo da pagare è l’obbedienza.
Sin dal principio, a Adamo furono insegnati i principi collegati del sacrificio e dell’obbedienza. Uscendo dal
Giardino di Eden, a Adamo ed Eva fu dato il comandamento di offrire «i primogeniti dei loro greggi come
offerta al Signore. E Adamo fu obbediente ai comandamenti del Signore» (Mosè 5:5). Dopo qualche tempo,
un angelo apparve a Adamo e gli chiese perché offrisse dei sacrifici. Adamo rispose dicendo di non saperlo,
senonché il Signore glielo aveva comandato. L’angelo, quindi, gli insegnò riguardo all’Espiazione e al
sacrificio compiuto «a similitudine del sacrificio dell'Unigenito del Padre» (Mosè 5:7).
Quando Mosè portò i figlioli d’Israele fuori dall’Egitto, sul monte, il Signore chiamò il profeta sulla cima
della montagna e gli comunicò una promessa per il popolo. Il Signore disse: «Or dunque, se ubbidite
davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la
terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Esodo 19:5–6).
A Israele furono promesse tre benedizioni condizionali, basate sulla loro obbedienza: sarebbero diventati un
popolo peculiare, avrebbero ricevuto la pienezza del sacerdozio e sarebbero divenuti una nazione santa
(vedere 1 Pietro 2:9). Sfortunatamente, essi non erano pronti a pagarne il prezzo e ricevettero in cambio una
legge inferiore. Passarono più di mille anni, prima che la pienezza del Vangelo e il sacerdozio superiore
fossero restaurati al popolo d’Israele.
Se c’è una lezione da apprendere dalla vita del Salvatore, è la sottomissione del Figlio al Padre, il Suo
desiderio di esserGli obbediente. In un’occasione, Egli disse: «Non fo nulla da me, ma dico queste cose
secondo che il Padre m'ha insegnato» (Giovanni 8:28). Nella grande preghiera d’intercessione, Cristo
affermò: «[Ho] compiuto l'opera che tu m'hai data a fare» (Giovanni 17:4). Nel Getsemani, Egli attestò: «Non
la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Luca 22:42). Il Salvatore fu interamente dedito a compiere la missione
assegnataGli dal Padre nel mondo pre-terreno.
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Raccogliamo ciò che seminiamo. Se vogliamo essere salvati ed esaltati, il prezzo è l’obbedienza. Se siamo
tiepidi nell’osservare i comandamenti, la ricompensa non sarà piena. Saremo giudicati secondo le nostre
«opere, secondo i desideri del [nostro] cuore» (DeA 137:9). L’Anziano Neal A. Maxwell ha scritto:
«La sottomissione della propria volontà è in realtà l’unica cosa personale che abbiamo da deporre
sull’altare di Dio. Le molte altre cose che noi ‘diamo’ … sono in realtà cose che Egli ci ha già dato o
donato o prestato. Tuttavia, quando voi ed io infine ci sottomettiamo, lasciando che la nostra volontà
individuale sia assorbita da quella di Dio, allora Gli diamo veramente qualcosa! È l’unica cosa nostra
che possiamo darGli veramente»3
UN POPOLO DI SION
La quinta ed ultima lezione riguarda la creazione di un popolo di Sion, un popolo retto in cui ogni cosa è in
comune (vedere Mosè 7:18). Sin dal principio, il Signore ha operato al fine di stabilire una comunità di Santi
la cui rettitudine fungesse da agente lievitante per il mondo. Tutto ebbe inizio con Adamo ed Eva, ai quali fu
insegnato il vangelo di Gesù Cristo e ai quali fu detto di insegnarlo ai propri figli, «che tutti gli uomini,
ovunque, devono pentirsi» (Mosè 6:57). Col tempo, l’apostasia prevalse e il Signore ricominciò con Noè e la
sua famiglia. La chiamata di Abrahamo e la formazione del casato d’Israele creò le fondamenta per
l’edificazione di un regno retto, ma anche i discendenti di Giacobbe caddero in apostasia. Dal mezzo del
pruno ardente, Mosè apprese che doveva ritornare in Egitto e reclamare Israele, come ulteriore sforzo volto a
piantare i semi della rettitudine.
La parabola dei cattivi vignaioli in Marco 12 descrive i numerosi tentativi fatti dal Signore per stabilire Sion.
Ripetutamente, il Signore della vigna manda i Suoi servitori a raccogliere i frutti. Alcuni servitori furono
feriti, altri uccisi. Alla fine, il proprietario della vigna mandò Suo Figlio, il Suo Diletto, dicendo: «Avranno
rispetto al mio figliuolo» (Marco 12:6). I vignaioli, invece, dissero: «Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e
l'eredità sarà nostra» (Marco 12:7). I vignaioli prendono il Figlio, Lo uccidono e impediscono nuovamente i
tentativi di edificare Sion. Il Signore termina la parabola affermando che il proprietario della vigna
distruggerà i vignaioli e darà la vigna ad altri.
Come dei periodi di apostasia si verificarono dopo la lapidazione e la morte dei profeti antichi, così una
grande apostasia seguì la morte del Figlio e degli Apostoli. Alla fine, degli altri servitori furono chiamati a
ristabilire la vigna: è la storia del Vangelo restaurato. L’istituzione della Chiesa e del regno di Dio sulla terra
negli ultimi giorni è l’ultimo tentativo. Questa volta, il regno non sarà mai più distrutto. Il profeta Daniele
vide i regni che seguirono quello di Nebucadnetsar fino agli ultimi giorni. Verso la fine, egli vide che «l'Iddio
del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto, e che non passerà sotto la dominazione d'un altro
popolo; quello spezzerà e annienterà tutti quei regni; ma esso sussisterà in perpetuo» (Daniele 2:44).
Anche Nefi vide il regno di Dio negli ultimi giorni. I Santi erano diffusi su tutta la faccia della terra e,
sebbene il loro numero fosse ridotto, Nefi vide il «potere dell'Agnello di Dio che scendeva sui santi della
chiesa dell'Agnello e sul popolo dell'alleanza del Signore … ed esso era armato di rettitudine e del potere di
Dio, in grande gloria» (1 Nefi 14:14).
Sin dagli inizi del XIX secolo, la Chiesa ha operato sotto il mandato di portare il Vangelo ad ogni nazione,
tribù, popolo e lingua. Durante il primo secolo, i nuovi convertiti erano incoraggiati a radunarsi a Sion per
edificare un luogo centrale forte. A partire dagli anni ’60 del XX secolo, poste tali fondamenta , i membri
sono incoraggiati a restare nel proprio paese e ivi edificare Sion. La popolazione della Chiesa, oggi, ammonta
a circa tredici milioni di persone, il che è ancora poco dinanzi ai più di sei miliardi di abitanti della terra.
Anche se la Chiesa crescesse fino a raggiungere cento o duecento milioni di membri nei prossimi decenni,
questo numero resterebbe relativamente piccolo.
Nonostante ciò, la retta influenza della Chiesa, derivante da membri che hanno fede nell’Espiazione del
Signore e sono obbedienti ai comandamenti del Signore, sta lasciando e lascerà un segno nel mondo.
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Questo sta avvenendo in diverse comunità in cui i Santi vivono con fedeltà e rettitudine e ricoprono ruoli di
dirigenza. Gli effetti di gruppi ben organizzati di Santi furono evidenti, quando l’Uragano Katrina colpì il
Sud degli Stati Uniti. Si è visto in Florida, Oklahoma, California, Brasile, Perù e Indonesia.
In termini finanziari, la Chiesa è un attore di minore importanza sul palcoscenico umanitario mondiale;
tuttavia, sta diventando uno dei contribuenti privati più grandi. In termini di forza lavoro, tuttavia, la Chiesa
è una grande potenza. Poche organizzazioni private sono in grado di gestire e mettere all’opera migliaia o
persino decine di migliaia di membri ben organizzati, in tempi di crisi. La Chiesa è in grado di organizzare
un aiuto così numeroso a motivo della fede dei suoi membri. Che le devastazioni siano causate da un
uragano, un terremoto, uno tsunami o da qualsiasi altra catastrofe, la Chiesa è in grado di organizzare una
forza lavoro straordinaria per prestare soccorso. Il mondo comincia a riconoscerci come un popolo armato
del potere di Dio in rettitudine. Ancora una volta, l’Espiazione deve essere al centro della nostra vita, se
vogliamo assistere il Signore nell’edificare un popolo di Sion. Ecco perché ci preoccupiamo del benessere
altrui.
CONCLUSIONE
L’Espiazione del Signore è unica. Ha una portata infinita ed eterna. L’Espiazione richiese la vita del Figlio di
Dio. La prima lezione fondamentale che dobbiamo apprendere dalla vita del Salvatore è l’importanza della
preghiera. Sebbene Cristo fosse il Geova dell’Antico Testamento, il Creatore dei cieli e della terra, l’Unigenito
del Padre nella carne, la Sua comunicazione con il Padre fu essenziale al fine di poter completare la Propria
missione. Similmente, pregare il Padre tramite il Figlio ci offre la guida di cui abbiamo bisogno per
completare la nostra missione terrena.
In secondo luogo, dobbiamo avere fede nel Padre e nel Figlio per poter accedere a tutte le benedizioni offerte
dal sacrificio del Signore. La fede ci permette di essere purificati e santificati. La fede giunge esercitando la
credenza nel Padre e nel Figlio che porta alla testimonianza del Santo Spirito. La fede del Salvatore in Suo
Padre è il Suo esempio per noi, dimostrato dalla Sua disponibilità a sottomettersi al piano e portarlo a
termine.
Una terza lezione che possiamo trarre dall’Espiazione riguarda l’importanza dell’amore. Nostro Padre è un
Dio molto personale che ama i Suoi figli e desidera comunicare con loro, se soltanto essi si sforzano di essere
aperti alle comunicazioni provenienti da Lui. Il Suo amore per i Suoi figli fu la forza motivante che Lo portò
a mandare Suo Figlio perché fosse crocifisso per i nostri peccati. Quando noi, Suoi figli, esercitiamo fede in
questo Dio gentile e amorevole, anche noi saremo motivati dall’amore nelle nostre relazioni interpersonali.
La quarta lezione è incentrata sull’obbedienza. Il Figlio sottomise la Propria volontà a quella del Padre. In
ultima analisi, noi dimostriamo il nostro amore e la nostra lealtà al Padre tramite la nostra sottomissione e
obbedienza ai comandamenti del Signore. Fortunatamente, l’Espiazione rende possibile correggere le nostre
deviazioni dal retto cammino tramite la fede e il pentimento.
Infine, fratelli e sorelle, abbiamo la responsabilità di aiutare il Signore a creare un popolo di Sion, affinché
faccia lievitare la terra intera. Possiamo noi contribuire a questo compito con una vita piena di fede,
preghiera, amore e obbedienza. In cambio, riceveremo la pienezza delle benedizioni offerte dal sacrificio del
Signore.
NOTE
1. Durante una recente conferenza di palo nel Palo di Provo Utah Grandview Est, il presidente Richard Williams ha
condiviso questa riflessione.
2. Cyril Figurerres, motto della Missione Giapponese di Fukuoka.
3. Neal A. Maxwell, La Stella, gennaio 1996, 27.
95
L’ESPIAZIONE E IL VIAGGIO DELLA VITA TERRENA
ANZIANO DAVID A. BEDNAR
Membro del Quorum dei Dodici Apostoli
o scopo principale del vangelo del Salvatore fu riassunto brevemente dal presidente David O. McKay
(1873–1970): “Lo scopo del Vangelo è … di rendere buoni gli uomini malvagi e di rendere migliori gli
uomini buoni, e di cambiare la natura umana”.1 Quindi, il viaggio della vita terrena consiste nel
progredire dal male al bene a ciò ch’è migliore, e di sperimentare il potente mutamento di cuore, così che la
nostra natura decaduta possa essere cambiata (vedere Mosia 5:2).
Il Libro di Mormon è il nostro manuale di istruzioni mentre percorriamo la via che porta dal male al bene a
ciò ch’è migliore, e mentre ci sforziamo di fare in modo che il nostro cuore cambi. Re Beniamino ci istruisce
sul viaggio della vita terrena e sul ruolo che ha l’Espiazione affinché noi possiamo portarlo a termine con
successo:
“Poiché l’uomo naturale è nemico di Dio, lo è stato fin dalla caduta di Adamo, e lo sarà per sempre e
in eterno, a meno che non ceda ai richiami del Santo Spirito, si spogli dell’uomo naturale e sia
santificato tramite l’espiazione di Cristo” (Mosia 3:19; corsivo dell’autore).
Voglio richiamare la vostra attenzione su due frasi specifiche. La prima è: “si spogli dell’uomo naturale”. Il
percorso che porta dal male al bene è il processo tramite il quale ci spogliamo dell’uomo o della donna
naturale che è in noi. Nella mortalità veniamo tutti tentati dai desideri della carne. Gli elementi stessi con cui
sono stati creati i nostri corpi sono per natura decaduti e continuamente soggetti ai richiami del peccato,
della corruzione e della morte. Tuttavia, possiamo accrescere la nostra abilità di superare i desideri della
carne e le tentazioni “tramite l’espiazione di Cristo”. Quando commettiamo degli errori, quando
trasgrediamo e pecchiamo, possiamo pentirci e divenire puri grazie al potere redentore dell’Espiazione di
Gesù Cristo.
La seconda frase è: “sia santificato”. Questa frase descrive la continuazione, cioè la seconda fase del viaggio
della vita, quella finalizzata a rendere “migliori gli uomini buoni” o, in altre parole, a santificarli. La seconda
parte del viaggio, il processo che porta dal bene a ciò ch’è migliore, è un argomento che non studiamo né
insegniamo molto spesso e che non comprendiamo abbastanza.
Ho il sospetto che molti membri della Chiesa conoscano meglio la natura redentrice e il potere purificatore
dell’Espiazione che non la sua capacità di rafforzare e sostenere. Una cosa è sapere che Gesù Cristo è venuto
sulla terra per morire per noi; questo concetto è essenziale ed è alla base della dottrina di Cristo.
Cionondimeno, dobbiamo anche renderci conto che il Signore desidera, tramite la Sua Espiazione e per il
potere dello Spirito Santo, vivere in noi, non solo per guidarci ma anche per investirci di potere.
La maggior parte di noi sa che, quando fa qualcosa di sbagliato, ha bisogno di aiuto per superare gli effetti
del peccato nella propria vita. Il Salvatore ha pagato il prezzo e ha fatto in modo che possiamo diventare
puri tramite il Suo potere di redenzione. La maggior parte di noi comprende in modo chiaro che l’Espiazione
è per i peccatori. Non sono sicuro, tuttavia, che sappiamo e comprendiamo che l’Espiazione è anche per i
santi, per le donne e gli uomini buoni che sono obbedienti, degni e coscienziosi, e che si sforzano di
migliorare e di servire con più fedeltà. Forse crediamo erroneamente di dover compiere da soli il viaggio che
porta dal bene a ciò ch’è migliore, stringendo i denti e usando la buona volontà e la disciplina, insieme alle
nostre abilità, che sono ovviamente limitate.
L
96
Il vangelo di Gesù Cristo non consiste semplicemente nell’evitare il male nella nostra vita; è anche e
soprattutto fare il bene e diventare buoni. E l’Espiazione ci dà l’aiuto di cui abbiamo bisogno per superare ed
evitare il male così come per fare il bene e diventare buoni. L’aiuto che proviene dal Salvatore è alla nostra
portata per tutto il viaggio della vita terrena: per passare dal male, al bene, a ciò ch’è migliore, e per
cambiare la nostra stessa natura.
Non sto dicendo che il potere di redenzione e il potere di sostegno dell’Espiazione sono due cose separate e
diverse. Sono piuttosto due dimensioni collegate e complementari dell’Espiazione, poiché entrambe devono
essere operative in ogni fase del viaggio della vita. È di importanza eterna che tutti noi riconosciamo
che entrambi questi elementi essenziali del viaggio della vita terrena, sia lo spogliarsi dall’uomo naturale che
il santificarsi, sia superare il male che diventare buoni, si ottengono grazie al potere dell’Espiazione. La forza
di volontà individuale, la determinazione e la motivazione personale, la pianificazione efficace e il fissare
obiettivi sono cose necessarie ma sostanzialmente insufficienti perché noi possiamo portare a termine il
viaggio della vita in modo trionfale. In verità, dobbiamo arrivare ad affidarci ai “meriti e [al]la misericordia e
[al]la grazia del Santo Messia” (2 Nefi 2:8).
La grazia e il potere di forza e sostegno dell’Espiazione
Nella Guida alle Scritture apprendiamo che la parola grazia viene spesso usata nelle Scritture per connotare
un potere che dà forza e sostegno:
“[Grazia è] una parola che ricorre con frequenza nel Nuovo Testamento, soprattutto negli scritti di
Paolo. Il significato principale del termine è aiuto o risorsa divina dato tramite la misericordia e
l’amore di Gesù Cristo.
È tramite la grazia del Signore Gesù, resa possibile dal Suo sacrificio espiatorio, che tutta l’umanità
risorgerà diventando immortale, ogni persona riceverà il suo corpo dalla tomba per non morire mai
più. Parimenti, è mediante la grazia del Signore che le persone, grazie alla fede nell’Espiazione di Gesù
Cristo e al pentimento dei loro peccati, ricevono la forza e l’assistenza per compiere le buone opere che
altrimenti non potrebbero portare avanti se abbandonate ai propri mezzi. Questa grazia è quel potere di forza
e sostegno che consente agli uomini e alle donne di raggiungere la vita eterna e l’esaltazione dopo
che avranno fatto del loro meglio”.2
La grazie è l’assistenza divina o aiuto celeste di cui ognuno di noi ha disperatamente bisogno per qualificarsi
per il regno celeste. Così, il potere dell’Espiazione ci sostiene e ci dà la forza di fare il bene e di essere buoni,
così come di servire oltre la misura dei nostri desideri individuali e delle nostre naturali abilità.
Nel mio studio personale delle Scritture, inserisco spesso l’espressione “potere di forza e sostegno” ogni
volta che incontro la parola grazia. Considerate, per esempio, questo versetto che tutti conosciamo bene:
“Sappiamo che è per grazia che siamo salvati, dopo aver fatto tutto ciò che possiamo fare” (2 Nefi 25:23).
Credo che possiamo imparare molto da questo aspetto fondamentale dell’Espiazione se scriviamo “potere di
forza e sostegno” ogni volta che nelle Scritture troviamo la parola grazia.
Esempi e implicazioni
Il viaggio della vita terrena consiste nel passare dal male, al bene, a ciò ch’è migliore, e nel fare in modo che
la nostra stessa natura cambi. Il Libro di Mormon è pieno di esempi di discepoli e profeti che, nel compiere
questo viaggio, conobbero e compresero questo potere di forza e sostegno dell’Espiazione e che furono da
esso trasformati. Nel giungere ad una migliore comprensione di questo potere sacro, la nostra prospettiva
evangelica viene notevolmente ampliata ed arricchita. Tale prospettiva ci cambia in modi incredibili.
97
Nefi è un esempio di persona che conosceva e comprendeva il potere di forza e sostegno che proviene dal
Salvatore e che si affidava ad esso. Ricorderete che i figli di Lehi erano tornati a Gerusalemme per arruolare
alla loro causa Ismaele e la sua famiglia. Laman e gli altri della compagnia che viaggiò con Nefi per tornare
da Gerusalemme al deserto si ribellarono e Nefi esortò i suoi fratelli ad avere fede nel Signore. Fu a questo
punto del viaggio che i fratelli legarono Nefi con delle corde e pianificarono la sua distruzione. Vi prego di
fare attenzione alla preghiera di Nefi:
“O Signore, secondo la mia fede che è in te, liberami dalle mani dei miei fratelli; sì, anzi, dammi la
forza di strappare questi legami con cui sono legato” (1 Nefi 7:17; corsivo dell’autore).
Sapete per cosa avrei pregato io, se fossi stato legato dai miei fratelli? Avrei detto: “Ti prego, tirami fuori da
questo pasticcio SUBITO!” Trovo particolarmente interessante il fatto che Nefi non pregò perché le
circostanze in cui si trovava venissero cambiate. Piuttosto, pregò per avere la forza di cambiare tali
circostanze e credo che pregò in questa maniera proprio perché conosceva, comprendeva e aveva
sperimentato il potere di forza e sostegno che proviene dall’Espiazione.
Non credo che le corde con cui era legato Nefi caddero dalle sue mani e dai suoi polsi per magia. Sospetto,
invece, che egli venne benedetto con perseveranza e forza personale oltre le sue naturali inclinazioni, così
che poi, “nella forza del Signore” (Mosia 9:17), si mise all’opera torcendo e tirando le corde e ricevendo
letteralmente, infine, la capacità di romperle.
I risvolti di questo episodio per ognuno di noi sono lampanti. Quando sia io che voi giungeremo a
comprendere e ad utilizzare nella nostra vita personale il potere di forza e sostegno che proviene
dall’Espiazione, pregheremo e ricercheremo la forza per cambiare le circostanze in cui ci troviamo invece di
pregare perché queste vengano cambiate. Diventeremo persone che agiscono invece di subire (vedere 2 Nefi
2:14).
Prendete in considerazione, nel Libro di Mormon, l’esempio di Alma e della sua gente che vengono
perseguitati da Amulon. La voce del Signore giunse a queste persone rette nella loro afflizione e suggerì:
“Ed allevierò pure i fardelli che sono posti sulle vostre spalle, cosicché non possiate sentirli più sulla
schiena. …
Ed ora avvenne che i fardelli che erano stati imposti ad Alma ed ai suoi fratelli furono resi leggeri;
sì, il Signore li fortificò cosicché potessero portare agevolmente i loro fardelli, ed essi si sottoposero
allegramente e con pazienza a tutta la volontà del Signore” (Mosia 24:14–15; corsivo dell’autore).
Cos’è che fu cambiato in questo episodio? Non furono i fardelli a cambiare; alle persone non furono
immediatamente tolte le sfide e le difficoltà legate alla persecuzione. Tuttavia, Alma e i suoi seguaci vennero
rafforzati e la loro accresciuta capacità di sopportazione e la loro forza resero più leggeri i fardelli che
portavano. Queste brave persone furono investite di potere grazie all’Espiazione per agire in modo attivo e
influenzare le circostanze in cui si trovavano. E “nella forza del Signore” Alma e la sua gente furono condotti
in un luogo sicuro nella terra di Zarahemla.
Forse vi starete legittimamente chiedendo: “Cosa rende l’episodio di Alma e della sua gente un esempio del
potere di forza e sostegno che proviene dall’Espiazione?” Possiamo trovare la risposta se
paragoniamo Mosia 3:19 con Mosia 24:15.
“A meno che non … si spogli dell’uomo naturale e sia santificato tramite l’espiazione di Cristo, il
Signore, e diventi come un fanciullo, sottomesso, mite, umile, paziente, pieno d’amore, disposto a sottomettersi
a tutte le cose che il Signore ritiene conveniente infliggergli, proprio come un fanciullo si sottomette a
suo padre” (Mosia 3:19; corsivo dell’autore).
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Se, nel viaggio della vita terrena, stiamo progredendo da male al bene a ciò ch’è migliore, se ci stiamo
spogliando dell’uomo o della donna naturale che è in ognuno di noi, e se ci stiamo sforzando di diventare
santi e di fare in modo che la nostra stessa natura cambi, allora le caratteristiche descritte minuziosamente in
questo versetto dovrebbero descrivere il tipo di persona che sia io che voi stiamo diventando. Diventeremo
più come dei fanciulli, più sottomessi, più pazienti e più disposti a sottometterci.
Ora paragonate le caratteristiche elencate in Mosia 3:19 con quelle utilizzate per descrivere Alma e la sua
gente: “Ed essi si sottoposero allegramente e con pazienza a tutta la volontà del Signore” (Mosia 24:15; corsivo
dell’autore).
Trovo sorprendenti le analogie esistenti tra gli attributi descritti in questi versetti e penso che questo indichi
chiaramente che le brave persone che seguivano Alma stavano diventando migliori grazie al potere di forza
e sostegno che proviene dall’Espiazione di Cristo, il Signore.
Ricorderete la storia di Alma e Amulec contenuta in Alma 14. In questo episodio molti santi fedeli erano stati
bruciati a morte e questi due servitori del Signore erano stati imprigionati e percossi. Esaminate la supplica
offerta da Alma mentre pregava in prigione: “O Signore, dacci la forza, secondo la nostra fede che è in Cristo,
fino a liberarci” (Alma 14:26; corsivo dell’autore).
Qui, ancora una volta, vediamo come la comprensione e la fiducia che ha Alma nel potere di forza e sostegno
dell’Espiazione si rifletta nella sua richiesta. E notate il risultato di questa preghiera:
“Ed essi [Alma e Amulec] spezzarono le corde con cui erano legati; e quando il popolo vide ciò,
cominciò a fuggire, poiché il timore della distruzione era sceso su di loro. …
Ed Alma ed Amulec uscirono dalla prigione, e non erano feriti; poiché il Signore aveva accordato loro il
potere, secondo la loro fede che era in Cristo” (Alma 14:26, 28; corsivo dell’autore).
Ancora una volta questo potere di forza e sostegno si manifesta nel momento in cui delle persone rette
lottano contro il male e si sforzano di divenire anche migliori e di servire in modo più efficace “nella forza
del Signore”.
Anche un altro esempio tratto dal Libro di Mormon è istruttivo. In Alma 31, Alma sta guidando una
missione per riportare alla Chiesa gli Zoramiti apostati che, dopo aver costruito il Rameumpton, offrono
preghiere prestabilite e piene d’orgoglio.
Notate la richiesta di forza nella preghiera personale di Alma: “O Signore, voglia tu accordarmi di aver forza,
affinché io possa sopportare con pazienza queste afflizioni che cadranno su di me a causa dell’iniquità di
questo popolo” (Alma 31:31; corsivo dell’autore).
Alma prega anche affinché i suoi compagni missionari possano ricevere una simile benedizione: “Voglia tu
accordare loro di avere forza, affinché possano sopportare le afflizioni che cadranno su di loro a causa delle
iniquità di questo popolo” (Alma 31:33; corsivo dell’autore).
Alma non pregò perché le sue afflizioni fossero eliminate. Sapeva di essere un rappresentante del Signore e
pregò per avere il potere di agire e influenzare la sua situazione.
Il punto cruciale di questo esempio si trova nel versetto finale di Alma 31: “[Il Signore] diede loro la forza,
affinché non soffrissero alcuna sorta di afflizioni, salvo quelle che sarebbero state sopraffatte dalla gioia di
Cristo. Ora, ciò fu secondo la preghiera di Alma, e ciò perché egli aveva pregato con fede” (versetto 38;
corsivo dell’autore).
Le afflizioni non furono eliminate, ma, grazie al potere di forza e sostegno dell’Espiazione, Alma e i suoi
compagni vennero rafforzati e ricevettero la benedizione di non soffrire “alcuna sorta di afflizioni, salvo
quelle che sarebbero state sopraffatte dalla gioia di Cristo”. Quale meravigliosa benedizione e che lezione
per ognuno di noi.
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Non troviamo solo nelle Scritture degli esempi di questo potere di forza e sostegno. Daniel W. Jones nacque
nel Missouri nel 1830 e si unì alla Chiesa in California nel 1851. Nel 1856 partecipò al salvataggio delle
compagnie di carretti a mano che si erano arenate nel Wyoming a causa di alcune intense bufere di neve.
Dopo che il gruppo giunto in soccorso ebbe trovato i santi in difficoltà, dopo che ebbe offerto il conforto
immediato possibile, e dopo che ebbe organizzato il trasporto a Salt Lake City dei malati e di coloro che
erano indeboliti, Daniel e altri giovani si offrirono volontariamente di rimanere a tutelare i possedimenti
della compagnia. Il cibo e le provviste lasciati a Daniel e ai suoi colleghi erano scarsi e si esaurirono
rapidamente. La seguente citazione tratta dal diario personale di Daniel Jones descrive gli eventi che
seguirono.
“Presto le bestie divennero così sparute che non riuscivamo a ucciderne alcuna. Mangiammo tutta la
carne magra; a mangiarla veniva persino più fame. Poi finì e non rimasero altro che le pelli.
Provammo a mangiarle. Molte ne cuocemmo e le mangiammo senza condimento, cosa che fece
rivoltare lo stomaco a tutta la compagnia. …
La situazione sembrava disperata, dal momento che non rimaneva nulla delle misere pelli crude
provenienti dal bestiame affamato. Chiedemmo al Signore di guidarci e di dirci cosa fare. I fratelli non
mormorarono, ma sentirono di dover confidare in Dio … Infine fui ispirato e compresi come
preparare quella roba, perciò diedi dei consigli ai miei compagni: dissi loro come cucinarla e come
bruciare e sfregare via i peli. Questo di solito annullava e purificava il cattivo sapore dato dalla
bollitura. Dopo aver sfregato via i peli, bisognava bollirla per un’ora in una grande quantità d’acqua,
che poi andava buttata via perché conteneva tutta la colla che era venuta fuori. Poi bisognava lavare e
sfregare la pelle a fondo, lavarla in acqua fredda e farla bollire fino a fare della gelatina. Dopo averla
fatta raffreddare, si poteva mangiare con una spolverata di zucchero. Era un lavoro estenuante, ma
non avevamo molto altro da fare, ed era meglio che morire di fame.
Chiedemmo al Signore di benedire il nostro stomaco affinché si adattasse a questo cibo … Ora, quando
mangiavamo, tutti sembravano apprezzare il banchetto. Rimanemmo tre giorni senza mangiare prima
di fare questo tentativo. Godemmo di questo lauto banchetto per circa sei settimane”.3
In circostanze come queste forse avrei pregato per ricevere qualcos’altro da mangiare: “Padre Celeste, ti
prego, mandami una quaglia o un bisonte”. Probabilmente non mi sarebbe neanche venuto in mente di
pregare affinché il mio stomaco potesse essere rinforzato ed adattato al cibo disponibile. Che cosa conosceva
Daniel W. Jones? Conosceva il potere di forza e sostegno dell’Espiazione di Gesù Cristo. Non pregò affinché
le circostanze in cui si trovava venissero mutate. Pregò di ricevere la forza per poter affrontare queste
circostanze. Proprio come Alma e la sua gente, Amulec e Nefi ricevettero forza, Daniel W. Jones ebbe
l’intuizione spirituale di sapere cosa chiedere nella sua preghiera.
Il potere di sostegno dell’Espiazione di Cristo ci dà la forza di fare cose che non potremmo mai fare da soli.
A volte mi chiedo se in questi ultimi giorni, in questo nostro mondo fatto di agi come forni a microonde,
cellulari, auto con aria condizionata e case confortevoli, impariamo mai a riconoscere la nostra dipendenza
quotidiana dal potere di forza e sostegno che proviene dall’Espiazione.
La sorella Bednar è una donna incredibilmente fedele e piena di saggezza e conoscenza, e dal suo esempio
silenzioso ho imparato delle importanti lezioni sul potere di forza e sostegno. Nel corso di ognuna delle sue
tre gravidanze l’ho vista perseverare, affrontando nausee mattutine forti e continue; stava veramente male
ogni giorno per otto mesi. Insieme pregavamo affinché venisse benedetta, ma quella prova non veniva mai
eliminata. Ricevette invece la capacità di fare fisicamente ciò che, con le sue sole forze, non riusciva fare.
Negli anni ho anche visto come ha ricevuto la forza di sopportare lo scherno e il disprezzo che vengono dalla
società secolare quando una donna della Chiesa dà ascolto ai consigli dei profeti e fa della famiglia e della
cura dei figli la sua massima priorità. Ringrazio Susan e le rendo omaggio per avermi aiutato ad apprendere
delle lezioni di tale inestimabile valore.
100
Il Salvatore sa e comprende
Nel capitolo 7 di Alma apprendiamo in che modo e perché il Salvatore è in grado di fornire questo potere di
forza e sostegno:
“Ed egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e ciò affinché si possa adempiere
la parola che dice: egli prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo.
E prenderà su di sé la morte, per poter sciogliere i legami della morte che legano il suo popolo; e
prenderà su di sé le loro infermità, affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia,
secondo la carne, affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle
loro infermità” (Alma 7:11–12; corsivo dell’autore).
Il Salvatore non ha sofferto solo per le nostre iniquità, ma anche per le diseguaglianze, l’ingiustizia, il dolore,
l’angoscia e le ansie emotive che ci assediano così di frequente. Non c’è dolore fisico, né angoscia dell’anima,
né sofferenza dello spirito, né infermità né debolezza che io o voi possiamo mai provare durante questo
nostro viaggio della vita terrena che il Salvatore non abbia provato per primo. Nei momenti di debolezza
possiamo gridare: “Nessuno capisce, nessuno lo sa”. Forse nessun essere umano lo sa, ma il Figlio di Dio lo
sa perfettamente e comprende, perché lo ha provato portando i nostri fardelli molto tempo prima di noi. E
dal momento che ha pagato il prezzo supremo e ha portato quei fardelli, Egli prova un’empatia perfetta e
può tenderci il Suo braccio misericordioso in tantissime fasi della nostra vita. Egli può tenderci la mani,
toccarci, soccorrerci (correndo letteralmente da noi), e rafforzarci più di quanto possiamo mai fare da soli e
aiutarci a fare ciò che non riusciremmo mai fare affidandoci solo al nostro potere.
“Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo.
Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch’io son mansueto ed umile di cuore; e voi
troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Matteo
11:28–30).
Proclamo la mia testimonianza e il mio apprezzamento per il sacrificio infinito ed eterno del Signore Gesù
Cristo. So che il Salvatore vive. Ho provato sia il Suo potere di redenzione che il Suo potere di forza e
sostegno, e attesto che essi sono reali e alla portata di ognuno di noi. Invero, “nella forza del Signore”
possiamo compiere e superare ogni cosa se ci spingiamo innanzi nel nostro viaggio della vita terrena.
NOTE
1. Vedere Franklin D. Richards, in Conference Report, ottobre 1965, 136–37; vedere anche David O. McKay, in
Conference Report, aprile 1054, 26.
2. Guida alle Scritture e Bible Dictionary, «Grazia»; corsivo dell’autore.
3. Daniel W. Jones, Forty Years among the Indians (n.d.), 57–58.
101
La domenica arriverà
ANZIANO JOSEPH B. WIRTHLIN
Membro del Quorum dei Dodici Apostoli
ono grato di stare qui con voi oggi e di trarre forza dalle vostre testimonianze. Sono grato, più di
quanto le parole possano esprimere, per le vostre dolci parole di sostegno, per la manifestazione del
vostro amore e per le vostre preghiere.
Oggi desidero condividere alcuni ricordi personali.
Io nacqui da buoni genitori. Da mio padre, Joseph L. Wirthlin, imparai i principi del duro lavoro e della
compassione. Egli era il vescovo del nostro rione durante la Grande Depressione. Egli provava una sincera
preoccupazione verso coloro che erano in difficoltà. Egli tese la mano a chi era nel bisogno non solo perché
ciò era suo dovere, ma perché era il suo desiderio sincero.
Egli si preoccupò instancabilmente e aiutò molti che soffrivano. Nella mia mente lui rappresentava il
vescovo ideale.
Tutti coloro che conoscevano mio padre sanno quanto egli fosse attivo. Una volta qualcuno mi disse che egli
poteva compiere il lavoro di tre uomini. Egli rallentava di rado il passo. Nel 1938, egli stava gestendo
un’attività commerciale di successo quando ricevette una telefonata da parte del presidente della Chiesa,
Heber J. Grant.
Quel giorno il presidente Grant gli disse che stavano riorganizzando il Vescovato presiedente e volevano che
mio padre servisse quale consigliere di LeGrand Richards. Ciò sorprese molto mio padre il quale chiese se
egli poteva prima pregare.
Il presidente Grant disse: «Fratello Wirthlin, mancano soltanto trenta minuti prima della prossima sessione
della conferenza e vorrei potermi riposare. Che cosa ne dice?»
Naturalmente mio padre rispose di sì. Egli servì per 23 anni, 9 dei quali come Vescovo Presiedente della
Chiesa.
Mio padre aveva 69 anni quando morì. Io mi trovavo con lui quando all’improvviso ebbe un collasso. Poco
dopo se ne andò.
Penso spesso a mio padre. Mi manca.
Mia madre, Madeline Bitner, ebbe grande influenza nella mia vita. Quando era giovane, ella era una brava
atleta e una velocista di successo. Era gentile e affettuosa, ma il suo passo ci esauriva. Spesso diceva: «Svelti».
E quando ciò accadeva dovevamo aumentare la velocità. Forse questa fu una delle ragioni per cui avevo un
buono scatto quando giocavo a football.
Mia madre aveva grandi obiettivi per i suoi figli e si aspettava il meglio da loro. Posso ancora ricordarla
mentre diceva: «Non essere un mediocre. Devi fare di meglio». Mediocre era la sua parola per qualcuno
sfaticato e che non viveva all’altezza delle sue capacità.
Mia madre morì all’età di 87 anni, penso a lei spesso e mi manca più di quanto possa esprimere.
S
102
Mia sorella minore Judith era un’autrice, compositrice e educatrice. Amava molte cose tra le quali il Vangelo,
la musica e l’archeologia. Il compleanno di Judith cadeva qualche giorno prima del mio. Ogni anno le
donavo una banconota da un dollaro nuova quale regalo di compleanno. Tre giorni dopo, quale suo regalo
per il mio compleanno, lei mi dava cinquanta centesimi.
Judith è deceduta alcuni anni fa. Mi manca e penso a lei spesso.
E questo mi conduce a mia moglie, Elisa. Ricordo la prima volta che la incontrai. Feci un favore a un amico
andando a casa sua a prendere sua sorella, Frances. Elisa aprì la porta e, almeno per me, fu amore a prima
vista.
Penso che anche lei provò qualcosa perché le prime parole che mi ricordo sentirle dire furono: «Sapevo che
eri tu».
Elisa si era diplomata in lingua inglese.
Ancora oggi considero quelle quattro parole essere tra le più meravigliose del linguaggio umano.
Le piaceva giocare a tennis e aveva un servizio fulminante. Provai a giocare a tennis con lei ma alla fine
mollai dopo essermi reso conto che non potevo colpire ciò che non potevo vedere.
Lei era la mia forza e la mia gioia. Grazie a lei, io sono un uomo, un marito e un padre migliore. Ci siamo
sposati, abbiamo avuto otto figli e abbiamo camminato insieme per 65 anni.
Devo a mia moglie più di quanto io possa esprimere. Non so se vi sia mai stato un matrimonio perfetto, ma
dal mio punto di vista, il nostro lo era.
Quando il presidente Hinckley parlò al funerale di Elisa, egli disse che perdere qualcuno che si ama è
un’esperienza devastante e consumante: logora l’anima.
Aveva ragione. Proprio come Elisa fu la mia più grande gioia, ora la sua scomparsa è il mio più grande
dolore.
Nelle ore in cui ero da solo ho passato molto tempo pensando alle cose dell’eternità. Ho contemplato le
confortanti dottrine della vita eterna.
Durante la mia vita ho udito molti sermoni riguardo alla resurrezione. Come voi, anch’io posso recitare ciò
che accadde quella prima domenica di pasqua. Ho sottolineato nelle mie Scritture i passi riguardanti la
resurrezione ed ho a portata di mano molte dichiarazioni fondamentali dei profeti degli ultimi giorni a tale
riguardo.
Sappiamo che la resurrezione è la riunione dello spirito e del corpo nella sua forma perfetta. 1
Il presidente Joseph F. Smith disse «che quelli da cui dobbiamo separarci qui, li incontreremo ancora e li
vedremo come sono. Ritroveremo lo stesso identico essere che abbiamo conosciuto qui nella carne». 2
Il presidente Spencer W. Kimball ha ampliato il concetto dicendo: «Sono sicuro che se potremmo
immaginarci nella nostra condizione fisica, mentale e spirituale migliore, quella sarà la condizione nella
quale ci ritroveremo». 3
Quando saremo risorti, «questo corpo mortale è risuscitato in un corpo immortale … non poss[iamo] più
morire». 4
Riuscite ad immaginarlo? La vita nei nostri anni migliori? Mai malati, mai più sofferenze, mai più afflitti dai
dolori che così spesso ci colpiscono nella mortalità?
La resurrezione si colloca al centro del nostro credo quali Cristiani. Senza di essa, la nostra fede non ha
significato. L’apostolo Paolo disse: «Se Cristo non è risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione, e vana
pure è la [n]ostra fede». 5
103
Nella storia del mondo troviamo molte anime grandi e sagge, molte delle quali proclamavano di possedere
una conoscenza speciale di Dio. Ma quando il Salvatore risuscitò dalla tomba, fece qualcosa che nessuno
aveva mai fatto prima. Egli fece ciò che nessun altro poteva fare. Egli ruppe i legami della morte, non solo
per Lui, ma per tutti coloro che sono vissuti, i giusti e i malvagi. 6
Quando Cristo risuscitò dalla tomba, divenendo la primizia della risurrezione, rese questo dono disponibile
a tutti. Tramite questo sublime atto, Egli ha addolcito il dolore devastante e consumante che logora le anime
di coloro che perdono una persona amata.
Penso a quanto cupo debba essere stato quel venerdì in cui Cristo fu innalzato sulla croce. In quel terribile
venerdì la terra tremò e si fece scuro. Terribili tempeste si abbatterono sulla terra.
Quegli uomini malvagi che avevano cercato di toglierGli la vita gioirono. Ora che Cristo non era più in vita
di certo i Suoi discepoli si sarebbero dispersi. Quel giorno essi furono trionfanti.
Quel venerdì, il velo del tempio si squarciò in due.
Maria Maddalena e Maria, la madre di Gesù, erano entrambe sopraffatte dal dolore e dalla disperazione.
L’Uomo eccelso che esse amavano ed onoravano pendeva senza vita dalla croce. Quel venerdì gli Apostoli
erano devastati. Gesù, il Salvatore, l’uomo che aveva camminato sull’acqua e aveva resuscitato i morti, era
alla mercé di uomini malvagi. Essi guardavano inermi mentre Egli veniva sopraffatto dai Suoi nemici.
Quel venerdì, il Salvatore dell’umanità venne umiliato e afflitto, maltrattato e offeso.
Fu un venerdì pieno di dolore devastante e consumante che logorò le anime di coloro che amavano e
onoravano il Figlio di Dio. Penso che di tutti i giorni dall’inizio della storia di questo mondo, quel venerdì fu
il più cupo. Ma la devastazione di quel triste giorno non durò a lungo, perché la domenica, il Signore risorto
slegò i legami della morte. Egli ascese dalla tomba ed apparve in glorioso trionfo quale Salvatore di tutta
l’umanità.
E, in un istante, gli occhi che si erano riempiti di incessanti lacrime si asciugarono. Le labbra che avevano
sussurrato preghiere di dolore e sofferenza riempirono l’aria con lodi magnifiche, poiché Gesù Cristo, il
Figlio dell’Iddio vivente, stette dinanzi a loro quale primizia della risurrezione, come prova che la morte è
soltanto l’inizio di una nuova e meravigliosa esistenza.
Ciascuno di noi avrà i propri venerdì: quei giorni nei quali sembra che l’universo stesso venga scosso e che i
cocci del nostro mondo giacciano sparsi di fianco a noi. Noi tutti proveremo quei periodi nei quali sembra
che non potremo più rimettere insieme i pezzi. Tutti noi avremo i nostri venerdì.
Ma io porto testimonianza nel nome di Colui che vinse la morte: la domenica arriverà. Nelle tenebre del
nostro dolore, la domenica arriverà. Nonostante la nostra disperazione, nonostante il nostro dolore, la
domenica arriverà. In questa vita o nella prossima.
Vi porto testimonianza che la risurrezione non è una favola. Abbiamo le personali testimonianze di coloro
che Lo videro. Migliaia nel vecchio e nel nuovo mondo testimoniarono del Salvatore risorto. Essi toccarono
le ferite nelle Sue mani, nei Suoi piedi e nel Suo costato. Essi piansero lacrime di infinita gioia mentre Lo
abbracciavano.
Dopo la Risurrezione i discepoli furono rinvigoriti. Essi viaggiarono per tutto il mondo proclamando la
gloriosa novella del Vangelo. Se avessero voluto, potevano sparire e tornare alla vita e al lavoro precedenti.
Col tempo, la loro amicizia con Lui sarebbe stata dimenticata.
Avrebbero potuto negare la divinità di Cristo. Ma non lo fecero. Malgrado il pericolo, il ridicolo e le minacce
di morte, entrarono nei palazzi, nei templi e nelle sinagoghe proclamando coraggiosamente Gesù Cristo, il
risorto Figlio del Dio vivente. Molti di loro, come ultima testimonianza, offrirono la loro preziosa vita.
Morirono da martiri, con la testimonianza del Cristo risorto sulle labbra.
104
La Risurrezione trasformò la vita di coloro che la testimoniarono. Non dovrebbe trasformare anche la nostra
vita? Noi tutti ci leveremo dalla tomba. Ed in quel giorno, mio padre abbraccerà mia madre. In quel giorno
abbraccerò ancora una volta la mia amata Elisa.
Grazie alla vita e al sacrificio eterno del Salvatore del mondo, noi saremo riuniti a coloro che abbiamo amato.
In quel giorno, conosceremo l’amore del nostro Padre celeste. In quel giorno, gioiremo del fatto che il Messia
sopportò tutto ciò per permetterci di vivere per sempre.
Grazie alle sacre ordinanze che riceviamo nei sacri templi, la nostra dipartita da questa breve esperienza
terrena non può separare a lungo le relazioni che sono state legate con corde eterne.
È mia personale testimonianza che la morte non è la fine dell’esistenza. «Se abbiamo sperato in Cristo per
questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini». 7Grazie al Cristo risorto «la morte è stata
sommersa nella vittoria». 8
Grazie al nostro amato Redentore possiamo alzare le nostre voci, anche nel mezzo dei nostri venerdì più
cupi, e proclamare: «O morte, dov’è il tuo dardo? O morte, dov’è la tua vittoria?» 9
Quando il presidente Hinckley parlò della terribile solitudine che giunge a coloro che perdono coloro che
amano, promise che nella quiete della notte una voce salda e nuova suggerisce pace alla nostra anima:
«Tutto è ben».
Sono grato oltre misura per le sublimi vere dottrine del Vangelo e per il dono dello Spirito Santo che ha
sussurrato alla mia anima le parole confortanti e piene di pace promesse dal nostro caro profeta. Dalle
profondità del mio dolore gioisco nella gloria del Vangelo. Gioisco che il profeta Joseph Smith fu scelto per
restaurare il Vangelo in terra in quest’ultima dispensazione. Gioisco del fatto di avere un profeta, il
presidente Gordon B. Hinckley, il quale dirige la chiesa del Signore nei nostri giorni.
Possiamo noi tutti capire e vivere con gratitudine per il dono senza prezzo che ci giunge quali figli e figlie di
un amorevole Padre celeste e per la promessa di quel giorno splendente quando ci ergeremo trionfanti sopra
la tomba.
Prego che possiamo sempre sapere che non importa quanto cupi saranno i nostri venerdì, la domenica
arriverà. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Vedere Alma 11:43.
2. Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph F. Smith, 91.
3. The Teachings of Spencer W. Kimball, Edward L. Kimball (1982), 45.
4. Alma 11:45.
5. 1 Corinzi 15:14.
6. Vedere Giovanni 5:28–29.
7. 1 Corinzi 15:19.
8. 1 Corinzi 15:54.
9. 1 Corinzi 15:55.
105
NESSUNO ERA CON LUI
ANZIANO JEFFREY R. HOLLAND
Membro del Quorum dei Dodici Apostoli
razie, sorella Thompson, e grazie alle donne eccezionali di questa Chiesa. Fratelli e sorelle, il mio
messaggio pasquale oggi è rivolto a tutti, ma è diretto in particolar modo a coloro che sono soli o
che si sentono soli o, peggio, abbandonati. Tra costoro può esserci chi desidera sposarsi, chi ha perso
un coniuge o chi ha perso dei figli, o chi non ha mai avuto la benedizione di averli. Ci sentiamo vicini alle
mogli abbandonate dai mariti, ai mariti le cui mogli se ne sono andate e ai figli privati di uno o entrambi i
genitori. Questo gruppo può racchiudere, nella sua ampia cerchia, un soldato lontano da casa, un
missionario nelle prime settimane di nostalgia di casa, un padre senza lavoro che teme che la sua paura sia
visibile ai familiari. In breve, possiamo esserci dentro tutti in vari momenti della nostra vita.
A costoro parlerò del viaggio più solitario che sia mai stato fatto e delle benedizioni infinite che ha portato a
tutta l’umanità. Parlo del compito solitario del Salvatore di portare da solo il fardello della nostra salvezza.
Egli disse giustamente:
«Io sono stato solo a calcar l’uva nello strettoio, e nessun uomo fra i popoli è stato meco… Io
guardai, ma non v’era chi m’aiutasse; mi volsi attorno stupito, ma nessuno mi sosteneva». 1
Come ha fatto notare prima il presidente Uchtdorf, sappiamo dalle Scritture che l’arrivo di Gesù a
Gerusalemme quale Messia, la domenica precedente alla Pasqua, proprio com’è questa mattina, fu un
grande momento pubblico. Ma il desiderio di continuare a camminare insieme a Lui si sarebbe presto
attenuato.
Poco dopo Gesù fu incriminato davanti ai capi israeliti di quel tempo: prima Anna, l’ex sommo sacerdote,
poi Caiàfa, il sommo sacerdote in carica. Nella fretta di giudicarLo, quegli uomini e i loro concili
proclamarono il verdetto in modo affrettato e adirato. Dissero: «Che bisogno abbiamo più di testimoni?» «È
[degno] di morte». 2
Dopo fu portato dinanzi ai governatori Gentili del territorio. Erode Antipa, il tetrarca della Galilea, Lo
interrogò una volta e Ponzio Pilato, il governatore romano in Giudea, due volte, la seconda dichiarando alla
folla: «Dopo averlo in presenza vostra esaminato, non ho trovato in lui alcuna delle colpe di cui
l’accusate». 3 Poi, con un gesto tanto ingiustificato quanto illogico, Pilato «dopo aver fatto flagellare Gesù, lo
consegnò perché fosse crocifisso». 4 Le mani di Pilato, appena lavate, non potevano essere più macchiate o
impure.
Tale rigetto ecclesiastico e politico divenne più personale quando i cittadini per la strada si rivoltarono
anch’essi contro Gesù. Una delle ironie della storia è che seduto con Gesù in prigione c’era
un vero bestemmiatore, assassino e rivoluzionario noto come Barabba, nome che in aramaico significa «figlio
del padre». 5
Poiché poteva rilasciare un prigioniero, secondo la tradizione pasquale, Pilato chiese al popolo: «Qual de’
due volete che vi liberi? E quelli dissero: Barabba». 6 Così un «figlio di un padre», senza Dio, fu liberato,
mentre il Figlio divino del Padre celeste fu crocifisso.
G
106
Quello fu anche un periodo di prova per coloro che conoscevano Gesù personalmente. Il più difficile per noi
da capire fu Giuda Iscariota. Sappiamo che il piano divino richiedeva la crocifissione di Gesù, ma è difficile
pensare che uno dei Suoi testimoni speciali, che era stato seduto ai Suoi piedi, L’aveva udito pregare,
L’aveva visto guarire e che aveva sentito il Suo tocco, potesse tradire Lui e tutto ciò che era per trenta monete
d’argento. Mai nella storia del mondo, così poco denaro ha comprato una tale infamia. Non siamo noi a
giudicare il destino di Giuda, ma Gesù disse del Suo traditore: «Meglio sarebbe per cotest’uomo, se non fosse
mai nato». 7
Ovviamente anche altri credenti ebbero dei momenti difficili. Dopo l’Ultima cena, Gesù lasciò Pietro,
Giacomo e Giovanni ad attenderLo mentre Lui entrava da solo nel Giardino del Getsemani. Gettatosi con la
faccia a terra per pregare, «oppress[o] da tristezza mortale» 8 , come dicono le Scritture, il Suo sudore divenne
come grosse gocce di sangue, 9 mentre implorava il Padre che allontanasse da Lui quel calice brutale e
schiacciante. Ma ovviamente, esso non poté passare oltre. Di ritorno da questa preghiera angosciosa, Egli
trovò i Suoi tre capi degli apostoli addormentati, cosa che Gli fece domandare: «Non siete stati capaci di
vegliar meco un’ora sola?» 10 Lo stesso si ripeté altre due volte finché, al Suo terzo ritorno, Egli disse con
compassione: «Dormite pure oramai, e riposatevi!», 11 anche se per Lui non vi sarebbe stato alcun riposo.
Poi, dopo l’arresto di Gesù e il Suo processo, Pietro, accusato di conoscere Gesù e di essere uno dei Suoi
amici, negò l’accusa, non una, ma ben tre volte. Non sappiamo tutto quello che stava succedendo, né
conosciamo quali consigli protettivi il Salvatore possa aver dato ai Suoi apostoli in privato, 12 ma sappiamo
che Gesù era consapevole che nemmeno questi uomini preziosi sarebbero stati con Lui alla fine, e di questo
aveva messo in guardia Pietro. 13 Poi, al canto del gallo, «il Signore, voltatosi, riguardò Pietro; e Pietro si
ricordò della parola del Signore … E uscito fuori pianse amaramente». 14
Così, per necessità divina, la cerchia che sosteneva Gesù si rimpicciolì sempre di più, dando un significato
alle parole di Matteo che «tutti i discepoli, lasciatolo, se ne fuggirono». 15Pietro stette abbastanza vicino da
essere riconosciuto e affrontato. Giovanni stette ai piedi della croce con la madre di Gesù. In particolare, e
come sempre, le donne della vita del Salvatore Gli stettero più vicino che poterono. Ma essenzialmente il Suo
viaggio solitario per tornare al Padre Suo continuò senza conforto o compagnia.
Ora parlerò con attenzione, addirittura con riverenza, di quello che può essere stato il momento più difficile
di tutto questo viaggio solitario che portò all’Espiazione. Parlo di quei momenti finali per i quali Gesù deve
essere stato preparato intellettualmente e fisicamente, ma per i quali non ci si poteva pienamente preparare
da un punto di vista emotivo e spirituale: la discesa conclusiva nella disperazione paralizzante
dell’abbandono divino quando gridò in estrema solitudine: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?» 16
La perdita del sostegno degli esseri umani l’aveva prevista, ma di certo non aveva compreso questo. Non
aveva detto ai Suoi discepoli: «Ecco, l’ora… è venuta, che sarete dispersi, ciascun dal canto suo, e mi
lascerete solo; ma io non son solo, perché il Padre è meco» e «Egli non mi ha lasciato solo, perché fo del
continuo le cose che gli piacciono»? 17
Con tutta la convinzione della mia anima attesto che Egli compiacque Suo Padre perfettamente e che un
Padre perfetto non abbandonò Suo Figlio in quel momento. Infatti, è mia convinzione personale che in tutto
il ministero terreno di Cristo, il Padre non sia mai stato più vicino a Suo Figlio come in quei momenti finali
di agonia e sofferenza. Ma, affinché il sacrificio supremo di Suo Figlio potesse essere completo, così come era
volontario e solitario, il Padre ritirò per un breve tempo da Gesù il conforto del Suo spirito, il sostegno della
Sua presenza. Era necessario; era assolutamente essenziale per il significato dell’Espiazione, che il Figlio
perfetto, che non aveva mai parlato con frode, né si era comportato male, né aveva toccato alcuna cosa
impura, doveva conoscere come si sarebbe sentito il resto dell’umanità, noi, tutti noi, nel commettere questo
tipo di peccati. Perché la Sua espiazione fosse infinita ed eterna, Egli doveva provare com’è morire non solo
fisicamente ma anche spiritualmente, provare come ci si sente quando lo spirito divino viene ritirato,
facendo sentire una persona totalmente, miseramente e disperatamente sola.
107
Ma Gesù resistette. Perseverò. La bontà che era in Lui consentì alla fede di trionfare anche in uno stato di
completa angoscia. La fiducia con cui era vissuto Gli disse, malgrado i Suoi sentimenti, che la compassione
divina non è mai assente, che Dio è sempre fedele, che non fugge né ci abbandona mai. Quando fu pagato
anche l’ultimo quattrino, quando la determinazione di Cristo ad essere fedele fu tanto ovvia quanto
invincibile, allora finalmente e misericordiosamente tutto finì. 18 Malgrado tutto, e senza nessuno che Lo
aiutasse o sostenesse, Gesù di Nazaret, il Figlio vivente del Dio vivente, riportò la vita fisica laddove la morte
aveva trionfato, e dall’infernale oscurità e disperazione del peccato fece sbocciare una redenzione gioiosa e
spirituale. Con fede nel Dio che sapeva essere là, Egli poté dire trionfante: «Padre, nelle tue mani rimetto lo
spirito mio». 19
Fratelli e sorelle, una delle grandi consolazioni di questa festività della Pasqua è che, grazie al fatto che Gesù
percorse un sentiero talmente lungo e solitario, noi non dobbiamo fare altrettanto. Il Suo viaggio solitario ha
fornito grande compagnia per la nostra piccola versione di quel sentiero: la cura misericordiosa del nostro
Padre nei cieli, la compagnia costante del Suo Figlio diletto, il dono meraviglioso dello Spirito Santo, gli
angeli in cielo, i membri della famiglia da tutte e due le parti del velo, i profeti e gli apostoli, gli insegnanti, i
dirigenti e gli amici. Tutti questi e tanti altri ci sono stati dati come compagni per il nostro viaggio terreno
grazie all’espiazione di Gesù Cristo e alla restaurazione del Suo vangelo. Dalla sommità del Calvario è
dichiarata la verità che non saremo mai più lasciati soli, anche se a volte possiamo sentirci così. Il Redentore
di tutti noi disse realmente: «Non vi lascerò orfani; [Io e il Padre Mio torneremo] a voi… e faremo dimora
presso di [voi]». 20
L’altra mia supplica in occasione della Pasqua è che queste scene del sacrificio solitario di Cristo, unite ai
momenti di negazione, abbandono e, almeno una volta, aperto tradimento, non siano mai ripetute da noi.
Egli ha camminato solo, una volta. Ora, chiedo che mai più Egli debba affrontare il peccato senza il nostro
aiuto o assistenza, che mai più trovi solo degli spettatori indifferenti quando ci vede lungo la Sua Via
Dolorosa ai giorni nostri. All’avvicinarsi di questa settimana santa, il giovedì con l’agnello pasquale, il
venerdì dell’Espiazione con la sua croce, la Risurrezione della domenica con la tomba vuota, possiamo noi
dichiararci più pienamente discepoli del Signore Gesù Cristo, non solo a parole, non solo nel conforto dei
momenti comodi, ma con le azioni, con coraggio e fede, anche quando il sentiero è solitario e quando la
nostra croce è difficile da portare. Questa settimana di Pasqua e sempre, possiamo noi stare vicino a Gesù
Cristo «in ogni momento e in ogni cosa e in ogni luogo in cui possia[mo] trovar[ci], anche fino alla
morte», 21 perché è certamente così che Egli è stato al nostro fianco fino alla morte e quando dovette stare
completamente solo. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Isaia 63:3, 5; vedere anche DeA 76:107; 88:106; 133:50.
2. Matteo 26:65–66.
3. Luca 23:14.
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4. Matteo 27:26.
5. Vedere Guida alle Scritture, «Barabba», 18.
6. Matteo 27:21.
7. Matteo 26:24.
8. Matteo 26:38.
9. Vedere Luca 22:44; Mosia 3:7; DeA 19:18.
10. Matteo 26:40.
11. Matteo 26:45.
12. Vedere Spencer W. Kimball, Peter, My Brother, Brigham Young University Speeches of the Year (13 luglio 1971), 5.
13. Vedere Marco 14:27–31.
14. Luca 22:61–62.
15. Matteo 26:56.
16. Matteo 27:46; corsivo dell’autore.
17. Giovanni 16:32; 8:29.
18. Vedere Giovanni 19:30.
19. Luca 23:46.
20. Giovanni 14:18, 23.
21. Mosia 18:9.
109
one può guarire tutto il dolore
ANZIANO KENT F. RICHARDS
Membro dei Settanta
ome chirurgo, una parte significativa del mio periodo professionale è stata dedicata al dolore. Per
necessità, lo infliggevo chirurgicamente quasi ogni giorno; ho speso molto tempo nel tentativo di
controllare e alleviare il dolore.
Ho meditato sullo scopo del dolore. Nessuno di noi è immune dall’esperienza del dolore. Ho visto la
gente affrontarlo in modi molto diversi. Alcuni si allontanano da Dio con rabbia, mentre altri consentono
alle loro sofferenze di avvicinarli a Lui.
Come voi, anche io ho provato dolore. Il dolore è la misura del processo di guarigione. Spesso ci insegna
la pazienza. Forse è il motivo per cui usiamo il termine paziente, riferito agli ammalati.
L’anziano Orson F. Whitney scrisse: “Nessun dolore che soffriamo, nessuna tribolazione che sopportiamo
vanno sprecati. Approfondiscono la nostra esperienza, favoriscono lo sviluppo di virtù quali la pazienza,
la fede, la fermezza e l’umiltà … Grazie al dolore e alla sofferenza, alle afflizioni e alle tribolazioni
otteniamo l’istruzione che siamo venuti ad acquisire quaggiù”.1
In modo simile, l’anziano Robert D. Hales ha detto:
“Il dolore ci riporta a un’umiltà che ci consente di meditare. È un’esperienza che sono lieto di aver fatto.
… Ho imparato che il dolore fisico e la guarigione del corpo dopo un grave intervento chirurgico è
straordinariamente simile al dolore spirituale e alla guarigione dell’anima nel processo del pentimento”.2
Gran parte della nostra sofferenza non è necessariamente colpa nostra. Eventi inaspettati, circostanze
contraddittorie e deludenti, malattie debilitanti e persino la morte ci circondano e influenzano la nostra
esperienza terrena. In più, potremmo soffrire afflizioni a causa delle azioni degli altri.3 Lehi notò che
Giacobbe aveva “sofferto … molto dolore a causa della durezza dei [suoi] fratelli”.4 L’opposizione fa
parte del piano di felicità del Padre Celeste. Tutti noi ne incontriamo quanto basta per renderci
consapevoli dell’amore del nostro Padre e del nostro bisogno del soccorso e dell’aiuto del Salvatore.
Il Salvatore non osserva in silenzio. Egli stesso conosce personalmente e infinitamente il dolore che
affrontiamo.
“Soffre le pene di tutti gli uomini, sì, le pene di ogni creatura vivente, siano uomini, donne e bambini”.5
“Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo
grazia per esser soccorsi al momento opportuno”.6
A volte, nella profondità del nostro dolore, siamo tentati a chiedere: “Non v’è egli balsamo in Galaad?
Non v’è egli colà alcun medico?”7 Attesto che la risposta è affermativa e che c’è un medico. L’Espiazione
di Gesù Cristo guarisce tutte le condizioni e gli scopi della mortalità.
C
110
Esiste un altro tipo di dolore per il quale siamo responsabili. Il dolore spirituale giace nel profondo della
nostra anima e può sembrare inestinguibile, proprio come essere “angosciat[i]” con un “orrore
inesprimibile”, come descrisse Alma.8 È la conseguenza delle nostre azioni peccaminose e della mancanza
di pentimento. Anche per questo dolore esiste una cura universale e assoluta. Viene dal Padre, per mezzo
del Figlio, ed è per tutti coloro che sono disposti a fare tutto il necessario per pentirsi. Cristo ha detto:
“Non volete ora ritornare a me … e essere convertiti, affinché io possa guarirvi?”9
Cristo stesso ha insegnato:
“E mio Padre mi ha mandato affinché fossi innalzato sulla croce; e dopo essere stato innalzato sulla croce,
potessi attirare tutti gli uomini a me … perciò, secondo il potere del Padre, io attirerò a me tutti gli
uomini. … Perciò, secondo il potere del Padre, io attirerò a me tutti gli uomini”.10
Forse la Sua opera più significativa è nel continuo lavoro con ognuno di noi, individualmente, per
edificarci, benedirci, rafforzarci, sostenerci, guidarci e perdonarci.
Come Nefi vide in visione, gran parte del ministero terreno di Cristo fu dedicato a benedire e guarire gli
afflitti da ogni sorta di malattie: fisiche, emotive e spirituali. “E vidi moltitudini di persone che erano
ammalate, e che erano afflitte da ogni sorta di malattie … Ed esse furono guarite mediante il potere
dell’Agnello di Dio”.11
Anche Alma profetizzò dicendo: “Egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e…
prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo. … affinché le sue viscere possano essere piene di
misericordia … affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle loro
infermità”.12
Una notte, in un letto d’ospedale, in quell’occasione come paziente e non come medico, lessi quei versetti
moltissime volte. Meditai: “Com’è possibile? Per chi? Quali requisiti ci qualificano? È come il perdono del
peccato? Dobbiamo guadagnarci il Suo amore e il Suo aiuto?” Mentre meditavo, arrivai a comprendere
che durante la Sua vita, Cristo ha scelto di provare il dolore e l’afflizione per poter comprendere noi. Forse
anche noi dobbiamo scendere nelle profondità della mortalità per poter comprendere Lui e i nostri scopi
eterni.13
Il presidente Henry B. Eyring insegnò: “Sarà di conforto attendere nell’angoscia per il soccorso promesso
del Salvatore, con cui Egli sa, per esperienza, come guarirci e aiutarci … La fede in questo ci darà la
pazienza quando preghiamo, lavoriamo e aspettiamo di ricevere aiuto. Egli avrebbe potuto sapere come
soccorrerci semplicemente per rivelazione, ma scelse di imparare tramite l’esperienza personale”.14
Quella notte mi sentii “circondato con le braccia del suo amore”.15 Lacrime di gratitudine bagnarono il
mio cuscino. Più tardi, mentre leggevo in Matteo del ministero terreno di Cristo, feci un’altra scoperta:
“Poi, venuta la sera, gli presentarono molti … ed egli … guarì tutti gli ammalati”.16 Guarì tutti quelli che
vennero a Lui. Nessuno fu respinto.
Come ha insegnato l’anziano Dallin H. Oaks: “Le benedizioni di guarigione giungono in molti modi,
ognuno dei quali adatto ai bisogni individuali, come conosciuti da Colui che ci ama di più. Talvolta una
‘guarigione’ sana le malattie o allevia i fardelli. Altre volte, invece, siamo ‘guariti’ ricevendo la forza, la
comprensione o la pazienza di portare i fardelli che ci sono posti”.17 Chiunque verrà potrà essere “stretto
nelle braccia di Gesù”.18 Ogni anima può essere guarita dal suo potere. Ogni dolore può essere alleviato.
In Lui possiamo “trov[are] riposo alle anime [nostre]”.19 Le circostanze possono non cambiare subito, ma
dolore, preoccupazione, sofferenza e paura possono essere inghiottite dalla Sua pace e dal Suo balsamo
guaritore.
Ho notato che i bambini spesso accettano più naturalmente dolore e sofferenza. Sopportano in silenzio
con umiltà e mitezza. Ho avvertito uno spirito bello e dolce circondare questi piccoli.
111
Sherrie, di tredici anni, ha subito un intervento di quattordici ore per un tumore alla spina dorsale.
Quando si è risvegliata nell’unità di terapia intensiva, ha detto: “Papà, zia Cheryl è qui, e… nonno
Norman e nonna Brown sono qui. E, papà, chi è quello in piedi accanto a te? … Ti somiglia, è solo più
alto. … Dice di essere tuo fratello Jimmy”. Suo zio Jimmy era morto a 13 anni per fibrosi cistica.
Per circa un’ora Sherrie descrisse i suoi visitatori, tutti membri della famiglia deceduti. Esausta, alla fine si
addormentò.
In seguito disse al padre: “Papà, tutti i bambini qui in terapia intensiva hanno angeli che li aiutano”.20
A tutti noi Egli ha detto:
“Ecco, voi siete dei piccoli fanciulli e non potete sopportare adesso ogni cosa; dovete crescere in grazia e
nella conoscenza della verità. Non temete, fanciulli, poiché siete miei. … Pertanto, Io sono in mezzo a voi,
e sono il buon pastore”.21
La nostra più grande sfida nella vita è diventare “santificat[i] tramite l’espiazione di Cristo”.22 Il dolore
che proviamo può significare proprio che il processo è in atto. Nel momento più difficile, possiamo
diventare bambini nel cuore, umiliarci e “preg[are], lavor[are] e aspett[are]”23 pazientemente che corpo e
anima vengano guariti. Come Giobbe, dopo essere stati raffinati dalle prove, potremo “uscir[e] come
l’oro”.24
Rendo testimonianza che Egli è il nostro Redentore, Amico e Avvocato, il grande medico, il grande
guaritore. In Lui possiamo trovare pace e sollievo nel e dal dolore e dal peccato, se verremo a Lui con
cuore umile. La Sua “grazia basta”.25 Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Orson F. Whitney, citato in Spencer W. Kimball, Faith Precedes the Miracle (1972), 98.
2. Robert D. Hales, “Guariamo l’anima e il corpo”, La Stella, gennaio 1999, 16.
3. Vedere Alma 31:31, 33.
4. 2 Nefi 2:1.
5. 2 Nefi 9:21.
6. Ebrei 4:16. Paolo ci ha insegnato a guardare al Salvatore come esempio per trattare l’“opposizione dei peccatori contro
a [noi], onde non abbia[mo] a stancar[ci], perdendo[ci] d’animo” (Ebrei 12:3).
7. Geremia 8:22.
8. Alma 36:14.
9. 2 Nefi 9:13.
10. 3 Nefi 27:14–15; corsivo dell’autore.
11. 1 Nefi 11:31.
12. Alma 7:11–12; corsivo dell’autore.
13. Vedere John Taylor, The Mediation and Atonement (1882), 97.Egli scrive di un’“alleanza” stipulata tra il Padre e il Figlio
nel concilio premortale per il compimento della redenzione espiatoria dell’umanità. La Sua sofferenza volontaria durante
la vita era in aggiunta alla sofferenza nel giardino e sulla croce (vedere Mosia 3:5–8).
14. Henry B. Eyring, “Le avversità”, Liahona, maggio 2009, 23–27; corsivo dell’autore.
15. Vedere Dottrina e Alleanze 6:20.
16. Matteo 8:16; corsivo dell’autore.
17. Dallin H. Oaks, “Egli guarisce gli oppressi”, Liahona, novembre 2006, 7–8.
112
18. Moroni 5:11.
19. Matteo 11:29.
20. Vedere Michael R. Morris, “Sherrie’s Shield of Faith”, Ensign, giugno 1995, 46.
21. Dottrina e Alleanze 50:40–41,44.
22. Mosia 3:19.
23. Henry B. Eyring, Liahona, maggio 2009, 24.
24. Giobbe 23:10.
25. 2 Corinzi 12:9; vedere anche Ether 12:26–27; Dottrina e Alleanze 18:31.
113
«Più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati»
ANZIANO PAUL V. JOHNSON
Membro dei Settanta
a vita sulla terra include prove, difficoltà e tribolazioni, alcune di queste prove potrebbero essere
davvero dolorose. Sia che si tratti di malattie, tradimenti, tentazioni, perdita di una persona cara,
disastri naturali o qualche altra esperienza traumatica, l’afflizione fa parte della nostra esperienza
terrena. Molte persone si sono chieste perché dobbiamo affrontare periodi difficili. Sappiamo che una
delle ragioni è fornire una prova della nostra fede per vedere se faremo tutto quello che il Signore ha
comandato.1 Per fortuna, la vita terrena è il contesto perfetto per affrontare, e superare, queste prove.2
Ma queste difficoltà non servono solo a metterci alla prova. Esse sono di vitale importanza per il processo
di affinare la natura divina.3 Se gestiremo queste afflizioni nel modo corretto, esse saranno consacrate per
il nostro profitto.4
L’anziano Orson F. Whitney ha detto:
“Nessun dolore che soffriamo o prova che attraversiamo sono sprecati … Tutto quello che subiamo e
tutto quello che sopportiamo, specialmente quando lo facciamo con pazienza, rafforza il nostro
carattere, purifica il nostro cuore, allarga la nostra anima e ci rende più generosi e caritatevoli … È
tramite il dolore e la sofferenza, le prove e le tribolazioni che acquisiamo l’istruzione che siamo
venuti ad acquisire quaggiù”.5
Di recente, a un bambino di nove anni è stato diagnosticato un raro tipo di cancro alle ossa. Il medico
spiegò la diagnosi e il trattamento, il quale includeva mesi di chemioterapia e un intervento chirurgico
importante. Egli disse che sarebbe stato un periodo davvero difficile per il bambino e per la sua famiglia,
ma poi aggiunse: “Le persone mi chiedono se, superato tutto questo, saranno le stesse; io dico loro: ‘No,
non sarà la stessa persona. Lei sarà molto più forte. Lei sarà una persona fantastica!’”
A volte può sembrare che le nostre prove siano concentrate in aspetti della nostra vita e parti della nostra
anima nelle quali sembriamo meno capaci di affrontarle. Poiché la crescita personale è il risultato previsto
per queste prove, il fatto che esse possano essere molto personali, quasi dirette attentamente alle nostre
particolari necessità o debolezze, non dovrebbe sorprenderci. E nessuno ne è esente, specialmente i santi
che stanno provando a fare ciò che è giusto. Qualche santo obbediente potrebbe chiedersi: “Perché io? Sto
provando a essere buono! Perché il Signore sta permettendo che ciò accada?” La fornace dell’afflizione
aiuta a purificare persino il migliore dei santi bruciando le scorie della sua vita e lasciando l’oro puro.6 È
necessario raffinare anche il metallo più puro, per rimuoverne le impurità. Essere buoni non è
abbastanza. Vogliamo diventare come il Salvatore, il quale ha imparato mentre soffriva “pene e afflizioni
e tentazioni di ogni specie”.7
La Crimson Trail, al Logan Canyon, è una delle mie escursioni preferite. La maggior parte del sentiero si
insinua lungo la cima di alti precipizi calcarei e offre una meravigliosa vista del canyon e delle valli
sottostanti. Comunque, arrivare in cima non è facile. Il sentiero è una continua salita e, poco prima di
arrivare in cima, c’è la parte più ripida del percorso e la vista del canyon è nascosta dalle rocce stesse. Lo
sforzo finale vale di gran lunga la pena perché, quando l’escursionista raggiunge la cima, la vista gli
toglie il respiro. L’unico modo per ammirare il panorama è fare la scalata.
L
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Un modello nelle Scritture e nella vita mostra che molte volte le prove più difficili e pericolose vengono
subito prima di eventi significativi e di una straordinaria crescita. “Dopo molta tribolazione vengono le
benedizioni”.8 I figliuoli d’Israele erano intrappolati davanti al Mar Rosso prima che fosse diviso.9 Nefi ha
affrontato il pericolo, la rabbia dei suoi fratelli e numerosi fallimenti prima di poter ottenere le tavole di
bronzo.10 Joseph Smith è stato sopraffatto da un potere malvagio tanto forte da fargli credere di essere
destinato a una distruzione totale. Quando era quasi pronto a sprofondare nella disperazione, si sforzò di
invocare Dio e, proprio in quel momento ricevette la visita del Padre e del Figlio.11Spesso, quando sono
vicini al battesimo, i simpatizzanti affrontano opposizione e tribolazione. Le madri sanno che le difficoltà
del travaglio precedono il miracolo della nascita. Di volta in volta, vediamo le meravigliose benedizioni
che seguono le grandi prove.
Quando mia nonna aveva circa 19 anni, ha sviluppato una malattia che l’ha fatta stare veramente male. In
seguito ha detto: “Non riuscivo a camminare. Dopo essere stata costretta a letto per diversi mesi, il mio
piede sinistro era completamente fuori forma. Le ossa erano soffici come spugna e, quando poggiavo il
piede per terra, sentivo una scossa elettrica”.12Mentre era costretta a letto, e nel momento peggiore delle
sue sofferenze, ella ricevette e studiò alcuni opuscoli della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi
Giorni. Si convertì e in seguito fu battezzata. Molte volte una particolare difficoltà ci aiuta a prepararci per
qualcosa d’importanza vitale.
In mezzo ai problemi, è quasi impossibile vedere che l’arrivo delle benedizioni è molto più grande del
dolore, dell’umiliazione o dell’angoscia che possiamo provare in quel momento. “Or ogni disciplina
sembra, è vero, per il presente non esser causa d’allegrezza, ma di tristizia; però rende poi un pacifico
frutto di giustizia a quelli che sono stati per essa esercitati”.13 L’apostolo Paolo ha insegnato: “Perché la
nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di
gloria”.14 È interessante il fatto che Paolo usi il termine “leggera afflizione”. Viene da una persona che è
stata percossa, lapidata, che ha naufragato, è stata imprigionata e che ha attraversato molte altre
prove.15 Dubito che molti di noi definiscano le proprie afflizioni “leggere”. Certo che paragonate alle
benedizioni e alla crescita che riceviamo alla fine, sia in questa vita che nell’eternità, le nostre afflizioni
sono veramente leggere.
Noi non ricerchiamo le prove, le difficoltà e le tribolazioni. Nel corso della nostra vita ne affronteremo la
quantità adatta alle nostre esigenze. Molte prove sono solo una parte naturale della nostra esistenza
terrena, ma giocano un ruolo molto importante nel nostro progresso.
Quando il ministero terreno del Salvatore stava per concludersi, Egli affrontò la prova più difficile di tutti
i tempi: l’incredibile sofferenza nel Getsemani e sul Golgota. Questo precedette la gloriosa Resurrezione e
la promessa che un giorno tutte le nostre sofferenze sarebbero state eliminate. La Sua sofferenza era
necessaria perché ci fosse un sepolcro vuoto quel mattino di Pasqua e per la nostra futura immortalità e
vita eterna.
A volte desideriamo ottenere una crescita senza le prove e di sviluppare la forza senza nessuna lotta. Ma
non si può crescere prendendo una scorciatoia. Comprendiamo chiaramente che un atleta che non svolge
un rigoroso allenamento non diventerà mai un atleta che compete a livello mondiale. Dobbiamo stare
attenti a non offenderci per le cose che ci aiutano ad affinare la nostra natura divina.
Nessuna delle prove e delle tribolazioni che affrontiamo supera i nostri limiti perché abbiamo accesso
all’aiuto del Signore. Per mezzo di Cristo che ci fortifica, possiamo fare ogni cosa.16
Dopo essersi ripreso da gravi problemi di salute, durante la conferenza generale l’anziano Robert D.
Hales ha detto quanto segue:
“In qualche rara occasione, dissi al Signore che avevo sicuramente imparato la lezione insegnatami e
che non ci sarebbe stato bisogno che soffrissi ancora. Tali suppliche non sembrarono portarmi alcun
beneficio, in quanto mi fu reso chiaro che questo processo purificatore di prove doveva venire
sopportato secondo i tempi e nei modi stabiliti dal Signore …
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Imparai anche che non sarei stato lasciato solo ad affrontare queste prove e tribolazioni, ma che degli
angeli custodi mi avrebbero assistito. Ci sono state persone molto simili agli angeli nelle vesti di
dottori, infermiere, e più di tutti della mia dolce moglie, Mary. Ed occasionalmente, quando il
Signore lo desiderava, mi è stato possibile essere confortato da visite di eserciti celesti che hanno
portato conforto e rassicurazioni eterne nel mio momento di bisogno”.17
Il nostro Padre Celeste ci ama e noi sappiamo “che chiunque riporrà la sua fiducia in Dio sarà sostenuto
nelle sue prove, nelle sue difficoltà e nelle sue afflizioni, e sarà elevato all’ultimo giorno”.18 Un giorno,
quando saremo dall’altra parte del velo, non vogliamo che ci sia una persona qualunque per dirci
soltanto: “Bene, hai finito”. Vogliamo, invece, che il Signore ci dica: “Va bene, buono e fedel servitore”.19
Amo le parole di Paolo:
“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, o la distretta, o la persecuzione, o la
fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada? … Anzi, in tutte queste cose, noi siam più che vincitori, in
virtù di colui che ci ha amati”.20
Io so che Dio vive e che Suo Figlio Gesù Cristo vive. So anche che attraverso il Loro aiuto possiamo essere
“più che vincitori” delle tribolazioni che affrontiamo in questa vita. Possiamo diventare come Loro. Nel
nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Vedere 1 Pietro 1:6–8; Abrahamo 3:25.
2. Vedere 1 Pietro 2:20.
3. Vedere 2 Pietro 1:4.
4. Vedere 2 Nefi 2:2.
5. Orson F. Whitney, in Spencer W. Kimball, Faith Precedes the Miracle (1972), 98.
6. Vedere Isaia 48:10; 1 Nefi 20:10.
7. Vedere Alma 7:11–12.
8. Dottrina e Alleanze 58:4.
9. Vedere Esodo 14:5–30.
10. Vedere 1 Nefi 3–4.
11. Vedere Joseph Smith—Storia 1:15–17.
12. Amalie Hollenweger Amacher, storia non pubblicata in possesso dell’autore.
13. Ebrei 12:11.
14. 2 Corinzi 4:17.
15. Vedere 2 Corinzi 11:23–28.
16. Vedere Filippesi 4:13.
17. Robert D. Hales, “L’alleanza del battesimo: essere nel regno e del regno”, Liahona, gennaio 2001, 6.
18. Alma 36:3.
19. Matteo 25:21.
20. Romani 8:35, 37.
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Il miracolo dell’Espiazione C. SCOTT GROW
Membro dei Settanta
entre preparavo il discorso per la conferenza, ricevetti una telefonata inaspettata da mio padre.
Mi disse che quella mattina mio fratello minore era spirato nel sonno. Provai un dolore
immenso. Aveva solo cinquantuno anni. Pensando a lui, sentii di dovervi parlare di alcuni fatti
che riguardano la sua vita e ho avuto il permesso di farlo.
Da giovane mio fratello era un bell’uomo, cordiale, amichevole e completamente devoto al Vangelo.
Dopo aver servito onorevolmente una missione, si sposò al tempio con la donna amata. Ebbero un figlio e
una figlia. Il suo futuro era pieno di promesse.
Poi cedette a una debolezza: scelse di vivere in maniera edonistica e questa scelta gli costò la salute, il
matrimonio e l’appartenenza alla Chiesa.
Si trasferì lontano da casa. Andò avanti con il suo modo di vivere autodistruttivo per più di dieci anni, ma
il Salvatore non lo aveva dimenticato, né abbandonato. Alla fine, il dolore della disperazione permise allo
spirito di umiltà di entrare nella sua anima. La rabbia, la ribellione e l’aggressività cominciarono a
dissiparsi. Come il figliuol prodigo, “rientrato in sé”1, iniziò a cercare il Salvatore e ad incamminarsi sulla
strada di casa, dove genitori fedeli non avevano mai perso speranza.
Percorse il sentiero del pentimento. Non fu facile. Dopo essere stato fuori dalla Chiesa per dodici anni, fu
ribattezzato e ricevette di nuovo il dono dello Spirito Santo. Infine gli vennero restaurate le benedizioni
del sacerdozio e del tempio.
Ebbe la benedizione di trovare una donna capace di accettare i problemi di salute che il suo precedente
stile di vita gli aveva lasciato. Furono suggellati nel tempio ed ebbero due figli. Servì fedelmente per
diversi anni in un vescovato.
Mio fratello morì un lunedì mattina, il 7 marzo. Il venerdì sera precedente, lui e sua moglie erano andati
al tempio. La domenica mattina, il giorno prima di morire, aveva insegnato la lezione alla classe del suo
gruppo di sommi sacerdoti. Quella sera andò a dormire per non svegliarsi più in questa vita, ma per
levarsi nella resurrezione dei giusti.
Sono grato per il miracolo dell’Espiazione nella vita di mio fratello. L’Espiazione del Salvatore è a
disposizione di ognuno di noi, sempre.
Vi accediamo mediante il pentimento. Quando ci pentiamo, il Signore ci consente di lasciarci alle spalle
gli errori del passato.
“Ecco, colui che si è pentito dei suoi peccati è perdonato, e io, il Signore, non li ricordo più. Da
questo potrete sapere se un uomo si pente dei suoi peccati: ecco, li confesserà e li abbandonerà”.2
M
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Tutti noi conosciamo una persona che ha avuto gravi difficoltà, qualcuno che si è smarrito, qualcuno che
ha rinunciato. Quella persona potrebbe essere un amico o un parente, un genitore o un figlio, un marito o
una moglie. Oppure potreste essere voi.
Io mi rivolgo a ognuno di voi. Parlo del miracolo dell’Espiazione.
Il Messia venne per redimere gli uomini dalla caduta di Adamo.3 Ogni cosa nel vangelo di Gesù Cristo
punta verso il sacrificio espiatorio del Messia, il Figlio di Dio.4
Il piano di salvezza non avrebbe potuto realizzarsi senza un’espiazione. “Perciò Dio stesso espia per i
peccati del mondo, per realizzare il piano della misericordia, per placare le richieste della giustizia,
affinché Dio possa essere un Dio perfetto e giusto, e anche un Dio misericordioso”.5
Il sacrificio espiatorio doveva essere compiuto dal Figlio di Dio che era senza peccato, poiché l’uomo
caduto non avrebbe potuto espiare per i propri peccati.6 L’Espiazione doveva essere infinita ed eterna per
includere tutti gli uomini per tutta l’eternità.7
Con le Sue sofferenze e la Sua morte il Salvatore espiò per i peccati di tutti gli uomini.8 La Sua Espiazione
ebbe inizio nel Getsemani, continuò sulla croce e culminò con la resurrezione.
“Sì,… egli sarà condotto, crocifisso e ucciso, e la carne diventa così sottomessa anche alla morte, e la
volontà del Figlio viene assorbita dalla volontà del Padre”.9 Tramite il Suo sacrificio espiatorio Egli
fece “della sua vita un’offerta per il peccato”.10
In quanto Unigenito Figlio di Dio, ereditò il potere sulla morte fisica. Questo Gli permise di resistere
fisicamente quando soffrì “anche più di quanto l’uomo possa sopportare a meno che ne muoia; poiché
ecco, il sangue gli [uscì] da ogni poro, sì grande [fu] la sua angoscia per la malvagità e le abominazioni del
suo popolo”.11
Egli non solo pagò il prezzo per i peccati di tutti gli uomini, ma prese anche “su di sé le pene e le malattie
del suo popolo”. E prese “su di sé le loro infermità, affinché le sue viscere po[tessero] essere piene di
misericordia,… affinché egli po[tesse] conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle
loro infermità”.12
Il Salvatore provò il peso dell’angoscia dei peccati e dei dolori dell’intera umanità. “Certamente egli ha
portato le nostre afflizioni e si è caricato i nostri dolori”.13
Mediante la Sua Espiazione non solo guarisce il trasgressore, ma guarisce anche l’innocente che soffre a
motivo di quelle trasgressioni. Se l’innocente esercita la fede nel Salvatore e nella Sua Espiazione e
perdona il trasgressore, anche lui potrà essere guarito.
Vi sono momenti in cui tutti noi abbiamo “bisogno del sollievo dal senso di colpa che deriva dagli errori e
dai peccati”.14 Se ci pentiamo, il Salvatore libererà la nostra anima dalla colpa.
Grazie al Suo sacrificio espiatorio i nostri peccati ci vengono perdonati. Ad esclusione dei figli di
perdizione, l’Espiazione è a disposizione di tutti, sempre, a prescindere dalla grandezza del peccato, “a
condizione del pentimento”.15
Per il Suo amore infinito, Gesù Cristo ci invita a pentirci per non dover patire tutto il peso dei nostri
peccati:
“Pentitevi, perché … le vostre sofferenze [non] siano dolorose — quanto dolorose non sapete, quanto
intense non sapete, sì, quanto dure da sopportare non sapete. Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto
queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno; Ma se non volessero pentirsi, essi
dovranno soffrire proprio come me; E queste sofferenze fecero sì che io stesso, Iddio, il più grande di
tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo che nello spirito”.16
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Il Salvatore offre la guarigione a coloro che soffrono a causa del peccato. “Non volete ora ritornare a me,
pentirvi dei vostri peccati e essere convertiti, affinché io possa guarirvi?”17
Gesù Cristo è il Grande Guaritore delle nostre anime. Ad eccezione dei peccati di perdizione, non vi è
peccato o trasgressione, pena o dolore, che sia fuori dalla portata del potere guaritore della Sua
Espiazione.
Quando pecchiamo, Satana ci dice che siamo perduti. Al contrario, il Redentore offre a tutti la redenzione,
anche a me e a voi, a prescindere da che cosa abbiamo fatto di male.
Quando pensate alla vostra vita, vi sono cose che dovreste cambiare? Avete commesso errori che non
avete ancora corretto?
Se soffrite a causa di un senso di colpa o di rimorso, risentimento, rabbia o perdita di fede, vi invito a
cercare sollievo. Pentitevi e abbandonate i peccati. Poi chiedere in preghiera perdono a Dio. Chiedete alle
persone che avete danneggiato di perdonarvi. Perdonate coloro che vi hanno fatto del male. Perdonate
voi stessi.
Andate dal vescovo, se necessario. Egli è il messaggero di misericordia del Signore. Egli vi aiuterà nello
sforzo di ritornare puri attraverso il pentimento.
Immergetevi nella preghiera e nello studio delle Scritture. Nel farlo sentirete l’influenza santificatrice
dello Spirito. Il Salvatore disse: “Santificatevi; sì, purificate il vostro cuore e nettate le vostre mani…
dinanzi a me, affinché io possa rendervi puri”.18
Quando diventiamo puri per il potere della Sua Espiazione, il Salvatore diventa il nostro avvocato presso
il Padre e prega:
“Padre, guarda le sofferenze e la morte di colui che non peccò, nel quale Tu ti compiacesti; guarda il
sangue di Tuo Figlio, che fu versato, il sangue di colui che Tu desti affinché Tu fossi glorificato;
Pertanto, Padre, risparmia questi miei fratelli che credono nel mio nome, affinché possano venire a
me e avere vita eterna”.19
Ognuno di noi ha ricevuto il dono del libero arbitrio. “Gli uomini sono liberi… di scegliere la libertà e la
vita eterna, tramite il grande Mediatore di tutti gli uomini, o di scegliere la schiavitù e la morte, secondo
… il potere del diavolo”.20
Anni fa mio fratello esercitò il suo libero arbitrio scegliendo uno stile di vita che gli costò la salute, la
famiglia e l’appartenenza alla Chiesa. Anni dopo esercitò lo stesso libero arbitrio scegliendo di pentirsi,
conformare la sua vita agli insegnamenti del Salvatore e rinascere letteralmente mediante il potere
dell’Espiazione.
Rendo testimonianza del miracolo dell’Espiazione. Ne ho visto il potere guaritore nella vita di mio
fratello e l’ho sentito nella mia. Il potere guaritore e redentore dell’Espiazione è sempre a nostra
disposizione.
Attesto che Gesù è il Cristo, il Guaritore della nostra anima. Prego che ciascuno di noi scelga di accettare
l’invito del Salvatore: “Non volete ora ritornare a me, pentirvi dei vostri peccati e essere convertiti,
affinché io possa guarirvi?”21 Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Luca 15:17.
2. Dottrina e Alleanze 58:42–43.
3. Vedere 2 Nefi 2:25–26.
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4. Vedere Alma 34:14.
5. Alma 42:15.
6. Vedere Alma 34:11.
7. Vedere Alma 34:10.
8. Vedere Alma 22:14.
9. Mosia 15:7.
10. Mosia 14:10.
11. Mosia 3:7.
12. Alma 7:11–12.
13. Mosia 14:4.
14. Predicare il mio Vangelo: guida al servizio missionario (2005), 2.
15. Dottrina e Alleanze 18:12.
16. Dottrina e Alleanze 19:15–18.
17. 3 Nefi 9:13.
18. Dottrina e Alleanze 88:74.
19. Dottrina e Alleanze 45:4–5.
20. 2 Nefi 2:27.
21. 3 Nefi 9:13.
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«PERCHÉ IO VIVO E VOI VIVRETE»
ANZIANO SHAYNE M. BOWEN
Membro dei Settanta
uando servivo come giovane missionario in Cile, nel ramo io e il mio collega incontrammo una
famiglia di sette persone. La madre frequentava ogni settimana con i figli. Pensavamo che fossero
membri della Chiesa da molto tempo. Dopo diverse settimane scoprimmo che non erano stati
battezzati.
Contattammo immediatamente la famiglia chiedendo se potevamo andare a istruirli. Il padre non era
interessato al Vangelo, ma non obiettò che insegnassimo alla sua famiglia. La sorella Ramirez progredì
rapidamente nel corso delle lezioni. Era ansiosa di imparare tutta la dottrina che insegnavamo. Una sera,
mentre parlavamo del battesimo dei neonati, insegnammo che i bambini piccoli sono innocenti e non
hanno bisogno del battesimo. La invitammo a leggere nel libro di Moroni:
“Ecco, io ti dico che dovete insegnare questo: il pentimento e il battesimo per coloro che sono
responsabili e capaci di commettere peccato; sì, insegnate ai genitori che devono pentirsi ed essere
battezzati, e umiliarsi come i loro bambini, e saranno tutti salvati con i loro bambini. E i loro bambini
non hanno bisogno del pentimento, né del battesimo. Ecco, il battesimo è per il pentimento, per
adempiere i comandamenti per la remissione dei peccati. Ma i bambini sono vivi in Cristo fin dalla
fondazione del mondo; se non fosse così, Dio sarebbe un Dio parziale e anche un Dio mutevole, e
che ha riguardo alla qualità delle persone; poiché, quanti bambini sono morti senza battesimo!”1
Dopo aver letto questo passo di Scritture, la sorella Ramirez iniziò a piangere. Io e il mio collega eravamo
confusi e le chiedemmo: “Sorella Ramirez, abbiamo detto o fatto qualcosa che l’ha offesa?”
Lei rispose: “Oh no, Anziano, non avete fatto nulla di male. Sei anni fa avevo un figlio. Morì prima che
potessimo battezzarlo. Il nostro sacerdote ci disse che, poiché non era stato battezzato, sarebbe stato nel
limbo per tutta l’eternità. Per sei anni ho provato questo dolore e questa colpa. Dopo aver letto questo
passo so, grazie al potere dello Spirito Santo, che questo è vero. Mi è stato tolto un grosso peso, e queste
lacrime sono di gioia”.
Mi ricordai degli insegnamenti del profeta Joseph Smith, che insegnò questa dottrina confortante: “Il
Signore chiama a Sé molti, anche nell’infanzia, affinché possano sfuggire all’invidia dell’uomo, ai dolori e
ai mali del mondo attuale; essi sono troppo puri, troppo belli per vivere sulla terra; quindi, se ci si pensa
bene, invece di piangere, abbiamo motivo di rallegrarci, perché essi sono liberati dal male e presto li
riavremo”.2
Dopo sei anni di dolore e pena quasi insopportabili, la vera dottrina, rivelata da un affettuoso Padre
Celeste tramite un profeta vivente, portò pace a questa donna tormentata. Inutile dire che la sorella
Ramirez e i suoi figli maggiori di otto anni furono battezzati. Ricordo di aver scritto alla mia famiglia per
esprimere la gratitudine che provavo nel cuore per la conoscenza di questa e di molte altre verità chiare e
preziose del vangelo restaurato di Gesù Cristo. Non mi sarei mai immaginato che questo principio
meraviglioso e vero mi si sarebbe ripresentato negli anni successivi per dimostrare di essere il mio
balsamo in Galaad.
Q
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Vorrei parlare a chi ha perso un figlio e si chiede: “Perché è successo a me?”, o forse ha anche messo in
dubbio la sua fede in un amorevole Padre in cielo. Prego che, mediante il potere dello Spirito Santo, io
possa portarvi una certa misura di speranza, pace e comprensione. Desidero essere uno strumento per
ripristinare la vostra fede in un amorevole Padre Celeste che conosce tutte le cose e che permette che
viviamo delle prove affinché possiamo giungere a conoscerLo, ad amarLo e a comprendere che senza di
Lui non abbiamo nulla.
Il 4 febbraio 1990 nacque il nostro sesto figlio, il terzo maschio. Lo chiamammo Tyson. Era un bellissimo
bambino e la famiglia lo accolse a braccia e cuori aperti. I suoi fratelli e le sue sorelle erano molto fieri di
lui. Pensavamo che fosse il bambino più perfetto mai nato.
Quando Tyson aveva otto mesi, ingoiò un pezzo di gesso che aveva trovato sul tappeto. Il gesso gli si
bloccò in gola e lui smise di respirare. Il suo fratello maggiore lo portò al piano di sopra, gridando
freneticamente: “Il piccolo non respira, il piccolo non respira”. Provammo a rianimarlo e chiamammo i
soccorsi.
I paramedici arrivarono e portarono di corsa Tyson in ospedale. Nella sala d’attesa continuammo a
pregare ferventemente e a invocare Dio perché compisse un miracolo. Dopo quella che sembrò una vita,
una dottoressa entrò nella sala e disse: “Mi dispiace. Non possiamo fare altro. Prendetevi tutto il tempo
che volete”. Poi se ne andò.
Quando entrammo nella stanza dove giaceva Tyson, vedemmo il nostro piccolo senza vita. Era come se
intorno al suo corpicino ci fosse una luce celeste. Era radioso e puro. In quel momento fu come se il nostro
mondo fosse finito. Come potevamo tornare dagli altri figli e cercare di spiegare loro che Tyson non
sarebbe tornato a casa?
Parlerò al singolare mentre racconterò il resto dell’esperienza. Io e il mio angelo di moglie affrontammo
insieme questa prova, ma io non sono in grado di esprimere i sentimenti di una madre e non mi
permetterei di farlo.
È impossibile descrivere l’insieme di sentimenti che provai in quel periodo della vita. La maggior parte
del tempo mi sentivo come se fossi in un brutto sogno e che mi sarei presto svegliato e questo orribile
incubo sarebbe finito. Per molte notti non dormii. Spesso nella notte vagavo da una stanza all’altra per
assicurarmi che i nostri figli stessero bene. La mia anima era tormentata dal senso di colpa. Mi sentivo
colpevole. Mi sentivo responsabile. Io ero suo padre, avrei dovuto fare di più per proteggerlo. Se solo
avessi fatto questo o quello. A volte, ancora oggi, ventidue anni dopo, quei sentimenti si insinuano nel
mio cuore e io devo liberarmene in fretta perché possono essere distruttivi.
Circa un mese dopo la morte di Tyson, ebbi un’intervista con l’anziano Dean L. Larsen. Lui stette ad
ascoltarmi e io sarò sempre grato per i suoi consigli e il suo amore. Disse: “Non credo che il Signore
voglia che tu ti punisca per la morte del tuo bambino”. Sentii l’amore del mio Padre Celeste giungere
tramite uno dei Suoi strumenti eletti.
Tuttavia, i pensieri strazianti continuarono ad affliggermi, così iniziai a provare rabbia. Non era giusto!
Come aveva potuto Dio farmi questo? Perché proprio a me? Che cosa avevo fatto per meritarmelo? Ero
arrabbiato anche con le persone che stavano cercando di confortarci. Ricordo degli amici che dicevano:
“So come ti senti”. Io pensavo: “Tu non hai idea di come mi sento. Lasciami in pace”. Scoprii presto che
anche l’autocommiserazione può essere molto dannosa. Mi vergognavo perché nutrivo pensieri poco
gentili per i nostri cari amici che stavano solo cercando di aiutarci.
Quando sentii che la colpa, la rabbia e l’autocommiserazione mi stavano consumando, pregai che il mio
cuore potesse cambiare. Attraverso esperienze personali molto sacre, il Signore mi concedette un cuore
nuovo e, sebbene continuassi a provare malinconia e dolore, la mia prospettiva cambiò. Mi fu dato di
sapere che non ero stato privato di nulla, anzi, che c’erano grandi benedizioni che mi attendevano se mi
fossi dimostrato fedele.
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La mia vita iniziò a cambiare e riuscii a guardare avanti con speranza, invece di guardare indietro con
disperazione. Rendo testimonianza che questa vita non è la fine. Il mondo degli spiriti è reale. Gli
insegnamenti dei profeti riguardo alla vita dopo la morte sono veri. Questa vita non è che una fase
transitoria nel nostro viaggio per ritornare dal nostro Padre Celeste.
Tyson è rimasto una parte integrante della nostra famiglia. Nel corso degli anni è stato meraviglioso
vedere la misericordia e la bontà di un affettuoso Padre in cielo che ha permesso alla nostra famiglia di
sentire in modi molto tangibili l’influenza di Tyson. Attesto che il velo è sottile. I sentimenti di lealtà,
amore e unità familiare che proviamo non finiscono quando i nostri cari passano dall’altra parte;
piuttosto tali sentimenti si intensificano.
A volte le persone mi chiedono: “Quanto tempo ti ci è voluto per superarlo?” La verità è che non lo superi
mai completamente, finché non ti ritrovi di nuovo insieme ai tuoi cari che sono defunti. Non proverò mai
una pienezza di gioia finché non saremo riuniti il mattino della Prima Risurrezione.
“Poiché l’uomo è spirito. Gli elementi sono eterni, e spirito ed elementi inseparabilmente connessi
ricevono una pienezza di gioia. E quando sono separati, l’uomo non può ricevere una pienezza di
gioia”.3
Ma, nel frattempo, come ha insegnato il Salvatore, possiamo continuare a farci animo.4 Ho scoperto che il
dolore più penoso e insopportabile può diventare dolce se ci rivolgiamo al Padre Celeste e supplichiamo
di avere il Suo conforto che deriva dal Suo piano, da Suo Figlio – Gesù Cristo – e dal Suo Consolatore, che
è lo Spirito Santo.
Quale benedizione gloriosa è questa nella nostra vita. Non sarebbe tragico se non provassimo un grande
dolore quando perdiamo un figlio? Sono molto grato al mio Padre in cielo perché ci concede di amare
profondamente e di amare eternamente. Sono molto grato per le famiglie eterne. Sono molto grato che
Egli abbia rivelato ancora una volta, tramite i Suoi profeti viventi, il glorioso piano di redenzione.
Sono sicuro che ricordate ancora, quando avete partecipato al funerale di un vostro caro, i sentimenti
provati nel lasciare il cimitero ripensando a quella bara solitaria, chiedendovi se il vostro cuore non
avrebbe ceduto. Rendo testimonianza che grazie a Lui – al nostro Salvatore Gesù Cristo – un giorno quei
sentimenti di cordoglio, solitudine e disperazione saranno sommersi da una pienezza di gioia. Attesto che
possiamo fare affidamento su di Lui e credere alle Sue parole:
“Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. Ancora un po’, e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi
vedrete, perché io vivo e voi vivrete”.5
Attesto che, come dichiarato in Predicare il mio Vangelo, “quando facciamo affidamento sull’Espiazione di
Gesù Cristo, Egli può aiutarci a superare le prove, le malattie e i dolori. Possiamo essere riempiti di gioia,
pace e consolazione. Tutto ciò che è ingiusto nella vita può essere sistemato attraverso l’Espiazione di
Gesù Cristo”.6
Rendo testimonianza che quel mattino glorioso della Prima Risurrezione, i miei e i vostri cari usciranno
dalle tombe, come promesso dal Signore Stesso, e avremo una pienezza di gioia. Poiché Egli vive, noi e
loro vivremo. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Moroni 8:10–12.
2. Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph
Smith (2007), 182.
3. Dottrina e Alleanze 93:33–34.
4. Vedere Giovanni 16:33.
5. Giovanni 14:18–19.
6. Predicare il mio Vangelo: guida al servizio
missionario (2005), 52.
124
125
è scritta nel nostro cuore?
LINDA K. BURTON
Presidentessa generale della Società di Soccorso
ome voi, anche io amo le Scritture! Nel libro di Geremia troviamo un versetto che mi è davvero caro.
Geremia visse in un periodo e in un luogo difficili, ma il Signore gli permise di “prev[edere]
un’epoca di speranza durante il raduno dell’Israele degli ultimi giorni”:2 i nostri giorni. Geremia
profetizzò:
“Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno
mio popolo … poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice l’Eterno. Poiché io
perdonerò la loro iniquità, e non mi ricorderò più del loro peccato”.3
Noi siamo le persone che Geremia vide. Abbiamo invitato il Signore a scrivere la legge, o dottrina, nel nostro
cuore? Crediamo che il perdono, disponibile grazie all’Espiazione di cui parla Geremia, si applica a noi
personalmente?
Alcuni anni fa l’anziano Jeffrey R. Holland ha condiviso ciò che provava riguardo alla fede profondamente
radicata dei pionieri che si spinsero verso la Valle del Lago Salato anche dopo la morte dei propri figli. Ha
detto: “Non lo fecero per un programma o un’attività sociale. Lo fecero per via della fede nel vangelo di
Gesù Cristo che era nella loro anima; era nel midollo delle loro ossa”.
Con tenera emozione, ha aggiunto:
“È l’unico modo in cui quelle madri poterono seppellire i figli [in un portapane, andare avanti] e dire: ‘La
terra promessa è laggiù. Andremo fino alla valle’. [Poterono dirlo] per via delle alleanze, delle dottrine, della
fede, della rivelazione e dello Spirito”.
Ha concluso con queste parole che inducono a riflettere:
“Se abbiamo questo nelle nostre famiglie e nella Chiesa, tante altre cose inizieranno a risolversi da
sole. Tante altre cose [meno necessarie] cadranno dai carri. Quei carretti a mano non permettevano
di portare molto. Come i pionieri dovevano scegliere che cosa portare, forse anche il 21º secolo ci
porterà a scegliere: ‘Possiamo mettere questo sul carretto?’. E questa è l’essenza della nostra anima; è
ciò che abbiamo nel midollo delle ossa”.4
O, in altre parole, è ciò che è scritto nel nostro cuore!
Come presidenza della Società di Soccorso, abbiamo chiesto sinceramente al Signore per sapere quali cose
essenziali voleva che mettessimo sul carretto della Società di Soccorso per continuare a far avanzare la Sua
opera. Abbiamo sentito che il Padre Celeste vuole innanzi tutto che aiutiamo le Sue amate figlie a
comprendere la dottrina dell’Espiazione di Gesù Cristo.
C
126
Sappiamo che, nel farlo, la nostra fede crescerà, insieme al desiderio di vivere rettamente. Secondo, quando
abbiamo meditato sulla forte necessità di rafforzare le famiglie e le case, abbiamo sentito che il Signore vuole
che incoraggiamo le Sue amate figlie a restare gioiosamente fedeli alle proprie alleanze. Rispettare le alleanze
rafforza le famiglie. Infine, sentiamo che Egli vuole che lavoriamo in unità con le altre organizzazioni
ausiliarie e con i nostri dirigenti del sacerdozio, sforzandoci di trovare i bisognosi e di aiutarli a progredire
lungo il sentiero. La nostra preghiera fervente è che ognuna di noi apra il proprio cuore e lasci che il Signore
vi incida le dottrine dell’Espiazione, delle alleanze e dell’unità.
Come possiamo aspettarci di rafforzare le famiglie o di aiutare gli altri se non abbiamo prima scritta nel
nostro cuore una fede profonda e duratura in Gesù Cristo e nella Sua Espiazione infinita? Stasera vorrei
condividere tre principi dell’Espiazione che, se scritti nel nostro cuore, accresceranno la fede in Gesù Cristo.
Spero che la comprensione di questi principi benedica ognuna di noi, a prescindere da quanto tempo siamo
membri della Chiesa.
Primo principio: “Tutto ciò che è ingiusto nella vita può essere sistemato attraverso l’Espiazione di Gesù
Cristo”.5
Insieme a voi rendiamo testimonianza dell’Espiazione del nostro Salvatore, Gesù Cristo. La nostra
testimonianza, come la vostra, è stata scritta nel nostro cuore perché abbiamo affrontato diverse difficoltà e
avversità che ci hanno rafforzate spiritualmente. Senza la comprensione del perfetto piano di felicità del
nostro Padre Celeste e dell’Espiazione del Salvatore come fulcro di tale piano, queste difficoltà avrebbero
potuto sembrare ingiuste. Tutte noi dobbiamo affrontare prove nella vita, ma nei cuori fedeli c’è scritto:
“Nella vita tutto ciò che è ingiusto può essere sistemato attraverso l’Espiazione di Gesù Cristo”.
Perché il Signore permette che in questa vita affrontiamo sofferenza e avversità? Detto in parole semplici, fa
parte del piano per poter crescere e progredire! “[Demmo] in gridi di giubilo”6 quando ci fu detto che
avremmo avuto l’opportunità di venire sulla terra per sperimentare la mortalità. L’anziano Dallin H. Oaks
ha insegnato: “Le nostre ben necessarie conversioni sono spesso raggiunte più prontamente tramite la
sofferenza e le avversità che mediante il conforto e la tranquillità”.7
L’esempio di una pioniera fedele dimostra questa verità. A 17 anni Mary Lois Walker sposò John T. Morris a
St. Louis, nel Missouri. Nel 1853 attraversarono le pianure con i santi, arrivando nella Valle del Lago Salato
poco dopo il loro primo anniversario. Lungo il viaggio soffrirono le privazioni tipiche degli altri pionieri, ma
le loro sofferenze e le loro avversità non terminarono con l’arrivo nella Valle del Lago Salato. L’anno
seguente Mary, allora diciannovenne, scrisse: “Abbiamo avuto un figlio… Una sera, quando aveva circa due
o tre mesi… una voce mi bisbigliò: ‘Perderai questo bambino’”.
Durante l’inverno, il bambino si ammalò. “Abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere… ma il
bambino è peggiorato in fretta… È morto il 2 febbraio… e così ho bevuto dalla coppa amara della
separazione dalla mia carne e dal mio sangue”. Ma le sue prove non erano ancora finite. Anche il marito di
Mary si ammalò e, tre settimane dopo aver perso il bambino, morì.
Mary scrisse: “Così, ancora adolescente, sono stata privata nel breve periodo di venti giorni di mio marito e
del mio unico figlio, in una terra sconosciuta a centinaia di chilometri dalla mia famiglia e con una montagna
di difficoltà di fronte a me… e desideravo morire anch’io e riunirmi ai miei cari”.
Mary continua: “Una domenica sera stavo passeggiando con una mia amica… mi ricordai dell’assenza [di
mio marito] e della mia grande solitudine; mentre piangevo amaramente vidi, come in una visione, la ripida
collina della vita che avrei dovuto scalare e ne avvertii la realtà con grande forza. Mi sentii profondamente
depressa, perché il nemico sa quando attaccarci, ma il nostro [Salvatore Gesù Cristo] è potente nel
salvare. Grazie… all’aiuto datomi dal Padre, ho potuto combattere contro tutta la forza che, a quel tempo,
sembrava essere dispiegata contro di me”.8
Alla tenera età di 19 anni, Mary imparò che l’Espiazione ci dà la sicurezza che tutto ciò che è ingiusto in
questa vita può essere sistemato e lo sarà — anche i dispiaceri più grandi.
127
Secondo principio: nell’Espiazione c’è il potere che ci consente di spogliarci dell’uomo, o della donna,
naturale e di diventare veri discepoli di Gesù Cristo.9
C’è un modo per sapere quando abbiamo imparato una dottrina o un principio del Vangelo: è quando siamo
in grado di insegnare la dottrina o il principio in modo comprensibile a un bambino. Una risorsa preziosa
per insegnare ai bambini a comprendere l’Espiazione è l’analogia che si trova in una lezione della Primaria.
Forse questo può aiutarci quando insegniamo ai nostri figli, ai nostri nipoti o agli amici di altre fedi che
desiderano capire questa dottrina fondamentale.
“[Una donna] che camminava lungo una strada cadde in un fosso così profondo da non riuscire più a venir
fuori. Nonostante i suoi tentativi non poteva uscir fuori. [La donna] chiese aiuto, e fu felice quando un
passante generoso [la] udì e calò una scala nel fosso. Questo consentì [alla donna] di uscire dal fosso e
riacquistare la libertà.
Noi siamo come [la donna] nel fosso. Peccare è come cadere in un fosso, e da soli non possiamo uscirne.
Proprio come il passante generoso udì l’invocazione [della donna] intrappolat[a], così il Padre Celeste
mandò il Suo Unigenito Figliolo per fornirci i mezzi per uscire dal fosso. L’Espiazione di Gesù Cristo può
essere paragonata alla scala calata nel fosso; ci dà il mezzo per uscirne”.10 Ma il Salvatore non si limita a
calare la scala, Egli “scende nella fossa e ci permette di usare la scala per uscirne”.11 “Proprio come [la
donna] nel fosso dovette salire su per la scala, così noi dobbiamo pentirci dei nostri peccati e obbedire ai
principi e alle ordinanze del Vangelo per uscire dal nostro fosso e rendere operante l’Espiazione nella nostra
vita. Pertanto, dopo che noi stessi abbiamo fatto tutto ciò che potevamo, l’Espiazione ci rende possibile
diventare degni di ritornare alla presenza del Padre Celeste”.12
Di recente ho avuto il privilegio di incontrare una pioniera degli ultimi giorni, una cara figlia di Dio
convertitasi alla Chiesa in Cile da poco. È una madre single con due figli piccoli. Grazie al potere
dell’Espiazione, ha potuto lasciarsi il passato alle spalle e ora sta cercando seriamente di diventare una vera
discepola di Gesù Cristo. Quando penso a lei, mi viene in mente un principio insegnato dall’anziano David
A. Bednar: “Una cosa è sapere che Gesù Cristo è venuto sulla terra per morire per noi; questo concetto è
essenziale ed è alla base della dottrina di Cristo. Cionondimeno, dobbiamo anche renderci conto che il
Signore desidera, tramite la Sua Espiazione e per il potere dello Spirito Santo, vivere in noi, non solo per
guidarci ma anche per investirci di potere”.13
Quando io e questa sorella cilena abbiamo parlato di come restare sulla via che conduce alla vita eterna, mi
ha assicurato con entusiasmo che era determinata a continuare su quel sentiero. Ne era stata lontana per
quasi tutta la vita e ha dichiarato che non c’era niente “là fuori”, lontano dal sentiero, che volesse riavere
nella sua vita. Il potere dell’Espiazione vive dentro di lei. È scritto nel suo cuore.
Tale potere non ci permette solo di uscire dal fosso, ma ci dà anche il potere di andare avanti sul sentiero
stretto e angusto che ci riporta alla presenza del nostro Padre Celeste.
Terzo principio: l’Espiazione è la prova più grande che abbiamo dell’amore che il Padre prova per i Suoi
figli.
Faremmo bene a meditare su questo emozionante pensiero dell’anziano Oaks: “Pensate a quanto deve aver
sofferto il nostro Padre nei cieli nel mandare Suo Figlio a sopportare una sofferenza incomprensibile per i
nostri peccati. Questa è la prova più grande del Suo amore per ciascuno di noi!”14
Tale supremo atto d’amore deve indurre ognuna di noi a inginocchiarsi in umile preghiera per ringraziare il
nostro Padre Celeste perché ci ama tanto da aver mandato il Suo Figlio Unigenito e perfetto affinché soffrisse
per i nostri peccati e per tutto ciò che sembra ingiusto nella vita di ciascuna di noi.
Ricordate la donna di cui il presidente Uchtdorf ha parlato di recente? Ha detto:
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“Una donna che aveva passato anni di prove e di dolori disse piangendo: ‘Ho capito che sono come
una vecchia banconota da venti dollari: spiegazzata, strappata, sporca, maltrattata e sfregiata. Ma
sono ancora una banconota da venti dollari. Valgo qualcosa. Anche se il mio aspetto non è un gran
che e sono stata maltrattata e usata, valgo ancora tutti i miei venti dollari’”.15
Questa donna sapeva di essere un’amata figlia del suo Padre Celeste e che valeva abbastanza da far sì che
Egli mandasse Suo Figlio per espiare per lei, individualmente. Ogni sorella della Chiesa deve sapere ciò che
questa donna sa — che è una figlia di Dio che Egli ama. In che modo sapere quanto valiamo per Lui cambia
la maniera di rispettare le alleanze? In che modo sapere quanto valiamo per Lui influenza il nostro desiderio
di aiutare gli altri? In che modo sapere quanto valiamo per Lui accresce il desiderio di aiutare chi ha bisogno
di comprendere l’Espiazione come noi: profondamente? Quando ognuna di noi avrà la dottrina
dell’Espiazione scritta profondamente nel proprio cuore, allora cominceremo a diventare il genere di
persona che il Signore vuole che siamo quando tornerà. Ci riconoscerà come Sue vere discepole.
Possa l’Espiazione di Gesù Cristo operare un “possente mutamento” affinché sia scritta nel nostro
cuore.16 Quando apriremo gli occhi su questa dottrina, dichiarata da un angelo di Dio perché fosse una
“buon[a] novell[a] di grande allegrezza”,17 vi prometto che ci sentiremo come si sentì il popolo di re
Beniamino. Dopo aver pregato con fervore affinché l’Espiazione fosse applicata alla loro vita, “furono
riempiti di gioia”18 ed erano “disposti ad entrare in alleanza con… Dio di fare la sua volontà e di essere
obbedienti ai suoi comandamenti in tutte le cose”.19 Stringere, osservare e apprezzare le nostre alleanze sarà
la prova che l’Espiazione di Gesù Cristo è veramente scritta nel nostro cuore. Sorelle, vi prego di ricordare
questi tre principi:
1. «Tutto ciò che è ingiusto nella vita può essere sistemato attraverso l’Espiazione di Gesù Cristo».20
2. Nell’Espiazione c’è il potere che ci consente di spogliarci dell’uomo, o della donna, naturale e di
diventare veri discepoli di Gesù Cristo.21
3. L’Espiazione è la prova più grande che abbiamo dell’amore che il Padre prova per i Suoi figli.22
«Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio
popolo».23 Invito tutte noi a chiedere al Signore di scrivere questi principi dell’Espiazione nel nostro cuore.
Attesto che sono veri. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Dottrina e Alleanze 1:38.
2. Antico Testamento – Manuale per l’insegnante del corso di Dottrina evangelica (2001), 198.
3. Geremia 31:33–34; corsivo dell’autore.
4. Jeffrey R. Holland, “Tavola rotonda”, Riunione di addestramento dei dirigenti a livello mondiale, 9 febbraio 2008, 27–28.
5. Predicare il mio Vangelo – guida al servizio missionario (2004), 52.
6. Giobbe 38:7.
7. Dallin H. Oaks, “L’invito a cambiare”, Liahona, gennaio 2001, 42.
8. Autobiografia di Mary Lois Walker Morris (copia in possesso di Linda Kjar Burton).
9. Vedere David A. Bednar, “L’Espiazione e il viaggio della vita terrena”, Liahona, aprile 2012, 12–19.
10. Primaria 7 – Nuovo Testamento (1998), 104.
11. Joseph Fielding Smith, Dottrine di salvezza, a cura di Bruce R. McConkie, 3 volumi (1954–1956), 1:117.
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12. Primaria 7, 104.
13. David A. Bednar, Liahona, aprile 2012, 14.
14. Dallin H. Oaks: “L’amore e la legge”, Liahona, novembre 2009, 26.
15. Dieter F. Uchtdorf, “Voi siete le mie mani”, Liahona, maggio 2010, 69.
16. Vedere Alma 5:12–14.
17. Mosia 3:3.
18. Vedere Mosia 4:1–3.
19. Vedere Mosia 5:2–5.
20. Predicare il mio Vangelo, 52.
21. Vedere David A. Bednar, Liahona, aprile 2012, 12–19.
22. Dallin H. Oaks: “L’amore e la legge”, Liahona, novembre 2009, 26.
23. Geremia 31:33; corsivo dell’autore.
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L’ESPIAZIONE
PRESIDENTE BOYD K. PACKER
Presidente del Quorum dei Dodici Apostoli
l mio messaggio è diretto a chi tra noi sta soffrendo, è oppresso dalla colpa, dalle debolezze, dal
fallimento, dal dolore e dalla disperazione.
Nel 1971 fui incaricato di occuparmi di alcune conferenze di palo nelle Samoa occidentali, compresa
l’organizzazione di un nuovo palo sull’isola di Upolu. Finite le interviste, noleggiammo un piccolo aereo
per recarci alla conferenza di palo sull’isola di Savai’i. L’aereo atterrò su un campo erboso a Faala e
sarebbe tornato il pomeriggio seguente per riportarci all’isola di Upolu.
Il giorno che dovevamo lasciare Savai’i pioveva. Sapendo che l’aereo non avrebbe potuto atterrare sul
campo bagnato, raggiungemmo l’estremità occidentale dell’isola dove una sorta di piccola pista al di
sopra di una barriera corallina fungeva da pista. Aspettammo fino all’imbrunire, ma non arrivò alcun
velivolo. Alla fine venimmo a sapere via radio che era in corso una tempesta che impediva agli aerei di
decollare. Comunicammo a nostra volta che saremmo tornati via mare. Qualcuno doveva venirci a
prendere a Mulifanua.
Uscendo dal porto di Savai’i, il comandante dell’imbarcazione lunga 40 piedi (12 metri) chiese al
presidente di missione se avesse una torcia elettrica. Fortunatamente ce l’aveva e la regalò al comandante.
La traversata di 13 miglia (21 chilometri) fino a Upolu avvenne con un mare molto agitato. Nessuno di
noi si rese conto che ci stavamo dirigendo proprio nel mezzo della violenta tempesta tropicale che aveva
colpito l’isola.
Arrivati nei pressi del porto di Mulifanua, bisognava attraversare un passaggio stretto lungo una
scogliera. Tale passaggio era segnalato da una luce sulla collina a ridosso della spiaggia e da una seconda
luce più in basso. Quando una nave si posizionava in modo da vedere le due luci una sopra l’altra
significava che l’imbarcazione era allineata correttamente per passare in mezzo a quegli scogli pericolosi.
Ma quella sera c’era soltanto una luce. Due anziani ci aspettavano sulla terraferma, ma la traversata durò
più a lungo del solito. Dopo aver scrutato per ore per avvistare l’arrivo della nostra barca, gli anziani si
erano addormentati esausti, dimenticando di accendere la seconda luce, quella più in basso. Di
conseguenza, il passaggio tra gli scogli non era visibile.
Il comandante fece del suo meglio per dirigere la barca verso la luce che proveniva dall’alto del litorale,
mentre un membro dell’equipaggio, sporgendosi a prua, puntava la torcia per vedere gli scogli davanti a
noi. Potevamo sentire i flutti frangersi sulla scogliera. Ogni volta che eravamo tanto vicini da vedere le
rocce con la torcia, il comandante gridava freneticamente di invertire i motori, poi, allontanata la barca,
riprovava a localizzare il passaggio.
Dopo molti tentativi, si rese conto che sarebbe stato impossibile trovarlo. Tutto quel che potevamo fare
era cercare di raggiungere il porto di Apia, a circa 40 miglia (64 chilometri). Eravamo impotenti contro la
furia degli elementi. Non ricordo di essermi mai trovato in mezzo a tanta oscurità.
Per la prima ora non riuscimmo a muoverci, nonostante il motore andasse al massimo. La barca si
inerpicava su flutti giganteschi, poi si fermava come esausta sulla cresta dell’onda, con le eliche fuori
dall’acqua. La vibrazione delle eliche faceva tremare lo scafo fin quasi a spaccarlo, prima che questo
scivolasse giù dalla parte opposta.
I
132
Noi ci eravamo distesi sopra la stiva di carico, con le mani aggrappate a un lato e le punte dei piedi fissate
all’altro per evitare di essere scaraventati in mare. Il fratello Mark Littleford perse la presa e fu scagliato
contro il parapetto di ferro inferiore. Si ferì alla testa, ma la sponda lo trattenne dal finire fuori bordo.
Finalmente riuscimmo ad avanzare e verso l’alba raggiungemmo il porto di Apia. Le barche erano state
legate tra loro per sicurezza. Ce n’erano molte ormeggiate al molo tanto da bloccare l’approdo. Le
attraversammo in punta di piedi per non disturbare quelli che dormivano in coperta. Proseguimmo per
Pesega, ci asciugammo i vestiti e ci dirigemmo a Vailuutai per organizzare il nuovo palo.
Non so chi fosse andato ad aspettarci sulla spiaggia di Mulifanua. Rifiutai di farmelo dire. Ma sta di fatto
che senza quella luce in basso avremmo potuto morire.
Nel nostro innario c’è un vecchio inno che viene cantato raramente, ma che per me significa molto.
Del Signor l’amor s’irradia,
come un faro nella notte,
ma è all’uom che tocca alzare
la lucerna in riva al mar.
Brilla, o luce, di laggiù;
manda un raggio in mezzo al mare.
Che l’esausto marinaio
tragga a riva per salvar.
Del peccato è sceso il buio;
d’ira è il rombo dei marosi.
Scrutan occhi supplicanti
quella luce in riva al mar.
Tieni, amico, acceso il lume;
per lo scosso marinar,
che del porto anela il suolo
e nel buio può affondar.1
Oggi parlo a coloro che forse sentono di essere affondati e cercano quella luce che li aiuti a fare ritorno.
Era risaputo fin dall’inizio che nella mortalità non saremmo riusciti a essere perfetti. Non ci si aspettava
che vivessimo senza disobbedire ad alcuna legge.
“Poiché l’uomo naturale è nemico di Dio, lo è stato fin dalla caduta di Adamo, e lo sarà per sempre e in
eterno, a meno che non ceda ai richiami del Santo Spirito, si spogli dell’uomo naturale e sia santificato
tramite l’espiazione di Cristo, il Signore”.2
In Perla di Gran Prezzo apprendiamo che “nessuna cosa impura può dimorar[e nel regno di
Dio]”,3 pertanto fu preparata per tutti coloro che peccano una via per pentirsi e tornare a essere degni di
stare alla presenza del Padre Celeste.
Fu scelto un Mediatore, un Redentore, Uno che sarebbe vissuto in maniera perfetta, senza commettere
peccato, e che avrebbe offerto “se stesso quale sacrificio per il peccato, per rispondere ai fini della legge,
per tutti coloro che hanno un cuore spezzato e uno spirito contrito; e per nessun altro è possibile
rispondere ai fini della legge”.4
Riguardo all’importanza dell’Espiazione, in Alma apprendiamo: “Poiché è opportuno che sia fatta
un’espiazione … altrimenti tutta l’umanità dovrà inevitabilmente perire”.5
Se non avete commesso errori, allora non avete bisogno dell’Espiazione. Ma se ne avete commessi, e tutti
noi ne abbiamo commessi, di più o meno gravi, allora avete un bisogno enorme di scoprire come possono
essere cancellati per non rimanere nelle tenebre.
133
“[Gesù Cristo] è la luce e la vita del mondo”.6 Se guardiamo ai Suoi insegnamenti, saremo guidati al porto
della salvezza spirituale.
Il terzo articolo di fede recita che “Noi crediamo che tramite l’espiazione di Cristo tutta l’umanità può
essere salvata, mediante l’obbedienza alle leggi e alle ordinanze del Vangelo”.7
Il presidente Joseph F. Smith dichiarò: “Gli uomini non possono perdonarsi da soli i loro peccati; non
possono purificarsi da sé dalle conseguenze dei loro peccati. Gli uomini possono cessare di peccare e
possono agire bene nel futuro, e [quando] le loro azioni sono accette al Signore [diventano] degne di
considerazione. Ma chi riparerà i torti che essi hanno fatto a se stessi e agli altri, giacché non possono
ripararli da soli? Per mezzo dell’Espiazione di Gesù Cristo i peccati del penitente saranno purificati; e
quand’anche fossero come lo scarlatto, essi diventeranno bianchi come la neve [vedere Isaia 1:18]. Questa
è la promessa che vi faccio”.8
Non sappiamo esattamente come il Signore compì l’Espiazione. Ma sappiamo che la tortura crudele della
crocifissione fu solo parte dell’orribile dolore che iniziò nel Getsemani — quel sacro luogo di sofferenza
— e si completò sul Golgota.
Luca riporta:
“Egli si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava, dicendo: Padre, se tu vuoi,
allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta. E un angelo gli apparve dal
cielo a confortarlo. Ed essendo in agonia, egli pregava vie più intensamente; e il suo sudore divenne come
grosse gocce di sangue che cadeano in terra”.9
Per quanto mi risulti, vi è un solo resoconto che descrive, con le parole del Salvatore stesso, quello che
Egli passò nel Giardino di Getsemani. Così dice la rivelazione:
“Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno;
Ma se non volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me; E queste sofferenze fecero sì che io
stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro”.10
Nella vita ci possono essere state volte in cui siete andati in posti dove non sareste mai dovuti andare o
avete fatto cose che non avreste mai dovuto fare. Se abbandonerete il peccato, potrete un giorno conoscere
la pace che scaturisce dal seguire il processo di un pentimento completo.
A prescindere da quali siano state le nostre trasgressioni o da quanto le nostre azioni possano aver ferito
gli altri, quella colpa può essere totalmente spazzata via. Per me, forse, la frase più bella delle Scritture è
quella in cui il Signore dice: “Ecco, colui che si è pentito dei suoi peccati è perdonato, e io, il Signore, non
li ricordo più”.11
Questa è la promessa del vangelo di Gesù Cristo e dell’Espiazione: prendere tutti coloro che vi si
avvicinano, tutti coloro che vi aderiscono e far loro vivere un’esperienza tale che al termine della loro vita
potranno passare attraverso il velo essendosi pentiti dei loro peccati ed essendo stati lavati tramite il
sangue di Cristo.12
Questo è ciò che i Santi degli Ultimi Giorni fanno nel mondo. Questa è la Luce che offriamo a coloro che
sono nelle tenebre e hanno smarrito la via. Ovunque vadano i membri e i missionari, il nostro è un
messaggio di fede e di speranza nel Salvatore Gesù Cristo.
Il presidente Joseph Fielding Smith scrisse le parole dell’inno “Does the Journey Seem Long?” Era un mio
caro amico. Tale inno infonde coraggio e contiene una promessa per coloro che cercano di seguire gli
insegnamenti del Salvatore:
Il viaggio sembra troppo lungo
e il cammino accidentato e ripido?
Vi sono rovi e spine lungo la via?
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Le pietre aguzze ti feriscono i piedi
mentre lotti per salire
sulla vetta, nel caldo del giorno?
Il tuo cuore è gonfio e triste
e la tua anima stanca,
mentre ti affatichi sotto il tuo fardello?
È pesante il carico
che devi alzare
e non hai nessuno con cui dividerlo?
Il tuo cuore non venga meno
ora che il viaggio è cominciato.
C’è Qualcuno che ancora ti chiama,
quindi guarda in alto con gioia
e tieni stretta la Sua mano;
Egli ti porterà su vette che non hai mai conosciuto:
in una terra santa e pura,
dove tutti i problemi hanno fine.
E la tua vita sarà libera dal peccato.
E non si verseranno più lacrime
perché non rimarrà alcun dolore.
Prendi la Sua mano ed entra con Lui.13
Nel nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. “Brightly Beams Our Father’s Mercy”, Hymns, 335.
2. Mosia 3:19.
3. Mosè 6:57.
4. 2 Nefi 2:7
5. Alma 34:9
6. Mosia 16:9
7. Articoli di Fede 1:3
8. Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph F. Smith (1998), 99.
9. Luca 22:41–44.
10. Dottrina e Alleanze 19:16–18
11. Dottrina e Alleanze 58:42
12. Vedere Apocalisse 1:5.
13. “Does the Journey Seem Long?” Hymns, 127.
135
Signora Patton — la storia continua PRESIDENTE THOMAS S. MONSON
rentotto anni fa alla conferenza generale, tenuta nel Tabernacolo di Piazza del Tempio, parlai di un
amico d’infanzia, Arthur Patton, che morì giovane. Il discorso s’intitolava «Signora Patton, Arthur
vive».1 Mi rivolsi alla madre di Arthur, la signora Patton, che non era un membro della Chiesa.
Benché nutrissi poche speranze che ella ascoltasse realmente il discorso, volevo parlare del glorioso
messaggio evangelico della speranza e dell’amore a tutti coloro che erano alla portata della mia voce.
Recentemente mi sono sentito di dover fare riferimento ancora una volta ad Arthur e di raccontarvi ciò che
accadde in seguito al discorso originale.
In primo luogo, vi parlerò di Arthur, che era biondo, con i capelli ricci e un sorriso grande come una casa.
Era più alto di tutti i ragazzi della classe. Suppongo che questo fu il motivo per cui, nel 1940, mentre un
grande conflitto, la Seconda Guerra Mondiale, stava interessando buona parte dell’Europa, Arthur riuscì a
ingannare gli ufficiali di reclutamento e ad arruolarsi in Marina a soli quindici anni. Per lui, come per la
maggior parte dei ragazzi, la guerra era una grande avventura. Ricordo quanto straordinario apparisse in
uniforme. Quanto desideravamo essere più grandi, o almeno più alti, per arruolarci.
La giovinezza è un momento speciale della vita. Longfellow scrisse:
Quanto bella è la gioventù! Quanto luminosa splende
con le sue illusioni, aspirazioni, sogni!
Libro degli inizi, Storia senza Fine,
Ogni fanciulla una eroina, e ogni uomo un amico!2
La madre di Arthur era assai fiera della stella blu che adornava la finestra del soggiorno. Essa indicava a
ogni passante che suo figlio indossava l’uniforme della patria e che era in servizio effettivo. Quando passavo
davanti alla casa, spesso mi apriva la porta e m’invitava a leggere l’ultima lettera di Arthur. I suoi occhi si
riempivano di lacrime e mi chiedeva di leggere ad alta voce. Arthur significava tutto per questa madre
vedova.
Ricordo ancora le mani grosse della signora Patton che riponevano con attenzione la lettera nella busta.
Erano mani da lavoratrice, di donna delle pulizie che lavorava negli uffici del centro. Ogni giorno, tranne la
domenica, la si vedeva camminare sul marciapiede con un secchio e uno scopone in mano, i capelli grigi
tirati indietro e raccolti insieme, le spalle affaticate dal lavoro e curvate dall’età.
Nel marzo del 1944, nel pieno della guerra, Arthur fu trasferito dal USS. Dorsey, un cacciatorpediniere, alla
USS. White Plains, una portaerei. Mentre la nave si trovava a Saipan, nel Pacifico meridionale, fu attaccata.
Arthur fu un membro dell’equipaggio che risultò disperso in mare.
La stella blu fu tolta dal suo posto venerato sulla finestra frontale di casa Patton e fu sostituita da una d’oro,
che indicava che colui che era rappresentato dalla stella blu era morto in battaglia. Una luce si spense nella
vita della signora Patton. Ella brancolava nelle tenebre più cupe in profonda disperazione.
Con una preghiera nel cuore mi avvicinai al familiare vialetto che portava a casa Patton, chiedendomi che
parole di conforto sarebbero potute uscire dalle labbra di un semplice ragazzo.
La porta si aprì e la signora Patton mi abbracciò come se fossi stato il figlio. La casa divenne una cappella
quando una madre dal cuore infranto e un ragazzo poco adeguato s’inginocchiarono in preghiera.
T
136
Rialzandosi in piedi, la signora Patton mi guardò fissamente negli occhi e mi chiese: «Tommy, io non
appartengo a nessuna chiesa, ma tu sì. Dimmi, Arthur vivrà di nuovo?» Al meglio delle mie capacità, resi
testimonianza che Arthur sarebbe sicuramente vissuto di nuovo.
A quella conferenza generale di tanti anni fa, nel riferire questa storia, menzionai che avevo perso traccia
della signora Patton, ma che desideravo ancora una volta rispondere alla sua domanda: «Arthur vivrà di
nuovo?»
Parlai del Salvatore del mondo, che percorse le strade polverose dei villaggi che ora con riverenza
chiamiamo Terra Santa; che ridiede la vista ai ciechi e l’udito ai sordi; che fece camminare gli storpi e vivere i
morti; che teneramente e con amore ci rassicurò: «Io son la via, la verità e la vita».3
Spiegai che il piano della vita e la spiegazione del suo corso eterno ci giungono dal Maestro del cielo e della
terra, il Signore Gesù Cristo. Per comprendere il significato della morte dobbiamo apprezzare lo scopo della
vita.
Spiegai che in questa dispensazione il Signore dichiarò: «Ed ora, in verità vi dico, io ero al principio con il
Padre e sono il Primogenito».4 «Anche l’uomo era al principio con Dio».5
Il profeta Geremia scrisse:
«La parola dell’Eterno mi fu rivolta, dicendo: ‹Prima ch’io ti avessi formato … io t’ho conosciuto; e prima che
tu uscissi … io t’ho consacrato e t’ho costituito profeta delle nazioni›».6
Da quel mondo maestoso degli spiriti entrammo nel grandioso palco della vita per dimostrarci obbedienti in
tutti i comandamenti di Dio. Durante l’esistenza cresciamo, passando dall’infanzia indifesa alla fanciullezza
curiosa e poi alla maturità riflessiva. Proviamo gioia e dolore, soddisfazione e delusione, successo e
fallimento. Assaporiamo il dolce, ma assaggiamo anche l’amaro. Questa è la vita terrena.
Ogni uomo, poi, fa quell’esperienza chiamata morte. Nessuno è esente. Tutti devono passare per il suo
portale.
Per la maggior parte delle persone c’è qualcosa di sinistro e misterioso in questo visitatore inopportuno
chiamato morte. Forse è il timore di ciò che è sconosciuto che fa sì che molti temano la sua venuta.
Arthur Patton morì velocemente. Altri tirano a lungo. Sappiamo, grazie alle rivelazioni divine, che «gli
spiriti di tutti gli uomini, appena hanno lasciato questo corpo mortale … sono ricondotti a quel Dio che
diede loro la vita».7
Assicurai alla signora Patton e a tutti gli altri ascoltatori che Iddio non li avrebbe mai abbandonati, che
mandò il Suo Unigenito nel mondo per insegnarci mediante l’esempio come dovremmo vivere. Il Figlio morì
sulla croce per redimere l’umanità. Oggi ci sono di conforto le parole che proferì all’afflitta Marta e ai Suoi
discepoli:
«Io son la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non
morrà mai».8
«Nella casa del Padre mio ci son molte dimore; se no, ve l’avrei detto; io vo a prepararvi un luogo … tornerò,
e v’accoglierò presso di me, affinché dove son io, siate anche voi».9
Reiterai le testimonianze di Giovanni il Rivelatore e dell’apostolo Paolo. Giovanni scrisse:
«E vidi i morti, grandi e piccoli, che stavan ritti davanti al trono … E il mare rese i morti ch’erano in esso».10
Paolo dichiarò: «Come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati».11
Spiegai che sino al glorioso mattino della risurrezione camminiamo per fede, «poiché ora vediamo come in
uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia».12
Rassicurai la signora Patton che Gesù invitava lei e tutti gli altri:
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«Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo ed
imparate da me, perch’io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre».13
Nel messaggio, inoltre, spiegai alla signora Patton che questa conoscenza l’avrebbe sostenuta nell’angoscia e
che non sarebbe mai stata nella situazione tragica in cui si trovava l’incredula che, avendo perso un figlio, fu
udita dire mentre guardava la bara che veniva calata nella madre terra: «Addio, figlio mio. Addio per
sempre». Piuttosto, a testa alta, con coraggio imperterrito e fede incrollabile, poteva alzare gli occhi
guardando oltre i dolci frangenti del Pacifico azzurro e sussurrare: «Arrivederci, Arthur, figlio mio prezioso.
Arrivederci, sino a quando c’incontreremo di nuovo».
Citai le parole di Tennyson, come se le fossero pronunciate da suo figlio Arthur:
Il tramonto e la stella della sera,
E una inconfondibile chiamata per me,
E possano non esserci lacrime,
Quando salperò per l’altra riva …
Crepuscolo e campane della sera,
E dopo questo il buio!
E possa non esservi tristezza dell’addio
Quando m’imbarcherò;
Poiché sebbene dalla nostra posizione nel tempo e nello spazio
Le onde possano portarmi lontano,
Spero di vedere il mio Pilota faccia a faccia
Quando avrò compiuto la traversata.14
A quel tempo conclusi il messaggio esprimendo alla signora Patton la mia testimonianza personale come
testimone speciale, dicendole che Dio, nostro Padre, si preoccupava di lei e che mediante preghiere sincere
poteva comunicare con Lui; che anche Lui aveva un Figlio che era morto, sì, il Signore Gesù Cristo; che Egli
era il nostro avvocato presso il Padre, il Principe della pace, il Salvatore e divino Redentore e che un giorno
L’avremmo incontrato faccia a faccia.
Sperai che il mio messaggio alla signora Patton avrebbe raggiunto e toccato altre persone che avevano perso
delle persone care.
E ora, fratelli, vi racconterò il resto della storia. Il 6 aprile 1969 tenni il discorso alla conferenza. Ripeto, avevo
poca o nessuna speranza che la signora Patton mi ascoltasse davvero. Non avevo motivo di pensare che
avrebbe seguito la conferenza generale. Come ho detto, non era un membro della Chiesa. Venni poi a sapere
che era accaduto qualcosa di molto simile a un miracolo. Senza avere la più pallida idea di chi avrebbe
parlato alla conferenza, o quali sarebbero stati gli argomenti trattati, i vicini Santi degli Ultimi Giorni della
signora Terese Patton, che si era trasferita in California, la invitarono a casa loro ad ascoltare una sessione
della conferenza. Ella accettò l’invito e così ascoltò proprio la sessione nella quale mi rivolsi a lei nel discorso.
Durante la prima settimana del maggio 1969, con mia sorpresa e gioia ricevetti una lettera con il timbro di
Pomona, in California, datata 29 aprile 1969. Proveniva dalla signora Terese Patton. Vi leggerò parte della
lettera.
«Caro Tommy,
spero che non te la prenda se ti chiamo Tommy, poiché è così che mi ricordo di te. Non so come
ringraziarti per il discorso confortante che hai tenuto.
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Arthur aveva quindici anni quando si arruolò in Marina. Rimase ucciso un mese prima del suo
diciannovesimo compleanno, il 5 luglio 1944.
È stato meraviglioso che tu abbia pensato a noi. Non so come ringraziarti per le tue parole
confortanti, sia quando Arthur morì sia ancora nel tuo discorso. Negli anni mi sono posta molte
domande e tu hai risposto. Ora sono in pace riguardo ad Arthur … Dio ti benedica e ti protegga
sempre.
Con affetto,
Terese Patton»15
Fratelli e sorelle, non credo sia stata una coincidenza che io mi sia sentito ispirato a tenere quel discorso
particolare alla conferenza generale dell’aprile 1969. Non penso neppure che sia stata una coincidenza che la
signora Terese Patton fu invitata dai vicini a unirsi a loro per quella particolare sessione della conferenza.
Sono certo che il nostro Padre celeste era memore della sua situazione e voleva che ascoltasse i principi
incoraggianti del Vangelo.
Benché la signora Patton è da molto che è venuta a mancare, ho sentito una forte impressione di condividere
con voi il modo in cui il Padre celeste aiutò lei, una vedova, e la sostenne. Con tutta la forza della mia anima
attesto che il nostro Padre celeste ama ognuno di noi. Egli ascolta le preghiere dei cuori umili, ascolta le
richieste d’aiuto, come udì la signora Patton. Suo Figlio, il nostro Salvatore e Redentore, oggi parla a ognuno
di noi: «Ecco, io sto alla porta e picchio: se uno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui».16
Lo udiremo bussare? Udiremo la Sua voce? Apriremo la porta al Signore, affinché possiamo ricevere l’aiuto
che Egli è dispostissimo a darci? Prego che lo faremo. Nel sacro nome di Gesù Cristo. Amen.
NOTE
1. Conference Report, aprile 1969, 126–129.
2. «Morituri Salutamus», The Complete Poetical Works of Henry Wadsworth Longfellow (1883), 259.
3. Giovanni 14:6.
4. DeA 93:21
5. DeA 93:29.
6. Geremia 1:4, 5.
7. Alma 40:11.
8. Giovanni 11:25–26.
9. Giovanni 14:2–3.
10. Apocalisse 20:12–13.
11. 1 Corinzi 15:22.
12. 1 Corinzi 13:12.
13. Matteo 11:28–29.
14. Alfred Tennyson, «Crossing the Bar», Poems of the English Race, ed. Raymond Macdonald Alden (1921), 362.
15. Corrispondenza personale in possesso di Thomas S. Monson.
16. Apocalisse 3:20.
139
È RISORTO PRESIDENTE THOMAS S. MONSON
olti anni fa, mentre ero a Londra, in Inghilterra, visitai la famosa galleria d’arte Tate. In diverse
stanze erano esposte le opere di Gainsborough, Rembrandt, Constable e di altri artisti rinomati.
Ammirai la loro bellezza e riconobbi la perizia necessaria per creare quei capolavori. Ma nascosto
in un angolo tranquillo del terzo piano, c’era un dipinto che non solo attirò la mia attenzione ma mi toccò
profondamente. L’artista, Frank Bramley, aveva dipinto un cottage modesto affacciato sul mare esposto al
vento. Due donne, la madre e la moglie di un pescatore assente, avevano vegliato e atteso tutta la notte per il
suo ritorno. Ora la notte era finita e si erano rese conto che egli era disperso in mare e non avrebbe fatto
ritorno. Inginocchiata accanto a sua suocera, con la testa sepolta nel grembo della donna anziana, la giovane
moglie piangeva disperata. La candela consumata sul davanzale della finestra mostrava quanto avevano
vegliato invano.
Percepii il dolore della giovane donna; sentivo la sua pena. L’incantevole e intensa iscrizione, creata
dall’artista per la sua opera descriveva la tragica storia, recitava Un’alba senza speranza.
Oh, quanto desiderava quella giovane donna il conforto e la realizzazione delle parole di Robert Louis
Stevenson in «Requiem»:
A casa è il marinaio, tornato dal mare,
E il cacciatore, tornato dalle colline.1
Tra tutti gli elementi della mortalità, nulla è altrettanto certo quanto la sua fine. La morte arriva per tutti; è la
nostra «eredità universale; essa può reclamare le sue vittime nell’infanzia o nella gioventù, [può arrivare]
nella primavera della vita o nel declino di essa, quando cioè le nevi dell’età si sono ammassate sulla testa…
degli uomini.
La morte può avvenire in conseguenza di un incidente o di una malattia, o… per cause naturali; ma venire
deve».2 Essa rappresenta inevitabilmente la perdita dolorosa di rapporti e, in modo particolare nei giovani,
un colpo tremendo ai sogni non realizzati, alle ambizioni inadempiute e alle speranze deluse.
M
140
Quale essere umano, di fronte alla perdita di una persona cara o egli stesso trovandosi sulla soglia
dell’infinito, non ha meditato su cosa ci sia oltre il velo che separa le cose visibili da quelle invisibili?
Secoli fa Giobbe, che era stato benedetto per lungo tempo con ogni tipo di dono materiale per poi trovarsi
dolorosamente afflitto da tutto quello che può accadere a un essere umano, sedette con i suoi compagni e
pronunciò la domanda senza tempo e senza età «se l’uomo muore, può egli tornare in vita?»3 Giobbe
espresse ciò su cui ogni altro uomo o donna vivente riflette.
In questa gloriosa mattina di Pasqua, desidero prendere in considerazione la domanda di Giobbe «se l’uomo
muore, può egli tornare in vita» e fornirne la risposta che non è solo il risultato di profonde considerazioni
ma proviene anche dalla parola rivelata di Dio. Comincio dalle cose principali.
Se in questo mondo in cui viviamo vi è un disegno, ci deve essere un Autore. Chi può contemplare le tante
meraviglie dell’universo senza credere che vi sia un disegno per tutta l’umanità? Chi può dubitare che vi sia
un Autore?
Nel libro della Genesi apprendiamo che il Grande Autore creò i cieli e la terra. «E la terra era informe e
vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso».
«Sia la luce», disse il Grande Autore, «e la luce fu». Egli creò il firmamento. Separò la terra dalle acque e
disse: «Produca la terra della verdura… degli alberi fruttiferi che, secondo la loro specie, portino del frutto
avente in sé la propria semenza».
Creò due luminari: il sole e la luna e, secondo il Suo disegno, anche le stelle. Ordinò che vi fossero creature
viventi nell’acqua e uccelli per volare sopra la terra. E così fu. Egli creò il bestiame, gli animali selvaggi e
ogni cosa che striscia. Il disegno era quasi completo.
In ultimo, Egli creò l’uomo a Sua immagine, li creò maschio e femmina, e diede loro il dominio su ogni cosa
vivente.4
Solo l’uomo ricevette l’intelligenza: un cervello, una mente e un’anima. Solo l’uomo, con questi attributi,
ebbe la capacità di aver fede e speranza, ispirazione e ambizioni.
Chi potrebbe sostenere in modo persuasivo che l’uomo, l’opera più nobile del Grande Autore, con il dominio
sopra tutte le creature viventi, con un cervello e una volontà, con una mente e un’anima, con l’intelligenza e
la divinità, debba finire quando lo spirito abbandona il suo tabernacolo terreno?
Per comprendere il significato della morte dobbiamo apprezzare lo scopo della vita. La debole luce della
fede deve lasciare il posto alla luce del sole splendente della rivelazione, tramite la quale sappiamo che noi
esistevamo prima della nostra nascita sulla terra. Nel nostro stato premortale, non avevamo dubbi quando,
in mezzo ai figli e alle figlie di Dio, gridammo di gioia per la possibilità di venire in questa esistenza mortale
difficile ma al contempo necessaria.5 Sapevamo che il nostro scopo era quello di ottenere un corpo fisico, di
superare delle prove e dimostrare che avremmo osservato i comandamenti di Dio. Il nostro Padre sapeva
che a causa della natura della mortalità, saremmo stati tentati, avremmo peccato e non saremmo stati
perfetti. In tal modo, per poter avere ogni possibilità di successo, Egli preparò un Salvatore che avrebbe
sofferto e sarebbe morto per noi. Non solo avrebbe espiato per i nostri peccati, ma, come parte di
quell’espiazione, Egli avrebbe anche vinto la morte fisica alla quale eravamo soggetti per via della caduta di
Adamo.
Così, più di duemila anni fa, Cristo, il nostro Salvatore, cominciò la Sua vita mortale in una stalla a
Betlemme. Il Messia a lungo profetizzato era venuto.
Sono state scritte poche cose sull’infanzia di Gesù. Mi piace molto il versetto in Luca: «E Gesù cresceva in
sapienza e in statura, e in grazia dinanzi a Dio e agli uomini».6 Mentre nel libro degli Atti, troviamo una
frase breve ma ricca di significato riguardo al Salvatore: «Egli è andato attorno facendo del bene».7
141
Venne battezzato da Giovanni nel Fiume Giordano. Chiamò i Dodici Apostoli; benedisse gli ammalati, fece
camminare gli storpi, vedere i ciechi, udire i sordi, e riportò persino in vita i morti. Egli insegnò, testimoniò e
ci diede l’esempio perfetto da seguire.
E poi la missione terrena del Salvatore del mondo giunse al termine. In una sala celebrò un’ultima cena con i
Suoi apostoli; davanti a Lui stavano il Getsemani e la croce del Calvario.
Nessun semplice mortale può concepire la piena importanza di ciò che Cristo fece per noi nel Getsemani.
Egli stesso in seguito descrisse così quest’esperienza: «[Le] sofferenze fecero sì che io stesso, Iddio, il più
grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo che nello spirito».8
In seguito all’agonia nel Getsemani, privo di forze, venne afferrato da mani dure e rudi e venne portato
davanti ad Anna, Caiàfa, Pilato ed Erode. Venne accusato e Gli imprecarono contro. Percosse violenti
indebolirono ulteriormente il Suo corpo sofferente. Il sangue Gli colò dal volto mentre sulla testa Gli veniva
infilata con forza una corona dolorosa fatta di spine taglienti che Gli ferirono la fronte. E poi, ancora una
volta venne portato da Pilato, che cedette alle grida della folla arrabbiata: «Crocifiggilo, crocifiggilo!»9
Venne frustato con una frusta formata da strisce di cuoio a cui erano intrecciati pezzi di metallo e ossa
taglienti. Alzandosi sotto la crudeltà del flagellatore, con passi malfermi portò la Sua croce finché non poté
andare oltre e un altro portò il carico per Lui.
In fine, su una collina chiamata Calvario, mentre i seguaci inermi stavano a guardare, il Suo corpo
martoriato venne inchiodato su una croce. Fu deriso, tormentato e beffeggiato senza pietà. Ma nonostante
questo gridò: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».10
Passarono ore agonizzanti mentre le sue forze Gli venivano meno. Dalle Sue labbra secche uscirono le
parole: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. E detto questo spirò».11
Quando la serenità e il sollievo di una morte misericordiosa Lo liberarono dai dolori della mortalità, Egli
ritornò alla presenza di Suo Padre.
Il Maestro all’ultimo momento avrebbe potuto tirarsi indietro, ma non lo fece. Passò al disotto di ogni cosa,
in modo da poter salvare ogni cosa. Il Suo corpo senza vita venne riposto affrettatamente ma delicatamente
in una tomba presa a prestito.
Nessuna parola nelle Scritture cristiane ha un significato più grande per me di quelle pronunciate
dall’angelo a Maria Maddalena che piangeva e all’altra Maria, quando, il primo giorno della settimana, si
recarono al sepolcro per prendersi cura del corpo del loro Signore. L’angelo disse:
«Perché cercate il vivente fra i morti?
Egli non è qui, ma è risuscitato».12
Il nostro Salvatore visse di nuovo. Era avvenuto l’evento più glorioso, confortante e rassicurante di tutti gli
eventi nella storia dell’umanità: la vittoria sulla morte. Il dolore e l’agonia nel Getsemani e sul Calvario
erano stati cancellati. La salvezza dell’umanità era stata assicurata. La caduta di Adamo era stata rivendicata.
La tomba vuota di quella prima mattina di Pasqua fu la risposta alla domanda di Giobbe: «Se l’uomo muore,
può egli tornare in vita?» A tutti coloro che sono alla portata della mia voce io dichiaro che se un uomo
muore, questi vivrà di nuovo. Lo sappiamo, perché abbiamo la luce della verità rivelata.
«Poiché per mezzo d’un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo d’un uomo è venuta la risurrezione
dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati».13
Ho letto e credo alle testimonianze di coloro che vissero le pene della crocifissione di Cristo e la gioia della
Sua risurrezione. Ho letto e credo alle testimonianze di coloro che ricevettero la visita nel Nuovo Mondo
dello stesso Signore risorto. Credo alla testimonianza di uno che, in questa dispensazione, ha parlato con il
Padre e il Figlio in un bosco, ora detto Sacro e che diede la sua vita, suggellando con il suo sangue quella
testimonianza. Egli dichiarò:
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«Ed ora, dopo le numerose testimonianze che sono state date di lui, questa è la testimonianza, l’ultima di
tutte, che diamo di lui: Che egli vive! Poiché lo vedemmo, sì, alla destra di Dio; e udimmo la voce che
portava testimonianza che egli è il Figlio Unigenito del Padre».14
Le tenebre della morte possono sempre essere disperse dalla luce della verità rivelata: «Io son la risurrezione
e la vita», disse il Maestro.15 «Io vi lascio pace; vi do la mia pace».16
Nel corso degli anni ho sentito e letto tante testimonianze da non poterle contare, condivise con me da
persone che attestano la realtà della risurrezione e che nelle ore di maggiore bisogno hanno ricevuto la pace
e il conforto promessi dal Salvatore.
Desidero condividere con voi una parte di una di queste testimonianze. Due settimane fa, ho ricevuto una
lettera commovente da un padre di sette figli che ha scritto riguardo alla sua famiglia e, in particolare, di suo
figlio Jason, che si era ammalato all’età di undici anni. Durante gli anni successivi, la malattia di Jason si
manifestò diverse volte. Questo padre ha parlato dell’atteggiamento positivo di Jason e del suo
temperamento allegro nonostante le difficoltà della sua malattia. Jason ricevette il Sacerdozio di Aaronne
all’età di dodici anni e «magnificò sempre volentieri le sue responsabilità con eccellenza, sia che si sentisse
bene o meno». Ricevette il suo riconoscimento di Scout Aquila quando aveva quattordici anni.
L’estate scorsa, non molto tempo dopo il suo quindicesimo compleanno, venne ricoverato di nuovo in
ospedale. In una delle sue visite, il padre trovò Jason con gli occhi chiusi. Non sapendo se fosse
addormentato o sveglio, cominciò a parlargli piano. «Jason», gli disse, «so che ne hai passate tante nella tua
breve vita e che la tua condizione attuale è difficile; benché tu abbia una grandissima battaglia davanti a te,
non voglio che tu perda mai la tua fede in Gesù Cristo». Ha detto che sobbalzò quando Jason aprì subito gli
occhi e disse: «Mai!» con voce chiara e risoluta. Jason poi chiuse gli occhi e non parlò più.
Suo padre ha scritto: «In questa sua semplice affermazione Jason espresse una delle testimonianze più
potenti e pure di Gesù Cristo che io abbia mai sentito … Mentre quel “mai!” si imprimeva nella mia anima
quel giorno, il mio cuore si riempì di gioia perché il mio Padre celeste mi aveva benedetto con la possibilità
di essere il padre di un figlio così meraviglioso e nobile … Quella fu l’ultima volta che lo sentii rendere la sua
testimonianza di Cristo».
Benché la sua famiglia pensasse che quello fosse solo un altro dei tanti ricoveri, Jason morì poco meno di due
settimane dopo. Un fratello e una sorella più grandi in quel momento stavano servendo la missione. Un altro
fratello, Kyle, aveva appena ricevuto la sua chiamata in missione. Infatti, la chiamata era arrivata prima del
previsto e il 5 agosto, solo una settimana prima della morte di Jason, la famiglia si era riunita nella sua stanza
di ospedale in modo che Kyle potesse aprire lì la sua chiamata e condividerla con tutta la famiglia.
Nella lettera che mi ha mandato questo padre, ha messo una foto di Jason nel letto dell’ospedale, con suo
fratello maggiore accanto che teneva la sua chiamata. Sotto la foto c’era questa didascalia: «Chiamati a
servire le loro missioni insieme: da entrambe le parti del velo».
Il fratello e la sorella di Jason che erano già in missione spedirono a casa delle lettere belle e confortanti da
essere lette al funerale. Sua sorella, che serviva nella missione di Buenos Aires Ovest, in Argentina, scrisse
come parte della lettera: «So che Gesù Cristo vive e poiché Egli vive, tutti noi, compreso il nostro caro Jason,
vivremo di nuovo … Possiamo trarre conforto nella conoscenza sicura che abbiamo che siamo stati suggellati
insieme come famiglia eterna … Se facciamo del nostro meglio per obbedire e migliorare in questa vita, lo
rivedremo [ancora]».
Continuava dicendo: «Un passo delle Scritture che mi è sempre piaciuto molto ora acquista un nuovo
significato e importanza … [In] Apocalisse capitolo 21, versetto 4 leggiamo: “E [Dio] asciugherà ogni lagrima
dagli occhi loro e la morte non sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di
prima sono passate”».
Miei cari fratelli e sorelle, nell’ora del più intenso dolore, possiamo ricevere una pace profonda dalle parole
dell’angelo in quel primo mattino di Pasqua: «Egli non è qui, poiché è risuscitato».17
143
È risorto! È risorto!
Innalziam felici un cor.
Dalla tomba liberato
è alla fine il Signor.
Morte mai più vincerà
perché in Cristo è libertà.18
Come uno dei Suoi testimoni speciali sulla terra oggi, in questa gloriosa domenica di Pasqua, dichiaro che
questo è vero, nel Suo sacro nome, il nome di Gesù Cristo, nostro Salvatore. Amen.
NOTE
1. Robert Louis Stevenson, “Requiem”, An Anthology of Modern Verse, a cura di A. Methuen (1921) 208.
2. James E. Talmage, Gesù il Cristo, 15.
3. Giobbe 14:14.
4. Vedere Genesi 1:1–27.
5. Vedere Giobbe 38:7.
6. Luca 2:52.
7. Atti 10:38.
8. Dottrina e Alleanze 19:18.
9. Luca 23:21.
10. Luca 23:34.
11. Luca 23:46.
12. Luca 24:5–6.
13. 1 Corinzi 15:21–22.
14. Dottrina e Alleanze 76:22–23.
15. Giovanni 11:25.
16. Giovanni 14:27.
17. Matteo 28:6.
18. «È risorto!» Inni, 118.
144
145
Io so che vive il Redentor! PRESIDENTE THOMAS S. MONSON
ecentemente stavo sfogliando alcuni album fotografici di famiglia. Mi sono venuti in mente tanti bei
ricordi nel rivedere le foto dei miei cari radunati in occasione di escursioni, compleanni, ritrovi,
anniversari. Da quando furono scattate le fotografie, alcune persone ritratte hanno lasciato questa
vita. Ho pensato alle parole del Signore: «Vivete insieme con amore, tanto da piangere per la perdita di
coloro che muoiono».1 Mi mancano tutti coloro che hanno lasciato il circolo familiare.
Benché difficile e dolorosa, la morte è una parte essenziale della nostra esperienza terrena. Iniziammo il
soggiorno su questa terra lasciando la nostra esistenza preterrena. Il poeta Wordsworth dipinse questo
viaggio nella sua ispirata Ode all’immortalità. Egli scrisse:
La nostra nascita è soltanto un sonno e un dimenticare; L’anima che si leva con noi, la stella della nostra vita, Ha avuto altrove la sua dimora, E viene da lontano; Non completamente dimentichi, Non completamente spogli, Ma accompagnati da nuvole di gloria, Noi veniamo da Dio, presso il quale è la nostra dimora. Nella nostra infanzia il cielo aleggia attorno a noi!2
La vita continua. La giovinezza segue la fanciullezza e il passaggio alla maturità è quasi impercettibile. Nel
ricercare e meditare lo scopo e i problemi della vita, tutti noi, prima o poi, affrontiamo la questione della
lunghezza dell’esistenza e di una vita personale infinita. Questi quesiti si fanno avanti più insistentemente
quando uno dei nostri cari ci lascia, o quando ci troviamo noi ad allontanarci da coloro che amiamo. In
questi momenti, meditiamo sulla domanda universale, ben formulata dall’antico Giobbe, che secoli fa chiese:
«Se l’uomo muore, può egli tornare in vita?»3
Oggi, come sempre, la voce dello scetticismo sfida la parola di Dio e ognuno di noi deve scegliere chi
ascoltare. Clarence Darrow, famoso avvocato agnostico, dichiarò: «Nessuna vita ha tanto valore e … ogni
morte non è che una piccola perdita».4 Schopenhauer, filosofo e pessimista tedesco, scrisse: «Desiderare
l’immortalità è desiderare il perpetuarsi eterno di un grande errore».5 Alle loro parole si aggiungono quelle
delle generazioni emergenti, quando gli uomini stolti crocifiggono di nuovo Cristo, modificando i Suoi
miracoli, dubitando della Sua divinità, rigettando la Sua risurrezione.
Robert Blatchford, nel suo libro God and My Neighbor attaccò con vigore i credi cristiani accettati, come Dio,
Cristo, la preghiera e l’immortalità. Con baldanza sostenne: «Rivendico di aver dimostrato in maniera tanto
completa e decisa tutto quanto avevo stabilito di provare, che nessun cristiano, per quanto grande o capace
sia, può replicare alle mie argomentazioni o scuotere le mie ragioni».6 Egli eresse attorno a sé un muro di
scetticismo, poi accadde un fatto sorprendente: improvvisamente questo muro crollò. Egli rimase esposto e
indifeso. Lentamente iniziò a ritrovare la via della fede che aveva disprezzato e messo in ridicolo.
Che cosa causò questo cambiamento profondo nel suo punto di vista? Era morta sua moglie. Con il cuore a
pezzi, entrò nella stanza dove giaceva tutto ciò che di lei era mortale. Guardò nuovamente il suo volto, che
tanto aveva amato. Uscì dalla stanza e disse ad un amico: «È lei, eppure non è lei. Tutto è cambiato. Qualcosa
che prima c’era è stato portato via. Non è la stessa. Che cosa potrebbe essersene andato, se non l’anima?»
R
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In seguito scrisse: «La morte non è ciò che alcune persone immaginano. È semplicemente come andare in
un’altra stanza, dove troveremo … i cari uomini e i dolci bambini che avevamo amato e perso».7
Contro il dubbio nel mondo moderno riguardo alla divinità di Cristo, cerchiamo un punto di riferimento,
una fonte inattaccabile, persino la professione di fede di un testimone oculare. Nei tempi biblici, Stefano,
condannato alla morte crudele del martirio, alzò gli occhi al cielo e gridò: «Io vedo i cieli aperti, e il Figliuol
dell’uomo in piè alla destra di Dio».8
Chi non è convinto dalla toccante testimonianza di Paolo resa ai Corinzi? Egli dichiarò «che Cristo è morto
per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture;
che apparve a Cefa, poi ai Dodici … e», disse Paolo, «ultimo di tutti, apparve anche a me».9
Nella nostra dispensazione questa stessa testimonianza fu proclamata coraggiosamente dal profeta Joseph
Smith e da Sidney Rigdon: «Ed ora, dopo le numerose testimonianze che sono state date di lui, questa è la
testimonianza, l’ultima di tutte, che diamo di lui: Che egli vive!»10
Questa è la conoscenza che sostiene. Questa è la verità che conforta. Questa è la rassicurazione che guida chi
è oppresso dal dolore, portandolo dalle tenebre alla luce.
La vigilia di Natale del 1997 incontrai una famiglia meravigliosa. Ogni suo componente aveva una
testimonianza incrollabile della verità e della realtà della risurrezione. La famiglia consisteva del padre, della
madre e di quattro figli, ognuno dei quali — tre maschi e una femmina — era nato con una forma rara di
distrofia muscolare, che lo rendeva disabile. Mark, che aveva allora sedici anni, aveva subito un intervento
di chirurgia spinale per permettergli di muoversi più liberamente. Gli altri due figli, Christopher, di tredici
anni, e Jason, di dieci, entro qualche giorno sarebbero andati in California per sottoporsi ad un intervento
simile. L’unica figlia, Shanna, era una bambina di cinque anni, una bellissima bambina. Tutti i figli erano
intelligenti e pieni di fede. Era ovvio che i genitori, Bill e Sherry, fossero fieri di ognuno di loro.
Trascorremmo un po’ di tempo insieme e lo spirito speciale di questa famiglia riempì il mio ufficio e il mio
cuore. Io e il padre benedicemmo i due figli che sarebbero stati operati, poi i genitori mi chiesero se la
piccola Shanna poteva cantare per me. Il padre mi spiegò che aveva una capacità polmonare ridotta e che
sarebbe stato difficile, ma che ella voleva tentare. Accompagnata da un nastro, cantò di un luminoso futuro
con una voce chiara e bellissima, senza perdere una nota:
Nel giorno splendido di cui ho sognato in un mondo che mi piacerebbe vedere, c’è un luogo meraviglioso dove il sole spunta e splende nel cielo per me. In questa bella mattina invernale, se i miei desideri potessero realizzarsi, in qualche modo, allora il giorno splendido di cui ho sognato sarebbe qui ed ora.11
Quando finì di cantare, le emozioni di tutti noi erano percepibili a fior di pelle. Quell’anno, la spiritualità di
quella visita influì sullo spirito del mio Natale.
Rimasi in contatto con la famiglia e quando il figlio maggiore, Mark, compì diciannove anni, furono presi
degli accordi affinché svolgesse una missione speciale presso la sede della Chiesa. In seguito anche agli altri
due fratelli è stata offerta la possibilità di svolgere missioni simili.
Quasi un anno fa Christopher, che aveva ventidue anni, soccombette alla malattia che aveva colpito anche i
suoi fratelli. Lo scorso settembre, poi, venni a sapere che la piccola Shanna, che aveva quattordici anni, era
deceduta. Al funerale fu reso grande onore a Shanna. Appoggiati al pulpito per sostenersi, i fratelli
sopravvissuti, Mark e Jason, raccontarono commoventi storie familiari. La madre cantò una dolce melodia
come parte di un duetto. Il padre e un nonno tennero sermoni toccanti.
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Sebbene il loro cuore fosse infranto, portarono una testimonianza possente e profonda della realtà della
risurrezione e del fatto che Shanna vive ancora, come pure suo fratello Christopher, che essi stanno
attendendo la riunione gloriosa con la loro famiglia.
Quando poi toccò a me parlare, raccontai di quando la famiglia venne nel mio ufficio quasi nove anni prima
e parlai della bella canzone che Shanna aveva cantato in quell’occasione. Conclusi così: «Poiché il nostro
Salvatore morì sul Calvario, la morte non tiene stretto a sé nessuno di noi. Shanna vive, sana e integra, e per
lei quel bel giorno di cui cantò quella speciale vigilia di Natale del 1997, il giorno di cui aveva sognato, è qui
ed ora».
Fratelli e sorelle, noi ridiamo, piangiamo, lavoriamo, giochiamo, amiamo, viviamo, poi moriamo. La morte è
la nostra eredità universale. Tutti dobbiamo passare per il suo portale. La morte rivendica gli anziani, gli
stanchi e gli esausti. Visita i giovani nel fiorire della speranza e nella gloria dell’aspettativa. Neppure gli
infanti sono esenti dalla sua morsa. Usando le parole dell’apostolo Paolo: «È stabilito che gli uomini
muoiano una volta sola».12
E morti rimarremmo, se non fosse per un Uomo e la Sua missione, sì, se non fosse per Gesù di Nazaret. Nato
in una stalla, messo a giacere in una mangiatoia, la Sua nascita adempì le dichiarazioni ispirate di molti
profeti. Egli fu istruito dall’alto. Fornì la vita, la luce e la via. Le moltitudini Lo seguirono. I bambini Lo
adoravano. I superbi Lo rigettarono. Egli parlò in parabole. Insegnò mediante l’esempio. Condusse
un’esistenza perfetta.
Benché il Re dei re e Signore dei signori fosse giunto, alcuni gli tributarono il saluto diretto ad un nemico, ad
un traditore. Seguirono le derisioni che alcuni chiamarono processo. Gridi di «Crocifiggilo,
crocifiggilo!»13 riempirono l’aria. Iniziò poi l’ascesa al Calvario.
Fu messo in ridicolo, insultato, deriso, schernito e inchiodato ad una croce in mezzo agli urli «Il Cristo, il Re
d’Israele, scenda ora giù di croce, affinché vediamo e crediamo!»14 «Ha salvato altri e non può salvar se
stesso!»15 Egli rispose: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».16 «Nelle tue mani rimetto
lo spirito mio. E detto questo spirò».17 Il Suo corpo fu deposto da mani amorevoli in un sepolcro scavato
nella roccia.
Il primo giorno della settimana, la mattina molto per tempo, Maria Maddalena e Maria, la madre di
Giacomo, insieme ad altre, si recarono al sepolcro. Con loro stupore, il corpo del loro Signore era scomparso.
Luca riporta che due uomini in vesti sfolgoranti apparvero dinanzi a loro e dissero: «Perché cercate il vivente
fra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato».18
La settimana prossima il mondo cristiano celebrerà l’evento più importante della storia conosciuta. Questa
semplice dichiarazione, «Egli non è qui, ma è risuscitato», fu la prima conferma della risurrezione letterale
del nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo. La tomba vuota quella prima mattina di Pasqua portò la
rassicurazione confortante, una risposta affermativa alla domanda di Giobbe: «Se l’uomo muore, può egli
tornare in vita?»19
A tutti coloro che hanno perso persone care, diciamo con la domanda di Giobbe tramutata in risposta: Se
l’uomo muore, egli tornerà in vita. Lo sappiamo, perché abbiamo la luce della verità rivelata. «Io son la
risurrezione e la vita», proferì il Maestro. «Chi crede in me, anche se muoia, vivrà; E chiunque vive e crede in
me, non morrà mai».20
Nelle lacrime e nelle prove, nel timore e nel dolore, nell’accoramento e nella solitudine per aver perso delle
persone care, c’è la rassicurazione che la vita è eterna. Il nostro Signore e Salvatore è il testimone vivente che
è proprio così.
Con tutto il cuore e il fervore della mia anima, elevo la mia voce come testimone speciale e attesto che Dio
vive davvero. Gesù è Suo Figlio, l’Unigenito Figliuolo del Padre nella carne.
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Egli è il nostro Redentore, il nostro Mediatore con il Padre. Fu Lui che morì sulla croce per espiare i nostri
peccati. Egli divenne la primizia della risurrezione. Poiché Egli morì, tutti vivremo di nuovo. «Io so che vive
il Redentor; qual gioia è ciò per il mio cuor».21 Prego umilmente che anche il mondo intero possa saperlo e
vivere secondo tale conoscenza. Nel nome di Gesù Cristo, il Signore e Salvatore. Amen.
NOTE
1. DeA 42:45.
2. William Wordsworth, «Ode: Intimations of Immortality from Recollections of Early Childhood», The Oxford Book of
English Verse: 1250–1900, edizione 1939, Arthur Quiller-Couch, 628.
3. Vedere Giobbe 14:14.
4. The Story of My Life (1932), capitolo 47, paragrafo 34.
5. Arthur Schopenhauer, The Home Book of Quotations, a cura di Burton Stevenson (1934), 969.
6. God and My Neighbor (1914).
7. Vedere More Things in Heaven and Earth: Adventures in Quest of a Soul (1925), 11.
8. Atti 7:56.
9. 1 Corinzi 15:3–5, 8.
10. DeA 76:22.
11. «The Beautiful Day», dal film Scrooge, 1970, musica e testi di Leslie Bricusse.
12. Ebrei 9:27.
13. Luca 23:21.
14. Marco 15:32.
15. Marco 15:31.
16. Luca 23:34.
17. Luca 23:46.
18. Luca 24:5–6.
19. Vedere Giobbe 14:14.
20. Giovanni 11:25–26.
21. «Io so che vive il Redentor», Inni, 82; vedere anche Giobbe 19:25.
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«Nella grammatica del Vangelo, la morte non è un punto esclamativo, ma soltanto una virgola».
Anziano Neal A. Maxwell
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N on sappiamo tutto ciò che ci aspetta. Viviamo in un mondo
delusioni. Per alcuni ci sarà molto divertimento e contentezza, buona salute
e una vita agiata, per altri forse malessere e una certa misura di dolore. Noi
non lo sappiamo.
Ma una cosa sappiamo:
Come la stella polare nella volta celeste, a prescindere dal futuro, lì si erge il
a
nostra vita immortale. Egli è la rocca della nostra salvezza, la nostra forza, il
guardiamo a Lui ed Egli è lì per rassicurarci e sorride su di noi.
Egli è al centro della nostra adorazione. Egli è il Figlio del Dio vivente, il
primizia di quelli che dormono» (1 Corinzi 15:20). Egli è il Signore che verrà
di nuovo «per regnare in terra sul suo popolo» (DeA 76:63; vedere anche
Michea 4:7; Apocalisse 11:15).
Nessun essere più grande ha mai camminato sulla terra. Nessun altro ha
mai compiuto un sacrificio paragonabile al Suo o concesso una benedizione
simile. Egli è il Salvatore e il Redentore del mondo. Credo in Lui. Proclamo
la Sua divinità senza equivoci né compromessi. Gli voglio bene. Pronuncio il
Suo nome con riverenza e stupore. Egli è il nostro Re, il nostro Signore, il
nostro Maestro, il Cristo vivente che sta alla destra del Padre.
Egli vive!
Egli vive, risplendente e meraviglioso,
il Figlio vivente del Dio vivente.
Presidente Gordon B. Hinckley
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La Pasqua afferma che potete anche mettere la verità in una tomba, tanto non vi resterà.
Clarence W. Hall
Potrebbe forse finire così la vita, lasciata a metà, e la sua scuola fallire?
!
Robert Mowry Bell
Tomba, tu non Lo tratterrai ancora;
La Morte è forte, la Vita ancor di più;
Più forte delle tenebre, la luce;
...
Phillips Brooks
Nostro Signore ha scritto la promessa della resurrezione non soltanto nei libri,
ma in ogni foglia di primavera.
Martin Lutero
«Parte del motivo per cui il Salvatore soffrì nel Getsemani fu affinché potesse avere una
compassione infinita per noi, quando passiamo attraverso prove e tribolazioni. Tramite la Sua
sofferenza nel Getsemani, il Salvatore si qualificò per essere il Giudice perfetto. Nessuno di noi potrà
avvicinarsi a Lui, nel Giorno
Anziano Glenn L. Pace
«Non vi sarebbe alcun Natale, se non vi fosse stata la Pasqua. Il Gesù fanciullo di Betlemme sarebbe
soltanto un altro bambino, senza il Cristo Redentore del Getsemani e del Calvario e senza la
trionfante realtà della Resurrezione».
Presidente Gordon B. Hinckley
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«Ecco, io vi dico che so veramente che Cristo verrà fra i figlioli degli uomini per prendere su di Sé le trasgressioni del suo popolo, e che egli espierà per i peccati del mondo; poiché il Signore Iddio lo ha detto [… ]
Poiché è opportuno che vi sia un grande e ultimo sacrificio; sì, non un sacrificio di uomini, né di bestie, né d'alcuna sorta di volatili; poiché non sarà un sacrificio umano; ma dovrà essere un sacrificio infinito ed eterno [… ]
Ed ecco, questo è l'intero significato della legge; ogni più piccola parte sta a indicare quel grande e ultimo sacrificio; e quel grande e ultimo sacrificio sarà quello del Figlio di Dio, sì, infinito ed eterno.
E così egli porterà la salvezza a tutti coloro che crederanno nel suo nome; poiché essendo questo l'intento di questo ultimo sacrificio: richiamare le viscere della misericordia, la quale vince la giustizia e procura agli uomini i mezzi perché possano aver fede fino a pentirsi.
E così la misericordia può soddisfare le esigenze della giustizia e le circonda con le braccia della salvezza».
(Alma 34:8, 10, 14-16)