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Pasqua 2013 «ECCO L’AGNELLO DI DIOPasqua 2013

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Pasqua 2013

«ECCO L’AGNELLO DI DIO!»

Pasqua 2013

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Pasqua 2013

essuna parola nelle Scritture cristiane ha un significato più grande

per me di quelle pronunciate dall’angelo a Maria Maddalena che

piangeva e all’altra Maria, quando, il primo giorno della settimana, si

recarono al sepolcro per prendersi cura del corpo del loro Signore.

L’angelo disse:

«Perché cercate il vivente fra i morti?

Egli non è qui, ma è risuscitato» (Luca 24:5-6).

Il nostro Salvatore visse di nuovo. Era avvenuto l’evento più glorioso,

confortante e rassicurante di tutti gli eventi nella storia dell’umanità: la

vittoria sulla morte. Il dolore e l’agonia nel Getsemani e sul Calvario

erano stati cancellati. La salvezza dell’umanità era stata assicurata. La

caduta di Adamo era stata rivendicata.

La tomba vuota di quella prima mattina di Pasqua fu la risposta alla

domanda di Giobbe: «Se l’uomo muore, può egli tornare in vita?» A tutti

coloro che sono alla portata della mia voce io dichiaro che se un uomo

muore, questi vivrà di nuovo. Lo sappiamo, perché abbiamo la luce della

verità rivelata. […]

«E [Dio] asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro e la morte non

sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le

cose di prima sono passate» (Apocalisse 21:4).

Miei cari fratelli e sorelle, nell’ora del più intenso dolore, possiamo

ricevere una pace profonda dalle parole dell’angelo in quel primo

mattino di Pasqua: «Egli non è qui, poiché è risuscitato» (Matteo 28:6).

Presidente Thomas S. Monson

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INDICE

Scritture sull’Espiazione di Gesù Cristo i

«Ecco l’Agnello di Dio» - David R. e Jo Ann H. Seely 1

La Resurrezione come foglia d’olivo: Una meditazione – George S. Tate 17

Comprendere la Resurrezione – Donald W. e Jay A. Parry 27

Rappresentare la Resurrezione – Herman Du Toit 29

Le qualità uniche e supreme di Gesù il Cristo – Terry B. Ball 35

Gesù Cristo: Il Salvatore che conosce – Frank F. Judd, Jr. 39

L’Espiazione: Tutto per tutti – Anziano Bruce C. Hafen 49

L’Espiazione e il valore di una sola anima – Anziano M. Russell Ballard 53

La Resurrezione – Anziano Robert D. Hales 57

«Egli guarisce gli oppressi» - Anziano Dallin H. Oaks 65

«L’Espiazione: La nostra più grande speranza» - Presidente James E. Faust 69

«È compiuto» - Anziano John H. Groberg 75

Al minimo, all’ultimo e al perduto – Richard N. Holzapfel e Kent P. Jackson 83

Lezioni dall’Espiazione – Anziano Merrill J. Bateman 87

L’Espiazione e il viaggio della vita terrena – Anziano David A. Bednar 95

La domenica arriverà – Anziano Joseph B. Wirthlin 101

Nessuno era con Lui – Anziano Jeffrey R. Holland 105

L’Espiazione può guarire tutto il dolore – Anziano Kent F. Richards 109

«Più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati» - Anziano Paul V. Johnson 113

Il miracolo dell’Espiazione – Anziano C. Scott Grow 117

«Perché io vivo e voi vivrete» - Anziano Shayne M. Bowen 121

La fede nell’Espiazione di Gesù Cristo è scritta nel nostro cuore? – Linda K. Burton 125

L’Espiazione – Presidente Boyd K. Packer 131

Signora Patton: la storia continua – Presidente Thomas S. Monson 135

«È risorto!» - Presidente Thomas S. Monson 139

«Io so che vive il Redentor» - Presidente Thomas S. Monson 145

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«E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né fatica, perché le cose di prima son passate».

(Apocalisse 21:4)

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Scritture SULL ’ESPIAZIONE DI GESÙ CRISTO

«Noi crediamo che tramite l'espiazione di Cristo tutta l'umanità può essere salvata,

mediante l'obbedienza alle leggi e alle ordinanze del Vangelo» (AdF 1:3).

«Poiché ecco, questa è la mia opera e la mia gloria: fare avverare l'immortalità e la

vita eterna dell'uomo» (Mosè 1:39).

«E il Signore disse: Chi manderò? E rispose uno, simile al Figlio dell'Uomo:

Eccomi, manda me. E un altro rispose, e disse: Eccomi, manda me.

E il Signore disse: Manderò il primo» (Abrahamo 3:27).

«E Adamo ed Eva, sua moglie, invocarono il nome del Signore, e udirono la voce del Signore che

parlava loro dalla direzione verso il Giardino di Eden; ma non Lo videro, poiché erano esclusi dalla

sua presenza.

Ed Egli diede loro dei comandamenti: che adorassero il Signore loro Dio, e offrissero i primogeniti

dei loro greggi come offerta al Signore. E Adamo fu obbediente ai comandamenti del Signore.

E dopo molti giorni, un angelo del Signore apparve ad Adamo, dicendo: Perché offri dei sacrifici al

Signore? E Adamo gli disse: Non so, salvo che il Signore me lo ha comandato.

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E allora l'angelo parlò, dicendo: Ciò è a similitudine del sacrificio dell'Unigenito del Padre, che è

pieno di grazia e di verità. Fai dunque tutto ciò che fai nel nome del Figlio, e pentiti, e invoca Dio nel

nome del Figlio, da ora e per sempre.

E in quel giorno scese su Adamo lo Spirito Santo, che porta testimonianza del Padre e del Figlio,

dicendo: Io sono l'Unigenito del Padre fin dal principio, d'ora innanzi e per sempre, affinché, poiché

sei caduto, tu possa essere redento, e tutta l'umanità, sì, tutti coloro che vorranno.

E in quel giorno Adamo benedisse Dio e fu riempito di Spirito, e cominciò a profetizzare riguardo a

tutte le famiglie della terra, dicendo: Benedetto sia il nome di Dio, poiché a motivo della mia

trasgressione i miei occhi sono aperti, e in questa vita avrò gioia, e di nuovo nella carne vedrò Dio.

Ed Eva, sua moglie, udì tutte queste cose e fu contenta, e disse: Se non fosse stato per la nostra

trasgressione, non avremmo mai avuto una posterità e non avremmo mai conosciuto il bene e il

male, e la gioia della nostra redenzione, e la vita eterna che Dio dà a tutti gli obbedienti» (Mosè 5:4-

11).

«E avvenne che il Dio del cielo guardò il resto del popolo e pianse; ed Enoc ne portò testimonianza,

dicendo: Come è possibile che i cieli piangano e versino le loro lacrime come la pioggia sulle

montagne?

Come è possibile che tu possa piangere, visto che sei santo, e da tutta l'eternità a tutta l'eternità?

E se fosse possibile che l'uomo potesse contare le particelle della terra, e i milioni di terre come

questa, non sarebbe neppure il principio del numero delle tue creazioni; e le tue cortine sono ancora

distese; e tuttavia tu sei là, e il tuo seno è là; e anche sei giusto, sei misericordioso e benevolo per

sempre. E hai preso Sion nel tuo seno, da tutte le tue creazioni, da tutta l'eternità a tutta l'eternità; e

nulla, se non la pace, la giustizia e la verità, sono la dimora del tuo trono; e la misericordia andrà

dinanzi al tuo volto e non avrà fine; come è possibile che tu possa piangere?

Il Signore disse ad Enoc: Guarda questi tuoi fratelli; sono l'opera della mie mani, e io diedi loro la

conoscenza che hanno, nel giorno in cui li creai; e nel Giardino di Eden diedi all'uomo il suo libero

arbitrio; E ai tuoi fratelli ho detto, e ho dato anche un comandamento, che si amassero l'un l'altro e

che scegliessero me, loro Padre; ma ecco, sono senza affezione e odiano il loro stesso sangue; E il

fuoco della mia indignazione è acceso contro di loro; e nel mio bruciante dispiacere manderò su di

loro il diluvio, poiché la mia collera ardente è accesa contro di loro.

Ecco, io sono Dio; Uomo di Santità è il mio nome; Uomo di Consiglio è il mio nome; e Infinito ed

Eterno è anche il mio nome. Pertanto, posso stendere le mani e tenere tutte le creazioni che ho fatto;

e anche i miei occhi possono penetrarle, e fra tutte le opere delle mie mani non v'è mai stata

malvagità così grande come fra i tuoi fratelli. Ma ecco, i loro peccati saranno sul capo dei loro padri;

Satana sarà loro padre e l'infelicità sarà la loro sorte; e il cielo intero piangerà su di loro, sì, tutta

l'opera delle mie mani: non piangeranno dunque i cieli, vedendo che questi dovranno soffrire? Ma

ecco, questi sui quali stanno i tuoi occhi, periranno nel diluvio; ed ecco, io li rinchiuderò; ho

preparato una prigione per loro.

E colui che ho scelto ha interceduto dinanzi al mio volto. Pertanto, egli soffre per i loro peccati; nella

misura in cui si pentiranno nel giorno in cui il mio Eletto ritornerà a me, e fino a quel giorno essi

rimarranno nei tormenti; Pertanto, è per questo che i cieli piangeranno, sì, e tutte le opere delle mie

mani.

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E avvenne che il Signore parlò ad Enoc e narrò ad Enoc tutte le azioni dei figlioli degli uomini;

pertanto Enoc conobbe e vide la loro malvagità e la loro infelicità, e pianse, e stese le braccia, e il suo

cuore si gonfiò, vasto come l'eternità; e le sue viscere si impietosirono e tutta l'eternità fu scossa.

Ed Enoc vide anche Noè e la sua famiglia; e vide che la posterità di tutti i figli di Noè sarebbe stata

salvata con una salvezza materiale; Enoc vide dunque che Noè costruì un'arca; e che il Signore sorrise

su di essa e la tenne nella Sua mano; ma sul resto dei malvagi venne il diluvio e li inghiottì.

E quando Enoc vide ciò, ebbe amarezza nell'anima e pianse sui suoi fratelli, e disse ai cieli: Rifiuterò

d'essere consolato; ma il Signore disse ad Enoc: Rincuorati e sii contento; e guarda.

E avvenne che Enoc guardò; e dopo Noè, vide tutte le famiglie della terra; e gridò al Signore, dicendo:

Quando verrà il giorno del Signore? Quando sarà versato il sangue del Giusto, affinché tutti coloro

che piangono possano essere santificati e avere vita eterna?

Ed ecco, Enoc vide il giorno della venuta del Figlio dell'Uomo, sì, nella carne; e la sua anima gioì e

disse: Il Giusto è elevato e l'Agnello è immolato fin dalla fondazione del mondo; e tramite la fede io

sono nel seno del Padre; ed ecco, Sion è con me» (Mosè 7:28-47).

«Ecco, io sono Colui che fu preparato fin dalla fondazione del mondo per redimere il mio popolo.

Ecco, io sono Gesù Cristo. Sono il Padre e il Figlio. In me tutta l'umanità avrà vita, e ciò eternamente,

ossia, coloro che crederanno nel mio nome; e diverranno miei figli e mie figlie» (Ether 3:14).

«E Isacco parlò ad Abrahamo suo padre e disse: 'Padre mio!' Abrahamo rispose: 'Eccomi qui, figlio

mio'. E Isacco: 'Ecco il fuoco e le legna; ma dov'è l'agnello per l'olocausto?'

Abrahamo rispose: 'Figliuol mio, Iddio se lo provvederà l'agnello per l'olocausto'» (Genesi 22:7-8).

«L'Eterno parlò a Mosè e ad Aaronne nel paese d'Egit

dei mesi: sarà per voi il primo dei mesi dell'anno. Parlate a tutta la raunanza d'Israele, e dite:

Il decimo giorno di questo mese, prenda ognuno un agnello per famiglia, un agnello per casa; e se la

casa è troppo poco numerosa per un agnello, se ne prenda uno in comune col vicino di casa più

prossimo, tenendo conto del numero delle persone; voi conterete ogni persona secondo quel che può

mangiare dell'agnello.

Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, dell'anno; potrete prendere un agnello o un capretto. Lo

serberete fino al quattordicesimo giorno di questo mese, e tutta la raunanza d'Israele, congregata, lo

immolerà sull'imbrunire.

E si prenda del sangue d'esso, e si metta sui due stipiti e sull'architrave della porta delle case dove lo

si mangerà. E se ne mangi la carne in quella notte; si mangi arrostita al fuoco, con pane senza lievito

e con dell'erbe amare. Non ne mangiate niente di poco cotto o di lessato nell'acqua, ma sia arrostito

al fuoco, con la testa, le gambe e le interiora. E non ne lasciate nulla di resto fino alla mattina; e quel

che ne sarà rimasto fino alla mattina, bruciatelo col fuoco.

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E mangiatelo in questa maniera: coi vostri fianchi cinti, coi vostri calzari ai piedi e col vostro bastone

in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua dell'Eterno.

Quella notte io passerò per il paese d'Egitto, e percoterò ogni primogenito nel paese d'Egitto, tanto

degli uomini quanto degli animali, e farò giustizia di tutti gli dèi d'Egitto. Io sono l'Eterno.

E quel sangue vi servirà di segno sulle case dove sarete; e quand'io vedrò il sangue passerò oltre, e

non vi sarà piaga su voi per distruggervi, quando percoterò il paese d'Egitto.

Quel giorno sarà per voi un giorno di ricordanza, e lo celebrerete come una festa in onore

dell'Eterno; lo celebrerete d'età in età come una festa d'istituzione perpetua.

Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case;

poiché, chiunque mangerà pane lievitato, dal primo giorno fino al settimo sarà reciso da Israele. E il

primo giorno avrete una santa convocazione, e una santa convocazione il settimo giorno. Non si

faccia alcun lavoro in que' giorni; si prepari soltanto quel ch'è necessario a ciascuno per mangiare, e

non altro.

Osservate dunque la festa degli azzimi; poiché in quel medesimo giorno io avrò tratto le vostre

schiere dal paese d'Egitto; osservate dunque quel giorno d'età in età, come una istituzione perpetua.

Mangiate pani azzimi dalla sera del quattordicesimo giorno del mese, fino alla sera del ventunesimo

giorno. Per sette giorni non si trovi lievito nelle vostre case; perché chiunque mangerà qualcosa di

lievitato, quel tale sarà reciso dalla raunanza d'Israele: sia egli forestiero o nativo del paese. Non

mangiate nulla di lievitato; in tutte le vostre dimore mangiate pani azzimi'.

Mosè dunque chiamò tutti gli anziani d'Israele, e disse loro: 'Sceglietevi e prendetevi degli agnelli per

le vostre famiglie, e immolate la Pasqua. E prendete un mazzetto d'issopo, intingetelo nel sangue che

sarà nel bacino, e spruzzate di quel sangue che sarà nel bacino, l'architrave e i due stipiti delle porte; e

nessuno di voi varchi la porta di casa sua, fino al mattino. Poiché l'Eterno passerà per colpire gli

Egiziani; e quando vedrà il sangue sull'architrave e sugli stipiti, l'Eterno passerà oltre la porta, e non

permetterà al distruttore d'entrare nelle vostre case per colpirvi.

Osservate dunque questo come una istituzione perpetua per voi e per i vostri figliuoli. E quando

sarete entrati nel paese che l'Eterno vi darà, conforme ha promesso, osservate questo rito; e quando i

vostri figliuoli vi diranno: Che significa per voi questo rito? risponderete: Questo è il sacrifizio della

Pasqua in onore dell'Eterno, il quale passò oltre le case dei figliuoli d'Israele in Egitto, quando colpì

gli Egiziani e salvò le nostre case'.

E il popolo s'inchinò e adorò. E i figliuoli d'Israele andarono, e fecero così; fecero come l'Eterno

aveva ordinato a Mosè e ad Aaronne.

E avvenne che, alla mezzanotte, l'Eterno colpì tutti i primogeniti nel paese di Egitto, dal primogenito

di Faraone che sedeva sul suo trono al primogenito del carcerato ch'era in prigione, e tutti i

primogeniti del bestiame. E Faraone si alzò di notte: egli e tutti i suoi servitori e tutti gli Egiziani; e vi

fu un gran grido in Egitto, perché non c'era casa dove non fosse un morto.

Ed egli chiamò Mosè ed Aaronne, di notte, e disse: 'Levatevi, partite di mezzo al mio popolo, voi e i

figliuoli d'Israele; e andate, servite l'Eterno, come avete detto. Prendete i vostri greggi e i vostri

armenti, come avete detto; andatevene, e benedite anche me!' E gli Egiziani facevano forza al popolo

per affrettarne la partenza dal paese, perché dicevano: 'Noi siamo tutti morti'.

Il popolo portò via la sua pasta prima che fosse lievitata; avvolse le sue madie ne' suoi vestiti e se le

mise sulle spalle. Or i figliuoli d'Israele fecero come Mosè avea detto: domandarono agli Egiziani

degli oggetti d'argento, degli oggetti d'oro e de' vestiti; e l'Eterno fece entrare il popolo nelle buone

grazie degli Egiziani, che gli dettero quel che domandava. Così spogliarono gli Egiziani.

I figliuoli d'Israele partirono da Ramses per Succoth, in numero di circa seicentomila uomini a piedi,

senza contare i fanciulli. E una folla di gente d'ogni specie salì anch'essa con loro; e avevano pure

greggi, armenti, bestiame in grandissima quantità.

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E cossero la pasta che avean portata dall'Egitto, e ne fecero delle focacce azzime; poiché la pasta non

era lievitata, essendo essi stati cacciati dall'Egitto senza poter indugiare e senza potersi prendere

provvisioni di sorta.

Or la dimora che i figliuoli d'Israele fecero in Egitto fu di quattrocentotrent'anni. E al termine di

quattrocentotrent'anni, proprio il giorno che finiva, avvenne che tutte le schiere dell'Eterno uscirono

dal paese d'Egitto.

Questa è una notte da celebrarsi in onore dell'Eterno, perché ei li trasse dal paese d'Egitto; questa è

una notte consacrata all'Eterno, per essere osservata da tutti i figliuoli d'Israele, d'età in età.

E l'Eterno disse a Mosè e ad Aaronne: 'Questa è la norma della Pasqua: Nessuno straniero ne mangi;

ma qualunque servo, comprato a prezzo di danaro, dopo che l'avrai circonciso, potrà mangiarne.

L'avventizio e il mercenario non ne mangino.

Si mangi ogni agnello in una medesima casa; non portate fuori nulla della carne d'esso, e non ne

spezzate alcun osso. Tutta la raunanza d'Israele celebri la Pasqua.

E quando uno straniero soggiornerà teco e vorrà far la Pasqua in onore dell'Eterno, siano circoncisi

prima tutti i maschi della sua famiglia; e poi s'accosti pure per farla, e sia come un nativo del paese;

ma nessun incirconciso ne mangi. Siavi un'unica legge per il nativo del paese e per lo straniero che

soggiorna tra voi'.

Tutti i figliuoli d'Israele fecero così; fecero come l'Eterno aveva ordinato a Mosè e ad Aaronne.

E avvenne che in quel medesimo giorno l'Eterno trasse i figliuoli d'Israele dal paese d'Egitto, secondo

le loro schiere (Esodo 12-13).

«Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si leverà sulla terra. Dopo che questa mia pelle sarà

distrutta, nella mia carne vedrò Dio» (Giobbe 19:25-26; Nuova Diodati).

«Chi ha creduto a quel che noi abbiamo annunziato? e a chi è stato rivelato il braccio dell'Eterno?

Egli è venuto su dinanzi a lui come un rampollo, come una radice ch'esce da un arido suolo; non

avea forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza, da farcelo desiderare.

Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare col patire, pari a colui dinanzi al

quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.

E, nondimeno, eran le nostre malattie ch'egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s'era caricato;

e noi lo reputavamo colpito, battuto da Dio, ed umiliato!

Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il

castigo, per cui abbiam pace, è stato su lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione.

Noi tutti eravamo erranti come pecore, ognuno di noi seguiva la sua propria via; e l'Eterno ha fatto

cader su lui l'iniquità di noi tutti.

Maltrattato, umiliò se stesso, e non aperse la bocca. Come l'agnello menato allo scannatoio, come la

pecora muta dinanzi a chi la tosa, egli non aperse la bocca.

Dall'oppressione e dal giudizio fu portato via; e fra quelli della sua generazione chi rifletté ch'egli era

strappato dalla terra de' viventi e colpito a motivo delle trasgressioni del mio popolo?

Gli avevano assegnata la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato col ricco, perché non

aveva commesso violenze né v'era stata frode nella sua bocca.

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Ma piacque all'Eterno di fiaccarlo coi patimenti. Dopo aver dato la sua vita in sacrifizio per la colpa,

egli vedrà una progenie, prolungherà i suoi giorni, e l'opera dell'Eterno prospererà nelle sue mani.

Egli vedrà il frutto del tormento dell'anima sua, e ne sarà saziato; per la sua conoscenza, il mio servo,

il giusto, renderà giusti i molti, e si caricherà egli stesso delle loro iniquità.

Perciò io gli darò la sua parte fra i grandi, ed egli dividerà il bottino coi potenti, perché ha dato se

stesso alla morte, ed è stato annoverato fra i trasgressori, perch'egli ha portato i peccati di molti, e ha

interceduto per i trasgressori» (Isaia 53).

«La mano dell'Eterno fu sopra di me, e l'Eterno mi trasportò in ispirito, e mi depose in mezzo a una

valle ch'era piena d'ossa.

E mi fece passare presso d'esse, tutt'attorno; ed ecco erano numerosissime sulla superficie della valle

ed erano anche molto secche.

E mi disse: 'Figliuol d'uomo, queste ossa potrebbero esse rivivere?' E io risposi: 'O Signore, o Eterno,

tu il sai'.

Ed egli mi disse: 'Profetizza su queste ossa, e di' loro: Ossa secche, ascoltate la parola dell'Eterno!

Così dice il Signore, l'Eterno, a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito, e voi rivivrete; e

metterò su voi de' muscoli, farò nascere su voi della carne, vi coprirò di pelle, metterò in voi lo

spirito, e rivivrete; e conoscerete che io sono l'Eterno'.

E io profetizzai come mi era stato comandato; e come io profetizzavo, si fece un rumore; ed ecco un

movimento, e le ossa si accostarono le une alle altre.

Io guardai, ed ecco venir su d'esse de' muscoli, crescervi della carne, e la pelle ricoprirle; ma non c'era

in esse spirito alcuno.

Allora egli mi disse: 'Profetizza allo spirito, profetizza, figliuol d'uomo, e di' allo spirito: Così parla il

Signore, l'Eterno: Vieni dai quattro venti, o spirito, soffia su questi uccisi, e fa' che rivivano!'

E io profetizzai, com'egli m'aveva comandato; e lo spirito entrò in essi, e tornarono alla vita, e si

rizzarono in piedi: erano un esercito grande, grandissimo.

Ed egli mi disse: 'Figliuol d'uomo, queste ossa sono tutta la casa d'Israele. Ecco, essi dicono: - Le

nostre ossa sono secche, la nostra speranza è perita noi siam perduti! -

Perciò, profetizza e di' loro: Così parla il Signore, l'Eterno: Ecco, io aprirò i vostri sepolcri, vi trarrò

fuori dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d'Israele.

E voi conoscerete che io sono l'Eterno, quando aprirò i vostri sepolcri e vi trarrò fuori dalle vostre

tombe, o popolo mio!

E metterò in voi il mio spirito, e voi tornerete alla vita; vi porrò sul vostro suolo, e conoscerete che io,

l'Eterno, ho parlato e ho messo la cosa ad effetto, dice l'Eterno'» (Ezechiele 37:1-14).

«Ed avvenne che quando Gesù ebbe finiti tutti questi ragionamenti, disse ai suoi discepoli: voi sapete

che fra due giorni è la Pasqua, e il Figliuol dell'uomo sarà consegnato per esser crocifisso.

Allora i capi sacerdoti e gli anziani del popolo si raunarono nella corte del sommo sacerdote detto

Caiàfa, e deliberarono nel loro consiglio di pigliar Gesù con inganno e di farlo morire. Ma dicevano:

Non durante la festa, perché non accada tumulto nel popolo.

Or essendo Gesù in Betania, in casa di Simone il lebbroso, venne a lui una donna che aveva un

alabastro d'olio odorifero di gran prezzo, e lo versò sul capo di lui che stava a tavola.

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Veduto ciò, i discepoli furono indignati e dissero: A che questa perdita? Poiché quest'olio si sarebbe

potuto vender caro, e il denaro darlo ai poveri.

Ma Gesù, accortosene, disse loro: Perché date noia a questa donna? Ella ha fatto un'azione buona

verso di me. Perché i poveri li avete sempre con voi; ma me non mi avete sempre. Poiché costei,

versando quest'olio sul mio corpo, l'ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico che per

tutto il mondo, dovunque sarà predicato questo evangelo, anche quello che costei ha fatto, sarà

raccontato in memoria di lei.

Allora uno dei dodici, detto Giuda Iscariot, andò dai capi sacerdoti e disse loro: Che mi volete dare, e

io ve lo consegnerò? Ed essi gli contarono trenta sicli d'argento. E da quell'ora cercava il momento

opportuno di tradirlo.

Or il primo giorno degli azzimi, i discepoli s'accostarono a Gesù e gli dissero: Dove vuoi che ti

prepariamo da mangiar la pasqua?

Ed egli disse: Andate in città dal tale, e ditegli: Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la pasqua

da te, co' miei discepoli.

E i discepoli fecero come Gesù avea loro ordinato, e prepararono la pasqua.

E quando fu sera, si mise a tavola co' dodici discepoli. E mentre mangiavano, disse: In verità io vi

dico: Uno di voi mi tradirà.

Ed essi, grandemente attristati, cominciarono a dirgli ad uno ad uno: Sono io quello, Signore?

Ma egli, rispondendo, disse: Colui che ha messo con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Certo,

il Figliuol dell'uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell'uomo per cui il Figliuol dell'uomo

è tradito! Meglio sarebbe per cotest'uomo, se non fosse mai nato.

E Giuda, che lo tradiva, prese a dire: Sono io quello, Maestro? E Gesù a lui: L'hai detto.

Or mentre mangiavano, Gesù prese del pane; e fatta la benedizione, lo ruppe, e dandolo a' suoi

discepoli, disse: Prendete, mangiate, questo è il mio corpo.

Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio

sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per la remissione dei peccati.

Io vi dico che d'ora in poi non berrò più di questo frutto della vigna, fino al giorno che lo berrò

nuovo con voi nel regno del Padre mio.

E dopo ch'ebbero cantato l'inno, uscirono per andare al monte degli Ulivi.

Allora Gesù disse loro: Questa notte voi tutti avrete in me un'occasion di caduta; perché è scritto: Io

percoterò il pastore, e le pecore della greggia saranno disperse. Ma dopo che sarò risuscitato, vi

precederò in Galilea.

Ma Pietro, rispondendo, gli disse: Quand'anche tu fossi per tutti un'occasion di caduta, non lo sarai

mai per me.

Gesù gli disse: In verità ti dico che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre

volte.

E Pietro a lui: Quand'anche mi convenisse morir teco, non però ti rinnegherò. E lo stesso dissero

pure tutti i discepoli.

Allora Gesù venne con loro in un podere detto Getsemani, e disse ai discepoli: Sedete qui finché io

sia andato là ed abbia orato.

E presi seco Pietro e i due figliuoli di Zebedeo, cominciò ad esser contristato ed angosciato.

Allora disse loro: L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate meco.

E andato un poco innanzi, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: Padre mio, se è

possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi.

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Poi venne a' discepoli, e li trovò che dormivano, e disse a Pietro: Così, non siete stati capaci di vegliar

meco un'ora sola? Vegliate ed orate, affinché non cadiate in tentazione; ben è lo spirito pronto, ma la

carne è debole.

Di nuovo, per la seconda volta, andò e pregò, dicendo: Padre mio, se non è possibile che questo

calice passi oltre da me, senza ch'io lo beva, sia fatta la tua volontà.

E tornato, li trovò che dormivano perché gli occhi loro erano aggravati. E lasciatili, andò di nuovo e

pregò per la terza volta, ripetendo le medesime parole.

Poi venne ai discepoli e disse loro: Dormite pure oramai, e riposatevi! Ecco, l'ora è giunta, e il

Figliuol dell'uomo è dato nelle mani dei peccatori. Levatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce è

vicino.

E mentre parlava ancora, ecco arrivar Giuda, uno dei dodici, e con lui una gran turba con spade e

bastoni, da parte de' capi sacerdoti e degli anziani del popolo.

Or colui che lo tradiva, avea dato loro un segnale, dicendo: Quello che bacerò, è lui; pigliatelo. E in

quell'istante, accostatosi a Gesù, gli disse: Ti saluto, Maestro! e gli dette un lungo bacio.

Ma Gesù gli disse: Amico, a far che sei tu qui? Allora, accostatisi, gli misero le mani addosso, e lo

presero.

Ed ecco, un di coloro ch'eran con lui, stesa la mano alla spada, la sfoderò; e percosso il servitore del

sommo sacerdote, gli spiccò l'orecchio. Allora Gesù gli disse: Riponi la tua spada al suo posto, perché

tutti quelli che prendon la spada, periscon per la spada. Credi tu forse ch'io non potrei pregare il

Padre mio che mi manderebbe in quest'istante più di dodici legioni d'angeli? Come dunque si

adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che così avvenga?

In quel punto Gesù disse alle turbe: Voi siete usciti con spade e bastoni come contro ad un ladrone,

per pigliarmi. Ogni giorno sedevo nel tempio ad insegnare, e voi non m'avete preso; ma tutto questo

è avvenuto affinché si adempissero le scritture dei profeti. Allora tutti i discepoli, lasciatolo, se ne

fuggirono.

Or quelli che aveano preso Gesù, lo menarono a Caiàfa, sommo sacerdote, presso il quale erano

raunati gli scribi e gli anziani.

E Pietro lo seguiva da lontano, finché giunsero alla corte del sommo sacerdote; ed entrato dentro, si

pose a sedere con le guardie, per veder la fine.

Or i capi sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro a Gesù per farlo

morire; e non ne trovavano alcuna, benché si fossero fatti avanti molti falsi testimoni.

Finalmente, se ne fecero avanti due che dissero: Costui ha detto: Io posso disfare il tempio di Dio e

riedificarlo in tre giorni.

E il sommo sacerdote, levatosi in piedi, gli disse: Non rispondi tu nulla? Che testimoniano costoro

contro a te? Ma Gesù taceva.

E il sommo sacerdote gli disse: Ti scongiuro per l'Iddio vivente a dirci se tu se' il Cristo, il Figliuol di

Dio.

Gesù gli rispose: Tu l'hai detto; anzi vi dico che da ora innanzi vedrete il Figliuol dell'uomo sedere

alla destra della Potenza, e venire su le nuvole del cielo.

Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti, dicendo: Egli ha bestemmiato; che bisogno abbiamo

più di testimoni? Ecco, ora avete udito la sua bestemmia. Che ve ne pare? Ed essi, rispondendo,

dissero: È reo di morte.

Allora gli sputarono in viso e gli diedero de' pugni; e altri lo schiaffeggiarono, dicendo: O Cristo

profeta, indovinaci: Chi t'ha percosso?

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Pietro, intanto, stava seduto fuori nella corte; e una serva gli si accostò, dicendo: Anche tu eri con

Gesù il Galileo.

Ma egli lo negò davanti a tutti, dicendo: Non so quel che tu dica.

E come fu uscito fuori nell'antiporto, un'altra lo vide e disse a coloro ch'eran quivi: Anche costui era

con Gesù Nazareno.

Ed egli daccapo lo negò giurando: Non conosco quell'uomo.

Di lì a poco, gli astanti, accostatisi, dissero a Pietro: Per certo tu pure sei di quelli, perché anche la tua

parlata ti dà a conoscere.

Allora egli cominciò ad imprecare ed a giurare: Non conosco quell'uomo! E in quell'istante il gallo

cantò.

E Pietro si ricordò della parola di Gesù che gli aveva detto: Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai

tre volte. E uscito fuori, pianse amaramente.

Poi, venuta la mattina, tutti i capi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro a Gesù

per farlo morire.

E legatolo, lo menarono via e lo consegnarono a Pilato, il governatore.

Allora Giuda, che l'avea tradito, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì, e riportò i trenta

sicli d'argento ai capi sacerdoti ed agli anziani, dicendo: Ho peccato, tradendo il sangue innocente.

Ma essi dissero: Che c'importa? Pensaci tu. Ed egli, lanciati i sicli nel tempio, s'allontanò e andò ad

impiccarsi.

Ma i capi sacerdoti, presi quei sicli, dissero: Non è lecito metterli nel tesoro delle offerte, perché son

prezzo di sangue. E tenuto consiglio, comprarono con quel danaro il campo del vasaio da servir di

sepoltura ai forestieri. Perciò quel campo, fino al dì d'oggi, è stato chiamato: Campo di sangue.

Allora s'adempì quel che fu detto dal profeta Geremia: E presero i trenta sicli d'argento, prezzo di

colui ch'era stato messo a prezzo, messo a prezzo dai figliuoli d'Israele; e li dettero per il campo del

vasaio, come me l'avea ordinato il Signore.

Or Gesù comparve davanti al governatore; e il governatore lo interrogò, dicendo: Sei tu il re de'

Giudei? E Gesù gli disse: Sì, lo sono.

E accusato da' capi sacerdoti e dagli anziani, non rispose nulla.

Allora Pilato gli disse: Non odi tu quante cose testimoniano contro di te?

Ma egli non gli rispose neppure una parola: talché il governatore se ne maravigliava grandemente.

Or ogni festa di Pasqua il governatore soleva liberare alla folla un carcerato, qualunque ella volesse.

Avevano allora un carcerato famigerato, di nome Barabba.

Essendo dunque radunati, Pilato domandò loro: Chi volete che vi liberi, Barabba, o Gesù detto

Cristo?

Poiché egli sapeva che glielo avevano consegnato per invidia.

Or mentre egli sedeva in tribunale, la moglie gli mandò a dire: Non aver nulla che fare con quel

giusto, perché oggi ho sofferto molto in sogno a cagion di lui.

Ma i capi sacerdoti e gli anziani persuasero le turbe a chieder Barabba e far perire Gesù.

E il governatore prese a dir loro: Qual de' due volete che vi liberi? E quelli dissero: Barabba.

E Pilato a loro: Che farò dunque di Gesù detto Cristo? Tutti risposero: Sia crocifisso.

Ma pure, riprese egli, che male ha fatto? Ma quelli vie più gridavano: Sia crocifisso!

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E Pilato, vedendo che non riusciva a nulla, ma che si sollevava un tumulto, prese dell'acqua e si lavò

le mani in presenza della moltitudine, dicendo: Io sono innocente del sangue di questo giusto;

pensateci voi.

E tutto il popolo, rispondendo, disse: Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figliuoli.

Allora egli liberò loro Barabba; e dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Allora i soldati del governatore, tratto Gesù nel pretorio, radunarono attorno a lui tutta la coorte.

E spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; e intrecciata una corona di spine, gliela misero

sul capo, e una canna nella man destra; e inginocchiatisi dinanzi a lui, lo beffavano, dicendo: Salve, re

dei Giudei!

E sputatogli addosso, presero la canna, e gli percotevano il capo.

E dopo averlo schernito, lo spogliarono del manto, e lo rivestirono delle sue vesti; poi lo menaron via

per crocifiggerlo.

Or nell'uscire trovarono un Cireneo chiamato Simone, e lo costrinsero a portar la croce di Gesù.

E venuti ad un luogo detto Golgota, che vuol dire: Luogo del teschio, gli dettero a bere del vino

mescolato con fiele; ma Gesù, assaggiatolo, non volle berne.

Poi, dopo averlo crocifisso, spartirono i suoi vestimenti, tirando a sorte;

e postisi a sedere, gli facevan quivi la guardia.

E al disopra del capo gli posero scritto il motivo della condanna: QUESTO È GESÙ, IL RE DE'

GIUDEI.

Allora furon con lui crocifissi due ladroni, uno a destra e l'altro a sinistra.

E coloro che passavano di lì, lo ingiuriavano, scotendo il capo e dicendo:

Tu che disfai il tempio e in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso, se tu sei Figliuol di Dio, e scendi giù

di croce!

Similmente, i capi sacerdoti con gli scribi e gli anziani, beffandosi, dicevano:

Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Da che è il re d'Israele, scenda ora giù di croce, e noi

crederemo in lui.

S'è confidato in Dio; lo liberi ora, s'Ei lo gradisce, poiché ha detto: Son Figliuol di Dio.

E nello stesso modo lo vituperavano anche i ladroni crocifissi con lui.

Or dall'ora sesta si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona.

E verso l'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Elì, Elì, lamà sabactanì? cioè: Dio mio, Dio mio, perché

mi hai abbandonato?

Ma alcuni degli astanti, udito ciò, dicevano: Costui chiama Elia.

E subito un di loro corse a prendere una spugna; e inzuppatala d'aceto e postala in cima ad una

canna, gli diè da bere.

Ma gli altri dicevano: Lascia, vediamo se Elia viene a salvarlo.

E Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rendé lo spirito.

Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, e la terra tremò, e le rocce si

schiantarono, e le tombe s'aprirono, e molti corpi de' santi che dormivano, risuscitarono; ed usciti

dai sepolcri dopo la risurrezione di lui, entrarono nella santa città, ed apparvero a molti.

E il centurione e quelli che con lui facean la guardia a Gesù, visto il terremoto e le cose avvenute,

temettero grandemente, dicendo: Veramente, costui era Figliuol di Dio.

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Ora quivi erano molte donne che guardavano da lontano, le quali avean seguitato Gesù dalla Galilea

per assisterlo; tra le quali erano Maria Maddalena, e Maria madre di Giacomo e di Jose, e la madre

de' figliuoli di Zebedeo.

Poi, fattosi sera, venne un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era divenuto

anch'egli discepolo di Gesù.

Questi, presentatosi a Pilato, chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato comandò che il corpo gli fosse

rilasciato.

E Giuseppe, preso il corpo, lo involse in un panno lino netto, e lo pose nella propria tomba nuova,

che aveva fatta scavar nella roccia, e dopo aver rotolata una gran pietra contro l'apertura del

sepolcro, se ne andò.

Or Maria Maddalena e l'altra Maria eran quivi, sedute dirimpetto al sepolcro.

E l'indomani, che era il giorno successivo alla Preparazione, i capi sacerdoti ed i Farisei si

radunarono presso Pilato, dicendo: Signore, ci siamo ricordati che quel seduttore, mentre viveva

ancora, disse: Dopo tre giorni, risusciterò. Ordina dunque che il sepolcro sia sicuramente custodito

fino al terzo giorno; che talora i suoi discepoli non vengano a rubarlo e dicano al popolo: È

risuscitato dai morti; così l'ultimo inganno sarebbe peggiore del primo.

Pilato disse loro: Avete una guardia: andate, assicuratevi come credete.

Ed essi andarono ad assicurare il sepolcro, sigillando la pietra, e mettendovi la guardia.

Or nella notte del sabato, quando già albeggiava, il primo giorno della settimana, Maria Maddalena e

l'altra Maria vennero a visitare il sepolcro.

Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la

pietra, e vi sedette sopra.

Il suo aspetto era come di folgore; e la sua veste, bianca come neve.

E per lo spavento che n'ebbero, le guardie tremarono e rimasero come morte.

Ma l'angelo prese a dire alle donne: Voi, non temete; perché io so che cercate Gesù, che è stato

crocifisso.

Egli non è qui, poiché è risuscitato come avea detto; venite a vedere il luogo dove giaceva.

E andate presto a dire a' suoi discepoli: Egli è risuscitato da' morti, ed ecco, vi precede in Galilea;

quivi lo vedrete. Ecco, ve l'ho detto.

E quelle, andatesene prestamente dal sepolcro con spavento ed allegrezza grande, corsero ad

annunziar la cosa a' suoi discepoli.

Quand'ecco Gesù si fece loro incontro, dicendo: Vi saluto! Ed esse, accostatesi, gli strinsero i piedi e

l'adorarono.

Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunziare a' miei fratelli che vadano in Galilea; là mi

vedranno.

Or mentre quelle andavano, ecco alcuni della guardia vennero in città, e riferirono ai capi sacerdoti

tutte le cose ch'erano avvenute.

Ed essi, radunatisi con gli anziani, e tenuto consiglio, dettero una forte somma di danaro a' soldati,

dicendo: Dite così: I suoi discepoli vennero di notte e lo rubarono mentre dormivamo.

E se mai questo viene alle orecchie del governatore, noi lo persuaderemo e vi metteremo fuor di

pena. Ed essi, preso il danaro, fecero secondo le istruzioni ricevute; e quel dire è stato divulgato fra i

Giudei, fino al dì d'oggi.

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Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea sul monte che Gesù avea loro designato.

E vedutolo, l'adorarono; alcuni però dubitarono.

E Gesù, accostatosi, parlò loro, dicendo: Ogni potestà m'è stata data in cielo e sulla terra.

Andate dunque, ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figliuolo e dello

Spirito Santo, insegnando loro d'osservar tutte quante le cose che v'ho comandate. Ed ecco, io sono

con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente» (Matteo 26-28).

«Or la festa degli azzimi, detta la Pasqua, s'avvicinava; e i capi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo

di farlo morire, perché temevano il popolo.

E Satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era del numero de' dodici.

Ed egli andò a conferire coi capi sacerdoti e i capitani sul come lo darebbe loro nelle mani.

Ed essi se ne rallegrarono e pattuirono di dargli del denaro.

Ed egli prese l'impegno, e cercava l'opportunità di farlo di nascosto alla folla.

Or venne il giorno degli azzimi, nel quale si dovea sacrificar la pasqua.

E Gesù mandò Pietro e Giovanni, dicendo: Andate a prepararci la pasqua, affinché la mangiamo.

Ed essi gli dissero: Dove vuoi che la prepariamo?

Ed egli disse loro: Ecco, quando sarete entrati nella città, vi verrà incontro un uomo che porterà una

brocca d'acqua; seguitelo nella casa dov'egli entrerà.

E dite al padron di casa: Il Maestro ti manda a dire: Dov'è la stanza nella quale mangerò la pasqua co'

miei discepoli?

Ed egli vi mostrerà di sopra una gran sala ammobiliata; quivi apparecchiate.

Ed essi andarono e trovaron com'egli avea lor detto, e prepararon la pasqua.

E quando l'ora fu venuta, egli si mise a tavola, e gli apostoli con lui.

Ed egli disse loro: Ho grandemente desiderato di mangiar questa pasqua con voi, prima ch'io soffra;

poiché io vi dico che non la mangerò più finché sia compiuta nel regno di Dio.

E avendo preso un calice, rese grazie e disse: Prendete questo e distribuitelo fra voi; perché io vi dico

che oramai non berrò più del frutto della vigna, finché sia venuto il regno di Dio.

Poi, avendo preso del pane, rese grazie e lo ruppe e lo diede loro, dicendo: Questo è il mio corpo il

quale è dato per voi: fate questo in memoria di me.

Parimente ancora, dopo aver cenato, dette loro il calice dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel

mio sangue, il quale è sparso per voi.

Del resto, ecco, la mano di colui che mi tradisce è meco a tavola.

Poiché il Figliuol dell'uomo, certo, se ne va, secondo che è determinato; ma guai a quell'uomo dal

quale è tradito!

Ed essi cominciarono a domandarsi gli uni gli altri chi sarebbe mai quel di loro che farebbe questo.

Nacque poi anche una contesa fra loro per sapere chi di loro fosse reputato il maggiore.

Ma egli disse loro: I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che hanno autorità su di esse son

chiamati benefattori.

Ma tra voi non ha da esser così; anzi, il maggiore fra voi sia come il minore, e chi governa come colui

che serve.

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Poiché, chi è maggiore, colui che è a tavola oppur colui che serve? Non è forse colui che è a tavola?

Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve.

Or voi siete quelli che avete perseverato meco nelle mie prove; e io dispongo che vi sia dato un regno,

come il Padre mio ha disposto che fosse dato a me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel

mio regno, e sediate sui troni, giudicando le dodici tribù d'Israele.

Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te

affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli.

Ma egli gli disse: Signore, con te son pronto ad andare e in prigione e alla morte.

E Gesù: Pietro, io ti dico che oggi il gallo non canterà, prima che tu abbia negato tre volte di

conoscermi.

Poi disse loro: Quando vi mandai senza borsa, senza sacca da viaggio e senza calzari, vi mancò mai

niente? Ed essi risposero: Niente. Ed egli disse loro:

Ma ora, chi ha una borsa la prenda; e parimente una sacca; e chi non ha spada, venda il mantello e ne

compri una.

Poiché io vi dico che questo che è scritto deve esser adempito in me: Ed egli è stato annoverato tra i

malfattori. Infatti, le cose che si riferiscono a me stanno per compiersi.

Ed essi dissero: Signore, ecco qui due spade! Ma egli disse loro: Basta!

Poi, essendo uscito, andò, secondo il suo solito, al monte degli Ulivi; e anche i discepoli lo seguirono.

E giunto che fu sul luogo, disse loro: Pregate, chiedendo di non entrare in tentazione.

Ed egli si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava, dicendo:

Padre, se tu vuoi, allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta.

E un angelo gli apparve dal cielo a confortarlo.

Ed essendo in agonia, egli pregava vie più intensamente; e il suo sudore divenne come grosse gocce

di sangue che cadeano in terra.

E alzatosi dall'orazione, venne ai discepoli e li trovò che dormivano di tristezza, e disse loro: Perché

dormite? Alzatevi e pregate, affinché non entriate in tentazione.

Mentre parlava ancora, ecco una turba; e colui che si chiamava Giuda, uno dei dodici, la precedeva, e

si accostò a Gesù per baciarlo.

Ma Gesù gli disse: Giuda, tradisci tu il Figliuol dell'uomo con un bacio?

E quelli ch'eran con lui, vedendo quel che stava per succedere, dissero: Signore, percoterem noi con

la spada?

E uno di loro percosse il servitore del sommo sacerdote, e gli spiccò l'orecchio destro.

Ma Gesù rivolse loro la parola e disse: Lasciate, basta! E toccato l'orecchio di colui, lo guarì.

E Gesù disse ai capi sacerdoti e ai capitani del tempio e agli anziani che eran venuti contro a lui: Voi

siete usciti con spade e bastoni, come contro a un ladrone; mentre ero ogni giorno con voi nel

tempio, non mi avete mai messe le mani addosso; ma questa è l'ora vostra e la potestà delle tenebre.

E presolo, lo menaron via e lo condussero dentro la casa del sommo sacerdote; e Pietro seguiva da

lontano.

E avendo essi acceso un fuoco in mezzo alla corte ed essendosi posti a sedere insieme, Pietro si

sedette in mezzo a loro.

E una certa serva, vedutolo sedere presso il fuoco, e avendolo guardato fisso, disse: Anche costui era

con lui.

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Ma egli negò, dicendo: Donna, io non lo conosco.

E poco dopo, un altro, vedutolo, disse: Anche tu sei di quelli. Ma Pietro rispose: O uomo, non lo

sono.

E trascorsa circa un'ora, un altro affermava lo stesso, dicendo: Certo, anche costui era con lui,

poich'egli è Galileo.

Ma Pietro disse: O uomo, io non so quel che tu ti dica. E subito, mentr'egli parlava ancora, il gallo

cantò.

E il Signore, voltatosi, riguardò Pietro; e Pietro si ricordò della parola del Signore com'ei gli avea

detto: Prima che il gallo canti oggi, tu mi rinnegherai tre volte.

E uscito fuori pianse amaramente.

E gli uomini che tenevano Gesù, lo schernivano percuotendolo; e avendolo bendato gli

domandavano: Indovina, profeta, chi t'ha percosso?

E molte altre cose dicevano contro a lui, bestemmiando.

E come fu giorno, gli anziani del popolo, i capi sacerdoti e gli scribi si radunarono, e lo menarono nel

loro Sinedrio, dicendo:

Se tu sei il Cristo, diccelo. Ma egli disse loro: Se ve lo dicessi, non credereste; e se io vi facessi delle

domande, non rispondereste.

Ma da ora innanzi il Figliuol dell'uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio.

E tutti dissero: Sei tu dunque il Figliuol di Dio? Ed egli rispose loro: Voi lo dite, poiché io lo sono.

E quelli dissero: Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? Noi stessi l'abbiamo udito dalla sua

propria bocca.

Poi, levatasi tutta l'assemblea, lo menarono a Pilato.

E cominciarono ad accusarlo, dicendo: Abbiam trovato costui che sovvertiva la nostra nazione e che

vietava di pagare i tributi a Cesare, e diceva d'esser lui il Cristo re.

E Pilato lo interrogò, dicendo: Sei tu il re dei Giudei? Ed egli, rispondendo, gli disse: Sì, lo sono.

E Pilato disse ai capi sacerdoti e alle turbe: Io non trovo colpa alcuna in quest'uomo.

Ma essi insistevano, dicendo: Egli solleva il popolo insegnando per tutta la Giudea; ha cominciato

dalla Galilea ed è giunto fin qui.

Quando Pilato udì questo, domandò se quell'uomo fosse Galileo.

E saputo ch'egli era della giurisdizione d'Erode, lo rimandò a Erode ch'era anch'egli a Gerusalemme

in que' giorni.

Erode, come vide Gesù, se ne rallegrò grandemente, perché da lungo tempo desiderava vederlo,

avendo sentito parlar di lui; e sperava di vedergli fare qualche miracolo.

E gli rivolse molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla.

Or i capi sacerdoti e gli scribi stavan là, accusandolo con veemenza.

Ed Erode co' suoi soldati, dopo averlo vilipeso e schernito, lo vestì di un manto splendido, e lo

rimandò a Pilato.

E in quel giorno, Erode e Pilato divennero amici, perché per l'addietro erano stati in inimicizia fra

loro.

E Pilato, chiamati assieme i capi sacerdoti e i magistrati e il popolo, disse loro:

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Voi mi avete fatto comparir dinanzi quest'uomo come sovvertitore del popolo; ed ecco, dopo averlo

in presenza vostra esaminato, non ho trovato in lui alcuna delle colpe di cui l'accusate; e neppure

Erode, poiché egli l'ha rimandato a noi; ed ecco, egli non ha fatto nulla che sia degno di morte.

Io dunque, dopo averlo castigato, lo libererò.

Ma essi gridarono tutti insieme: Fa' morir costui, e liberaci Barabba!

(Barabba era stato messo in prigione a motivo di una sedizione avvenuta in città e di un omicidio).

E Pilato da capo parlò loro, desiderando liberar Gesù; ma essi gridavano: Crocifiggilo, crocifiggilo!

E per la terza volta egli disse loro: Ma che male ha egli fatto? Io non ho trovato nulla in lui, che meriti

la morte. Io dunque, dopo averlo castigato, lo libererò.

Ma essi insistevano con gran grida, chiedendo che fosse crocifisso; e le loro grida finirono con avere

il sopravvento.

E Pilato sentenziò che fosse fatto quello che domandavano.

E liberò colui che era stato messo in prigione per sedizione ed omicidio, e che essi aveano richiesto;

ma abbandonò Gesù alla loro volontà.

E mentre lo menavan via, presero un certo Simon, cireneo, che veniva dalla campagna, e gli misero

addosso la croce, perché la portasse dietro a Gesù.

Or lo seguiva una gran moltitudine di popolo e di donne che facean cordoglio e lamento per lui.

Ma Gesù, voltatosi verso di loro, disse: Figliuole di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete

per voi stesse e per i vostri figliuoli. Perché ecco, vengono i giorni nei quali si dirà: Beate le sterili, e i

seni che non han partorito, e le mammelle che non hanno allattato. Allora prenderanno a dire ai

monti: Cadeteci addosso; ed ai colli: Copriteci. Poiché se fan queste cose al legno verde, che sarà egli

fatto al secco?

Or due altri, due malfattori, eran menati con lui per esser fatti morire.

E quando furon giunti al luogo detto «il Teschio», crocifissero quivi lui e i malfattori, l'uno a destra e

l'altro a sinistra.

E Gesù diceva: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Poi, fatte delle parti delle

sue vesti, trassero a sorte.

E il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si facean beffe di lui, dicendo: Ha salvato altri, salvi

se stesso, se è il Cristo, l'Eletto di Dio!

E i soldati pure lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell'aceto e dicendo:

Se tu sei il re de' Giudei, salva te stesso!

E v'era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI.

E uno de' malfattori appesi lo ingiuriava, dicendo: Non se' tu il Cristo? Salva te stesso e noi!

Ma l'altro, rispondendo, lo sgridava e diceva: Non hai tu nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel

medesimo supplizio?

E per noi è cosa giusta, perché riceviamo la condegna pena de' nostri fatti, ma questi non ha fatto

nulla di male.

E diceva: Gesù, ricordati di me quando sarai venuto nel tuo regno!

E Gesù gli disse: Io ti dico in verità che oggi tu sarai meco in paradiso.

Ora era circa l'ora sesta, e si fecero tenebre per tutto il paese, fino all'ora nona, essendosi oscurato il

sole.

La cortina del tempio si squarciò pel mezzo.

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E Gesù, gridando con gran voce, disse: Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. E detto questo

spirò.

E il centurione, veduto ciò che era accaduto, glorificava Iddio dicendo: Veramente, quest'uomo era

giusto.

E tutte le turbe che si erano raunate a questo spettacolo, vedute le cose che erano successe, se ne

tornavano battendosi il petto.

Ma tutti i suoi conoscenti e le donne che lo avevano accompagnato dalla Galilea, stavano a guardare

queste cose da lontano.

Ed ecco un uomo per nome Giuseppe, che era consigliere, uomo dabbene e giusto, il quale non avea

consentito alla deliberazione e all'operato degli altri, ed era da Arimatea, città de' Giudei, e aspettava

il regno di Dio, venne a Pilato e chiese il corpo di Gesù.

E trattolo giù di croce, lo involse in un panno lino e lo pose in una tomba scavata nella roccia, dove

niuno era ancora stato posto.

Era il giorno della Preparazione, e stava per cominciare il sabato.

E le donne che eran venute con Gesù dalla Galilea, avendo seguito Giuseppe, guardarono la tomba, e

come v'era stato posto il corpo di Gesù.

Poi, essendosene tornate, prepararono aromi ed oli odoriferi.

Durante il sabato si riposarono, secondo il comandamento; ma il primo giorno della settimana, la

mattina molto per tempo, esse si recarono al sepolcro, portando gli aromi che aveano preparato.

E trovarono la pietra rotolata dal sepolcro.

Ma essendo entrate, non trovarono il corpo del Signor Gesù.

Ed avvenne che mentre se ne stavano perplesse di ciò, ecco che apparvero dinanzi a loro due uomini

in vesti sfolgoranti; ed essendo esse impaurite, e chinando il viso a terra, essi dissero loro: Perché

cercate il vivente fra i morti?

Egli non è qui, ma è risuscitato; ricordatevi com'egli vi parlò quand'era ancora in Galilea, dicendo

che il Figliuol dell'uomo doveva esser dato nelle mani d'uomini peccatori ed esser crocifisso, e il terzo

giorno risuscitare.

Ed esse si ricordarono delle sue parole; e tornate dal sepolcro, annunziarono tutte queste cose agli

undici e a tutti gli altri.

Or quelle che dissero queste cose agli apostoli erano: Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di

Giacomo, e le altre donne che eran con loro.

E quelle parole parvero loro un vaneggiare, e non prestaron fede alle donne.

Ma Pietro, levatosi, corse al sepolcro; ed essendosi chinato a guardare, vide le sole lenzuola; e se ne

andò maravigliandosi fra se stesso di quel che era avvenuto.

Ed ecco, due di loro se ne andavano in quello stesso giorno a un villaggio nominato Emmaus,

distante da Gerusalemme sessanta stadi; e discorrevano tra loro di tutte le cose che erano accadute.

Ed avvenne che mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù stesso si accostò e cominciò a

camminare con loro.

Ma gli occhi loro erano impediti così da non riconoscerlo.

Ed egli domandò loro: Che discorsi son questi che tenete fra voi cammin facendo? Ed essi si

fermarono tutti mesti.

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E l'un de' due, per nome Cleopa, rispondendo, gli disse: Tu solo, tra i forestieri, stando in

Gerusalemme, non hai saputo le cose che sono in essa avvenute in questi giorni?

Ed egli disse loro: Quali? Ed essi gli risposero: Il fatto di Gesù Nazareno, che era un profeta potente

in opere e in parole dinanzi a Dio e a tutto il popolo; e come i capi sacerdoti e i nostri magistrati

l'hanno fatto condannare a morte, e l'hanno crocifisso.

Or noi speravamo che fosse lui che avrebbe riscattato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo

giorno da che queste cose sono avvenute.

Vero è che certe donne d'infra noi ci hanno fatto stupire; essendo andate la mattina di buon'ora al

sepolcro, e non avendo trovato il corpo di lui, son venute dicendo d'aver avuto anche una visione

d'angeli, i quali dicono ch'egli vive.

E alcuni de' nostri sono andati al sepolcro, e hanno trovato la cosa così come aveano detto le donne;

ma lui non l'hanno veduto.

Allora Gesù disse loro: O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette!

Non bisognava egli che il Cristo soffrisse queste cose ed entrasse quindi nella sua gloria?

E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo

concernevano.

E quando si furono avvicinati al villaggio dove andavano, egli fece come se volesse andar più oltre.

Ed essi gli fecero forza, dicendo: Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno è già declinato. Ed egli

entrò per rimaner con loro.

E quando si fu messo a tavola con loro, prese il pane, lo benedisse, e spezzatolo lo dette loro.

E gli occhi loro furono aperti, e lo riconobbero; ma egli sparì d'innanzi a loro.

Ed essi dissero l'uno all'altro: Non ardeva il cuor nostro in noi mentr'egli ci parlava per la via, mentre

ci spiegava le Scritture?

E levatisi in quella stessa ora, tornarono a Gerusalemme e trovarono adunati gli undici e quelli

ch'eran con loro, i quali dicevano: Il Signore è veramente risuscitato ed è apparso a Simone.

Ed essi pure raccontarono le cose avvenute loro per la via, e come era stato da loro riconosciuto nello

spezzare il pane.

Or mentr'essi parlavano di queste cose, Gesù stesso comparve in mezzo a loro, e disse: Pace a voi!

Ma essi, smarriti e impauriti, pensavano di vedere uno spirito.

Ed egli disse loro: Perché siete turbati? E perché vi sorgono in cuore tali pensieri?

Guardate le mie mani ed i miei piedi, perché son ben io; palpatemi e guardate; perché uno spirito

non ha carne e ossa come vedete che ho io.

E detto questo, mostrò loro le mani e i piedi.

Ma siccome per l'allegrezza non credevano ancora, e si stupivano, disse loro: Avete qui nulla da

mangiare?

Essi gli porsero un pezzo di pesce arrostito; ed egli lo prese, e mangiò in loro presenza.

Poi disse loro: Queste son le cose che io vi dicevo quand'ero ancora con voi: che bisognava che tutte

le cose scritte di me nella legge di Mosè, ne' profeti e nei Salmi, fossero adempiute.

Allora aprì loro la mente per intendere le Scritture, e disse loro:

Così è scritto, che il Cristo soffrirebbe, e risusciterebbe dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome

si predicherebbe ravvedimento e remission dei peccati a tutte le genti, cominciando da

Gerusalemme.

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Or voi siete testimoni di queste cose.

Ed ecco, io mando su voi quello che il Padre mio ha promesso; quant'è a voi, rimanete in questa città,

finché dall'alto siate rivestiti di potenza.

Poi li condusse fuori fino presso Betania; e levate in alto le mani, li benedisse.

E avvenne che mentre li benediceva, si dipartì da loro e fu portato su nel cielo.

Ed essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme con grande allegrezza; ed erano del continuo nel

tempio, benedicendo Iddio» (Luca 22-24).

«Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva a lui, e disse: Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il

peccato del mondo!» (Giovanni 1:29)

«Così parlò; e poi disse loro: Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo.

Perciò i discepoli gli dissero: Signore, s'egli dorme, sarà salvo.

Or Gesù avea parlato della morte di lui; ma essi pensarono che avesse parlato del dormir del sonno.

Allora Gesù disse loro apertamente: Lazzaro è morto; e per voi mi rallegro di non essere stato là,

affinché crediate; ma ora, andiamo a lui!

Allora Toma, detto Didimo, disse ai suoi condiscepoli: Andiamo anche noi, per morire con lui!

Gesù dunque, arrivato, trovò che Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro.

Or Betania non distava da Gerusalemme che circa quindici stadî; e molti Giudei eran venuti da

Marta e Maria per consolarle del loro fratello.

Come dunque Marta ebbe udito che Gesù veniva, gli andò incontro; ma Maria stava seduta in casa.

Marta dunque disse a Gesù: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; e anche

adesso so che tutto quel che chiederai a Dio, Dio te lo darà.

Gesù le disse: Tuo fratello risusciterà.

Marta gli disse: Lo so che risusciterà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno.

Gesù le disse: Io son la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive

e crede in me, non morrà mai. Credi tu questo? (Giovanni 11:11-26).

«Dette queste cose, Gesù uscì coi suoi discepoli di là dal torrente Chedron, dov'era un orto, nel quale

egli entrò co' suoi discepoli.

Or Giuda, che lo tradiva, conosceva anch'egli quel luogo, perché Gesù s'era molte volte ritrovato là

coi suoi discepoli.

Giuda dunque, presa la coorte e delle guardie mandate dai capi sacerdoti e dai Farisei, venne là con

lanterne e torce ed armi.

Onde Gesù, ben sapendo tutto quel che stava per accadergli, uscì e chiese loro: Chi cercate?

Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Son io. E Giuda, che lo tradiva, era anch'egli là con

loro.

Come dunque ebbe detto loro: 'Son io', indietreggiarono e caddero in terra.

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Egli dunque domandò loro di nuovo: Chi cercate? Ed essi dissero: Gesù il Nazareno.

Gesù rispose: V'ho detto che son io; se dunque cercate me, lasciate andar questi.

E ciò affinché s'adempisse la parola ch'egli avea detta: Di quelli che tu m'hai dato, non ne ho perduto

alcuno.

Allora Simon Pietro, che avea una spada, la trasse, e percosse il servo del sommo sacerdote, e gli

recise l'orecchio destro. Quel servo avea nome Malco.

Per il che Gesù disse a Pietro: Rimetti la spada nel fodero; non berrò io il calice che il Padre mi ha

dato?

La coorte dunque e il tribuno e le guardie de' Giudei, presero Gesù e lo legarono, e lo menaron prima

da Anna, perché era suocero di Caiàfa, il quale era sommo sacerdote di quell'anno.

Or Caiàfa era quello che avea consigliato a' Giudei esser cosa utile che un uomo solo morisse per il

popolo.

Or Simon Pietro e un altro discepolo seguivano Gesù; e quel discepolo era noto al sommo sacerdote,

ed entrò con Gesù nella corte del sommo sacerdote; ma Pietro stava di fuori, alla porta. Allora

quell'altro discepolo che era noto al sommo sacerdote, uscì, parlò con la portinaia e fece entrar

Pietro.

La serva portinaia dunque disse a Pietro: Non sei anche tu de' discepoli di quest'uomo? Egli disse:

Non lo sono.

Or i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e stavan lì a scaldarsi; e anche

Pietro stava con loro e si scaldava.

Il sommo sacerdote dunque interrogò Gesù intorno ai suoi discepoli e alla sua dottrina.

Gesù gli rispose: Io ho parlato apertamente al mondo; ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel

tempio, dove tutti i Giudei si radunano; e non ho detto nulla in segreto. Perché m'interroghi?

Domanda a quelli che m'hanno udito, quel che ho detto loro; ecco, essi sanno le cose che ho detto.

E com'ebbe detto questo, una delle guardie che gli stava vicino, dette uno schiaffo a Gesù, dicendo:

Così rispondi tu al sommo sacerdote?

Gesù gli disse: Se ho parlato male, dimostra il male che ho detto; ma se ho parlato bene, perché mi

percuoti?

Quindi Anna lo mandò legato a Caiàfa, sommo sacerdote.

Or Simon Pietro stava quivi a scaldarsi; e gli dissero: Non sei anche tu dei suoi discepoli? Egli lo negò

e disse: Non lo sono.

Uno de' servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro avea tagliato l'orecchio, disse: Non

t'ho io visto nell'orto con lui?

E Pietro da capo lo negò, e subito il gallo cantò.

Poi, da Caiàfa, menarono Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non

contaminarsi e così poter mangiare la pasqua.

Pilato dunque uscì fuori verso di loro, e domandò: Quale accusa portate contro quest'uomo?

Essi risposero e gli dissero: Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani.

Pilato quindi disse loro: Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. I Giudei gli dissero: A

noi non è lecito far morire alcuno.

E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, significando di qual morte dovea morire.

Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: Sei tu il Re dei Giudei?

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Gesù gli rispose: Dici tu questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?

Pilato gli rispose: Son io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t'hanno messo nelle mie

mani; che hai fatto?

Gesù rispose: il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei

servitori combatterebbero perch'io non fossi dato in man de' Giudei; ma ora il mio regno non è di

qui.

Allora Pilato gli disse: Ma dunque, sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici; io sono re; io son nato per

questo, e per questo son venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità

ascolta la mia voce.

Pilato gli disse: Che cos'è verità? E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei, e disse loro: Io non

trovo alcuna colpa in lui.

Ma voi avete l'usanza ch'io vi liberi uno per la Pasqua; volete dunque che vi liberi il Re de' Giudei?

Allora gridaron di nuovo: Non costui, ma Barabba! Or Barabba era un ladrone.

Allora dunque Pilato prese Gesù e lo fece flagellare.

E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, e gli misero addosso un manto di

porpora; e s'accostavano a lui e dicevano:

Salve, Re de' Giudei! e gli davan degli schiaffi.

Pilato uscì di nuovo, e disse loro: Ecco, ve lo meno fuori, affinché sappiate che non trovo in lui

alcuna colpa.

Gesù dunque uscì, portando la corona di spine e il manto di porpora. E Pilato disse loro: Ecco

l'uomo!

Come dunque i capi sacerdoti e le guardie l'ebbero veduto, gridarono: Crocifiggilo, crocifiggilo!

Pilato disse loro: Prendetelo voi e crocifiggetelo; perché io non trovo in lui alcuna colpa.

I Giudei gli risposero: Noi abbiamo una legge, e secondo questa legge egli deve morire, perché egli s'è

fatto Figliuol di Dio.

Quando Pilato ebbe udita questa parola, temette maggiormente; e rientrato nel pretorio, disse a

Gesù: Donde sei tu? Ma Gesù non gli diede alcuna risposta.

Allora Pilato gli disse: Non mi parli? Non sai che ho potestà di liberarti e potestà di crocifiggerti?

Gesù gli rispose: Tu non avresti potestà alcuna contro di me, se ciò non ti fosse stato dato da alto;

perciò chi m'ha dato nelle tue mani, ha maggior colpa.

Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridavano, dicendo: Se liberi costui, non

sei amico di Cesare. Chiunque si fa re, si oppone a Cesare.

Pilato dunque, udite queste parole, menò fuori Gesù, e si assise al tribunale nel luogo detto Lastrico,

e in ebraico Gabbatà.

Era la preparazione della Pasqua, ed era circa l'ora sesta. Ed egli disse ai Giudei: Ecco il vostro Re!

Allora essi gridarono: Tòglilo, tòglilo di mezzo, crocifiggilo! Pilato disse loro: Crocifiggerò io il

vostro Re? I capi sacerdoti risposero: Noi non abbiamo altro re che Cesare.

Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Presero dunque Gesù; ed egli, portando la sua croce, venne al luogo del Teschio, che in ebraico si

chiama Golgota, dove lo crocifissero, assieme a due altri, uno di qua, l'altro di là, e Gesù nel mezzo.

E Pilato fece pure un'iscrizione, e la pose sulla croce. E v'era scritto: GESÙ IL NAZARENO, IL RE

DE' GIUDEI.

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Molti dunque dei Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino

alla città; e l'iscrizione era in ebraico, in latino e in greco.

Perciò i capi sacerdoti dei Giudei dicevano a Pilato: Non scrivere: Il Re dei Giudei; ma che egli ha

detto: Io sono il Re de' Giudei.

Pilato rispose: Quel che ho scritto, ho scritto.

I soldati dunque, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, e ne fecero quattro parti, una

parte per ciascun soldato e la tunica. Or la tunica era senza cuciture, tessuta per intero dall'alto in

basso.

Dissero dunque tra loro: Non la stracciamo, ma tiriamo a sorte a chi tocchi; affinché si adempisse la

Scrittura che dice: Hanno spartito fra loro le mie vesti, e han tirato la sorte sulla mia tunica. Questo

dunque fecero i soldati.

Or presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria moglie di Cleopa, e

Maria Maddalena.

Gesù dunque, vedendo sua madre e presso a lei il discepolo ch'egli amava, disse a sua madre: Donna,

ecco il tuo figlio!

Poi disse al discepolo: Ecco tua madre! E da quel momento, il discepolo la prese in casa sua.

Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta, affinché la Scrittura fosse adempiuta,

disse: Ho sete.

V'era quivi un vaso pieno d'aceto; i soldati dunque, posta in cima a un ramo d'issopo una spugna

piena d'aceto, gliel'accostarono alla bocca.

E quando Gesù ebbe preso l'aceto, disse: È compiuto! E chinato il capo, rese lo spirito.

Allora i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato (poiché era la

Preparazione, e quel giorno del sabato era un gran giorno), chiesero a Pilato che fossero loro fiaccate

le gambe, e fossero tolti via.

I soldati dunque vennero e fiaccarono le gambe al primo, e poi anche all'altro che era crocifisso con

lui; ma venuti a Gesù, come lo videro già morto, non gli fiaccarono le gambe, ma uno de' soldati gli

forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua.

E colui che l'ha veduto, ne ha reso testimonianza, e la sua testimonianza è verace, ed egli sa che dice il

vero, affinché anche voi crediate.

Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: Niun osso d'esso sarà fiaccato.

E anche un'altra Scrittura dice: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

Dopo queste cose, Giuseppe d'Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma occulto per timore de'

Giudei, chiese a Pilato di poter togliere il corpo di Gesù; e Pilato glielo permise. Egli dunque venne e

tolse il corpo di Gesù.

E Nicodemo, che da prima era venuto a Gesù di notte, venne anche egli, portando una mistura di

mirra e d'aloe di circa cento libbre.

Essi dunque presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in pannilini con gli aromi, com'è usanza di

seppellire presso i Giudei.

Or nel luogo dov'egli fu crocifisso c'era un orto; e in quell'orto un sepolcro nuovo, dove nessuno era

ancora stato posto.

Quivi dunque posero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, perché il sepolcro era vicino.

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Or il primo giorno della settimana, la mattina per tempo, mentr'era ancora buio, Maria Maddalena

venne al sepolcro, e vide la pietra tolta dal sepolcro.

Allora corse e venne da Simon Pietro e dall'altro discepolo che Gesù amava, e disse loro: Han tolto il

Signore dal sepolcro, e non sappiamo dove l'abbiano posto.

Pietro dunque e l'altro discepolo uscirono e si avviarono al sepolcro.

Correvano ambedue assieme; ma l'altro discepolo corse innanzi più presto di Pietro, e giunse primo

al sepolcro; e chinatosi, vide i pannilini giacenti, ma non entrò.

Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro, e vide i pannilini giacenti, e

il sudario ch'era stato sul capo di Gesù, non giacente coi pannilini, ma rivoltato in un luogo a parte.

Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto primo al sepolcro, e vide, e credette.

Perché non aveano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli dovea risuscitare dai morti.

I discepoli dunque se ne tornarono a casa.

Ma Maria se ne stava di fuori presso al sepolcro a piangere. E mentre piangeva, si chinò per guardar

dentro al sepolcro, ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, là

dov'era giaciuto il corpo di Gesù.

Ed essi le dissero: Donna, perché piangi? Ella disse loro: Perché han tolto il mio Signore, e non so

dove l'abbiano posto.

Detto questo, si voltò indietro, e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che era Gesù.

Gesù le disse: Donna, perché piangi? Chi cerchi? Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse:

Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai posto, e io lo prenderò.

Gesù le disse: Maria! Ella, rivoltasi, gli disse in ebraico: Rabbunì! che vuol dire: Maestro!

Gesù le disse: Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di'

loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, all'Iddio mio e Iddio vostro.

Maria Maddalena andò ad annunziare ai discepoli che avea veduto il Signore, e ch'egli le avea dette

queste cose.

Or la sera di quello stesso giorno, ch'era il primo della settimana, ed essendo, per timor de' Giudei,

serrate le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, Gesù venne e si presentò quivi in mezzo, e

disse loro:

Pace a voi! E detto questo, mostrò loro le mani ed il costato. I discepoli dunque, com'ebbero veduto

il Signore, si rallegrarono.

Allora Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi.

E detto questo, soffiò su loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo.

A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti.

Or Toma, detto Didimo, uno de' dodici, non era con loro quando venne Gesù.

Gli altri discepoli dunque gli dissero: Abbiam veduto il Signore! Ma egli disse loro: Se io non vedo

nelle sue mani il segno de' chiodi, e se non metto il mio dito nel segno de' chiodi, e se non metto la

mia mano nel suo costato, io non crederò.

E otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Toma era con loro. Venne Gesù, a porte

chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: Pace a voi!

Poi disse a Toma: Porgi qua il dito, e vedi le mie mani; e porgi la mano e mettila nel mio costato; e

non essere incredulo, ma credente.

Toma gli rispose e disse: Signor mio e Dio mio!

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xxiii

Gesù gli disse: Perché m'hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non han veduto, e hanno

creduto!

Or Gesù fece in presenza dei discepoli molti altri miracoli, che non sono scritti in questo libro; ma

queste cose sono scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figliuol di Dio, e affinché, credendo,

abbiate vita nel suo nome.

Dopo queste cose, Gesù si fece veder di nuovo ai discepoli presso il mar di Tiberiade; e si fece vedere

in questa maniera.

Simon Pietro, Toma detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figliuoli di Zebedeo e due altri de'

suoi discepoli erano insieme.

Simon Pietro disse loro: Io vado a pescare. Essi gli dissero: Anche noi veniamo con te. Uscirono, e

montarono nella barca; e quella notte non presero nulla.

Or essendo già mattina, Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che fosse Gesù.

Allora Gesù disse loro: Figliuoli, avete voi del pesce? Essi gli risposero: No.

Ed egli disse loro: Gettate la rete dal lato destro della barca, e ne troverete. Essi dunque la gettarono,

e non potevano più tirarla su per il gran numero dei pesci.

Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: È il Signore! E Simon Pietro, udito ch'era il

Signore, si cinse il camiciotto, perché era nudo, e si gettò nel mare.

Ma gli altri discepoli vennero con la barca, perché non erano molto distanti da terra (circa duecento

cubiti), traendo la rete coi pesci.

Come dunque furono smontati a terra, videro quivi della brace, e del pesce messovi su, e del pane.

Gesù disse loro: Portate qua de' pesci che avete presi ora.

Simon Pietro quindi montò nella barca, e tirò a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci; e

benché ce ne fossero tanti, la rete non si strappò.

Gesù disse loro: Venite a far colazione. E niuno dei discepoli ardiva domandargli: Chi sei? sapendo

che era il Signore.

Gesù venne, e prese il pane e lo diede loro; e il pesce similmente.

Quest'era già la terza volta che Gesù si faceva vedere ai suoi discepoli, dopo essere risuscitato da'

morti.

Or quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: Simon di Giovanni, m'ami tu più di

questi? Ei gli rispose: Sì, Signore tu sai che io t'amo. Gesù gli disse: Pasci i miei agnelli.

Gli disse di nuovo una seconda volta: Simon di Giovanni, m'ami tu? Ei gli rispose: Sì, Signore; tu sai

che io t'amo. Gesù gli disse: Pastura le mie pecorelle.

Gli disse per la terza volta: Simon di Giovanni, mi ami tu? Pietro fu attristato ch'ei gli avesse detto

per la terza volta: Mi ami tu? E gli rispose: Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che io t'amo. Gesù gli

disse: Pasci le mie pecore.

In verità, in verità ti dico che quand'eri più giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando

sarai vecchio, stenderai le tue mani, e un'altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti.

Or disse questo per significare con qual morte egli glorificherebbe Iddio. E dopo aver così parlato, gli

disse: Seguimi.

Pietro, voltatosi, vide venirgli dietro il discepolo che Gesù amava; quello stesso, che durante la cena

stava inclinato sul seno di Gesù e avea detto: Signore, chi è che ti tradisce?

Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: Signore, e di lui che sarà?

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xxiv

Gesù gli rispose: Se voglio che rimanga finch'io venga, che t'importa? Tu, seguimi.

Ond'è che si sparse tra i fratelli la voce che quel discepolo non morrebbe; Gesù però non gli avea

detto che non morrebbe, ma: Se voglio che rimanga finch'io venga, che t'importa?

Questo è il discepolo che rende testimonianza di queste cose, e che ha scritto queste cose; e noi

sappiamo che la sua testimonianza è verace.

Or vi sono ancora molte altre cose che Gesù ha fatte, le quali se si scrivessero ad una ad una, credo

che il mondo stesso non potrebbe contenere i libri che se ne scriverebbero» (Giovanni 18-21).

«Or se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come mai alcuni fra voi dicono che non v'è

risurrezione de' morti?

Ma se non v'è risurrezione dei morti, neppur Cristo è risuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana

dunque è la nostra predicazione, e vana pure è la vostra fede.

E noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiam testimoniato di Dio, ch'Egli ha

risuscitato il Cristo; il quale Egli non ha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano.

Difatti, se i morti non risuscitano, neppur Cristo è risuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana è la

vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati.

Anche quelli che dormono in Cristo, son dunque periti.

Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini.

Ma ora Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono.

Infatti, poiché per mezzo d'un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo d'un uomo è venuta la

risurrezione dei morti.

Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati; ma ciascuno nel suo

proprio ordine: Cristo, la primizia; poi quelli che son di Cristo, alla sua venuta» (1 Corinzi 15:12-23).

«Sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di

vivere tramandatovi dai padri, ma col prezioso sangue di Cristo, come d'agnello senza difetto né

macchia, ben preordinato prima della fondazione del mondo, ma manifestato negli ultimi tempi per

voi, i quali per mezzo di lui credete in Dio che l'ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, onde la

vostra fede e la vostra speranza fossero in Dio» (1 Pietro 1:18-21).

«E vidi nella destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con

sette suggelli.

E vidi un angelo potente che bandiva con gran voce: Chi è degno d'aprire il libro e di romperne i

suggelli?

E nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, o guardarlo.

E io piangevo forte perché non s'era trovato nessuno che fosse degno d'aprire il libro, o di guardarlo.

E uno degli anziani mi disse: Non piangere; ecco, il Leone che è della tribù di Giuda, il Rampollo di

Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette suggelli.

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xxv

Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi,

che pareva essere stato immolato, ed avea sette corna e sette occhi che sono i sette Spiriti di Dio,

mandati per tutta la terra. Ed esso venne e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono.

E quando ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono

davanti all'Agnello, avendo ciascuno una cetra e delle coppe d'oro piene di profumi, che sono le

preghiere dei santi.

E cantavano un nuovo cantico, dicendo: Tu sei degno di prendere il libro e d'aprirne i suggelli,

perché sei stato immolato e hai comprato a Dio, col tuo sangue, gente d'ogni tribù e lingua e popolo

e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e de' sacerdoti; e regneranno sulla terra.

E vidi, e udii una voce di molti angeli attorno al trono e alle creature viventi e agli anziani; e il

numero loro era di miriadi di miriadi, e di migliaia di migliaia, che dicevano con gran voce: Degno è

l'Agnello che è stato immolato di ricever la potenza e le ricchezze e la sapienza e la forza e l'onore e la

gloria e la benedizione.

E tutte le creature che sono nel cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare e tutte le cose che sono in

essi, le udii che dicevano: A Colui che siede sul trono e all'Agnello siano la benedizione e l'onore e la

gloria e l'imperio, nei secoli dei secoli.

E le quattro creature viventi dicevano: Amen! E gli anziani si prostrarono e adorarono (Apocalisse 5).

«Dopo queste cose vidi, ed ecco una gran folla che nessun uomo poteva noverare, di tutte le nazioni

e tribù e popoli e lingue, che stava in piè davanti al trono e davanti all'Agnello, vestiti di vesti bianche

e con delle palme in mano.

E gridavano con gran voce dicendo: La salvezza appartiene all'Iddio nostro il quale siede sul trono,

ed all'Agnello.

E tutti gli angeli stavano in piè attorno al trono e agli anziani e alle quattro creature viventi; e si

prostrarono sulle loro facce davanti al trono, e adorarono Iddio dicendo:

Amen! All'Iddio nostro la benedizione e la gloria e la sapienza e le azioni di grazie e l'onore e la

potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen.

E uno degli anziani mi rivolse la parola dicendomi: Questi che son vestiti di vesti bianche chi son

dessi, e donde son venuti?

Io gli risposi: Signor mio, tu lo sai. Ed egli mi disse: Essi son quelli che vengono dalla gran

tribolazione, e hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell'Agnello.

Perciò son davanti al trono di Dio, e gli servono giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul

trono spiegherà su loro la sua tenda. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà

più il sole né alcuna arsura; perché l'Agnello che è in mezzo al trono li pasturerà e li guiderà alle

sorgenti delle acque della vita; e Iddio asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro» (Apocalisse 7:9-17).

«Ed io udii una gran voce nel cielo che diceva: Ora è venuta la salvezza e la potenza ed il regno

dell'Iddio nostro, e la potestà del suo Cristo, perché è stato gettato giù l'accusatore dei nostri fratelli,

che li accusava dinanzi all'Iddio nostro, giorno e notte. Ma essi l'hanno vinto a cagion del sangue

dell'Agnello e a cagion della parola della loro testimonianza; e non hanno amata la loro vita, anzi

l'hanno esposta alla morte» (Apocalisse 12:10-11).

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xxvi

«Poiché avvenne che dopo che ebbi desiderato di conoscere le cose che mio padre aveva visto,

credendo che il Signore fosse in grado di farmele conoscere, mentre sedevo meditando nel mio

cuore, fui rapito nello Spirito del Signore, sì, su un'altissima montagna che non avevo mai visto

prima e sulla quale prima non avevo mai messo piede.

E lo Spirito mi disse: Ecco, cosa desideri?

E io dissi: Desidero vedere le cose che vide mio padre.

E lo Spirito mi disse: Credi tu che tuo padre vide l'albero di cui ha parlato?

E io dissi: Sì, tu sai che io credo a tutte le parole di mio padre.

E quando ebbi detto queste parole, lo Spirito gridò ad alta voce, dicendo: Osanna al Signore,

l'altissimo Iddio, poiché egli è Dio su tutta la terra, sì, proprio su tutta. E benedetto sei tu, Nefi,

perché credi nel Figlio dell'altissimo Iddio; pertanto tu vedrai le cose che hai desiderato. Ed ecco

questo ti sarà dato come segno, che dopo aver veduto l'albero che portava il frutto che tuo padre

assaggiò, tu vedrai pure un uomo scendere dal cielo e testimonierai di lui; e dopo che avrai

testimoniato di lui, porterai testimonianza che egli è il Figlio di Dio.

E avvenne che lo Spirito mi disse: Guarda! E guardai e vidi un albero; ed era come l'albero che aveva

visto mio padre; e la sua bellezza era di gran lunga superiore, sì, superava ogni altra bellezza; e il suo

candore sorpassava il candore della neve sospinta dal vento.

E avvenne che dopo che ebbi visto l'albero, dissi allo Spirito: Vedo che mi hai mostrato l'albero che è

prezioso più di ogni altra cosa.

Ed egli mi disse: Cosa desideri?

E io gli dissi: Conoscerne l'interpretazione poiché gli parlavo come parla un uomo, poiché vedevo

ch'egli aveva la forma di un uomo; tuttavia sapevo che era lo Spirito del Signore; ed egli mi parlava

come un uomo parla ad un altro uomo.

E avvenne che egli mi disse: Guarda! E io guardai come per osservarlo, ma non lo vidi; poiché se

n'era andato dalla mia presenza.

E avvenne che guardai e vidi la grande città di Gerusalemme e anche altre città. E vidi la città di

Nazaret; e nella città di Nazaret vidi una vergine, ed ella era straordinariamente leggiadra e pura.

E avvenne che vidi i cieli aprirsi; e un angelo scese, stette dinanzi a me, e mi disse: Nefi, cosa vedi?

E gli dissi: Una vergine più bella e più leggiadra di ogni altra vergine.

Ed egli mi disse: Conosci tu la condiscendenza di Dio?

E io gli dissi: So che egli ama i suoi figlioli; nondimeno non conosco il significato di tutte le cose.

Ed egli mi disse: Ecco, la vergine che vedi è la madre del Figlio di Dio, secondo la carne.

E avvenne che io vidi ch'ella era rapita nello Spirito; e dopo che era stata rapita nello Spirito per lo

spazio di un tempo, l'angelo mi parlò, dicendo: Guarda!

E io guardai e vidi di nuovo la vergine che portava un bambino fra le sue braccia.

E l'angelo mi disse: Ecco l'Agnello di Dio, sì, proprio il Figlio del Padre Eterno! Conosci tu il

significato dell'albero che vide tuo padre?

E io gli risposi, dicendo: Sì, è l'amore di Dio, che si effonde nel cuore dei figlioli degli uomini;

pertanto è la più desiderabile di tutte le cose.

Ed egli mi parlò, dicendo: Sì, e la più gioiosa per l'anima.

E dopo che ebbe dette queste parole mi disse: Guarda! E io guardai, e vidi il Figlio di Dio avanzare

tra i figlioli degli uomini, e ne vidi molti cadere ai suoi piedi e adorarlo.

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xxvii

E avvenne che io vidi che la verga di ferro che mio padre aveva visto era la parola di Dio, che

conduceva alla sorgente di acque vive, ossia all'albero della vita; le quali acque sono una

rappresentazione dell'amore di Dio; e vidi pure che l'albero della vita era una rappresentazione

dell'amore di Dio.

E l'angelo mi disse di nuovo: Guarda e vedi la condiscendenza di Dio!

E guardai e vidi il Redentore del mondo, del quale aveva parlato mio padre; e vidi pure il profeta che

avrebbe preparato il cammino dinanzi a lui. E l'Agnello di Dio si fece avanti e fu battezzato da lui; e

dopo che fu battezzato, vidi i cieli aperti e lo Spirito Santo scendere dal cielo e soffermarsi su di lui in

forma di una colomba.

E vidi che andava esercitando il suo ministero presso il popolo, in potenza e grande gloria. E le

moltitudini si radunavano per udirlo; e vidi che lo scacciavano di frammezzo a loro.

E vidi pure dodici altri che lo seguivano. E avvenne che essi furono rapiti nello Spirito dalla mia

presenza e non li vidi più.

E avvenne che l'angelo mi parlò di nuovo, dicendo: Guarda! E guardai, e vidi i cieli di nuovo aperti e

vidi degli angeli discendere sui figlioli degli uomini; ed essi esercitavano il loro ministero presso di

loro.

Ed egli mi parlò di nuovo, dicendo: Guarda! E guardai, e vidi l'Agnello di Dio che andava fra i figlioli

degli uomini. E vidi moltitudini di persone che erano ammalate, e che erano afflitte da ogni sorta di

malattie, da demoni, e da spiriti impuri; e l'angelo parlò e mi mostrò tutte queste cose. Ed esse

furono guarite mediante il potere dell'Agnello di Dio; e i demoni e gli spiriti impuri venivano

scacciati.

E avvenne che l'angelo mi parlò di nuovo, dicendo: Guarda! E io guardai, e vidi l'Agnello di Dio che

era preso dal popolo; sì, il Figlio dell'eterno Iddio era giudicato dal mondo; e io vidi e ne porto

testimonianza.

E io, Nefi, vidi che egli veniva innalzato sulla croce e ucciso per i peccati del mondo» (1 Nefi 11:1-33).

«Ed egli disse: Ecco, esce dalla bocca di un Giudeo. E io, Nefi, lo vidi; ed egli mi disse: Il libro che

vedi è una storia dei Giudei, che contiene le alleanze che il Signore ha fatto con il casato d'Israele; e

contiene pure molte delle profezie dei santi profeti; ed è una storia simile alle incisioni che sono sulle

tavole di bronzo, salvo che non ce ne sono così tante; nondimeno esse contengono le alleanze che il

Signore ha fatto con il casato d'Israele; pertanto sono di grande valore per i Gentili.

E l'angelo del Signore mi disse: Hai visto che il libro usciva dalla bocca d'un Giudeo; e quando usciva

dalla bocca di un Giudeo, conteneva la pienezza del Vangelo del Signore del quale i dodici apostoli

portano testimonianza; ed essi portano testimonianza secondo la verità che è nell'Agnello di Dio.

Pertanto queste cose passano in purezza dai Giudei ai Gentili, secondo la verità che è in Dio.

E dopo essere passate per mano dei dodici apostoli dell'Agnello, dai Giudei ai Gentili, vedi la

formazione di quella chiesa grande e abominevole, che è la più abominevole di tutte le altre chiese;

poiché, ecco, essi hanno tolto dal Vangelo dell'Agnello molte parti che sono chiare e preziosissime; e

hanno anche tolto molte alleanze del Signore.

E hanno fatto tutto questo per poter pervertire le giuste vie del Signore, per poter accecare gli occhi e

indurire il cuore dei figlioli degli uomini.

Pertanto tu vedi che, dopo che il libro è passato per le mani della chiesa grande e abominevole, vi

sono molte cose chiare e preziose che sono state tolte dal libro, che è il libro dell'Agnello di Dio.

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xxviii

E dopo che queste cose chiare e preziose sono state tolte, esso si diffonde in tutte le nazioni dei

Gentili; e dopo che è diffuso fra tutte le nazioni dei Gentili, sì, anche al di là delle molte acque che tu

hai visto assieme ai Gentili che sono usciti fuori di schiavitù, tu vedi a causa delle molte cose

chiare e preziose che sono state tolte dal libro, che erano chiare alla comprensione dei figlioli degli

uomini, secondo la chiarezza che è nell'Agnello di Dio a causa di queste cose che sono tolte dal

Vangelo dell'Agnello, moltissimi davvero inciampano, sì, tanto che Satana ha grande potere su di

loro.

Nondimeno tu vedi che i Gentili che sono usciti fuor di schiavitù e che sono stati elevati dal potere di

Dio sopra tutte le altre nazioni, sulla faccia della terra che è scelta sopra tutte le altre terre che è la

terra riguardo alla quale il Signore Iddio fece alleanza con tuo padre che la sua posterità avrebbe

posseduto come terra di loro eredità; pertanto vedi che il Signore Iddio non permetterà che i Gentili

annientino completamente la mescolanza della tua posterità che è fra i tuoi fratelli.

E neppure permetterà che i Gentili annientino la posterità dei tuoi fratelli.

Né il Signore Iddio permetterà che i Gentili rimangano per sempre in quell'orribile stato di cecità in

cui vedi che si trovano a causa delle parti chiare e preziosissime del Vangelo dell'Agnello che sono

state celate da quella chiesa abominevole di cui hai visto la formazione.

Pertanto dice l'Agnello di Dio: Io sarò misericordioso verso i Gentili, fino a visitare il residuo del

casato d'Israele con grandi giudizi.

E avvenne che l'angelo del Signore mi parlò, dicendo: Ecco, dice l'Agnello di Dio, dopo che avrò

visitato il residuo del casato d'Israele e questo residuo di cui parla è la posterità di tuo padre

pertanto, dopo che l'avrò visitato in giudizio e percosso per mano dei Gentili, e dopo che i Gentili

avranno inciampato grandemente a causa delle parti molto chiare e preziose del Vangelo

dell'Agnello che sono state celate da quella chiesa abominevole, che è la madre delle meretrici, dice

l'Agnello in quel giorno io sarò misericordioso verso i Gentili, tanto che farò venire alla luce per

loro, mediante il mio potere, gran parte del mio Vangelo, che sarà chiaro e prezioso, dice l'Agnello.

Poiché ecco, dice l'Agnello: Io mi manifesterò alla tua posterità, cosicché essi scriveranno molte cose

che io impartirò loro, che saranno chiare e preziose; e dopo che la tua posterità sarà stata distrutta e

sarà degenerata nell'incredulità, come pure la posterità dei tuoi fratelli, ecco, queste cose saranno

nascoste per venire alla luce per i Gentili, per dono e potere dell'Agnello.

E in esse sarà scritto il mio Vangelo, dice l'Agnello, e la mia roccia e la mia salvezza.

E benedetti sono coloro che cercheranno di far sorgere la mia Sion in quel giorno, poiché avranno il

dono e il potere dello Spirito Santo; e se persevereranno fino alla fine, saranno elevati all'ultimo

giorno e saranno salvati nel regno eterno dell'Agnello; e coloro annunzieranno la pace, sì, notizie di

grande gioia, quanto saranno belli essi sulle montagne.

E avvenne che io vidi il residuo della posterità dei miei fratelli, e anche il libro dell'Agnello di Dio,

che era uscito dalla bocca del Giudeo, che passò dai Gentili al residuo della posterità dei miei fratelli.

E dopo che fu passato ad essi, vidi altri libri che passavano dai Gentili a loro, per il potere

dell'Agnello, per convincere i Gentili e il residuo della posterità dei miei fratelli, e anche i Giudei che

erano dispersi su tutta la faccia della terra, che gli annali dei profeti e dei dodici apostoli dell'Agnello

sono veritieri.

E l'angelo mi parlò, dicendo: Questi ultimi annali, che hai visto fra i Gentili, confermeranno la verità

dei primi, che sono dei dodici apostoli dell'Agnello, e faranno conoscere le cose chiare e preziose che

ne sono state tolte; e faranno conoscere a tutte le tribù, lingue e popoli che l'Agnello di Dio è il Figlio

del Padre Eterno e il Salvatore del mondo; e che tutti gli uomini debbono venire a lui, altrimenti non

possono essere salvati.

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xxix

E devono venire secondo le parole che saranno confermate dalla bocca dell'Agnello; e le parole

dell'Agnello saranno rese note negli annali della tua posterità, così come negli annali dei dodici

apostoli dell'Agnello; pertanto saranno entrambi confermati in uno, poiché vi è un solo Dio e un solo

Pastore su tutta la terra.

E viene il tempo in cui egli si manifesterà a tutte le nazioni, sia ai Giudei che ai Gentili; e dopo essersi

manifestato ai Giudei e anche ai Gentili, allora egli si manifesterà ai Gentili, e anche ai Giudei, e gli

ultimi saranno i primi, e i primi saranno gli ultimi» (1 Nefi 13:23-42).

«Pertanto la redenzione viene nel Santo Messia e tramite lui; poiché egli è pieno di grazia e di verità.

Ecco, egli offre se stesso quale sacrificio per il peccato, per rispondere ai fini della legge, per tutti

coloro che hanno un cuore spezzato e uno spirito contrito; e per nessun altro è possibile rispondere

ai fini della legge.

Pertanto quanto è importante far conoscere queste cose agli abitanti della terra, affinché possano

sapere che non c'è nessuna carne che possa dimorare alla presenza di Dio, se non tramite i meriti e la

misericordia e la grazia del Santo Messia, che depone la sua vita secondo la carne e la riprende per il

potere dello Spirito, perché egli possa far avverare la risurrezione dei morti, essendo egli il primo a

dover risuscitare.

Pertanto egli è la primizia per Dio, inquantoché farà intercessione per tutti i figlioli degli uomini; e

coloro che credono in lui saranno salvati» (2 Nefi 2:6-9).

«Ecco, miei diletti fratelli, io vi dico queste cose perché possiate gioire e sollevare il capo per sempre,

a motivo delle benedizioni che il Signore Iddio riverserà sui vostri figlioli.

Perché so che avete cercato assai, molti di voi, di conoscere le cose a venire; so pertanto che voi

sapete che la nostra carne deve corrompersi e morire; nondimeno nel nostro corpo noi vedremo Dio.

Sì, io so che voi sapete che egli si mostrerà nel corpo a quelli in Gerusalemme, donde venimmo;

poiché è opportuno che ciò avvenga fra loro; perché è necessario che il grande Creatore acconsenta

di assoggettarsi all'uomo nella carne, e di morire per tutti gli uomini, affinché tutti gli uomini

possano divenire a lui soggetti.

Poiché, come la morte è venuta a tutti gli uomini per adempiere il piano misericordioso del grande

Creatore, è necessario che vi sia un potere di risurrezione, e la risurrezione è necessario che venga

all'uomo a causa della Caduta, e la Caduta venne a causa della trasgressione; e poiché l'uomo divenne

decaduto, essi furono recisi dalla presenza del Signore.

Pertanto è necessario che vi sia una espiazione infinita e se non fosse una espiazione infinita,

questa corruzione non potrebbe rivestirsi di incorruttibilità. Pertanto il primo giudizio che cadde

sull'uomo avrebbe dovuto necessariamente restare per un tempo infinito. E se così fosse, questa

carne avrebbe dovuto giacere per marcire e decomporsi nella madre terra, per non risorgere mai più.

Oh, la saggezza di Dio, la sua misericordia e la sua grazia! Poiché ecco, se la carne non risuscitasse

più, il nostro spirito dovrebbe divenire soggetto a quell'angelo che cadde dalla presenza dell'eterno

Iddio, e divenne il diavolo, per non risorgere mai più.

E il nostro spirito avrebbe dovuto divenire come lui, e noi divenire diavoli, angeli di un diavolo, per

essere esclusi dalla presenza del nostro Dio, e per rimanere con il padre delle menzogne,

nell'infelicità, come lui stesso; con quell'essere che ingannò i nostri primi genitori, che si trasforma

quasi in un angelo di luce e istiga i figlioli degli uomini verso associazioni segrete di omicidio e ogni

sorta di tenebrose opere segrete.

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xxx

Oh, com'è grande la bontà del nostro Dio, che ci prepara una via per sfuggire alla stretta di

quest'orribile mostro; sì, quel mostro, morte e inferno, che io chiamo la morte del corpo, e anche la

morte dello spirito.

E grazie alla via di liberazione del nostro Dio, il Santo d'Israele, questa morte di cui ho parlato, che è

quella temporale, restituirà i suoi morti; la qual morte è la tomba.

E questa morte di cui ho parlato, che è la morte spirituale, restituirà i suoi morti; la qual morte

spirituale è l'inferno; pertanto, la morte e l'inferno debbono restituire i loro morti, e l'inferno deve

restituire i suoi spiriti prigionieri e la tomba deve restituire i suoi corpi prigionieri, e il corpo e lo

spirito degli uomini saranno ricongiunti l'uno all'altro; e ciò sarà per il potere di risurrezione del

Santo d'Israele.

Oh, quanto è grande il piano del nostro Dio! Poiché, d'altro canto, il paradiso di Dio dovrà restituire

gli spiriti dei giusti e la tomba restituire i corpi dei giusti; e lo spirito e il corpo è ricongiunto

nuovamente a se stesso, e tutti gli uomini diventano incorruttibili e immortali, e sono anime viventi,

che hanno una conoscenza perfetta come noi nella carne, salvo che la nostra conoscenza sarà allora

perfetta.

Pertanto avremo una perfetta conoscenza di tutte le nostre colpe, delle nostre impurità e della nostra

nudità; e i giusti avranno una perfetta conoscenza della loro contentezza e della loro rettitudine,

essendo rivestiti di purezza, sì proprio di una veste di rettitudine.

E avverrà che quando tutti gli uomini saranno passati da questa prima morte alla vita, in quanto

divenuti immortali, dovranno comparire davanti al seggio del giudizio del Santo d'Israele; e allora

verrà il giudizio, e allora dovranno essere giudicati secondo il santo giudizio di Dio.

E certamente, come vive il Signore, poiché il Signore Iddio l'ha detto, ed è sua parola eterna, che non

può passare, che coloro che sono giusti resteranno giusti, e coloro che sono immondi resteranno

immondi; pertanto coloro che sono immondi sono il diavolo e i suoi angeli; e se ne andranno nel

fuoco perpetuo, preparato per loro; e il loro tormento è come un lago di fuoco e di zolfo, le cui

fiamme ascendono per sempre e in eterno, e non hanno fine.

Oh, grandezza e giustizia del nostro Dio! Poiché egli mette ad effetto tutte le sue parole; esse sono

uscite dalla sua bocca, e la sua legge deve essere adempiuta.

Ma ecco, i giusti, i santi del Santo d'Israele, coloro che hanno creduto nel Santo d'Israele, coloro che

hanno sopportato le croci del mondo e che ne hanno disprezzato l'onta, essi erediteranno il regno di

Dio, che fu preparato per loro fin dalla fondazione del mondo, e la loro gioia sarà completa per

sempre.

Oh, grandezza della misericordia del nostro Dio, il Santo d'Israele! Poiché egli libera i suoi santi da

quell'orribile mostro, il diavolo, e dalla morte e dall'inferno, e da quel lago di fuoco e di zolfo, che è

tormento infinito.

Oh, quanto è grande la santità del nostro Dio! Poiché egli conosce ogni cosa, e non vi è nulla che egli

non conosca.

Ed egli verrà nel mondo per poter salvare tutti gli uomini, se daranno ascolto alla sua voce; poiché

ecco, egli soffre le pene di tutti gli uomini, sì, le pene di ogni creatura vivente, siano uomini, donne e

bambini, che appartengono alla famiglia d'Adamo.

Ed egli soffre queste cose affinché la risurrezione possa venire su tutti gli uomini, affinché tutti

possano stare dinanzi a lui, nel gran giorno del giudizio.

Ed egli comanda a tutti gli uomini di pentirsi, e di essere battezzati nel suo nome, avendo fede

perfetta nel Santo d'Israele, altrimenti non possono essere salvati nel regno di Dio» (2 Nefi 9:3-23).

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xxxi

«Pertanto, diletti fratelli, riconciliatevi con lui tramite l'espiazione di Cristo, suo Figlio Unigenito, e

potrete ottenere la risurrezione, secondo il potere della risurrezione che è in Cristo, ed essere

presentati a Dio come la primizia di Cristo, avendo fede, e avendo ottenuto una buona speranza di

gloria in lui, prima che egli si manifesti nella carne.

Ed ora, diletti, non vi stupite ch'io vi dica queste cose; perché infatti non parlare dell'espiazione di

Cristo, e tendere a una conoscenza perfetta di lui, come tendere alla conoscenza della risurrezione e

del mondo a venire?» (Giacobbe 4:11-12).

«Poiché ecco, viene il tempo, e non è molto lontano, in cui il Signore Onnipotente che regna, che fu

ed è d'eternità in eternità, scenderà con potere dal cielo tra i figlioli degli uomini, e dimorerà in un

tabernacolo di creta, e andrà fra gli uomini, compiendo possenti miracoli, come guarire gli infermi,

risuscitare i morti, far sì che gli storpi camminino, i ciechi ottengano la vista e i sordi sentano, e

curando ogni sorta di malattie.

Ed egli scaccerà i demoni, ossia gli spiriti maligni che dimorano nel cuore dei figlioli degli uomini.

Ed ecco, egli soffrirà le tentazioni, e i dolori del corpo, la fame, la sete e la fatica anche più di quanto

l'uomo possa sopportare a meno che ne muoia; poiché ecco, il sangue gli uscirà da ogni poro, sì

grande sarà la sua angoscia per la malvagità e le abominazioni del suo popolo.

Ed egli sarà chiamato Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Padre del cielo e della terra, il Creatore di tutte

le cose fin dal principio; e sua madre sarà chiamata Maria.

Ed ecco, egli viene ai suoi, affinché la salvezza possa venire ai figlioli degli uomini, sì, tramite la fede

nel suo nome; e anche dopo tutto ciò, essi lo considereranno un uomo e diranno che ha un demonio,

lo flagelleranno e lo crocifiggeranno.

Ed egli risorgerà dai morti il terzo giorno; ed ecco, egli si erge a giudicare il mondo; ed ecco, tutte

queste cose sono fatte affinché un giusto giudizio possa venire sui figlioli degli uomini.

Poiché ecco, il suo sangue espia anche per i peccati di coloro che sono caduti per la trasgressione di

Adamo, che sono morti senza conoscere la volontà di Dio a loro riguardo, o che hanno peccato per

ignoranza» (Mosia 3:5-11).

«Ed ora avvenne che quando re Beniamino ebbe cessato di dire le parole che gli erano state

comunicate dall'angelo del Signore, egli gettò gli occhi tutt'intorno sulla moltitudine, ed ecco erano

caduti a terra, poiché il timore del Signore era sceso su di loro.

Ed essi si erano visti nel loro stato carnale, inferiore perfino alla polvere della terra. Ed essi tutti

gridarono forte, con voce unanime, dicendo: Oh, abbi misericordia, e applica il sangue espiatorio di

Cristo affinché possiamo ricevere il perdono dei nostri peccati e il nostro cuore possa essere

purificato; poiché noi crediamo in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che creò il cielo e la terra e tutte le

cose, che scenderà fra i figlioli degli uomini.

E avvenne che dopo che ebbero pronunciato queste parole lo Spirito del Signore scese su di loro, e

furono riempiti di gioia, avendo ricevuto la remissione dei loro peccati e avendo la coscienza in pace

a motivo della grandissima fede ch'essi avevano in Gesù Cristo che sarebbe venuto, secondo le parole

che re Beniamino aveva detto loro.

E re Beniamino aprì di nuovo la bocca e cominciò a parlare loro, dicendo: Amici miei e fratelli miei,

mia stirpe e mio popolo, vorrei richiamare di nuovo la vostra attenzione, affinché possiate udire e

comprendere il resto delle parole che vi dirò.

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xxxii

Poiché ecco, se la conoscenza della bontà di Dio in questo momento ha risvegliato in voi il

sentimento della vostra nullità e del vostro stato indegno e decaduto

Io vi dico, se siete giunti a conoscere la bontà di Dio e il suo incomparabile potere, la sua saggezza, la

sua pazienza e la sua longanimità verso i figlioli degli uomini, e anche l'espiazione che è stata

preparata fin dalla fondazione del mondo, affinché in tal modo la salvezza possa venire a colui che

ripone la sua fiducia nel Signore e che è diligente nell'obbedire ai suoi comandamenti, e continua

nella fede sino alla fine della sua vita, intendo la vita del corpo mortale

Io dico che questo è l'uomo che riceve la salvezza, tramite l'espiazione che fu preparata fin dalla

fondazione del mondo per tutta l'umanità che è esistita fin dalla caduta d'Adamo, che esiste ora, o

che sempre esisterà sino alla fine del mondo.

E questo è il mezzo per il quale viene la salvezza. E non vi è nessun'altra salvezza, salvo questa di cui

si è parlato; né esistono altre condizioni per le quali l'uomo possa essere salvato, eccetto le condizioni

che vi ho detto.

Credete in Dio; credete che egli esiste, e che ha creato tutte le cose, sia in cielo che in terra; credete

che egli ha tutta la saggezza e tutto il potere, sia in cielo che in terra; credete che l'uomo non

comprende tutte le cose che il Signore può comprendere.

E di nuovo credete che dovete pentirvi dei vostri peccati e abbandonarli, e umiliarvi dinanzi a Dio; e

chiedere con sincerità di cuore che vi perdoni; ed ora, se voi credete a tutte queste cose, badate di

farle» (Mosia 4:1-10).

«Ed ora, voi avete detto che la salvezza viene mediante la legge di Mosè. Io vi dico che è opportuno

che voi obbediate alla legge di Mosè per ora; ma vi dico che verrà il tempo in cui non sarà più

opportuno obbedire alla legge di Mosè.

E inoltre io vi dico che la salvezza non viene mediante la sola legge; e se non fosse per l'espiazione

che Dio stesso farà per i peccati e le iniquità del suo popolo, esso dovrebbe inevitabilmente perire,

nonostante la legge di Mosè.

Ed ora io vi dico che era opportuno che una legge fosse data ai figlioli d'Israele, sì, una legge molto

rigida; poiché erano un popolo dal collo rigido, svelto a compiere l'iniquità e lento a ricordare il

Signore suo Dio.

Perciò gli fu data una legge, sì, una legge di adempimenti e di ordinanze, una legge che esso doveva

osservare strettamente, giorno dopo giorno, per tenerlo nel ricordo di Dio e del suo dovere verso di

lui.

Ma ecco, io vi dico che tutte queste cose erano simboli di cose a venire.

Ed ora, compresero essi la legge? Io vi dico: No, non tutti compresero la legge; e ciò a causa della

durezza del loro cuore; poiché non compresero che nessun uomo avrebbe potuto essere salvato, se

non tramite la redenzione di Dio.

Poiché ecco, non profetizzò loro Mosè riguardo alla venuta del Messia, e che Dio avrebbe redento il

suo popolo? Sì, e anche tutti i profeti che hanno profetizzato da che ebbe inizio il mondo non

hanno essi parlato più o meno riguardo a queste cose?

Non hanno essi detto che Dio stesso sarebbe sceso fra i figlioli degli uomini, e avrebbe preso forma

d'uomo e avrebbe camminato in grande potere sulla faccia della terra?

Sì, e non hanno anche detto che egli avrebbe realizzato la risurrezione dei morti, e che egli stesso

sarebbe stato oppresso ed afflitto?» (Mosia 13:27-35)

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«Ed ora Abinadi disse loro: Vorrei che comprendeste che Iddio stesso scenderà fra i figlioli degli

uomini e redimerà il suo popolo.

E poiché dimorerà nella carne, egli sarà chiamato il Figlio di Dio, ed avendo sottomesso la carne alla

volontà del Padre, è il Padre e il Figlio

Il Padre, perché concepito per il potere di Dio; e il Figlio, a causa della carne, divenendo così il Padre

e il Figlio

Ed essi sono un solo Dio, sì proprio il Padre Eterno del cielo e della terra.

E così, la carne diventando sottomessa allo Spirito, ossia il Figlio al Padre, che sono un solo Dio,

soffre la tentazione, e non cede alla tentazione, ma permette di essere beffato, flagellato, scacciato e

ripudiato dal suo popolo.

E dopo tutto ciò, dopo aver operato molti possenti miracoli tra i figlioli degli uomini, egli sarà

condotto, sì, proprio come disse Isaia, come una pecora è muta dinanzi al tosatore; così egli non

aprirà la bocca.

Sì, proprio così egli sarà condotto, crocifisso e ucciso, e la carne diventa così sottomessa anche alla

morte, e la volontà del Figlio viene assorbita dalla volontà del Padre.

E così Iddio spezza i legami della morte, avendo riportato la vittoria sulla morte; dando al Figlio il

potere di intercedere per i figlioli degli uomini

Essendo asceso al cielo, avendo viscere di misericordia, essendo pieno di compassione verso i figlioli

degli uomini, stando fra loro e la giustizia, avendo spezzato i legami della morte, preso su di sé le loro

iniquità e le loro trasgressioni, avendoli redenti e avendo soddisfatto le esigenze della giustizia.

Ed ora io vi dico: Chi proclamerà la sua generazione? Ecco, io vi dico che quando la sua vita sarà

stata offerta in sacrificio per il peccato, egli vedrà la sua posterità. Ed ora, che dite? Chi sarà la sua

posterità?

Ecco, io vi dico che chiunque ha udito le parole dei profeti, sì, di tutti i santi profeti che hanno

profetizzato riguardo alla venuta del Signore io vi dico che tutti coloro che hanno dato ascolto alle

loro parole e hanno creduto che il Signore avrebbe redento il suo popolo, e hanno atteso con ansia

quel giorno per la remissione dei loro peccati, io vi dico che sono questi la sua posterità, ossia essi

sono gli eredi del regno di Dio.

Poiché questi sono coloro i cui peccati egli avrà portato; sono questi coloro per cui egli sarà morto,

per redimerli dalle loro trasgressioni. Ed ora, non sono essi la sua posterità?

Sì, e non sono i profeti, tutti quelli che hanno aperto la bocca per profetizzare e che non sono caduti

in trasgressione, voglio dire tutti i santi profeti fin da quando ebbe inizio il mondo? Io vi dico che

essi sono la sua posterità.

E questi sono coloro che hanno annunciato la pace, che hanno portato buone novelle di bene, che

hanno annunciato la salvezza e hanno detto a Sion: Il tuo Dio regna!

Ed oh, quanto erano belli, sui monti, i loro piedi!

E ancora, quanto sono belli, sui monti, i piedi di coloro che stanno ancora annunciando la pace!

E ancora, come saranno belli, sui monti, i piedi di coloro che d'ora innanzi annunceranno la pace, sì,

da questo tempo in poi e per sempre!

Ed ecco, io vi dico: Ciò non è tutto. Poiché oh, quanto sono belli, sui monti, i piedi di colui che porta

buone novelle, che è il fondatore della pace, sì, proprio il Signore, che redimerà il suo popolo; sì,

Colui che accorderà la salvezza al suo popolo!

Poiché, se non fosse per la redenzione ch'egli compirà per il suo popolo, che era preparata fin dalla

fondazione del mondo, io vi dico, se non fosse per questo, tutta l'umanità dovrebbe perire.

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Ma ecco, i legami della morte saranno spezzati; e il Figlio regna e ha potere sui morti; perciò egli

realizza la risurrezione dei morti.

E viene una risurrezione, anzi una prima risurrezione; sì, una risurrezione di coloro che sono stati, e

che sono, e che saranno fino alla risurrezione di Cristo poiché così egli sarà chiamato.

Ed ora, la risurrezione di tutti i profeti e di tutti coloro che hanno creduto nelle loro parole, ossia di

tutti coloro che hanno obbedito ai comandamenti di Dio, avverrà nella prima risurrezione; essi sono

dunque la prima risurrezione.

Essi sono elevati per dimorare con Dio che li avrà redenti; così essi avranno la vita eterna tramite

Cristo, che avrà spezzato i legami della morte.

E questi sono coloro che partecipano alla prima risurrezione; e questi sono coloro che sono morti

prima che Cristo venga, nella loro ignoranza, non essendo stata proclamata loro la salvezza. E così il

Signore realizza la restaurazione di costoro; ed essi partecipano alla prima risurrezione, ossia hanno

vita eterna, essendo redenti dal Signore.

Ed anche i bambini hanno la vita eterna» (Mosia 15:1-25).

«Ed ecco, egli nascerà da Maria, a Gerusalemme, che è la terra dei nostri padri, essendo ella una

vergine, un vaso prezioso e scelto, che sarà coperta dall'ombra e concepirà per il potere dello Spirito

Santo, e partorirà un figlio, sì, proprio il Figlio di Dio.

Ed egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e ciò affinché si possa adempiere

la parola che dice: egli prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo.

E prenderà su di sé la morte, per poter sciogliere i legami della morte che legano il suo popolo; e

prenderà su di sé le loro infermità, affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia,

secondo la carne, affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle

loro infermità.

Ora, lo Spirito conosce ogni cosa: nondimeno il Figlio di Dio soffrirà, secondo la carne, per poter

prendere su di sé i peccati del suo popolo, per poter cancellare le loro trasgressioni, secondo il potere

della sua liberazione; ed ora, ecco, questa è la testimonianza che è in me.

Ora io vi dico che dovete pentirvi e nascere di nuovo; poiché lo Spirito dice che se non nascete di

nuovo non potete ereditare il regno dei cieli; venite dunque, e siate battezzati al pentimento, affinché

possiate essere lavati dai vostri peccati, affinché possiate aver fede nell'Agnello di Dio, che toglie i

peccati del mondo, che è potente per salvare e per purificare da ogni ingiustizia» (Alma 7:10-14).

«Il Figlio di Dio è proprio il Padre Eterno?

Ed Amulec gli disse: Sì, egli è proprio il Padre Eterno del cielo e della terra, e di tutte le cose che sono

in essi; egli è il principio e la fine, il primo e l'ultimo;

E verrà nel mondo per redimere il suo popolo; e prenderà su di Sé le trasgressioni di coloro che

credono nel suo nome; e sono questi coloro che avranno la vita eterna, e la salvezza non viene a

nessun altro.

Perciò i malvagi rimangono come se non vi fosse stata nessuna redenzione, eccetto che i legami della

morte saranno sciolti; poiché ecco, verrà il giorno in cui tutti risorgeranno dai morti e staranno

dinanzi a Dio, e saranno giudicati secondo le loro opere.

Ora, c'è una morte che è chiamata morte temporale; e la morte di Cristo scioglierà i legami di questa

morte temporale, affinché tutti siano risuscitati da questa morte temporale.

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xxxv

Lo spirito e il corpo saranno riuniti di nuovo nella loro forma perfetta; sia le membra che le giunture

saranno restituite alla loro propria forma, proprio come siamo noi ora in questo momento; e saremo

portati a stare dinanzi a Dio, sapendo proprio come sappiamo ora; e avremo un chiaro ricordo di

tutte le nostre colpe.

Ora, questa restaurazione verrà per tutti, sia vecchi che giovani, sia schiavi che liberi, sia maschi che

femmine, sia malvagi che giusti; e non sarà perduto neppure un capello del loro capo; ma ogni cosa

sarà restituita alla sua forma perfetta come è ora, ossia nel corpo, e saranno portati e chiamati in

giudizio davanti alla sbarra di Cristo, il Figlio, e di Dio, il Padre, e dello Spirito Santo, che sono un

solo Eterno Dio, per essere giudicati secondo le loro opere, siano esse buone o siano esse cattive.

Ora, ecco, io vi ho parlato riguardo alla morte del corpo mortale, ed anche riguardo alla risurrezione

del corpo mortale. Io vi dico che questo corpo mortale è risuscitato in un corpo immortale, cioè dalla

morte, sì, dalla prima morte, alla vita, cosicché non possono più morire; il loro spirito si unisce al

loro corpo per non esser più divisi; il tutto diviene così spirituale e immortale, cosicché non possono

più vedere la corruzione» (Alma 11:38-45).

«Ed ora, ecco, vi renderò testimonianza io stesso che queste cose sono vere. Ecco, io vi dico che so

veramente che Cristo verrà fra i figlioli degli uomini per prendere su di Sé le trasgressioni del suo

popolo, e che egli espierà per i peccati del mondo; poiché il Signore Iddio lo ha detto.

Poiché è opportuno che sia fatta un'espiazione; poiché, secondo il grande piano dell'Eterno Iddio,

dev'esser fatta un'espiazione, altrimenti tutta l'umanità dovrà inevitabilmente perire; sì, tutti sono

induriti; sì, tutti sono decaduti e perduti, e devono perire, a meno che non avvenga tramite

l'espiazione che è opportuno sia fatta.

Poiché è opportuno che vi sia un grande e ultimo sacrificio; sì, non un sacrificio di uomini, né di

bestie, né d'alcuna sorta di volatili; poiché non sarà un sacrificio umano; ma dovrà essere un

sacrificio infinito ed eterno.

Ora, non v'è alcun uomo che possa sacrificare il proprio sangue per espiare i peccati di un altro. Ora,

se un uomo uccide, ecco, la nostra legge, che è giusta, toglierà la vita a suo fratello? Io vi dico: No.

Ma la legge richiede la vita di colui che ha ucciso; perciò non vi può essere nulla di meno di

un'espiazione infinita che possa bastare per i peccati del mondo.

È necessario perciò che vi sia un grande e ultimo sacrificio; e dopo vi sarà, ossia è opportuno che vi

sia, un termine allo spargimento di sangue; allora la legge di Mosè sarà compiuta; sì, sarà tutta

compiuta, ogni iota, ogni apice, e niente sarà annullato.

Ed ecco, questo è l'intero significato della legge; ogni più piccola parte sta a indicare quel grande e

ultimo sacrificio; e quel grande e ultimo sacrificio sarà quello del Figlio di Dio, sì, infinito ed eterno.

E così egli porterà la salvezza a tutti coloro che crederanno nel suo nome; poiché essendo questo

l'intento di questo ultimo sacrificio: richiamare le viscere della misericordia, la quale vince la

giustizia e procura agli uomini i mezzi perché possano aver fede fino a pentirsi.

E così la misericordia può soddisfare le esigenze della giustizia e le circonda con le braccia della

salvezza, mentre colui che non esercita la fede fino a pentirsi è esposto all'intera legge delle esigenze

della giustizia; perciò solo per colui che ha fede fino a pentirsi si realizza il grande ed eterno piano

della redenzione» (Alma 34:8-16).

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«Ora, riguardo alla condizione dell'anima fra la morte e la risurrezione ecco che mi è stato reso

noto da un angelo che gli spiriti di tutti gli uomini, appena hanno lasciato questo corpo mortale, sì,

gli spiriti di tutti gli uomini, siano essi buoni o cattivi, sono ricondotti a quel Dio che diede loro la

vita.

E allora avverrà che gli spiriti di coloro che sono giusti saranno ricevuti in una condizione di felicità,

che è chiamata paradiso, una condizione di riposo, una condizione di pace, dove si riposeranno da

tutte le loro afflizioni, da tutte le preoccupazioni e dolori» (Alma 40:11-12).

«Poiché ecco, dopo che il Signore Iddio ebbe scacciato i nostri primi genitori fuori dal Giardino di

Eden, per coltivare la terra dalla quale erano stati tratti sì, egli allontanò l'uomo e pose al lato

orientale del Giardino di Eden dei cherubini, e una spada fiammeggiante che girava da ogni parte,

per proteggere l'albero della vita

Ora, vediamo che l'uomo era divenuto come Dio, conoscendo il bene e il male; e per tema che

stendesse la mano e cogliesse anche il frutto dell'albero della vita, ne mangiasse e vivesse per sempre,

il Signore Iddio pose dei cherubini e la spada fiammeggiante, affinché non mangiasse il frutto

E così vediamo che fu accordato all'uomo un tempo per pentirsi, sì, un tempo di prova, un tempo

per pentirsi e servire Dio.

Poiché ecco, se Adamo avesse steso subito la mano, e avesse mangiato il frutto dell'albero della vita,

sarebbe vissuto per sempre, secondo la parola di Dio, senza avere il tempo di pentirsi; sì, e inoltre la

parola di Dio sarebbe rimasta senza effetto, e il grande piano di salvezza sarebbe stato frustrato.

Ma ecco, fu stabilito che l'uomo morisse perciò, così come furono recisi dall'albero della vita, essi

dovevano essere recisi dalla faccia della terra e l'uomo divenne perduto per sempre, sì, divenne

decaduto.

Ed ora, da questo vedi che i nostri primi genitori furono recisi sia fisicamente che spiritualmente

dalla presenza del Signore; e così vediamo che divennero soggetti a seguire la loro propria volontà.

Ora ecco, non era opportuno che l'uomo fosse redento da questa morte fisica, poiché ciò avrebbe

distrutto il grande piano di felicità.

Perciò, siccome l'anima non può mai morire e la caduta aveva portato su tutta l'umanità sia una

morte spirituale che una morte fisica, cioè fu recisa dalla presenza del Signore, era opportuno che

l'umanità fosse redenta da questa morte spirituale.

Perciò, siccome erano divenuti carnali, sensuali e diabolici per natura, questa condizione di prova

divenne per loro una condizione per prepararsi; divenne una condizione preparatoria.

Ed ora ricorda, figlio mio, se non fosse stato per il piano di redenzione (lasciandolo da parte), la loro

anima, quando fossero morti, sarebbe stata infelice, essendo stata recisa dalla presenza del Signore.

Ed ora, non v'era alcun mezzo per affrancare gli uomini da questa condizione decaduta, che l'uomo

aveva richiamato su di sé a causa della sua disobbedienza;

Perciò, secondo giustizia, il piano di redenzione non avrebbe potuto essere realizzato se non a

condizione che gli uomini si pentissero in questo stato di prova, sì, in questo stato preparatorio;

poiché, se non fosse stato a queste condizioni, la misericordia non avrebbe potuto aver effetto senza

distruggere l'opera della giustizia. Ora, l'opera della giustizia non poteva essere distrutta; se così

fosse, Dio cesserebbe d'essere Dio.

E così vediamo che tutta l'umanità era decaduta, ed era nelle mani della giustizia; sì, la giustizia di

Dio che l'aveva consegnata ad essere recisa per sempre dalla sua presenza.

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Ed ora, il piano della misericordia non avrebbe potuto essere realizzato, a meno che non fosse

compiuta un'espiazione; perciò Dio stesso espia per i peccati del mondo, per realizzare il piano della

misericordia, per placare le richieste della giustizia, affinché Dio possa essere un Dio perfetto e

giusto, e anche un Dio misericordioso.

Ora, il pentimento non avrebbe potuto venire agli uomini, a meno che non vi fosse una punizione,

che fosse inoltre eterna, come deve essere la vita dell'anima, fissata in opposizione al piano di felicità,

che era pure altrettanto eterno quanto la vita dell'anima.

Ora, come potrebbe un uomo pentirsi, a meno che non abbia peccato? Come potrebbe peccare, se

non vi fosse una legge? Come potrebbe esserci una legge, se non vi fosse una punizione?

Ora, era stata fissata una punizione ed era stata data una legge giusta, il che produsse nell'uomo il

rimorso di coscienza.

Ora, se non fosse stata data una legge se l'uomo ammazzava doveva morire avrebbe egli paura

di morire se avesse ammazzato?

E inoltre, se non fosse stata data una legge contro il peccato, gli uomini non avrebbero paura di

peccare.

E se non fosse stata data una legge, se gli uomini peccavano cosa poteva fare la giustizia, o anche la

misericordia, poiché non avrebbero avuto nessun diritto sulla creatura?

Ma è stata data una legge, e una punizione è stata fissata, ed è stato concesso il pentimento;

pentimento che la misericordia esige; altrimenti la giustizia reclama la creatura e applica la legge, e la

legge infligge la punizione. Se non fosse così, le opere della giustizia sarebbero distrutte, e Dio

cesserebbe di essere Dio.

Ma Dio non cessa di essere Dio, e la misericordia reclama il penitente, e la misericordia viene a causa

dell'espiazione; e l'espiazione fa avverare la risurrezione dei morti; e la risurrezione dei morti

riconduce gli uomini alla presenza di Dio; e così essi sono restituiti alla sua presenza, per essere

giudicati secondo le loro opere, secondo la legge e la giustizia.

Poiché ecco, la giustizia mette in atto tutte le sue richieste, ed anche la misericordia reclama tutto ciò

che è suo; e così nessuno, se non chi si pente veramente, sarà salvato.

Perché, credi tu che la misericordia possa derubare la giustizia? Io ti dico: No, neppure in un punto.

Se così fosse, Dio cesserebbe di essere Dio.

E così Dio realizza i suoi grandi ed eterni propositi che erano preparati fin dalla fondazione del

mondo. E così avviene la salvezza e la redenzione degli uomini» (Alma 41:2-26).

«E affinché possiate pure sapere della venuta di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Padre del cielo e della

terra, il Creatore di tutte le cose fin dal principio; e che possiate conoscere i segni della sua venuta

perché possiate credere nel suo nome.

E se voi credete nel suo nome, vi pentirete di tutti i vostri peccati, perché possiate in tal modo averne

remissione tramite i suoi meriti.

Ed ecco, di nuovo, vi do un altro segno, sì, un segno della sua morte.

Poiché ecco, egli dovrà sicuramente morire, affinché possa venire la salvezza; sì, è necessario ed è

opportuno ch'egli muoia, per fare avverare la risurrezione dei morti, affinché in tal modo gli uomini

possano essere portati alla presenza del Signore.

Sì, ecco, questa morte fa avverare la risurrezione e redime tutta l'umanità dalla prima morte, la morte

spirituale; poiché tutta l'umanità, essendo recisa dalla presenza del Signore a causa della caduta

d'Adamo, è considerata come morta, sia quanto alle cose temporali che a quelle spirituali.

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xxxviii

Ma, ecco, la risurrezione di Cristo redime l'umanità, sì, proprio tutta l'umanità, e la riporta alla

presenza del Signore.

Sì, e realizza le condizioni del pentimento, cosicché chiunque si pente non è falciato e gettato nel

fuoco; ma chiunque non si pente è falciato e gettato nel fuoco; e sopraggiunge di nuovo su di lui la

morte spirituale, sì, una seconda morte, poiché vien di nuovo reciso quanto alle cose che

appartengono alla giustizia» (Helaman 14:12-18).

«Ecco, io sono Gesù Cristo, di cui i profeti attestarono che sarebbe venuto nel mondo.

Ed ecco, io sono la luce e la vita del mondo: ed ho bevuto da quella coppa amara che il Padre mi ha

dato ed ho glorificato il Padre prendendo su di me i peccati del mondo, e in questo ho accettato la

volontà del Padre in tutte le cose, fin dal principio.

E avvenne che quando Gesù ebbe pronunciato queste parole, tutta la moltitudine cadde a terra;

poiché si ricordarono che era stato profetizzato fra loro che Cristo si sarebbe manifestato a loro dopo

la sua ascensione al cielo.

E avvenne che il Signore parlò loro, dicendo:

Alzatevi e venite avanti verso di me, affinché possiate mettere le vostre mani nel mio fianco, e

possiate sentire anche le impronte dei chiodi nelle mie mani e nei miei piedi; cosicché possiate

sapere che io sono il Dio d'Israele e il Dio di tutta la terra, e che sono stato ucciso per i peccati del

mondo.

E avvenne che la moltitudine avanzò e pose le mani nel suo costato, e sentì le impronte dei chiodi

nelle sue mani e nei suoi piedi; e fecero questo facendosi avanti ad uno ad uno, finché furono tutti

passati, ed ebbero veduto con i loro occhi e sentito con le loro mani e seppero con certezza, e ne

resero testimonianza, che era Colui di cui era stato scritto dai profeti che sarebbe venuto.

E quando tutti si furono fatti avanti ed ebbero testimoniato per se stessi, gridarono tutti di comune

accordo, dicendo:

Osanna! Benedetto sia il nome dell'Altissimo Dio. E caddero ai piedi di Gesù e lo adorarono» (3 Nefi

11:10-17).

«Perciò io vi comando di pentirvi pentitevi, perché non abbia a colpirvi con la verga della mia

bocca, e con la mia ira, e con la mia collera, e che le vostre sofferenze siano dolorose quanto

dolorose non sapete, quanto intense non sapete, sì, quanto dure da sopportare non sapete.

Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno;

Ma se non volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me;

E queste sofferenze fecero sì che io stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e

sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo che nello spirito e desiderassi di non bere la

coppa amara e mi ritraessi

Nondimeno, sia gloria al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i figlioli degli uomini»

(DeA 19:15-19).

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xxxix

«Sì, e beati i morti che d'ora innanzi muoiono nel Signore, quando il Signore verrà, e le cose vecchie

passeranno, e tutte le cose diverranno nuove, essi risorgeranno dai morti e non moriranno più, e

riceveranno una eredità dinnanzi al Signore, nella città santa.

E colui che sarà in vita quando verrà il Signore, e avrà conservato la fede, beato lui; nondimeno, è

stabilito che egli muoia all'età dell'uomo.

Pertanto, i bambini cresceranno fino a diventare vecchi; i vecchi moriranno, però non dormiranno

nella polvere, ma saranno mutati in un batter d'occhio.

Pertanto, per questo motivo gli apostoli predicarono al mondo la risurrezione dei morti» (DeA

63:49-52).

«Mediante il potere dello Spirito i nostri occhi furono aperti e il nostro intelletto fu illuminato, così

da vedere e da comprendere le cose di Dio;

Sì, quelle cose che erano fin dal principio, prima che il mondo fosse, che furono ordinate dal Padre

tramite il suo Figlio Unigenito, che era nel seno del Padre fin dal principio;

Del quale noi portiamo testimonianza; e la testimonianza che portiamo è la pienezza del Vangelo di

Gesù Cristo, che è il Figlio, che noi vedemmo e con il quale conversammo nella visione celeste.

Poiché, mentre stavamo eseguendo il lavoro di traduzione che il Signore ci aveva assegnato,

giungemmo al ventinovesimo verso del quinto capitolo di Giovanni, che ci fu dato come segue:

Che parla della risurrezione dei morti, riguardo a coloro che udranno la voce del Figlio dell'Uomo:

E si leveranno; coloro che hanno fatto il bene nella risurrezione dei giusti, e coloro che hanno fatto il

male nella risurrezione degli ingiusti.

Ora, di ciò restammo meravigliati, poiché c'era stato dato dallo Spirito.

E mentre meditavamo su queste cose il Signore toccò gli occhi del nostro intelletto ed essi furono

aperti, e la gloria del Signore risplendette intorno.

E noi vedemmo la gloria del Figlio alla destra del Padre e fummo partecipi della sua pienezza;

E vedemmo i santi angeli, e coloro che sono santificati davanti al suo trono, che adoravano Dio e

l'Agnello, e che lo adorano per sempre e in eterno.

Ed ora, dopo le numerose testimonianze che sono state date di lui, questa è la testimonianza, l'ultima

di tutte, che diamo di lui: Che egli vive!

Poiché lo vedemmo, sì, alla destra di Dio; e udimmo la voce che portava testimonianza che egli è il

Figlio Unigenito del Padre

Che da lui, e tramite lui, e mediante lui, i mondi sono e furono creati, ed i loro abitanti sono generati

figli e figlie per Dio» (DeA 76:12-24).

«Ora, in verità vi dico che tramite la redenzione che è fatta per voi si realizza la risurrezione dai

morti.

E lo spirito e il corpo sono l'anima dell'uomo.

E la risurrezione dai morti è la redenzione dell'anima.

E la redenzione dell'anima viene da colui che vivifica ogni cosa, nel seno del quale è decretato che i

poveri e i mansueti della terra la erediteranno.

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xl

Perciò è necessario che essa sia santificata da ogni ingiustizia, affinché sia preparata per la gloria

celeste;

Poiché, dopo che avrà adempiuto la misura della sua creazione sarà coronata di gloria, sì, con la

presenza di Dio Padre;

Affinché i corpi che sono del regno celeste la posseggano per sempre e in eterno; poiché a questo

scopo essa fu fatta e creata, e a questo scopo essi sono santificati.

E vi sarà silenzio in cielo per lo spazio di mezz'ora; e immediatamente dopo la cortina del cielo si

dispiegherà come si dispiega un papiro dopo che è stato arrotolato, e il volto del Signore sarà svelato;

E i santi che saranno sulla terra, che saranno in vita, saranno vivificati e verranno rapiti per andargli

incontro.

E coloro che hanno dormito nella tomba ne usciranno, poiché le tombe saranno aperte e anch'essi

saranno rapiti per andargli incontro nel mezzo della colonna del cielo;

Essi sono di Cristo, le primizie: coloro che scenderanno con lui per primi e coloro che sono sulla

terra e nella tomba, che saranno per primi rapiti per andargli incontro; e tutto ciò per la voce del

suono della tromba dell'angelo di Dio» (DeA 88:14-20; 95-98).

«Poiché l'uomo è spirito. Gli elementi sono eterni, e spirito ed elementi inseparabilmente connessi

ricevono una pienezza di gioia.

E quando sono separati, l'uomo non può ricevere una pienezza di gioia» (DeA 93:33-34).

«Io credo che la venuta del Figlio dell'Uomo non sarà certo prima di quel tempo.

Qualsiasi principio di intelligenza noi conseguiamo in questa vita sorgerà con noi nella risurrezione.

E se una persona guadagna maggiore conoscenza e intelligenza in questa vita, mediante la sua

diligenza e la sua obbedienza, che un'altra, essa ne avrà altrettanto vantaggio nel mondo a venire.

Vi è una legge irrevocabilmente decretata nei cieli, prima della fondazione di questo mondo, sulla

quale si basano tutte le benedizioni.

E quando otteniamo una qualche benedizione da Dio, è mediante l'obbedienza a quella legge su cui

essa è basata.

Il Padre ha un corpo di carne ed ossa, tanto tangibile quanto quello dell'uomo; il Figlio pure; ma lo

Spirito Santo non ha un corpo di carne e ossa, ma è un personaggio di Spirito. Se non fosse così, lo

Spirito Santo non potrebbe dimorare in noi» (DeA 130:17-22).

«Sì, quando scenderai e le montagne fonderanno davanti a te, verrai incontro a colui che gioisce e

opera in rettitudine, a chi si ricorda di te nelle tue vie.

Poiché, fin dal principio del mondo gli uomini non hanno udito né percepito con l'orecchio, né

alcun occhio ha veduto, o Dio, a parte te, quali grandi cose hai preparato per colui che ti attende.

E si dirà: Chi è questo che scende da Dio nel cielo in vesti tinte, sì, dalle regioni che non sono

conosciute, rivestito delle sue vesti gloriose, che viaggia nella grandezza della sua forza?

Ed egli dirà: Sono colui che parlò in giustizia, potente per salvare.

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E il Signore sarà rosso nelle sue vesti, e i suoi abiti come colui che calca i piedi nel torchio.

E così grande sarà la gloria della sua presenza che il sole nasconderà la sua faccia per la vergogna, e la

luna tratterrà la sua luce, e le stelle saranno rimosse dal loro posto.

E si udrà la sua voce: Ho calpestato il tino da solo e ho portato il giudizio su tutti i popoli; e nessuno

era con me.

E li ho calpestati nella mia furia, e ho calcato i piedi su di loro nella mia collera, e ho spruzzato il loro

sangue sui miei abiti, e ho macchiato tutte le mie vesti; poiché questo era il giorno della vendetta che

era nel mio cuore.

Ed ora, l'anno dei miei redenti è giunto; ed essi racconteranno dell'amorevole benevolenza del loro

Signore e tutto ciò che egli ha dato loro, secondo la sua bontà e secondo la sua amorevole

benevolenza, per sempre e in eterno.

Egli fu afflitto in tutte le loro afflizioni. E l'angelo della sua presenza lì salvò; e nel suo amore e nella

sua compassione egli li redense e li sostenne e li portò in tutti i giorni antichi;

Sì, e anche Enoc, e coloro che erano con lui; i profeti che furono prima di lui; e anche Noè e coloro

che furono prima di lui; e anche Mosè e coloro che furono prima di lui;

E da Mosè a Elia, e da Elia a Giovanni, che erano con Cristo nella sua risurrezione, e i santi apostoli,

con Abrahamo, Isacco e Giacobbe, saranno in presenza dell'Agnello.

E le tombe dei santi si apriranno; ed essi usciranno e staranno alla destra dell'Agnello, quando egli

starà sul Monte Sion e nella città santa, la Nuova Gerusalemme; ed essi canteranno il canto

dell'Agnello, giorno e notte, per sempre e in eterno» (DeA 133:44-57).

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«Ed ora, dopo le numerose testimonianze che sono

state date di lui, questa è la testimonianza, l’ultima di tutte, che diamo di lui:

Che egli vive!».

(DeA 76:22)

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1

David Rolph Seely e Jo Ann H. Seely

David Rolph Seely era professore associato di Scritture antiche e Jo Ann H. Seely era professoressa di Scritture antiche presso la

Brigham Young University, al momento della pubblicazione di questo articolo.

David Rolph Seely e Jo Ann H. Seely, «Behold the Lamb of God», in Behold the Lamb of God: An Easter Celebration, a cura di Richard Neitzel Holzapfel, Frank F. Judd Jr., e Thomas A. Wayment (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 2008), 17–48.

«Ecco l'Agnello di Dio, sì, proprio il Figlio del Padre Eterno!» (1 Nefi 11:21).

e Scritture contengono molte metafore che c’insegnano riguardo al Signore Gesù Cristo, e un simbolo

particolarmente appropriato a Pasqua è quello dell’agnello. Il Salvatore è chiamato l’Agnello di Dio

dalla Sua vita preterrena fino al Suo trionfante regno millenario. Il simbolo dell’agnello è affascinante

per la sua semplicità, ma, nel contempo, presenta molte sfaccettature e offre spunti di riflessione per

approfondire la nostra comprensione del Salvatore. L’artista e poeta del XIX secolo William Blake ci ha dato

una magnifica immagine di un agnello, rappresentato in questa breve poesia:

Agnellino, chi ti fece?

Sai chi ti fece?

Ti diede la vita, e ti disse di mangiare

Dal ruscello e sopra il prato;

Ti diede un vestito di delizia,

Il più morbido vestito, di lana, chiaro;

Chi ti diede una così tenera voce,

da fare gioire tutte le valli!

Agnellino, chi ti fece?

Sai chi ti fece?

Agnellino, te lo dirò,

Agnellino, te lo dirò:

Egli è chiamato col tuo nome,

Poiché Egli Si chiama Agnello.

Egli è mite, ed Egli è buono;

Divenne un piccolo bambino.

Io un bambino, e tu un agnello,

Siamo chiamati col Suo nome.

Agnellino, Dio ti benedica!

Agnellino, Dio ti benedica!1

Blake ha descritto in modo poetico un agnello, oltre al nostro rapporto con l’Agnello. Gli agnelli sono

innocenti e puri, teneri, mansueti e miti, tutte caratteristiche che attribuiamo al Signore; essi sono una

meravigliosa metafora per il Salvatore. Blake ci collega anche all’Agnello in quanto Suoi figli, invitandoci a

diventare come Lui.

L

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Fig. 1. William Bouguereau, L’innocence, 1893. Immagine riprodotta per gentile concessione dell’Art

Renewal Center; ® www.artrenewal.org. L’agnello vuole trasmettere l’idea di innocenza del Cristo

bambino.

La metafora dell’Agnello fu introdotta dal profeta Enoc nella sua visione del Salvatore del mondo:

«Il Giusto è elevato e l'Agnello è immolato fin dalla fondazione del mondo» (Mosè 7:47), istituendo l’agnello

come simbolo del sacrificio di Gesù Cristo centinaia di anni prima della Sua nascita. Quasi seicento anni

prima di Cristo, Nefi riportò la sua meravigliosa visione dell’Agnello di Dio, a cominciare dalla Sua nascita

e concludendo con la visione di Giovanni il Rivelatore riguardo agli eventi della fine dei tempi (vedere 1

Nefi 11–14). Nefi desiderava capire ciò che suo padre Lehi aveva visto in visione, e fu benedetto con una

gloriosa visione personale. Gli fu mostrata Maria con il Cristo fanciullo tra le braccia, alla quale visione

l’angelo annunciò: «Ecco l'Agnello di Dio, sì, proprio il Figlio del Padre Eterno!» (1 Nefi 11:21).

La visione continua, e Nefi vede l’Agnello di Dio che viene battezzato e svolge il Suo ministero

presso i figlioli degli uomini, la Sua crocifissione, la persecuzione degli Apostoli dell’Agnello e il Suo

ministero presso i Nefiti. Il vangelo dell’Agnello viene visto venire alla luce per «[far] conoscere a tutte le

tribù, lingue e popoli che l'Agnello di Dio è il Figlio del Padre Eterno e il Salvatore del mondo; e che tutti gli

uomini debbono venire a lui, altrimenti non possono essere salvati» (1 Nefi 13:40) e la visione si conclude

con la battaglia finale tra la chiesa dell’Agnello di Dio (vedere 1 Nefi 14). Pertanto, profeticamente, l’Agnello

è il simbolo tramite il quale Nefi contempla il ministero di Gesù Cristo e la storia del Suo regno sulla terra,

prima della nascita del Salvatore.

All’inizio del ministero terreno del Salvatore, nel Vangelo di Giovanni, facciamo la conoscenza di

Giovanni Battista, che sta battezzando nel deserto, portando testimonianza di Gesù Cristo. Dopo uno

scambio con i Farisei, Giovanni riconobbe Gesù che veniva verso di lui e dichiarò: «Ecco l'Agnello di Dio, che

toglie il peccato del mondo!» (Giovanni 1:29).

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Fig. 2. Leonardo da Vinci, San Giovanni Battista, 1515. Erich Lessing/

Art Resource, NY. Louvre, Parigi, Francia. «Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!»

(Giovanni 1:29).

È interessante notare come, nella sua prima presentazione formale di Gesù, Giovanni utilizzi la semplice

metafora dell’Agnello di Dio. Questo ci dice molto riguardo a Gesù e alla Sua Espiazione. Egli è l’Agnello

sacrificale e toglierà i nostri peccati, un concetto che ha implicazioni dal significato eterno. L’immagine

dell’agnello è molto ricca e avvincente. Una breve analisi di questa metafora illuminerà molti aspetti di

questo simbolo, fornendo un modello per ciascuno di noi. Esamineremo poi il modo in cui questa immagine

è utilizzata nelle Scritture per descrivere il ministero terreno del Messia, il Suo sacrificio espiatorio, il Suo

ritorno trionfale e la Sua dimora eterna nel regno celeste. Abbiamo suddiviso il nostro argomento in quattro

categorie: (1) Agnello Sacrificale; (2) Agnello Pasquale; (3) Gesù Cristo come servo sofferente e Agnello

Pasquale; (4) Agnello Apocalittico.

L’Agnello Sacrificale

Fig. 3. Francisco de Zurbarán, L’Agnello di Dio, 1635–40. Diritti riservati © Museo Nacional del Prado –

Madrid.

«Ciò è a similitudine del sacrificio dell'Unigenito del Padre, che è pieno di grazia e di verità» (Mosè 5:7).

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Adamo ed Eva ricevettero il comandamento di offrire i primogeniti dei loro greggi al Signore

(vedere Mosè 5:5). Essi furono obbedienti, sebbene non capissero ancora le ragioni di questo sacrificio, fino a

quando un angelo insegnò loro: «Ciò è a similitudine del sacrificio dell'Unigenito del Padre, che è pieno di

grazia e di verità» (Mosè 5:7). L’agnello, dunque, è un simbolo del Salvatore sin dal principio: è il

primogenito del gregge, puro, immacolato e, nel compimento del sacrificio, in cui viene sparso del sangue e

viene data la vita, c’è un atto di obbedienza offerta liberamente secondo la volontà del Signore. Questi

principi collegati al sacrificio si trovano in tutte le Scritture e possiamo imparare molto dalle numerose storie

relative ai sacrifici e alle offerte. La storia di Caino e Abele

Fig. 4. I sacrifici presentati da Abele, Melchisedec e Abrahamo, antico mosaico Cristiano.

Sant’Apollinare in Classe, Ravenna, Italia. Scala/Art Resource, NY.

dimostrano la necessità della giusta motivazione nel fare un’offerta, in quanto i primogeniti di Abele furono

accolti, mentre l’offerta di Caino, ispirata da Satana, fu rigettata (vedere Mosè 5:18–21). Abrahamo portò una

decima di tutto ciò che aveva a Melchisedec e fu da questi benedetto: «Ed egli elevò la voce e benedisse

Abramo, poiché era il sommo sacerdote e il custode del magazzino di Dio» (TJS, Genesi 14:37). L’esempio

supremo di sacrificio nell’Antico Testamento è la storia di Abrahamo e di suo figlio Isacco, da cui possiamo

cogliere buona parte del significato di sacrificio.

Abrahamo fu chiamato dal Signore e gli fu comandato di sacrificare il suo amato figlio Isacco. Non

fu data alcuna spiegazione e la ragione, da sola, è insufficiente per fornire una completa comprensione di

questo comandamento. Abrahamo, uomo di fede, rispose semplicemente: «Eccomi» e procedette

all’adempimento delle istruzioni del Signore, senza ulteriori commenti (vedere Genesi 22:1–3). Giunti al

luogo stabilito, preparati la legna e il fuoco, Isacco chiamò il padre e chiese: «Dov'è l'agnello … Abraamo

rispose: «Figlio mio, Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto». E proseguirono tutti e due insieme.

Giunsero al luogo che Dio gli aveva detto. Abraamo costruì l'altare e vi accomodò la legna; legò Isacco suo

figlio, e lo mise sull'altare, sopra la legna» (Genesi 22:7–9; corsivo dell’autore).

Questo testo è ricco di significato, «carico di contesto»2 e offre un punto di partenza a numerose

discussioni sulla fede, l’obbedienza e il rapporto dell’uomo con Dio, ma noi ci concentreremo sul simbolo

dell’agnello e sul significato del sacrificio. Che cosa intende dire Abrahamo, nel suggerire a Isacco « Dio

stesso si provvederà l'agnello» (Genesi 22:8)? Dio ha comandato ad Abrahamo di sacrificare Isacco, eppure

Abrahamo dice al figlio che Dio provvederà un agnello. Abrahamo sta forse cercando di alleviare la paura di

Isacco, oppure sta profetizzando avvenimenti futuri? O entrambe le cose?

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Fig. 5. Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1603. Scala/Art Resource, NY.

In questa scena, i nostri occhi passano da un personaggio all’altro nel tentativo di cogliere il significato

del sacrificio che sta per avvenire. Siamo colpiti dall’orrore dipinto sul volto di Isacco, con la lama a

pochi centimetri dal suo collo. Osserviamo Abrahamo, rappresentato come perfettamente in silenzio.

L’angelo rivolge la nostra attenzione verso il montone, il quale sembra quasi proteggere e coprire

Isacco. L’animale sarà offerto come sostituto, un sacrificio offerto in vece di Isacco.

Nella letteratura ebraica, questo capitolo scritturale è chiamato Akedah o «legatura», in riferimento

al fatto che Abrahamo «legò Isacco suo figlio» (Genesi 22:9).3 Abrahamo aveva chiaramente compreso che

cosa ci si aspettava da lui, ma Isacco fu risparmiato. Il montone preso in mezzo al cespuglio fu offerto al

posto di Isacco, il figlio beneamato di Abrahamo. Il sangue dell’animale fu sparso al posto di quello di

Isacco, prefigurando il grande sacrificio del Signore Gesù Cristo a favore di tutti. Prima che Abrahamo e

Isacco fossero consapevoli della presenza di un sostituto che avrebbe salvato la vita di Isacco stesso,

entrambi manifestarono una fede incredibile e agirono senza esitazione. Un’offerta accettevole comporta

grandi sacrifici da parte di chi la offre, non soltanto beni materiali presi dalla propria abbondanza. Dopo che

Abrahamo e Isacco si furono dimostrati degni, la vita dell’animale fu offerta al posto di Isacco, proprio come

il Padre offrirà il Suo Diletto Figlio a favore di tutta l’umanità.

Quando l’angelo chiamò Abrahamo per prevenire il sacrificio, gli disse: «Ora so che tu temi Dio,

poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo» (Genesi 22:15). Qui sta la chiave: Abrahamo era disposto a

offrire al Signore suo figlio, il suo amato Isacco. Sacrificarsi significa dare del proprio meglio, il bene a cui

teniamo di più, al Signore.

Il sacrificio nel tempio. Il sacrificio, introdotto da Adamo, divenne parte del culto formale, prima nel

tabernacolo nel deserto, poi nel tempio sotto la legge di Mosè. Gli agnelli sono menzionati in modo specifico

per essere offerti come olocausto nei sacrifici della mattina e della sera, oltre a quelli del giorno del riposo,

delle festività speciali e dei giorni santi (vedere Esodo 29:38–42; Numeri 28; 29).

Il Signore istruisce il popolo d’Israele affinché porti i suoi sacrifici «senza difetto», «di sua spontanea

volontà» [Nuova Diodati, in accordo con la KJV; la Nuova Riveduta, invece, omette questa espressione; NdT] e

l’offerente «poserà la mano sulla testa dell'olocausto, e il SIGNORE lo accetterà come espiazione» (Levitico

1:3–4).

I concetti di purezza, mancanza di difetti, spontaneità e offerta della vita e del sangue come

espiazione volgono tutti a Cristo. Il sacrificio di sangue è commovente, nell’enfasi posta sulla vita offerta

come espiazione:

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«Poiché la vita della carne è nel sangue. Per questo vi ho ordinato di porlo sull'altare per fare

l'espiazione per le vostre persone; perché il sangue è quello che fa l'espiazione, per mezzo della vita»

(Levitico 17:11).

L’animale viene offerto al posto dell’offerente, con la vita dell’agnello o di un altro animale come

sostituzione. Gli effetti santificanti del sacrificio sono evidenti nella promessa data all’antica Israele, in

seguito alle istruzioni relative ai sacrifici del mattino e della sera: «Lì mi troverò con i figli d'Israele e la tenda

sarà santificata dalla mia gloria … Abiterò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro Dio. Essi conosceranno che

io sono il SIGNORE, il loro Dio; li ho fatti uscire dal paese d'Egitto per abitare in mezzo a loro. Io sono il

SIGNORE, il loro Dio» (Esodo 29:43, 45–46).

L’Agnello Pasquale

«Il decimo giorno di questo mese, ognuno prenda un agnello per famiglia, un agnello per casa» (Esodo 12:3).

L’Agnello Pasquale diventa l’immagine più interessante dell’agnello sacrificale. Durante il sacro

pasto Pasquale, i figli d’Israele rivivono e commemorano gli eventi legati alla redenzione dall’Egitto. Questi

sono gli elementi che compongono il pasto: l’agnello, il sangue, il pane azzimo e le erbe amare, tutte rivolte

alla venuta del Messia e alla redenzione che Egli avrebbe offerto dal peccato, dalla morte e dall’inferno.

Notate le caratteristiche dell’agnello: «Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, dell'anno … non gli

spezzate neanche un osso» (Esodo 12:5, 46). Tutto è un simbolo del Salvatore. Ciascuna famiglia sceglieva un

agnello e lo uccideva il quattordicesimo giorno del primo mese. Il sangue dell’animale veniva poi sparso

sull’architrave e sugli stipiti della porta come «segno» della loro obbedienza ai comandamenti del Signore.

Quando il Signore venne, nella notte, riconobbe l’obbedienza della famiglia, dimostrata dal sangue sulla

porta e «pass[ò] oltre», risparmiando il loro primogenito (Esodo 12:13).

Secondo la Bibbia, il simbolo principale della Pasqua era l’agnello sacrificale, che poteva essere

sacrificato soltanto presso il Tempio di Gerusalemme. La Pasqua doveva poi essere consumata all’interno

della singola famiglia o da un insieme di famiglie, che recavano in pellegrinaggio a Gerusalemme e

mangiavano l’intero agnello: la famiglia si riuniva, arrostiva l’agnello e lo mangiava con pane azzimo ed

erbe amare. Il pasto doveva essere consumato in fretta, ricordando la loro fuga dall’Egitto, con i fianchi cinti,

le scarpe calzate e il bastone in mano. Sebbene le tradizioni legate alla Pasqua siano mutate nel corso del

tempo, il pasto Pasquale continuò a Gerusalemme fino alla distruzione del Tempio, nel 70 d.C., dopo la

quale non vi fu più un luogo appropriato per sacrificare gli agnelli. In seguito, le famiglie continuarono a

celebrare la Pasqua, con i suoi possenti promemoria dell’intervento di Dio a loro favore, ma senza più poter

prendere parte al sacrificio di sangue. L’idea che il sangue dell’animale fosse un sostituto in vece della vita di

un altro fu soltanto raccontata ai figli per istruirli in merito al loro retaggio.

Pasqua Samaritana. Sebbene gli Ebrei abbiano proibito il sacrificio di sangue sin dalla distruzione del

Tempio, i Samaritani continuano ancora la tradizione Pasquale di sacrificare un agnello. Essi sono i

discendenti dei Samaritani del Nuovo Testamento, un popolo dal retaggio misto, disprezzati dagli Ebrei a

quel tempo e attualmente residenti in due villaggi in Israele e in Palestina. Essi celebrano una festa Pasquale

annuale in cui le famiglie si riuniscono per pregare e sacrificare gli agnelli.

Osservare questa cerimonia è un’esperienza toccante e molto profonda. Il sacrificio animale è

estraneo alla nostra società e, culturalmente, è un concetto molto strano per una mente moderna. È

interessante osservarlo attraverso gli occhi di persone che non solo si sentono culturalmente a proprio agio,

ma che la considerano un’importante esperienza di culto.

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Fig. 6. Ragazzi Samaritani con degli agnelli, in preparazione per il sacrificio Pasquale. Immagine per

gentile concessione di Jo Ann H. Seely.

I Samaritani si riuniscono una volta all’anno in cima al Monte Gerizim, con parenti e amici. Sono

vestiti con gli abiti migliori e c’è un’atmosfera festosa simile al nostro Giorno del Ringraziamento. I

preparativi cominciano al mattino presto, nelle varie case e nella piazza pubblica in cui il sacrificio avrà

luogo. Si preparano le buche nel terreno per l’arrosto e i falò vengono accesi con largo anticipo, per creare un

letto di braci ardenti per arrostire gli agnelli. I sacerdoti Samaritani cominciano a cantare la liturgia rituale

con molte ore d’anticipo. È molto interessante vederli portare gli agnelli per il sacrificio, i quali non vengono

spinti come animali al macello, ma sono portati nella pubblica piazza individualmente, di solito da giovani

uomini che li chiamano per nome e li accarezzano affettuosamente. Gli agnelli sono il loro bene prezioso, che

offrono a Dio. La gola dell’agnello viene tagliata al tramonto, nell’esatto momento stabilito dal sommo

sacerdote Samaritano. Il popolo alza un grande grido, ci sono gioia, applausi, abbracci e baci. Le persone

bagnano le mani nel sangue dell’agnello e lo spargono sulla fronte l’uno dell’altro, dai nonni fino ai giovani,

esultando nel sangue dell’agnello che manifesta la loro obbedienza ai comandamenti di Dio. È difficile

immaginarlo, ma essi si sentono uniti nell’aver adempiuto i requisiti di Dio, insieme.

Fig. 7. Agnelli Pasquali sacrificati e Samaritani che celebrano l’adempimento dei requisiti di Dio. ©

Hanan Isachar/isachar-photography.com

Le carcasse degli agnelli vengono esaminate dai sacerdoti, per assicurarsi che non vi siano difetti.

Quindi, gli agnelli vengono preparati per essere arrostiti nelle buche preparate appositamente. La festa è

condivisa dalle famiglie e dai vicini riuniti, mentre la storia della Pasqua viene ripetuta. C’è grande gioia tra

il popolo per aver adempiuto i principi del sacrificio insegnati sin dal principio: un atto di obbedienza ai

comandamenti, lo spargimento di sangue per donare la vita e l’offerta volontaria di un bene molto prezioso.

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La Pasqua fu identificata come momento prescelto per insegnare l’importanza dell’Esodo alla

generazione successiva: «Quando i vostri figli vi diranno: "Che significa per voi questo rito? risponderete:

"Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del SIGNORE, il quale passò oltre le case dei figli d'Israele in

Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case"» (Esodo 12:26–27). Il pasto Pasquale era un memento

della grande liberazione dalla schiavitù in Egitto, e agli Ebrei fu comandato di celebrarla con la propria

posterità, per ricordarsi l’intervento del Signore a loro favore.

Gesù Cristo come Servo Sofferente e Agnello Pasquale

«Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a

chi la tosa, egli non aprì la bocca» (Isaia 53:7).

Isaia descrive il Messia come un servo mite e umile, la Sua Espiazione come un agnello «condotto al

mattatoio», che «non aprì la bocca» in Sua difesa (Isaia 53:7). Durante la Settimana della Passione, Gesù

adempì il Suo ruolo di Agnello Pasquale in collegamento con la profezia del servo sofferente di Isaia.

I Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) riferiscono che Gesù e i Suoi Apostoli si riunirono in una

sala superiore e celebrarono la Pasqua all’Ultima Cena (vedere Marco 14:13–15). Al mattino, Gesù mandò

Pietro e Giovanni a compiere i preparativi per la celebrazione. Essi entrarono a Gerusalemme, piena di folle

di pellegrini, e acquistarono un agnello Pasquale senza difetti, che portarono al tempio. Poiché, da

tradizione, l’offerente doveva uccidere l’animale, uno degli Apostoli tagliò la gola all’agnello legato e lo

passò al sacerdote, che raccolse il sangue in un catino e lo sparse sull’altare, in memoria di Mosè, il quale

asperse il sangue sull’altare e sul popolo, quando strinsero l’alleanza con il Signore sul Sinai (vedere Esodo

24:6). Gli Apostoli portarono poi l’agnello preparato nella sala superiore, dove lo arrostirono senza

spezzarne alcun osso (vedere Esodo 12:46). Al tramonto, Gesù e i Suoi Apostoli si sedettero, reclinati,

attorno al tavolo e, raccontando la storia della liberazione miracolosa della prima Pasqua, consumarono la

Pasqua composta dall’agnello, dal pane azzimo, dalle erbe amare e dal vino, tutti simboli della redenzione

dall’Egitto avvenuta secoli prima.4

Fig. 8. Walter Rane, In memoria di Me. Immagine per gentile concessione del Museo di Arte e Storia della Chiesa, ©

Intellectual Reserve, Inc.. Gesù e gli Apostoli consumarono l’Ultima Cena insieme, secondo l’uso del tempo, seduti

reclinati attorno a un tavolo.

Dopo il pasto, Gesù prese due elementi simbolici della cena Pasquale, il pane azzimo e il vino, li

benedì e li santificò perché rappresentassero il Suo corpo e la Sua vita: ««Prendete, mangiate, questo è il mio

corpo». Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti»» (Matteo 26:26–27).

Sebbene gli Occidentali associno comunemente il sangue alla morte, dobbiamo ricordare che, nell’antica

Israele e in tutta la Bibbia, il sangue rappresentava la vita. Ad esempio, Deuteronomio 12:23 insegna:

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«Il sangue è la vita».

Con il pane e il vino, Gesù offre ai Suoi seguaci la vita, tramite la Sua Espiazione. Pertanto, in quella

sera di primavera, Gesù e i Suoi Apostoli consumarono l’agnello Pasquale, celebrando mediante simboli

l’antico atto di redenzione in cui Geova liberò il Suo popolo dalla schiavitù fisica dell’Egitto e dalla morte nel

Mar Rosso. Gesù, quindi, offrì agli Apostoli il pane e il vino e li trasformò nel sacramento, i simboli della

redenzione che sarebbe presto avvenuta. Dall’Ultima Cena, Gesù si sarebbe recato nel Giardino di

Getsemani, dove l’Espiazione avrebbe avuto inizio.

A differenza dei sinottici, Giovanni riporta nel suo Vangelo che l’Ultima Cena avvenne il giorno

prima di Pasqua (vedere Giovanni 13:1; 19:31) e, dunque, rappresenta Gesù legato e crocifisso esattamente

nel momento in cui gli agnelli Pasquali venivano uccisi nel tempio.5 Giovanni è l’unico autore evangelico a

chiamare Gesù l’Agnello di Dio, sebbene si trovino degli echi in Paolo, il quale chiama Cristo «la nostra

Pasqua ... [che] è stata immolata» (1 Corinzi 5:7) e in Pietro, il quale insegnò che la santificazione avviene

«con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia» (1 Pietro 1:19).

Giovanni, inoltre, nel suo Vangelo, identifica Gesù in modo esplicito con l’Agnello Pasquale,

modellando di conseguenza il suo racconto per inquadrare il ministero di Gesù il Cirsto quale Agnello di

Dio, dalla prima testimonianza di Giovanni Battista: «Ecco l’Agnello di Dio!» (Giovanni 1:36) fino alla

testimonianza di Giovanni il Diletto, alla morte del Salvatore, dichiarando che Egli era l’Agnello Pasquale:

«Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: «Nessun osso di lui sarà spezzato»» (Giovanni

19:36).

Fig. 9. Gerrit van Honthorst, Cristo dinanzi al Sommo Sacerdote. © National

Gallery, Londra. Le rappresentazioni artistiche di Gesù durante il Suo processo includono spesso il dettaglio

delle Sue mani legate, rammentando all’osservatore Isacco e gli animali legati per il sacrificio del tempio.

Dopo che Cristo ebbe iniziato a adempiere la volontà del Padre bevendo dalla coppa amara

dell’Espiazione nel Giardino di Getsemani, Giovanni riporta che Gesù fu tradito da Giuda, «la coorte,

dunque, il tribuno e le guardie dei Giudei presero Gesù e lo legarono» (Giovanni 18:12). Gesù legato è un

simbolo centrale in tutti i Vangeli, particolarmente in Marco, in cui gli Ebrei, dopo il processo dinanzi al

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sommo sacerdote, «legarono Gesù» e Lo mandarono da Pilato (Marco 15:1; vedere anche Matteo 27:2). Nel

Vangelo di Giovanni, tuttavia, Gesù fu legato al momento dell’arresto. L’immagine di Gesù legato ci ricorda

Isacco legato nell’Akedah, dall’ebraico ‘aqad, «legare», che appare nella Bibbia soltanto in Genesi 22:9, ma,

nell’ebraico post-biblico, significa «legare le zampe di un animale per il sacrificio».6 Nel caso degli animali, i

lacci volevano impedire loro di dimenarsi al momento dell’uccisione. Nel caso di Abrahamo e Isacco, alcuni

hanno notato come la legatura del giovane Isacco da parte del suo anziano padre funga da simbolo della

disponibilità di Isacco a sottomettersi alla volontà del padre.7

Iniziò dunque la serie di processi in cui Gesù, come profetizzato da Isaia, stette dinanzi ai Suoi

giudici, mansueto, legato come un agnello al mattatoio, e non aprì la bocca.

Egli comparve prima dinanzi ad Anna, poi al sommo sacerdote Caiafa e infine a Pilato. Inizialmente,

Gesù rispose solennemente ai Suoi accusatori, attestando di essere il Messia. Nella seconda parte del

processo davanti a Pilato (vedere Marco 15:3–5) e, in modo particolare, dinanzi ad Erode Antipa, come

profetizzato da Isaia, Gesù letteralmente «non ha aperto la bocca» (Atti 8:32; vedere anche Luca 23:8–9). La

storia è nota. Come conseguenza dello scambio dinamico tra i capi Giudei e Romani e il popolo, Gesù fu

condannato a morire. Quando Abrahamo stava per uccidere suo figlio Isacco, il Signore fornì un sostituto

sotto forma di un montone nel cespuglio; tuttavia, quando Pilato suggerì di rispettare la tradizione del

sostituto pasquale per salvare la vita di Gesù, fu Barabba, «figlio dell’uomo» in aramaico, ad essere liberato.

Quando Isacco, sulla strada verso Moria, chiese a suo padre: «Dov'è l'agnello per l'olocausto?» Abrahamo

replicò: «Figlio mio, Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto» (Genesi 22:7–8). Gesù era l’agnello

promesso e preparato dalla pre-esistenza a morire perché noi potessimo vivere, il «montone in un

cespuglio».

Giovanni cita diversi simboli della Pasqua nel suo resoconto della crocifissione, simboli che

mostrano Gesù quale Agnello Pasquale.8 In primo luogo, Giovanni nota come gli Ebrei, portando Gesù

dinanzi a Pilato, non entrassero nel Pretorio, «per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua»

(Giovanni 18:28). Con questa semplice nota, Giovanni, con la sua pungente ironia, mostra come, sebbene gli

Ebrei fossero ben consapevoli dell’importanza di evitare l’impurità per la Pasqua, essi stessero prendendo

parte, ignari, all’uccisione di Gesù il Messia, il vero Agnello Pasquale.

In secondo luogo, il lettore può scorgere, in questa nota cronologica, il fatto che Gesù sarà

effettivamente ucciso sulla croce nel momento esatto in cui gli agnelli Pasquali saranno uccisi nel tempio.9

In terzo luogo, Giovanni osserva: «Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta,

affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Per spegnere la Sua sete, qualcuno ai piedi della croce

«posta dunque una spugna, imbevuta d'aceto [oxos in greco], in cima a un ramo d'issopo, l'accostarono alla

sua bocca» (Giovanni 19:28–29). La scrittura che Gesù sta adempiendo è Salmi 22:1 oppure Salmi 69:21, ove

si parla di un giusto che soffre la sete nella persecuzione. Il termine greco tradotto come «aceto» nella Nuova

Riveduta si riferisce a un vino amaro, forse un’allusione ironica al vino bevuto durante la cena Pasquale,

santificato all’Ultima Cena perché rappresentasse la vita del Salvatore. Il lettore può ricordare che il

ministero di Gesù iniziò con il miracolo di Cana, quando Gesù mutò l’acqua in vino; ora, al termine della Sua

vita, Gesù berrà il vino amaro prima di morire e l’acqua scaturirà dal Suo fianco (vedere Giovanni 19:34).

Quarto: la verga usata per portare la spugna alla bocca del Salvatore era di issopo, la pianta prescritta

in Esodo 12 perché fosse usata per aspergere il sangue dell’agnello sull’architrave e sugli stipiti delle case dei

fedeli (vedere Esodo 12:22).

Infine, quando Pilato ordinò di spezzare le gambe dei due criminali ai lati di Gesù per affrettarne la

morte, i soldati ferirono il fianco di Gesù per accertarsi che fosse morto. Ne fuoriuscirono acqua e sangue,

l’acqua viva e il sangue della vita di Gesù offerti per i figlioli degli uomini. Questo portò Giovanni a

testimoniare: «Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: «Nessun osso di lui sarà spezzato»»

(Giovanni 19:36), in adempimento della prescrizione di Esodo per l’agnello Pasquale (vedere Esodo 12:46).

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Fig. 10. Matthias Grünewald, Pala d’altare di Isenheim. Musée Unterlinden, fotografia di O.

Zimmermann Colmar. L’agnello ai piedi della croce ci ricorda l’immagine giovannea di Gesù quale

Agnello di Dio. Qui, l’Agnello raccoglie il sangue in un calice che simboleggia il sacramento,

l’ordinanza tramite cui Gesù è in grado di trasmettere a noi la Sua vita, quando prendiamo della Sua

carne e del Suo sangue.

Dunque, nelle parole di Isaia, l’Agnello di Dio «Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni,

stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue

lividure noi siamo stati guariti … Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è

stato con il ricco» (Isaia 53:5, 9). Tre giorni dopo, l’Agnello di Dio vinse il peccato, la morte e l’inferno,

risorgendo dalla morte e ascendendo al cielo.

Gesù Cristo quale Agnello Apocalittico

«Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che sembrava

essere stato immolato, e aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio, mandati per tutta la terra»

(Apocalisse 5:6).

Negli scritti di Giovanni, incontriamo Gesù come Agnello di Dio nel libro dell’Apocalisse. Gran

parte delle immagini e dei simboli utilizzati da Giovanni per descrivere Gesù trovano il loro culmine in

Apocalisse. Quando leggiamo l’Apocalisse, dobbiamo ricordarci che si tratta di una ripetizione della storia

cosmica della salvezza, nota all’antica Israele soltanto tramite l’Antico Testamento, attraverso la lente della

vita e dell’Espiazione di Gesù Cristo. Pertanto, molti dei simboli dell’Antico Testamento trovano il loro

adempimento in Apocalisse.

Giovanni vide in visione Dio seduto sul Suo trono celeste, circondato da ventiquattro anziani, un

mare di vetro e le quattro bestie già citate da Ezechiele. Giovanni vide un libro sigillato con sette suggelli, e

Cristo, descritto come «un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, e aveva sette corna e sette

occhi» (Apocalisse 5:6). Questi è Cristo, l’Agnello - servo sofferente e mansueto e l’Agnello Pasquale.

L’Agnello, tramite l’Espiazione, trionfa sulla morte e vince il peccato e l’inferno. Tutta la creazione s’inchina

dinanzi all’Agnello trionfante e Lo loda perché Egli ha il potere di aprire i sette suggelli del libro, di rivelare

la storia del mondo e di sconfiggere la bestia, un simbolo di Satana.

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Fig. 11. Fratelli Limbourg, San Giovanni a Patmo contempla la visione dell’Agnello sul trono, le Quattro

Creature e i Ventiquattro Anziani, tratto da Les Très Riches Heures du Duc de Berry, 1416. Manoscritto su

pergamena, Musée Condé, Chantilly, Francia. Reunion des Musées

Nationaux/Art Resource, NY. L’arte Cristiana rappresenta spesso la visione di Giovanni dell’Agnello

sul Suo trono in cielo, circondato dai ventiquattro anziani e dalle quattro creature presso il Suo trono

celeste.

C’è un profondo paradosso riguardo all’immagine dell’Agnello mite e umile, ora vittorioso e in

grado di sconfiggere e scacciare la bestia. Il paradosso è uguale a quello del servo sofferente: la vittoria sul

peccato, sulla morte e sull’inferno poteva compiersi soltanto tramite l’umiltà e la sottomissione alla volontà

del Padre, grazie al sacrificio di Sé a favore degli altri.

Fig. 12. Agnus Dei trionfante con croce su un bastone. Coperchio di un sacrario per reliquie, dono del

Re d’Asturia Alfonso il Grande (866–910). Cattedrale di Astorga. Disegno di Hans-Ruedi Weber, in The

Way of the Lamb: Christ in the Apocalypse, Lenten Meditations (Geneva: WCC Publications, 1988).

In questa visione, l’Agnello di Dio viene altresì equiparato al «leone della tribù di Giuda, il

discendente di Davide», l’immagine di Cristo quale Messia Davidico dell’Antico Testamento (Apocalisse

5:5). La metafora del leone è un meraviglioso promemoria della dignità e del potere regale di Gesù quale

Messia Davidico. Questa immagine è un rovesciamento del paradosso dell’agnello e ci ricorda che Gesù, il

possente Leone di Giuda, il Dio dei cieli e della terra, scese sulla terra e, in umiltà, offrì la Sua vita con

mansuetudine, come un agnello. Sebbene il leone ci rammenti la Sua forza e il Suo potere, è Cristo

nell’immagine dell’Agnello immolato che vincerà, alla fine, le forze di Satana: «Combatteranno contro

l'Agnello e l'Agnello li vincerà» (Apocalisse 17:14).

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Nei suoi libri, Giovanni identifica i titoli e le metafore del Salvatore che c’insegnano sia riguardo alla

Sua natura e al Suo sacrificio espiatorio, sia riguardo alla natura del nostro rapporto con Lui e, dunque, del

nostro ruolo all’interno del piano evangelico. Ad esempio, Gesù insegnò ai Suoi Apostoli: «Io sono la vite,

voi siete i tralci» (Giovanni 15:5), «Io sono il pane della vita … se uno mangia di questo pane vivrà in eterno»

(Giovanni 6:48, 51) e «Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore» (Giovanni 10:11).

Questo stesso schema si ripresenta in Apocalisse e possiamo imparare molto dalle immagini utilizzate per

spiegare il nostro rapporto con l’Agnello, mediato dall’Espiazione.

Fig. 13. Leone con croce su un bastone. Liber floridus, 1250–70. Bibliothèque nationale de France.

Il sangue santificatore dell’Agnello. Durante l’apertura del sesto suggello, Giovanni vide la

Restaurazione del Vangelo e i 144.000. Egli descrisse il raduno dei fedeli seguaci di Cristo che si recavano

presso il trono dove siede l’Agnello. Essi sono descritti come «quelli che vengono dalla grande tribolazione.

Essi hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell'Agnello. Perciò sono davanti al trono di

Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro»

(Apocalisse 7:14–15). Giovanni, dunque, descrive il paradosso dell’Espiazione e la dottrina della

santificazione. Coloro i quali lavano le proprie vesti, macchiate dal sangue dei loro peccati, nel sangue

dell’Agnello, sono santificati e le loro vesti divengono bianche nel sangue dell’Agnello, il quale permette loro

di dimorare per sempre alla presenza di Dio.

L’Agnello come Pastore. Giovanni, inoltre, descrive le persone alla presenza dell’Agnello in questi

termini: «Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché

l'Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà

ogni lacrima dai loro occhi» (Apocalisse 7:16–17). Il significato di questo passo attinge dall’Antico

Testamento in misura notevole. Qui, l’Agnello è diventato Pastore, descritto usando l’immagine di Salmi 23,

attingendo da diverse metafore dell’Antico Testamento in cui Dio è il Buon Pastore che raduna il Suo gregge

(vedere Ezechiele 34).

Eppure, i membri del Suo gregge devono diventare pastori anch’essi, come insegnò Gesù nella

parabola della pecorella smarrita, disposti a sacrificarsi per trovare quest’ultima e gioire quando la

ritrovano.10

L’idea dell’agnello che diventa pastore coglie il profondo significato dell’incarnazione del Salvatore,

che Dio si fa carne, che Egli sa come soccorrerci nella carne (vedere Ebrei 2:18; Alma 7:12). Chi potrebbe

essere un pastore migliore di un agnello che conosce le necessità, i desideri e le inclinazioni delle pecore del

gregge? Chi potrebbe diventare un padre migliore di un figlio, o una madre migliore di una figlia, e un

miglior padrone di un fedele servitore? Pertanto, ci viene insegnato semplicemente che anche noi, come

pecore, dobbiamo seguire l’Agnello, il nostro Pastore, per diventare pastori del Suo gregge.

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Sapere che l’Agnello ha il potere di «asciug[are] ogni lacrima dai loro occhi» è importante, per coloro

che conoscono la profezia di Isaia sulla Seconda Venuta del Messia, il Quale «annienterà per sempre la

morte; il Signore, Dio, asciugherà le lacrime da ogni viso» (Isaia 25:8). Chi può offrirci conforto meglio

dell’Agnello che ha sofferto per noi?

L’Agnello e le acque della vita. Infine, nella visione di Giovanni della città santa di Gerusalemme alla

fine dei tempi, egli dice: «Nella città non vidi alcun tempio, perché il Signore, Dio onnipotente, e l'Agnello

sono il suo tempio. La città non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la

illumina, e l'Agnello è la sua lampada» (Apocalisse 21:22–23). In questa visione, molti dei simboli del

Vangelo di Giovanni trovano il loro culmine. Giovanni vide scorrere dal trono di Dio e dell’Agnello «il fiume

dell'acqua della vita, limpido come cristallo», che bagnava l’albero della vita e portava il suo frutto «per la

guarigione delle nazioni» (Apocalisse 22:1–2). L’Agnello come tempio celeste è il culmine della dottrina

dell’incarnazione. Nella sua prefazione, Giovanni descrisse la venuta di Gesù sulla terra per ottenere un

corpo con l’espressione «ha abitato per un tempo fra di noi» (vedere Giovanni 1:14; nella Versione inglese di Re

Giacomo, ‘abitato’ è reso col termine ‘tabernacling’, più preciso ma intraducibile in italiano; vedi anche il commento

dell’autore sotto; NdT): Egli ha piantato letteralmente la Sua tenda (lo stesso termine greco usato nell’Antico

Testamento per indicare il Tabernacolo). In seguito, Gesù fece riferimento al proprio corpo come a un

tempio: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» (Giovanni 2:19). Il fatto che la città

celeste non abbia bisogno della luce del sole è in adempimento del detto di Gesù: «Io sono la luce del

mondo» (Giovanni 8:12). Dal corpo dell’Agnello sulla croce, quando il soldato conficcò una lancia nel Suo

costato, fuoriuscirono «sangue e acqua» (Giovanni 19:34): il sangue deve essere bevuto in concomitanza con

il Pane della Vita (vedere Giovanni 6:51–53) e l’acqua viva doveva scaturire dal seno del Messia (vedere

Giovanni 7:38). Le acque che scorrono dal trono dell’Agnello per irrigare l’albero della vita sono

l’adempimento celeste delle profezie di Ezechiele (vedere Ezechiele 47) e Zaccaria (vedere Zaccaria 14:8), i

quali videro nel futuro le acque scorrere dal tempio della Gerusalemme terrena per guarire il Mar Morto.

Questa immagine adempie anche la profezia di Nefi, il quale vide la sorgente di acque vive che scorrevano

dall’albero della vita, «le quali acque sono una rappresentazione dell'amore di Dio» (1 Nefi 11:25). Queste

acque vive rappresentano la vita resa possibile dall’Espiazione che dona la vita e bagnano anche l’albero

della vita «per la guarigione delle nazioni» (Apocalisse 22:2). E quelli che adorano dinanzi al trono «

vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte» (Apocalisse 22:4).

«Ecco l’Agnello di Dio»: in questa semplice frase, impariamo dagli autori dei Vangeli il significato

della missione, del messaggio e dell’Espiazione di Gesù Cristo. Durante la Primavera, in tutto il Medio

Oriente, in Europa, in America e, in verità, in tutto il mondo, viaggiando per le campagne, possiamo essere

testimoni e meravigliarci della nuova vita manifesta negli innumerevoli, innocenti e neonati agnelli. È il

tempo della Pasqua Ebraica e Cristiana, in cui possiamo contemplare un agnello e stupire dinanzi alla grazia

di Dio resa manifesta nell’Agnello di Dio.

Fig. 14. Jan van Eyck, L’Adorazione

dell’Agnello dettaglio della pala

d’altare di Gent, 1432. Scala/Art

Resource, NY. Cattedrale di S.

Bavo, Gent, Belgio. Questo dipinto

rappresenta l’Agnello di Dio su un

altare sopraelevato, con la fonte

della vita davanti a esso, circondata

dai profeti, dagli apostoli e da altri

seguaci di Cristo.

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Noi che accettiamo l’Espiazione di Gesù Cristo siamo invitati al banchetto nuziale dell’Agnello

(vedere Apocalisse 19:1–9; DeA 58:1–11). Possiamo così unirci alle schiere celesti che s’inchinano dinanzi

all’Agnello trionfante, cantando l’inno reso immortale dalla musica di Handel: «Degno è l'Agnello, che è

stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode … «A

colui che siede sul trono, e all'Agnello, siano la lode, l'onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli»»

(Apocalisse 5:12–13).

NOTE

[1] William Blake, «The Lamb», in The Complete Poetry and Prose of William Blake, a cura di David V. Erdman, (Berkeley, CA: University of California Press, 1982), 8–9.

[2] Erich Auerbach, Mimesis: The Representation of Reality in Western Literature (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1974), 12. Auerbach discute la brevità con cui la storia di Abrahamo e Isacco viene presentata in Genesi 22, eppure, anche, quanto «profonda» sia l’obbedienza silenziosa di Abrahamo, in realtà, e quanto «carichi di contesto» siano i personaggi biblici rispetto ad altri personaggi della letteratura occidentale, come, ad esempio, gli eroi omerici.

[3] Vedere Carol Delaney, Abraham on Trial: The Social Legacy of Biblical Myth (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1998), 111.

[4] Al tempo di Gesù, i calici di vino erano diventati una parte importante della Pasqua. Per un resoconto più dettagliato dell’Ultima Cena come pasto Pasquale, vedere David Rolph Seely, «The Last Supper According to Matthew, Mark, and Luke», in The Life and Teachings of Jesus Christ: From the Last Supper through the Resurrection, a cura di Richard Neitzel Holzapfel e Thomas A. Wayment (Salt Lake City: Deseret Book, 2003), 82–94.

[5] Sono stati compiuti molti tentativi di riconciliare la cronologia delle due fonti. Forse, sono entrambe corrette in quanto c’era più di un giorno in cui celebrare la Pasqua; forse, la differenza è dovuta alla deliberata composizione dei due diversi racconti. Per una discussione più dettagliata di questo punto, vedere David Rolph Seely, «The Last Supper», 64–74.

[6] Victor P. Hamilton, The Book of Genesis: Chapters 18–50 (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1995), 110–11.

[7] Vedere Gordon J. Wenham, Word Biblical Commentary: Genesis 16–50 (Dallas: Word Books), 109.

[8] Una buona analisi di Gesù quale Agnello Pasquale si trova in S. Keener, The Gospel of John: A Commentary (Peabody, MA: Hendrickson, 2003), 2:1133–57.

[9] Ci sono molti dibattiti sull’ora dei sacrifici pasquali e sulla cronologia di Giovanni nel giorno della crocifissione. La maggior parte di essi concorda sul fatto che Gesù sia stato ucciso nel momento in cui gli agnelli venivano uccisi nel tempio (vedere Keener, The Gospel of John, 2:1100–103).

[10] Per uno studio esauriente su Gesù Cristo quale Pastore, vedere Dana M. Pike, «Jesus, the Great Shepherd King», in Celebrating Easter, a cura di Thomas A. Wayment e Keith J. Wilson (Provo, UT: BYU Religious Studies Center, 2006), 61–86.

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La Resurrezione come foglia d’olivo:

Una meditazione George S. Tate

George S. Tate era professore di discipline umanistiche e letteratura comparata presso la Brigham Young University,

al momento della pubblicazione di questo articolo.

George S. Tate, «The Resurrection as Olive Branch: A Meditation», in Behold the Lamb of God: An Easter Celebration, ed. Richard Neitzel Holzapfel, Frank F. Judd Jr., and Thomas A. Wayment (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 2008), 165–84.

uesto capitolo vuole forse essere più una meditazione personale sulla Resurrezione che

un’esposizione dottrinale. Vorrei iniziare con uno dei momenti più toccanti di tutta la musica sacra,

che troviamo verso la fine della Passione di S. Giovanni di Bach. In quest’opera, Bach mise in musica

ogni parola della storia della Passione nel Vangelo di Giovanni, dal tradimento, passando per la

crocifissione, fino alla sepoltura. Inoltre, Bach incluse dei brani corali e delle arie, in mezzo ai passi cantati

dall’Evangelista, volti a commentare gli avvenimenti del racconto in vari modi. L’aria che mi commuove di

più giunge poco dopo le parole di Gesù, alla fine della Sua agonia sulla croce: «È compiuto». L’Evangelista,

allora, dice: «E, chinato il capo, rese lo spirito» (Giovanni 19:30). Qui, Bach inserì quest’aria introspettiva,

lirica, per basso, in cui un testimone della crocifissione, come rappresentante di ciascuno di noi, s’interroga

in merito alle implicazioni delle parole «È compiuto» e del capo chino:

Mio amato Salvatore, permettimi di chiederTi,

poiché … Tu stesso hai detto: «È compiuto»;

significa questo che sono stato liberato dalla morte?

Posso ottenere il regno celeste

mediante la Tua sofferenza e la Tua morte?

È la redenzione del mondo intero vicina?

Tu non puoi parlare per l’agonia,

eppure, chini il Tuo capo

e, in silenzio, dici: «Sì»!1

Per come Bach ordina il testo, l’ultima azione terrena di Gesù, il chinare il capo, attesta che

l’Espiazione è invero stata compiuta, che siamo stati liberati dalla morte, che possiamo ritornare a Dio e che

la redenzione è disponibile a tutti.

Notate come prima della Resurrezione il testimone riflessivo di Bach chieda: «Significa questo che

sono stato liberato dalla morte?» Vorrei analizzare una domanda apparentemente strana: Qual è il rapporto

tra l’Espiazione e la Resurrezione del corpo? L’Espiazione non fu forse completata con la morte di Cristo

sulla croce? Il prezzo del peccato fu pagato tramite l’agonia di Cristo nel Getsemani e il Suo sacrificio sul

Golgota. Il Salvatore prese i nostri peccati su di Sé e, portandoli, fu ucciso per noi. Le Scritture ci dicono che,

da Adamo fino ai giorni di Cristo, l’offerta dei sacrifici prefigurò il sacrificio espiatorio dell’Agnello di Dio

(vedere Mosè 5:6–7). In nessuno di questi sacrifici, tuttavia, all’agnello sacrificale era richiesto di resuscitare

perché l’offerta fosse accettabile e completa.

Perché, allora, una resurrezione del corpo? Cristo, sotto la direzione del Padre, non creò forse il

mondo fisico pur non avendo ancora ottenuto un corpo fisico? Quale Geova, Dio dell’Antico Testamento,

Q

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Egli operò miracoli con gli elementi: il Diluvio, l’apertura del Mar Rosso, l’acqua dalla roccia, il

fuoco dal cielo sull’altare. Egli toccò le pietre staccate dal fratello di Giared (il quale, per fede, vide il Suo

dito, poi il Suo intero corpo di spirito) e fece sì che emettessero luce (vedere Ether 3:6–13). Se un corpo fisico

non è necessario per esercitare potere sulla materia, perché dovrebbe essere necessaria una Resurrezione?

Nei momenti di dolore, parliamo spesso del conforto della Resurrezione. Troviamo una certa

consolazione nella riverenza che mostriamo al corpo nella morte: lo rivestiamo con gli abiti del tempio, ove

appropriato, lo conserviamo in una bara, riunendoci attorno a essa per una preghiera familiare, dedicando la

tomba come luogo di riposo e di rimembranza. Tuttavia, non è come se, alla morte, la persona amata cessi di

esistere o resti ferma e dormiente fino alla Resurrezione. Nonostante le nostre metafore sul riposo e il sonno,

noi sappiamo, tramite alcune esperienze personali, che lo spirito continua a vivere dopo la morte come

persona attiva.2 Dunque, la continuità della vita, paradossalmente, non viene spezzata dalla morte. La

persona, essendo stata messa alla prova nel corpo in questo mondo, ha compiuto questo stato e continua

come corpo di spirito, che Dottrina e Alleanze 131:7 ci dice essere materia anch’esso, ma più raffinata di

quella che compone la nostra carne: «Ogni spirito è materia, ma è più fine o pura, e può essere percepito

soltanto mediante occhi più puri». Non è forse un conforto sufficiente, avere questa conoscenza di continuità

e la rassicurazione che saremo riuniti in spirito con i nostri cari defunti quando moriamo? Dopotutto, fu nel

Suo corpo di spirito che Cristo creò il mondo fisico. Non sembra esserci una limitazione così grande.

Perché, dunque, la resurrezione del corpo è necessaria nello schema eterno delle cose? Potremmo

prima chiederci quale sia la nostra idea del corpo. Ricordo diverse poesie medievali in cui s’immaginano il

corpo e lo spirito in lotta, al momento della morte; lo spirito accusa il corpo perché l’ha corrotto, il corpo

accusa lo spirito perché non l’ha domato e così via.3 Il disprezzo del corpo è abbastanza comune nella

tradizione Cristiana: uno dei primi e principali dibattiti sulla natura della Divinità riguardò il fatto che Cristo

potesse essere uguale al Padre, dato che prese su di Sé la carne e, pertanto, si macchiò di corruzione.4 I Santi

degli Ultimi Giorni non condividono questa domanda; tuttavia, credo vi sia una certa ambivalenza riguardo

al corpo, nella nostra cultura.

Da un lato, consideriamo prezioso il corpo, sapendo che la sua acquisizione fu uno dei motivi

principali per venire sulla terra; eppure, ci troviamo spesso in conflitto con i suoi appetiti e le sue limitazioni,

nel tentativo di raggiungere una spiritualità più elevata. Paolo scrisse riguardo a questa lotta in Romani:

«Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie

membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è

nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Romani 7:22–24).

Forse, un’analogia potrebbe aiutarci nel notare questa ambivalenza in modo più chiaro: nessun

artista è mai stato più convinto della nobiltà, bellezza ed espressività naturale del corpo umano, la somma

creazione di Dio, di quanto non fu Michelangelo. Come scrisse in un sonetto:

Né Dio, suo grazia, mi si mostra altrove

più che ’n alcun leggiadro e mortal velo;

e quel sol amo, perch’in lui si specchia.5

La forma umana era il centro di tutta l’arte di Michelangelo. Il suo primo coinvolgimento con il

Neoplatonismo, tuttavia, lo portò a considerare il corpo, composto di materia, come una prigione da cui

l’anima cerca di liberarsi, attirata dal reame superiore. Egli scorse un rapporto tra questa lotta di liberazione

e la sua opera di scultore, descritta come quella di chi cerca di liberare la forma trattenuta in schiavitù dal

marmo (fig. 1). Come scrisse nella poesia per l’amica Vittoria Colonna:

Sì come per levar, donna, si pone

in pietra alpestra e dura

una viva figura,

che là più cresce u’ più la pietra scema;

tal alcun’opre buone,

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per l’alma che pur trema,

cela il superchio della propria carne

co’ l’inculta sua cruda e dura scorza.6

Fig. 1. Michelangelo Buonarroti (1475–1564). Schiavo che si ridesta.

Accademia, Firenze, Italia. Scala/Art Resource, NY.

All’inizio di un altro famoso sonetto, Michelangelo scrisse nuovamente della forma implicita nel

marmo, ansiosa di essere liberata:

Non ha l’ottimo artista alcun concetto

c’un marmo solo in sé non circonscriva

col suo superchio, e solo a quello arriva

la man che ubbidisce all’intelletto.7

L’ambivalenza di Michelangelo è evidente: la forma umana riflette quella divina, eppure l’anima,

come la forma che lo scultore cerca di liberare dal marmo, è imprigionata in un guscio di carne corrotta.

Ritornando a Paolo, dobbiamo ricordare che, sebbene egli scrisse ai Romani riguardo alle membra

del corpo in guerra l’una contro l’altra, egli chiamò anche il corpo «il tempio di Dio», «il tempio dello Spirito

Santo» e membra di Cristo (1 Corinzi 3:16; 6:15; 6:19). Paolo scrisse anche ai Corinzi: «Poiché noi che siamo in

questa tenda [o tabernacolo, di carne] gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati

[cioè liberati dal corpo], ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita» (2 Corinzi

5:4). Egli fa riferimento al fatto di essere «rivestiti della nostra abitazione celeste» (2 Corinzi 5:2), il nostro

corpo risorto, descrivendolo come « un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria» (2 Corinzi 4:17).

Per ritornare alla nostra domanda: perché la resurrezione del corpo fisico, se la continuità dell’essere

non viene spezzata dalla morte e se il corpo di spirito può agire sulla materia? La risposta che trovo più

soddisfacente è che la Resurrezione è una foglia d’olivo offerta al corpo: essa completa l’Espiazione, invero,

completa la Creazione, riconciliando in eterno la materia e lo spirito. La Resurrezione, dunque, sostiene e

santifica il corpo e il mondo fisico da cui derivano i suoi elementi.

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È in questo contesto che possiamo considerare il noto passo di Giovanni 3:16: «Perché Dio ha tanto

amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio». Giovanni non dice: «Dio ha tanto amato i Suoi figli che,

per forza, essi dovettero essere posti nel mondo per essere messi alla prova», bensì che Egli ha amato il

mondo. Il passo scritturale continua: «Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il

mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Giovanni 3:17). Questo, ovviamente, non significa

che il mondo (inteso in un suo significato specifico) non debba essere vinto - ricordate l’espressione vivida

del presidente Gordon B. Hinckley: «il contagio lento della macchia del mondo» - quando presentò il

proclama al mondo sulla famiglia8 - ma significa che il mondo, in quanto creazione fisica, era ed è bello (il

greco usa spesso termini diversi per questi due diversi significati di ‘mondo’: kosmos, creazione fisica, per il

mondo che Dio ha tanto amato e aiōn, da cui «eone» o «epoca», per il mondo che non dobbiamo amare).9 Dio

disse che la creazione fisica del mondo era buona; la terra fu battezzata nell’acqua e lo sarà col fuoco; soffrì

alla Crocifissione del Salvatore e sarà rinnovata fisicamente e «coronata di gloria celeste».10 La gioiosa

rinascita della primavera prefigura questo rinnovamento supremo. La terra e la sua pienezza appartengono

davvero al Signore (vedere Salmi 24:1; 1 Corinzi 10:26).

Dopotutto, fu con il Suo corpo fisico che Cristo ci mostrò la via; fu tramite il Suo corpo che

l’Espiazione fu compiuta; è mediante il Suo corpo che l’Espiazione viene rappresentata e rinnovata nel

sacramento (vedere 2 Corinzi 4:10); fu tramite i gesti e il respiro del Suo corpo risorto che Cristo conferì la

pace e il dono dello Spirito Santo sui Suoi discepoli (vedere Giovanni 20:21–22). Cristo portò testimonianza

della Sua divinità invitando i Suoi discepoli Nefiti, uno ad uno, a toccare le ferite nel Suo corpo risorto

(vedere 3 Nefi 11:14–15). Tramite la Sua incarnazione e mediante la Resurrezione del Suo corpo, il Salvatore

diede importanza alla materia e ci confermò che avere un corpo è parte integrante della vita eterna, sì, della

divinità. In questo, come in tutto, Egli ci mostrò la via.

Pertanto, è nel corpo che dobbiamo ricevere le ordinanze di salvezza; gli spiriti non possono farlo, se

non tramite un corpo vicario. Il corpo è nostro compagno nelle prove; è sia lo strumento tramite il quale

siamo tentati più direttamente, sia il maestro che c’insegna attraverso il dolore e le percezioni sensoriali. Il

corpo è il registro tangibile della nostra storia terrena, non è un guscio o una prigione, né qualcosa che

possediamo così come possediamo un’automobile, ma è parte di noi, al punto che persino i giusti «morti …

considera[n]o la lunga assenza del loro spirito dal loro corpo come una schiavitù» (DeA 138:50). La schiavitù

non consiste, come vorrebbe farci credere il retaggio del dualismo Platonico, nell’avere un corpo, bensì

nell’essere separati da esso.

In una lettera indirizzata a W. W. Phelps nel 1833, Joseph Smith chiamò la rivelazione ora inclusa in

DeA 88 la «foglia d'olivo . . . staccata dall'Albero del Paradiso; il messaggio di pace del Signore a noi».11 Ho

tratto il titolo del mio intervento da questo passo. La sezione 88 contiene la dottrina più profonda sulla

Resurrezione di tutte le Scritture moderne. Nei versetti 15–16 leggiamo: «E lo spirito e il corpo sono l'anima

dell'uomo. E la risurrezione dai morti è la redenzione dell'anima», vale a dire la redenzione come

riunificazione del corpo e dello spirito. Questi versetti mi dicono che, in ultima analisi, è impossibile

separare la morte spirituale da quella fisica. Paolo scrisse che «il salario del peccato è la morte» (Romani

6:23): noi ereditiamo la morte fisica dalla trasgressione di Adamo e quella spirituale dai nostri peccati.

Pensare che la soluzione della morte spirituale sia soltanto una purificazione, un lavar via i peccati,

significa dimenticare del tutto che si tratta pur sempre di una morte. Se è una morte, allora il suo rimedio si

trova in una rinascita: la resurrezione nel mattino della Prima Resurrezione, compiuta mediante il sacrificio

del Salvatore, prefigurata nella Sua Resurrezione e simboleggiata dal nostro battesimo, che è il simbolo della

nostra rinascita spirituale. Come scrisse Giacobbe:

«Poiché ecco, se la carne non risuscitasse più, il nostro spirito dovrebbe divenire soggetto a

quell'angelo che cadde dalla presenza dell'eterno Iddio, e divenne il diavolo, per non risorgere mai

più» (2 Nefi 9:8).

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È nell’unità di materia e spirito che siamo redenti e proviamo gioia. Secondo DeA 93:33–34: «Gli

elementi sono eterni, e spirito ed elementi inseparabilmente connessi ricevono una pienezza di gioia. E quando

sono separati, l'uomo non può ricevere una pienezza di gioia» (corsivo dell’autore). Come scrisse il Profeta

Joseph Smith: «Il grande principio di felicità consiste nell’avere un corpo».12

Amo in modo particolare le parole del presidente Howard W. Hunter riguardo alla centralità della

Resurrezione: «La dottrina della resurrezione è la dottrina più importante e cruciale della religione Cristiana.

La sua importanza non può essere esagerata, né è possibile ignorarla. Senza la Resurrezione, il vangelo di

Gesù Cristo diventa una litania di detti saggi e miracoli apparentemente inspiegabili; detti e miracoli,

tuttavia, privi del trionfo supremo. No, il trionfo supremo e il supremo miracolo».13

In altre parole, sebbene le ultime parole di Cristo dalla croce siano state «È compiuto» (Giovanni

19:30) e la testimonianza contemplativa di Bach trovi una risposta affermativa alla sua domanda: «Significa

questo che sono stato liberato dalla morte?», in ultima analisi il trionfo sulla morte viene espresso e

l’Espiazione viene completata tramite la santa Resurrezione.

La Resurrezione è la foglia d’olivo che dona pace al corpo. Il termine ebraico che indica la pace,

shalom, ha molti significati a esso collegati, incluso ‘benessere’, ‘sicurezza’, ‘tranquillità’ e ‘amicizia’. Tuttavia,

il suo significato principale è completezza, integrità o interezza e persino perfezione. Questo significato di

integrità o interessa soggiace le parole di Gesù alla donna che toccò la Sua veste in mezzo alla folla: «Figliola,

la tua fede ti ha salvata; va' in pace» (Luca 8:48).14 Ripensando a questo miracolo e ad altri simili, in cui Gesù

collega la pace e l’integrità, ricordo l’enfasi posta sulla salute fisica nelle rivelazioni moderne: la Parola di

Saggezza, le benedizioni pronunciate nel tempio e la possibilità di un rinnovamento spirituale del corpo

menzionata in DeA 88:67: «Tutto il vostro corpo sarà riempito di luce» e comprenderà ogni cosa. Tutto

questo volge il nostro sguardo alla futura pace suprema che sarà stretta tra corpo e spirito, in cui il corpo

rinascerà dal battesimo della sua vita terrena per essere integrato con lo spirito in un’interezza perfetta e

glorificata. Questa, per me, è una prospettiva gioiosa e deve esserlo particolarmente per coloro la cui

chiamata specifica è sopportare malattie croniche, zoppia, cecità o altri problemi, e che attendono

pazientemente, spesso nel dolore, l’adempimento delle promesse.

Quando mi sono trovato a Londra per motivi di studio, ho tenuto diverse volte un corso sulla Prima

Guerra Mondiale e sul suo impatto. Come parte del programma, io e i miei studenti abbiamo visitato alcuni

dei campi di battaglia e dei monumenti commemorativi associati alla Battaglia della Somme, in cui solo i

Britannici persero 60.000 uomini durante il primo giorno. Uno di questi monumenti è il Memoriale di Thiepval

dei Dispersi della Somme (fig. 2–3). Sui grandi pilastri del monumento, visibili per chilometri, sono incisi i

nomi di più di 73.000 soldati britannici i cui resti non furono mai trovati, essendo stati fatti a pezzi o

polverizzati dall’artiglieria e dagli esplosivi, oppure sepolti nel fango durante i continui attacchi. Questi

soldati combatterono su una sezione di soli 22 chilometri, su un fronte complessivo di 800.

Vi sono circa mille cimiteri britannici della Prima Guerra Mondiale in Francia e nelle Fiandre,

centosettanta dei quali compresi entro un raggio di circa 20 chilometri da Albert, sulla Somme. Su ogni

campo di battaglia, vi viene rammentato che state camminando sui defunti mai ritrovati che vi

giacciono.15 Quasi nove milioni di soldati morirono durante la guerra, la maggior parte di un’intera

generazione andata perduta. Su questa terra, ci si sente sopraffatti da un senso di emozione e riverenza (fig.

4).

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Fig. 2. Memoriale Thiepval ai Dispersi della

Somme, Francia del Nord. Per gentile concessione

di George S. Tate.

Fig. 3. Piloni e Pietra/Altare della

Grande Guerra, Memoriale Thiepval.

Per gentile concessione di George S.

Tate.

Fig. 4. Serre, Cimitero, Strada 2, Somme. Per

gentile concessione di George S. Tate.

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Come scrisse una delle mie studentesse sul suo diario: «È stato così … faccio fatica a trovare le

parole. Fa riflettere. Molto tragico. Da spezzare il cuore. Ingiusto. Uno spreco. Pieno di pace. Mi ha fatto

sentire grata. Mi ha fatto pensare alla Resurrezione. Che momento sarà in luoghi come questo!»16

Avendo trovato un po’ di conforto nel riuscire a mostrare riverenza verso il corpo nelle mie

profonde esperienze di dolore, penso a quei giovani dispersi sulla Somme, fatti a pezzi o impastati nel fango;

alla mia trisnonna sepolta con il figlio mai nato lungo il suo viaggio dalla Danimarca a Sion; a una padre

Santo degli Ultimi Giorni, riguardo al quale Robert Matthews scrisse in una delle discussioni più profonde

sulla Resurrezione che io abbia mai letto, un padre che aveva perso la speranza di rivedere suo figlio,

persino nella vita a venire, perché era stato ucciso durante la Seconda Guerra Mondiale nell’esplosione della

sua nave, scomparsa nel Pacifico. Nel suo dolore, l’assenza del corpo di suo figlio superò la sua fede in una

resurrezione; non riusciva a immaginare che gli elementi, così dispersi, potessero mai essere ricostituiti.17

Quando nostro figlio Doug si stava specializzando in biofisica presso l’Università Johns Hopkins,

tenne una presentazione sulla rigenerazione dei nervi, sul perché gli assoni del Sistema Nervoso Centrale

umano non si rigenerano dopo una ferita, al contrario di quelli del Sistema Nervoso Periferico.18 L’assone di

una cellula del SNC è un elemento minuscolo del corpo nel suo complesso. La differenza tra la possibile

rigenerazione di un assone, un segreto ancora da scoprire, e la rigenerazione di intere parti del corpo i cui

elementi sono da lungo tempo dispersi e decomposti è astronomica. La differenza tra un’unica rigenerazione

di questo tipo e la resurrezione di ogni corpo che abbia mai ospitato uno spirito nella storia della terra è

semplicemente al di là di ogni comprensione.

Non possiamo neppure cominciare a capire in che modo avverrà questa riappacificazione, o tramite

quale miracoloso potere gli elementi dispersi che un tempo componevano il corpo saranno nuovamente

riuniti cosicché, come ci è stato promesso, non un solo capello, né una pagliuzza saranno perduti (vedere

DeA 29:25), ma io porto testimonianza che queste promesse sono vere. Il trionfo di questo miracolo è tanto

grande che la Pasqua ricorre ogni giorno. George Herbert, il poeta religioso del XVII secolo, conclude così la

sua poesia «Pasqua»:

Può forse esserci un altro giorno oltre a questo,

Seppur molti soli cerchino di splendere?

Noi ne contiamo trecento, ma sbagliamo:

Non ve n’è che uno, e questo per sempre.19

NOTE:

[1] BWV 245, n. 32. Il testo tedesco, riportato sotto, è tratto da Alfred Dürr, Johann Sebastian Bach, St John Passion: Genesis,

Transmission, and Meaning, traduz. inglese di Alfred Clayton (Oxford: Oxford University Press, 2000), 164.

Mein teurer Heiland, laß dich fragen,

Da du … selbst gesagt: Es ist vollbracht,

Bin ich vom Sterben frei gemacht?

Kann ich durch deine Pein und Sterben

Das Himmelreich ererben?

Ist aller Welt Erlösung da?

Du kannst vor Schmerzen zwar nichts sagen;

Doch neigest du das Haupt

Und sprichst stillschweigend: ja.

Questa è una delle cinque poesie a metro libero che Bach adattò da un libretto sulla Passione composto nel 1712 da

Barthold Heinrich Brockes: Der für die Sünden der Welt gemarterte und sterbende Jesus (Gesù, torturato e morente per i

peccati del mondo), un libretto messo in musica per intero da Telemann, Handel e altri compositori. Bach, tuttavia,

cominciò con il testo intero di Giovanni 18–19, poi aggiunse un coro e dodici brevi testi tratti da fonti varie, incluso

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Brockes (vedere Christoph Wolff, Johann Sebastian Bach: The Learned Musician [New York: W. W. Norton, 2000], 292–93).

L’espressione tedesca «Es ist vollbracht» (terza strofa) è più forte dell’equivalente traduzione italiana «È compiuto»: il

verbo suggerisce «portato pienamente a compimento, a interezza».

[2] Il sonno, ovviamente, è una metafora frequente della morte e, per questo motivo, può portare a una qualche

confusione tra il significato letterale e quello figurativo. Un buon esempio si trova in Giovanni 11, quando Gesù disse ai

Suoi discepoli: « «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato [kekoimētai]; ma vado a svegliarlo». Perciò i discepoli gli

dissero: «Signore, se egli dorme, sarà salvo». Or Gesù aveva parlato della morte di lui, ma essi pensarono che avesse

parlato del dormire del sonno [tēs koimēseōs tou hypnou]. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto» » (vv.

11–14). Vedere anche l’uso figurativo del sonno da parte di Paolo nel far riferimento a Cristo come «primizia di quelli che

dormono [tōn kekoimēmenōn]» (1 Corinzi 15:20; Riveduta). Il verbo greco koimaō usato in questi esempi è all’origine della

parola cimitero, da koimētērion «dormitorio, luogo per dormire». A volte, è piacevole immaginare che lo spirito dorma,

che riposi (in pace) tra la morte e la resurrezione. Il Profeta Joseph Smith affermò questo, in modo implicito, nel sermone

per la morte di Lorenzo Barns, il primo missionario sepolto all’estero: «È bello, per gli amici, giacere insieme abbracciati

nelle braccia dell’amore, e dormire, uniti nell’abbraccio reciproco & rinnovare le loro conversazioni» quando «si

alzeranno al mattino» (Diario di Joseph Smith, Willard Richards, 16 aprile 1843, in The Words of Joseph Smith, a cura di

Andrew F. Ehat e Lyndon W. Cook [Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 1980], 195).

Tuttavia, da diverse fonti, particolarmente DeA 138, è chiaro come lo spirito non dorma. Piuttosto, è il corpo (intero o

diviso) a dormire: «La loro polvere addormentata doveva essere riportata alla forma perfetta, osso su osso, e i tendini e la

carne su di essi; lo spirito e il corpo si dovevano unire per non essere più divisi, per poter ricevere una pienezza di gioia»

(DeA 138:17; corsivo dell’autore).

[3] La poesia più completa e drammatica tra queste è «Als I lay in a winteris nyt: A Debate between the Body and the

Soul», in John W. Conlee, a cura di, Middle English Debate Poetry: A Critical Anthology (East Lansing, MI: Colleagues Press,

1991), 18–49. Queste poesie esistono in diversi dialetti e in latino; riguardo a quest’ultimo, vedere Eleanor Kellog

Heningham, «An Early Latin Debate of the Body and Soul, Preserved in MS Royal 7 A III in the British Museum»

(Dissertazione di dottorato, New York University, 1939).

[4] Vedere «Arianism» nella Catholic Encyclopedia, che inizia così: «Prima tra le dispute dottrinali che turbarono i Cristiani

dopo il riconoscimento della Chiesa da parte di Costantino, nel 313 d.C., e origine di molte altre nel corso di tre secoli,

l’Arianismo occupa un posto importante nella storia ecclesiastica». Ario «descrisse il Figlio come un secondo Dio,

inferiore, a metà strada tra la Causa Prima e le creature … Usando una terminologia greca, [l’Arianismo] nega che il

Figlio sia della stessa essenza, natura o sostanza con Dio. Egli non è consustanziale (homoousios) con il Padre e, dunque,

Egli non è simile a Lui, o eguale in dignità, o co-eterno, o compreso entro la sfera della Divinità» (Charles G.

Herbermann et al., a cura di, Catholic Encyclopedia [1913], s.v. «Arianism», ora disponibile online presso

thttp://www.newadvent.org/cathen/01707c.htm [accesso effettuato il 23 maggio 2007]).

[5] Dal testo dell’edizione di Enzo Girardi (1960).:

[6] Ibid.

[7] Ibid.

Per una discussione più approfondita dell’estetica e della poetica di Michelangelo, vedere Robert J.

Clements, Michelangelo’s Theory of Art (New York: Gramercy, 1961).

[8] Gordon B. Hinckley, «Resistete fermamente alle lusinghe del mondo», La Stella, gennaio 1996, 116. L’espressione «the

slow stain of the world» è tratta dalla poesia «Adonais: Elegia sulla morte di John Keats» di P. B. Shelley, strofe 356–57

nell’originale inglese: «From the contagion of the world’s slow stain / He is secure» (The Complete Poems of Percy Bysshe

Shelley with Notes by Mary Shelley [New York: Modern Library, 1994], 495).

[9] Questo schema non è del tutto coerente e varia a seconda dell’autore. Giovanni, ad esempio, usa soltanto kosmos,

seppur in senso neutro (creazione fisica senza connotazioni morali), tranne forse in Giovanni 16:33: «Io ho vinto il

mondo» e 17:14: «Il mondo li ha odiati». Ad esempio, vedere la preghiera sacerdotale in Giovanni 17, dove il termine

kosmos compare quindici volte (vv. 5, 6, 9, 11, 12, 13, 14 [2], 15, 18 [2], 21, 23, 24, 25). Alcuni esempi dell’uso morale di aiōn

«mondo» sono Matteo 13:22, «le sollecitudini di questo mondo» (Parabola del seminatore; Nuova Diodati); Romani 12:2,

«non conformatevi a questo mondo»; 1 Corinzi 2:8, «dominatori di questo mondo»; 2 Corinzi 4:4, «il dio di questo

mondo»; Galati 1:4, «per strapparci da questo mondo perverso» [CEI]; Efesini 6:12, «i dominatori di questo mondo di

tenebre» e 2 Timoteo 4:10, «avendo amato questo mondo».

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[10] Vedere Joseph Smith, Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph Smith (2007), 265: «Questa terra sarà riportata alla

presenza di Dio e incoronata di gloria celeste»; cfr. DeA 88:25–26).

[11] Dall’intestazione di DeA 88; vedere anche Joseph Smith, History of the Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, a cura

di B. H. Roberts, seconda ediz. riv. (Salt Lake City: Deseret Book, 1957), 1:316.

[12] Joseph Smith, Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph Smith (2007), 217.

[13] Howard W. Hunter, «La testimonianza della resurrezione di un apostolo», La Stella, luglio 1986, 16.

[14] Per una discussione più completa del rapporto tra pace e integrità, vedere George S. Tate, «The Peace of

Christ», Ensign, aprile 1978, 44–47.

[15] Questo è esplicito, ad esempio, nella poesia di John Oxenham riportata all’ingresso del Newfoundland Memorial

Park a Beaumont-Hamel, i cui campi di battaglia e le trincee sono state preservate, in parte, per commemorare un

reggimento distrutto quasi interamente durante il primo giorno della battaglia della Somme:

Camminate dolcemente, qui! Andate piano e procedete con riverenza!

Sì, che la vostra anima s’inginocchi

E, con il capo abbassato e il cuore umile, si sforzi

Di cogliere il beneficio futuro in quest’amara perdita!

Poiché non un solo centimetro di questo terreno umido non bevve

La sua dose del sangue di uomini coraggiosi,

I quali, per la loro fede, la loro speranza, di Vita e di Libertà,

Compirono qui il sacrificio; qui diedero la propria vita,

E lo fecero spontaneamente, per voi e per me.

Gran parte delle campagne nella Francia del Nord e nelle Fiandre è tuttora un ossario; ogni anno, i contadini scavano le

ossa dei defunti nell’arare i propri campi.

[16] Diario di Sharon J. Harris, 14 luglio 2000, usato per gentile concessione; ellissi in originale.

[17] Vedere Robert J. Matthews, «Resurrection: The Ultimate Triumph», in Jesus Christ: Son of God, Savior, a cura di Paul

H. Peterson, Gary L. Hatch e Laura D. Card (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 2002),

332–33.

[18] Douglas H. Bradshaw, «Axon Regeneration: A Receptor for Nogo-66 Is Identified», saggio presentato al

Dipartimento di Biofisica, Johns Hopkins University, 2 aprile 2001.

[19] «Easter», strofe 27–30, in George Herbert, The Complete English Works, a cura di Ann Pasternak Slater, ed. riv. (New

York: Knopf, 1995), 39.

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Comprendere la Resurrezione Donald W. Parry e Jay A. Parry

Donald W. Parry e Jay A. Parry, «Understanding Death and the Resurrection» (Salt Lake City, UT: Deseret Book Co., 2003).

nostri profeti hanno descritto il sacrificio espiatorio e della Resurrezione di Gesù Cristo come l’evento

più importante della storia umana.1 Una tale affermazione appare ovvia a tutti coloro che vi riflettono su:

che cosa potrebbe essere più importante dell’atto che ci offrì la liberazione dal peccato e dalla morte?

Il peccato e la morte sono i due maggiori nemici della razza umana, entrambi introdotti nel mondo dalla

Caduta di Adamo ed Eva. L’Espiazione di Gesù Cristo vinse entrambi questi nemici; vinse la morte per tutta

l’umanità e vinse il peccato per tutti coloro che si pentono e seguono il loro Redentore.

«L’Espiazione», scrisse il presidente Gordon B. Hinckley, «è il miracolo più grande» di tutti i tempi.2 Quale

miracolo potrebbe essere più grande del purificare un’anima macchiata dal peccato, o far risorgere dalla

tomba un corpo morto da tempo, completamente disintegrato? Altri miracoli, come camminare sull’acqua,

calmare il mare, guarire i ciechi, moltiplicare i pani e i pesci, sono importanti, ma i miracoli che scaturiscono

dall’Espiazione, i miracoli che vincono la morte, i miracoli che ci aiutano a vincere il peccato, sono questi a

spalancare la porta alla nostra esaltazione eterna.

L’Espiazione per il peccato e l’Espiazione per la morte operano in tandem. Entrambe sono essenziali per

poter raggiungere la vera divinità. Se fossimo redenti dalla morte, ma non purificati dal peccato,

risorgeremmo dalla tomba come anime corrotte. Se fossimo santificati dal peccato, ma non risorgessimo mai,

non saremmo esseri corporei come Dio e non raggiungeremmo mai una pienezza di gioia (vedere DeA

93:33–34). Non c’è da sorprendersi che sia i profeti, sia i santi abbiamo elevato la propria voce in lode a

nostro Padre e al Suo Figlio Diletto, i Quali offrirono una via per sfuggire agli artigli di questi due grandi

nemici. Il loro amore è così perfetto, il loro piano così divino, che Essi fecero molto più che permetterci di

essere innalzati dalla morte a corpi senza peccato e immortali. Essi intendono elevarci alla gloria!

La Resurrezione fu l’atto culminante della meravigliosa Espiazione di Cristo. Essa è «la manifestazione

esteriore e visibile del trionfo spirituale più invisibile e interiore dell’Espiazione». Come tale, «essa resta il

fatto centrale e grandioso al cuore del messaggio Cristiano. È la sublime realtà che differenzia il

Cristianesimo da tutte le altre religioni».3 Pertanto, la Resurrezione, importante di per sé, si erge anche quale

simbolo delle numerose altre benedizioni dell’Espiazione. Se la Resurrezione è vera e reale, allora anche gli

altri poteri di Cristo di benedirci e riportarci al Padre lo sono. Parlando della Resurrezione come del culmine

dell’Espiazione, il presidente Hinckley: «Di tutte le vittorie nella storia umana, nessuna è così grande,

nessuna così universale nei suoi effetti, nessuna così eterna nelle sue conseguenze quanto la vittoria del

Signore crocifisso, che si levò nella Resurrezione quella prima mattina di Pasqua.

Noi lodiamo i capitani e i re e le nazioni vittoriose contro gli oppressori. Edifichiamo giustamente dei

monumenti per ricordarne i sacrifici e i trionfi contro le forze dell’oppressione. Tuttavia, per quanto grandi e

importanti siano questi successi, nessuno è paragonabile alla vittoria di quella figura sulla croce del Calvario,

solitaria, stremata dal dolore, che trionfò sulla morte e portò il dono della vita eterna a tutta l’umanità».4

La portata della Resurrezione è infinita: tocca ogni membro dell’umana famiglia in ogni epoca del mondo;

benedice ogni persona di ogni mondo creato da Cristo; risale al principio del tempo e procede fino alla fine

del mondo; benedice gli animali, le piante e la terra stessa. Nessun corpo defunto sarà mai dimenticato, tutti

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risorgeranno. Nessun corpo andrà perduto agli estremi della terra; il Signore conosce tutti, e tutti

risorgeranno dalla morte. Dio farà risorgere ogni membro dell’umana famiglia, senza eccezione alcuna.

Parlando della Resurrezione, John Taylor ci assicurò: «La sua portata abbraccia tutti i popoli, le nazioni e le

lingue».5

Nel ricercare una comprensione più profonda della gloriosa dottrina della Resurrezione, [possiamo

riflettere riguardo a]:

i numerosi simboli e le prefigurazioni relativi alla Resurrezione,

le chiavi che rendono possibile la Resurrezione, chiavi detenute da Gesù Cristo,

in che modo Gesù Cristo ha distrutto la morte e redento tutta l’umanità,

la Resurrezione come parte dell’Espiazione infinita di Cristo,

le numerose testimonianze e descrizioni del Signore risorto,

le molte e meravigliose capacità degli esseri risorti,

gli esseri celesti, terrestri e telesti nella Resurrezione,

i tempi e l’ordine della Resurrezione,

la continuazione dei rapporti familiari tra i giusti, dopo la Resurrezione,

come saremmo privi di speranza, conforto e redenzione se non vi fosse Resurrezione,

l’esistenza e il vantaggio dell’intelligenza acquisita nella mortalità, dopo la Resurrezione,

in che modo comprendere la Resurrezione ci guida alla rettitudine e

la natura universale della Resurrezione.

Pochi argomenti del Vangelo portano tanto conforto e tanta pace quanto la Resurrezione. Infatti, Paolo

c’insegnò a confortarci l’un l’altro insegnando la dottrina della Resurrezione. Dopo aver parlato della

Resurrezione di Gesù e della nostra, Paolo esortò: «Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole …»

(vedere 1 Tessalonicesi 4:14–18; Riveduta). Riguardo a questo, l’Anziano Neal A. Maxwell insegnò: «Il nostro

'fulgore di speranza' [vedere 2 Nefi 31:20] … significa che, ai funerali, le nostre lacrime sono sincere, ma non

a causa di una conclusione, bensì a motivo di un’interruzione. Sebbene siano altrettanto bagnate, le nostre

lacrime non sono di disperazione, bensì di apprezzamento e di attesa. Sì, per i discepoli, la chiusura di una

tomba non è che la chiusura di una porta che, in seguito, sarà spalancata con gioia. Noi diciamo con umiltà,

ma con fermezza, che è la tomba nel giardino, non la vita, ad essere vuota».6

NOTE

1. Vedere Talmage, The House of the Lord, 66; David O. McKay, Conference Report, aprile 1944, 120.

2. Gordon B. Hinckley, Teachings of Gordon B. Hinckley, 28.

3. Jeffrey R. Holland, Christ and the New Covenant, 238.

4. Gordon B. Hinckley, «La tomba vuota rese testimonianza», La Stella, luglio 1988, 59.

5. John Taylor, Mediation and Atonement, 178–79.

6. Neal A. Maxwell, BYU Speeches, 8 novembre 1977, 181.

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Rappresentare la Resurrezione Herman Du Toit

Herman Du Toit era direttore della ricerca presso il Museo d’Arte della Brigham Young University, al momento della pubblicazione

di questo articolo.

Herman du Toit, «Picturing the Resurrection», in Behold the Lamb of God: An Easter Celebration, a cura di Richard Neitzel

Holzapfel, Frank F. Judd Jr. e Thomas A. Wayment (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University,

2008), 185–200.

l potere delle immagini non può essere sottovalutato. Le opere d’arte ispirate ci parlano attraverso i

secoli, le culture e i confini nazionali, perché l’arte ispirata ha il potere di visualizzare e articolare il

mondo spirituale. Uno dei modi in cui l’artista serve l’osservatore è offrire un’interpretazione, una

visione personale di un particolare evento; questo, a sua volta, spinge noi osservatori a prendere in

considerazione e a rivalutare le nostre idee e i nostri concetti. Possiamo essere d’accordo o meno con una

particolare rappresentazione, ma l’atto stesso di guardare ci porta a mettere alla prova le nostre

interpretazioni e idee preconcette. Ciò che conta maggiormente, tuttavia, quando siamo attirati dalla visione

artistica di un evento religioso, è renderci conto della verità celata dietro la rappresentazione dell’artista. In

questo processo di scoperta i concetti vengono chiariti, si formano nuovi significati e la comprensione ne

risulta ampliata. Spesso, possiamo imparare molto dal confronto tra rappresentazioni diverse di uno stesso

argomento. La selezione di opere che segue vuole offrire un’opportunità di trarre spunti profondi riguardo

ad avvenimenti fondamentali immediatamente susseguenti la crocifissione di Cristo.

Fig. 1. Carl Heinrich Bloch, La sepoltura, ca.

1873. Museo di Storia Nazionale presso il

Castello di Frederiksborg, Danimarca. Per

gentile concessione di Intellectual Reserve,

Inc.

Carl Heinrich Bloch, un pittore danese del XIX secolo, nella

sua opera intitolata La sepoltura rappresenta il momento in

cui il corpo esanime del Signore sta per essere sollevato e

portato nel sepolcro (fig. 1). Sulla destra vediamo Giuseppe

d’Arimatea fare un gesto verso gli oscuri recessi della tomba,

mentre un piccolo gruppo di persone facenti cordoglio

piegano il capo in muto riconoscimento dei tragici,

imprevisti e orribili eventi verificatisi quello stesso

pomeriggio.

Dopo aver assistito alla frettolosa sepoltura nel sepolcro,

passiamo a una commovente rappresentazione del pittore

britannico del XIX secolo William Dyce. Nel suo quadro S.

Giovanni porta a casa la sua madre adottiva (fig. 2), vediamo l’Apostolo Giovanni portare via la sua nuova

madre adottiva, Maria, in accordo con l’ultimo incarico del Signore al Suo discepolo diletto, affinché si

prendesse cura di lei. Giovanni tiene dolcemente la mano di Maria. Lei sembra pallida e si appoggia a

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Giovanni per essere sostenuta. In lontananza, sulla sinistra, vediamo tre croci di legno vuote, indicando

l’avvenuta rimozione delle loro vittime. Sulla destra vediamo appena un’apertura nella collina, simile a una

grotta, con due figure reclinate. Forse si tratta dei soldati inviati per vigilare la tomba.

Mentre era privo del Suo corpo, tra la morte sulla croce e la

Resurrezione, Cristo svolse un ministero presso gli spiriti dei defunti. I

pittori medievali rappresentarono spesso questo avvenimento, noto

come Anastasias, in cui Cristo salva le anime dalla stretta di Satana

nell’Ade. Cristo nel Limbo, un’incisione di Albrecht Dürer (XVI secolo),

rapprsenta una parte del cancello dell’inferno spezzata, sullo sfondo

(fig. 3). Cristo si inginocchia per sollevare un’anima dalla stretta dei

demoni che compaiono minacciosi dagli orifizi posti sopra il portale

aperto.

La Resurrezione, di Carl Bloch (fig. 4), coglie il momento

dell’uscita di Cristo dal sepolcro. L’avvento della

Resurrezione del Signore viene presentato attraverso una

possente composizione simmetrica in cui il Suo capo è

l’apice di un triangolo equilatero. Il Signore guarda verso il

cielo, le Sue braccia sono sollevate in un gesto solenne di

ringraziamento, gratitudine e affermazione. Il Signore

risorto è affiancato da due angeli inginocchiati che Lo

osservano con sguardo di lode devota. Dall’ingresso della

tomba vediamo un mazzo splendente di gigli, il simbolo

della castità, della virtù, della purezza e, particolarmente a

Pasqua, di una nuova vita.

Fig. 2. William Dyce, S. Giovanni porta a casa

sua madre adottiva, ca. 1840.

Per gentile concessione di John H. Schaeffer

Fig. 4. Carl

Heinrich Bloch, La

Resurrezione, 1873.

Museo di storia

nazionale presso

il Castello di

Frederiksborg,

Danimarca. Per

gentile conces-

sione della Hope

Gallery.

Fig. 3. Albrecht Dürer, Cristo nel Limbo, 1511. Per gentile

concessione di Shawn e Andrea Merriman.

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Leggiamo nelle Scritture che, il primo giorno della settimana, alle prime luci

dell’alba, la devota Maria Maddalena si recò con altre donne presso la tomba.

Dopo aver chiesto: «Chi ci rotolerà la pietra dall'apertura del sepolcro?» (Marco

16:3) rimasero attonite nel vedere che la pietra era già stata spostata. Un angelo

si rivolse direttamente e brevemente a loro, prima alleviando i loro timori e poi

annunciando per la prima volta la Resurrezione del Signore dai morti. Dopo

averle invitate a essere testimoni della tomba vuota, l’angelo disse loro di

andare rapidamente a informare i discepoli che Cristo era risorto dai morti,

come aveva detto che avrebbe fatto. Questo commovente incontro è

rappresentato dal pittore francese William Aldophe Bouguereau (XIX secolo)

nel suo quadro Le tre Marie alla Tomba (fig. 5).

Maria Maddalena, addolorata, non riesce a comprendere il grandioso e glorioso

messaggio dell’angelo; coglie soltanto il concetto che il corpo del suo Signore è

stato rimosso. Percepiamo la sua angoscia, quando dichiara triste: «Han tolto il

Signore dal sepolcro, e non sappiamo dove l'abbiano posto» (Giovanni 20:2).

Dopo aver fatto rapporto ai discepoli. Pietro e Giovanni accorsero al

sepolcro, un evento rappresentato meravigliosamente dal pittore francese

Eugene Burnand (XIX secolo). Nella sua opera I discepoli accorrono al

sepolcro, Giovanni e Pietro corrono fianco a fianco nella fresca aria mattutina,

agitati, verso la tomba ora vuota (fig. 6). Notiamo il senso di ansiosa anticipazione sui loro volti. Soltanto

quando videro la tomba vuota e incontrarono gli angeli essi credettero per la prima volta, come riportò

Giovanni, alla Scrittura secondo cui Cristo sarebbe risorto dai morti (vedere Giovanni 20:8–9).

Fig. 6. Eugenè Burnand, I discepoli accorrono al sepolcro, 1898.

Erich Lessing/Art Resource, NY. Musée d’Orsay, Parigi.

Nel frattempo, l’addolorata e confusa Maria Maddalena aveva seguito i discepoli verso la tomba e qui

ella divenne la prima mortale a incontrare il Signore risorto faccia a faccia. In un’azione che l’Anziano James

E. Talmage definì di «amore riverente»,[1] Maria allungò le braccia per abbracciare il suo Signore, ma Egli

replicò subito: «Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre» (Giovanni 20:17). Questo incontro è

stato rappresentato da molti artisti nella storia dell’arte Cristiana. Nel quadro Noli me Tangere dell’artista

italiano Antonio Correggio (XVI secolo), un dipinto nello stile manierista del tardo Rinascimento, notiamo

l’attenta coreografia dei protagonisti. Le loro figure mostrano la virtuosità tecnica dell’artista nel

rappresentare la vita della forma umana con vitalità e convinzione (fig. 7).

Fig. 5. William Bouguereau, Le tre Marie

alla Tomba, 1876. KMSKA—Per gentile

concessione Reproductiefonds—Lukas.

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Un’altra versione dello stesso evento, dipinta dall’artista russo

Alexander Ivanoff (XIX secolo), rappresenta il versetto in uno stile

tardo-neoclassico che esemplifica le qualità originarie della

scultura greca classica. Notiamo la posa in contrapposto di Cristo e

il drappeggio diafano della Sua veste bianca, caratteristica dello

stile di questo periodo neoclassico (fig. 8).

Durante il pomeriggio del giorno della Resurrezione, due

discepoli incontrarono per caso Cristo mentre si recavano ad

Emmaus, circa undici chilometri da Gerusalemme. Essi

erano talmente presi dalla conversazione con questo

estraneo a loro ignoto che lo invitarono a mangiare con loro

quella sera, una volta giunti a destinazione. Fu soltanto

mentre erano seduti a tavola che i loro occhi si aprirono. Leggiamo: «E lo riconobbero; ma egli sparì

d'innanzi a loro» (Luca 24:31). Nel dipinto Cena ad Emmaus del pittore italiano Caravaggio, vediamo un

Cristo senza barba seduto a tavola con i discepoli (fig. 9). Caravaggio ha messo in evidenza i colori brillanti

degli abiti e ha profuso attenzione sul cibo posto sulla tavola, considerandola come una natura morta

sontuosa.

Fig. 9. Caravaggio, Cena ad Emmaus, ca. 1600. Nimatallah/Art Resource,

NY. National Gallery, Londra.

Fig. 7. Correggio, Noli Me Tangere, 1530. Erich Lessing/Art

Resource, NY.

Museo del Prado, Madrid

Fig. 8. Alexander Ivanov, Apparizione di Cristo a Maria Maddalena

(Noli Me Tangere), 1860. Scala/Art Resource, NY.

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Fig. 10. Rembrandt van Rijn, I discepoli ad Emmaus, 1864. Erich

Lessing/Art Resource, NY. Louvre, Parigi.

Circa ottanta anni più tardi, il maestro olandese

Rembrandt dipinse questa versione della cena ad

Emmaus (fig. 10). Nel suo dipinto, la tavola è

alquanto spoglia e assomiglia quasi a un altare.

Rembrandt immerge la quieta serenità di questa

scena umile nella luce divina che sembra

emanare dalla figura seduta di Cristo. Nella

rappresentazione di Rembrandt, Cristo diventa

davvero il soggetto del dipinto in modo

tranquillo e umile. L’artista coglie il momento

superno di coinvolgimento tra questo piccolo

gruppo di mortali con il loro Signore risorto

mentre conversano con Lui attorno alla tavola.

Possiamo imparare molto dal modo in cui gli artisti

visualizzano gli stessi avvenimenti. La rappresentazione

dipinta da Caravaggio di Toma che pone il dito nel fianco

del Salvatore per confermare la veridicità della Sua

Resurrezione può essere confrontata con quella di Carl Bloch

(figure 11, 12). Bloch ha dipinto un Cristo più riservato e

maestoso. Non c’è alcun contatto viscerale tra Toma e il

Salvatore. Riconosciamo invece la conversione di Toma

mentre volge lo sguardo verso il basso, in adorazione, ai

piedi feriti del Signore, venendo così a sapere per la prima

volta della Divinità di Cristo e di trovarsi alla presenza del

suo Salvatore.

Fig. 12. Carl Heinrich Bloch, Tommaso dubbioso, 1881. Museo di Storia

Nazionale presso il Castello di Frederiksborg, Danimarca. Per

gentile concessione di Intellectual Reserve, Inc.

Fig. 11. Caravaggio, L’incredulità di S. Tommaso, ca.

1603. Scala/Art Resource, NY. Uffizi, Firenze

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Il ministero post-terreno del Signore nelle Americhe è rappresentato in un quadro di Minerva Teichert,

un’artista SUG del XX secolo, intitolato Il sacramento (fig. 13). Qui vediamo il Signore risorto mentre istituisce

il sacramento nel Nuovo Mondo. Questa è una rappresentazione raffinata da parte di un’artista sincera e

sensibile. La prova incontrovertibile del fatto che il Salvatore risorto vive oggi è rappresentata anch’essa da

Minerva Teichert nel suo dipinto dell’apparizione di Cristo e del Padre celeste al giovane Joseph Smith, nel

suo amato e famoso quadro La Prima Visione (fig. 14).

Fig. 13. Minerva Teichert (1888–1976), Il Sacramento, 1950–51, olio su masonite, 91 x 122 cm.

Per gentile concessione del Museo d’Arte della Brigham Young University.

Le opere d’arte ispirate hanno il potere di edificarci e istruirci,

nella misura in cui ci avviciniamo a loro con un atteggiamento di

riverenza e umiltà. L’Anziano M. Russell Ballard dichiarò: «L’arte

ispirata parla nel linguaggio dell’eternità, insegnando al cuore

cose che gli occhi e le orecchie non possono mai

comprendere».[2] Noi possiamo essere edificati e istruiti, quando

apprezziamo in modo profondo le migliori opere d’arte prodotte

da artisti ispirati nel corso della storia. L’immagine, tuttavia, non

può parlare da sola: noi dobbiamo sottometterci dinanzi a ciò che

l’opera d’arte rappresenta, per poter ‘vedere’ davvero un’opera

d’arte devozionale. Questo è un toccante promemoria del fatto

che le cose dello Spirito sono comprese al meglio con lo Spirito e

soltanto quando ricerchiamo lo Spirito possiamo cogliere, o

immaginare, la Resurrezione.

NOTE

[1] James E. Talmage, Gesù il Cristo, 632.

[2] M. Russell Ballard, «Filling the World with Goodness and

Truth», Ensign, luglio 1996, 10.

Fig. 14. Minerva Teichert (1888–1976), La Prima Visione, 1937,

olio, 259 x 198 cm. Per gentile concessione del Museo d’Arte

della Brigham Young University.

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Le qualità uniche e supreme di Gesù il Cristo

Terry B. Ball

Terry B. Ball era il preside del Dipartimento di Educazione Religiosa della Brigham Young University,

al momento della pubblicazione di questo articolo.

Terry B. Ball, «The Unique and Supreme Attributes of Jesus the Christ», in Celebrating Easter: The 2006 BYU Easter

Conference, a cura di Thomas A. Wayment e Keith J. Wilson (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young

University), 33–42.

urante il ministero di Alma tra il popolo di Ammoniha, egli li istruì riguardo al sacerdozio al quale

era stato ordinato, sacerdozio che lo autorizzava e allo stesso tempo gli imponeva di insegnare i

comandamenti di Dio. Egli portò testimonianza che «il Signore Iddio ordinò dei sacerdoti secondo il

suo santo ordine, che era secondo l'ordine di suo Figlio, per insegnare» i comandamenti di Dio al popolo

(Alma 13:1). Egli spiegò poi: «E questa è la maniera secondo cui erano ordinati — essendo chiamati e

preparati fin dalla fondazione del mondo, secondo la prescienza di Dio, a causa della loro grandissima fede e

delle loro buone opere; essendo in primo luogo lasciati liberi di scegliere il bene o il male; perciò, avendo essi

scelto il bene ed esercitando una grandissima fede, erano chiamati con una santa chiamata, sì, con quella

santa chiamata» (v. 3).

La posizione di Alma, secondo cui coloro gli uomini ordinati al sacerdozio superiore lo erano stati a causa

«della loro grandissima fede … in primo luogo» suscita alcune domande provocatorie. Ad esempio, «in

primo luogo», ovvero nella vita preterrena, Dio «stette in mezzo» ai nobili e grandi scelti prima di nascere

(Abrahamo 3:22–23). L’Anziano Bruce R. McConkie spiegò che «nella vita preterrena, tutti noi dimorammo

alla Sua [di Dio] presenza, vedemmo il Suo volto e udimmo la Sua voce».¹ In tali circostanze, dunque, in che

cosa gli uomini pre-ordinati al sacerdozio superiore esercitano la fede che li qualificò a ricevere questa

distinzione? Se, come insegnò Alma, accettiamo che «la fede non è l'avere una conoscenza perfetta delle

cose», quanto piuttosto una «spera[nza] in cose che non si vedono» (Alma 32:21), allora la fede esercitata da

coloro che furono preordinati al sacerdozio superiore nella vita preterrena deve essere stata qualcosa di

diverso dalla fede nell’esistenza di Dio, poiché essi dimoravano con Dio e Lo vedevano. Avevano una

conoscenza perfetta della Sua esistenza. In cosa speravano senza aver visto, dunque?

Certamente, una verità invisibile su cui devono aver esercitato fede fu che Gesù, «Scelto fin dal principio»

dal Padre (Mosè 4:2), poteva davvero compiere e avrebbe compiuto la grande e infinita Espiazione, una

parte così vitale del piano di Dio. Essi devono aver creduto che soltanto Gesù poteva davvero compiere e

avrebbe compiuto la volontà del Padre, che Egli poteva davvero essere e sarebbe stato il nostro Salvatore,

che Egli poteva davvero condurre e avrebbe condotto una vita senza peccato, soffrendo e morendo per noi.

Questa conclusione ci porta a un’altra domanda importante: perché? Perché in quel contesto preterreno essi

– in effetti tutti noi, prima di nascere sulla terra - avevano fede in Gesù, che Egli poteva essere e sarebbe

effettivamente stato il nostro Redentore?

Io credo che una possibile risposta sia questa: noi vedemmo in Gesù allora, come oggi, delle qualità che Lo

rendono sia preparato, sia qualificato, in modo unico e supremo, per essere il nostro Salvatore. Dobbiamo

D

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aver creduto ciò che Cecil F. Alexander dichiarò nel suo inno: «Nessuno avrebbe mai potuto compier tal

mission; Ei solo aprì la porta che conduce al ciel lassù».²

Le qualità del Gesù preterreno e terreno

Il Primogenito e l’Unigenito. Come Santi degli Ultimi Giorni, crediamo alla dichiarazione di Gesù: «Io ero

al principio con il Padre e sono il Primogenito» (DeA 93:21; cfr. Romani 8:29; Colossesi 1:15), vale a dire il

Primogenito di tutti i figli di spirito preterreni di Dio Padre.³ Sappiamo anche che, poiché fu scelto per essere

nostro Salvatore, nella vita terrena Egli divenne anche l’Unigenito nella carne (vedere Giovanni 1:14, 18;

Giovanni 3:16; 1 Giovanni 4:9).4 Inoltre sappiamo che, quando nacque sulla terra, Gesù adempì la profezia di

Michea (vedere Michea 5:2), poiché nacque a Betlemme, la città di Davide (vedere Luca 2:4–6). Pertanto,

Gesù è sia unico, sia supremo, tra tutti i figli di Dio, essendo il Primogenito di spirito, l’Unigenito nella carne,

nato a Betlemme in adempimento alla profezia.

La gloria e l’immagine del Padre. Il primo capitolo dell’epistola agli Ebrei ci informa che Gesù «lo

splendore della sua [di Dio Padre] gloria e l'impronta della sua essenza» (Ebrei 1:2–3; cfr. Giovanni 1:14).

Parlando del Loro aspetto, Joseph Smith insegnò che il Padre e il Figlio «assomigliavano esattamente l’Uno

all’altro nell’aspetto».5 Forse, questo è il motivo per cui Gesù, sulla terra, poté dichiarare a Filippo: «Chi ha

veduto me, ha veduto il Padre» (Giovanni 14:9). Sebbene Egli possa aver mantenuto la Sua somiglianza fisica

al Padre durante il Suo ministero terreno, apparentemente Cristo non andò attorno mostrando apertamente

lo «splendore» della gloria del Padre che aveva raggiunto nella vita preterrena, poiché Isaia profetizzò che,

nella vita terrena, Egli «non avea forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza, da farcelo

desiderare» (Isaia 53:2).6 Parlando del contrasto notevole esistente tra la condizione e la gloria del Gesù

preterreno e di quello terreno, l’Anziano Francis M. Gibbons attestò: «La condizione suprema del nostro

Salvatore, Gesù Cristo, e il ruolo preminente che Egli occupa nello schema eterno delle cose ci portano ad

ammirare con stupore la cosiddetta condiscendenza di Cristo, ovvero la Sua disponibilità a scendere dal suo

posto esaltato e ad andare innanzi, come dice la scrittura, «soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni

specie … per poter sciogliere i legami della morte che legano il suo popolo; e prenderà su di sé le loro

infermità, affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia, secondo la carne, affinché egli possa

conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle loro infermità … per poter prendere su di sé

i peccati del suo popolo, per poter cancellare le loro trasgressioni, secondo il potere della sua liberazione»

(Alma 7:11–13)».7 Ancora una volta, Gesù presenta una qualità unica e suprema in quanto Egli non solo

assomiglia al Padre nell’aspetto, ma anche in splendore e gloria, una gloria che Egli mise da parte per servire

nella carne. Nessun altro figlio di Dio ha mostrato una tale condiscendenza, poiché nessuno avrebbe potuto

rinunciare a qualcosa di più grande per diventare mortale.

In principio con Dio. Il Vangelo di Giovanni contribuisce molto alla nostra comprensione delle qualità

preterrene di Gesù e alla sua statura spirituale. Aprendo il suo Vangelo, Giovanni dichiara che Gesù, definito

«la Parola», fu «nel principio» (Giovanni 1:1; cfr. DeA 93:6–8). Noi interpretiamo questo come a significare

che Egli non fu l’ultimo arrivato nell’opera e nei piani di Dio. Egli non fu semplicemente - come cercarono di

spiegare alcune antiche sette cristiane - un uomo che condusse una vita talmente retta nella mortalità da

spingere Dio a porre il Suo Spirito in Lui.8 Gesù fu invece, come spiega Mosè, «Scelto fin dal principio»

(Mosè 4:2). Giovanni attesta quindi non soltanto che Gesù era presente sin dal principio, ma anche che Egli

era «con Dio» (Giovanni 1:1). Io ritengo questo più una dichiarazione d’impegno che di semplice presenza.

In altre parole, Gesù non era semplicemente insieme al Padre, ma era «con» Lui nel pensiero, negli scopi e

nella volontà, al punto da poter testimoniare: «Io ed il Padre siamo uno» (Giovanni 10:30). Nessun’altra

persona su questa terra si è mai conformata alla volontà del Padre tanto da poter esprimere una simile

rivendicazione.

Il Grande Geova. Giovanni dichiara poi che Gesù non soltanto era nel principio con Dio, ma che «la Parola

era Dio» (Giovanni 1:1; cfr. DeA 38:1–5). I Santi degli Ultimi Giorni interpretano questo come a significare

che, in qualche modo, persino prima di scendere sulla terra Gesù aveva raggiunto la statura di un Dio,

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divinamente investito da Dio Padre dell’autorità di essere Geova, il Dio dell’Antico Testamento. Come Gesù

Cristo testimoniò in una rivelazione al Profeta Joseph Smith: «Così dice il Signore vostro Dio, sì, Gesù Cristo,

il Grande IO SONO, l'Alfa e l'Omega, il principio e la fine, colui che contemplò l'ampia distesa dell'eternità e

tutte le schiere serafiche dei cieli prima che fosse fatto il mondo; Colui che conosce ogni cosa, poiché ogni

cosa è presente dinanzi ai miei occhi; Io sono colui che parlò e il mondo fu fatto, e ogni cosa è venuta tramite

me. Io sono colui che ha preso nel suo seno la Sion di Enoc, e in verità io dico: Anche tutti coloro che hanno

creduto nel mio nome, poiché io sono Cristo» (DeA 38:1–4). Gesù vuole farci comprendere che Egli è il Dio

che parlò ad Abrahamo, Isacco e Giacobbe; il Dio che aprì il Mar Rosso e fece crollare le mura di Gerico; il

Dio che si fece carne e dimorò in mezzo a noi (vedere Giovanni 1:14). Pertanto, Egli poté attestare tramite

Isaia: «Io, io sono l'Eterno [Geova], e fuori di me non v'è salvatore» (Isaia 43:11).9

Il Creatore. Giovanni continuò la sua descrizione delle qualità di Gesù spiegando che Egli ebbe un ruolo

anche nella Creazione. Giovanni attestò: «Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una

delle cose fatte è stata fatta» (Giovanni 1:3). Mosè chiarisce ulteriormente il ruolo di Gesù nella Creazione,

insegnandoci che Gesù creò mondi sotto la direzione del Padre: «E mediante la parola del mio potere le ho

create, che è il mio Figlio Unigenito, che è pieno di grazia e di verità. E mondi innumerevoli ho creato; e

anch'essi ho creato per un mio proprio scopo; e mediante il Figlio li ho creati, che è il mio Unigenito» (Mosè

1:32–33). Quanto è appropriato che Colui il quale fu nel principio; che fu con Dio in ogni modo; che fu

Geova, il Dio dell’Antico Testamento e il Creatore della terra, fosse anche scelto per esserne il Salvatore.

La Vita e la Luce degli uomini

Continuando a descrivere le qualità e le «credenziali» di Gesù», Giovanni disse di Lui: «In lei [la Parola] era

la vita; e la vita era la luce degli uomini» (Giovanni 1:4). Per vita, io credo che Giovanni intendesse qualcosa

di più della vita terrena; piuttosto, Gesù è il mezzo mediante il quale noi abbiamo accesso alla vita eterna.

Per luce, io credo che Giovanni intendesse la luce così come è definita in DeA 93: Gesù è la fonte della verità,

della conoscenza e dell’intelligenza (vedere DeA 93:24–37). Giovanni spiegò poi che la «vera luce» di Gesù

«illumina ogni uomo … [che viene] nel mondo» (Giovanni 1:9). Quale caratteristica essenziale e notevole per

un Salvatore: la capacità di donare luce, verità, intelligenza e infine vita eterna a ciascuno di noi!10 Giovanni

descrive poi le benedizioni che ci attendono se accettiamo la luce e la verità offerte da Gesù. Giovanni

promise: «Ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figliuoli di Dio; a quelli,

cioè, che credono nel suo nome» (Giovanni 1:12). Questa promessa ci dice che, se siamo disposti ad accettare

Gesù, la luce e la vita che Egli offre, allora diventiamo come Lui, figli di Dio proprio come Gesù, eredi di

tutto ciò che il Padre ha. Come si rassicura la rivelazione sul sacerdozio: «E colui che accetta me, accetta mio

Padre; E colui che accetta mio Padre, riceve il regno di mio Padre; perciò, tutto quello che mio Padre ha gli

sarà dato» (DeA 84:37–38). Io credo che soltanto Gesù potesse offrirci questo. Soltanto credendo in Gesù e

ricevendo Gesù, il Suo Vangelo e la Sua Espiazione noi possiamo divenire eredi di tutto ciò che il Padre ha.

Come dichiarò Nefi: «Ed ora ecco, miei diletti fratelli, questa è la via; e non c'è nessun'altra via e nessun altro

nome dato sotto i cieli, per il quale l'uomo possa essere salvato nel regno di Dio» (2 Nefi 31:21).

Conclusione

Sebbene questa discussione sulle qualità di Gesù sia intesa a essere illustrativa, piuttosto che esauriente, io

mi auguro sia stata adeguata per sostenere questa verità: Gesù, Colui che sulla terra fu noto come Gesù di

Nazaret, era qualificato in modo unico e supremo per essere il nostro Salvatore. Egli era davvero il

Primogenito e l’Unigenito del Padre. Egli era con il Padre sin dal principio. Egli era persino come il Padre,

uno con Lui in amore, scopo, potere e volontà, a tal punto da essere divinamente investito dell’autorità di

essere Geova, il Dio dell’Antico Testamento, Colui che creò il mondo e gli offrì luce, verità, intelligenza e vita

eterna. Egli accondiscese a venire sulla terra come uomo mortale, dall’aspetto comune, e diventare come i

Suoi fratelli in ogni cosa (vedere Ebrei 2:17). Come dichiarò Alma, Egli soffrì dolori, afflizioni, e tentazioni di

ogni genere, e infine la morte, cosicché potesse spezzare i legami della morte (vedere Alma 7:11–12). Io credo

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che nel concilio preterreno, quando Egli fu scelto per essere il nostro Salvatore, ciascuno di noi fu d’accordo

con la scelta. Avevamo fede in Lui. Credevamo che Egli fosse giusto, saggio e che ci amasse. Come dichiarò

Cecil Alexander e come noi riconoscemmo in quel concilio celeste: «Nessuno avrebbe mai potuto compier tal

mission; Ei solo aprì la porta che conduce al ciel lassù».

NOTE

1. Bruce R. McConkie, A New Witness for the Articles of Faith (Salt Lake City: Deseret Book, 1985), 45; corsivo

dell’autore. Vedere anche Sterling W. Sill, in Conference Report, ottobre 1956, 66.

2. «Un verde colle v’è lontano», Inni, n. 115.

3. Mentre Romani 8:29 identifica Gesù come primogenito «fra molti fratelli» e Colossesi 1:15 viene visto come indicante

Gesù quale primogenito dalla tomba nella resurrezione, l’Anziano Joseph B. Wirthlin ci aiuta a capire che Gesù fu

davvero «il Primogenito del nostro Padre celeste nello spirito» («Christians in Belief and Action», Ensign, novembre 1996,

70).

4. Vedere anche la Topical Guide nella Bibbia KJV pubblicata dalla Chiesa, «Jesus Christ, Only Begotten Son», 251.

5. Joseph Smith, History of the Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, a cura di B. H. Roberts, seconda ed. riv. (Salt Lake

City: Deseret Book, 1957), 4:536.

6. In questa profezia, Isaia usa il tempo passato, o «perfetto profetico», «parlando di cose a venire come se fossero già

accadute» (Mosia 16:6). Per altre descrizioni delle apparizioni preterrene e post-terrene del Gesù glorificato, vedere la

Topical Guide [nella Bibbia SUG di Re Giacomo in lingua inglese; NdT], alle voci «Jesus Christ, Appearances, Antemortal» e

«Jesus Christ, Appearance, Postmortal».

7. Francis M. Gibbons, «The Savior and Joseph Smith — Alike yet Unlike», Ensign, maggio 1991, 33.

8. Questa credenza era tipica di alcuni Cristiani Gnostici. Per una discussione su questo argomento, vedere Bart D.

Ehrman, The New Testament: A Historical Introduction to the Early Christian Writings, terza ediz. (New York: Oxford

University Press, 2004), 6–7, 191.

9. Qui ho scelto di interpretare il tetragrammaton, il nome del Dio dell’Antico Testamento, come Geova, invece che

seguire la pratica della KJV nel tradurlo come «Signore» [oppure «Eterno» nella Riveduta; NdT].

10. Per un’ulteriore discussione su questo argomento, vedere Dallin H. Oaks, «The Light and Life of the World», Ensign,

novembre 1987, 63.

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Gesù Cristo: Il Salvatore che conosce Frank F. Judd, Jr.

Frank F. Judd, Jr. è assistente professore di Scritture antiche presso la Brigham Young University.

Frank F. Judd, Jr., «Jesus Christ: The Savior Who Knows», in Celebrating Easter: The 2006 BYU Easter Conference, a cura di

Thomas A. Wayment e Keith J. Wilson (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University), 113–36.

esù ci conosce e ci ama. Questa è la realtà possente e rassicurante del vangelo restaurato. Il Salvatore

risorto dichiarò questa verità ai Nefiti: «Io conosco le mie pecore ed esse sono contate» (3 Nefi 18:31;

vedere anche Giovanni 10:14, 27). Che cosa significa affermare che Gesù ci conosce? Questa verità va

oltre la Sua conoscenza della nostra identità. L’Anziano Richard G. Scott insegnò: «Il Salvatore vi conosce.

Egli vi ama ed è consapevole delle vostre necessità specifiche».[1] Il nostro Redentore non possiede soltanto

una conoscenza superficiale, ma comprende personalmente la nostra vera identità, le nostre necessità più

profonde e il nostro potenziale eterno. Questo capitolo esplora ciò che Gesù Cristo conosce di ciascuno di

noi, in che modo Egli ottenne questa conoscenza profonda e, più di ogni altra cosa, perché è essenziale che

noi siamo consapevoli di questa gloriosa verità. Io spero che una comprensione migliore di questi argomenti

possa favorire a sua volta una comprensione più profonda della vita, della morte, della Resurrezione del

nostro Salvatore e portare a una maggiore gioia per la celebrazione pasquale.

Diversi generi di conoscenza

Due modalità fondamentali per ottenere conoscenza sono lo studio e l’esperienza.[2] Entrambi i mezzi sono

importanti. Il Signore comandò al Profeta Joseph Smith di imparare attraverso la ricerca personale: «Studia, e

impara, e familiarizzati con tutti i buoni libri e con le lingue e gli idiomi, ed i popoli» (DeA 90:15; vedere

anche 88:118; 109:7, 14). Joseph Smith fu anche istruito riguardo alla sua sofferenza nel Carcere di Liberty:

«Tutte queste cose ti daranno esperienza, e saranno per il tuo bene» (DeA 122:7).

Alcune lingue, come il greco del Nuovo Testamento, contengono termini diversi per distinguere questi

generi di conoscenza. Sebbene si sovrappongano leggermente nel significato, il verbo greco oida significa

«avere informazioni riguardo a», mentre il verbo ginōskō può far riferimento alla «familiarità acquisita

tramite esperienza oppure conoscenza di persone o cose».[3] Sfortunatamente, tuttavia, nella Versione

Riveduta del Nuovo Testamento entrambi questi termini, separati e distinti in greco, sono tradotti come

«conoscere» in italiano. Ad esempio, il Salvatore insegnò che dovremmo conoscere le informazioni contenute

nelle Scritture. Nel Vangelo di Matteo, quando Gesù riprese un gruppo di Sadducei, viene utilizzato il

termine greco per indicare ‘conoscenza dei fatti’: «Voi errate, perché non conoscete [oida] le Scritture»

(Matteo 22:29). D’altro canto, Gesù sottolineò anche la necessità di conoscere tramite l’esperienza. Nella

famosa preghiera intercessoria del Salvatore, il Vangelo di Giovanni usa il termine greco per indicare la

‘conoscenza esperienziale’: «E questa è la vita eterna: che conoscano [ginōskō] te, il solo vero Dio, e colui che

tu hai mandato, Gesù Cristo» (Giovanni 17:3). Questo esempio evidenzia quanto profondamente dobbiamo

conoscere Dio Padre e Suo Figlio Gesù Cristo per ottenere la vita eterna.[4]

La rivelazione moderna rafforza il collegamento tra l’ottenere conoscenza e l’ottenere la salvezza: «È

impossibile per l'uomo essere salvato nell'ignoranza» (DeA 131:6). Certamente, studiare le Scritture e altri

buoni libri aiuta a costruire fondamenta essenziali, ma la conoscenza scritturale o letteraria non è il requisito

supremo per la salvezza. Il Profeta Joseph Smith chiarì:

«Il leggere l’esperienza degli altri o la rivelazione fatta loro non potrà mai dare a noi un’idea

completa della nostra vera condizione e relazione rispetto a Dio. La conoscenza di queste cose può essere

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ottenuta soltanto con l’esperienza, tramite le ordinanze di Dio stabilite a questo scopo. Se poteste

guardare nel cielo cinque minuti, ne sapreste di più che non leggendo tutto ciò che è mai stato scritto

sull’argomento».[5]

Oltre ad imparare tramite la partecipazione a sacre ordinanze e alla rivelazione, la conoscenza esperienziale

può essere ottenuta interiorizzando i principi del Vangelo. Il presidente David O. McKay insegnò:

«Acquisire conoscenza e applicarla sono due cose distinte. La saggezza è la giusta applicazione della

conoscenza e la vera educazione, l’educazione che la Chiesa sostiene, è l’applicazione della

conoscenza allo sviluppo di un carattere nobile e divino. Un uomo può possedere una profonda

conoscenza della storia e della matematica; può essere un’autorità nel campo della psicologia, della

biologia o dell’astronomia; può conoscere tutte le verità riguardo alla geologia e alle scienze naturali;

tuttavia, se nella sua conoscenza non possiede la nobiltà d’animo che lo spinge a trattare con

giustizia il prossimo, a praticare la virtù e la santità nella vita personale, questi non è un uomo

davvero educato. Il carattere è il vero fine dell’educazione».[6]

In che modo una persona giunge a «conosc[ere] … il solo vero Dio e Gesù Cristo» tramite l’esperienza, come

intendeva il Salvatore? Giovanni il Diletto fornì la risposta: «E da questo sappiamo che l'abbiam conosciuto:

se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: Io l'ho conosciuto e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo,

e la verità non è in lui» (1 Giovanni 2:3–4; corsivo dell’autore).[7] La conoscenza più importante si ottiene

mediante l’esperienza – in modo specifico tramite la rivelazione e l’obbedienza ai comandamenti di Dio. Il

Signore ha spiegato: «Qualsiasi principio di intelligenza noi conseguiamo in questa vita sorgerà con noi nella

risurrezione. E se una persona guadagna maggiore conoscenza e intelligenza in questa vita, mediante la sua

diligenza e la sua obbedienza, che un'altra, essa ne avrà altrettanto vantaggio nel mondo a venire» (DeA 130:18–

19; corsivo dell’autore).[8]

Alcuni tipi di conoscenza possono essere acquisiti soltanto dagli obbedienti. Il presidente Gordon B.

Hinckley ha insegnato: «Coloro che osservano la Parola di Saggezza conoscono la veridicità della Parola di

Saggezza. Coloro che svolgono il servizio missionario conoscono la saggezza divina presente dietro questo

servizio. Coloro che s’impegnano a rafforzare la propria famiglia in obbedienza alla chiamata del Signore

sanno che, così facendo, ne raccoglieranno le benedizioni. Coloro che partecipano al lavoro di tempio

conoscono la veridicità di questo lavoro, le sue implicazioni divine ed eterne. Coloro che pagano la decima

conoscono la promessa divina alla base di questa grande legge, la legge finanziaria della Chiesa. Coloro che

osservano il giorno del riposo conoscono la saggezza divina che lo istituì … Vivete il Vangelo, e tutti coloro

che lo faranno riceveranno nel cuore una convinzione della veridicità di ciò che vivono».[9] Questi principi

relativi all’acquisizione della conoscenza tramite l’esperienza e l’obbedienza si applicano anche a Gesù

Cristo.

La conoscenza personale del Salvatore

Il nostro Salvatore è Onnisciente in entrambi i sensi del termine conoscenza: mediante lo studio e mediante

l’esperienza. Il profeta Giacobbe insegnò: « Oh, grandezza della misericordia del nostro Dio, il Santo

d'Israele! … Poiché egli conosce ogni cosa, e non vi è nulla che egli non conosca» (2 Nefi 9:19–

20).[10] Inoltre, in una rivelazione moderna, il Salvatore dichiarò che Egli è «Colui che conosce ogni cosa,

poiché ogni cosa è presente dinanzi ai miei occhi» (DeA 38:2; vedere anche Giovanni 16:30).[11]

La TJS sottolinea il fatto che, durante la Sua vita terrena, Gesù non dipendeva da insegnanti terreni come le

altre persone: «E avvenne che Gesù crebbe con i suoi fratelli e si fece forte, e servì il Signore per il tempo del

suo ministero che doveva venire. E serviva sotto suo padre, e non parlava come gli altri uomini, né gli si

poteva insegnare, poiché non aveva bisogno che nessuno gli insegnasse» (TJS Matteo 3:23).[12]

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Nonostante fosse il Figlio di Dio, Gesù acquisì conoscenza come un essere mortale, linea su linea e precetto

su precetto. A Nazaret, «Gesù cresceva in sapienza e in statura, e in grazia dinanzi a Dio e agli uomini»

(Luca 2:52).[13]

Gesù ottenne una conoscenza fattuale mediante lo studio, particolarmente lo studio delle Scritture. Egli

conosceva a fondo l’Antico Testamento e lo citò spesso durante i Suoi sermoni (vedere Matteo 5:21–47).

Mentre digiunava nel deserto della Giudea, il Salvatore citò versetti specifici per controbattere le tentazioni

di Satana (vedere Matteo 4:1–11; Luca 4:1–13).[14] Presso una sinagoga di Nazaret, Gesù lesse le Scritture e si

auto-definì l’adempimento della profezia (vedere Luca 4:16–21). Sulla via per Emmaus, il Salvatore risorto

camminò insieme ad alcuni discepoli e «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le

Scritture le cose che lo concernevano» (Luca 24:27). Quale Geova, il Salvatore preterreno disse: «Io sono più

intelligente di tutti loro» (Abrahamo 3:19).[15] A questo proposito, l’Anziano Neal A. Maxwell spiegò:

«Questo significa che Gesù sa più cose riguardo all’astrofisica di tutti gli esseri umani che siano mai

vissuti, che vivono ora o che mai vivranno. Lo stesso vale per qualsiasi altro argomento o materia.

Inoltre, ciò che il Signore sa è fortunatamente molto di più - non poco più - della combinazione di

tutto il sapere umano».[16]

Il Salvatore acquisì conoscenza anche mediante la Sua esperienza terrena, incontrando le stesse situazioni

affrontate da tutti i comuni mortali. Re Beniamino profetizzò che Gesù avrebbe «soff[erto] le tentazioni, e i

dolori del corpo, la fame, la sete e la fatica» (Mosia 3:7).[17]

Durante il Suo ministero terreno, Gesù sapeva anche che avrebbe sofferto e sarebbe morto per i peccati del

mondo (vedere Matteo 16:21; 17:22–23; 28:18–19). L’esperienza del Salvatore, tuttavia, unita alla Sua

obbedienza al Padre perfezionò tale conoscenza. Come spiegò l’Anziano Maxwell:

«Gesù sapeva dal punto di vista cognitivo ciò che doveva fare, ma non dal punto di vista

dell’esperienza. Egli non aveva mai conosciuto prima personalmente il processo intenso e rigoroso

di un’Espiazione. Pertanto, quando l’agonia giunse nella sua pienezza, essa fu molto, molto peggio

di quanto persino Egli avesse mai immaginato, pur con il Suo intelletto perfetto!»[18]

La conoscenza vicaria del peccato da parte del Salvatore

Un’altra dimensione della conoscenza del Salvatore è che Egli sa ciò che proviamo quando pecchiamo. Come

detto in precedenza, Gesù ci capisce perché la Sua vita terrena, piena di tentazioni, fu simile a quella di tutti

gli esseri umani. Una differenza fondamentale, tuttavia, distingue l’esperienza terrena del Salvatore dalla

nostra. Come insegnò l’apostolo Paolo riguardo a noi: «Tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio»

(Romani 3:23). Gesù Cristo, tuttavia, «in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare» (Ebrei 4:15;

corsivo dell’autore).[19] Come può il nostro Salvatore capire davvero che cosa significa cedere alla

tentazione, se non commise alcun peccato? La risposta si trova nell’esperienza espiatoria del Salvatore.[20]

A motivo della Sua vita terrena, Gesù sa cosa significa essere tentati, ma, a motivo della Sua esperienza nel

Giardino di Getsemani e sulla croce, [21] Gesù conosce anche vicariamente la nostra esperienza con il

peccato. Il Salvatore risorto dichiarò questo ai Nefiti riguardo alla Sua esperienza: «Ho bevuto da quella

coppa amara che il Padre mi ha dato ed ho glorificato il Padre prendendo su di me i peccati del mondo, e in

questo ho accettato la volontà del Padre in tutte le cose, fin dal principio» (3 Nefi 11:11; corsivo

dell’autore).[22] Mentre il Salvatore pregava nel Giardino di Getsemani, dopo l’Ultima Cena, Egli fu in una

tale agonia che «il suo sudore divenne come grosse gocce di sangue che cadeano in terra» (Luca

22:44).[23] Che cosa fece sudare sangue da ogni poro del Salvatore?

Fu, ovviamente, l’incomprensibile esperienza di prendere su di Sé i peccati del mondo. Il nome del luogo

ove questo avvenne ha un significato simbolico. Il nome ebraico Getsemani significa «pressa delle olive».[24]

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L’Anziano Russell M. Nelson spiegò che, nel luogo dove Gesù soffrì, «le olive venivano pressate sotto il peso

di grandi macine di pietra, fino a spremerne il prezioso olio. Così, il Cristo nel Giardino di Getsemani fu

letteralmente pressato sotto il peso dei peccati del mondo. Egli sudò grandi gocce di sangue, ‘l’olio’ della sua

vita, da ogni poro».[25] Tuttavia, sembra esservi un elemento specifico che contribuì direttamente a questa

terribile reazione fisica.

Mentre era sulla croce, Gesù gridò: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Matteo 27:46). Per

qualcuno può essere difficile immaginare che Dio abbia potuto davvero abbandonare il Suo Unigenito.

Tuttavia, questo è esattamente ciò che accadde. Il presidente Brigham Young insegnò: «Nel momento e

nell’ora esatta in cui giunse il momento critico di offrire la Sua vita, il Padre ritirò il Suo Spirito e fece scendere

un velo su Lui. Questo è ciò che Gli fece sudare sangue. Se avesse avuto il potere di Dio su di Lui, Egli non

avrebbe sudato sangue; ad ogni modo, tutto fu ritirato da Lui e un velo fu fatto scendere su di Lui; allora

Egli supplicò il Padre di non abbandonarlo».[26] È vero che, nel Getsemani, «un angelo gli apparve dal cielo

a confortarlo» (Luca 22:43), ma questo conforto sembra sia stato solo temporaneo, poiché, secondo le parole

del Salvatore stesso in merito alle presse del Getsemani, «[Gesù ha] calpestato il tino da solo … e nessuno era

con [Lui]» (DeA 133:50; vedere anche 76:107; 88:106; Isaia 63:3).

Secondo il presidente Young, l’allontanamento dello Spirito sembra essere stata la chiave per capire come

mai il Salvatore abbia sudato sangue nel Giardino di Getsemani. Lo Spirito (e un angelo di sostegno) Gli

avevano offerto protezione dalla pienezza della Sua sofferenza vicaria. In un’occasione, il Signore disse a

Martin Harris ciò che segue riguardo alla Sua esperienza nel Giardino:

«Io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno; Ma se non

volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me; E queste sofferenze fecero sì che io stesso,

Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro …

Pertanto io ti comando di nuovo di pentirti, perché io non ti umili con il mio potere onnipotente; e di

confessare i tuoi peccati, per non subire questi castighi di cui ho parlato, e che nella misura più piccola,

sì, in minimo grado, hai provato nel momento in cui ritirai il mio Spirito» (DeA 19:16–20; corsivo

dell’autore).[27]

Questa rivelazione ribadisce la terribile sofferenza causata dal peccato di cui non ci si pente e dalla perdita

dello Spirito, oltre a confermare che, quando Martin Harris peccò e perse lo Spirito, provò la stessa

sofferenza – seppur in minima parte - provata dal Salvatore nel Getsemani, quando sanguinò da ogni

poro.[28] D’altro canto, questa scrittura mostra come, nel Giardino di Getsemani, Gesù Cristo abbia provato

ciò che provano gli esseri umani quando peccano: la sofferenza quale risultato della perdita dello Spirito del

Signore.[29] Poiché lo Spirito si era ritirato, il Salvatore soffrì per i peccati del mondo al massimo grado e sudò

sangue da ogni poro.[30]

Perché Dio Padre ritirò il Suo Spirito dal Suo Beneamato Figliolo, nel Suo momento di bisogno? Come con

Martin Harris, lo Spirito Santo si ritira da noi quando pecchiamo. Il Signore ha dichiarato negli ultimi giorni

che «a colui che non si pente, sarà tolta anche la luce che ha ricevuto; poiché il mio Spirito non lotterà sempre

con l'uomo» (DeA 1:33; vedere anche Genesi 6:3; 1 Nefi 7:14; 2 Nefi 26:11; Ether 2:15; Mosè 8:17). Quando

Gesù prese su di Sé i peccati del mondo, Egli divenne colpevole, vicariamente ma letteralmente, al posto

nostro. L’Apostolo Paolo insegnò: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto

maledizione per noi» (Galati 3:13; corsivo dell’autore).[31] In un’altra epistola, Paolo insegnò anche che Dio

«l'ha [Cristo] fatto esser peccato per noi» (2 Corinzi 5:21).[32] In qualche modo, Gesù prese su di Sé i peccati

di tutta l’umanità in modo molto reale, diventando una «maledizione» e «peccato»; di conseguenza, il Padre

ritirò dal Salvatore il Suo Spirito.[33]

Stephen E. Robinson riassunse così questo principio:

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«Cristo era divenuto colpevole dei peccati del mondo, colpevole al posto nostro … Nel Getsemani, il

migliore tra noi divenne vicariamente il peggiore tra noi e patì le profondità stesse dell’inferno.

Quale colpevole, il Salvatore sperimentò per la prima volta nella Sua vita la perdita dello Spirito di

Dio e della comunione con Suo Padre».[34]

Poiché Gesù Cristo prese letteralmente su di Sé i peccati del mondo, diventando vicariamente pieno di

peccato, Egli perse lo Spirito e provò una sofferenza incomprensibile. Pertanto, Egli non soltanto sa cosa

significa essere tentati, ma sa anche intimamente che cosa proviamo quando disobbediamo. Come

conseguenza dell’aver portato il pesante fardello della colpa e del rimorso causati dal peccato, il Salvatore

prova una perfetta empatia per l’anima peccatrice.

Conoscenza e sofferenza aggiuntive

La conoscenza che il Salvatore ha di noi, tuttavia, include molto più della semplice comprensione della

tentazione e del peccato. Quanto di più? L’autore dell’Epistola agli Ebrei insegnò ciò che segue riguardo a

Cristo: «In ogni cosa simile ai suoi fratelli» (Ebrei 2:17; corsivo dell’autore).[35] Alma il Giovane profetizzò

che Cristo non avrebbe sperimentato soltanto «pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie» (Alma 7:11) e

«pre[so] su di sé i peccati del suo popolo» (v. 13), ma avrebbe preso su di Sé le «pene», le «malattie» e le

«infermità» dell’umanità (vv. 11–12). Secondo Alma, dunque, nel Getsemani il Salvatore ottenne una

comprensione perfetta non soltanto del peccato, ma anche di altre esperienze negative che noi affrontiamo.

L’Anziano Jeffrey R. Holland trasse la conclusione che questa sofferenza aggiuntiva permise al Salvatore di

«assumersi ogni infermità terrena, sentire lo strazio, il dolore e la sofferenza di ogni singola persona».

[36] Pertanto, a motivo del Getsemani, Gesù Cristo giunse a conoscere pienamente non soltanto ciò che

proviamo quando pecchiamo, ma anche ciò che proviamo quando affrontiamo il dolore e le afflizioni che

non hanno nulla a che vedere con il peccato.[37]

Perché Gesù affrontò ulteriori sofferenze, in particolare quelle non collegate in alcun modo al peccato?

Quando Alma profetizzò che Gesù avrebbe preso su di Sé le pene, le malattie e le infermità dell’umanità, egli

spiegò che il Salvatore l’avrebbe fatto «affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia, secondo

la carne, affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle loro infermità»

(Alma 7:12).[38] L’Anziano Maxwell, sulla base di questi passi, spiegò che Gesù soffrì in questo modo

aggiuntivo «affinché potesse essere pieno di misericordia ed empatia perfette e personali e, quindi, affinché

potesse soccorrerci nelle nostre infermità. Dunque, Egli comprende pienamente la sofferenza umana».[39] Gesù

Cristo sa davvero che cosa significa essere ciascuno di noi, quando proviamo dolore e sofferenza. Di

conseguenza, Egli nutre una compassione perfetta per noi nelle nostre situazioni individuali.

In questo modo, Gesù è diventato il giudice ideale del nostro destino eterno. Soltanto un giudice che

comprende pienamente le esperienze dell’imputato può determinare il verdetto giusto al di là di ogni

ragionevole dubbio. In caso contrario, potrebbe sempre esserci la possibilità che il giudice non conoscesse

alcuni fatti essenziali che avrebbero potuto modificare il verdetto. A questo proposito, l’Anziano Glenn L.

Pace dichiarò: «Parte del motivo per cui il Salvatore soffrì nel Getsemani fu affinché Egli potesse avere una

compassione infinita per noi, mentre affrontiamo le nostre prove e tribolazioni. Tramite la Sua sofferenza nel

Getsemani, il Salvatore si qualificò per essere il giudice perfetto. Nessuno di noi potrà accostarsi a Lui, nel

Giorno del Giudizio, e dire: ‘Tu non sai cosa significa’. Egli conosce la natura delle nostre prove meglio di

noi, poiché Egli ‘scese al di sotto’ di tutte queste [prove]’».[40]

Degli ulteriori passi scritturali gettano luce sull’estensione della conoscenza che il nostro Salvatore ha di noi.

La conoscenza di Cristo non è semplicemente collettiva, ma individuale. Profetizzando del futuro Messia, il

profeta Isaia dichiarò: «Dopo aver dato la sua vita in sacrifizio per la colpa, egli vedrà una progenie» (Isaia

53:10; vedere anche Mosia 14:10). Dopo aver citato questo passo al popolo di Re Noè, il profeta Abinadi

definì l’identità della «progenie» di Cristo:

Page 95: New Pasquaseminarieistitutidireligione.weebly.com/uploads/1/1/1/6/... · 2018. 10. 14. · iii «E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né cordoglio,

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«Chiunque ha udito le parole dei profeti, sì, di tutti i santi profeti che hanno profetizzato riguardo

alla venuta del Signore — io vi dico che tutti coloro che hanno dato ascolto alle loro parole e hanno

creduto che il Signore avrebbe redento il suo popolo, e hanno atteso con ansia quel giorno per la

remissione dei loro peccati, io vi dico che sono questi la sua posterità» (Mosia 15:11).[41]

Pertanto, la «progenie» di Cristo sono coloro i quali hanno creduto al Salvatore e hanno utilizzato la Sua

Espiazione. Che cosa intendeva Isaia, dicendo che Cristo avrebbe visto «una progenie» dopo aver «dato la

sua vita in sacrifizio per la colpa» nel Getsemani?[42] L’Anziano Merrill J. Bateman interpretò questo passo

nel modo seguente: «Nel giardino e sulla croce, Gesù vide ciascuno di noi» e, pertanto, «l’Espiazione del

Salvatore nel giardino e sulla croce è tanto intima quanto è infinita. È infinita perché copre le eternità, è

intima perché il Salvatore provò le pene, le sofferenze e le malattie di ogni singola persona».[43]

Come risultato della Sua esperienza nel Getsemani, il nostro Salvatore non soltanto comprende che cosa

significa essere tentati e cedere al peccato, ma possiede anche una conoscenza personale dell’esperienza

terrena di ciascun individuo. Come insegnò l’Anziano Maxwell: «Non esiste problema personale che una

qualsiasi persona abbia affrontato o affronterà e che Gesù non comprenda profondamente, perfettamente e

personalmente».[44] Egli sa che cosa significa essere ciascuno di noi quando siamo ammalati, quando ci

sentiamo soli, quando siamo depressi o veniamo maltrattati.[45] Gesù Cristo è nella posizione ideale per

avere compassione nei nostri confronti, proprio in quanto Egli ci conosce perfettamente e personalmente,

meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Egli, pertanto, è diventato non soltanto il nostro giudice perfetto,

ma anche il nostro avvocato perfetto e il nostro amico perfetto.

Applicazione personale

Una volta compreso il fatto che il Salvatore possiede una conoscenza perfetta di ciascuno di noi, che cosa

dovremmo fare? L’autore dell’Epistola agli Ebrei dichiarò: «Perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che

non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato

come noi, però senza peccare. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo

misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno» (Ebrei 4:15–16; corsivo dell’autore).

L’espressione «trono della grazia» fa riferimento al «propiziatorio» posto sopra l’arca dell’alleanza situata

nel Luogo Santissimo, nel tempio di Gerusalemme (vedere Esodo 25:18–22). Il propiziatorio simboleggiava

la presenza di Dio (vedere Esodo 30:6). Una volta l’anno, nel Giorno dell’Espiazione, il sommo sacerdote

entrava nel Luogo Santissimo e spruzzava di sangue il propiziatorio, «simboleggiando il potere

dell’Espiazione di purificare tutta la penitente Israele dai suoi peccati, rendendo il popolo degno di stare alla

presenza del Signore».[46] Accostarsi «con piena fiducia al trono della grazia», dunque, simboleggia

l’accostarsi al nostro Padre celeste in preghiera nel nome di Suo Figlio, il supremo Sommo Sacerdote,

affinché possiamo trarre beneficio dalla misericordia e dal perdono disponibili tramite l’Espiazione (vedere

Ebrei 3:1, 5:5, 9:11).

Non dobbiamo cercare timidamente queste benedizioni, pensando che il nostro Salvatore non capisca ciò che

abbiamo fatto o ciò che stiamo attraversando. Egli conosce! Egli capisce! L’Anziano Maxwell insegnò: «Gesù

conosce e prende in considerazione, in modo personale e perfetto, le situazioni altamente individualizzate

delle nostre difficoltà e delle nostre distrette, inclusi i desideri e gli intenti più profondi del nostro

cuore».[47] Di conseguenza, noi dovremmo cercare fiduciosi il sollievo tramite l’Espiazione di Gesù Cristo,

la quale include non soltanto il perdono dei peccati, ma anche l’aiuto spirituale quotidiano necessario per

vivere e perseverare. L’Anziano Gene R. Cook concluse: «Quale pensiero glorioso! In verità, Gesù Cristo è in

grado di portare i problemi e le difficoltà che ciascuno di noi affronta nella vita quotidiana. Egli non ci

aiuterà soltanto ad essere salvati nel Giorno del Giudizio, ma sia Lui, sia Suo Padre sono coinvolti

regolarmente nella nostra vita, se troviamo il modo di accostarci a Loro».[48]

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Conclusione

Durante la Sua vita terrena, Gesù imparò tutto riguardo alla tentazione. Nel Getsemani, Gesù imparò che

cosa significa peccare. Per questo motivo, alcuni potrebbero pensare che l’Espiazione riguardi soltanto il

pentimento e il perdono dei peccati, ma l’esperienza nel Getsemani conferì al Salvatore anche un’intima

conoscenza dell’esperienza terrena di ciascuno di noi, affinché Egli possa aiutarci.

L’Anziano Holland attestò che «l’Espiazione del Salvatore solleva non solo i fardelli dei nostri peccati, ma

anche i fardelli dovuti alle nostre delusioni e pene, al nostro dolore e disperazione» e che questa conoscenza

ci offre «un modo per migliorare, un incentivo per deporre i nostri fardelli e per ottenere la nostra

salvezza».[49]

Sapendo che il Salvatore possiede una conoscenza perfetta della nostra condizione e situazione individuale,

noi dovremmo prenderLo per mano nell’affrontare la strada della vita dinanzi. Il profeta Nefi dichiarò ciò

che segue riguardo alla propria condizione mortale e al proprio rapporto con il Salvatore: «Quando desidero

gioire, il mio cuore geme a causa dei miei peccati; nondimeno io so in chi ho riposto fiducia. Il mio Dio è

stato il mio sostegno; egli mi ha guidato nelle mie afflizioni nel deserto» (2 Nefi 4:19–20). Gesù Cristo è

davvero il Salvatore che conosce e, poiché conosce, Egli è qualificato in modo unico sia per salvarci dal

peccato, sia per accompagnarci attraverso l’imprevedibile deserto della nostra vita.

NOTE

[1] Richard G. Scott, «The Power to Make a Difference», Ensign, novembre 1983, 70.

[2] Per una discussione più dettagliata relativa alle numerose modalità per ottenere conoscenza, vedere Gerald N. Lund,

«An Anti-Christ in the Book of Mormon — The Face May Be Strange, but the Voice is Familiar», in Selected Writings of

Gerald N. Lund (Salt Lake City: Deseret Book, 1999), 120–22.

[3] Vedere Frederick William Danker, a cura di, A Greek - English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian

Literature, terza ediz. (Chicago: University of Chicago Press, 2000), 693, 199.

[4] È interessante notare come questo stesso termine greco per indicare la «conoscenza esperienziale» sia usato

nell’Antico Testamento in greco (la LXX) per indicare il rapporto coniugale tra marito e moglie (vedere Genesi 4:1, 17,

25). Simbolicamente, il nostro rapporto di alleanza con il Salvatore viene spesso descritto in termini di matrimonio, con

Gesù quale Sposo e i membri della Chiesa come sposa (vedere Matteo 9:14–15; 25:1–13; Giovanni 3:27–29; Apocalisse

19:7–9). Vedere anche Stephen E. Robinson, Believing Christ (Salt Lake City: Deseret Book, 1992), 24–25.

[5] Joseph Smith, Insegnamenti del Profeta Joseph Smith (Salt Lake City: Deseret Book, 1976), 256-257; corsivo dell’autore.

Da notare anche i commenti dell’Anziano Jeffrey R. Holland: «A volte cerchiamo il cielo troppo indirettamente,

focalizzandoci sui programmi, sulla storia o sulle esperienze degli altri. Queste cose sono importanti ma non così

importanti come l’esperienza personale, l’essere veri discepoli e la forza che proviene dallo sperimentare personalmente

il potere del Suo tocco» («Cose rotte da riparare», Liahona, maggio 2006, 70).

[6] David O. McKay, Gospel Ideals (Salt Lake City: Improvement Era, 1953), 440. Riguardo a questo, l’Anziano Neal A.

Maxwell insegnò: «La conoscenza, la sua scoperta, la sua conservazione e perpetuazione sono molto importanti. Eppure,

essere bene informati senza sviluppare abbastanza le virtù dell’amore, della mansuetudine e della pazienza non è

sufficiente per essere discepoli completi. Il semplice consenso intellettuale nei confronti di una verità ci priva delle

esperienze rilevanti e personali che derivano dall’applicare ciò che professiamo di credere. Probabilmente, nel mondo

preterreno vi furono briefing di orientamento riguardo al modo in cui questa vita terrena si sarebbe dispiegata per noi,

ma l’esperienza concreta è un’altra cosa! Pertanto, pur essendo certamente molto importante, la conoscenza da sola non

può salvarci» («Becoming a Disciple», Ensign, giugno 1996, 13–14).

[7] In questo versetto, ciascun utilizzo del verbo italiano «conoscere» è una traduzione del termine greco per indicare la

‘conoscenza esperienziale’ (ginōskō).

[8] Per il collegamento tra obbedienza e conoscenza, vedere Giovanni 7:17; 8:31–32; Mosia 4:10; Alma 26:22; DeA 89:18–

19.

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[9] Gordon B. Hinckley, Teachings of Gordon B. Hinckley (Salt Lake City: Deseret Book, 1997), 403–4. Il presidente Hinckley

insegnò anche: «Nessuna forza sulla terra può impedire all’Onnipotente di riversare conoscenza … se viviamo in

rettitudine, se obbediamo ai principi del Vangelo, se facciamo ciò che dovremmo fare come membri della Chiesa di Gesù

Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni e camminiamo in obbedienza ai comandamenti di Dio. Allora riceveremo illuminazione,

conoscenza, comprensione e fede e la nostra vita sarà arricchita, resa più felice e fruttuosa» (citato in «News of

the Church», Ensign, ottobre 1995, 75; corsivo dell’autore).

[10] Il Libro di Mormon insegna chiaramente che «il Santo d’Israele» è Gesù Cristo (vedere 2 Nefi 25:29; Omni 1:26).

[11] Vedere anche Marion G. Romney, «My Testimony of Jesus Christ», Ensign, settembre 1974, 5.

[12] Vedere anche Thomas A. Wayment, a cura di, The Complete Joseph Smith Translation of the New Testament (Salt Lake

City: Deseret Book, 2005), 5.

[13] La rivelazione moderna insegna che il Salvatore «non ricevette la pienezza all'inizio, ma ricevette grazia su grazia; E

non ricevette la pienezza all'inizio, ma continuò di grazia in grazia fino a che ricevette la pienezza. E così fu chiamato il

Figlio di Dio, perché non ricevette la pienezza all'inizio» (DeA 93:12–14).

[14] Vedere anche Howard W. Hunter, «The Temptations of Christ», Ensign, novembre 1976, 18.

[15] Per l’identità di Gesù quale Geova, vedere 3 Nefi 15:4–5 e Giovanni 8:58–59.

[16] Neal A. Maxwell, All These Things Shall Give Thee Experience (Salt Lake City: Deseret Book, 1979), 22.

[17] Oltre alle famose tentazioni nel deserto della Giudea (vedere Matteo 4:1–11; Luca 4:1–13), vedere anche Matteo 16:1;

19:3; 22:8, 35. Alma profetizzò che Cristo sarebbe «andato], soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie» (Alma

7:11).

[18] Neal A. Maxwell, «Willing to Submit», Ensign, maggio 1985, 72–73.

[19] Paolo insegnò che Cristo «non ha conosciuto peccato» (2 Corinzi 5:21).

[20] Vedere Robinson, Believing Christ, 116–25.

[21] Sia l’Anziano James E. Talmage che l’Anziano Bruce R. McConkie insegnarono che le terribili sofferenze patite dal

Salvatore nel Giardino di Getsemani «ritornarono» mentre Egli era sulla croce. Vedere James E. Talmage, Gesù il

Cristo (Salt Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, 1915), 661; Bruce R. McConkie, A New Witness for

the Articles of Faith (Salt Lake City: Deseret Book, 1985), xiv, 289; e Bruce R. McConkie, The Mortal Messiah (Salt Lake City:

Deseret Book, 1979–81), 4:224.

[22] Vedere anche Alma 34:8: «Cristo verrà fra i figlioli degli uomini per prendere su di Sé le trasgressioni del suo

popolo, e che egli espierà per i peccati del mondo».

[23] Sia Il Libro di Mormon che DeA confermano che questo linguaggio va preso alla lettera (vedere Mosia 3:7; DeA

19:18).

[24] Ulrich Luz, Matthew 21–28 (Minneapolis: Fortress Press, 2005), 395.

[25] Russell M. Nelson, «Why This Holy Land?» Ensign, dicembre 1989, 17–18. Vedere anche Robinson, Believing Christ,

119–20.

[26] Brigham Young, Journal of Discourses, 3:206; corsivo dell’autore. Su questo argomento, vedere anche Robert L. Millet,

«Treading the Winepress Alone», in Studies in Scripture, Vol. 5: The Gospels (Salt Lake City: Deseret Book, 1986), 434–35.

[27] In questo periodo della storia della Chiesa, Martin Harris stava nutrendo dei dubbi riguardo all’ipotecare parte della

sua fattoria per pagare la pubblicazione del Libro di Mormon (vedere Stephen E. Robinson e H. Dean Garrett, A

Commentary on the Doctrine and Covenants [Salt Lake City: Deseret Book, 2000–2005], 1:110–11).

[28] Riguardo a questi versetti, Robinson e Garrett concludono: «Gli impenitenti, tuttavia, soffriranno tutti per i propri

peccati, come [Gesù] soffrì per i peccati del mondo, patendo esattamente la stessa angoscia, ma non nello stesso grado»

(Robinson e Garrett, Commentary on the Doctrine and Covenants, 1:118; corsivo dell’autore).

[29] Robert J. Matthews insegnò: «[Cristo] subì la morte fisica sulla croce e la ‘morte spirituale’ nel Giardino di

Getsemani (oltre che sulla croce), quando prese su di sé i peccati di tutta l’umanità» (A Bible! A Bible! [Salt Lake City:

Bookcraft, 1990], 260).

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[30] Nella rivelazione moderna, il Signore ha dichiarato che il Salvatore «è sceso al di sotto» di tutto ciò che qualsiasi

mortale abbia mai provato. Vedere DeA 122:8; 88:6. Su questo argomento, vedere anche Millet, «Treading the Winepress

Alone», 436–38.

[31] Paolo si riferiva alla legge di Mosè, in cui il Signore dichiarò all’antica Israele: «E quand'uno avrà commesso un

delitto degno di morte … tu l'avrai fatto morire e appiccato a un albero … perché l'appiccato è maledetto da Dio»

(Deuteronomio 21:22–23).

[32] Da notare l’interpretazione di C. K. Barrett: «Cristo divenne peccato, vale a dire che Egli giunse a trovarsi in quella

relazione con Dio normalmente dovuta al peccato, alienato da Dio e oggetto della Sua ira» (The Second Epistle to the

Corinthians [London: A & C Black, 1973], 180). F. F. Bruce fa riferimento a questo passo di C. K. Barrett nella sua

interpretazione di Galati 3:13; vedere The Epistle to the Galatians (Grand Rapids: Eerdmans, 1982), 166. Alla luce

dell’interpretazione di Paolo effettuata da Barrett, secondo cui Cristo divenne peccato e l’oggetto dell’ira di Dio, è da

notare come la rivelazione moderna chiami l’esperienza di Cristo nel Getsemani «il tino della furia dell'ira di Dio

Onnipotente» (DeA 76:107; vedere anche 88:106).

[33] Robert L. Millet interpretò Galati 3:13 e 2 Corinzi 5:21 come a significare che l’uomo innocente Gesù divenne

vicariamente «il grande peccatore» nel Getsemani (The Power of the Word: Saving Doctrines from the Book of Mormon [Salt

Lake City: Deseret Book, 1994], 13, 92, 178).

[34] Robinson, Believing Christ, 118–19. Studi recenti sull’esperienza del Salvatore nel Getsemani si trovano in Andrew C.

Skinner, Gethsemane (Salt Lake City: Deseret Book, 2002) e Terry B. Ball, «Gethsemane», in The Life and Teachings of Jesus

Christ: The Savior’s Final Hours, a cura di Thomas A. Wayment e Richard Neitzel Holzapfel (Salt Lake City: Deseret Book,

2003), 138–64.

[35] L’autore dell’Epistola agli Ebrei insegnò anche che Gesù «in ogni cosa … tentato come noi, però senza peccare» (Ebrei

4:15; corsivo dell’autore).

[36] Jeffrey R. Holland, «Testimoni speciali di Cristo», Liahona, aprile 2001, 15.

[37] L’Anziano Neal A. Maxwell spiegò la profezia di Alma: «Gesù si offrì volontario anche per prendere su di

Sé un’ulteriore agonia, al fine di poter sperimentare e quindi conoscere certe cose ‘secondo la carne’, vale a dire le malattie,

le infermità e le sofferenze umane, incluse quelle non associate al peccato» («Becoming a Disciple», Ensign, giugno 1996, 12;

corsivo dell’autore).

[38] L’autore dell’Epistola agli Ebrei insegnò similmente che il Salvatore sperimentò queste cose «affinché diventasse un

misericordioso e fedel sommo sacerdote nelle cose appartenenti a Dio, per compiere l'espiazione dei peccati del popolo.

Poiché, in quanto egli stesso ha sofferto essendo tentato, può soccorrere quelli che son tentati» (Ebrei 2:17–18; corsivo

dell’autore). È importante notare come, dopo la Sua esperienza nel Getsemani e sul Golgota, il Salvatore risorto abbia

dichiarato ai Nefiti: «Ho compassione di voi; le mie viscere sono piene di misericordia» (3 Nefi 17:7).

[39] Neal A. Maxwell, «Enduring Well», Ensign, aprile 1997, 7; corsivo dell’autore.

[40] Glenn L. Pace, «Crying with the Saints», Ensign, settembre 1988, 71. L’Anziano Neal A. Maxwell insegnò anche:

«Egli [Cristo] prese su di Sé i nostri peccati, oltre ai nostri dolori, alle nostre malattie e infermità (vedere Alma 7:11–12).

Pertanto, Egli conobbe – non in astratto, ma concretamente, ‘secondo la carne’ – l’intera sofferenza umana. Egli portò le

nostre infermità prima ancora che noi le patissimo. Egli sa perfettamente come soccorrerci. Noi non possiamo

insegnarGli nulla riguardo al dolore, alla tentazione o all’afflizione» (We Will Prove Them Herewith [Salt Lake City:

Deseret Book, 1982], 46–47).

[41] Vedere anche Mosia 5:7: «A motivo dell'alleanza che avete fatto, sarete chiamati figlioli di Cristo, suoi figli e sue figlie;

poiché ecco, in questo giorno egli vi ha spiritualmente generati, poiché dite che il vostro cuore è cambiato, tramite la fede

nel suo nome; perciò siete nati da lui e siete diventati suoi figli e sue figlie» (corsivo dell’autore).

[42] Il verbo ebraico «vedere» (ra’ah) può significare letteralmente «vedere» con gli occhi, oppure figurativamente

«percepire» con la mente. Vedere Francis Brown, S. R. Driver e Charles A. Briggs, a cura di, A Hebrew and English Lexicon

of the Old Testament (New York: Oxford University Press, 1951), 906–8.

[43] Merrill J. Bateman, «The Power to Heal from Within», Ensign, maggio 1995, 14; corsivo dell’autore.

[44] Neal A. Maxwell, Plain and Precious Things (Salt Lake City: Deseret Book, 1983), 43. Da notare anche un ulteriore

insegnamento di Anziano Maxwell: «Gesù conosce le pecore del Suo gregge non soltanto per ciò che sono ora, ma anche

per ciò che hanno il potere di diventare» (Even As I Am [Salt Lake City: Deseret Book, 1982], 78).

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[45] Da notare la supplica di Anziano Neal A. Maxwell: «Ci rendiamo conto - comprendiamo davvero – che Gesù sa e

capisce quando siamo stressati e perplessi? La completa consacrazione che realizzò l’Espiazione assicurò l’empatia

perfetta di Gesù; Egli provò i nostri stessi dolori e le nostre stesse afflizioni prima di noi, e sa come soccorrerci»

(«Swallowed Up in the Will of the Father», Ensign, novembre 1995, 24). Vedere anche Neal A. Maxwell, If Thou Endure It

Well (Salt Lake City: Bookcraft, 1996), 52; Robinson, Believing Christ, 122–23.

[46] Richard Neitzel Holzapfel e David Rolph Seely, My Father’s House: Temple Worship and Symbolism in the New

Testament (Salt Lake City: Bookcraft, 1994), 60; vedere anche Levitico 16:14–15; Ebrei 9:7.

[47] Neal A. Maxwell, One More Strain of Praise (Salt Lake City: Deseret Book, 1999), 40. In un libro precedente, l’Anziano

Maxwell aveva insegnato: «Gesù conosce e si preoccupa di ciascun individuo; Egli veglia con cura sulle cose

apparentemente più piccole» (That Ye May Believe [Salt Lake City: Bookcraft, 1992], 205).

[48] Gene R. Cook, «The Grace of the Lord», New Era, dicembre 1988, 4.

[49] Jeffrey R. Holland, «Cose rotte da riparare», Liahona, maggio 2006, 70–71.

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ANZIANO BRUCE C. HAFEN

Membro del Primo Quorum dei Settanta

egli ultimi anni, noi Santi degli Ultimi Giorni abbiamo insegnato, cantato e testimoniato del

Salvatore Gesù Cristo in modo molto più intenso. Mi rallegro del fatto che ci rallegriamo di più.

Quando «parliamo [di più] di Cristo»,1 la pienezza della dottrina evangelica esce dall’oscurità. Per

esempio, alcuni dei nostri amici non riescono a capire in che modo le nostre credenze sull’Espiazione si

relazionino con le nostre credenze sul diventare più simili al nostro Padre celeste. Altri

pensano erroneamente che la nostra chiesa stia andando verso una comprensione del rapporto tra grazia ed

opere che si rifà agli insegnamenti protestanti. Tali malintesi mi spingono a parlare oggi della singolare

dottrina dell’Espiazione emersa con la Restaurazione.

Il Signore restaurò il Suo vangelo tramite Joseph Smith perché c’era stata un’apostasia. Fin dal quinto secolo

il cristianesimo insegnava che la caduta di Adamo ed Eva era stata un tragico errore, portando così le

persone a credere che, nella stessa natura umana, fosse insita una natura malvagia. Questo punto di vista è

sbagliato, non soltanto per quanto riguarda la Caduta e la natura umana, ma anche per quanto attiene

all’esatto scopo della vita.

La Caduta non fu un disastro. Non fu un errore né un incidente. Fu una parte deliberata del piano di

salvezza. Noi siamo la «progenie» spirituale di Dio,2 e siamo stati mandati sulla terra, «innocenti»3 della

trasgressione di Adamo. Eppure, il piano del Padre ci espone alla tentazione e all’infelicità in questo mondo

decaduto quale prezzo da pagare per comprendere la vera gioia. Senza assaggiare l’amaro, non possiamo in

effetti conoscere il dolce.4 Abbiamo bisogno della disciplina e del perfezionamento della vita terrena quale

«passo successivo del nostro sviluppo» per poter diventare simili al nostro Padre.5 Ma crescere significa

sperimentare la sofferenza. Significa anche imparare dai nostri errori, in un processo continuo reso possibile

dalla grazia del Salvatore, che Egli elargisce sia durante che «dopo aver fatto tutto ciò che possiamo fare».6

Adamo ed Eva imparavano costantemente dalle loro esperienze, spesso molto dure. Conoscevano i dolori di

una famiglia nelle difficoltà. Pensate a Caino e Abele. Eppure, grazie all’Espiazione, potevano imparare dalle

proprie esperienze senza venire da esse condannati. Il sacrificio di Cristo non significava annullare le loro scelte e

riportarli all’innocenza dell’Eden. Sarebbe una storia senza trama e priva di crescita caratteriale. Il Suo piano

prevede lo sviluppo — linea su linea, passo per passo, grazia per grazia.

Dunque, se nella vostra vita incontrate delle difficoltà, non pensate che ci sia qualcosa di sbagliato in voi.

Lottare con quei problemi è l’essenza stessa dello scopo della vita. Nell’avvicinarci a Dio, Egli ci mostrerà le

nostre debolezze, e mediante esse ci renderà più saggi, più forti.7 Se riscontrate molte più debolezze in voi,

può significare che vi state avvicinando maggiormente a Dio, non allontanando.

Uno dei primi convertiti australiani disse: «La mia vita passata era un campo di erbacce dove raramente

cresceva un fiore. [Ma] adesso le erbacce sono sparite e al loro posto crescono i fiori».8

Cresciamo in due modi: eliminando le erbe infestanti e coltivando fiori beneauguranti. Il Salvatore concede

la Sua grazia in entrambi gli aspetti—se noi facciamo la nostra parte. Per prima cosa, e a diverse riprese,

dobbiamo estirpare le erbacce del peccato e delle scelte errate. Non basta solo tagliare le erbacce. Tiratele

fuori con le radici, pentendovi in maniera completa per soddisfare le condizioni della misericordia.

N

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Ma ricevere il perdono è solo una parte della nostra crescita. Non stiamo soltanto pagando un debito. Il

nostro obiettivo è diventare esseri celesti. Una volta che abbiamo ripulito il nostro cuore (la nostra terra),

dobbiamo continuare a piantare, estirpare le erbacce e nutrire i semi delle qualità divine. E poi, quando

grazie al nostro sudore e disciplina possiamo arrivare a ricevere i Suoi doni, «la pace [sentiamo] dentro [di

noi] d’un limpido mattin»,9 quali la speranza e la mansuetudine. Persino l’albero della vita può mettere

radici in questo cuore, e dare frutti tanto dolci da alleviare i nostri fardelli «tramite la gioia in suo Figlio».10 E

quando sboccerà il fiore della carità, allora ameremo gli altri con il potere dell’amore stesso di Cristo.11

Abbiamo bisogno della grazia sia per estirpare le erbacce del peccato sia per coltivare i fiori divini. Non

possiamo fare da soli nessuna delle due cose. Ma la grazia non costa poco. È molto costosa, anzi molto cara.

Quanto costa la grazia? Basta semplicemente credere in Cristo? L’uomo che trovò la perla di gran prezzo

dette in cambio «tutto quel che aveva».12 Se desideriamo avere «tutto quello che [il] Padre ha»,13 Dio ci

chiede tutto quello che abbiamo. Per qualificarci a ricevere tale grande tesoro, in qualsiasi modo ci adoperiamo,

dobbiamo dare come Cristo diede, ogni cosa che aveva: «Quanto intens[o] non sapete, sì, quanto dur[o] da

sopportare non sapete».14 Paolo disse: «Se pur soffriamo con lui», «siamo coeredi di Cristo».15 Tutto il Suo

cuore, tutto il nostro cuore.

Quale perla poteva avere un valore tanto alto, per Lui e per noi? Questa terra non è la nostra casa. Stiamo

andando a scuola per vedere di assimilare le lezioni del «grande piano di felicità»16 in modo da poter tornare

a casa e sapere cosa significa essere di nuovo a casa. Il Signore ci spiega ripetutamente perché il piano vale il

nostro sacrificio, e il Suo. Eva lo chiamò «la gioia della nostra redenzione».17 Giacobbe lo chiamò «quella

felicità che è preparata per i santi».18 Per necessità il piano è pieno di spine e lacrime, le Sue e le nostre. Ma

poiché Lui e noi siamo totalmente coinvolti insieme in questa causa, il nostro essere «uno» con Lui nel

superare l’opposizione ci porterà di per sé «sconfinata gioia».19

L’espiazione di Cristo è al centro di questo piano. Senza il Suo caro, caro sacrificio non ci sarebbe una via di

ritorno a casa, non ci sarebbe modo di stare insieme a Lui, né di essere simili a Lui. Ci ha dato tutto quello

che Egli aveva. Per cui, «quanto grande è la sua gioia»20 quando anche solo uno di noi «ne comprende

l’importanza», quando dal mucchio di erbacce alziamo lo sguardo voltandoci verso il Figlio.

Solo il vangelo restaurato possiede la pienezza di queste verità! Eppure il Maligno è impegnato in una tra le

imprese più grandi della storia, cercando di persuadere gli uomini che questa chiesa poco sa – quando di

fatto sa molto – del modo in cui il nostro rapporto con Cristo fa di noi dei veri cristiani.

Se dobbiamo dare tutto quello che abbiamo, allora il fatto di dare soltanto quasi tutto non è sufficiente.

Se quasi osserviamo i comandamenti, quasi riceviamo le benedizioni. Alcuni giovani pensano di potersi

abbandonare al fango del peccato e farsi una doccia di pentimento proprio prima dell’intervista per poter

andare in missione o al tempio. Nel momento stesso dell’atto della trasgressione, alcuni programmano di

pentirsi. Essi si fanno beffe del dono della misericordia concesso dal vero pentimento.

Alcune persone vogliono tenere una mano sul muro del tempio e, allo stesso tempo, con l’altra mano, toccare

le cose «impure del mondo».21 Dobbiamo posare entrambe le mani sul tempio e rimanere saldamente

attaccati per tutta la vita. Una mano non è neanche quasi sufficiente.

Il giovane ricco aveva dato quasi tutti i suoi averi. Quando il Salvatore gli disse di vendere tutti i suoi

possedimenti, non si trattava più soltanto di liberarsi delle ricchezze.22 Se lo vogliamo, possiamo ottenere la

vita eterna, ma a condizione che non ci sia nessun’altra cosa che desideriamo di più.

Dunque dobbiamo desiderare di dare ogni cosa, perché Dio stesso non può farci crescere contro la nostra

volontà, e senza la nostra piena partecipazione. Persino quando usiamo tutte le nostre energie per compiere

una cosa, ci manca il potere di creare la perfezione che solo Dio può aggiungere. Quello che per noi

significa tutto, di per sé è ancora quasi abbastanza — finché non venga completato dal tutto di Colui che è «il

perfezionatore della nostra fede».23 A quel punto, il nostro quasi, imperfetto ma consacrato, diventa

sufficiente.

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La mia amica Donna crebbe sperando di sposarsi e avere una famiglia numerosa. Ma quella benedizione non

arrivò mai. Invece, ella ha trascorso gli anni della maturità servendo le persone del suo rione con smisurata

compassione, e seguendo i bambini con disturbi psichici presso una grande scuola. Soffriva di artrite

deformante e molte volte le sue giornate erano lunghe e tristi; eppure era sempre di conforto e confortata dai

suoi amici e familiari. Una volta, mentre insegnava il sogno di Lehi, disse dolcemente: «Nel quadro io mi

dipingerei sulla via stretta e angusta, fermamente attaccata alla verga di ferro, ma crollata dalla stanchezza

proprio sulla via». In un'ispirata benedizione impartitale prima di morire, l’insegnante familiare di Donna

disse che il Signore l’aveva «accettata». Donna pianse. Non aveva mai pensato che la sua vita di donna sola

fosse accettabile. Ma il Signore disse che coloro che «sono disposti a osservare le loro alleanze col sacrificio...

io li accetto».24 Posso vederLo percorrere il sentiero dall’albero della vita per sollevare Donna con gioia e

portarla a casa.

Prendete in considerazione altre persone che, come Donna, si sono pienamente consacrate al punto

che quasi è sufficiente:

molti missionari in Europa o in località simili non smettono mai di offrire il loro cuore ferito, malgrado i

continui rifiuti.

I pionieri dei carretti a mano dissero di aver conosciuto Dio nelle loro condizioni estreme, e che fu per loro

un privilegio pagare il prezzo pagato per arrivare a conoscerLo.

Un padre che ha fatto tutto il possibile pur senza riuscire a influenzare le scelte della figlia, che poté soltanto

rivolgersi al Signore, supplicandoLo, come Alma, di aver pietà della sua creatura.

Una moglie che incoraggiò il marito a dispetto degli anni di debolezza, finché i semi del pentimento

finalmente germogliarono nel suo cuore. Ella disse: «Cercavo di guardarlo come Cristo avrebbe guardato

me».

Un marito la cui moglie soffriva da anni di disordini emotivi; lui la definiva sempre «la nostra piccola sfida»,

mai soltanto «la sua malattia». Nel regno del loro matrimonio, egli soffriva per le afflizioni di lei,25 proprio

come Cristo nel Suo regno infinito fu «afflitto in tutte le [nostre] afflizioni».26

Le persone descritte in 3 Nefi 17 erano sopravvissute alla distruzione, al dubbio e all’oscurità solo per

arrivare al tempio con Gesù. Dopo averLo ascoltato per ore meravigliati, diventarono troppo esausti per

capirLo. Quando si preparò per lasciarli, Lo guardarono con le lacrime agli occhi e il profondo desiderio che

rimanesse e benedicesse i loro infermi e i loro bambini. Essi non Lo capivano neppure, ma desideravano

rimanere con Lui più di qualsiasi altra cosa. E dunque Egli rimase. Il loro quasi fu sufficiente.

Quasi è sufficiente in modo particolare quando i nostri sacrifici ricordano, in qualche modo, il sacrificio del

Salvatore, per quanto imperfetti siamo. Non possiamo sentire veramente carità—l’amore di Cristo per gli

altri—senza almeno aver assaggiato le Sue sofferenze per gli altri, perché l’amore e la sofferenza sono le due

facce di una stessa realtà. Quando siamo veramente afflitti per le afflizioni delle altre persone, allora

possiamo prender parte alla «comunione delle sue sofferenze»27 in maniera abbastanza profonda da

diventare coeredi di Cristo.

Possiamo noi non ritirarci quando scopriamo, paradossalmente, quanto è alto il prezzo da pagare per

ricevere quello che, alla fine, è un dono da parte Sua. Quando il tutto del Salvatore e il nostro tutto si

uniranno, non troveremo allora soltanto il perdono dei peccati — «lo vedremo come egli è» e «saremo simili

a Lui».28Gli voglio bene. Voglio essere con Lui. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

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NOTE

1. 2 Nefi 25:26.

2. Vedere Atti 17:28.

3. Vedere DeA 93:38.

4. Vedere DeA 29:39.

5. Jeffrey R. Holland, Christ and the New Covenant: The Messianic Message of the Book of Mormon (1997), 207.

6. 2 Nefi 25:23; corsivo dell’autore.

7. Vedere Ether 12:27.

8. Martha Maria Humphreys, citato in Marjorie Newton, Southern Cross Saints: The Mormons in Australia (1991), 158.

9. «Nell’anima mia c’è il sol», Inni, 140.

10. Alma 33:23.

11. Vedere Moroni 7:48.

12. Matteo 13:46; vedere anche Alma 22:15.

13. DeA 84:38.

14. DeA 19:15.

15. Romani 8:17.

16. Alma 42:8.

17. Mosè 5:11.

18. 2 Nefi 9:43.

19. Vedere Alma 28:8.

20. DeA 18:13; corsivo dell’autore.

21. Vedere Alma 5:57.

22. Vedere Matteo 19:16–22.

23. Ebrei 12:2; vedere anche Moroni 6:4.

24. DeA 97:8; corsivo dell’autore.

25. Vedere DeA 30:6.

26. Vedere DeA 133:53.

27. Filippesi 3:10.

28. Moroni 7:48; 1 Giovanni 3:2; corsivo dell’autore.

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L’Espiazione e il valore di una sola anima

ANZIANO M. RUSSELL BALLARD

Membro del Quorum dei Dodici Apostoli

o scorso gennaio la nostra famiglia è stata in lutto per la tragica perdita di nostro nipote Nathan in un

incidente aereo. Nathan era stato un missionario nella Missione Baltica di lingua russa; amava la

gente e sapeva che era un privilegio servire il Signore. Tre mesi dopo aver celebrato il matrimonio

eterno tra lui e la sua cara Jennifer, questo incidente gli tolse la vita. L’improvvisa scomparsa di Nathan dalla

nostra presenza, ha volto il cuore e la mente di tutti noi all’espiazione del Signore Gesù Cristo. Sebbene mi

sia impossibile esprimervi a parole il pieno significato dell’espiazione di Cristo, prego di potervi spiegare ciò

che essa vuol dire per me e la nostra famiglia, come pure quello che potrebbe significare per voi e i vostri

cari.

Per noi la preziosa nascita del Salvatore, la Sua vita, l’espiazione nel Giardino di Getsemani, la sofferenza

sulla croce, la sepoltura nella tomba di Giuseppe di Arimatea e la gloriosa resurrezione sono divenuti una

rinnovata realtà. La risurrezione del Salvatore assicura a tutti che un giorno anche noi Lo seguiremo e

passeremo attraverso la nostra risurrezione. Quale pace e conforto porta questo dono grandioso, che giunge

attraverso la grazia amorevole di Gesù Cristo, il Salvatore e Redentore di tutta l’umanità. Grazie a Lui

sappiamo che potremo di nuovo stare con Nathan.

Non c’è espressione d’amore superiore a quella dell’eroica espiazione portata a termine dal Figlio di Dio. Se

non fosse per il piano del nostro Padre celeste, stabilito prima della fondazione del mondo, tutta l’umanità—

passata, presente e futura—non avrebbe avuto di fatto la speranza di un progresso eterno. In conseguenza

della trasgressione di Adamo, i mortali furono separati da Dio (vedere Romani 6:23) e lo sarebbero rimasti

per sempre, a meno che non si fosse trovato un modo per spezzare le catene della morte. Non sarebbe stato

facile, poiché occorreva il sacrificio vicario di Uno che fosse senza peccato e che potesse, quindi, prendere su

di Sé i peccati di tutto il genere umano.

Nell’antica Gerusalemme Gesù Cristo compì con coraggio questo sacrificio. Nel quieto isolamento del

Giardino di Getsemani, il Salvatore s’inginocchiò tra gli ulivi nodosi e, in un qualche modo incredibile, che

nessuno di noi può del tutto comprendere, prese su di Sé i peccati del mondo. Benché la Sua vita fosse pura e

senza peccato, Egli pagò la pena estrema per i peccati—miei, vostri e quelli di chiunque abbia mai vissuto o

vivrà. La Sua angoscia mentale, emotiva e spirituale fu tale da far sì che sanguinasse da ogni poro (vedere

Luca 22:44; DeA 19:18). Gesù, tuttavia, soffrì volontariamente, affinché potessimo tutti avere la possibilità di

essere purificati mediante la nostra fede in Lui, il pentimento dei nostri peccati, il battesimo tramite la debita

autorità del sacerdozio, la confermazione e il dono purificatore dello Spirito Santo, accettando inoltre tutte le

altre ordinanze essenziali. Senza l’espiazione del Signore, nessuna di queste benedizioni sarebbe alla nostra

portata né potremmo diventare degni e preparati per ritornare a dimorare alla presenza di Dio.

Il Salvatore in seguito sopportò l’agonia dell’interrogatorio, delle crudeli percosse e della morte per

crocifissione sul Calvario. Recentemente si è molto parlato di questi avvenimenti, ma non è mai stato chiarito

il punto essenziale che nessuno ebbe il potere di togliere la vita al Salvatore, ma che Egli la offrì per riscattare

tutti noi. Quale Figlio di Dio, Egli aveva il potere di cambiare la situazione, tuttavia le Scritture enunciano

chiaramente che Egli offrì Se stesso alla sferza, all’umiliazione, alla sofferenza e, alla fine, alla crocifissione, a

motivo del Suo amore verso i figlioli degli uomini (vedere 1 Nefi 19:9–10).

L

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L’Espiazione era una parte indispensabile del piano del Padre celeste per la missione terrena di Suo Figlio e

per la nostra salvezza. Quanto dovremmo essere grati che il Padre non sia intervenuto ma, piuttosto, abbia

trattenuto il Proprio istinto paterno di salvare il Suo Figlio diletto. Grazie al Suo amore eterno per voi e per

me, Egli consentì a Gesù di portare a termine la Sua missione preordinata di divenire il nostro Redentore.

Attraverso la grazia amorevole di Gesù Cristo, il dono della risurrezione e dell’immortalità è offerto

liberamente a tutte le persone di ogni epoca, a prescindere dalle loro azioni buone o cattive. A coloro che

scelgono di amare il Signore e che Gli mostrano amore e fedeltà, osservando i Suoi comandamenti e

qualificandosi per tutti i benefici dell’Espiazione, Egli promette in aggiunta l’esaltazione e la vita eterna, che

è la benedizione di vivere per sempre alla presenza di Dio e del Suo Figlio diletto.

Cantiamo spesso un inno che esprime i sentimenti che provo quando penso al caritatevole sacrificio

espiatorio del Salvatore:

Attonito resto pensando all’immenso amor

che il grande Sovrano professa ed offre a me.

Io tremo al pensier del dolore che un dì patì,

per me peccatore in croce Gesù morì.

(«Attonito resto», Inni, 114).

Gesù Cristo, il Salvatore e Redentore di tutta l’umanità, non è morto. Egli vive, sì, il risorto Figlio di Dio vive,

questa è la mia testimonianza, e oggi Egli guida gli affari della Sua chiesa.

Nella primavera del 1820, una colonna di luce illuminò un bosco nello Stato di New York. Il nostro Padre

celeste e il Suo beneamato Figlio apparvero al profeta Joseph Smith. Quest’esperienza diede inizio alla

restaurazione di principi dottrinali possenti che erano andati persi da secoli. Tra i principi offuscati dalle

tenebre dell’apostasia, c’era la commovente realtà che noi siamo tutti figli e figlie di spirito di un Dio

amorevole, che è nostro Padre. Noi facciamo parte della Sua famiglia. Egli non è un padre in senso allegorico

o metaforico. Egli è letteralmente il Padre dei nostri spiriti; Egli si cura di ognuno di noi. Per quanto questo

mondo abbia la tendenza a sminuire gli uomini e le donne, la realtà è che tutti abbiamo un lignaggio divino.

In quell’apparizione senza precedenti del Padre e del Figlio nel Bosco Sacro, la primissima parola

pronunciata dal Padre di tutti noi fu proprio il nome di Joseph. Tale è il rapporto personale che nostro Padre

ha con ognuno di noi. Egli conosce il nostro nome e desidera ardentemente che diventiamo degni di

ritornare a vivere con Lui.

Attraverso il Suo profeta eletto, Joseph Smith, il Vangelo fu restaurato e il Signore Gesù Cristo ha ancora una

volta rivelato le ordinanze e l’autorità del sacerdozio per celebrarle per la salvezza di tutti coloro che

credono.

In un’altra epoca, a un profeta diverso furono mostrate «le nazioni della terra» (Mosè 7:23). «E il Signore

mostrò ad Enoc ogni cosa, sì, fino alla fine del mondo» (Mosè 7:67). Enoc vide, inoltre, che Satana «aveva una

grande catena in mano, ed essa velava di tenebre l’intera faccia della terra; ed egli [Satana] guardò in su e

rise» (Mosè 7:26).

Tra tutte le cose che egli vide, ce ne fu una che sembrò catturare la sua attenzione più di tutte le altre: Enoc

vide Dio che guardò «il resto del popolo e pianse» (Mosè 7:28). Poi negli scritti sacri leggiamo che Enoc

chiese ripetutamente a Dio: «Come è possibile che tu possa piangere?… Come è possibile che tu possa

piangere?» (Mosè 7:29, 31).

Il Signore rispose a Enoc: «Guarda questi tuoi fratelli; sono l’opera della mie mani... Ai tuoi fratelli… ho dato

anche un comandamento, che si amassero l’un l’altro e che scegliessero me, loro Padre; ma ecco, sono senza

affezione e odiano il loro stesso sangue» (Mosè 7:32–33).

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Enoc vide le condizioni di questi ultimi giorni. Egli, insieme ad altri antichi profeti, sapeva che solo se

accettiamo l’Espiazione nella nostra vita e ci sforziamo di vivere secondo i principi del Vangelo possiamo

superare le prove e trovare pace, gioia e felicità. È solo attraverso una ricerca personale che ogni figlio di Dio

può giungere alla comprensione di questo grande dono.

Fratelli e sorelle, ritengo che se noi potessimo comprendere veramente l’espiazione del Signore Gesù Cristo,

ci renderemmo conto di quanto è prezioso un figlio ouna figlia di Dio. Credo che lo scopo eterno del nostro

Padre celeste per i Suoi figli si raggiunga in genere mediante cose piccole e semplici che facciamo l’uno per

l’altro. In mezzo al termine inglese atonement, ossia «espiazione», c’è la parola one, cioè «uno». Se tutta

l’umanità giungesse a comprendere questo fatto, non ci sarebbe mai nessuno di cui non ci preoccuperemmo,

a prescindere da età, razza, sesso, religione o situazione socio-economica. Cercheremmo di emulare il

Salvatore e non saremmo mai scortesi, indifferenti, irrispettosi o insensibili verso gli altri.

Se comprendessimo davvero l’Espiazione e il valore eterno di ogni anima, cercheremmo il ragazzo o la

ragazza smarriti, come pure tutti i figli di Dio che si sono persi; li aiuteremmo a conoscere l’amore che Cristo

prova per loro; faremmo tutto ciò che è in nostro potere per aiutarli a prepararsi a ricevere le ordinanze di

salvezza del Vangelo.

Sicuramente se l’Espiazione fosse chiara nella mente dei dirigenti di rione e ramo, nessun nuovo convertito o

membro riattivato sarebbe mai trascurato. Dato che ogni anima è preziosa, si riunirebbero in consiglio per

accertarsi che ad ognuna vengano insegnate le dottrine del vangelo di Gesù Cristo.

Quando penso a Nathan e a quanto è prezioso per noi, posso capire e sentire più chiaramente ciò che il

Padre celeste deve provare per tutti i Suoi figli. Non vogliamo che Dio pianga perché noi non abbiamo fatto

tutto quello che potevamo per parlare ai Suoi figli dei principi rivelati del Vangelo. Prego affinché ognuno

dei nostri giovani cerchi di conoscere le benedizioni dell’Espiazione e si sforzi di essere degno di servire il

Signore sul campo di missione. Sicuramente molte più coppie anziane, come pure altre persone, la cui salute

lo consente, desidererebbero ardentemente servire il Signore come missionari, se solo meditassero sul

significato del sacrificio espiatorio del Signore Gesù Cristo. Fu Gesù che disse: «Se… doveste faticare tutti i

vostri giorni nel gridare il pentimento a questo popolo, per portare non fosse che una sola anima a me,

quanto sarà grande la vostra gioia in sua compagnia nel regno di mio Padre!» (DeA 18:15; corsivo

dell’autore). Non solo questo, ma grande sarà la gioia del Signore nell’anima che si pente! Poiché per Lui è

preziosa una sola anima.

Fratelli e sorelle, il nostro Padre celeste ci è venuto in soccorso mediante l’espiazione del Salvatore. Egli

invita tutti a venire a Cristo, che è il Santo d’Israele, e a diventare partecipi della Sua salvezza e del potere

della Sua redenzione (vedere Omni 1:26). Egli ci ha insegnato che possiamo ritornare alla Sua sacra presenza

tramite la nostra fedele devozione ai principi evangelici; ricevendo le ordinanze di salvezza che sono state

restaurate; attraverso l’incessante servizio e perseverando fino alla fine. Rispetto a questa conoscenza, quale

altra cosa mai al mondo gli si avvicina lontanamente per importanza?

Tristemente, nel mondo d’oggi, l’importanza di una persona è spesso misurata dalla dimensione del

pubblico davanti a cui si esibisce. Questo è il criterio conformemente al quale i programmi sportivi e dei

mass media sono valutati; in base a cui, talvolta, l’importanza delle aziende è stabilita; secondo il quale,

spesso, l’organico governativo è definito. Questo potrebbe essere il motivo per cui i ruoli come quello di

padre, madre e missionario raramente ricevono acclamazioni. I padri, le madri e i missionari si «esibiscono»

davanti a un pubblico assai limitato. Sì, agli occhi del Signore, può esserci solo una dimensione di pubblico

che ha un’importanza durevole: una sola persona, ogni persona, io e voi, nonché ogni singolo figlio di Dio. Il

fatto incredibile dell’Espiazione è che è infinita ed eterna, tuttavia, si applica individualmente, una persona

alla volta.

Sotto alcuni aspetti l’inno dei bambini, «Sono un figlio di Dio» (Inni, 190), è in armonia con la musica

dell’eternità. Noi siamo figli di Dio; ognuno di noi è tanto prezioso da portare il Signore Dio Onnipotente a

una pienezza di gioia, se siamo fedeli, o alle lacrime, se non lo siamo.

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Quello che il Salvatore risorto disse ai Nefiti, oggi lo potrebbe ripetere a noi:

«Benedetti siete voi a motivo della vostra fede. Ed ora ecco, la mia gioia è completa.

E quando ebbe detto queste parole, egli pianse, e la moltitudine ne rese testimonianza; ed egli prese i loro

bambini, ad uno ad uno, e li benedisse, e pregò il Padre per loro» (3 Nefi 17:20; corsivo dell’autore).

Fratelli e sorelle, non sminuite mai, veramente mai, il prezioso valore del singolo individuo. Ricordate

sempre il semplice ammonimento del Signore: «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti»

(Giovanni 14:15). Cercate sempre di vivere degni di tutte le sacre benedizioni dell’espiazione del Signore

Gesù Cristo. Nel dolore per la separazione dal nostro caro Nathan è giunta la pace che solo il Salvatore e

Redentore può dare. La nostra famiglia si è rivolta a Lui, uno a uno. Ora cantiamo con grande

apprezzamento e comprensione:

Meraviglioso è il Suo grande amor,

che Gli costò dolor;

meraviglioso è il Suo amor per me!

(«Attonito resto», Inni, 114).

Miei cari fratelli e sorelle, possiate voi donare agli altri e ricevere per voi stessi tutte le benedizioni che

l’espiazione del Signore Gesù Cristo offre. Questa è la mia umile preghiera, nel nome di Gesù Cristo. Amen.

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L’ESPIAZIONE ANZIANO ROBERT D. HALES

Membro del Quorum dei Dodici Apostoli

Robert D. Hales, «The Atonement», in Return: Four Phases of Our Mortal Journey Home, Salt Lake City: Deseret Book

Company, 2010.

ento il bisogno di sottolineare ciò che troppo spesso trascuriamo, nel piano del nostro Padre celeste: la

vita eterna e la felicità eterna sono possibili soltanto a motivo del nostro Salvatore Gesù Cristo e della

Sua grande e infinita Espiazione.

Notate le parti in corsivo in questo famoso passo scritturale, tratto dal grandioso sermone che Padre Lehi

rivolse ai suoi figli riguardo al piano di Dio per noi:

«Adamo cadde affinché gli uomini potessero essere; e gli uomini sono affinché possano provare

gioia».

Spesso, citiamo questo versetto da solo, ma il versetto successivo spiega come sia possibile questa gioia:

«E il Messia verrà nella pienezza del tempo, per poter redimere i figlioli degli uomini dalla caduta. E poiché

sono stati redenti dalla caduta, essi sono diventati per sempre liberi, distinguendo il bene dal male; per

agire da sé e non per subire, se non la punizione della legge nel grande e ultimo giorno, secondo i

comandamenti che Dio ha dato.

Pertanto gli uomini sono liberi secondo la carne; e sono date loro tutte le cose che sono opportune

per l'uomo. E sono liberi di scegliere la libertà e la vita eterna, tramite il grande Mediatore di tutti gli

uomini, o di scegliere la schiavitù e la morte, secondo la schiavitù e il potere del diavolo; poiché egli

cerca di rendere tutti gli uomini infelici come lui» (2 Nefi 2:25–27; corsivo dell’autore).

La vita e la gioia eterne sono possibili perché Gesù Cristo, il Messia e il Grande Mediatore, ci ha redenti dalla

morte e ha espiato per i nostri peccati. Questo fatto spiega la dichiarazione del Profeta Joseph Smith, secondo

cui «i principi fondamentali della nostra religione sono la testimonianza degli Apostoli e dei Profeti intorno a

Gesù Cristo; che Egli morì, fu sepolto, risuscitò il terzo giorno ed ascese al cielo; tutte le altre cose inerenti

alla nostra religione sono soltanto un complemento di ciò».[1]

Aggiungo la mia voce a quella di Joseph Smith e di tutti gli altri profeti degli ultimi giorni: il centro di tutto

ciò in cui crediamo è il nostro Salvatore; la Sua opera e la Sua gloria sono realizzare la nostra immortalità e

vita eterna mediante il Suo sacrificio espiatorio. La mia più profonda gratitudine è per Lui e per ciò che ha

fatto per noi. L’Espiazione è la base su cui poggiano tutte le verità del Vangelo. Desidero offrire un tributo a

Lui, l’Espiatore d’Israele, il mio e il vostro personale Salvatore.

Perché l’Espiazione è importante

Perché l’Espiazione del Salvatore è il principio evangelico centrale della Chiesa e della nostra vita? È

l’Espiazione a rendere operativo il piano del nostro Padre celeste, poiché «tramite l'espiazione di Cristo tutta

l'umanità può essere salvata, mediante l'obbedienza alle leggi e alle ordinanze del Vangelo» (AdF 3).

Senza l’Espiazione, la vittoria della morte sarebbe definitiva e noi saremmo soggetti al potere di Satana.

S

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«Poiché, come la morte è venuta a tutti gli uomini per adempiere il piano misericordioso del grande

Creatore, è necessario che vi sia un potere di risurrezione, e la risurrezione è necessario che venga

all'uomo a causa della Caduta, e la Caduta venne a causa della trasgressione; e poiché l'uomo

divenne decaduto, essi furono recisi dalla presenza del Signore.

Pertanto è necessario che vi sia una espiazione infinita — e se non fosse una espiazione infinita,

questa corruzione non potrebbe rivestirsi di incorruttibilità. Pertanto il primo giudizio che cadde

sull'uomo avrebbe dovuto necessariamente restare per un tempo infinito. E se così fosse, questa

carne avrebbe dovuto giacere per marcire e decomporsi nella madre terra, per non risorgere mai

più» (2 Nefi 9:6–7).

Perché la corruzione della mortalità, ovvero la morte fisica e quella spirituale, si rivesta di incorruttibilità,

deve esserci misericordia. Questa misericordia, ci insegnano le Scritture, «viene a causa dell’espiazione»

(Alma 42:23). Come opera l’Espiazione? Noi non sappiamo tutto a questo riguardo, ma sappiamo che essa

rende possibile la resurrezione rovesciando gli effetti della morte fisica e della decomposizione. Sappiamo

anche che l’Espiazione rende possibili il pentimento e il perdono rovesciando gli effetti del peccato, il quale è

principalmente una morte spirituale. Cristo ha vinto volontariamente per ciascuno di noi sia la morte, sia il

peccato – un dono incalcolabile che riceviamo venendo a Lui e seguendoLo. In altre parole, Cristo è «per

tutti quelli che gli ubbidiscono, autore d'una salvezza eterna» (Ebrei 5:9-10).

Porto testimonianza che questa salvezza attende tutti noi, se siamo disposti a soddisfare i suoi requisiti

semplici e sicuri. Non è soltanto una destinazione, quanto piuttosto un modo di essere con privilegi e

«benedizioni innumerevoli».[2] L’Espiazione rende possibile questa condizione perché ci dà il potere di

diventare come Dio (vedere Giovanni 1:12), che è il desiderio del Salvatore per noi e il motivo per cui noi

scegliemmo di venire sulla terra.

Senza l’Espiazione, sarebbe impossibile per noi ritornare alla presenza del Padre celeste. Perché? Perché

nessuna cosa impura può entrare alla presenza del Padre e nulla può essere reso puro se non tramite

l’Espiazione. Non c’è altra via. Quando Gesù insegnò «Io son la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre

se non per mezzo di me» (Giovanni 14:6), Egli non stava esprimendo una prospettiva o una preferenza

personale, ma stava dichiarando un fatto: «Io son la porta; se uno entra per me, sarà salvato, ed entrerà ed

uscirà, e troverà pastura» (Giovanni 10:9). «In questo è l'amore», scrisse Giovanni, «non che noi abbiamo

amato Iddio, ma che Egli ha amato noi, e ha mandato il suo Figliuolo per essere la propiziazione per i nostri

peccati» (1 Giovanni 4:10). In verità, Isaia dichiarò: «Noi tutti eravamo erranti come pecore, ognuno di noi

seguiva la sua propria via; e l'Eterno ha fatto cader su lui l'iniquità di noi tutti» (Isaia 53:6).

Le qualifiche uniche del Salvatore per poter espiare i nostri peccati

Perché soltanto Gesù Cristo poteva espiare per i peccati del mondo?

Il Salvatore fu preordinato. Lo spirito di Gesù nacque da genitori celesti in un mondo preterreno. Egli fu il

primogenito di spirito del nostro Padre celeste, scelto per essere il nostro Salvatore. Pietro insegnò che Gesù

fu «preordinato prima della fondazione del mondo» (1 Pietro 1:20). Il Padre Stesso dichiarò che Gesù era il

Suo «Diletto e Scelto fin dal principio» (Mosè 4:2). I profeti di tutte le dispensazioni predissero la venuta di

Gesù Cristo e la Sua missione. Giacobbe insegnò:

«Poiché con questo intento abbiamo scritto queste cose, affinché essi possano sapere che noi

sapevamo di Cristo, e avevamo una speranza della sua gloria molte centinaia di anni prima della sua

venuta; e non solo noi stessi avevamo una speranza della sua gloria, ma anche tutti i santi profeti che

furono prima di noi» (Giacobbe 4:4).

Prima di scendere sulla terra, ciascuno di noi sapeva che Gesù avrebbe svolto il ruolo essenziale nel piano

del nostro Padre celeste, per noi e per tutti i Suoi figli.

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Il Salvatore nacque da un Padre divino e da una madre mortale. In modo quasi incomprensibile per

noi, Gesù svolse il Suo ruolo con esattezza e onore: Egli fu perfettamente obbediente alla volontà di Suo

Padre. Il retaggio umano di Maria rese possibile per Gesù soffrire le tentazioni, sforzarsi di evitare il peccato,

provare compassione per noi e, dunque, fungere da mediatore dinanzi a Dio all’ultimo giorno. La divinità

del Padre celeste rese possibile per Gesù resistere completamente alla tentazione, non cedere mai al peccato e

condurre una vita perfetta, redimendoci dunque dai nostri peccati all’ultimo giorno. Maria, essendo mortale,

Gli diede la capacità di morire. Il Suo immortale Padre celeste Gli conferì il potere di vincere la morte. A

motivo di questo lignaggio unico ed essenziale, Gesù fu in grado di essere il nostro Amico, Esempio,

Salvatore, Mediatore e Maestro, l’Unico mediante il quale tutta l’umanità possa essere salvata.

Il Salvatore era beneamato da Suo Padre e aveva la Sua fiducia. Le Scritture parlano spesso della gioia

che il Padre celeste prova per Suo Figlio, Gesù Cristo. Quando Gesù fu battezzato, il Padre disse: «Questo è il

mio diletto Figliuolo, nel quale mi sono compiaciuto» (Matteo 3:17). Sul Monte della Trasfigurazione, «una

voce venne dalla nuvola, dicendo: Questo è il mio figliuolo, l'eletto mio; ascoltatelo» (Luca 9:35). Quando il

Salvatore apparve ai discendenti di Lehi dopo la Sua resurrezione, il Padre dichiarò nuovamente: «Ecco il

mio Figlio beneamato, nel quale io mi compiaccio» (3 Nefi 11:7). Mi tocca profondamente l’episodio in cui

Suo Padre, mentre Gesù stava soffrendo nel Giardino di Getsemani, per il grande amore e la compassione

che provava per il Suo Unigenito mandò un angelo perché Lo confortasse e Lo rafforzasse.

Il Salvatore fece uso del Suo libero arbitrio per essere obbediente. Perché l’Espiazione avesse effetto,

Gesù doveva deporre volontariamente la propria vita per noi. A motivo del grande amore che Gesù ha per

Suo Padre e per ciascuno di noi, Gesù disse: «Manda me» (Abrahamo 3:27). A differenza di Lucifero, che

pretese la gloria del Padre, il Salvatore si offrì volontario con umiltà: «Padre, sia fatta la tua volontà, e sia tua

la gloria per sempre» (Mosè 4:2). Quando Gesù disse «manda me», Egli fece uso del Suo libero arbitrio per

essere obbediente.

Come il Salvatore non poteva essere costretto a scendere sulla terra, così la Sua vita non poteva esserGli tolta

a meno che Egli non lo permettesse: «Come il Padre mi conosce ed io conosco il Padre; e metto la mia vita

per le pecore … Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per ripigliarla poi. Nessuno me la

toglie, ma la depongo da me. Io ho potestà di deporla e ho potestà di ripigliarla» (Giovanni 10:15–18). Paolo

scrisse che Gesù «abbassò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce» (Filippesi

2:8).

Legioni di angeli avrebbero potuto salvare Gesù dalla croce, se Egli l’avesse voluto, e avrebbe potuto

ritornare al Padre più presto. Egli aveva il Suo libero arbitrio e Lo uso per sacrificarSi, per noi, per adempiere

la Sua missione sulla terra, per perseverare fino alla fine e completare il sacrificio espiatorio.

Il Salvatore era l’unico essere perfetto. Gesù era l’unico essere perfetto, senza peccato. Nell’Antico

Testamento, il sacrificio era un sacrificio di sangue che indirizzava l’attenzione al sacrificio del nostro

Signore e Redentore sulla croce, in adempimento della grande Espiazione. Quando si compiva un sacrificio

di sangue, nei templi antichi, si prendeva un agnello senza difetto e perfetto sotto ogni aspetto. Nelle

Scritture, il Salvatore viene chiamato spesso «Agnello di Dio»,[3] a motivo della Sua purezza. Pietro insegnò

che noi siamo redenti «col prezioso sangue di Cristo, come d'agnello senza difetto né macchia» (1 Pietro

1:19). Il Salvatore stesso pregò: «Padre, guarda le sofferenze e la morte di colui che non peccò» (DeA 45:4;

corsivo dell’autore).

Il Salvatore perseverò fino alla fine. Mentre Gesù soffriva nel Giardino di Getsemani, gli Apostoli si

addormentarono. Tre volte Egli li trovò addormentati e tre volte ritornò scoraggiato. «Poi venne a' discepoli,

e li trovò che dormivano, e disse a Pietro: Così, non siete stati capaci di vegliar meco un'ora sola?» (Matteo

26:40).

Egli era stato lasciato da solo a completare la Sua missione. Sotto il peso dei nostri peccati e dolori collettivi,

Egli aveva pregato: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice!» (Matteo 26:39).

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In seguito, Egli descrisse le Sue sofferenze a Joseph Smith in questi termini: «E queste sofferenze fecero sì che

io stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel

corpo che nello spirito — e desiderassi di non bere la coppa amara e mi ritraessi» (DeA 19:18).

Nonostante la Sua agonia, Gesù aggiunse queste parole fatidiche nella Sua preghiera nel Giardino: «Ma

pure, non come voglio io, ma come tu vuoi» (Matteo 26:39). In seguito, Egli disse al popolo radunato presso

il Abbondanza: «Ho accettato la volontà del Padre in tutte le cose, fin dal principio» (3 Nefi 11:11). Soltanto

quando ebbe sopportato le prove, le sofferenze, il sacrificio e le tribolazioni del Getsemani e del Golgota

Gesù poté finalmente dire: «È compiuto» (Giovanni 19:30). Gesù era venuto sulla terra e aveva mantenuto la

Sua rettitudine, in modo da poter compiere il sacrificio espiatorio quale agnello senza difetto. Egli aveva

perseverato fino alla fine. «Nondimeno, sia gloria al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i

figlioli degli uomini» (DeA 19:19).

Apprezzare l’Espiazione

In che modo possiamo dimostrare la nostra personale gratitudine per questo dono miracoloso

dell’immortalità e delle altre benedizioni disponibili tramite l’Espiazione? Gesù disse: «Se voi mi amate,

osserverete i miei comandamenti» (Giovanni 14:15). Questo è il nostro modo di dimostrare gratitudine per il

dono della Sua vittoria sul peccato e sulla morte, per la Resurrezione e per rendere possibile il pentimento e

la vita eterna. Noi dimostriamo il nostro amore pentendoci tramite la fede in Lui e perdonando noi stessi e il

prossimo.

Vi sono molte persone a cui, un tempo, è stato insegnato a camminare nelle vie di Dio e che si sono poi

ribellate contro questi insegnamenti. Alcune di loro desiderano pentirsi e cambiare la propria vita per poter

godere della pace di mente disponibile quando viviamo secondo i comandamenti. Abbiamo spesso dei buoni

propositi per il nuovo anno, promesse che facciamo a noi stessi o alle persone che amiamo e che poi non

manteniamo. A volte, stipuliamo persino sacre alleanze con il Signore per poi venir meno ripetutamente agli

impegni presi. Dopo un certo numero di errori e mancanze rispetto al genere di vita che dovremmo

condurre, perdiamo fiducia in noi stessi e ci creiamo un’immagine negativa di chi siamo e di chi possiamo

diventare. Possiamo perdere la nostra fede in Dio, a volte incolpando Lui per la nostra infelicità. Possiamo

semplicemente gettare la spugna perché non vogliamo deludere noi stessi, chi ci sta intorno e il Signore

ancora una volta. Tuttavia, ogniqualvolta noi gettiamo la spugna, l’avversario ha vinto. Dimentichiamo che

siamo figli di Dio capaci di vivere alla Sua presenza, se soltanto obbediamo ai comandamenti. Pertanto, non

dobbiamo mai dimenticare l’invito del Salvatore: «Guardate a me in ogni pensiero; non dubitate, non

temete» (DeA 6:36).

Che cosa dobbiamo fare per avere la forza e il coraggio di essere obbedienti e osservare i comandamenti di

Dio? I profeti ci dicono che «il Signore sarebbe certamente venuto per redimere il suo popolo [tramite

l’Espiazione], ma che non sarebbe venuto a redimerlo nei suoi peccati, ma a redimerlo dai suoi peccati … a

motivo del pentimento» (Helaman 5:10–11; corsivo dell’autore).

Perché le benedizioni dell’Espiazione possano avere pienamente effetto nella nostra vita e permetterci di

ritornare a vivere con il nostro Padre celeste, dobbiamo pentirci dei nostri peccati ed essere fedeli

nell’osservare i comandamenti di Dio. Le benedizioni redentrici del pentimento e del perdono sono una

parte importante dell’Espiazione, ma esse sono condizionali e basate sulla nostra fedeltà nell’obbedire ai

comandamenti e alle ordinanze di Dio.

«Poiché ecco, la giustizia mette in atto tutte le sue richieste, ed anche la misericordia reclama tutto

ciò che è suo; e così nessuno, se non chi si pente veramente, sarà salvato» (Alma 42:24).

Scegliere di credere nell’Espiazione di Gesù Cristo. Scegliete di accettare il perdono del Salvatore. Scegliete

dunque di perdonare voi stessi e andate avanti in modo nuovo, con un nuovo cuore, con un nuovo e perfetto

fulgore di speranza. Grazie al Suo sacrificio per noi, le cose vecchie possono finire e tutte le cose possono

divenire nuove (vedere 3 Nefi 12:47).

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Egli ha il potere di non ricordare più i nostri peccati (vedere DeA 58:42). Ora dobbiamo fare lo stesso.

Rifiutarci di perdonare noi stessi dopo esserci pentiti completamente significa rifiutare il dono del Salvatore,

acquistato con il Suo sangue.

Ricordarsi sempre di Lui

Dopo essere ritornati sul sentiero giusto ed essere nuovamente «liberi di scegliere» (2 Nefi 2:27), dobbiamo

scegliere di rigettare i sentimenti di colpa per peccati di cui ci siamo già pentiti. Scegliete di non essere

scoraggiati a causa del peccato e di gioire nella speranza per il futuro. Ricordate: è Satana che vuole farci

essere «infelici come lui» (2 Nefi 2:27). Noi dobbiamo fare in modo che i nostri desideri siano più forti dei

suoi. Noi possiamo essere felici e fiduciosi riguardo alla nostra vita, riguardo alle opportunità e alle

benedizioni che ci attendono qui e in tutta l’eternità.

Forse, il modo più efficace per restare sul sentiero è osservare la nostra alleanza battesimale di ricordarci

sempre di Lui. Istituita dal Salvatore nella Sua Ultima Cena con gli apostoli, noi rinnoviamo questa alleanza

prendendo gli emblemi del pane e dell’acqua, i simboli del Suo corpo e del Suo sangue. Noi promettiamo

anche di ricordarci sempre di Lui, di obbedire ai Suoi comandamenti e di prendere su di noi il Suo nome.

Nel fare questo, ci viene promesso che avremo sempre il Suo Spirito con noi – per confortarci, guidarci,

rafforzarci, santificarci e portare testimonianza alla nostra anima della Sua divinità (vedere Moroni 4–5; DeA

20:77–79).

Il modo in cui trattiamo i nostri familiari, colleghi di lavoro, vicini e chiunque incontriamo rivela se abbiamo

stipulato e osservato questa alleanza oppure no, poiché essa si esprime nella misura in cui noi stiamo

diventando più simili al Salvatore. Il modo in cui viviamo, tutto ciò che facciamo e diciamo riflette se ci

ricordiamo di Lui oppure no.

Noi dimostriamo di ricordarci di Lui e della Sua Espiazione portando testimonianza liberamente di Lui e

della Sua Espiazione agli altri. Qualunque sia la nostra chiamata, il nostro insegnamento migliore sarà

relativo al Salvatore e al Suo sacrificio espiatorio, poiché questa è la benedizione più personale che possiamo

ricevere nel Vangelo. È del tutto naturale, dunque, che i frutti dell’Espiazione siano al centro di tutto ciò che

facciamo e diciamo, poiché l’Espiazione è il centro della nostra vita. In questo modo, noi adempiamo uno

degli scopi principali della nostra vita: conoscere Gesù Cristo quale nostro Salvatore avendo mangiato il

frutto del Suo amore, che è più dolce e più puro di ogni altro frutto.

Attonito resto

Porto testimonianza che, se siamo obbedienti e desideriamo che lo Spirito ci porti testimonianza della

divinità del Salvatore e della Sua Espiazione, questa testimonianza ci sarà data. Noi possiamo sapere.

Non posso dirvi quando, dove o come tale testimonianza giungerà, ma io so che giungerà. Dalla mia

esperienza e dalla mia esperienza lavorando insieme ai missionari, io so che la fede svolgerà un ruolo chiave

nel farci ottenere una testimonianza personale. Questa fede, accesa dal vostro intenso desiderio, farà sì che –

nel tempo e nel modo speciali del Signore - voi riceviate una conoscenza certa che Gesù è davvero il Figlio di

Dio, il nostro Salvatore e Redentore, che c’è un Dio nei cieli e che Egli è nostro Padre.

Una volta ricevuta tale preziosa conoscenza, ciascuno di noi trascorrerà il resto della propria vita a esprimere

gratitudine al nostro Padre celeste in preghiera e a vivere ogni giorno in modo tale da essere degni delle

benedizioni dell’Espiazione nella nostra vita.

A quel punto, insieme a tutti i credenti sin dal principio, la nostra missione sarà andare in tutto il mondo e

predicare il Vangelo del Salvatore a ogni creatura. Il messaggio che ha riempito il nostro cuore e benedetto la

nostra vita scorre in tutto ciò che diciamo e facciamo. Noi diventiamo testimoni viventi di questo messaggio:

Dio vive, Gesù è il Cristo e tramite Lui tutta l’umanità può essere salvata.

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Prego che esprimeremo nelle nostre preghiere il nostro amore per il sacrificio redentore ed espiatore del

nostro Salvatore e che dimostreremo questo amore obbedendo ai Suoi comandamenti. Insieme al popolo di

Re Beniamino, possiamo noi pregare:

«Oh, abbi misericordia, e applica il sangue espiatorio di Cristo affinché possiamo ricevere il perdono

dei nostri peccati e il nostro cuore possa essere purificato; poiché noi crediamo in Gesù Cristo, il

Figlio di Dio, che creò il cielo e la terra e tutte le cose, che scenderà fra i figlioli degli uomini» (Mosia

4:2).

Porto testimonianza che, poiché Egli discese qui sulla terra, noi possiamo ritornare a casa, e ritornare con

onore. Porto testimonianza che il piano di Dio per noi è possibile grazie a Lui. Porto la mia testimonianza che

il nostro viaggio terreno è, a tutti gli effetti, la grande benedizione di cui godiamo perché siamo figli di Dio,

perché Egli è nostro Padre e il Suo Figlio Beneamato è il nostro Salvatore e Redentore. Io so questo e

Attonito resto pensando all’immenso amor

che il grande Sovrano professa ed offre a me.

Io tremo al pensier del dolore che un dì patì,

per me peccatore in croce Gesù morì.

Quaggiù in umiltà Ei discese dal sommo ciel,

salvando così un indegno qual io son.

A tutti estese il Suo divin amor,

aprendo il sentier che riporta lassù al Signor.

In croce Ei morì per potere ognun salvar;

non posso, non posso tal grande mercé scordar.

Con tutto me stesso per sempre Lo adorerò,

finché alle Sue alte dimore non giungerò.

Ritornello:

Meraviglioso è il Suo grande amor,

che Gli costò dolor;

meraviglioso è il Suo amor per me![4]

Domande di approfondimento

• Quanto comprendo e apprezzo l’Espiazione?

• Che cosa faccio nella mia vita per dimostrare la mia gratitudine per l’Espiazione?

• Quanto sono fedele alla mia alleanza di ricordarmi sempre del Salvatore?

• Quanto spesso e con quanta chiarezza porto testimonianza dell’Espiazione?

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NOTE

[1] Joseph Smith, History of The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, seconda ediz. riv, a cura di B. H. Roberts (Salt

Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, 1932–51), 3:30.

[2] «The Lord Is My Shepherd», Hymns of The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints (Salt Lake City: The Church of

Jesus Christ of Latter-day Saints, 1985), no. 108.

[3] Vedere Giovanni 1:29, 36; 1 Nefi 10:10; 11:21; 11:27; 11:31–32; 12:6, 10–11, 18; 13:24, 28–29, 33–34, 38, 40; 14:1–3, 6, 10,

12–14, 25; 2 Nefi 31:4–6; 33:14; Alma 7:14; Mormon 9:2–3; DeA 88:106.

[4] «Attonito resto», Inni, n°114.

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EGLI GUARISCE GLI OPPRESSI ANZIANO DALLIN H. OAKS

Membro del Quorum dei Dodici Apostoli

l Salvatore disse: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo» (Matteo

11:28). Molti portano pesanti fardelli. Alcuni hanno perso una persona cara o si prendono cura di una

persona disabile. Qualcuno è stato ferito dal divorzio. Altri anelano al matrimonio eterno. C’è chi è

nella morsa di sostanze o abitudini che danno assuefazione, come l’alcol, il tabacco, la droga o la

pornografia. Taluni hanno menomazioni invalidanti di tipo fisico o mentale. Alcuni sono attratti da

persone dello stesso sesso. C’è chi è terribilmente depresso o ha un forte senso d’inadeguatezza. Per un verso

o l’altro, molte persone sono oppresse.

A ognuno di noi il Salvatore fa questo affettuoso invito: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed

aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch’io son mansueto ed

umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero»

(Matteo 11:28–30).

Le Scritture riportano molte guarigioni degli oppressi a cura del Salvatore. Egli fece sì che i ciechi vedessero,

i sordi udissero, i paralitici o gli storpi guarissero, i lebbrosi fossero mondati, gli spiriti immondi fossero

scacciati. Spesso leggiamo che una persona sanata da queste indisposizioni fu «completamente guarita»

(vedere Matteo 14:36, 15:28; Marco 6:56, 10:52; Luca 17:19; Giovanni 5:9).

Gesù fece guarire molte persone fisicamente, ma non si rifiutò di aiutare chi cercava di essere «sanato» da

altri problemi. Matteo scrisse che Egli sanava ogni malattia ed ogni infermità fra il popolo (vedere Matteo

4:23, 9:35). Molti Lo seguivano ed Egli «li guarì tutti» (Matteo 12:15). Certamente queste guarigioni

riguardavano difficoltà emotive, mentali o spirituali. Egli li guarì tutti.

All’inizio del Suo ministero, nella sinagoga Gesù lesse ad alta voce questa profezia di Isaia: «Lo Spirito del

Signore è sopra di me; per questo egli mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato a bandir

liberazione a’ prigionieri, ed ai ciechi ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Luca 4:18).

Quando Gesù dichiarò di essere venuto a adempiere tale profezia, affermò espressamente che avrebbe

sanato coloro che erano afflitti da disturbi fisici, ma avrebbe anche liberato i prigionieri, rimesso in libertà gli

oppressi e guarito i cuori infranti.

Il Vangelo di Luca contiene molti esempi al riguardo. Esso racconta di una volta quando «molte turbe si

adunavano per udirlo ed essere guarite delle loro infermità» (Luca 5:15). In altre occasioni riporta che Gesù

«guarì molti di malattie» (Luca 7:21) e che «guariva quelli che avean bisogno di guarigione» (Luca 9:11).

Descrive, inoltre, come una gran folla proveniente dalla Giudea, da Gerusalemme e dalla marina di Sidone

venne in pianura «per udirlo e per esser guarit[a]» (Luca 6:18).

Quando il Salvatore apparve ai giusti nel Nuovo Mondo, chiamò a Sé gli storpi, i ciechi e coloro che avevano

disturbi fisici. Estese lo stesso invito a coloro che erano «afflitti in qualche maniera» (3 Nefi 17:7). «Portateli

qui», disse, «e li guarirò» (v. 7).

Il Libro di Mormon racconta che la moltitudine si fece avanti «con tutti coloro che erano afflitti in qualche

maniera» (versetto 9). Tra questi devono esserci stati uomini affetti da ogni tipo di afflizione fisica, emotiva o

mentale, e le Scritture attestano che Gesù «li guarì tutti» (versetto 9).

Il Salvatore ci insegna che nel mondo avremo tribolazioni, ma che dovremmo farci animo, perché Egli ha

«vinto il mondo» (Giovanni 16:33). La Sua espiazione non solo è abbastanza potente da pagare il prezzo del

peccato, ma anche da sanare ogni afflizione terrena.

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Il Libro di Mormon ci insegna che «Egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e ciò

affinché si possa adempiere la parola che dice: egli prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo»

(Alma 7:11; vedere anche 2 Nefi 9:21).

Egli conosce le nostre pene ed è lì per noi. Come il buon samaritano nella Sua parabola, quando ci trova feriti

a lato della via, Gesù ci fascia le ferite e si prende cura di noi (vedere Luca 10:34). Fratelli e sorelle, il potere

di guarigione della Sua espiazione è per voi, per noi, per tutti. L’onnicomprensivo potere di guarigione è

invocato nelle parole del nostro inno «Oh, qual furente tempesta»:

Vedi l’angoscia, Signore, che strazia il mio cuor;

ed oggi a Te, chino in dolore, salvezza io chiedo ancor.

Fiumi di colpa e di male turbano il mio pensier;

e s’appressa già l’onda fatale, deh, fermala, Condottier!

(Inni, 63)

Possiamo guarire grazie all’autorità del Sacerdozio di Melchisedec. Gesù diede ai Suoi Dodici Apostoli il

potere «di sanare qualunque malattia e qualunque infermità» (Matteo 10:1; vedere anche Marco 3:15; Luca

9:1–2), ed essi andarono attorno «evangelizzando e facendo guarigioni per ogni dove» (Luca 9:6; vedere

anche Marco 6:13; Atti 5:16). Anche i Settanta furono mandati innanzi con il potere e l’istruzione di guarire

gli ammalati (vedere Luca 10:9; Atti 8:6–7).

Benché il Salvatore potesse guarire tutti coloro che voleva, ciò non è vero per coloro che detengono la Sua

autorità sacerdotale. L’esercizio terreno di detta autorità è limitato dalla volontà di Colui al Quale appartiene

il sacerdozio. Di conseguenza, ci è detto che alcuni che sono benedetti dagli anziani non guariscono perché è

«stabilito che muoia[no]» (DeA 42:48). Similmente, quando l’apostolo Paolo chiese di essere guarito dalla

«scheggia nella carne» che lo schiaffeggiava (2 Corinzi 12:7), il Signore si rifiutò di sanarlo. Paolo in seguito

scrisse che il Signore gli aveva spiegato:

«La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza» (versetto 9).

Paolo rispose obbedientemente: «Mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi

su me … perché, quando son debole, allora sono forte» (vv. 9–10).

Le benedizioni di guarigione giungono in molti modi, ognuno dei quali adatto ai bisogni individuali, come

conosciuti da Colui che ci ama di più. Talvolta una «guarigione» sana le malattie o allevia i fardelli. Altre

volte, invece, siamo «guariti» ricevendo la forza, la comprensione o la pazienza di portare i fardelli che ci

sono posti. Il popolo che seguiva Alma era prigioniero di oppressori malvagi. Quando pregò per ottenere

aiuto, il Signore gli disse che alla fine lo avrebbe liberato ma, nel frattempo, avrebbe alleviato i loro fardelli

«cosicché non possiate sentirli più sulla schiena, anche mentre siete in schiavitù; e farò ciò affinché possiate

stare come miei testimoni … che io, il Signore Iddio, conforto il mio popolo nelle sue afflizioni» (Mosia

24:14). In quel caso, alle persone non furono rimossi i fardelli, tuttavia l’Eterno le rafforzò cosicché

«potessero portare agevolmente i loro fardelli, ed essi si sottoposero allegramente e con pazienza a tutta la

volontà del Signore» (versetto 15).

Questa stessa promessa ed effetto si applica a voi madri vedove o divorziate, a voi single che vi sentite soli,

agli individui in difficoltà che si prendono cura degli altri, alla gente affetta da assuefazioni e a tutti noi,

qualunque sia il nostro fardello. «Venite a Cristo», dice il profeta, «e siate perfetti in Lui» (Moroni 10:32).

A volte possiamo disperare ritenendo che i fardelli siano troppo grandi. Quando sembra che nella vita stia

infuriando una tempesta, possiamo sentirci abbandonati e gridare, come i discepoli: «Maestro, non ti curi tu

che noi periamo?» (Marco 4:38). In quei momenti dovremmo ricordare la Sua risposta: «Perché siete così

paurosi? Come mai non avete voi fede?» (versetto 40).

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Il potere di guarigione del Signore Gesù Cristo, sia che ci rimuova i fardelli o ci rafforzi per sostenerli e

vivere con loro, come l’apostolo Paolo, è disponibile per ogni afflizione terrena.

Dopo aver tenuto a una conferenza generale un discorso sui mali della pornografia (vedere «La

pornografia», Liahona, maggio 2005, 87–90), ho ricevuto molte lettere da persone afflitte da questa

dipendenza. Alcune lettere erano state scritte da uomini che avevano vinto la pornografia. Uno di loro

scrisse:

«Ci sono diverse lezioni che ho appreso venendo fuori dalle tenebre di un peccato che domina tanto

intrinsecamente la vita delle persone che irretisce: (1) È un grave problema incredibilmente difficile

da superare … (2) La risorsa di sostegno e forza più importante nel processo di pentimento è il

Salvatore … (3) Un intenso studio quotidiano delle Scritture, un’adorazione regolare al tempio, come

pure una partecipazione seria e meditativa all‘ordinanza del sacramento sono tutti elementi

indispensabili nel vero processo di pentimento. Ciò, ritengo, perché tutte queste attività servono ad

approfondire e a rafforzare il rapporto di una persona con il Salvatore, la comprensione del Suo

sacrificio espiatorio e la fede nel Suo potere di guarigione» (lettera datata 24 ottobre 2005).

Il Salvatore disse: «Venite a me … e voi troverete riposo alle anime vostre» (Matteo 11:28–29). Quell’uomo

oppresso si rivolse al Salvatore, e così possiamo fare noi. Una donna, il cui matrimonio era minacciato dalla

dipendenza del marito dalla pornografia, scrisse come ella gli stette accanto per cinque lunghi anni, sino a

quando, come scrisse, «grazie al dono della gloriosa espiazione del nostro prezioso Salvatore e a ciò che Egli

mi ha insegnato sul perdono, [mio marito] alla fine è libero, ed io pure». Non necessitando la purificazione

dal peccato, ma cercando soltanto la liberazione di una persona cara dalla prigionia, ella diede questo

consiglio:

«Comunicate con il Signore … Egli è il vostro migliore amico! Egli conosce il vostro dolore perché lo

ha già provato per voi. Egli è pronto a portare quel fardello: confidate in Lui abbastanza da deporlo

ai Suoi piedi e da consentirGli di portarlo per voi. L’angoscia sarà allora rimpiazzata nel profondo

della vostra anima dalla Sua pace» (lettera datata 18 aprile 2005).

Un uomo scrisse a un’Autorità generale come il potere dell’Espiazione lo aveva aiutato con il suo problema

di attrazione verso lo stesso sesso. Egli era stato scomunicato per aver commesso gravi trasgressioni che

avevano violato le alleanze del tempio e le responsabilità verso i figli. Dovette scegliere se cercare di vivere

secondo il Vangelo oppure se continuare su una strada contraria ai Suoi insegnamenti.

«Sapevo che sarebbe stato difficile», scrisse, «ma non mi ero reso conto di ciò che avrei dovuto passare». La

lettera descrive il vuoto, la solitudine e il dolore incredibile che provò nella propria anima nel tentativo di

ritornare sulla retta via. Pregò con fervore per ottenere il perdono, talvolta per ore. Fu sostenuto dalla lettura

delle Scritture, dall’amicizia di un vescovo affettuoso e dalle benedizioni del sacerdozio. Ciò che però alla

fine fu determinante fu l’aiuto del Salvatore. Egli spiegò:

«[Fu] solo grazie a Lui e alla Sua espiazione … Ora provo una gratitudine immensa. A volte il dolore

era quasi superiore a quanto potessi sopportare, tuttavia era tanto piccolo paragonato a quello che

Egli soffrì. Dove una volta nella mia vita c’erano le tenebre, ora c’è amore e gratitudine».

Egli continuò:

«Alcuni professano che è possibile cambiare e che la terapia è l’unica risposta. Essi hanno grandi

conoscenze in materia e hanno moltissimo da offrire a coloro che sono in difficoltà … tuttavia temo

che nel processo si dimentichino di coinvolgere il Padre celeste. Se un cambiamento deve avvenire,

avverrà secondo la volontà di Dio. Temo, inoltre, che molte persone concentrino la loro attenzione

sulle cause [dell’attrazione allo stesso sesso]…

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Non occorre stabilire perché ho [questo problema]. Non so se sono nato con esso o se i fattori

ambientali vi hanno contribuito. Il fatto è che nella vita ho questa difficoltà e ciò che conta è quello

che farò da ora in poi al riguardo» (lettera datata 25 marzo 2006).

Le persone che scrissero queste lettere sanno che l’espiazione di Gesù Cristo e la «guarigione» che offre

fanno molto di più che fornire la possibilità di pentirci dei peccati. L’Espiazione ci fornisce anche la forza di

sopportare «pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie», perché anche il Salvatore prese su di Sé «le pene e

le malattie del suo popolo» (Alma 7:11). Fratelli e sorelle, se la vostra fede e le preghiere e il potere del

sacerdozio non vi guariscono da un problema, il potere dell’Espiazione sicuramente vi darà la forza di

portare il fardello.

«Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati», disse il Salvatore, «e io … darò riposo [alle

anime vostre]» (Matteo 11:28–29).

Nel lottare con le difficoltà terrene, prego per ognuno di noi, come il profeta Mormon pregò per il figlio

Moroni: «Possa Cristo elevarti, e possano le sue sofferenze e la sua morte … e la sua misericordia e

longanimità, e la speranza della sua gloria e della vita eterna rimanere per sempre nella tua mente» (Moroni

9:25).

Rendo testimonianza di Gesù Cristo, il nostro Salvatore, che invita tutti noi a venire a Lui e ad essere perfetti

in Lui. Egli fascerà le nostre ferite e guarirà gli oppressi. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

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La nostra più grande speranza

PRESIDENTE JAMES E. FAUST

Secondo Consigliere della Prima Presidenza

iei cari fratelli, sorelle e amici, questa mattina vengo con umiltà a questo pulpito perché desidero

parlare del più grande evento di tutta la storia. Questo evento singolare fu l'incomparabile

espiazione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Questo fu l'atto più straordinario che sia

mai avvenuto, ma anche il più difficile da comprendere. Il motivo per cui desidero apprendere tutto quello

che posso sull'Espiazione è in parte egoistico: la nostra salvezza dipende dal credere e accettare

l'Espiazione.1Una tale accettazione richiede uno sforzo continuo per comprenderla più pienamente.

L'Espiazione promuove il nostro ciclo di apprendimento terreno rendendo possibile alla nostra natura

umana il raggiungimento della perfezione.2Tutti noi abbiamo peccato e dobbiamo pentirci per pagare la

nostra parte di debito. Quando ci pentiamo con sincerità, l'espiazione magnifica del Salvatore salda il resto

del debito.3

Paolo ci spiegò con semplicità il motivo per cui abbiamo bisogno dell'Espiazione. «Poiché, come tutti

muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati».4Gesù Cristo fu scelto e preordinato per essere

il nostro redentore prima che il mondo fosse formato. Quale Figlio divino, con la Sua vita priva di peccati, il

versamento del Suo sangue nel Giardino del Getsemani, la Sua atroce morte sulla croce e successiva

risurrezione fisica dalla tomba, divenne l'autore della nostra salvezza e portò a termine un'espiazione

perfetta per tutto il genere umano.5

Comprendere al meglio delle nostre capacità l'espiazione e la risurrezione di Cristo ci aiuta a conoscere Lui e

la Sua missione.6 Qualsiasi maggiore comprensione del Suo sacrificio espiatorio ci permette di avvicinarci a

Lui. Letteralmente, Espiazione significa essere «un tutt'uno» con Lui. La natura dell'Espiazione e i suoi effetti

sono così infiniti, così insondabili e profondi che superano la conoscenza e la comprensione dell'uomo

mortale. Sono profondamente grato per il principio della grazia salvatrice. Molte persone pensano che basti

solo confessare che Gesù è il Cristo per essere salvati solo per grazia. Non possiamo essere salvati per grazia

soltanto, «poiché sappiamo che è per grazia che siamo salvati, dopo aver fatto tutto ciò che possiamo fare».7

Qualche anno fa, presidente Gordon B. Hinckley raccontò «una specie di parabola» riguardo «una piccola

scuola formata da un'unica aula» tra le montagne della Virginia, i cui studenti erano così difficili che nessun

insegnante era in grado di controllarli.

Poi un giorno un giovane insegnante senza esperienza fece domanda per andarvi. Gli fu detto che tutti i

precedenti insegnanti erano stati picchiati, ma il giovane maestro accettò di correre il rischio. Il primo giorno

di scuola l'insegnante chiese alla classe di stabilire delle regole e la punizione per chi le avesse infrante. La

classe stessa decise dieci regole che furono scritte alla lavagna. Poi l'insegnante chiese:

«Che cosa faremo a chi infrange le regole?»

«Lo batteremo dieci volte sulla schiena senza la giacca», fu la risposta.

M

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Qualche giorno dopo, venne rubato il pranzo di uno degli alunni più grandi, di nome Tom. Fu trovato il

colpevole: un ragazzino affamato di dieci anni. Mentre il piccolo Jim si faceva avanti per ricevere la

punizione, continuava a implorare di poter tenere la giacca. «Togliti la giacca», disse l'insegnante. «Anche tu

hai contribuito a fissare le regole!»

Il ragazzo si tolse la giacca. Non indossava la camicia e aveva un corpicino esile e gracile. Mentre

l'insegnante esitava a colpirlo, il grande Tom saltò in piedi e si offrì volontario per ricevere i colpi che

spettavano al piccolo Jim.

«Molto bene, c'è una certa legge per cui una persona può sostituirne un'altra. Siete tutti d'accordo?»

chiese l'insegnante.

Dopo cinque colpi il bastone si spezzò. La classe singhiozzava. «Il piccolo Jim aveva buttato le braccia al

collo di Tom. «Tom, mi dispiace di aver rubato il tuo pranzo, ma avevo una fame terribile. Tom, ti vorrò

bene finché muoio per aver preso le bastonate al posto mio! Sì, ti vorrò bene per sempre!»8

Il presidente Hinckley poi citò Isaia:

«E nondimeno, eran le nostre malattie ch'egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s'era caricato

. . . Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità;

il castigo, per cui abbiam pace, è stato su lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione».9

Nessun uomo conosce tutto il carico che il nostro Salvatore portò, ma grazie al potere dello Spirito Santo

possiamo conoscere qualcosa riguardo al supremo dono che ci offrì.10Usando le parole dell'inno

sacramentale:

Noi non potremo mai capir

qual pena Ei sopportò;

Sappiamo, fu per noi

che Gesù soffrì e spirò.11

Egli soffrì molto dolore, «indescrivibile tormento» e

«insopportabili torture»12per amor nostro. La sua

intensa sofferenza nel giardino del Getsemani, dove

da solo prese su di sé tutti i peccati degli altri esseri

mortali, «fecero sì che . . . tremasse per il dolore e

sanguinasse da ogni poro, e soffrisse sia nel corpo

che nello spirito».13«Ed essendo in agonia, egli

pregava vie più intensamente»,14dicendo:

«Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre

da me, senza ch'io beva, sia fatta la tua volontà».15Egli fu

tradito da Giuda Iscariota e rinnegato da Pietro. Egli fu

schernito dai capi sacerdoti e dagli scribi; Egli fu

fustigato, colpito, ricevette degli sputi e venne deriso nella

sala del giudizio.16

Egli fu condotto sul Golgota, dove gli vennero conficcati

dei chiodi nelle mani e nei piedi; rimase appeso in agonia

per ore su una croce di legno che riportava il titolo fatto

scrivere da Pilato:

«Gesù il Nazareno, il Re de' Giudei».17

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Divenne buio e «verso l'ora nona, Gesù gridò con gran voce: Eli, Eli, lamà sabactani? Cioè: Dio mio, Dio mio,

perché mi hai abbandonato?»18Nessuno poteva venirGli in soccorso; Egli stava calpestando il tino da

solo.19Poi «Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rendé lo spirito».20«Uno de' soldati gli forò il

costato con una lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua».21«

La terrà tremò» e «il centurione e quelli che con lui facean la guardia a Gesù, visto il terremoto e le cose

avvenute, temettero grandemente, dicendo: Veramente, costui era Figliuol di Dio».22 Usando le parole

dell'inno: «Non lasciar che ci scordiamo che fu grande il Tuo dolor»,23mi chiedo quante gocce di sangue

furono versate per me.

Quello che compì poteva essere fatto solo da una Divinità. Quale Unigenito Figlio del Padre nella carne,

Gesù ereditò attributi divini. Egli fu l'unica persona mai nata sulla terra che potesse portare a termine questo

atto tanto importante e supremo. Quale unico uomo senza peccato che sia mai vissuto sulla terra, Egli non fu

soggetto a morte spirituale. Grazie alla Sua divinità, Egli aveva anche potere sulla morte fisica. Pertanto Egli

fece per noi quello che noi non potevamo fare per noi stessi. Egli ruppe le catene della morte. Egli fece anche

in modo che noi potessimo avere il sereno conforto del dono dello Spirito Santo.24

L'Espiazione e la Risurrezione hanno dei grandi effetti. L'Espiazione ci purifica dai peccati a condizione del

nostro pentimento. Il pentimento è la condizione che è reclamata dalla misericordia.25Dopo tutto quello che

possiamo fare per pagare in minima parte il nostro debito e riparare ai nostri errori, la grazia del Salvatore è

attivata nella nostra vita attraverso l'Espiazione che ci purifica e ci rende perfetti.26La resurrezione di Cristo

vinse la morte e ci assicurò la vita dopo la morte. Egli disse: «Io son la risurrezione e la vita; chi crede in me,

anche se muoia, vivrà».27La risurrezione è incondizionata e si applica a tutti coloro che mai hanno vissuto o

che mai vivranno.28È un dono gratuito. Presidente John Taylor lo descrisse bene quando disse: «Le tombe

saranno aperte e i morti ascolteranno la voce del Figlio di Dio e verranno fuori, quelli che hanno operato

bene in risurrezione di vita e quelli che hanno operato male in risurrezione di giudizio».29

Riferendosi alle nostre azioni terrene e all'Espiazione, presidente J. Reuben Clark Jr. fece questa profonda

osservazione quando disse:

«Sento che [il Salvatore] darà la minima punizione richiesta dalla nostra trasgressione. Credo che

Egli giudicherà tenendo conto di tutto l'infinito amore, benefici, misericordia, gentilezza e

comprensione che ha … D'altro canto, credo che quando arriverà il momento di assegnarci la

ricompensa per le nostre buone azioni, Egli ci darà quanto più sarà possibile, tenendo presente le

offese che avremo fatte».30

Come scrisse Isaia, se ritorneremo al Signore, Egli sarà largo nel perdonare.31 Ci è comandato di ricordarci i

singoli eventi della mediazione, Crocifissione ed Espiazione prendendo il sacramento tutte le settimane.

Secondo lo spirito delle preghiere sacramentali, prendiamo il pane e l'acqua in ricordo del corpo e del

sangue sacrificati per noi, ci ricordiamo di Lui e promettiamo di osservare i Suoi comandamenti in modo da

avere sempre con noi il Suo spirito.

Il nostro Redentore prese su di sé tutti i peccati, i dolori, le infermità e le malattie di tutti coloro che hanno

mai vissuto o che mai vivranno.32Nessuno ha mai sofferto qualcosa di simile a quello che Egli soffrì. Egli

conosce le nostre prove terrene in prima persona. È un po' come se provassimo a scalare il monte Everest

riuscendo a salire solamente di pochi metri. Ma Egli ha scalato tutti gli oltre ottomila metri fino alla cima

della montagna. Egli ha sofferto più di quanto potrebbe qualsiasi altro essere umano. L'Espiazione non

beneficia solo il peccatore, ma anche coloro contro i quali è stato commesso il peccato, ossia le vittime.

Attraverso il perdono di chi pecca contro di noi, l'Espiazione porta una certa misura di pace e conforto a

coloro che sono resi vittime innocenti dei peccati altrui. La fonte principale per la guarigione dell'anima è

l'espiazione di Gesù Cristo. Questo è vero sia in caso di tragedie personali o di una tremenda disgrazia

nazionale come avvenuto recentemente a New York, Washington e Pittsburgh.

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Una sorella, coinvolta in un doloroso divorzio, scrisse come riuscì ad attingere dall'Espiazione. Disse: «Il

divorzio . . . non mi liberò dall'obbligo di perdonare. Intendevo veramente farlo, ma fu come se mi fosse

stato comandato di fare qualcosa di cui ero incapace».

Il suo vescovo le diede questo consiglio: «Lasci nel suo cuore un posto per il perdono, quando lo troverà, lo

accolga». Trascorsero molti mesi, nel frattempo la battaglia per perdonare continuò. Ella raccontò: «Durante

quei lunghi momenti di preghiera . . . attinsi dalla sorgente di vita e conforto del mio Padre celeste. Sentii che

Egli non stava accanto a me condannandomi per non essere riuscita a perdonare, ma, piuttosto, stava

soffrendo con me mentre piangevo . . .

In ultima analisi, quello che accadde nel mio cuore è per me un'incredibile e miracolosa dimostrazione

dell'espiazione di Cristo. Avevo sempre considerato l'Espiazione come il modo in cui pentirsi dei peccati.

Non mi ero resa conto che rende, inoltre, possibile alla vittima del peccato ricevere nel cuore la dolce pace

del perdono».33

Le vittime devono fare quello che possono per superare le loro prove e il Salvatore soccorrerà il Suo popolo

nelle loro infermità.34 Ci aiuterà a portare i nostri fardelli. Alcune ferite sono così dolorose e profonde che

non possono guarire senza un potere superiore, senza sperare in una giustizia perfetta e in una restituzione

nella vita a venire. Dal momento che il Salvatore ha sofferto qualsiasi cosa e ogni cosa che mai sentiremo o

proveremo,35può aiutare i deboli a rafforzarsi. Egli in prima persona ha provato tutto ciò. Comprende la

nostra sofferenza e camminerà accanto a noi anche nei momenti più tetri.

Non vediamo l'ora di ricevere il beneficio finale dell'Espiazione: diventare uno con Lui, essere in Sua divina

presenza, chiamati individualmente per nome quando ci accoglierà calorosamente a casa, con un radiante

sorriso, invitandoci a braccia aperte per essere circondati dal suo amore infinito.36Quanto sarà gloriosa e

sublime questa esperienza, se potremo sentirci abbastanza degni di essere alla Sua presenza. Il dono del Suo

grande sacrificio espiatorio per ognuno di noi è l'unico modo in cui possiamo ricevere l'esaltazione in modo

da starGli davanti e vederLo faccia a faccia. Il grandioso messaggio dell'Espiazione è l'amore perfetto che il

Salvatore prova per ognuno di noi. È un amore pieno di misericordia, pazienza, grazia, giustizia,

longanimità e, soprattutto, perdono.

L'influenza maligna di Satana cerca di distruggere tutte le speranze che abbiamo di superare i nostri errori.

Egli vorrebbe che ci sentissimo persi e senza speranza. Gesù, invece, si china per rialzarci. Grazie al nostro

pentimento e al dono dell'Espiazione, possiamo prepararci a essere degni di stare alla Sua presenza. Di

questo io rendo testimonianza nel nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Vedere Mosia 4:6-7.

2. Vedere Moroni 10:32.

3. Vedere 2 Nefi 25:23.

4. 1 Corinzi 15:22.

5. Vedere Guida alle Scritture alla voce «Espiazione», 64.

6. Vedere Giacobbe 4:12.

7. 2 Nefi 25:23, corsivo dell'autore.

8. «La vera e meravigliosa storia di Natale»,Liahona, dicembre 2000, 5-6.

9. Isaia 53:4-5.

10. Vedere 1 Corinzi 12:3.

11. «Un verde colle c'è lontano»,Inni,115.

12. John Taylor, The Mediation and Atonement (1882), 150.

13. DeA 19:18.

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14. Luca 22:44.

15. Matteo 26:42.

16. Vedere Matteo 26:47-75, 27:28-31.

17. Giovanni 19:19.

18. Matteo 27:46.

19. Vedere DeA 133:50.

20. Matteo 27:50.

21. Giovanni 19:34.

22. Matteo 27:51, 54.

23. «Umilmente, Salvatore»,Inni, 102.

24. Vedere Giovanni 15:26.

25. Vedere Alma 42:22-25.

26. Vedere 2 Nefi 25:23; Alma 34:15-16, 42:22-24; Moroni 10:32- 33.

27. Giovanni 11:25.

28. Vedere Atti 24:15.

29. The Gospel Kingdom, 118. Vedere anche Giovanni 5:28-29.

30. «As Ye Sow. . . », Brigham Young University Speeches of the Year, (3 maggio 1955), 7.

31. Isaia 55:7.

32. Vedere Alma 7:11-12.

33. «My Journey to Forgiving», (nome non rivelato), Ensign, febbraio 1997, 42-43.

34. Alma 7:12.

35. Vedere Alma 7:11.

36. Vedere Alma 26:15; Mormon 5:11; 6:17; Mosè 7:63.

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«È compiuto» ANZIANO JOHN H. GROBERG

Membro Emerito del Primo Quorum dei Settanta

John H. Groberg, «It Is Finished», in My Redeemer Lives!, a cura di Richard Neitzel Holzapfel e Kent P. Jackson (Provo,

UT: Religious Studies Center, Brigham Young University; Salt Lake City: Deseret Book, Salt Lake City, 2010), 1–26.

asqua è un periodo meraviglioso per portare

testimonianza del nostro Signore e Salvatore, Gesù

Cristo, per esprimerGli la nostra gratitudine,

mostrarGli il nostro amore e accrescere la nostra

fede in Lui.

Io so che Egli vive. So che ci ama. È il Figlio di Dio. So che è il

nostro Amico. So che tramite Lui – le Sue creazioni, la Sua

Espiazione, la Sua Risurrezione e il Suo giudizio finale – è

possibile per tutti noi ritornare dal nostro Padre nei cieli e

ricevere i doni incomparabili dell’immortalità certa, la

possibilità della vita eterna e la gioia infinita che ne deriva.

Come possiamo esprimere in modo adeguato il nostro amore

e la nostra gratitudine per tutto ciò che Egli ha fatto e

continua a fare per noi? Gesù stesso ci offre la risposta: «Se

voi mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Giovanni

14:15). In altre parole, dimostriamo il nostro amore e la nostra

gratitudine osservando i Suoi comandamenti, ovvero vivendo

secondo le leggi di verità che portano vita e gioia eterna.

Gesù è perfetto. Ama Suo Padre completamente, osserva i Suoi comandamenti interamente e, dunque, prova

una pienezza di gioia. Noi siamo imperfetti. Amiamo Gesù, ma non osserviamo interamente i Suoi

comandamenti. Lui lo sa e vuole aiutarci. Sa che, all’aumentare della nostra obbedienza, anche il nostro

amore crescerà, e così la nostra obbedienza crescerà ulteriormente; questo circolo continua fino alla

perfezione finale, che è la nostra meta.

Egli lo ha detto chiaramente: «Perciò vorrei che foste perfetti, come me, o come il Padre vostro che è in cielo è

perfetto» (3 Nefi 12:48). Questo obiettivo spaventa alcuni di noi, poiché riteniamo di non poterci mai riuscire.

Non possiamo, da soli, ma con il Suo aiuto ce la faremo. Noi siamo deboli, Lui è forte. Quanti tentativi

saranno necessari? Di quanto aiuto abbiamo bisogno? Molti tentativi e molto aiuto; tuttavia, a prescindere da

ciò che sarà necessario, Gesù sarà vicino a noi, pronto ad aiutarci.

Moroni spiegò: «Venite a Cristo, e siate perfetti in Lui … e se … amate Dio con tutta la vostra forza, mente e

facoltà, allora la sua grazia vi sarà sufficiente, cosicché mediante la sua grazia possiate essere perfetti in

Cristo» (Moroni 10:32). Quale gloriosa promessa! Pensateci: alla fine, il nostro amore sarà perfetto. La nostra

obbedienza sarà perfetta. La nostra gioia può essere perfetta! Abbiamo ancora tanta strada da percorrere e

Lui lo sa meglio di noi, e non è scoraggiato davanti al nostro progresso, come invece potremmo esserlo noi.

Confidate in Lui, poiché è perfetto. Egli può purificarci anche se siamo rossi come lo scarlatto (vedere Isaia

1:18). Può offrirci fiducia, fede e speranza, eliminando dubbi, paure e insicurezze dal nostro cuore.

P

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Egli è il nostro onnipresente Amico. È consapevole dei passeri e delle persone che cadono. Controlla

l’universo e tutto ciò che contiene. I modi in cui Egli può aiutarci sono tanto innumerevoli quanto i granelli

di sabbia o le stelle del cielo. Pensateci: quando chiediamo il Suo aiuto con cuore umile e con la volontà di

obbedire, un intero universo di aiuto si apre per noi!

Rispondiamo prontamente al Suo dolce invito: «In verità vi dico, amici miei … invoc[atemi] … Avvicinatevi

a me ed io mi avvicinerò a voi; cercatemi diligentemente e mi troverete; chiedete e riceverete; bussate e vi

sarà aperto» (DeA 88:62–63). Nel cercare, chiedere e bussare, che cosa riceveremo? Che cosa ci sarà aperto?

Tutto ciò che è buono, tutto ciò che dura in eterno e tutto ciò che porta gioia. Da Lui riceveremo la forza di

vivere le leggi eterne di verità. Avvicinandoci a Lui, sapremo con maggiore certezza che Egli è il nostro

Salvatore, Aiutante e Amico fedele.

Anche io, come voi, ho scoperto che avvicinarsi al Salvatore e capire meglio ciò che Egli ha fatto e continua a

fare per noi è come scalare una montagna: più in alto saliamo, più cose vediamo. Più vediamo, più cose ci

sono da vedere. Quando raggiungiamo una vetta, vediamo altre cime sorgere sopra di noi, più alte e

maestose, e ci rendiamo conto che non v’è fine alla Sua bontà. Scopriamo che il Suo amore è più profondo, la

Sua misericordia più ampia, il Suo desiderio di aiutare più forte e il Suo potere più onnicomprensivo di

quanto possiamo capire. Egli vive. Ci ama. Vuole aiutarci. È nostro Amico. Io lo so.

O, quanto dovremmo desiderare di «ricordar[c]i sempre di lui e … obbedire ai suoi comandamenti … per

poter avere sempre con [noi] il suo Spirito» (DeA 20:77), come supplichiamo regolarmente nella preghiera

sacramentale.

Ogni cosa che Gesù fa e dice è intesa a farci progredire verso la perfezione finale in Lui, tentativo dopo

tentativo. Una parte importante del ricordarsi sempre di Lui è ricordarsi le Sue parole. Infatti, Egli ci chiede

di «vivere di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (DeA 84:44; corsivo dell’autore). Tutte le Sue parole

sono importanti; tutte hanno un profondo significato; tutte ci aiuteranno.

Verso il Golgota

Venite con me sul Golgota. Mentre Gesù era appeso alla

croce, con grande dolore fisico, emotivo e spirituale, Egli

continuò a pensare agli altri e a come poteva aiutarli. Con

amore e compassione, Egli guardò Sua madre e disse:

«Donna, ecco il tuo figlio!» e a Giovanni, «Ecco tua madre»

(Giovanni 19:26, 27).

Dopo queste parole, credo che Egli ripensò a tutto ciò che

aveva promesso di fare, cercando di assicurarsi che ogni

profezia relativa alla Sua missione terrena fosse stata

adempiuta. Mi chiedo se non si sia ricordato una profezia dei

Salmi: «Nella mia sete, m'han dato a ber dell'aceto» (Salmi

69:21). Poiché «Gesù, sapendo che ogni cosa era già compiuta,

affinché la Scrittura fosse adempiuta, disse: Ho sete … i

soldati dunque, posta in cima a un ramo d'issopo una

spugna piena d'aceto, gliel'accostarono alla bocca» (Giovanni 19:28–29; corsivo dell’autore). Un’altra profezia

adempiuta!

A questo punto, mi piace pensare che in qualche modo – forse con un accenno, un sorriso, un’impressione –

Egli abbia ricevuto conferma dall’alto che ogni cosa era a posto, poiché «quando Gesù ebbe preso l'aceto,

disse: È compiuto! E chinato il capo, rese lo spirito» (Giovanni 19:30; corsivo dell’autore).

Fino al Suo ultimo respiro terreno, Egli continuò ad aiutare, insegnare e mostrarci la via per la gioia eterna. È

difficile per me non versare lacrime di gratitudine, mentre ripenso a questo momento in cui la Sua perfetta

vita terrena giunse alla Sua perfetta conclusione.

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Che cosa dovremmo imparare da queste parole finali, «È compiuto»? Che cosa fu compiuto? La Sua

Espiazione? La Sua vita? La Sua opera? Egli ci fornisce la risposta nella sezione 19 di Dottrina e Alleanze:

«Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti … E queste sofferenze fecero sì che io stesso,

Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo

che nello spirito — e desiderassi di non bere la coppa amara e mi ritraessi — Nondimeno, sia gloria

al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i figlioli degli uomini» (DeA 19:16, 18–19;

corsivo dell’autore).

Dunque, che cosa fu compiuto? I Suoi «preparativi per i figlioli degli uomini». Egli non disse che tutto era

compiuto, ma che lo erano i Suoi preparativi, ovvero quel preciso capitolo della Sua vita. Al termine

dell’intenso dramma del capitolo più importante di tutta la storia umana, alla pronuncia di quelle parole

umili e al contempo gioiose «È compiuto», il capitolo successivo stava già per iniziare.

Il viaggio continua

Quando il Suo spirito lasciò il Suo corpo, Cristo si recò nel mondo

degli spiriti e continuò ad istruire e aiutare gli altri: «Egli organizzò

le sue forze e nominò dei messaggeri, rivestiti di potere e di autorità,

e li incaricò di andare a portare la luce del Vangelo a coloro che

erano nelle tenebre, sì, a tutti gli spiriti degli uomini; e così il Vangelo

fu predicato ai morti» (DeA 138:30).

Non soltanto Egli stava passando da un capitolo all’altro della

propria vita, ma ci stava anche insegnando – mediante la parola e

l’esempio – che anche noi dobbiamo considerare i nostri incarichi

come capitoli e capire che, al termine di un capitolo, ne comincia un

altro. Nuovi capitoli ci attendono ovunque, anche dopo la morte,

come vide il presidente Joseph F. Smith in visione: «Vidi che i fedeli anziani [e le sorelle] di questa

dispensazione, quando lasciano la vita mortale, continuano le loro fatiche nella predicazione del Vangelo di

pentimento e di redenzione … nel grande mondo degli spiriti dei morti» (DeA 138:57).

Tutto ciò che Gesù ha fatto e continua a fare è aiutarci a capire e osservare la verità eterna, affinché possiamo

godere della gioia eterna. Ogni incarico che riceviamo è un’opportunità di prepararci a servire con più

efficacia. Il sacrificio espiatorio e la resurrezione di Gesù non furono il primo capitolo del Suo aiuto nei nostri

confronti, né l’ultimo. La nostra nascita non fu il nostro inizio, né la morte sarà la nostra fine. Tutte le

esperienze della vita sono capitoli intesi a prepararci ad aiutare

meglio il prossimo.

Questo principio fu inciso nella mia mente e nel mio cuore tanti

anni fa, quando ero un giovane missionario a Tonga e viaggiavo

spesso in barca da un’isola all’altra.

In un’occasione, di mattina, dopo aver predicato per molti giorni

su diversi isolotti, eravamo diretti finalmente verso casa. Non

avevamo motore, radio, né bussola; avevamo soltanto una piccola

vela, un capitano esperto e molta fede. Avevamo sperato di poter

essere a casa per sera, ma il vento si fece contrario, il mare agitato e

capimmo che saremmo rimasti in mare per il resto della giornata, la notte successiva e probabilmente parte

del giorno seguente.

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Al calar della notte buia e fredda, fummo colpiti e scossi da onde violente. Io stavo male e non riuscii a

dormire. Verso la fine della nottata, andai a trovare il capitano. Stava tenendo la corda della vela principale

con una mano e il timone con l’altra. Un sentimento di affetto mi sopraffece, nel percepire la sua

concentrazione volta a riportarci a casa sani e salvi in mezzo all’oceano in tempesta.

Parlando con lui, mi raccontò della profonda riverenza che nutriva verso Dio, il Quale egli considerava

Creatore dell’universo, compreso il mare tempestoso su cui stavamo navigando. La nostra chiacchierata

veniva interrotta, a volte, da grandi onde che scuotevano la barca o da forti raffiche di vento che colpivano la

vela e ci inclinavano pericolosamente verso la superficie dell’acqua. Chiesi se potessi essere di un qualche

aiuto, ma egli rispose di avere tutto sotto controllo.

Parlammo fino all’alba, quando entrammo finalmente nelle acque calme di Pangai Harbor. Rimasi attonito

dinanzi alla sua mente brillante e alla sua grandissima abilità. Era umile, eppure sicuro di sé. Sebbene non

avesse né bussola, né radio, la sua mente, il suo corpo, la sua esperienza e la sua fede in Dio resero possibile

il nostro ritorno in sicurezza.

Mentre ci avvicinavamo al pontile, ringraziai il capitano e gli espressi il mio affetto e la mia ammirazione.

Egli sorrise timidamente, ma era evidente la sua gratitudine per essere giunti sani e salvi a destinazione. Mi

misi in spalla il mio bagaglio, salii sul pontile e mi voltai per guardare il capitano, indaffarato a caricare casse

di acqua di sentina, pulire la barca e prepararsi per il viaggio successivo.

All’improvviso, capii una cosa: per il capitano, quel particolare viaggio era terminato, ma il suo viaggio in

senso lato continuava. Era stato attento, ci aveva riportato a casa e aveva ampliato la propria esperienza per i

viaggi successivi. Alcuni di quei viaggi sarebbero stati tranquilli, altri difficili, la maggior parte normali e

tutti fattibili. Lo stesso vale per il nostro viaggio della vita. Dobbiamo adempiere i nostri incarichi, prestare

attenzione, confidare nel Signore, portare gli altri a casa in sicurezza, imparare dalle nostre esperienze e

prepararci al nostro incarico o capitolo successivo, a prescindere dalle tempeste o dalle bonacce che

incontriamo. L’opera di redenzione procede in un cerchio eterno - viaggio dopo viaggio, incarico dopo

incarico, capitolo dopo capitolo – e Gesù è sempre vicino, pronto ad aiutare.

Nell’inno «Jesus, Lover of My Soul», queste parole di Charles Wesley esprimono una supplica a nome di noi

tutti:

Gesù, Tu che ami la mia anima,

Lasciami volare a Te,

Mentre le acque vicine scorrono,

Mentre la tempesta infuria.

Nascondimi, O mio Salvatore, nascondimi,

Finché la tempesta della vita è passata.

Guidami sicuro nel porto;

O, ricevi infine la mia anima.

Altri rifugi non ho;

La mia anima indifesa a te s’affida.

Non lasciarmi, o, non lasciarmi solo;

Sostienimi e confortami.

Tutta la mia fiducia è in te;

Ogni mio aiuto è in te.

Copri il mio capo indifeso

Con l’ombra delle tue ali.[1]

Quando sentiamo il Suo Spirito, proviamo la Sua gioia, il Suo potere e il Suo desiderio di aiutarci. Ogni cosa

buona viene tramite la diligenza e l’obbedienza alla verità, come spiegato in questo versetto:

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«Qualsiasi principio di intelligenza noi conseguiamo in questa vita sorgerà con noi nella

risurrezione. E se una persona guadagna maggiore conoscenza e intelligenza in questa vita,

mediante la sua diligenza e la sua obbedienza, che un'altra, essa ne avrà altrettanto vantaggio nel

mondo a venire» (DeA 130:18–19; corsivo dell’autore).

Questo processo, che comporta passare da un capitolo a un altro e

imparare da ciascuna esperienza, è evidente ovunque. Ad

esempio, pensate alla creazione di questo mondo. Il primo giorno,

il Signore lavorò duramente. Una volta terminate le Sue fatiche,

Egli disse che il tutto era «buono» o «compiuto» e passò al giorno

successivo. Continuò giorno dopo giorno, lavoro dopo lavoro,

finché poté dichiarare l’intera creazione «buona» o «compiuta».

Ogni giorno era una preparazione per il successivo. Chi può dire

quale giorno fu il più importante? Ogni giorno è collegato agli altri

e tutti sono interdipendenti. Lo stesso vale per la nostra vita: nascita, crescita, incarichi, sfide, famiglia, morte

– tutte queste cose sono importanti e collegate tra loro. Ogni capitolo è necessario.

Il progresso eterno in famiglia

Questo stesso processo è al cuore dell’unità più importante

nell’eternità: la famiglia. Quando nasce un bambino, il capitolo

della nascita è terminato, ma ci rendiamo presto conto che sono

soltanto i nostri preparativi per quel figlio a essere terminati. Un

capitolo si chiude e se ne apre un altro. Adesso siamo genitori e

abbiamo la responsabilità di aiutare quel figlio a crescere,

imparare, maturare e comprendere. Nel capitolo successivo,

istruiamo, educhiamo e nutriamo quel figlio. Probabilmente

inizieremo capitoli nuovi con gli altri figli, ma con maggior

esperienza alle spalle. E così il processo continua, capitolo dopo capitolo, giro dopo giro.

Occasionalmente, sento delle persone affermare che la loro famiglia è finita e mi chiedo cosa intendano

esattamente con questo. In senso spirituale, le famiglie non sono mai finite. In senso fisico, vi sono dei limiti.

Il numero o il genere dei figli non è un fattore fondamentale. I profeti e altre persone rette, nel corso dei

secoli, hanno avuto zero figli, pochi figli oppure molti figli. Non dobbiamo e non possiamo giudicare gli

altri. Mettere al mondo dei figli comporta così tanti fattori diversi, tutti di natura profondamente personale,

che soltanto Dio è in grado di comprenderli tutti. Egli darà le risposte giuste a coloro che cercano con umiltà

la Sua guida. Il fattore più importante è consultarsi l’uno con l’altro e con il Signore in preghiera, poi seguire

i suggerimenti dello Spirito.

Ai nostri giorni, potremmo pensare di avere sotto controllo molti di questi aspetti, ma dobbiamo sempre

ricordare che soltanto Dio ha il controllo completo. È Dio Colui al quale dobbiamo fare rapporto, in ultima

analisi, non a un dottore, un genitore, un professore, un assistente sociale o qualsiasi altro mortale. Se

poniamo limiti personali sul seguire il Salvatore e i suggerimenti del Suo Spirito, in qualsiasi modo, poniamo

limiti alle benedizioni che possiamo ricevere da Lui.

In questa vita, per diversi motivi, alcuni potrebbero non essere benedetti con una famiglia «normale», ma lo

saranno nell’eternità, se rimarranno fedeli. Dio vede oltre gli anni e le lacrime della vita terrena. Questa vita

non ha nulla a che fare con la nostra comodità, bensì con la nostra conversione da uomo o donna naturale a

uomo o donna di Dio, processo che avviene seguente costantemente i suggerimenti del Suo Spirito. Dio ci

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offre la possibilità di mutare una massa di potenziale debole in una forza grandiosa per il bene, offrendoci

incarichi o capitoli difficili da completare. Quando ci richiede questi impegni, Egli ci dona l’aiuto di cui

abbiamo bisogno, facendoci anche sapere quando siamo pronti per il capitolo successivo. Pace, progresso e

gioia derivano dal vivere secondo la volontà di Dio, non la nostra.

La nostra responsabilità verso i nostri figli o la nostra famiglia finirà mai? Un capitolo particolare potrebbe

essere terminato, ma il nostro viaggio non lo è mai.

Pensate al nostro esempio, il Salvatore. La Sua opera finisce

mai? Egli spiegò a Mosè: «Ti mostrerò le opere delle mie

mani, ma non tutte, poiché le mie opere sono senza fine, e

anche le mie parole, poiché non cessano mai ... E quando una

terra passerà, con i suoi cieli, così pure ne verrà un'altra; e

non v'è fine alle mie opere, né alle mie parole» (Mosè 1:4, 38;

corsivo dell’autore).

Quando un marito e una moglie si qualificano per il regno

celeste, che cosa è finito? La loro preparazione per un

nuovo capitolo! Il presidente Lorenzo Snow insegnò in

modo meraviglioso questo processo eterno:

«Quando due Santi degli Ultimi Giorni si uniscono in matrimonio, vengono fatte loro

promesse riguardanti i figli, promesse che si estendono di eternità in eternità. Viene

promesso loro che essi avranno il potere e il diritto di governare, controllare e

somministrare la salvezza, l’esaltazione e la gloria ai loro figli nei mondi senza fine …

Cos’altro può desiderare l’uomo? L’uomo e la donna nell’altra vita avranno corpi celesti,

liberi da infermità e menomazioni, glorificati e perfezionati oltre ogni descrizione, e si

alzeranno in mezzo ai loro posteri, per governarli e controllarli, per amministrare la vita,

l’esaltazione e la gloria, i mondi infiniti» ».[2]

Questo nuovo capitolo sarà glorioso, ma anche arduo. Quale conforto c’è nel sapere che Gesù sarà sempre

vicino a noi per aiutarci! Non cominceremo semplicemente a costruire o a organizzare da soli. Continueremo

a essere istruiti «linea su linea, precetto su precetto, qui un poco e là un poco» (2 Nefi 28:30; vedere anche

DeA 98:12; 128:21). Ogni capitolo ha un suo scopo e, come in capolavoro letterario, ogni capitolo deve essere

letto e sperimentato per poter vedere e capire tutta la storia.

Un altro capitolo

A volte, facciamo fatica a svolgere un incarico o ad affrontare un giorno alla

volta, per non parlare di un intero capitolo della vita. Potremmo persino

essere segretamente felici, quando un incarico particolare finisce, e speriamo

che non torni più. Dio comprende i nostri sentimenti, ma conosce anche il

nostro potenziale e continuerà a offrirci nuove opportunità che

aumenteranno la nostra capacità di aiutare gli altri, nella misura in cui le

riconosciamo e le accettiamo. Cresciamo nella fede e, quando ci troviamo in

difficoltà estreme, è come se Gesù ci dicesse: «Io ti aiuterò a completare quel

capitolo», come fece l’angelo sceso dal cielo che Lo rafforzò in un momento di

estremo bisogno, nel Giardino (vedere Luca 22:43).

Se gettiamo la spugna in un capitolo, non vedremo mai la fine della storia, né

saremo pienamente preparati per il capitolo successivo. Oppure, potremmo dover svolgere dei compiti di

recupero. Dobbiamo andare avanti, anche quando fa male. Non è ciò che diciamo o per cui preghiamo, bensì

ciò che facciamo e sacrifichiamo che «porta le benedizioni del cielo».[3]

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Il lavoro di tempio rappresenta una parte vitale di molti

capitoli. Quando comprendiamo la natura eterna del

lavoro di tempio, la renderemo una parte più importante

della nostra vita. Il Salvatore ci invita costantemente a

venire a Lui. Dove, esattamente? Dove si trova, a casa Sua,

nel sacro tempio. Io so che Lui si compiace, quando Gli

facciamo visita spesso in quel luogo. So anche che non c’è

fine all’aiuto che possiamo ricevere da Lui, là.

Passando da un capitolo all’altro, dobbiamo imparare a

stare lontani dagli idoli e dall’indolenza di questo mondo, volgendoci alla casa del Signore e al lavoro

essenziale che si svolge al suo interno. Il tempo trascorso nell’edificio grande e spazioso, pieno dell’orgoglio

del mondo, porta minuscoli risultati di importanza eterna. Il tempo trascorso in edifici pieni dello Spirito del

Signore, come i templi, può essere tanto grande e spazioso quanto l’eternità. In essi, impariamo ogni cosa e

visitiamo ogni luogo che abbia importanza eterna, poiché l’Insegnante là è il Creatore di ogni cosa buona ed

eterna. Egli ci ama e vuole aiutarci.

Chiamate e rilasci

Oltre ad insegnarci come passare fedelmente da un capitolo all’altro, le parole del Salvatore «È compiuto» ci

insegnano anche che le chiamate e i rilasci, nel Suo regno, provengono da coloro che detengono l’autorità.

Noi non ci chiamiamo né rilasciamo da soli, né stabiliamo i termini del servizio. Questo spetta a Dio. Gesù,

pur in enorme sofferenza, attese finché non Gli fu comunicato che «ogni cosa era … compiuta», prima di

esclamare «È compiuto» (Giovanni 19:28, 30). Al nostro livello, dobbiamo imparare a fare lo stesso.

Alcuni anni fa, un anziano signore mi aiutò a capire questo principio. Da giovane, aveva accettato un lavoro

da insegnante presso una piccola comunità rurale di Santi degli Ultimi Giorni. In quella zona, c’erano due

famiglie imparentate che non andavano d’accordo. Quando il presidente di palo chiamò vescovo un

componente di una delle due famiglie, l’altra famiglia non andò più in Chiesa. Un anno dopo, fu chiamato

vescovo un componente di quest’ultima famiglia, e la prima rimase a casa.

Poco tempo dopo, il presidente di palo chiamò come vescovo questo giovane insegnante, che non

apparteneva a nessuna delle due fazioni. Egli disse al presidente che avrebbe accettato volentieri la chiamata,

se fosse stato rilasciato anche lui dopo uno o due anni. Con sua grande sorpresa, il presidente rispose: «Se

non sei un bravo vescovo, ti rilascerò molto prima. Questa è una chiamata del Signore, non mia!» Così,

divenne vescovo, pregò, lavorò duramente e fu benedetto dal Signore. La distanza tra le due famiglie

diminuì gradualmente e, alla fine, tutti ritornarono in Chiesa. Quel giovane servì come vescovo per più di

quindici anni e poi fu chiamato come presidente di palo. Aveva una famiglia meravigliosa e mi disse di

credere che le sue benedizioni erano dovute al fatto di aver servito secondo la volontà del Signore, non alla

propria.

Dobbiamo tutti imparare questa lezione. Noi non scegliamo dove o per quanto tempo servire. Alcuni amano

la propria missione o chiamata a tal punto da voler servire più a lungo. Ad altri non piace la propria

chiamata e vorrebbero essere rilasciati prima. Soltanto quando il Signore, tramite i Suoi dirigenti, dice «È

compiuto», quel capitolo è terminato. Soltanto allora siamo pronti per il capitolo successivo.

Brigham Young lasciò la sua famiglia e servì missione dopo missione, e avrebbe continuato, sennonché il

Signore disse: «Mio servitore Brigham, non ti è più richiesto di lasciare la tua famiglia come nei tempi

passati, poiché la tua offerta mi è accettabile. Ho visto il tuo lavoro e la tua fatica nel viaggiare per il mio nome.

Perciò ti comando di mandare la mia parola nei paesi lontani e di prenderti cura speciale della tua famiglia

da questo momento, in seguito e per sempre» (DeA 126:1–3; corsivo dell’autore).

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Il Profeta Joseph Smith passò da un capitolo all’altro a una velocità

incredibile. Sebbene fosse inseguito e molestato, egli continuò a lavorare

duramente, attendere pazientemente ed essere fedele, fino a quando il

Signore lo chiamò a casa, come a dire: «La tua missione terrena è

compiuta. Ora sei pronto per il capitolo successivo, oltre la tomba, da cui

la tua voce sarà udita da milioni di persone».

Resto meravigliato dinanzi a molti dei fratelli e delle sorelle che, in

passato come oggi, hanno adempiuto fedelmente incarichi difficili e

prego che possiamo tutti fare lo stesso. È Dio a decidere quando dire «È compiuto», perché Egli – a

differenza da noi - comprende ogni cosa, compresa la nostra capacità e il nostro potenziale.

Il presidente Thomas S. Monson, il portavoce del Signore sulla terra oggi, ci chiede costantemente di seguire

l’esempio del Salvatore aiutando in ogni modo possibile coloro che si trovano nel bisogno. Ogni giorno è

come un mini-capitolo incompleto, se non aiutiamo qualcuno in qualche modo.

Compiendo azioni che richiedono la fede nel Signore, la nostra fede in Lui aumenta. Potremmo non voler fare

alcune cose, tuttavia, se ci proviamo sinceramente, Egli ci renderà possibile adempiere ogni incarico – che sia

costruire una nave, ottenere delle tavole di bronzo, avere un figlio, onorare una chiamata, prenderci cura di

una persona con difficoltà emotive o fisiche, risolvere divergenze, vincere l’ira o qualsiasi altro capitolo

difficile da affrontare. Ricordate che ogni atto d’amore offerto, ogni sacrificio compiuto e ogni incarico

adempiuto non è che un piccolo riflesso dell’amore, del sacrificio e dell’aiuto infinito del Salvatore.

Ogniqualvolta metto in dubbio la durata o la difficoltà di un qualsiasi incarico, cerco di ricordare l’agonia del

Salvatore appeso sulla croce, che continuò comunque ad aiutare il prossimo fino a quando ricevette dall’alto

la rassicurazione del completamento della Sua missione terrena. Soltanto allora Egli disse: «È compiuto». Nel

più grande atto d’amore e di sacrificio mai compiuto, Gesù vinse tutte le forze del male e portò a

compimento un’Espiazione e una Risurrezione per il beneficio e la gioia eterna di tutta l’umanità. Quale

esempio! Prego che ognuno di noi, come il Salvatore, accetterà ogni incarico o capitolo che ci sarà offerto e

continuerà in fedeltà, fino a quando qualcuno in autorità dirà: «È compiuto».

Passando di capitolo in capitolo, saremo meglio preparati e in grado di compiere ciò che il presidente

Monson ci chiede di fare in modo tanto costante e sincero: aiutare in ogni modo possibile chi si trova nel

bisogno. Quando viviamo secondo le parole del Salvatore, dimostriamo il nostro amore e la nostra

gratitudine per Lui e restiamo fermi sul sentiero che conduce a diventare simili a Lui e, alla fine, perfetti in

Lui!

Porto testimonianza che Gesù vive, ci ama, ci aiuta, si trova a casa nel Suo tempio ed è nostro Amico. Porto

testimonianza che Joseph Smith è il Profeta della Restaurazione e che Thomas S. Monson è il portavoce di

Dio sulla terra, oggi. Porto testimonianza che Gesù vive, ci ama, ci aiuta, si trova a casa nel suo tempio ed è il

nostro amico che ci aiuta per sempre.

NOTE

[1] Charles Wesley, «Jesus, Lover of My Soul», Hymns (Salt Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints,

1985), n. 102.

[2] Lorenzo Snow, Deseret Weekly News, 3 aprile 1897, 481.

[3] William W. Phelps, «Praise to the Man» [tr. it. «Lode all’uomo», Inni, n. 19], Hymns, n° 27.

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Al minimo, all’ultimo e al perduto RICHARD N. HOLZAPFEL & KENT P. JACKSON

Richard Neitzel Holzapfel & Kent P. Jackson, «To the Least, the Last, and the Lost», in To Save the Lost: An Easter

Celebration, a cura di Richard Neitzel Holzapfel e Kent P. Jackson (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young

University, 2009), vii–xi.

n tema importante nelle Scritture è il ribaltamento. Spesso, restiamo sorpresi quando i mansueti,

invece dei potenti, ereditano la terra (vedere Matteo 5:5), un centurione Gentile si sottomette

all’autorità di Gesù, un umile Ebreo (vedere Matteo 8:5–13) e Dio rivela la Sua volontà ai

«piccoli», invece che ai sapienti (Matteo 11:25). In una scena davvero straordinaria, un proprietario

terriero mette da parte il proprio orgoglio e la propria posizione elevata e corre per abbracciare il figlio

ritornato (vedere Luca 15:20). Il più importante capovolgimento di tutti, comunque, resta questo: il Figlio

di Dio muore cosicché l’umanità possa vivere (vedere Marco 14:24).

La missione di Gesù, al minimo, all’ultimo e al perduto, è basata su tali rovesciamenti. La Sua opera

redentrice li facilita, come dimostrato dal significato principale del termine pentimento in ebraico e in

greco, cioè «volgersi nuovamente» o «ritornare». Tramite il Vangelo, i minimi diventano i maggiori nel

regno di Dio (vedere Luca 9:48), gli ultimi diventano i primi (vedere Matteo 19:30) e i perduti vengono

ritrovati (vedere Luca 15:32). La Pasqua è il periodo giusto per ricordare la missione di Gesù ai minimi,

agli ultimi e ai perduti, poiché Egli disse: «Poiché il Figlio dell'uomo è venuto a salvare ciò che era perduto»

(Matteo 18:11; corsivo dell’autore). Non c’è da sorprendersi, dunque, nello scoprire come Egli abbia

mandato i Suoi discepoli «verso le pecore perdute» (Matteo 10:6) e, dunque, la loro missione di ritrovare i

perduti diviene un’estensione naturale della Sua. Noi, che desideriamo essere i Suoi discepoli negli ultimi

giorni, abbracciamo con gioia la nostra parte in questa missione e rammentiamo le Sue parole, le quali

rappresentano il vero fulcro del vivere il Vangelo: «In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di

questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me» (Matteo 25:40).

Alcuni dei momenti d’insegnamento di Gesù più memorabili riguardarono il ritrovare i perduti. Luca

preserva la parabola della pecorella smarrita, della dramma smarrita e del figliolo perduto, collegandole

insieme con un tema comune: la gioia di ritrovare ciò che era perduto. L’evangelista introduce le parabole

fornendone il contesto storico: Gesù si stava incontrando con persone considerate malvagie e impure,

pubblicani e peccatori. Come in altre situazioni simili, i Farisei e gli scribi si lamentarono: «Costui accoglie

i peccatori e mangia con loro» (Luca 15:2).

Luca racconta la storia: «Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde

una, non lascia le novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrova? E

trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro:

"Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta"» (Luca 15:3–6). La seconda

parabola continua lo stesso tema: «Oppure, qual è la donna che se ha dieci dramme e ne perde una, non

accende un lume e non spazza la casa e non cerca con cura finché non la ritrova? Quando l'ha trovata,

chiama le amiche e le vicine, dicendo: "Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo

perduta"» (Luca 15:8–9).

Queste parabole non hanno nulla a che vedere con pecorelle o monete, ovviamente, bensì col ritrovare le

anime perdute. Ciò che esse non includono sono i dettagli relativi agli sforzi necessari per ritrovare ciò che

era perduto, quanta fatica fu necessaria, quante lacrime furono versate e quante preghiere offerte.

U

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Entrambe le storie rivelano una conclusione comune: c’è gioia, in cielo, per un «solo peccatore che si

ravvede» (Luca 15:7, 10). Entrambe insegnano questo: qualunque sforzo fu richiesto per ritrovare il

peccatore perduto, ne valse la pena.

L’ultima parabola presenta questo tema in forma umana. La tradizione inglese, come quella italiana, vi ha

imposto il titolo inappropriato di «Figliol prodigo», in cui prodigo significa «sprecone», l’elemento meno

importante della parabola. Essa, in realtà, è la storia di un figlio perduto e si rivolge a noi, oggi, tanto

quanto fece ai discepoli ai tempi di Gesù.

Un padre ebreo ha due figli. Il più giovane chiede al padre la propria eredità e parte per una terra lontana,

una terra dei Gentili, dove «vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente» (Luca 15:13) e finendo per

diventare povero. La scena successiva rivela le conseguenze delle sue scelte sbagliate: «Allora si mise con

uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali» (Luca 15:15). Il

ribaltamento è completo: il figlio ebreo di un padre ricco possidente è costretto a diventare servo di un

Gentile, a pascolare i maiali! Eppure, quando sembra che il figlio perduto abbia toccato il fondo,

scopriamo che la situazione è ancora peggiore: egli deve competere con i maiali per il cibo. Alla fine,

«rientrato in sé», decide di ritornare al padre, dove persino i «servi» hanno «pane in abbondanza» (Luca

15:17).

A questo punto della storia, potremmo essere tentati a pensare: «Sono felice di non essere come lui».

Eppure, la storia presenta abbastanza paralleli con la vita di ciascuno da dover essere in grado di scorgervi

qualcosa che ci riguardi. Anche noi, perlomeno, a volte abbiamo bisogno di «rientrare in noi» e decidere di

ritornare a ciò che anche noi, come il figlio perduto, sappiamo essere giusto. Se siamo umili, anche noi

impareremo che le nostre risorse sono esaurite, che non abbiamo nulla più e dobbiamo fare affidamento

sulla grazia di qualcuno più grande di noi, che ci riaccolga nella sua famiglia e nella sua casa.

Il figlio perduto ritorna al padre, dicendo: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più

degno di essere chiamato tuo figlio"» (Luca 15:21). In un altro ribaltamento della storia, il padre sceglie di

«porta[r]e qui la veste più bella, e rivesti[r]lo, mette[r]gli un anello al dito e dei calzari ai piedi» (Luca

15:22). Inoltre, come i proprietari della pecorella smarrita e della dramma smarrita, il padre chiama le

persone intorno a sé per celebrare: «Portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo

festa» (Luca 15:23).

Ora, la parabola rivela una storia dentro la storia, e anch’essa rappresenta un ribaltamento. L’obbediente

figlio maggiore ritorna dalla sua giornata di lavoro nei campi e ode musica e danze presso la casa del

padre. Quando un servo lo informa che il fratello minore è ritornato e ha ricevuto un trattamento regale, il

fratello maggiore si adira e si rifiuta di entrare in casa. Per la seconda volta, il padre lascia la casa ed esce

per accogliere un figlio (vedere Luca 15:25–28). Sembra che persino i più retti tra noi abbiano bisogno della

«misericordia che perdona» e, per fortuna, noi siamo alla sua portata.1

«Ricordate che il valore delle anime è grande agli occhi di Dio; Poiché, ecco, il Signore vostro

Redentore soffrì la morte nella carne; pertanto egli soffrì i dolori di tutti gli uomini, affinché

tutti possano pentirsi e venire a lui. Ed è risorto dai morti per poter portare tutti a Sé, a

condizione del pentimento. E quanto grande è la sua gioia nell'anima che si pente!» (DeA

18:10–13).

Contemplando la «grazia duratura» e la «carità senza limiti» del nostro Salvatore,2 gioiamo anche noi, come i

personaggi delle parabole, nel ritrovare coloro che si erano perduti. Non limitiamoci ad accoglierli, ma

aiutiamo anche a ritrovarli, riconoscendo, tuttavia, di essere anche noi tra i perduti, sempre bisognosi che

qualcuno ci venga a cercare, ci prenda per mano e ci riporti alla casa del Padre.

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NOTE

1. Andrew F. Ehat e Lyndon W. Cook, a cura di, The Words of Joseph Smith: The Contemporary Accounts of the Nauvoo

Discourses of the Prophet Joseph (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 1980), 77.

2. Lee Tom Perry, «As Now We Take the Sacrament», Hymns (Salt Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day

Saints, 1985), n° 169.

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Lezioni dall Espiazione ANZIANO MERRILL J. BATEMAN

Membro Emerito del Primo Quorum dei Settanta e Presidente del Tempio di Provo, Utah

Elder Merrill J. Bateman, «Lessons from the Atonement», in To Save the Lost: An Easter Celebration, a cura di Richard

Neitzel Holzapfel e Kent P. Jackson (Provo, UT: Religious Studies Center, Brigham Young University, 2009), 1-19.

l grande sacrificio compiuto dal Signore Gesù Cristo per i peccati dell’umanità è l’avvenimento più

importante nel tempo e nell’eternità. L’Espiazione è il fulcro del piano del Padre per la felicità dei Suoi

figli. Essa rende possibile la misericordia che salva ed esalta i figli del Padre, soddisfacendo al contempo

le richieste della giustizia (vedere Alma 42:15).

Nel programmare il nostro soggiorno sulla terra, il Padre Celeste comprese l’importanza del libero arbitrio

per il nostro progresso e ce lo offrì in dono. Egli capì anche che Adamo ed Eva avrebbero trasgredito, usando

il proprio libero arbitrio per far avverare la Caduta, affinché «gli uomini potessero essere … e affinché

possano provare gioia» (2 Nefi 2:25). La Caduta, tuttavia, avrebbe portato anche la morte, sia fisica che

spirituale. Quali esseri terreni, il nostro corpo sarebbe invecchiato e poi morto, separandosi dallo spirito. La

morte spirituale, la separazione da Dio, si sarebbe verificata in conseguenza della Caduta e del cedimento

all’opposizione e alle tentazioni da parte degli uomini e delle donne. Avendo il libero arbitrio, tutti

avrebbero peccato e «s[arebbero stati] privi della gloria di Dio» (Romani 3:23).

Per poter essere salvati dalla Caduta e dai nostri peccati, fu necessario che qualcuno avente potere sufficiente

venisse in nostro soccorso. Amulec, il collega di Alma, affermò che nessun uomo né alcun’altra cosa terrena

aveva potere sufficiente per redimere. La salvezza è possibile soltanto tramite «un sacrificio infinito ed

eterno» del Figlio di Dio (Alma 34:10; vedere anche v. 14). Lucifero, un figlio del mattino, si offrì per essere il

figlio che ci avrebbe salvato. Il suo piano, tuttavia, era insufficiente, i suoi motivi contrati alle leggi del cielo

ed egli non aveva né il potere, né la gloria per attuarlo (vedere DeA 76:25–27; Mosè 1:11–18; 4:1–4).

Gesù Cristo, il Figlio Diletto, fu scelto sin dal principio a motivo della Sua rettitudine, la quale portò alla Sua

unzione e al conferimento della gloria da parte del Padre (vedere Isaia 60:2; 1 Pietro 1:19–20; Helaman 5:11;

Mosè 1:14). Alla fine, il Salvatore ricevette dal Padre, infinito ed eterno, ogni potere, sufficiente a pagare il

prezzo del peccato. In umiltà e sofferenza al di là di ogni capacità umana, Egli disse al Padre: «Sia fatta la tua

volontà, e sia tua la gloria per sempre» (Mosè 4:2; vedere anche Matteo 28:18; Giovanni 17:2).

Pietro, Giacomo e Giovanni videro il Signore nella pienezza della Sua gloria sul Monte della Trasfigurazione.

Per due anni e mezzo, essi avevano percorso i sentieri di Israele con Lui senza apprezzarne pienamente la

grandezza, pur credendo in Lui. Pochi mesi prima della Sua crocifissione, il Salvatore prese questi tre uomini

e li condusse in cima a un monte, dove si rivelò in tutta la Sua «gloria come quella dell'Unigenito venuto da

presso al Padre», piena di grazia e di verità (Giovanni 1:14). Quale Unigenito nella carne, Egli aveva il potere

di deporre la Sua vita e di riprenderla nuovamente.

Dalla Sua madre mortale, Maria, Egli ricevette i semi della mortalità che Gli permisero di morire. Dal Suo

Padre immortale, Egli ricevette i semi dell’immortalità, la capacità di vincere la morte e vivere per sempre.

Come disse ai Giudei: «Come il Padre ha vita in se stesso, così ha dato anche al Figliuolo d'aver vita in se

stesso» (Giovanni 5:26).

I

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In un’altra circostanza, Cristo affermò: «Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per

ripigliarla poi. Nessuno me la toglie, ma la depongo da me. Io ho potestà di deporla e ho potestà di

ripigliarla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio» (Giovanni 10:17–18).

Soltanto Cristo aveva il potere di vincere la morte fisica per Se stesso e per noi. Soltanto Cristo aveva il

potere di redimerci dai nostri peccati. Egli ereditò questo potere dal Padre per compiere l’Espiazione. Sulla

terra, Egli condusse una vita perfetta, senza peccato. Soddisfò le richieste della giustizia per Se stesso e le Sue

capacità infinite ed eterne Gli permisero di pagare i debiti a favore di coloro che esercitano la fede in Lui, siu

pentono, obbediscono alle leggi del Vangelo e ricevono le ordinanze di salvezza.

Una lettura della sezione 19 di Dottrina e Alleanze rivela il contrasto dell’immagine di un Dio senza peccato

dinanzi ai dolori fisici e spirituali connessi ai peccati degli altri, poiché Egli fu «trafitto a motivo delle nostre

trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità» (Isaia 53:5). Il Signore disse:

«Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno; Ma

se non volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me; E queste sofferenze fecero sì che io

stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia

nel corpo che nello spirito — e desiderassi di non bere la coppa amara e mi ritraessi — Nondimeno,

sia gloria al Padre, bevvi e portai a termine i miei preparativi per i figlioli degli uomini» (DeA 19:16–

19).

Le sofferenze di Cristo ebbero inizio nel Giardino di Getsemani e si completarono sulla croce. Nel Giardino,

Egli pregò ferventemente che il Padre, se fosse stato possibile, rimuovesse la coppa amara, ma poi riconobbe:

«Non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Luca 22:42). Un angelo apparve nel Giardino per sostenerLo, ma

l’agonia era implacabile e Lo portò a pregare «più intensamente» (Luca 22:44). Passando dal Giardino al

processo e poi sulla croce, giunse il momento in cui il fardello era unicamente Suo. Dopo sei ore sul Golgota,

il Salvatore gridò con gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Matteo 27:46). Poco dopo,

il Redentore del mondo gridò nuovamente con gran voce: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. E

detto questo spirò» (Luca 23:46). Come aveva visto il profeta Nefi nella visione dell’albero della vita, Cristo

fu «innalzato sulla croce e ucciso per i peccati del mondo» (1 Nefi 11:33).

Il terzo giorno dopo la Sua sepoltura nella tomba di Giuseppe d’Arimatea, Egli risorse dai morti. La Sua

morte e Risurrezione rendono possibile a tutti coloro che sono vissuti, vivono o vivranno su questa terra di

risorgere ed essere riportati alla presenza di Dio, per esser giudicati. Dunque, Egli vinse la morte fisica, una

delle conseguenze della trasgressione di Adamo, per offrire una Risurrezione incondizionata a tutti. Eppure,

ciascun individuo resta responsabile dei propri peccati. Fortunatamente, Cristo ha il potere di perdonare e

santificare, poiché ha misericordiosamente pagato il prezzo per tutti coloro che esercitano fede in Lui, si

pentono dei propri peccati, osservano le proprie alleanze e ricevono le ordinanze del Vangelo.

La storia dell’Espiazione è una storia di miracoli. Noi non comprendiamo appieno il processo della

risurrezione o il modo in cui Egli funge da procuratore nel prendere su di Sé i nostri peccati. Sappiamo,

tuttavia, che vi furono molti testimoni oculari della Sua Risurrezione e che altri spiriti furono riuniti al

proprio corpo, dopo la Risurrezione di Cristo. Le Scritture affermano che «le tombe s'aprirono, e molti corpi

de' santi che dormivano, risuscitarono» (Matteo 27:52). Sappiamo anche, tramite la testimonianza del Santo

Spirito, che Egli è il Redentore del mondo e ha il potere di purificarci, di soddisfare le leggi infrante, di

santificarci e prepararci a ritornare al Padre (vedere 3 Nefi 27:14).

Vi sono molte lezioni fondamentali che possiamo trarre dagli avvenimenti meravigliosi collegati

all’Espiazione. Queste lezioni riguardano l’importanza della preghiera, il ruolo della fede e della

testimonianza nell’adempiere il nostro scopo eterno, l’importanza dell’amore quale forza che motiva, il ruolo

del sacrificio e dell’obbedienza nell’ottenere potere spirituale e l’opportunità – offerta dall’Espiazione – di

edificare una comunità forte e retta.

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L’IMPORTANZA DELLA PREGHIERA

La prima lezione che possiamo trarre dal sacrificio del Signore nel Getsemani e sulla croce riguarda la

preghiera. Durante tutto il Suo ministero, il Signore insegnò a pregare ai Suoi discepoli: «Pregate per quelli

che vi perseguitano», «fa' orazione al Padre tuo … nel segreto» e «non usate soverchie dicerie» (Matteo 5:44;

6:6, 7). Egli offrì la Preghiera del Signore come esempio (vedere Matteo 6:9–13). Egli pregò sia in privato, sia

in pubblico (vedere Matteo 14:23; 19:13). La preghiera fu una parte indispensabile della Sua vita ed Egli

desiderava che fosse lo stesso per i Suoi discepoli. L’ammonimento era quello di «chiedere», «cercare» e

«bussare» (Matteo 7:7).

Senza dubbio, le preghiere più intense offerte dal Salvatore furono quelle successive all’Ultima Cena. La

prima fu la grande preghiera intercessoria offerta prima che Lui e i Suoi discepoli si recassero nel Getsemani.

Nella preghiera, Cristo riconobbe che la Sua ora era giunta e chiese la forza di poter glorificare il Padre

nell’offrire la vita eterna ai fedeli (vedere Giovanni 17:1–2). Il resto della Sua preghiera fu dedicato ai Suoi

seguaci. Egli pregò per la loro fedeltà, affinché potessero essere eredi della vita eterna. Chiese al Padre di

benedirli con la gloria e l’amore che Lui stesso aveva ricevuto. Al primo posto, nei pensieri del Signore, c’era

l’unità che i discepoli avrebbero mostrato. Essa sarebbe stata un segno per gli altri che il Padre aveva

mandato il Figlio (vedere Giovanni 17:3–18).

La seconda preghiera ebbe inizio nel Getsemani. Lasciando otto dei discepoli all’ingresso e chiedendo loro di

pregare, Gesù prese Pietro, Giacomo e Giovanni e si addentrò nel Giardino. Esortando anche loro a pregare,

proseguì poco oltre e cadde prostrato a terra, «contristato ed angosciato» (Matteo 26:37). Egli pregò, dicendo:

«Padre, se tu vuoi, allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Luca 22:42).

La Sua comprensione e il riconoscimento del processo di redenzione Lo portarono a pregare ancora più

intensamente, con «grosse gocce di sangue che cadeano in terra» (Luca 22:44). La preghiera finale fu offerta

sulla croce, concludendosi con, «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. E detto questo spirò» (Luca

23:46).

Perché il Creatore del cielo e della terra, l’Unigenito del Padre, il Salvatore e Redentore del mondo, aveva

bisogno di pregare? Non sapeva forse ogni cosa? Non era forse onnipotente? Giovanni il Diletto attestò che

Gesù non ricevette la pienezza subito dopo la nascita terrena, ma «ricevette grazia su grazia; E non ricevette

la pienezza all'inizio, ma continuò di grazia in grazia fino a che ricevette la pienezza» (DeA 93:12–13).

Sottomettendo la Propria volontà, Egli conosceva l’importanza di comunicare con il Padre. Persino Lui

aveva bisogno di pregare per ricevere forza!

Quanto è importante la preghiera per noi? Chiaramente, se la preghiera era una parte essenziale della vita

del Salvatore, è importante anche per la nostra vita. La preghiera nel nome del Figlio è la porta attraverso cui

entriamo in comunicazione con il Padre. È il mezzo tramite il quale esprimiamo gratitudine, riceviamo guida

e istruzioni. Riceviamo il potere di cambiare la nostra vita tramite la preghiera e l’obbedienza. Mediante la

preghiera, chiediamo al Padre di aiutarci a perdonare gli altri e di benedirli. Tramite la preghiera,

esprimiamo il nostro sincero desiderio di perseverare fino alla fine e ritornare al Padre, per mezzo della

grazia e della misericordia del Figlio. Il Signore diede l’esempio per noi durante tutta la Sua vita e nelle Sue

ultime ore di vita terrena.

Il Redentore divenne il nostro Avvocato presso il Padre, in seguito all’Espiazione. La preghiera porta lo

Spirito Santo nella nostra vita e la Sua guida ci mantiene sul sentiero verso il regno celeste. La preghiera è

essenziale per riuscire a restare sul sentiero stretto e angusto, e il Signore fu l’Esempio supremo di questo

principio.

LA FEDE È IL POTERE

La seconda lezione appresa dall’Espiazione riguarda l’importanza della fede.

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Tutti saranno salvati da uno degli effetti della Caduta, ovvero la morte fisica, a motivo della Risurrezione del

Signore. Sia i giusti che gl’ingiusti usciranno dalla tomba (vedere Giovanni 5:28–29). Diversamente, vincere

la morte spirituale è condizionale e avviene a motivo della nostra fede nel Padre e nel Figlio, fede nel Loro

piano e fede nel Vangelo restaurato. Con fede non s’intende una cieca obbedienza, ma una forte credenza

che porta a pentirsi e a obbedire ai principi del Vangelo. La fede e l’obbedienza sono ricompensate con

quiete rassicurazioni dello Spirito che il Padre e il Figlio vivono, hanno un piano e – come parte di questo

piano – il Vangelo è stato restaurato tramite il Profeta Joseph Smith.

Questa rassicurazione giunge sotto forma di sentimenti nel cuore e di illuminazione nella mente, quando

preghiamo, digiuniamo, leggiamo le Scritture, serviamo nel Regno e siamo diligenti nel vivere il Vangelo

(vedere Alma 17:2–3; 32:27–43).

Lo sviluppo della fede e della testimonianza segue uno schema. Il Signore disse al Profeta Joseph Smith che

«ad alcuni è accordato dallo Spirito Santo di sapere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, e che fu crocifisso per i

peccati del mondo. Ad altri è accordato di credere alle loro parole, affinché anch'essi possano avere la vita

eterna, se rimangono fedeli» (DeA 46:13–14).

Lo schema comune consiste nei forti che aiutano i deboli. Agli inizi di una nuova dispensazione, degli angeli

vengono mandati a istruire i profeti e a comunicare loro verità spirituali, affinché questi possano preparare

altri a loro volta (vedere Moroni 7:30–31). Ad esempio, le esperienze che Joseph Smith ebbe con Moroni,

Giovanni Battista, Pietro, Giacomo e Giovanni e altri ancora lo prepararono a insegnare e condividere le

verità del Vangelo, cosicché chi lo avesse ascoltato avrebbe potuto credere nelle sue parole. Quando i

membri credettero e agirono secondo i principi insegnati, lo Spirito confermò la loro fede. Allo stesso modo,

i genitori devono insegnare ai propri figli i principi fondamentali del Vangelo. All’inizio, i figli credono alle

parole dei genitori, poi ricevono la propria testimonianza personale, se sono obbedienti ai principi e alle

ordinanze.

Una delle storie più belle del Libro di Mormon che mostra come si sviluppa la fede è l’apparizione del

Signore risorto ai Nefiti, dopo la Sua crocifissione e Risurrezione a Gerusalemme. Nel rileggere la storia di 3

Nefi, è interessante notare come il Signore abbia dato inizio alla Sua visita con un’esperienza, non un

sermone.1 Quell’esperienza speciale non soltanto preparò i Nefiti ai sermoni successivi, ma fornì anche le

fondamenta spirituali che sarebbero state trasmesse. Lo schema prevedeva che coloro i quali avevano

ricevuto testimonianze possenti avrebbero aiutato altri a credere nelle loro parole, fino a quando non

avessero ricevuto anch’essi la propria testimonianza. È utile procedere a una breve analisi di questo

episodio.

Duemilacinquecento fedeli erano radunati presso il tempio del paese di Abbondanza. Stavano discutendo

della distruzione e dei mutamenti che avevano avuto luogo poco prima, oltre che dei segni connessi alla

morte del Redentore. Mentre conversavano l’uno con l’altro, udirono una voce dal cielo. Sebbene non

compresero le parole, essi sentirono lo Spirito trafiggerli fino al centro dell’anima (vedere 3 Nefi 11:3). La

voce venne una seconda volta, e ancora essi non la compresero. La terza volta, le Scritture riportano che

«aprirono le loro orecchie per ascoltarla; e i loro occhi erano rivolti verso il suono» (3 Nefi 11:5). I versetti

seguenti indicano che essi capirono le parole, ma non ne colsero appieno il significato. Le parole furono:

«Ecco il mio Figlio beneamato, nel quale io mi compiaccio, nel quale ho glorificato il mio nome: ascoltatelo»

(3 Nefi 11:7). Mentre guardavano verso il cielo, videro «un Uomo che scendeva … vestito di una veste

bianca; e scese e stette in mezzo a loro; e gli occhi di tutta la moltitudine erano rivolti su di lui, e non osavano

aprir la bocca, neppure l'uno con l'altro … poiché pensavano che fosse un angelo» (3 Nefi 11:8). Non

apprezzando completamente Chi fosse il Visitatore, rimasero attoniti.

A questo punto, Cristo si presentò e disse loro di aver bevuto dalla coppa amara e di aver «glorificato il

Padre prendendo su di me i peccati del mondo» (3 Nefi 11:11). Mentre ascoltava, la moltitudine si rese conto

che il Visitatore altri non era che il Signore risorto, e caddero in terra. L’esperienza che seguì cambiò per

sempre la loro vita, poiché il Signore li invitò ad alzarsi e farsi avanti per sentire le impronte dei chiodi nelle

Sue mani e nei Suoi piedi e porre le mani nel Suo costato. Le Scritture riportano:

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«E avvenne che la moltitudine avanzò e pose le mani nel suo costato, e sentì le impronte dei chiodi

nelle sue mani e nei suoi piedi; e fecero questo facendosi avanti ad uno ad uno, finché furono tutti

passati, ed ebbero veduto con i loro occhi e sentito con le loro mani e seppero con certezza, e ne

resero testimonianza, che era Colui di cui era stato scritto dai profeti che sarebbe venuto» (3 Nefi

11:15).

L’opportunità di vedere, udire e toccare il Signore, sostenuta dalla testimonianza dello Spirito Santo, portò

impressioni, pensieri e sentimenti impossibili da dimenticare. A loro volta, la fede e la testimonianza dei

presenti penetrarono profondamente nel cuore dei loro figli, nipoti e pronipoti. Le generazioni successive

furono tutte influenzate dalla testimonianza dei loro genitori.

Credendo nelle parole dei propri genitori, i figli possono ottenere una testimonianza forte tanto quanto la

loro, se uniscono alla fede l’obbedienza ai comandamenti. Osservare i comandamenti apre la porta affinché

lo Spirito Santo confermi la fede già presente. Ricordiamoci le parole che il Signore rivolse a Toma: «Perché

m'hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non han veduto, e hanno creduto» (Giovanni 20:29). Perché?

Perché una fede basata sulle parole di altri, unita alla rassicurazione spirituale proveniente dallo Spirito

Santo, può rivelarsi altrettanto e persino più possente di una fede basata sulla vista.

La fede in Cristo è fondamentale per accedere alla pienezza dell’Espiazione del Signore. Chi erediterà il

regno celeste sono «coloro che accetta[no] la testimonianza di Gesù e cred[ono] nel suo nome», stipulano le

Sue alleanze e osservano i Suoi comandamenti (DeA 76:51–52). In contrasto, le persone assegnate al regno

terrestre, gli uomini e le donne onorevoli della terra, non ricevono «la testimonianza di Gesù nella carne» e

sono «accecati dall'astuzia degli uomini» (DeA 76:74–75). A queste brave persone viene offerta una

testimonianza della verità, ma non hanno la fede sufficiente per accettarla. Come il Salvatore esercitò la Sua

fede nel Padre e sottomise la Propria volontà a quella di Dio per adempiere la Propria missione, così noi

adempiremo la nostra missione terrena tramite la fede in Loro.

L’AMORE È IL MOTIVO

La terza lezione dell’Espiazione è l’importanza dell’amore quale forza motivante. È più facile immaginare

una persona che sacrifichi la propria vita per salvarne un’altra, piuttosto che sacrificare la vita di un proprio

figlio. Eppure «Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque

crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3:16). L’amore di Dio per i Suoi figli fu la forza

motivante che plasmò l’Espiazione.

Parte del piano consistette nel fare tutto il possibile per estendere la misericordia e salvare i Suoi figli senza

distruggere il libero arbitrio. L’amore di Cristo per i Suoi fratelli e sorelle era tanto profondo quanto quello

del Padre. Quale Buon Pastore, Egli era disposto a dare la Propria vita per le pecore. Un mercenario

fuggirebbe dinanzi ai lupi, ma non il Buon Pastore, che conosce le pecore (vedere Giovanni 10:11–15). Il

Salvatore disse ai Suoi discepoli: «Nessuno ha amore più grande che quello di dar la sua vita per i suoi

amici» (Giovanni 15:13). Il puro amore di Cristo per i Suoi fratelli e sorelle Lo condusse nel Giardino e sul

Golgota, sebbene potesse chiamare legioni di angeli a proteggerLo (vedere Matteo 26:53).

Gesù non si aspetta nulla di meno dai Suoi discepoli. Dopo l’Ultima Cena, il Salvatore ribadì più

ampiamente la legge sull’amore. L’antico comandamento ricevuto da Mosè e ripetuto precedentemente a un

gruppo di non credenti da Gesù stesso era «Ama il tuo prossimo come te stesso» (Matteo 22:39). Dopo

l’Ultima Cena, Gesù innalzò il livello, dicendo: «Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli

altri. Com'io v'ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei

discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Giovanni 13:34–35).

Come discepoli, dobbiamo amare gli altri come Gesù ama noi, non come noi amiamo noi stessi. L’amore di

Dio per noi definisce il modo in cui dobbiamo amare. Dobbiamo diventare come Loro (vedere Matteo 5:48; 3

Nefi 27:27). Ci si aspetta che amiamo non soltanto coloro che ci amano, ma anche i nostri nemici, coloro che

ci usano e perseguitano i Santi (vedere Matteo 5:44–47).

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Inoltre, un segno del nostro amore è osservare i comandamenti. Gesù disse: «Come il Padre mi ha amato,

così anch'io ho amato … Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; com'io ho osservato i

comandamenti del Padre mio, e dimoro nel suo amore» (Giovanni 15:9–10).

Verso la fine del Suo ministero, Cristo disse ai Dodici che, negli ultimi giorni, «perché l'iniquità sarà

moltiplicata, la carità dei più si raffredderà» (Matteo 24:12). Paolo descrisse le stesse condizioni nella sua

seconda lettera a Timoteo: «Or sappi questo, che negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili; perché gli

uomini saranno egoisti … senz'affezione naturale» (2 Timoteo 3:1–3). D’altro canto, il Signore sta edificando

un popolo di Sion che si sforza di nutrire un amore cristiano reciproco e verso tutti gli uomini. L’Espiazione,

cambiando il cuore delle persone, rende tutto questo possibile. Cristo fu l’Esempio supremo dell’amore per

tutta la Sua vita, ma gli atti d’amore più straordinari avvennero nel Giardino di Getsemani e sulla croce.

L’OBBEDIENZA È IL PREZZO

La quarta lezione da apprendere dall’Espiazione del Signore è l’importanza di obbedire al piano evangelico.

Alcuni anni fa, venni a conoscenza del motto di una missione che descriveva i principi del Vangelo in

rapporto all’Espiazione. Il motto era questo:

La fede è il potere,

L’obbedienza è il prezzo,

L’amore è il motivo,

Lo Spirito è la chiave

E Cristo è la ragione.2

Fino ad ora, abbiamo parlato della fede quale potere di accedere alle benedizioni condizionali

dell’Espiazione e all’amore quale forza che motiva e dovrebbe guidare le nostre azioni, come dimostrato in

modo supremo dalla disponibilità del Padre a sacrificare Suo Figlio. Al fine di poter sviluppare la fede e

ricevere il potere che da essa deriva, il prezzo da pagare è l’obbedienza.

Sin dal principio, a Adamo furono insegnati i principi collegati del sacrificio e dell’obbedienza. Uscendo dal

Giardino di Eden, a Adamo ed Eva fu dato il comandamento di offrire «i primogeniti dei loro greggi come

offerta al Signore. E Adamo fu obbediente ai comandamenti del Signore» (Mosè 5:5). Dopo qualche tempo,

un angelo apparve a Adamo e gli chiese perché offrisse dei sacrifici. Adamo rispose dicendo di non saperlo,

senonché il Signore glielo aveva comandato. L’angelo, quindi, gli insegnò riguardo all’Espiazione e al

sacrificio compiuto «a similitudine del sacrificio dell'Unigenito del Padre» (Mosè 5:7).

Quando Mosè portò i figlioli d’Israele fuori dall’Egitto, sul monte, il Signore chiamò il profeta sulla cima

della montagna e gli comunicò una promessa per il popolo. Il Signore disse: «Or dunque, se ubbidite

davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la

terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Esodo 19:5–6).

A Israele furono promesse tre benedizioni condizionali, basate sulla loro obbedienza: sarebbero diventati un

popolo peculiare, avrebbero ricevuto la pienezza del sacerdozio e sarebbero divenuti una nazione santa

(vedere 1 Pietro 2:9). Sfortunatamente, essi non erano pronti a pagarne il prezzo e ricevettero in cambio una

legge inferiore. Passarono più di mille anni, prima che la pienezza del Vangelo e il sacerdozio superiore

fossero restaurati al popolo d’Israele.

Se c’è una lezione da apprendere dalla vita del Salvatore, è la sottomissione del Figlio al Padre, il Suo

desiderio di esserGli obbediente. In un’occasione, Egli disse: «Non fo nulla da me, ma dico queste cose

secondo che il Padre m'ha insegnato» (Giovanni 8:28). Nella grande preghiera d’intercessione, Cristo

affermò: «[Ho] compiuto l'opera che tu m'hai data a fare» (Giovanni 17:4). Nel Getsemani, Egli attestò: «Non

la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Luca 22:42). Il Salvatore fu interamente dedito a compiere la missione

assegnataGli dal Padre nel mondo pre-terreno.

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Raccogliamo ciò che seminiamo. Se vogliamo essere salvati ed esaltati, il prezzo è l’obbedienza. Se siamo

tiepidi nell’osservare i comandamenti, la ricompensa non sarà piena. Saremo giudicati secondo le nostre

«opere, secondo i desideri del [nostro] cuore» (DeA 137:9). L’Anziano Neal A. Maxwell ha scritto:

«La sottomissione della propria volontà è in realtà l’unica cosa personale che abbiamo da deporre

sull’altare di Dio. Le molte altre cose che noi ‘diamo’ … sono in realtà cose che Egli ci ha già dato o

donato o prestato. Tuttavia, quando voi ed io infine ci sottomettiamo, lasciando che la nostra volontà

individuale sia assorbita da quella di Dio, allora Gli diamo veramente qualcosa! È l’unica cosa nostra

che possiamo darGli veramente»3

UN POPOLO DI SION

La quinta ed ultima lezione riguarda la creazione di un popolo di Sion, un popolo retto in cui ogni cosa è in

comune (vedere Mosè 7:18). Sin dal principio, il Signore ha operato al fine di stabilire una comunità di Santi

la cui rettitudine fungesse da agente lievitante per il mondo. Tutto ebbe inizio con Adamo ed Eva, ai quali fu

insegnato il vangelo di Gesù Cristo e ai quali fu detto di insegnarlo ai propri figli, «che tutti gli uomini,

ovunque, devono pentirsi» (Mosè 6:57). Col tempo, l’apostasia prevalse e il Signore ricominciò con Noè e la

sua famiglia. La chiamata di Abrahamo e la formazione del casato d’Israele creò le fondamenta per

l’edificazione di un regno retto, ma anche i discendenti di Giacobbe caddero in apostasia. Dal mezzo del

pruno ardente, Mosè apprese che doveva ritornare in Egitto e reclamare Israele, come ulteriore sforzo volto a

piantare i semi della rettitudine.

La parabola dei cattivi vignaioli in Marco 12 descrive i numerosi tentativi fatti dal Signore per stabilire Sion.

Ripetutamente, il Signore della vigna manda i Suoi servitori a raccogliere i frutti. Alcuni servitori furono

feriti, altri uccisi. Alla fine, il proprietario della vigna mandò Suo Figlio, il Suo Diletto, dicendo: «Avranno

rispetto al mio figliuolo» (Marco 12:6). I vignaioli, invece, dissero: «Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e

l'eredità sarà nostra» (Marco 12:7). I vignaioli prendono il Figlio, Lo uccidono e impediscono nuovamente i

tentativi di edificare Sion. Il Signore termina la parabola affermando che il proprietario della vigna

distruggerà i vignaioli e darà la vigna ad altri.

Come dei periodi di apostasia si verificarono dopo la lapidazione e la morte dei profeti antichi, così una

grande apostasia seguì la morte del Figlio e degli Apostoli. Alla fine, degli altri servitori furono chiamati a

ristabilire la vigna: è la storia del Vangelo restaurato. L’istituzione della Chiesa e del regno di Dio sulla terra

negli ultimi giorni è l’ultimo tentativo. Questa volta, il regno non sarà mai più distrutto. Il profeta Daniele

vide i regni che seguirono quello di Nebucadnetsar fino agli ultimi giorni. Verso la fine, egli vide che «l'Iddio

del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto, e che non passerà sotto la dominazione d'un altro

popolo; quello spezzerà e annienterà tutti quei regni; ma esso sussisterà in perpetuo» (Daniele 2:44).

Anche Nefi vide il regno di Dio negli ultimi giorni. I Santi erano diffusi su tutta la faccia della terra e,

sebbene il loro numero fosse ridotto, Nefi vide il «potere dell'Agnello di Dio che scendeva sui santi della

chiesa dell'Agnello e sul popolo dell'alleanza del Signore … ed esso era armato di rettitudine e del potere di

Dio, in grande gloria» (1 Nefi 14:14).

Sin dagli inizi del XIX secolo, la Chiesa ha operato sotto il mandato di portare il Vangelo ad ogni nazione,

tribù, popolo e lingua. Durante il primo secolo, i nuovi convertiti erano incoraggiati a radunarsi a Sion per

edificare un luogo centrale forte. A partire dagli anni ’60 del XX secolo, poste tali fondamenta , i membri

sono incoraggiati a restare nel proprio paese e ivi edificare Sion. La popolazione della Chiesa, oggi, ammonta

a circa tredici milioni di persone, il che è ancora poco dinanzi ai più di sei miliardi di abitanti della terra.

Anche se la Chiesa crescesse fino a raggiungere cento o duecento milioni di membri nei prossimi decenni,

questo numero resterebbe relativamente piccolo.

Nonostante ciò, la retta influenza della Chiesa, derivante da membri che hanno fede nell’Espiazione del

Signore e sono obbedienti ai comandamenti del Signore, sta lasciando e lascerà un segno nel mondo.

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Questo sta avvenendo in diverse comunità in cui i Santi vivono con fedeltà e rettitudine e ricoprono ruoli di

dirigenza. Gli effetti di gruppi ben organizzati di Santi furono evidenti, quando l’Uragano Katrina colpì il

Sud degli Stati Uniti. Si è visto in Florida, Oklahoma, California, Brasile, Perù e Indonesia.

In termini finanziari, la Chiesa è un attore di minore importanza sul palcoscenico umanitario mondiale;

tuttavia, sta diventando uno dei contribuenti privati più grandi. In termini di forza lavoro, tuttavia, la Chiesa

è una grande potenza. Poche organizzazioni private sono in grado di gestire e mettere all’opera migliaia o

persino decine di migliaia di membri ben organizzati, in tempi di crisi. La Chiesa è in grado di organizzare

un aiuto così numeroso a motivo della fede dei suoi membri. Che le devastazioni siano causate da un

uragano, un terremoto, uno tsunami o da qualsiasi altra catastrofe, la Chiesa è in grado di organizzare una

forza lavoro straordinaria per prestare soccorso. Il mondo comincia a riconoscerci come un popolo armato

del potere di Dio in rettitudine. Ancora una volta, l’Espiazione deve essere al centro della nostra vita, se

vogliamo assistere il Signore nell’edificare un popolo di Sion. Ecco perché ci preoccupiamo del benessere

altrui.

CONCLUSIONE

L’Espiazione del Signore è unica. Ha una portata infinita ed eterna. L’Espiazione richiese la vita del Figlio di

Dio. La prima lezione fondamentale che dobbiamo apprendere dalla vita del Salvatore è l’importanza della

preghiera. Sebbene Cristo fosse il Geova dell’Antico Testamento, il Creatore dei cieli e della terra, l’Unigenito

del Padre nella carne, la Sua comunicazione con il Padre fu essenziale al fine di poter completare la Propria

missione. Similmente, pregare il Padre tramite il Figlio ci offre la guida di cui abbiamo bisogno per

completare la nostra missione terrena.

In secondo luogo, dobbiamo avere fede nel Padre e nel Figlio per poter accedere a tutte le benedizioni offerte

dal sacrificio del Signore. La fede ci permette di essere purificati e santificati. La fede giunge esercitando la

credenza nel Padre e nel Figlio che porta alla testimonianza del Santo Spirito. La fede del Salvatore in Suo

Padre è il Suo esempio per noi, dimostrato dalla Sua disponibilità a sottomettersi al piano e portarlo a

termine.

Una terza lezione che possiamo trarre dall’Espiazione riguarda l’importanza dell’amore. Nostro Padre è un

Dio molto personale che ama i Suoi figli e desidera comunicare con loro, se soltanto essi si sforzano di essere

aperti alle comunicazioni provenienti da Lui. Il Suo amore per i Suoi figli fu la forza motivante che Lo portò

a mandare Suo Figlio perché fosse crocifisso per i nostri peccati. Quando noi, Suoi figli, esercitiamo fede in

questo Dio gentile e amorevole, anche noi saremo motivati dall’amore nelle nostre relazioni interpersonali.

La quarta lezione è incentrata sull’obbedienza. Il Figlio sottomise la Propria volontà a quella del Padre. In

ultima analisi, noi dimostriamo il nostro amore e la nostra lealtà al Padre tramite la nostra sottomissione e

obbedienza ai comandamenti del Signore. Fortunatamente, l’Espiazione rende possibile correggere le nostre

deviazioni dal retto cammino tramite la fede e il pentimento.

Infine, fratelli e sorelle, abbiamo la responsabilità di aiutare il Signore a creare un popolo di Sion, affinché

faccia lievitare la terra intera. Possiamo noi contribuire a questo compito con una vita piena di fede,

preghiera, amore e obbedienza. In cambio, riceveremo la pienezza delle benedizioni offerte dal sacrificio del

Signore.

NOTE

1. Durante una recente conferenza di palo nel Palo di Provo Utah Grandview Est, il presidente Richard Williams ha

condiviso questa riflessione.

2. Cyril Figurerres, motto della Missione Giapponese di Fukuoka.

3. Neal A. Maxwell, La Stella, gennaio 1996, 27.

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L’ESPIAZIONE E IL VIAGGIO DELLA VITA TERRENA

ANZIANO DAVID A. BEDNAR

Membro del Quorum dei Dodici Apostoli

o scopo principale del vangelo del Salvatore fu riassunto brevemente dal presidente David O. McKay

(1873–1970): “Lo scopo del Vangelo è … di rendere buoni gli uomini malvagi e di rendere migliori gli

uomini buoni, e di cambiare la natura umana”.1 Quindi, il viaggio della vita terrena consiste nel

progredire dal male al bene a ciò ch’è migliore, e di sperimentare il potente mutamento di cuore, così che la

nostra natura decaduta possa essere cambiata (vedere Mosia 5:2).

Il Libro di Mormon è il nostro manuale di istruzioni mentre percorriamo la via che porta dal male al bene a

ciò ch’è migliore, e mentre ci sforziamo di fare in modo che il nostro cuore cambi. Re Beniamino ci istruisce

sul viaggio della vita terrena e sul ruolo che ha l’Espiazione affinché noi possiamo portarlo a termine con

successo:

“Poiché l’uomo naturale è nemico di Dio, lo è stato fin dalla caduta di Adamo, e lo sarà per sempre e

in eterno, a meno che non ceda ai richiami del Santo Spirito, si spogli dell’uomo naturale e sia

santificato tramite l’espiazione di Cristo” (Mosia 3:19; corsivo dell’autore).

Voglio richiamare la vostra attenzione su due frasi specifiche. La prima è: “si spogli dell’uomo naturale”. Il

percorso che porta dal male al bene è il processo tramite il quale ci spogliamo dell’uomo o della donna

naturale che è in noi. Nella mortalità veniamo tutti tentati dai desideri della carne. Gli elementi stessi con cui

sono stati creati i nostri corpi sono per natura decaduti e continuamente soggetti ai richiami del peccato,

della corruzione e della morte. Tuttavia, possiamo accrescere la nostra abilità di superare i desideri della

carne e le tentazioni “tramite l’espiazione di Cristo”. Quando commettiamo degli errori, quando

trasgrediamo e pecchiamo, possiamo pentirci e divenire puri grazie al potere redentore dell’Espiazione di

Gesù Cristo.

La seconda frase è: “sia santificato”. Questa frase descrive la continuazione, cioè la seconda fase del viaggio

della vita, quella finalizzata a rendere “migliori gli uomini buoni” o, in altre parole, a santificarli. La seconda

parte del viaggio, il processo che porta dal bene a ciò ch’è migliore, è un argomento che non studiamo né

insegniamo molto spesso e che non comprendiamo abbastanza.

Ho il sospetto che molti membri della Chiesa conoscano meglio la natura redentrice e il potere purificatore

dell’Espiazione che non la sua capacità di rafforzare e sostenere. Una cosa è sapere che Gesù Cristo è venuto

sulla terra per morire per noi; questo concetto è essenziale ed è alla base della dottrina di Cristo.

Cionondimeno, dobbiamo anche renderci conto che il Signore desidera, tramite la Sua Espiazione e per il

potere dello Spirito Santo, vivere in noi, non solo per guidarci ma anche per investirci di potere.

La maggior parte di noi sa che, quando fa qualcosa di sbagliato, ha bisogno di aiuto per superare gli effetti

del peccato nella propria vita. Il Salvatore ha pagato il prezzo e ha fatto in modo che possiamo diventare

puri tramite il Suo potere di redenzione. La maggior parte di noi comprende in modo chiaro che l’Espiazione

è per i peccatori. Non sono sicuro, tuttavia, che sappiamo e comprendiamo che l’Espiazione è anche per i

santi, per le donne e gli uomini buoni che sono obbedienti, degni e coscienziosi, e che si sforzano di

migliorare e di servire con più fedeltà. Forse crediamo erroneamente di dover compiere da soli il viaggio che

porta dal bene a ciò ch’è migliore, stringendo i denti e usando la buona volontà e la disciplina, insieme alle

nostre abilità, che sono ovviamente limitate.

L

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Il vangelo di Gesù Cristo non consiste semplicemente nell’evitare il male nella nostra vita; è anche e

soprattutto fare il bene e diventare buoni. E l’Espiazione ci dà l’aiuto di cui abbiamo bisogno per superare ed

evitare il male così come per fare il bene e diventare buoni. L’aiuto che proviene dal Salvatore è alla nostra

portata per tutto il viaggio della vita terrena: per passare dal male, al bene, a ciò ch’è migliore, e per

cambiare la nostra stessa natura.

Non sto dicendo che il potere di redenzione e il potere di sostegno dell’Espiazione sono due cose separate e

diverse. Sono piuttosto due dimensioni collegate e complementari dell’Espiazione, poiché entrambe devono

essere operative in ogni fase del viaggio della vita. È di importanza eterna che tutti noi riconosciamo

che entrambi questi elementi essenziali del viaggio della vita terrena, sia lo spogliarsi dall’uomo naturale che

il santificarsi, sia superare il male che diventare buoni, si ottengono grazie al potere dell’Espiazione. La forza

di volontà individuale, la determinazione e la motivazione personale, la pianificazione efficace e il fissare

obiettivi sono cose necessarie ma sostanzialmente insufficienti perché noi possiamo portare a termine il

viaggio della vita in modo trionfale. In verità, dobbiamo arrivare ad affidarci ai “meriti e [al]la misericordia e

[al]la grazia del Santo Messia” (2 Nefi 2:8).

La grazia e il potere di forza e sostegno dell’Espiazione

Nella Guida alle Scritture apprendiamo che la parola grazia viene spesso usata nelle Scritture per connotare

un potere che dà forza e sostegno:

“[Grazia è] una parola che ricorre con frequenza nel Nuovo Testamento, soprattutto negli scritti di

Paolo. Il significato principale del termine è aiuto o risorsa divina dato tramite la misericordia e

l’amore di Gesù Cristo.

È tramite la grazia del Signore Gesù, resa possibile dal Suo sacrificio espiatorio, che tutta l’umanità

risorgerà diventando immortale, ogni persona riceverà il suo corpo dalla tomba per non morire mai

più. Parimenti, è mediante la grazia del Signore che le persone, grazie alla fede nell’Espiazione di Gesù

Cristo e al pentimento dei loro peccati, ricevono la forza e l’assistenza per compiere le buone opere che

altrimenti non potrebbero portare avanti se abbandonate ai propri mezzi. Questa grazia è quel potere di forza

e sostegno che consente agli uomini e alle donne di raggiungere la vita eterna e l’esaltazione dopo

che avranno fatto del loro meglio”.2

La grazie è l’assistenza divina o aiuto celeste di cui ognuno di noi ha disperatamente bisogno per qualificarsi

per il regno celeste. Così, il potere dell’Espiazione ci sostiene e ci dà la forza di fare il bene e di essere buoni,

così come di servire oltre la misura dei nostri desideri individuali e delle nostre naturali abilità.

Nel mio studio personale delle Scritture, inserisco spesso l’espressione “potere di forza e sostegno” ogni

volta che incontro la parola grazia. Considerate, per esempio, questo versetto che tutti conosciamo bene:

“Sappiamo che è per grazia che siamo salvati, dopo aver fatto tutto ciò che possiamo fare” (2 Nefi 25:23).

Credo che possiamo imparare molto da questo aspetto fondamentale dell’Espiazione se scriviamo “potere di

forza e sostegno” ogni volta che nelle Scritture troviamo la parola grazia.

Esempi e implicazioni

Il viaggio della vita terrena consiste nel passare dal male, al bene, a ciò ch’è migliore, e nel fare in modo che

la nostra stessa natura cambi. Il Libro di Mormon è pieno di esempi di discepoli e profeti che, nel compiere

questo viaggio, conobbero e compresero questo potere di forza e sostegno dell’Espiazione e che furono da

esso trasformati. Nel giungere ad una migliore comprensione di questo potere sacro, la nostra prospettiva

evangelica viene notevolmente ampliata ed arricchita. Tale prospettiva ci cambia in modi incredibili.

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Nefi è un esempio di persona che conosceva e comprendeva il potere di forza e sostegno che proviene dal

Salvatore e che si affidava ad esso. Ricorderete che i figli di Lehi erano tornati a Gerusalemme per arruolare

alla loro causa Ismaele e la sua famiglia. Laman e gli altri della compagnia che viaggiò con Nefi per tornare

da Gerusalemme al deserto si ribellarono e Nefi esortò i suoi fratelli ad avere fede nel Signore. Fu a questo

punto del viaggio che i fratelli legarono Nefi con delle corde e pianificarono la sua distruzione. Vi prego di

fare attenzione alla preghiera di Nefi:

“O Signore, secondo la mia fede che è in te, liberami dalle mani dei miei fratelli; sì, anzi, dammi la

forza di strappare questi legami con cui sono legato” (1 Nefi 7:17; corsivo dell’autore).

Sapete per cosa avrei pregato io, se fossi stato legato dai miei fratelli? Avrei detto: “Ti prego, tirami fuori da

questo pasticcio SUBITO!” Trovo particolarmente interessante il fatto che Nefi non pregò perché le

circostanze in cui si trovava venissero cambiate. Piuttosto, pregò per avere la forza di cambiare tali

circostanze e credo che pregò in questa maniera proprio perché conosceva, comprendeva e aveva

sperimentato il potere di forza e sostegno che proviene dall’Espiazione.

Non credo che le corde con cui era legato Nefi caddero dalle sue mani e dai suoi polsi per magia. Sospetto,

invece, che egli venne benedetto con perseveranza e forza personale oltre le sue naturali inclinazioni, così

che poi, “nella forza del Signore” (Mosia 9:17), si mise all’opera torcendo e tirando le corde e ricevendo

letteralmente, infine, la capacità di romperle.

I risvolti di questo episodio per ognuno di noi sono lampanti. Quando sia io che voi giungeremo a

comprendere e ad utilizzare nella nostra vita personale il potere di forza e sostegno che proviene

dall’Espiazione, pregheremo e ricercheremo la forza per cambiare le circostanze in cui ci troviamo invece di

pregare perché queste vengano cambiate. Diventeremo persone che agiscono invece di subire (vedere 2 Nefi

2:14).

Prendete in considerazione, nel Libro di Mormon, l’esempio di Alma e della sua gente che vengono

perseguitati da Amulon. La voce del Signore giunse a queste persone rette nella loro afflizione e suggerì:

“Ed allevierò pure i fardelli che sono posti sulle vostre spalle, cosicché non possiate sentirli più sulla

schiena. …

Ed ora avvenne che i fardelli che erano stati imposti ad Alma ed ai suoi fratelli furono resi leggeri;

sì, il Signore li fortificò cosicché potessero portare agevolmente i loro fardelli, ed essi si sottoposero

allegramente e con pazienza a tutta la volontà del Signore” (Mosia 24:14–15; corsivo dell’autore).

Cos’è che fu cambiato in questo episodio? Non furono i fardelli a cambiare; alle persone non furono

immediatamente tolte le sfide e le difficoltà legate alla persecuzione. Tuttavia, Alma e i suoi seguaci vennero

rafforzati e la loro accresciuta capacità di sopportazione e la loro forza resero più leggeri i fardelli che

portavano. Queste brave persone furono investite di potere grazie all’Espiazione per agire in modo attivo e

influenzare le circostanze in cui si trovavano. E “nella forza del Signore” Alma e la sua gente furono condotti

in un luogo sicuro nella terra di Zarahemla.

Forse vi starete legittimamente chiedendo: “Cosa rende l’episodio di Alma e della sua gente un esempio del

potere di forza e sostegno che proviene dall’Espiazione?” Possiamo trovare la risposta se

paragoniamo Mosia 3:19 con Mosia 24:15.

“A meno che non … si spogli dell’uomo naturale e sia santificato tramite l’espiazione di Cristo, il

Signore, e diventi come un fanciullo, sottomesso, mite, umile, paziente, pieno d’amore, disposto a sottomettersi

a tutte le cose che il Signore ritiene conveniente infliggergli, proprio come un fanciullo si sottomette a

suo padre” (Mosia 3:19; corsivo dell’autore).

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Se, nel viaggio della vita terrena, stiamo progredendo da male al bene a ciò ch’è migliore, se ci stiamo

spogliando dell’uomo o della donna naturale che è in ognuno di noi, e se ci stiamo sforzando di diventare

santi e di fare in modo che la nostra stessa natura cambi, allora le caratteristiche descritte minuziosamente in

questo versetto dovrebbero descrivere il tipo di persona che sia io che voi stiamo diventando. Diventeremo

più come dei fanciulli, più sottomessi, più pazienti e più disposti a sottometterci.

Ora paragonate le caratteristiche elencate in Mosia 3:19 con quelle utilizzate per descrivere Alma e la sua

gente: “Ed essi si sottoposero allegramente e con pazienza a tutta la volontà del Signore” (Mosia 24:15; corsivo

dell’autore).

Trovo sorprendenti le analogie esistenti tra gli attributi descritti in questi versetti e penso che questo indichi

chiaramente che le brave persone che seguivano Alma stavano diventando migliori grazie al potere di forza

e sostegno che proviene dall’Espiazione di Cristo, il Signore.

Ricorderete la storia di Alma e Amulec contenuta in Alma 14. In questo episodio molti santi fedeli erano stati

bruciati a morte e questi due servitori del Signore erano stati imprigionati e percossi. Esaminate la supplica

offerta da Alma mentre pregava in prigione: “O Signore, dacci la forza, secondo la nostra fede che è in Cristo,

fino a liberarci” (Alma 14:26; corsivo dell’autore).

Qui, ancora una volta, vediamo come la comprensione e la fiducia che ha Alma nel potere di forza e sostegno

dell’Espiazione si rifletta nella sua richiesta. E notate il risultato di questa preghiera:

“Ed essi [Alma e Amulec] spezzarono le corde con cui erano legati; e quando il popolo vide ciò,

cominciò a fuggire, poiché il timore della distruzione era sceso su di loro. …

Ed Alma ed Amulec uscirono dalla prigione, e non erano feriti; poiché il Signore aveva accordato loro il

potere, secondo la loro fede che era in Cristo” (Alma 14:26, 28; corsivo dell’autore).

Ancora una volta questo potere di forza e sostegno si manifesta nel momento in cui delle persone rette

lottano contro il male e si sforzano di divenire anche migliori e di servire in modo più efficace “nella forza

del Signore”.

Anche un altro esempio tratto dal Libro di Mormon è istruttivo. In Alma 31, Alma sta guidando una

missione per riportare alla Chiesa gli Zoramiti apostati che, dopo aver costruito il Rameumpton, offrono

preghiere prestabilite e piene d’orgoglio.

Notate la richiesta di forza nella preghiera personale di Alma: “O Signore, voglia tu accordarmi di aver forza,

affinché io possa sopportare con pazienza queste afflizioni che cadranno su di me a causa dell’iniquità di

questo popolo” (Alma 31:31; corsivo dell’autore).

Alma prega anche affinché i suoi compagni missionari possano ricevere una simile benedizione: “Voglia tu

accordare loro di avere forza, affinché possano sopportare le afflizioni che cadranno su di loro a causa delle

iniquità di questo popolo” (Alma 31:33; corsivo dell’autore).

Alma non pregò perché le sue afflizioni fossero eliminate. Sapeva di essere un rappresentante del Signore e

pregò per avere il potere di agire e influenzare la sua situazione.

Il punto cruciale di questo esempio si trova nel versetto finale di Alma 31: “[Il Signore] diede loro la forza,

affinché non soffrissero alcuna sorta di afflizioni, salvo quelle che sarebbero state sopraffatte dalla gioia di

Cristo. Ora, ciò fu secondo la preghiera di Alma, e ciò perché egli aveva pregato con fede” (versetto 38;

corsivo dell’autore).

Le afflizioni non furono eliminate, ma, grazie al potere di forza e sostegno dell’Espiazione, Alma e i suoi

compagni vennero rafforzati e ricevettero la benedizione di non soffrire “alcuna sorta di afflizioni, salvo

quelle che sarebbero state sopraffatte dalla gioia di Cristo”. Quale meravigliosa benedizione e che lezione

per ognuno di noi.

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Non troviamo solo nelle Scritture degli esempi di questo potere di forza e sostegno. Daniel W. Jones nacque

nel Missouri nel 1830 e si unì alla Chiesa in California nel 1851. Nel 1856 partecipò al salvataggio delle

compagnie di carretti a mano che si erano arenate nel Wyoming a causa di alcune intense bufere di neve.

Dopo che il gruppo giunto in soccorso ebbe trovato i santi in difficoltà, dopo che ebbe offerto il conforto

immediato possibile, e dopo che ebbe organizzato il trasporto a Salt Lake City dei malati e di coloro che

erano indeboliti, Daniel e altri giovani si offrirono volontariamente di rimanere a tutelare i possedimenti

della compagnia. Il cibo e le provviste lasciati a Daniel e ai suoi colleghi erano scarsi e si esaurirono

rapidamente. La seguente citazione tratta dal diario personale di Daniel Jones descrive gli eventi che

seguirono.

“Presto le bestie divennero così sparute che non riuscivamo a ucciderne alcuna. Mangiammo tutta la

carne magra; a mangiarla veniva persino più fame. Poi finì e non rimasero altro che le pelli.

Provammo a mangiarle. Molte ne cuocemmo e le mangiammo senza condimento, cosa che fece

rivoltare lo stomaco a tutta la compagnia. …

La situazione sembrava disperata, dal momento che non rimaneva nulla delle misere pelli crude

provenienti dal bestiame affamato. Chiedemmo al Signore di guidarci e di dirci cosa fare. I fratelli non

mormorarono, ma sentirono di dover confidare in Dio … Infine fui ispirato e compresi come

preparare quella roba, perciò diedi dei consigli ai miei compagni: dissi loro come cucinarla e come

bruciare e sfregare via i peli. Questo di solito annullava e purificava il cattivo sapore dato dalla

bollitura. Dopo aver sfregato via i peli, bisognava bollirla per un’ora in una grande quantità d’acqua,

che poi andava buttata via perché conteneva tutta la colla che era venuta fuori. Poi bisognava lavare e

sfregare la pelle a fondo, lavarla in acqua fredda e farla bollire fino a fare della gelatina. Dopo averla

fatta raffreddare, si poteva mangiare con una spolverata di zucchero. Era un lavoro estenuante, ma

non avevamo molto altro da fare, ed era meglio che morire di fame.

Chiedemmo al Signore di benedire il nostro stomaco affinché si adattasse a questo cibo … Ora, quando

mangiavamo, tutti sembravano apprezzare il banchetto. Rimanemmo tre giorni senza mangiare prima

di fare questo tentativo. Godemmo di questo lauto banchetto per circa sei settimane”.3

In circostanze come queste forse avrei pregato per ricevere qualcos’altro da mangiare: “Padre Celeste, ti

prego, mandami una quaglia o un bisonte”. Probabilmente non mi sarebbe neanche venuto in mente di

pregare affinché il mio stomaco potesse essere rinforzato ed adattato al cibo disponibile. Che cosa conosceva

Daniel W. Jones? Conosceva il potere di forza e sostegno dell’Espiazione di Gesù Cristo. Non pregò affinché

le circostanze in cui si trovava venissero mutate. Pregò di ricevere la forza per poter affrontare queste

circostanze. Proprio come Alma e la sua gente, Amulec e Nefi ricevettero forza, Daniel W. Jones ebbe

l’intuizione spirituale di sapere cosa chiedere nella sua preghiera.

Il potere di sostegno dell’Espiazione di Cristo ci dà la forza di fare cose che non potremmo mai fare da soli.

A volte mi chiedo se in questi ultimi giorni, in questo nostro mondo fatto di agi come forni a microonde,

cellulari, auto con aria condizionata e case confortevoli, impariamo mai a riconoscere la nostra dipendenza

quotidiana dal potere di forza e sostegno che proviene dall’Espiazione.

La sorella Bednar è una donna incredibilmente fedele e piena di saggezza e conoscenza, e dal suo esempio

silenzioso ho imparato delle importanti lezioni sul potere di forza e sostegno. Nel corso di ognuna delle sue

tre gravidanze l’ho vista perseverare, affrontando nausee mattutine forti e continue; stava veramente male

ogni giorno per otto mesi. Insieme pregavamo affinché venisse benedetta, ma quella prova non veniva mai

eliminata. Ricevette invece la capacità di fare fisicamente ciò che, con le sue sole forze, non riusciva fare.

Negli anni ho anche visto come ha ricevuto la forza di sopportare lo scherno e il disprezzo che vengono dalla

società secolare quando una donna della Chiesa dà ascolto ai consigli dei profeti e fa della famiglia e della

cura dei figli la sua massima priorità. Ringrazio Susan e le rendo omaggio per avermi aiutato ad apprendere

delle lezioni di tale inestimabile valore.

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Il Salvatore sa e comprende

Nel capitolo 7 di Alma apprendiamo in che modo e perché il Salvatore è in grado di fornire questo potere di

forza e sostegno:

“Ed egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e ciò affinché si possa adempiere

la parola che dice: egli prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo.

E prenderà su di sé la morte, per poter sciogliere i legami della morte che legano il suo popolo; e

prenderà su di sé le loro infermità, affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia,

secondo la carne, affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle

loro infermità” (Alma 7:11–12; corsivo dell’autore).

Il Salvatore non ha sofferto solo per le nostre iniquità, ma anche per le diseguaglianze, l’ingiustizia, il dolore,

l’angoscia e le ansie emotive che ci assediano così di frequente. Non c’è dolore fisico, né angoscia dell’anima,

né sofferenza dello spirito, né infermità né debolezza che io o voi possiamo mai provare durante questo

nostro viaggio della vita terrena che il Salvatore non abbia provato per primo. Nei momenti di debolezza

possiamo gridare: “Nessuno capisce, nessuno lo sa”. Forse nessun essere umano lo sa, ma il Figlio di Dio lo

sa perfettamente e comprende, perché lo ha provato portando i nostri fardelli molto tempo prima di noi. E

dal momento che ha pagato il prezzo supremo e ha portato quei fardelli, Egli prova un’empatia perfetta e

può tenderci il Suo braccio misericordioso in tantissime fasi della nostra vita. Egli può tenderci la mani,

toccarci, soccorrerci (correndo letteralmente da noi), e rafforzarci più di quanto possiamo mai fare da soli e

aiutarci a fare ciò che non riusciremmo mai fare affidandoci solo al nostro potere.

“Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo.

Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch’io son mansueto ed umile di cuore; e voi

troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Matteo

11:28–30).

Proclamo la mia testimonianza e il mio apprezzamento per il sacrificio infinito ed eterno del Signore Gesù

Cristo. So che il Salvatore vive. Ho provato sia il Suo potere di redenzione che il Suo potere di forza e

sostegno, e attesto che essi sono reali e alla portata di ognuno di noi. Invero, “nella forza del Signore”

possiamo compiere e superare ogni cosa se ci spingiamo innanzi nel nostro viaggio della vita terrena.

NOTE

1. Vedere Franklin D. Richards, in Conference Report, ottobre 1965, 136–37; vedere anche David O. McKay, in

Conference Report, aprile 1054, 26.

2. Guida alle Scritture e Bible Dictionary, «Grazia»; corsivo dell’autore.

3. Daniel W. Jones, Forty Years among the Indians (n.d.), 57–58.

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La domenica arriverà

ANZIANO JOSEPH B. WIRTHLIN

Membro del Quorum dei Dodici Apostoli

ono grato di stare qui con voi oggi e di trarre forza dalle vostre testimonianze. Sono grato, più di

quanto le parole possano esprimere, per le vostre dolci parole di sostegno, per la manifestazione del

vostro amore e per le vostre preghiere.

Oggi desidero condividere alcuni ricordi personali.

Io nacqui da buoni genitori. Da mio padre, Joseph L. Wirthlin, imparai i principi del duro lavoro e della

compassione. Egli era il vescovo del nostro rione durante la Grande Depressione. Egli provava una sincera

preoccupazione verso coloro che erano in difficoltà. Egli tese la mano a chi era nel bisogno non solo perché

ciò era suo dovere, ma perché era il suo desiderio sincero.

Egli si preoccupò instancabilmente e aiutò molti che soffrivano. Nella mia mente lui rappresentava il

vescovo ideale.

Tutti coloro che conoscevano mio padre sanno quanto egli fosse attivo. Una volta qualcuno mi disse che egli

poteva compiere il lavoro di tre uomini. Egli rallentava di rado il passo. Nel 1938, egli stava gestendo

un’attività commerciale di successo quando ricevette una telefonata da parte del presidente della Chiesa,

Heber J. Grant.

Quel giorno il presidente Grant gli disse che stavano riorganizzando il Vescovato presiedente e volevano che

mio padre servisse quale consigliere di LeGrand Richards. Ciò sorprese molto mio padre il quale chiese se

egli poteva prima pregare.

Il presidente Grant disse: «Fratello Wirthlin, mancano soltanto trenta minuti prima della prossima sessione

della conferenza e vorrei potermi riposare. Che cosa ne dice?»

Naturalmente mio padre rispose di sì. Egli servì per 23 anni, 9 dei quali come Vescovo Presiedente della

Chiesa.

Mio padre aveva 69 anni quando morì. Io mi trovavo con lui quando all’improvviso ebbe un collasso. Poco

dopo se ne andò.

Penso spesso a mio padre. Mi manca.

Mia madre, Madeline Bitner, ebbe grande influenza nella mia vita. Quando era giovane, ella era una brava

atleta e una velocista di successo. Era gentile e affettuosa, ma il suo passo ci esauriva. Spesso diceva: «Svelti».

E quando ciò accadeva dovevamo aumentare la velocità. Forse questa fu una delle ragioni per cui avevo un

buono scatto quando giocavo a football.

Mia madre aveva grandi obiettivi per i suoi figli e si aspettava il meglio da loro. Posso ancora ricordarla

mentre diceva: «Non essere un mediocre. Devi fare di meglio». Mediocre era la sua parola per qualcuno

sfaticato e che non viveva all’altezza delle sue capacità.

Mia madre morì all’età di 87 anni, penso a lei spesso e mi manca più di quanto possa esprimere.

S

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Mia sorella minore Judith era un’autrice, compositrice e educatrice. Amava molte cose tra le quali il Vangelo,

la musica e l’archeologia. Il compleanno di Judith cadeva qualche giorno prima del mio. Ogni anno le

donavo una banconota da un dollaro nuova quale regalo di compleanno. Tre giorni dopo, quale suo regalo

per il mio compleanno, lei mi dava cinquanta centesimi.

Judith è deceduta alcuni anni fa. Mi manca e penso a lei spesso.

E questo mi conduce a mia moglie, Elisa. Ricordo la prima volta che la incontrai. Feci un favore a un amico

andando a casa sua a prendere sua sorella, Frances. Elisa aprì la porta e, almeno per me, fu amore a prima

vista.

Penso che anche lei provò qualcosa perché le prime parole che mi ricordo sentirle dire furono: «Sapevo che

eri tu».

Elisa si era diplomata in lingua inglese.

Ancora oggi considero quelle quattro parole essere tra le più meravigliose del linguaggio umano.

Le piaceva giocare a tennis e aveva un servizio fulminante. Provai a giocare a tennis con lei ma alla fine

mollai dopo essermi reso conto che non potevo colpire ciò che non potevo vedere.

Lei era la mia forza e la mia gioia. Grazie a lei, io sono un uomo, un marito e un padre migliore. Ci siamo

sposati, abbiamo avuto otto figli e abbiamo camminato insieme per 65 anni.

Devo a mia moglie più di quanto io possa esprimere. Non so se vi sia mai stato un matrimonio perfetto, ma

dal mio punto di vista, il nostro lo era.

Quando il presidente Hinckley parlò al funerale di Elisa, egli disse che perdere qualcuno che si ama è

un’esperienza devastante e consumante: logora l’anima.

Aveva ragione. Proprio come Elisa fu la mia più grande gioia, ora la sua scomparsa è il mio più grande

dolore.

Nelle ore in cui ero da solo ho passato molto tempo pensando alle cose dell’eternità. Ho contemplato le

confortanti dottrine della vita eterna.

Durante la mia vita ho udito molti sermoni riguardo alla resurrezione. Come voi, anch’io posso recitare ciò

che accadde quella prima domenica di pasqua. Ho sottolineato nelle mie Scritture i passi riguardanti la

resurrezione ed ho a portata di mano molte dichiarazioni fondamentali dei profeti degli ultimi giorni a tale

riguardo.

Sappiamo che la resurrezione è la riunione dello spirito e del corpo nella sua forma perfetta. 1

Il presidente Joseph F. Smith disse «che quelli da cui dobbiamo separarci qui, li incontreremo ancora e li

vedremo come sono. Ritroveremo lo stesso identico essere che abbiamo conosciuto qui nella carne». 2

Il presidente Spencer W. Kimball ha ampliato il concetto dicendo: «Sono sicuro che se potremmo

immaginarci nella nostra condizione fisica, mentale e spirituale migliore, quella sarà la condizione nella

quale ci ritroveremo». 3

Quando saremo risorti, «questo corpo mortale è risuscitato in un corpo immortale … non poss[iamo] più

morire». 4

Riuscite ad immaginarlo? La vita nei nostri anni migliori? Mai malati, mai più sofferenze, mai più afflitti dai

dolori che così spesso ci colpiscono nella mortalità?

La resurrezione si colloca al centro del nostro credo quali Cristiani. Senza di essa, la nostra fede non ha

significato. L’apostolo Paolo disse: «Se Cristo non è risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione, e vana

pure è la [n]ostra fede». 5

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Nella storia del mondo troviamo molte anime grandi e sagge, molte delle quali proclamavano di possedere

una conoscenza speciale di Dio. Ma quando il Salvatore risuscitò dalla tomba, fece qualcosa che nessuno

aveva mai fatto prima. Egli fece ciò che nessun altro poteva fare. Egli ruppe i legami della morte, non solo

per Lui, ma per tutti coloro che sono vissuti, i giusti e i malvagi. 6

Quando Cristo risuscitò dalla tomba, divenendo la primizia della risurrezione, rese questo dono disponibile

a tutti. Tramite questo sublime atto, Egli ha addolcito il dolore devastante e consumante che logora le anime

di coloro che perdono una persona amata.

Penso a quanto cupo debba essere stato quel venerdì in cui Cristo fu innalzato sulla croce. In quel terribile

venerdì la terra tremò e si fece scuro. Terribili tempeste si abbatterono sulla terra.

Quegli uomini malvagi che avevano cercato di toglierGli la vita gioirono. Ora che Cristo non era più in vita

di certo i Suoi discepoli si sarebbero dispersi. Quel giorno essi furono trionfanti.

Quel venerdì, il velo del tempio si squarciò in due.

Maria Maddalena e Maria, la madre di Gesù, erano entrambe sopraffatte dal dolore e dalla disperazione.

L’Uomo eccelso che esse amavano ed onoravano pendeva senza vita dalla croce. Quel venerdì gli Apostoli

erano devastati. Gesù, il Salvatore, l’uomo che aveva camminato sull’acqua e aveva resuscitato i morti, era

alla mercé di uomini malvagi. Essi guardavano inermi mentre Egli veniva sopraffatto dai Suoi nemici.

Quel venerdì, il Salvatore dell’umanità venne umiliato e afflitto, maltrattato e offeso.

Fu un venerdì pieno di dolore devastante e consumante che logorò le anime di coloro che amavano e

onoravano il Figlio di Dio. Penso che di tutti i giorni dall’inizio della storia di questo mondo, quel venerdì fu

il più cupo. Ma la devastazione di quel triste giorno non durò a lungo, perché la domenica, il Signore risorto

slegò i legami della morte. Egli ascese dalla tomba ed apparve in glorioso trionfo quale Salvatore di tutta

l’umanità.

E, in un istante, gli occhi che si erano riempiti di incessanti lacrime si asciugarono. Le labbra che avevano

sussurrato preghiere di dolore e sofferenza riempirono l’aria con lodi magnifiche, poiché Gesù Cristo, il

Figlio dell’Iddio vivente, stette dinanzi a loro quale primizia della risurrezione, come prova che la morte è

soltanto l’inizio di una nuova e meravigliosa esistenza.

Ciascuno di noi avrà i propri venerdì: quei giorni nei quali sembra che l’universo stesso venga scosso e che i

cocci del nostro mondo giacciano sparsi di fianco a noi. Noi tutti proveremo quei periodi nei quali sembra

che non potremo più rimettere insieme i pezzi. Tutti noi avremo i nostri venerdì.

Ma io porto testimonianza nel nome di Colui che vinse la morte: la domenica arriverà. Nelle tenebre del

nostro dolore, la domenica arriverà. Nonostante la nostra disperazione, nonostante il nostro dolore, la

domenica arriverà. In questa vita o nella prossima.

Vi porto testimonianza che la risurrezione non è una favola. Abbiamo le personali testimonianze di coloro

che Lo videro. Migliaia nel vecchio e nel nuovo mondo testimoniarono del Salvatore risorto. Essi toccarono

le ferite nelle Sue mani, nei Suoi piedi e nel Suo costato. Essi piansero lacrime di infinita gioia mentre Lo

abbracciavano.

Dopo la Risurrezione i discepoli furono rinvigoriti. Essi viaggiarono per tutto il mondo proclamando la

gloriosa novella del Vangelo. Se avessero voluto, potevano sparire e tornare alla vita e al lavoro precedenti.

Col tempo, la loro amicizia con Lui sarebbe stata dimenticata.

Avrebbero potuto negare la divinità di Cristo. Ma non lo fecero. Malgrado il pericolo, il ridicolo e le minacce

di morte, entrarono nei palazzi, nei templi e nelle sinagoghe proclamando coraggiosamente Gesù Cristo, il

risorto Figlio del Dio vivente. Molti di loro, come ultima testimonianza, offrirono la loro preziosa vita.

Morirono da martiri, con la testimonianza del Cristo risorto sulle labbra.

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La Risurrezione trasformò la vita di coloro che la testimoniarono. Non dovrebbe trasformare anche la nostra

vita? Noi tutti ci leveremo dalla tomba. Ed in quel giorno, mio padre abbraccerà mia madre. In quel giorno

abbraccerò ancora una volta la mia amata Elisa.

Grazie alla vita e al sacrificio eterno del Salvatore del mondo, noi saremo riuniti a coloro che abbiamo amato.

In quel giorno, conosceremo l’amore del nostro Padre celeste. In quel giorno, gioiremo del fatto che il Messia

sopportò tutto ciò per permetterci di vivere per sempre.

Grazie alle sacre ordinanze che riceviamo nei sacri templi, la nostra dipartita da questa breve esperienza

terrena non può separare a lungo le relazioni che sono state legate con corde eterne.

È mia personale testimonianza che la morte non è la fine dell’esistenza. «Se abbiamo sperato in Cristo per

questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini». 7Grazie al Cristo risorto «la morte è stata

sommersa nella vittoria». 8

Grazie al nostro amato Redentore possiamo alzare le nostre voci, anche nel mezzo dei nostri venerdì più

cupi, e proclamare: «O morte, dov’è il tuo dardo? O morte, dov’è la tua vittoria?» 9

Quando il presidente Hinckley parlò della terribile solitudine che giunge a coloro che perdono coloro che

amano, promise che nella quiete della notte una voce salda e nuova suggerisce pace alla nostra anima:

«Tutto è ben».

Sono grato oltre misura per le sublimi vere dottrine del Vangelo e per il dono dello Spirito Santo che ha

sussurrato alla mia anima le parole confortanti e piene di pace promesse dal nostro caro profeta. Dalle

profondità del mio dolore gioisco nella gloria del Vangelo. Gioisco che il profeta Joseph Smith fu scelto per

restaurare il Vangelo in terra in quest’ultima dispensazione. Gioisco del fatto di avere un profeta, il

presidente Gordon B. Hinckley, il quale dirige la chiesa del Signore nei nostri giorni.

Possiamo noi tutti capire e vivere con gratitudine per il dono senza prezzo che ci giunge quali figli e figlie di

un amorevole Padre celeste e per la promessa di quel giorno splendente quando ci ergeremo trionfanti sopra

la tomba.

Prego che possiamo sempre sapere che non importa quanto cupi saranno i nostri venerdì, la domenica

arriverà. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Vedere Alma 11:43.

2. Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph F. Smith, 91.

3. The Teachings of Spencer W. Kimball, Edward L. Kimball (1982), 45.

4. Alma 11:45.

5. 1 Corinzi 15:14.

6. Vedere Giovanni 5:28–29.

7. 1 Corinzi 15:19.

8. 1 Corinzi 15:54.

9. 1 Corinzi 15:55.

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NESSUNO ERA CON LUI

ANZIANO JEFFREY R. HOLLAND

Membro del Quorum dei Dodici Apostoli

razie, sorella Thompson, e grazie alle donne eccezionali di questa Chiesa. Fratelli e sorelle, il mio

messaggio pasquale oggi è rivolto a tutti, ma è diretto in particolar modo a coloro che sono soli o

che si sentono soli o, peggio, abbandonati. Tra costoro può esserci chi desidera sposarsi, chi ha perso

un coniuge o chi ha perso dei figli, o chi non ha mai avuto la benedizione di averli. Ci sentiamo vicini alle

mogli abbandonate dai mariti, ai mariti le cui mogli se ne sono andate e ai figli privati di uno o entrambi i

genitori. Questo gruppo può racchiudere, nella sua ampia cerchia, un soldato lontano da casa, un

missionario nelle prime settimane di nostalgia di casa, un padre senza lavoro che teme che la sua paura sia

visibile ai familiari. In breve, possiamo esserci dentro tutti in vari momenti della nostra vita.

A costoro parlerò del viaggio più solitario che sia mai stato fatto e delle benedizioni infinite che ha portato a

tutta l’umanità. Parlo del compito solitario del Salvatore di portare da solo il fardello della nostra salvezza.

Egli disse giustamente:

«Io sono stato solo a calcar l’uva nello strettoio, e nessun uomo fra i popoli è stato meco… Io

guardai, ma non v’era chi m’aiutasse; mi volsi attorno stupito, ma nessuno mi sosteneva». 1

Come ha fatto notare prima il presidente Uchtdorf, sappiamo dalle Scritture che l’arrivo di Gesù a

Gerusalemme quale Messia, la domenica precedente alla Pasqua, proprio com’è questa mattina, fu un

grande momento pubblico. Ma il desiderio di continuare a camminare insieme a Lui si sarebbe presto

attenuato.

Poco dopo Gesù fu incriminato davanti ai capi israeliti di quel tempo: prima Anna, l’ex sommo sacerdote,

poi Caiàfa, il sommo sacerdote in carica. Nella fretta di giudicarLo, quegli uomini e i loro concili

proclamarono il verdetto in modo affrettato e adirato. Dissero: «Che bisogno abbiamo più di testimoni?» «È

[degno] di morte». 2

Dopo fu portato dinanzi ai governatori Gentili del territorio. Erode Antipa, il tetrarca della Galilea, Lo

interrogò una volta e Ponzio Pilato, il governatore romano in Giudea, due volte, la seconda dichiarando alla

folla: «Dopo averlo in presenza vostra esaminato, non ho trovato in lui alcuna delle colpe di cui

l’accusate». 3 Poi, con un gesto tanto ingiustificato quanto illogico, Pilato «dopo aver fatto flagellare Gesù, lo

consegnò perché fosse crocifisso». 4 Le mani di Pilato, appena lavate, non potevano essere più macchiate o

impure.

Tale rigetto ecclesiastico e politico divenne più personale quando i cittadini per la strada si rivoltarono

anch’essi contro Gesù. Una delle ironie della storia è che seduto con Gesù in prigione c’era

un vero bestemmiatore, assassino e rivoluzionario noto come Barabba, nome che in aramaico significa «figlio

del padre». 5

Poiché poteva rilasciare un prigioniero, secondo la tradizione pasquale, Pilato chiese al popolo: «Qual de’

due volete che vi liberi? E quelli dissero: Barabba». 6 Così un «figlio di un padre», senza Dio, fu liberato,

mentre il Figlio divino del Padre celeste fu crocifisso.

G

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Quello fu anche un periodo di prova per coloro che conoscevano Gesù personalmente. Il più difficile per noi

da capire fu Giuda Iscariota. Sappiamo che il piano divino richiedeva la crocifissione di Gesù, ma è difficile

pensare che uno dei Suoi testimoni speciali, che era stato seduto ai Suoi piedi, L’aveva udito pregare,

L’aveva visto guarire e che aveva sentito il Suo tocco, potesse tradire Lui e tutto ciò che era per trenta monete

d’argento. Mai nella storia del mondo, così poco denaro ha comprato una tale infamia. Non siamo noi a

giudicare il destino di Giuda, ma Gesù disse del Suo traditore: «Meglio sarebbe per cotest’uomo, se non fosse

mai nato». 7

Ovviamente anche altri credenti ebbero dei momenti difficili. Dopo l’Ultima cena, Gesù lasciò Pietro,

Giacomo e Giovanni ad attenderLo mentre Lui entrava da solo nel Giardino del Getsemani. Gettatosi con la

faccia a terra per pregare, «oppress[o] da tristezza mortale» 8 , come dicono le Scritture, il Suo sudore divenne

come grosse gocce di sangue, 9 mentre implorava il Padre che allontanasse da Lui quel calice brutale e

schiacciante. Ma ovviamente, esso non poté passare oltre. Di ritorno da questa preghiera angosciosa, Egli

trovò i Suoi tre capi degli apostoli addormentati, cosa che Gli fece domandare: «Non siete stati capaci di

vegliar meco un’ora sola?» 10 Lo stesso si ripeté altre due volte finché, al Suo terzo ritorno, Egli disse con

compassione: «Dormite pure oramai, e riposatevi!», 11 anche se per Lui non vi sarebbe stato alcun riposo.

Poi, dopo l’arresto di Gesù e il Suo processo, Pietro, accusato di conoscere Gesù e di essere uno dei Suoi

amici, negò l’accusa, non una, ma ben tre volte. Non sappiamo tutto quello che stava succedendo, né

conosciamo quali consigli protettivi il Salvatore possa aver dato ai Suoi apostoli in privato, 12 ma sappiamo

che Gesù era consapevole che nemmeno questi uomini preziosi sarebbero stati con Lui alla fine, e di questo

aveva messo in guardia Pietro. 13 Poi, al canto del gallo, «il Signore, voltatosi, riguardò Pietro; e Pietro si

ricordò della parola del Signore … E uscito fuori pianse amaramente». 14

Così, per necessità divina, la cerchia che sosteneva Gesù si rimpicciolì sempre di più, dando un significato

alle parole di Matteo che «tutti i discepoli, lasciatolo, se ne fuggirono». 15Pietro stette abbastanza vicino da

essere riconosciuto e affrontato. Giovanni stette ai piedi della croce con la madre di Gesù. In particolare, e

come sempre, le donne della vita del Salvatore Gli stettero più vicino che poterono. Ma essenzialmente il Suo

viaggio solitario per tornare al Padre Suo continuò senza conforto o compagnia.

Ora parlerò con attenzione, addirittura con riverenza, di quello che può essere stato il momento più difficile

di tutto questo viaggio solitario che portò all’Espiazione. Parlo di quei momenti finali per i quali Gesù deve

essere stato preparato intellettualmente e fisicamente, ma per i quali non ci si poteva pienamente preparare

da un punto di vista emotivo e spirituale: la discesa conclusiva nella disperazione paralizzante

dell’abbandono divino quando gridò in estrema solitudine: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai

abbandonato?» 16

La perdita del sostegno degli esseri umani l’aveva prevista, ma di certo non aveva compreso questo. Non

aveva detto ai Suoi discepoli: «Ecco, l’ora… è venuta, che sarete dispersi, ciascun dal canto suo, e mi

lascerete solo; ma io non son solo, perché il Padre è meco» e «Egli non mi ha lasciato solo, perché fo del

continuo le cose che gli piacciono»? 17

Con tutta la convinzione della mia anima attesto che Egli compiacque Suo Padre perfettamente e che un

Padre perfetto non abbandonò Suo Figlio in quel momento. Infatti, è mia convinzione personale che in tutto

il ministero terreno di Cristo, il Padre non sia mai stato più vicino a Suo Figlio come in quei momenti finali

di agonia e sofferenza. Ma, affinché il sacrificio supremo di Suo Figlio potesse essere completo, così come era

volontario e solitario, il Padre ritirò per un breve tempo da Gesù il conforto del Suo spirito, il sostegno della

Sua presenza. Era necessario; era assolutamente essenziale per il significato dell’Espiazione, che il Figlio

perfetto, che non aveva mai parlato con frode, né si era comportato male, né aveva toccato alcuna cosa

impura, doveva conoscere come si sarebbe sentito il resto dell’umanità, noi, tutti noi, nel commettere questo

tipo di peccati. Perché la Sua espiazione fosse infinita ed eterna, Egli doveva provare com’è morire non solo

fisicamente ma anche spiritualmente, provare come ci si sente quando lo spirito divino viene ritirato,

facendo sentire una persona totalmente, miseramente e disperatamente sola.

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Ma Gesù resistette. Perseverò. La bontà che era in Lui consentì alla fede di trionfare anche in uno stato di

completa angoscia. La fiducia con cui era vissuto Gli disse, malgrado i Suoi sentimenti, che la compassione

divina non è mai assente, che Dio è sempre fedele, che non fugge né ci abbandona mai. Quando fu pagato

anche l’ultimo quattrino, quando la determinazione di Cristo ad essere fedele fu tanto ovvia quanto

invincibile, allora finalmente e misericordiosamente tutto finì. 18 Malgrado tutto, e senza nessuno che Lo

aiutasse o sostenesse, Gesù di Nazaret, il Figlio vivente del Dio vivente, riportò la vita fisica laddove la morte

aveva trionfato, e dall’infernale oscurità e disperazione del peccato fece sbocciare una redenzione gioiosa e

spirituale. Con fede nel Dio che sapeva essere là, Egli poté dire trionfante: «Padre, nelle tue mani rimetto lo

spirito mio». 19

Fratelli e sorelle, una delle grandi consolazioni di questa festività della Pasqua è che, grazie al fatto che Gesù

percorse un sentiero talmente lungo e solitario, noi non dobbiamo fare altrettanto. Il Suo viaggio solitario ha

fornito grande compagnia per la nostra piccola versione di quel sentiero: la cura misericordiosa del nostro

Padre nei cieli, la compagnia costante del Suo Figlio diletto, il dono meraviglioso dello Spirito Santo, gli

angeli in cielo, i membri della famiglia da tutte e due le parti del velo, i profeti e gli apostoli, gli insegnanti, i

dirigenti e gli amici. Tutti questi e tanti altri ci sono stati dati come compagni per il nostro viaggio terreno

grazie all’espiazione di Gesù Cristo e alla restaurazione del Suo vangelo. Dalla sommità del Calvario è

dichiarata la verità che non saremo mai più lasciati soli, anche se a volte possiamo sentirci così. Il Redentore

di tutti noi disse realmente: «Non vi lascerò orfani; [Io e il Padre Mio torneremo] a voi… e faremo dimora

presso di [voi]». 20

L’altra mia supplica in occasione della Pasqua è che queste scene del sacrificio solitario di Cristo, unite ai

momenti di negazione, abbandono e, almeno una volta, aperto tradimento, non siano mai ripetute da noi.

Egli ha camminato solo, una volta. Ora, chiedo che mai più Egli debba affrontare il peccato senza il nostro

aiuto o assistenza, che mai più trovi solo degli spettatori indifferenti quando ci vede lungo la Sua Via

Dolorosa ai giorni nostri. All’avvicinarsi di questa settimana santa, il giovedì con l’agnello pasquale, il

venerdì dell’Espiazione con la sua croce, la Risurrezione della domenica con la tomba vuota, possiamo noi

dichiararci più pienamente discepoli del Signore Gesù Cristo, non solo a parole, non solo nel conforto dei

momenti comodi, ma con le azioni, con coraggio e fede, anche quando il sentiero è solitario e quando la

nostra croce è difficile da portare. Questa settimana di Pasqua e sempre, possiamo noi stare vicino a Gesù

Cristo «in ogni momento e in ogni cosa e in ogni luogo in cui possia[mo] trovar[ci], anche fino alla

morte», 21 perché è certamente così che Egli è stato al nostro fianco fino alla morte e quando dovette stare

completamente solo. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Isaia 63:3, 5; vedere anche DeA 76:107; 88:106; 133:50.

2. Matteo 26:65–66.

3. Luca 23:14.

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4. Matteo 27:26.

5. Vedere Guida alle Scritture, «Barabba», 18.

6. Matteo 27:21.

7. Matteo 26:24.

8. Matteo 26:38.

9. Vedere Luca 22:44; Mosia 3:7; DeA 19:18.

10. Matteo 26:40.

11. Matteo 26:45.

12. Vedere Spencer W. Kimball, Peter, My Brother, Brigham Young University Speeches of the Year (13 luglio 1971), 5.

13. Vedere Marco 14:27–31.

14. Luca 22:61–62.

15. Matteo 26:56.

16. Matteo 27:46; corsivo dell’autore.

17. Giovanni 16:32; 8:29.

18. Vedere Giovanni 19:30.

19. Luca 23:46.

20. Giovanni 14:18, 23.

21. Mosia 18:9.

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one può guarire tutto il dolore

ANZIANO KENT F. RICHARDS

Membro dei Settanta

ome chirurgo, una parte significativa del mio periodo professionale è stata dedicata al dolore. Per

necessità, lo infliggevo chirurgicamente quasi ogni giorno; ho speso molto tempo nel tentativo di

controllare e alleviare il dolore.

Ho meditato sullo scopo del dolore. Nessuno di noi è immune dall’esperienza del dolore. Ho visto la

gente affrontarlo in modi molto diversi. Alcuni si allontanano da Dio con rabbia, mentre altri consentono

alle loro sofferenze di avvicinarli a Lui.

Come voi, anche io ho provato dolore. Il dolore è la misura del processo di guarigione. Spesso ci insegna

la pazienza. Forse è il motivo per cui usiamo il termine paziente, riferito agli ammalati.

L’anziano Orson F. Whitney scrisse: “Nessun dolore che soffriamo, nessuna tribolazione che sopportiamo

vanno sprecati. Approfondiscono la nostra esperienza, favoriscono lo sviluppo di virtù quali la pazienza,

la fede, la fermezza e l’umiltà … Grazie al dolore e alla sofferenza, alle afflizioni e alle tribolazioni

otteniamo l’istruzione che siamo venuti ad acquisire quaggiù”.1

In modo simile, l’anziano Robert D. Hales ha detto:

“Il dolore ci riporta a un’umiltà che ci consente di meditare. È un’esperienza che sono lieto di aver fatto.

… Ho imparato che il dolore fisico e la guarigione del corpo dopo un grave intervento chirurgico è

straordinariamente simile al dolore spirituale e alla guarigione dell’anima nel processo del pentimento”.2

Gran parte della nostra sofferenza non è necessariamente colpa nostra. Eventi inaspettati, circostanze

contraddittorie e deludenti, malattie debilitanti e persino la morte ci circondano e influenzano la nostra

esperienza terrena. In più, potremmo soffrire afflizioni a causa delle azioni degli altri.3 Lehi notò che

Giacobbe aveva “sofferto … molto dolore a causa della durezza dei [suoi] fratelli”.4 L’opposizione fa

parte del piano di felicità del Padre Celeste. Tutti noi ne incontriamo quanto basta per renderci

consapevoli dell’amore del nostro Padre e del nostro bisogno del soccorso e dell’aiuto del Salvatore.

Il Salvatore non osserva in silenzio. Egli stesso conosce personalmente e infinitamente il dolore che

affrontiamo.

“Soffre le pene di tutti gli uomini, sì, le pene di ogni creatura vivente, siano uomini, donne e bambini”.5

“Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo

grazia per esser soccorsi al momento opportuno”.6

A volte, nella profondità del nostro dolore, siamo tentati a chiedere: “Non v’è egli balsamo in Galaad?

Non v’è egli colà alcun medico?”7 Attesto che la risposta è affermativa e che c’è un medico. L’Espiazione

di Gesù Cristo guarisce tutte le condizioni e gli scopi della mortalità.

C

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Esiste un altro tipo di dolore per il quale siamo responsabili. Il dolore spirituale giace nel profondo della

nostra anima e può sembrare inestinguibile, proprio come essere “angosciat[i]” con un “orrore

inesprimibile”, come descrisse Alma.8 È la conseguenza delle nostre azioni peccaminose e della mancanza

di pentimento. Anche per questo dolore esiste una cura universale e assoluta. Viene dal Padre, per mezzo

del Figlio, ed è per tutti coloro che sono disposti a fare tutto il necessario per pentirsi. Cristo ha detto:

“Non volete ora ritornare a me … e essere convertiti, affinché io possa guarirvi?”9

Cristo stesso ha insegnato:

“E mio Padre mi ha mandato affinché fossi innalzato sulla croce; e dopo essere stato innalzato sulla croce,

potessi attirare tutti gli uomini a me … perciò, secondo il potere del Padre, io attirerò a me tutti gli

uomini. … Perciò, secondo il potere del Padre, io attirerò a me tutti gli uomini”.10

Forse la Sua opera più significativa è nel continuo lavoro con ognuno di noi, individualmente, per

edificarci, benedirci, rafforzarci, sostenerci, guidarci e perdonarci.

Come Nefi vide in visione, gran parte del ministero terreno di Cristo fu dedicato a benedire e guarire gli

afflitti da ogni sorta di malattie: fisiche, emotive e spirituali. “E vidi moltitudini di persone che erano

ammalate, e che erano afflitte da ogni sorta di malattie … Ed esse furono guarite mediante il potere

dell’Agnello di Dio”.11

Anche Alma profetizzò dicendo: “Egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e…

prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo. … affinché le sue viscere possano essere piene di

misericordia … affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle loro

infermità”.12

Una notte, in un letto d’ospedale, in quell’occasione come paziente e non come medico, lessi quei versetti

moltissime volte. Meditai: “Com’è possibile? Per chi? Quali requisiti ci qualificano? È come il perdono del

peccato? Dobbiamo guadagnarci il Suo amore e il Suo aiuto?” Mentre meditavo, arrivai a comprendere

che durante la Sua vita, Cristo ha scelto di provare il dolore e l’afflizione per poter comprendere noi. Forse

anche noi dobbiamo scendere nelle profondità della mortalità per poter comprendere Lui e i nostri scopi

eterni.13

Il presidente Henry B. Eyring insegnò: “Sarà di conforto attendere nell’angoscia per il soccorso promesso

del Salvatore, con cui Egli sa, per esperienza, come guarirci e aiutarci … La fede in questo ci darà la

pazienza quando preghiamo, lavoriamo e aspettiamo di ricevere aiuto. Egli avrebbe potuto sapere come

soccorrerci semplicemente per rivelazione, ma scelse di imparare tramite l’esperienza personale”.14

Quella notte mi sentii “circondato con le braccia del suo amore”.15 Lacrime di gratitudine bagnarono il

mio cuscino. Più tardi, mentre leggevo in Matteo del ministero terreno di Cristo, feci un’altra scoperta:

“Poi, venuta la sera, gli presentarono molti … ed egli … guarì tutti gli ammalati”.16 Guarì tutti quelli che

vennero a Lui. Nessuno fu respinto.

Come ha insegnato l’anziano Dallin H. Oaks: “Le benedizioni di guarigione giungono in molti modi,

ognuno dei quali adatto ai bisogni individuali, come conosciuti da Colui che ci ama di più. Talvolta una

‘guarigione’ sana le malattie o allevia i fardelli. Altre volte, invece, siamo ‘guariti’ ricevendo la forza, la

comprensione o la pazienza di portare i fardelli che ci sono posti”.17 Chiunque verrà potrà essere “stretto

nelle braccia di Gesù”.18 Ogni anima può essere guarita dal suo potere. Ogni dolore può essere alleviato.

In Lui possiamo “trov[are] riposo alle anime [nostre]”.19 Le circostanze possono non cambiare subito, ma

dolore, preoccupazione, sofferenza e paura possono essere inghiottite dalla Sua pace e dal Suo balsamo

guaritore.

Ho notato che i bambini spesso accettano più naturalmente dolore e sofferenza. Sopportano in silenzio

con umiltà e mitezza. Ho avvertito uno spirito bello e dolce circondare questi piccoli.

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Sherrie, di tredici anni, ha subito un intervento di quattordici ore per un tumore alla spina dorsale.

Quando si è risvegliata nell’unità di terapia intensiva, ha detto: “Papà, zia Cheryl è qui, e… nonno

Norman e nonna Brown sono qui. E, papà, chi è quello in piedi accanto a te? … Ti somiglia, è solo più

alto. … Dice di essere tuo fratello Jimmy”. Suo zio Jimmy era morto a 13 anni per fibrosi cistica.

Per circa un’ora Sherrie descrisse i suoi visitatori, tutti membri della famiglia deceduti. Esausta, alla fine si

addormentò.

In seguito disse al padre: “Papà, tutti i bambini qui in terapia intensiva hanno angeli che li aiutano”.20

A tutti noi Egli ha detto:

“Ecco, voi siete dei piccoli fanciulli e non potete sopportare adesso ogni cosa; dovete crescere in grazia e

nella conoscenza della verità. Non temete, fanciulli, poiché siete miei. … Pertanto, Io sono in mezzo a voi,

e sono il buon pastore”.21

La nostra più grande sfida nella vita è diventare “santificat[i] tramite l’espiazione di Cristo”.22 Il dolore

che proviamo può significare proprio che il processo è in atto. Nel momento più difficile, possiamo

diventare bambini nel cuore, umiliarci e “preg[are], lavor[are] e aspett[are]”23 pazientemente che corpo e

anima vengano guariti. Come Giobbe, dopo essere stati raffinati dalle prove, potremo “uscir[e] come

l’oro”.24

Rendo testimonianza che Egli è il nostro Redentore, Amico e Avvocato, il grande medico, il grande

guaritore. In Lui possiamo trovare pace e sollievo nel e dal dolore e dal peccato, se verremo a Lui con

cuore umile. La Sua “grazia basta”.25 Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Orson F. Whitney, citato in Spencer W. Kimball, Faith Precedes the Miracle (1972), 98.

2. Robert D. Hales, “Guariamo l’anima e il corpo”, La Stella, gennaio 1999, 16.

3. Vedere Alma 31:31, 33.

4. 2 Nefi 2:1.

5. 2 Nefi 9:21.

6. Ebrei 4:16. Paolo ci ha insegnato a guardare al Salvatore come esempio per trattare l’“opposizione dei peccatori contro

a [noi], onde non abbia[mo] a stancar[ci], perdendo[ci] d’animo” (Ebrei 12:3).

7. Geremia 8:22.

8. Alma 36:14.

9. 2 Nefi 9:13.

10. 3 Nefi 27:14–15; corsivo dell’autore.

11. 1 Nefi 11:31.

12. Alma 7:11–12; corsivo dell’autore.

13. Vedere John Taylor, The Mediation and Atonement (1882), 97.Egli scrive di un’“alleanza” stipulata tra il Padre e il Figlio

nel concilio premortale per il compimento della redenzione espiatoria dell’umanità. La Sua sofferenza volontaria durante

la vita era in aggiunta alla sofferenza nel giardino e sulla croce (vedere Mosia 3:5–8).

14. Henry B. Eyring, “Le avversità”, Liahona, maggio 2009, 23–27; corsivo dell’autore.

15. Vedere Dottrina e Alleanze 6:20.

16. Matteo 8:16; corsivo dell’autore.

17. Dallin H. Oaks, “Egli guarisce gli oppressi”, Liahona, novembre 2006, 7–8.

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18. Moroni 5:11.

19. Matteo 11:29.

20. Vedere Michael R. Morris, “Sherrie’s Shield of Faith”, Ensign, giugno 1995, 46.

21. Dottrina e Alleanze 50:40–41,44.

22. Mosia 3:19.

23. Henry B. Eyring, Liahona, maggio 2009, 24.

24. Giobbe 23:10.

25. 2 Corinzi 12:9; vedere anche Ether 12:26–27; Dottrina e Alleanze 18:31.

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«Più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati»

ANZIANO PAUL V. JOHNSON

Membro dei Settanta

a vita sulla terra include prove, difficoltà e tribolazioni, alcune di queste prove potrebbero essere

davvero dolorose. Sia che si tratti di malattie, tradimenti, tentazioni, perdita di una persona cara,

disastri naturali o qualche altra esperienza traumatica, l’afflizione fa parte della nostra esperienza

terrena. Molte persone si sono chieste perché dobbiamo affrontare periodi difficili. Sappiamo che una

delle ragioni è fornire una prova della nostra fede per vedere se faremo tutto quello che il Signore ha

comandato.1 Per fortuna, la vita terrena è il contesto perfetto per affrontare, e superare, queste prove.2

Ma queste difficoltà non servono solo a metterci alla prova. Esse sono di vitale importanza per il processo

di affinare la natura divina.3 Se gestiremo queste afflizioni nel modo corretto, esse saranno consacrate per

il nostro profitto.4

L’anziano Orson F. Whitney ha detto:

“Nessun dolore che soffriamo o prova che attraversiamo sono sprecati … Tutto quello che subiamo e

tutto quello che sopportiamo, specialmente quando lo facciamo con pazienza, rafforza il nostro

carattere, purifica il nostro cuore, allarga la nostra anima e ci rende più generosi e caritatevoli … È

tramite il dolore e la sofferenza, le prove e le tribolazioni che acquisiamo l’istruzione che siamo

venuti ad acquisire quaggiù”.5

Di recente, a un bambino di nove anni è stato diagnosticato un raro tipo di cancro alle ossa. Il medico

spiegò la diagnosi e il trattamento, il quale includeva mesi di chemioterapia e un intervento chirurgico

importante. Egli disse che sarebbe stato un periodo davvero difficile per il bambino e per la sua famiglia,

ma poi aggiunse: “Le persone mi chiedono se, superato tutto questo, saranno le stesse; io dico loro: ‘No,

non sarà la stessa persona. Lei sarà molto più forte. Lei sarà una persona fantastica!’”

A volte può sembrare che le nostre prove siano concentrate in aspetti della nostra vita e parti della nostra

anima nelle quali sembriamo meno capaci di affrontarle. Poiché la crescita personale è il risultato previsto

per queste prove, il fatto che esse possano essere molto personali, quasi dirette attentamente alle nostre

particolari necessità o debolezze, non dovrebbe sorprenderci. E nessuno ne è esente, specialmente i santi

che stanno provando a fare ciò che è giusto. Qualche santo obbediente potrebbe chiedersi: “Perché io? Sto

provando a essere buono! Perché il Signore sta permettendo che ciò accada?” La fornace dell’afflizione

aiuta a purificare persino il migliore dei santi bruciando le scorie della sua vita e lasciando l’oro puro.6 È

necessario raffinare anche il metallo più puro, per rimuoverne le impurità. Essere buoni non è

abbastanza. Vogliamo diventare come il Salvatore, il quale ha imparato mentre soffriva “pene e afflizioni

e tentazioni di ogni specie”.7

La Crimson Trail, al Logan Canyon, è una delle mie escursioni preferite. La maggior parte del sentiero si

insinua lungo la cima di alti precipizi calcarei e offre una meravigliosa vista del canyon e delle valli

sottostanti. Comunque, arrivare in cima non è facile. Il sentiero è una continua salita e, poco prima di

arrivare in cima, c’è la parte più ripida del percorso e la vista del canyon è nascosta dalle rocce stesse. Lo

sforzo finale vale di gran lunga la pena perché, quando l’escursionista raggiunge la cima, la vista gli

toglie il respiro. L’unico modo per ammirare il panorama è fare la scalata.

L

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Un modello nelle Scritture e nella vita mostra che molte volte le prove più difficili e pericolose vengono

subito prima di eventi significativi e di una straordinaria crescita. “Dopo molta tribolazione vengono le

benedizioni”.8 I figliuoli d’Israele erano intrappolati davanti al Mar Rosso prima che fosse diviso.9 Nefi ha

affrontato il pericolo, la rabbia dei suoi fratelli e numerosi fallimenti prima di poter ottenere le tavole di

bronzo.10 Joseph Smith è stato sopraffatto da un potere malvagio tanto forte da fargli credere di essere

destinato a una distruzione totale. Quando era quasi pronto a sprofondare nella disperazione, si sforzò di

invocare Dio e, proprio in quel momento ricevette la visita del Padre e del Figlio.11Spesso, quando sono

vicini al battesimo, i simpatizzanti affrontano opposizione e tribolazione. Le madri sanno che le difficoltà

del travaglio precedono il miracolo della nascita. Di volta in volta, vediamo le meravigliose benedizioni

che seguono le grandi prove.

Quando mia nonna aveva circa 19 anni, ha sviluppato una malattia che l’ha fatta stare veramente male. In

seguito ha detto: “Non riuscivo a camminare. Dopo essere stata costretta a letto per diversi mesi, il mio

piede sinistro era completamente fuori forma. Le ossa erano soffici come spugna e, quando poggiavo il

piede per terra, sentivo una scossa elettrica”.12Mentre era costretta a letto, e nel momento peggiore delle

sue sofferenze, ella ricevette e studiò alcuni opuscoli della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi

Giorni. Si convertì e in seguito fu battezzata. Molte volte una particolare difficoltà ci aiuta a prepararci per

qualcosa d’importanza vitale.

In mezzo ai problemi, è quasi impossibile vedere che l’arrivo delle benedizioni è molto più grande del

dolore, dell’umiliazione o dell’angoscia che possiamo provare in quel momento. “Or ogni disciplina

sembra, è vero, per il presente non esser causa d’allegrezza, ma di tristizia; però rende poi un pacifico

frutto di giustizia a quelli che sono stati per essa esercitati”.13 L’apostolo Paolo ha insegnato: “Perché la

nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di

gloria”.14 È interessante il fatto che Paolo usi il termine “leggera afflizione”. Viene da una persona che è

stata percossa, lapidata, che ha naufragato, è stata imprigionata e che ha attraversato molte altre

prove.15 Dubito che molti di noi definiscano le proprie afflizioni “leggere”. Certo che paragonate alle

benedizioni e alla crescita che riceviamo alla fine, sia in questa vita che nell’eternità, le nostre afflizioni

sono veramente leggere.

Noi non ricerchiamo le prove, le difficoltà e le tribolazioni. Nel corso della nostra vita ne affronteremo la

quantità adatta alle nostre esigenze. Molte prove sono solo una parte naturale della nostra esistenza

terrena, ma giocano un ruolo molto importante nel nostro progresso.

Quando il ministero terreno del Salvatore stava per concludersi, Egli affrontò la prova più difficile di tutti

i tempi: l’incredibile sofferenza nel Getsemani e sul Golgota. Questo precedette la gloriosa Resurrezione e

la promessa che un giorno tutte le nostre sofferenze sarebbero state eliminate. La Sua sofferenza era

necessaria perché ci fosse un sepolcro vuoto quel mattino di Pasqua e per la nostra futura immortalità e

vita eterna.

A volte desideriamo ottenere una crescita senza le prove e di sviluppare la forza senza nessuna lotta. Ma

non si può crescere prendendo una scorciatoia. Comprendiamo chiaramente che un atleta che non svolge

un rigoroso allenamento non diventerà mai un atleta che compete a livello mondiale. Dobbiamo stare

attenti a non offenderci per le cose che ci aiutano ad affinare la nostra natura divina.

Nessuna delle prove e delle tribolazioni che affrontiamo supera i nostri limiti perché abbiamo accesso

all’aiuto del Signore. Per mezzo di Cristo che ci fortifica, possiamo fare ogni cosa.16

Dopo essersi ripreso da gravi problemi di salute, durante la conferenza generale l’anziano Robert D.

Hales ha detto quanto segue:

“In qualche rara occasione, dissi al Signore che avevo sicuramente imparato la lezione insegnatami e

che non ci sarebbe stato bisogno che soffrissi ancora. Tali suppliche non sembrarono portarmi alcun

beneficio, in quanto mi fu reso chiaro che questo processo purificatore di prove doveva venire

sopportato secondo i tempi e nei modi stabiliti dal Signore …

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Imparai anche che non sarei stato lasciato solo ad affrontare queste prove e tribolazioni, ma che degli

angeli custodi mi avrebbero assistito. Ci sono state persone molto simili agli angeli nelle vesti di

dottori, infermiere, e più di tutti della mia dolce moglie, Mary. Ed occasionalmente, quando il

Signore lo desiderava, mi è stato possibile essere confortato da visite di eserciti celesti che hanno

portato conforto e rassicurazioni eterne nel mio momento di bisogno”.17

Il nostro Padre Celeste ci ama e noi sappiamo “che chiunque riporrà la sua fiducia in Dio sarà sostenuto

nelle sue prove, nelle sue difficoltà e nelle sue afflizioni, e sarà elevato all’ultimo giorno”.18 Un giorno,

quando saremo dall’altra parte del velo, non vogliamo che ci sia una persona qualunque per dirci

soltanto: “Bene, hai finito”. Vogliamo, invece, che il Signore ci dica: “Va bene, buono e fedel servitore”.19

Amo le parole di Paolo:

“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, o la distretta, o la persecuzione, o la

fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada? … Anzi, in tutte queste cose, noi siam più che vincitori, in

virtù di colui che ci ha amati”.20

Io so che Dio vive e che Suo Figlio Gesù Cristo vive. So anche che attraverso il Loro aiuto possiamo essere

“più che vincitori” delle tribolazioni che affrontiamo in questa vita. Possiamo diventare come Loro. Nel

nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Vedere 1 Pietro 1:6–8; Abrahamo 3:25.

2. Vedere 1 Pietro 2:20.

3. Vedere 2 Pietro 1:4.

4. Vedere 2 Nefi 2:2.

5. Orson F. Whitney, in Spencer W. Kimball, Faith Precedes the Miracle (1972), 98.

6. Vedere Isaia 48:10; 1 Nefi 20:10.

7. Vedere Alma 7:11–12.

8. Dottrina e Alleanze 58:4.

9. Vedere Esodo 14:5–30.

10. Vedere 1 Nefi 3–4.

11. Vedere Joseph Smith—Storia 1:15–17.

12. Amalie Hollenweger Amacher, storia non pubblicata in possesso dell’autore.

13. Ebrei 12:11.

14. 2 Corinzi 4:17.

15. Vedere 2 Corinzi 11:23–28.

16. Vedere Filippesi 4:13.

17. Robert D. Hales, “L’alleanza del battesimo: essere nel regno e del regno”, Liahona, gennaio 2001, 6.

18. Alma 36:3.

19. Matteo 25:21.

20. Romani 8:35, 37.

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Il miracolo dell’Espiazione C. SCOTT GROW

Membro dei Settanta

entre preparavo il discorso per la conferenza, ricevetti una telefonata inaspettata da mio padre.

Mi disse che quella mattina mio fratello minore era spirato nel sonno. Provai un dolore

immenso. Aveva solo cinquantuno anni. Pensando a lui, sentii di dovervi parlare di alcuni fatti

che riguardano la sua vita e ho avuto il permesso di farlo.

Da giovane mio fratello era un bell’uomo, cordiale, amichevole e completamente devoto al Vangelo.

Dopo aver servito onorevolmente una missione, si sposò al tempio con la donna amata. Ebbero un figlio e

una figlia. Il suo futuro era pieno di promesse.

Poi cedette a una debolezza: scelse di vivere in maniera edonistica e questa scelta gli costò la salute, il

matrimonio e l’appartenenza alla Chiesa.

Si trasferì lontano da casa. Andò avanti con il suo modo di vivere autodistruttivo per più di dieci anni, ma

il Salvatore non lo aveva dimenticato, né abbandonato. Alla fine, il dolore della disperazione permise allo

spirito di umiltà di entrare nella sua anima. La rabbia, la ribellione e l’aggressività cominciarono a

dissiparsi. Come il figliuol prodigo, “rientrato in sé”1, iniziò a cercare il Salvatore e ad incamminarsi sulla

strada di casa, dove genitori fedeli non avevano mai perso speranza.

Percorse il sentiero del pentimento. Non fu facile. Dopo essere stato fuori dalla Chiesa per dodici anni, fu

ribattezzato e ricevette di nuovo il dono dello Spirito Santo. Infine gli vennero restaurate le benedizioni

del sacerdozio e del tempio.

Ebbe la benedizione di trovare una donna capace di accettare i problemi di salute che il suo precedente

stile di vita gli aveva lasciato. Furono suggellati nel tempio ed ebbero due figli. Servì fedelmente per

diversi anni in un vescovato.

Mio fratello morì un lunedì mattina, il 7 marzo. Il venerdì sera precedente, lui e sua moglie erano andati

al tempio. La domenica mattina, il giorno prima di morire, aveva insegnato la lezione alla classe del suo

gruppo di sommi sacerdoti. Quella sera andò a dormire per non svegliarsi più in questa vita, ma per

levarsi nella resurrezione dei giusti.

Sono grato per il miracolo dell’Espiazione nella vita di mio fratello. L’Espiazione del Salvatore è a

disposizione di ognuno di noi, sempre.

Vi accediamo mediante il pentimento. Quando ci pentiamo, il Signore ci consente di lasciarci alle spalle

gli errori del passato.

“Ecco, colui che si è pentito dei suoi peccati è perdonato, e io, il Signore, non li ricordo più. Da

questo potrete sapere se un uomo si pente dei suoi peccati: ecco, li confesserà e li abbandonerà”.2

M

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Tutti noi conosciamo una persona che ha avuto gravi difficoltà, qualcuno che si è smarrito, qualcuno che

ha rinunciato. Quella persona potrebbe essere un amico o un parente, un genitore o un figlio, un marito o

una moglie. Oppure potreste essere voi.

Io mi rivolgo a ognuno di voi. Parlo del miracolo dell’Espiazione.

Il Messia venne per redimere gli uomini dalla caduta di Adamo.3 Ogni cosa nel vangelo di Gesù Cristo

punta verso il sacrificio espiatorio del Messia, il Figlio di Dio.4

Il piano di salvezza non avrebbe potuto realizzarsi senza un’espiazione. “Perciò Dio stesso espia per i

peccati del mondo, per realizzare il piano della misericordia, per placare le richieste della giustizia,

affinché Dio possa essere un Dio perfetto e giusto, e anche un Dio misericordioso”.5

Il sacrificio espiatorio doveva essere compiuto dal Figlio di Dio che era senza peccato, poiché l’uomo

caduto non avrebbe potuto espiare per i propri peccati.6 L’Espiazione doveva essere infinita ed eterna per

includere tutti gli uomini per tutta l’eternità.7

Con le Sue sofferenze e la Sua morte il Salvatore espiò per i peccati di tutti gli uomini.8 La Sua Espiazione

ebbe inizio nel Getsemani, continuò sulla croce e culminò con la resurrezione.

“Sì,… egli sarà condotto, crocifisso e ucciso, e la carne diventa così sottomessa anche alla morte, e la

volontà del Figlio viene assorbita dalla volontà del Padre”.9 Tramite il Suo sacrificio espiatorio Egli

fece “della sua vita un’offerta per il peccato”.10

In quanto Unigenito Figlio di Dio, ereditò il potere sulla morte fisica. Questo Gli permise di resistere

fisicamente quando soffrì “anche più di quanto l’uomo possa sopportare a meno che ne muoia; poiché

ecco, il sangue gli [uscì] da ogni poro, sì grande [fu] la sua angoscia per la malvagità e le abominazioni del

suo popolo”.11

Egli non solo pagò il prezzo per i peccati di tutti gli uomini, ma prese anche “su di sé le pene e le malattie

del suo popolo”. E prese “su di sé le loro infermità, affinché le sue viscere po[tessero] essere piene di

misericordia,… affinché egli po[tesse] conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle

loro infermità”.12

Il Salvatore provò il peso dell’angoscia dei peccati e dei dolori dell’intera umanità. “Certamente egli ha

portato le nostre afflizioni e si è caricato i nostri dolori”.13

Mediante la Sua Espiazione non solo guarisce il trasgressore, ma guarisce anche l’innocente che soffre a

motivo di quelle trasgressioni. Se l’innocente esercita la fede nel Salvatore e nella Sua Espiazione e

perdona il trasgressore, anche lui potrà essere guarito.

Vi sono momenti in cui tutti noi abbiamo “bisogno del sollievo dal senso di colpa che deriva dagli errori e

dai peccati”.14 Se ci pentiamo, il Salvatore libererà la nostra anima dalla colpa.

Grazie al Suo sacrificio espiatorio i nostri peccati ci vengono perdonati. Ad esclusione dei figli di

perdizione, l’Espiazione è a disposizione di tutti, sempre, a prescindere dalla grandezza del peccato, “a

condizione del pentimento”.15

Per il Suo amore infinito, Gesù Cristo ci invita a pentirci per non dover patire tutto il peso dei nostri

peccati:

“Pentitevi, perché … le vostre sofferenze [non] siano dolorose — quanto dolorose non sapete, quanto

intense non sapete, sì, quanto dure da sopportare non sapete. Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto

queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno; Ma se non volessero pentirsi, essi

dovranno soffrire proprio come me; E queste sofferenze fecero sì che io stesso, Iddio, il più grande di

tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo che nello spirito”.16

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Il Salvatore offre la guarigione a coloro che soffrono a causa del peccato. “Non volete ora ritornare a me,

pentirvi dei vostri peccati e essere convertiti, affinché io possa guarirvi?”17

Gesù Cristo è il Grande Guaritore delle nostre anime. Ad eccezione dei peccati di perdizione, non vi è

peccato o trasgressione, pena o dolore, che sia fuori dalla portata del potere guaritore della Sua

Espiazione.

Quando pecchiamo, Satana ci dice che siamo perduti. Al contrario, il Redentore offre a tutti la redenzione,

anche a me e a voi, a prescindere da che cosa abbiamo fatto di male.

Quando pensate alla vostra vita, vi sono cose che dovreste cambiare? Avete commesso errori che non

avete ancora corretto?

Se soffrite a causa di un senso di colpa o di rimorso, risentimento, rabbia o perdita di fede, vi invito a

cercare sollievo. Pentitevi e abbandonate i peccati. Poi chiedere in preghiera perdono a Dio. Chiedete alle

persone che avete danneggiato di perdonarvi. Perdonate coloro che vi hanno fatto del male. Perdonate

voi stessi.

Andate dal vescovo, se necessario. Egli è il messaggero di misericordia del Signore. Egli vi aiuterà nello

sforzo di ritornare puri attraverso il pentimento.

Immergetevi nella preghiera e nello studio delle Scritture. Nel farlo sentirete l’influenza santificatrice

dello Spirito. Il Salvatore disse: “Santificatevi; sì, purificate il vostro cuore e nettate le vostre mani…

dinanzi a me, affinché io possa rendervi puri”.18

Quando diventiamo puri per il potere della Sua Espiazione, il Salvatore diventa il nostro avvocato presso

il Padre e prega:

“Padre, guarda le sofferenze e la morte di colui che non peccò, nel quale Tu ti compiacesti; guarda il

sangue di Tuo Figlio, che fu versato, il sangue di colui che Tu desti affinché Tu fossi glorificato;

Pertanto, Padre, risparmia questi miei fratelli che credono nel mio nome, affinché possano venire a

me e avere vita eterna”.19

Ognuno di noi ha ricevuto il dono del libero arbitrio. “Gli uomini sono liberi… di scegliere la libertà e la

vita eterna, tramite il grande Mediatore di tutti gli uomini, o di scegliere la schiavitù e la morte, secondo

… il potere del diavolo”.20

Anni fa mio fratello esercitò il suo libero arbitrio scegliendo uno stile di vita che gli costò la salute, la

famiglia e l’appartenenza alla Chiesa. Anni dopo esercitò lo stesso libero arbitrio scegliendo di pentirsi,

conformare la sua vita agli insegnamenti del Salvatore e rinascere letteralmente mediante il potere

dell’Espiazione.

Rendo testimonianza del miracolo dell’Espiazione. Ne ho visto il potere guaritore nella vita di mio

fratello e l’ho sentito nella mia. Il potere guaritore e redentore dell’Espiazione è sempre a nostra

disposizione.

Attesto che Gesù è il Cristo, il Guaritore della nostra anima. Prego che ciascuno di noi scelga di accettare

l’invito del Salvatore: “Non volete ora ritornare a me, pentirvi dei vostri peccati e essere convertiti,

affinché io possa guarirvi?”21 Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Luca 15:17.

2. Dottrina e Alleanze 58:42–43.

3. Vedere 2 Nefi 2:25–26.

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4. Vedere Alma 34:14.

5. Alma 42:15.

6. Vedere Alma 34:11.

7. Vedere Alma 34:10.

8. Vedere Alma 22:14.

9. Mosia 15:7.

10. Mosia 14:10.

11. Mosia 3:7.

12. Alma 7:11–12.

13. Mosia 14:4.

14. Predicare il mio Vangelo: guida al servizio missionario (2005), 2.

15. Dottrina e Alleanze 18:12.

16. Dottrina e Alleanze 19:15–18.

17. 3 Nefi 9:13.

18. Dottrina e Alleanze 88:74.

19. Dottrina e Alleanze 45:4–5.

20. 2 Nefi 2:27.

21. 3 Nefi 9:13.

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«PERCHÉ IO VIVO E VOI VIVRETE»

ANZIANO SHAYNE M. BOWEN

Membro dei Settanta

uando servivo come giovane missionario in Cile, nel ramo io e il mio collega incontrammo una

famiglia di sette persone. La madre frequentava ogni settimana con i figli. Pensavamo che fossero

membri della Chiesa da molto tempo. Dopo diverse settimane scoprimmo che non erano stati

battezzati.

Contattammo immediatamente la famiglia chiedendo se potevamo andare a istruirli. Il padre non era

interessato al Vangelo, ma non obiettò che insegnassimo alla sua famiglia. La sorella Ramirez progredì

rapidamente nel corso delle lezioni. Era ansiosa di imparare tutta la dottrina che insegnavamo. Una sera,

mentre parlavamo del battesimo dei neonati, insegnammo che i bambini piccoli sono innocenti e non

hanno bisogno del battesimo. La invitammo a leggere nel libro di Moroni:

“Ecco, io ti dico che dovete insegnare questo: il pentimento e il battesimo per coloro che sono

responsabili e capaci di commettere peccato; sì, insegnate ai genitori che devono pentirsi ed essere

battezzati, e umiliarsi come i loro bambini, e saranno tutti salvati con i loro bambini. E i loro bambini

non hanno bisogno del pentimento, né del battesimo. Ecco, il battesimo è per il pentimento, per

adempiere i comandamenti per la remissione dei peccati. Ma i bambini sono vivi in Cristo fin dalla

fondazione del mondo; se non fosse così, Dio sarebbe un Dio parziale e anche un Dio mutevole, e

che ha riguardo alla qualità delle persone; poiché, quanti bambini sono morti senza battesimo!”1

Dopo aver letto questo passo di Scritture, la sorella Ramirez iniziò a piangere. Io e il mio collega eravamo

confusi e le chiedemmo: “Sorella Ramirez, abbiamo detto o fatto qualcosa che l’ha offesa?”

Lei rispose: “Oh no, Anziano, non avete fatto nulla di male. Sei anni fa avevo un figlio. Morì prima che

potessimo battezzarlo. Il nostro sacerdote ci disse che, poiché non era stato battezzato, sarebbe stato nel

limbo per tutta l’eternità. Per sei anni ho provato questo dolore e questa colpa. Dopo aver letto questo

passo so, grazie al potere dello Spirito Santo, che questo è vero. Mi è stato tolto un grosso peso, e queste

lacrime sono di gioia”.

Mi ricordai degli insegnamenti del profeta Joseph Smith, che insegnò questa dottrina confortante: “Il

Signore chiama a Sé molti, anche nell’infanzia, affinché possano sfuggire all’invidia dell’uomo, ai dolori e

ai mali del mondo attuale; essi sono troppo puri, troppo belli per vivere sulla terra; quindi, se ci si pensa

bene, invece di piangere, abbiamo motivo di rallegrarci, perché essi sono liberati dal male e presto li

riavremo”.2

Dopo sei anni di dolore e pena quasi insopportabili, la vera dottrina, rivelata da un affettuoso Padre

Celeste tramite un profeta vivente, portò pace a questa donna tormentata. Inutile dire che la sorella

Ramirez e i suoi figli maggiori di otto anni furono battezzati. Ricordo di aver scritto alla mia famiglia per

esprimere la gratitudine che provavo nel cuore per la conoscenza di questa e di molte altre verità chiare e

preziose del vangelo restaurato di Gesù Cristo. Non mi sarei mai immaginato che questo principio

meraviglioso e vero mi si sarebbe ripresentato negli anni successivi per dimostrare di essere il mio

balsamo in Galaad.

Q

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Vorrei parlare a chi ha perso un figlio e si chiede: “Perché è successo a me?”, o forse ha anche messo in

dubbio la sua fede in un amorevole Padre in cielo. Prego che, mediante il potere dello Spirito Santo, io

possa portarvi una certa misura di speranza, pace e comprensione. Desidero essere uno strumento per

ripristinare la vostra fede in un amorevole Padre Celeste che conosce tutte le cose e che permette che

viviamo delle prove affinché possiamo giungere a conoscerLo, ad amarLo e a comprendere che senza di

Lui non abbiamo nulla.

Il 4 febbraio 1990 nacque il nostro sesto figlio, il terzo maschio. Lo chiamammo Tyson. Era un bellissimo

bambino e la famiglia lo accolse a braccia e cuori aperti. I suoi fratelli e le sue sorelle erano molto fieri di

lui. Pensavamo che fosse il bambino più perfetto mai nato.

Quando Tyson aveva otto mesi, ingoiò un pezzo di gesso che aveva trovato sul tappeto. Il gesso gli si

bloccò in gola e lui smise di respirare. Il suo fratello maggiore lo portò al piano di sopra, gridando

freneticamente: “Il piccolo non respira, il piccolo non respira”. Provammo a rianimarlo e chiamammo i

soccorsi.

I paramedici arrivarono e portarono di corsa Tyson in ospedale. Nella sala d’attesa continuammo a

pregare ferventemente e a invocare Dio perché compisse un miracolo. Dopo quella che sembrò una vita,

una dottoressa entrò nella sala e disse: “Mi dispiace. Non possiamo fare altro. Prendetevi tutto il tempo

che volete”. Poi se ne andò.

Quando entrammo nella stanza dove giaceva Tyson, vedemmo il nostro piccolo senza vita. Era come se

intorno al suo corpicino ci fosse una luce celeste. Era radioso e puro. In quel momento fu come se il nostro

mondo fosse finito. Come potevamo tornare dagli altri figli e cercare di spiegare loro che Tyson non

sarebbe tornato a casa?

Parlerò al singolare mentre racconterò il resto dell’esperienza. Io e il mio angelo di moglie affrontammo

insieme questa prova, ma io non sono in grado di esprimere i sentimenti di una madre e non mi

permetterei di farlo.

È impossibile descrivere l’insieme di sentimenti che provai in quel periodo della vita. La maggior parte

del tempo mi sentivo come se fossi in un brutto sogno e che mi sarei presto svegliato e questo orribile

incubo sarebbe finito. Per molte notti non dormii. Spesso nella notte vagavo da una stanza all’altra per

assicurarmi che i nostri figli stessero bene. La mia anima era tormentata dal senso di colpa. Mi sentivo

colpevole. Mi sentivo responsabile. Io ero suo padre, avrei dovuto fare di più per proteggerlo. Se solo

avessi fatto questo o quello. A volte, ancora oggi, ventidue anni dopo, quei sentimenti si insinuano nel

mio cuore e io devo liberarmene in fretta perché possono essere distruttivi.

Circa un mese dopo la morte di Tyson, ebbi un’intervista con l’anziano Dean L. Larsen. Lui stette ad

ascoltarmi e io sarò sempre grato per i suoi consigli e il suo amore. Disse: “Non credo che il Signore

voglia che tu ti punisca per la morte del tuo bambino”. Sentii l’amore del mio Padre Celeste giungere

tramite uno dei Suoi strumenti eletti.

Tuttavia, i pensieri strazianti continuarono ad affliggermi, così iniziai a provare rabbia. Non era giusto!

Come aveva potuto Dio farmi questo? Perché proprio a me? Che cosa avevo fatto per meritarmelo? Ero

arrabbiato anche con le persone che stavano cercando di confortarci. Ricordo degli amici che dicevano:

“So come ti senti”. Io pensavo: “Tu non hai idea di come mi sento. Lasciami in pace”. Scoprii presto che

anche l’autocommiserazione può essere molto dannosa. Mi vergognavo perché nutrivo pensieri poco

gentili per i nostri cari amici che stavano solo cercando di aiutarci.

Quando sentii che la colpa, la rabbia e l’autocommiserazione mi stavano consumando, pregai che il mio

cuore potesse cambiare. Attraverso esperienze personali molto sacre, il Signore mi concedette un cuore

nuovo e, sebbene continuassi a provare malinconia e dolore, la mia prospettiva cambiò. Mi fu dato di

sapere che non ero stato privato di nulla, anzi, che c’erano grandi benedizioni che mi attendevano se mi

fossi dimostrato fedele.

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La mia vita iniziò a cambiare e riuscii a guardare avanti con speranza, invece di guardare indietro con

disperazione. Rendo testimonianza che questa vita non è la fine. Il mondo degli spiriti è reale. Gli

insegnamenti dei profeti riguardo alla vita dopo la morte sono veri. Questa vita non è che una fase

transitoria nel nostro viaggio per ritornare dal nostro Padre Celeste.

Tyson è rimasto una parte integrante della nostra famiglia. Nel corso degli anni è stato meraviglioso

vedere la misericordia e la bontà di un affettuoso Padre in cielo che ha permesso alla nostra famiglia di

sentire in modi molto tangibili l’influenza di Tyson. Attesto che il velo è sottile. I sentimenti di lealtà,

amore e unità familiare che proviamo non finiscono quando i nostri cari passano dall’altra parte;

piuttosto tali sentimenti si intensificano.

A volte le persone mi chiedono: “Quanto tempo ti ci è voluto per superarlo?” La verità è che non lo superi

mai completamente, finché non ti ritrovi di nuovo insieme ai tuoi cari che sono defunti. Non proverò mai

una pienezza di gioia finché non saremo riuniti il mattino della Prima Risurrezione.

“Poiché l’uomo è spirito. Gli elementi sono eterni, e spirito ed elementi inseparabilmente connessi

ricevono una pienezza di gioia. E quando sono separati, l’uomo non può ricevere una pienezza di

gioia”.3

Ma, nel frattempo, come ha insegnato il Salvatore, possiamo continuare a farci animo.4 Ho scoperto che il

dolore più penoso e insopportabile può diventare dolce se ci rivolgiamo al Padre Celeste e supplichiamo

di avere il Suo conforto che deriva dal Suo piano, da Suo Figlio – Gesù Cristo – e dal Suo Consolatore, che

è lo Spirito Santo.

Quale benedizione gloriosa è questa nella nostra vita. Non sarebbe tragico se non provassimo un grande

dolore quando perdiamo un figlio? Sono molto grato al mio Padre in cielo perché ci concede di amare

profondamente e di amare eternamente. Sono molto grato per le famiglie eterne. Sono molto grato che

Egli abbia rivelato ancora una volta, tramite i Suoi profeti viventi, il glorioso piano di redenzione.

Sono sicuro che ricordate ancora, quando avete partecipato al funerale di un vostro caro, i sentimenti

provati nel lasciare il cimitero ripensando a quella bara solitaria, chiedendovi se il vostro cuore non

avrebbe ceduto. Rendo testimonianza che grazie a Lui – al nostro Salvatore Gesù Cristo – un giorno quei

sentimenti di cordoglio, solitudine e disperazione saranno sommersi da una pienezza di gioia. Attesto che

possiamo fare affidamento su di Lui e credere alle Sue parole:

“Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. Ancora un po’, e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi

vedrete, perché io vivo e voi vivrete”.5

Attesto che, come dichiarato in Predicare il mio Vangelo, “quando facciamo affidamento sull’Espiazione di

Gesù Cristo, Egli può aiutarci a superare le prove, le malattie e i dolori. Possiamo essere riempiti di gioia,

pace e consolazione. Tutto ciò che è ingiusto nella vita può essere sistemato attraverso l’Espiazione di

Gesù Cristo”.6

Rendo testimonianza che quel mattino glorioso della Prima Risurrezione, i miei e i vostri cari usciranno

dalle tombe, come promesso dal Signore Stesso, e avremo una pienezza di gioia. Poiché Egli vive, noi e

loro vivremo. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Moroni 8:10–12.

2. Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph

Smith (2007), 182.

3. Dottrina e Alleanze 93:33–34.

4. Vedere Giovanni 16:33.

5. Giovanni 14:18–19.

6. Predicare il mio Vangelo: guida al servizio

missionario (2005), 52.

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è scritta nel nostro cuore?

LINDA K. BURTON

Presidentessa generale della Società di Soccorso

ome voi, anche io amo le Scritture! Nel libro di Geremia troviamo un versetto che mi è davvero caro.

Geremia visse in un periodo e in un luogo difficili, ma il Signore gli permise di “prev[edere]

un’epoca di speranza durante il raduno dell’Israele degli ultimi giorni”:2 i nostri giorni. Geremia

profetizzò:

“Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno

mio popolo … poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice l’Eterno. Poiché io

perdonerò la loro iniquità, e non mi ricorderò più del loro peccato”.3

Noi siamo le persone che Geremia vide. Abbiamo invitato il Signore a scrivere la legge, o dottrina, nel nostro

cuore? Crediamo che il perdono, disponibile grazie all’Espiazione di cui parla Geremia, si applica a noi

personalmente?

Alcuni anni fa l’anziano Jeffrey R. Holland ha condiviso ciò che provava riguardo alla fede profondamente

radicata dei pionieri che si spinsero verso la Valle del Lago Salato anche dopo la morte dei propri figli. Ha

detto: “Non lo fecero per un programma o un’attività sociale. Lo fecero per via della fede nel vangelo di

Gesù Cristo che era nella loro anima; era nel midollo delle loro ossa”.

Con tenera emozione, ha aggiunto:

“È l’unico modo in cui quelle madri poterono seppellire i figli [in un portapane, andare avanti] e dire: ‘La

terra promessa è laggiù. Andremo fino alla valle’. [Poterono dirlo] per via delle alleanze, delle dottrine, della

fede, della rivelazione e dello Spirito”.

Ha concluso con queste parole che inducono a riflettere:

“Se abbiamo questo nelle nostre famiglie e nella Chiesa, tante altre cose inizieranno a risolversi da

sole. Tante altre cose [meno necessarie] cadranno dai carri. Quei carretti a mano non permettevano

di portare molto. Come i pionieri dovevano scegliere che cosa portare, forse anche il 21º secolo ci

porterà a scegliere: ‘Possiamo mettere questo sul carretto?’. E questa è l’essenza della nostra anima; è

ciò che abbiamo nel midollo delle ossa”.4

O, in altre parole, è ciò che è scritto nel nostro cuore!

Come presidenza della Società di Soccorso, abbiamo chiesto sinceramente al Signore per sapere quali cose

essenziali voleva che mettessimo sul carretto della Società di Soccorso per continuare a far avanzare la Sua

opera. Abbiamo sentito che il Padre Celeste vuole innanzi tutto che aiutiamo le Sue amate figlie a

comprendere la dottrina dell’Espiazione di Gesù Cristo.

C

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Sappiamo che, nel farlo, la nostra fede crescerà, insieme al desiderio di vivere rettamente. Secondo, quando

abbiamo meditato sulla forte necessità di rafforzare le famiglie e le case, abbiamo sentito che il Signore vuole

che incoraggiamo le Sue amate figlie a restare gioiosamente fedeli alle proprie alleanze. Rispettare le alleanze

rafforza le famiglie. Infine, sentiamo che Egli vuole che lavoriamo in unità con le altre organizzazioni

ausiliarie e con i nostri dirigenti del sacerdozio, sforzandoci di trovare i bisognosi e di aiutarli a progredire

lungo il sentiero. La nostra preghiera fervente è che ognuna di noi apra il proprio cuore e lasci che il Signore

vi incida le dottrine dell’Espiazione, delle alleanze e dell’unità.

Come possiamo aspettarci di rafforzare le famiglie o di aiutare gli altri se non abbiamo prima scritta nel

nostro cuore una fede profonda e duratura in Gesù Cristo e nella Sua Espiazione infinita? Stasera vorrei

condividere tre principi dell’Espiazione che, se scritti nel nostro cuore, accresceranno la fede in Gesù Cristo.

Spero che la comprensione di questi principi benedica ognuna di noi, a prescindere da quanto tempo siamo

membri della Chiesa.

Primo principio: “Tutto ciò che è ingiusto nella vita può essere sistemato attraverso l’Espiazione di Gesù

Cristo”.5

Insieme a voi rendiamo testimonianza dell’Espiazione del nostro Salvatore, Gesù Cristo. La nostra

testimonianza, come la vostra, è stata scritta nel nostro cuore perché abbiamo affrontato diverse difficoltà e

avversità che ci hanno rafforzate spiritualmente. Senza la comprensione del perfetto piano di felicità del

nostro Padre Celeste e dell’Espiazione del Salvatore come fulcro di tale piano, queste difficoltà avrebbero

potuto sembrare ingiuste. Tutte noi dobbiamo affrontare prove nella vita, ma nei cuori fedeli c’è scritto:

“Nella vita tutto ciò che è ingiusto può essere sistemato attraverso l’Espiazione di Gesù Cristo”.

Perché il Signore permette che in questa vita affrontiamo sofferenza e avversità? Detto in parole semplici, fa

parte del piano per poter crescere e progredire! “[Demmo] in gridi di giubilo”6 quando ci fu detto che

avremmo avuto l’opportunità di venire sulla terra per sperimentare la mortalità. L’anziano Dallin H. Oaks

ha insegnato: “Le nostre ben necessarie conversioni sono spesso raggiunte più prontamente tramite la

sofferenza e le avversità che mediante il conforto e la tranquillità”.7

L’esempio di una pioniera fedele dimostra questa verità. A 17 anni Mary Lois Walker sposò John T. Morris a

St. Louis, nel Missouri. Nel 1853 attraversarono le pianure con i santi, arrivando nella Valle del Lago Salato

poco dopo il loro primo anniversario. Lungo il viaggio soffrirono le privazioni tipiche degli altri pionieri, ma

le loro sofferenze e le loro avversità non terminarono con l’arrivo nella Valle del Lago Salato. L’anno

seguente Mary, allora diciannovenne, scrisse: “Abbiamo avuto un figlio… Una sera, quando aveva circa due

o tre mesi… una voce mi bisbigliò: ‘Perderai questo bambino’”.

Durante l’inverno, il bambino si ammalò. “Abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere… ma il

bambino è peggiorato in fretta… È morto il 2 febbraio… e così ho bevuto dalla coppa amara della

separazione dalla mia carne e dal mio sangue”. Ma le sue prove non erano ancora finite. Anche il marito di

Mary si ammalò e, tre settimane dopo aver perso il bambino, morì.

Mary scrisse: “Così, ancora adolescente, sono stata privata nel breve periodo di venti giorni di mio marito e

del mio unico figlio, in una terra sconosciuta a centinaia di chilometri dalla mia famiglia e con una montagna

di difficoltà di fronte a me… e desideravo morire anch’io e riunirmi ai miei cari”.

Mary continua: “Una domenica sera stavo passeggiando con una mia amica… mi ricordai dell’assenza [di

mio marito] e della mia grande solitudine; mentre piangevo amaramente vidi, come in una visione, la ripida

collina della vita che avrei dovuto scalare e ne avvertii la realtà con grande forza. Mi sentii profondamente

depressa, perché il nemico sa quando attaccarci, ma il nostro [Salvatore Gesù Cristo] è potente nel

salvare. Grazie… all’aiuto datomi dal Padre, ho potuto combattere contro tutta la forza che, a quel tempo,

sembrava essere dispiegata contro di me”.8

Alla tenera età di 19 anni, Mary imparò che l’Espiazione ci dà la sicurezza che tutto ciò che è ingiusto in

questa vita può essere sistemato e lo sarà — anche i dispiaceri più grandi.

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Secondo principio: nell’Espiazione c’è il potere che ci consente di spogliarci dell’uomo, o della donna,

naturale e di diventare veri discepoli di Gesù Cristo.9

C’è un modo per sapere quando abbiamo imparato una dottrina o un principio del Vangelo: è quando siamo

in grado di insegnare la dottrina o il principio in modo comprensibile a un bambino. Una risorsa preziosa

per insegnare ai bambini a comprendere l’Espiazione è l’analogia che si trova in una lezione della Primaria.

Forse questo può aiutarci quando insegniamo ai nostri figli, ai nostri nipoti o agli amici di altre fedi che

desiderano capire questa dottrina fondamentale.

“[Una donna] che camminava lungo una strada cadde in un fosso così profondo da non riuscire più a venir

fuori. Nonostante i suoi tentativi non poteva uscir fuori. [La donna] chiese aiuto, e fu felice quando un

passante generoso [la] udì e calò una scala nel fosso. Questo consentì [alla donna] di uscire dal fosso e

riacquistare la libertà.

Noi siamo come [la donna] nel fosso. Peccare è come cadere in un fosso, e da soli non possiamo uscirne.

Proprio come il passante generoso udì l’invocazione [della donna] intrappolat[a], così il Padre Celeste

mandò il Suo Unigenito Figliolo per fornirci i mezzi per uscire dal fosso. L’Espiazione di Gesù Cristo può

essere paragonata alla scala calata nel fosso; ci dà il mezzo per uscirne”.10 Ma il Salvatore non si limita a

calare la scala, Egli “scende nella fossa e ci permette di usare la scala per uscirne”.11 “Proprio come [la

donna] nel fosso dovette salire su per la scala, così noi dobbiamo pentirci dei nostri peccati e obbedire ai

principi e alle ordinanze del Vangelo per uscire dal nostro fosso e rendere operante l’Espiazione nella nostra

vita. Pertanto, dopo che noi stessi abbiamo fatto tutto ciò che potevamo, l’Espiazione ci rende possibile

diventare degni di ritornare alla presenza del Padre Celeste”.12

Di recente ho avuto il privilegio di incontrare una pioniera degli ultimi giorni, una cara figlia di Dio

convertitasi alla Chiesa in Cile da poco. È una madre single con due figli piccoli. Grazie al potere

dell’Espiazione, ha potuto lasciarsi il passato alle spalle e ora sta cercando seriamente di diventare una vera

discepola di Gesù Cristo. Quando penso a lei, mi viene in mente un principio insegnato dall’anziano David

A. Bednar: “Una cosa è sapere che Gesù Cristo è venuto sulla terra per morire per noi; questo concetto è

essenziale ed è alla base della dottrina di Cristo. Cionondimeno, dobbiamo anche renderci conto che il

Signore desidera, tramite la Sua Espiazione e per il potere dello Spirito Santo, vivere in noi, non solo per

guidarci ma anche per investirci di potere”.13

Quando io e questa sorella cilena abbiamo parlato di come restare sulla via che conduce alla vita eterna, mi

ha assicurato con entusiasmo che era determinata a continuare su quel sentiero. Ne era stata lontana per

quasi tutta la vita e ha dichiarato che non c’era niente “là fuori”, lontano dal sentiero, che volesse riavere

nella sua vita. Il potere dell’Espiazione vive dentro di lei. È scritto nel suo cuore.

Tale potere non ci permette solo di uscire dal fosso, ma ci dà anche il potere di andare avanti sul sentiero

stretto e angusto che ci riporta alla presenza del nostro Padre Celeste.

Terzo principio: l’Espiazione è la prova più grande che abbiamo dell’amore che il Padre prova per i Suoi

figli.

Faremmo bene a meditare su questo emozionante pensiero dell’anziano Oaks: “Pensate a quanto deve aver

sofferto il nostro Padre nei cieli nel mandare Suo Figlio a sopportare una sofferenza incomprensibile per i

nostri peccati. Questa è la prova più grande del Suo amore per ciascuno di noi!”14

Tale supremo atto d’amore deve indurre ognuna di noi a inginocchiarsi in umile preghiera per ringraziare il

nostro Padre Celeste perché ci ama tanto da aver mandato il Suo Figlio Unigenito e perfetto affinché soffrisse

per i nostri peccati e per tutto ciò che sembra ingiusto nella vita di ciascuna di noi.

Ricordate la donna di cui il presidente Uchtdorf ha parlato di recente? Ha detto:

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“Una donna che aveva passato anni di prove e di dolori disse piangendo: ‘Ho capito che sono come

una vecchia banconota da venti dollari: spiegazzata, strappata, sporca, maltrattata e sfregiata. Ma

sono ancora una banconota da venti dollari. Valgo qualcosa. Anche se il mio aspetto non è un gran

che e sono stata maltrattata e usata, valgo ancora tutti i miei venti dollari’”.15

Questa donna sapeva di essere un’amata figlia del suo Padre Celeste e che valeva abbastanza da far sì che

Egli mandasse Suo Figlio per espiare per lei, individualmente. Ogni sorella della Chiesa deve sapere ciò che

questa donna sa — che è una figlia di Dio che Egli ama. In che modo sapere quanto valiamo per Lui cambia

la maniera di rispettare le alleanze? In che modo sapere quanto valiamo per Lui influenza il nostro desiderio

di aiutare gli altri? In che modo sapere quanto valiamo per Lui accresce il desiderio di aiutare chi ha bisogno

di comprendere l’Espiazione come noi: profondamente? Quando ognuna di noi avrà la dottrina

dell’Espiazione scritta profondamente nel proprio cuore, allora cominceremo a diventare il genere di

persona che il Signore vuole che siamo quando tornerà. Ci riconoscerà come Sue vere discepole.

Possa l’Espiazione di Gesù Cristo operare un “possente mutamento” affinché sia scritta nel nostro

cuore.16 Quando apriremo gli occhi su questa dottrina, dichiarata da un angelo di Dio perché fosse una

“buon[a] novell[a] di grande allegrezza”,17 vi prometto che ci sentiremo come si sentì il popolo di re

Beniamino. Dopo aver pregato con fervore affinché l’Espiazione fosse applicata alla loro vita, “furono

riempiti di gioia”18 ed erano “disposti ad entrare in alleanza con… Dio di fare la sua volontà e di essere

obbedienti ai suoi comandamenti in tutte le cose”.19 Stringere, osservare e apprezzare le nostre alleanze sarà

la prova che l’Espiazione di Gesù Cristo è veramente scritta nel nostro cuore. Sorelle, vi prego di ricordare

questi tre principi:

1. «Tutto ciò che è ingiusto nella vita può essere sistemato attraverso l’Espiazione di Gesù Cristo».20

2. Nell’Espiazione c’è il potere che ci consente di spogliarci dell’uomo, o della donna, naturale e di

diventare veri discepoli di Gesù Cristo.21

3. L’Espiazione è la prova più grande che abbiamo dell’amore che il Padre prova per i Suoi figli.22

«Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio

popolo».23 Invito tutte noi a chiedere al Signore di scrivere questi principi dell’Espiazione nel nostro cuore.

Attesto che sono veri. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Dottrina e Alleanze 1:38.

2. Antico Testamento – Manuale per l’insegnante del corso di Dottrina evangelica (2001), 198.

3. Geremia 31:33–34; corsivo dell’autore.

4. Jeffrey R. Holland, “Tavola rotonda”, Riunione di addestramento dei dirigenti a livello mondiale, 9 febbraio 2008, 27–28.

5. Predicare il mio Vangelo – guida al servizio missionario (2004), 52.

6. Giobbe 38:7.

7. Dallin H. Oaks, “L’invito a cambiare”, Liahona, gennaio 2001, 42.

8. Autobiografia di Mary Lois Walker Morris (copia in possesso di Linda Kjar Burton).

9. Vedere David A. Bednar, “L’Espiazione e il viaggio della vita terrena”, Liahona, aprile 2012, 12–19.

10. Primaria 7 – Nuovo Testamento (1998), 104.

11. Joseph Fielding Smith, Dottrine di salvezza, a cura di Bruce R. McConkie, 3 volumi (1954–1956), 1:117.

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12. Primaria 7, 104.

13. David A. Bednar, Liahona, aprile 2012, 14.

14. Dallin H. Oaks: “L’amore e la legge”, Liahona, novembre 2009, 26.

15. Dieter F. Uchtdorf, “Voi siete le mie mani”, Liahona, maggio 2010, 69.

16. Vedere Alma 5:12–14.

17. Mosia 3:3.

18. Vedere Mosia 4:1–3.

19. Vedere Mosia 5:2–5.

20. Predicare il mio Vangelo, 52.

21. Vedere David A. Bednar, Liahona, aprile 2012, 12–19.

22. Dallin H. Oaks: “L’amore e la legge”, Liahona, novembre 2009, 26.

23. Geremia 31:33; corsivo dell’autore.

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L’ESPIAZIONE

PRESIDENTE BOYD K. PACKER

Presidente del Quorum dei Dodici Apostoli

l mio messaggio è diretto a chi tra noi sta soffrendo, è oppresso dalla colpa, dalle debolezze, dal

fallimento, dal dolore e dalla disperazione.

Nel 1971 fui incaricato di occuparmi di alcune conferenze di palo nelle Samoa occidentali, compresa

l’organizzazione di un nuovo palo sull’isola di Upolu. Finite le interviste, noleggiammo un piccolo aereo

per recarci alla conferenza di palo sull’isola di Savai’i. L’aereo atterrò su un campo erboso a Faala e

sarebbe tornato il pomeriggio seguente per riportarci all’isola di Upolu.

Il giorno che dovevamo lasciare Savai’i pioveva. Sapendo che l’aereo non avrebbe potuto atterrare sul

campo bagnato, raggiungemmo l’estremità occidentale dell’isola dove una sorta di piccola pista al di

sopra di una barriera corallina fungeva da pista. Aspettammo fino all’imbrunire, ma non arrivò alcun

velivolo. Alla fine venimmo a sapere via radio che era in corso una tempesta che impediva agli aerei di

decollare. Comunicammo a nostra volta che saremmo tornati via mare. Qualcuno doveva venirci a

prendere a Mulifanua.

Uscendo dal porto di Savai’i, il comandante dell’imbarcazione lunga 40 piedi (12 metri) chiese al

presidente di missione se avesse una torcia elettrica. Fortunatamente ce l’aveva e la regalò al comandante.

La traversata di 13 miglia (21 chilometri) fino a Upolu avvenne con un mare molto agitato. Nessuno di

noi si rese conto che ci stavamo dirigendo proprio nel mezzo della violenta tempesta tropicale che aveva

colpito l’isola.

Arrivati nei pressi del porto di Mulifanua, bisognava attraversare un passaggio stretto lungo una

scogliera. Tale passaggio era segnalato da una luce sulla collina a ridosso della spiaggia e da una seconda

luce più in basso. Quando una nave si posizionava in modo da vedere le due luci una sopra l’altra

significava che l’imbarcazione era allineata correttamente per passare in mezzo a quegli scogli pericolosi.

Ma quella sera c’era soltanto una luce. Due anziani ci aspettavano sulla terraferma, ma la traversata durò

più a lungo del solito. Dopo aver scrutato per ore per avvistare l’arrivo della nostra barca, gli anziani si

erano addormentati esausti, dimenticando di accendere la seconda luce, quella più in basso. Di

conseguenza, il passaggio tra gli scogli non era visibile.

Il comandante fece del suo meglio per dirigere la barca verso la luce che proveniva dall’alto del litorale,

mentre un membro dell’equipaggio, sporgendosi a prua, puntava la torcia per vedere gli scogli davanti a

noi. Potevamo sentire i flutti frangersi sulla scogliera. Ogni volta che eravamo tanto vicini da vedere le

rocce con la torcia, il comandante gridava freneticamente di invertire i motori, poi, allontanata la barca,

riprovava a localizzare il passaggio.

Dopo molti tentativi, si rese conto che sarebbe stato impossibile trovarlo. Tutto quel che potevamo fare

era cercare di raggiungere il porto di Apia, a circa 40 miglia (64 chilometri). Eravamo impotenti contro la

furia degli elementi. Non ricordo di essermi mai trovato in mezzo a tanta oscurità.

Per la prima ora non riuscimmo a muoverci, nonostante il motore andasse al massimo. La barca si

inerpicava su flutti giganteschi, poi si fermava come esausta sulla cresta dell’onda, con le eliche fuori

dall’acqua. La vibrazione delle eliche faceva tremare lo scafo fin quasi a spaccarlo, prima che questo

scivolasse giù dalla parte opposta.

I

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Noi ci eravamo distesi sopra la stiva di carico, con le mani aggrappate a un lato e le punte dei piedi fissate

all’altro per evitare di essere scaraventati in mare. Il fratello Mark Littleford perse la presa e fu scagliato

contro il parapetto di ferro inferiore. Si ferì alla testa, ma la sponda lo trattenne dal finire fuori bordo.

Finalmente riuscimmo ad avanzare e verso l’alba raggiungemmo il porto di Apia. Le barche erano state

legate tra loro per sicurezza. Ce n’erano molte ormeggiate al molo tanto da bloccare l’approdo. Le

attraversammo in punta di piedi per non disturbare quelli che dormivano in coperta. Proseguimmo per

Pesega, ci asciugammo i vestiti e ci dirigemmo a Vailuutai per organizzare il nuovo palo.

Non so chi fosse andato ad aspettarci sulla spiaggia di Mulifanua. Rifiutai di farmelo dire. Ma sta di fatto

che senza quella luce in basso avremmo potuto morire.

Nel nostro innario c’è un vecchio inno che viene cantato raramente, ma che per me significa molto.

Del Signor l’amor s’irradia,

come un faro nella notte,

ma è all’uom che tocca alzare

la lucerna in riva al mar.

Brilla, o luce, di laggiù;

manda un raggio in mezzo al mare.

Che l’esausto marinaio

tragga a riva per salvar.

Del peccato è sceso il buio;

d’ira è il rombo dei marosi.

Scrutan occhi supplicanti

quella luce in riva al mar.

Tieni, amico, acceso il lume;

per lo scosso marinar,

che del porto anela il suolo

e nel buio può affondar.1

Oggi parlo a coloro che forse sentono di essere affondati e cercano quella luce che li aiuti a fare ritorno.

Era risaputo fin dall’inizio che nella mortalità non saremmo riusciti a essere perfetti. Non ci si aspettava

che vivessimo senza disobbedire ad alcuna legge.

“Poiché l’uomo naturale è nemico di Dio, lo è stato fin dalla caduta di Adamo, e lo sarà per sempre e in

eterno, a meno che non ceda ai richiami del Santo Spirito, si spogli dell’uomo naturale e sia santificato

tramite l’espiazione di Cristo, il Signore”.2

In Perla di Gran Prezzo apprendiamo che “nessuna cosa impura può dimorar[e nel regno di

Dio]”,3 pertanto fu preparata per tutti coloro che peccano una via per pentirsi e tornare a essere degni di

stare alla presenza del Padre Celeste.

Fu scelto un Mediatore, un Redentore, Uno che sarebbe vissuto in maniera perfetta, senza commettere

peccato, e che avrebbe offerto “se stesso quale sacrificio per il peccato, per rispondere ai fini della legge,

per tutti coloro che hanno un cuore spezzato e uno spirito contrito; e per nessun altro è possibile

rispondere ai fini della legge”.4

Riguardo all’importanza dell’Espiazione, in Alma apprendiamo: “Poiché è opportuno che sia fatta

un’espiazione … altrimenti tutta l’umanità dovrà inevitabilmente perire”.5

Se non avete commesso errori, allora non avete bisogno dell’Espiazione. Ma se ne avete commessi, e tutti

noi ne abbiamo commessi, di più o meno gravi, allora avete un bisogno enorme di scoprire come possono

essere cancellati per non rimanere nelle tenebre.

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“[Gesù Cristo] è la luce e la vita del mondo”.6 Se guardiamo ai Suoi insegnamenti, saremo guidati al porto

della salvezza spirituale.

Il terzo articolo di fede recita che “Noi crediamo che tramite l’espiazione di Cristo tutta l’umanità può

essere salvata, mediante l’obbedienza alle leggi e alle ordinanze del Vangelo”.7

Il presidente Joseph F. Smith dichiarò: “Gli uomini non possono perdonarsi da soli i loro peccati; non

possono purificarsi da sé dalle conseguenze dei loro peccati. Gli uomini possono cessare di peccare e

possono agire bene nel futuro, e [quando] le loro azioni sono accette al Signore [diventano] degne di

considerazione. Ma chi riparerà i torti che essi hanno fatto a se stessi e agli altri, giacché non possono

ripararli da soli? Per mezzo dell’Espiazione di Gesù Cristo i peccati del penitente saranno purificati; e

quand’anche fossero come lo scarlatto, essi diventeranno bianchi come la neve [vedere Isaia 1:18]. Questa

è la promessa che vi faccio”.8

Non sappiamo esattamente come il Signore compì l’Espiazione. Ma sappiamo che la tortura crudele della

crocifissione fu solo parte dell’orribile dolore che iniziò nel Getsemani — quel sacro luogo di sofferenza

— e si completò sul Golgota.

Luca riporta:

“Egli si staccò da loro circa un tiro di sasso; e postosi in ginocchio pregava, dicendo: Padre, se tu vuoi,

allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta. E un angelo gli apparve dal

cielo a confortarlo. Ed essendo in agonia, egli pregava vie più intensamente; e il suo sudore divenne come

grosse gocce di sangue che cadeano in terra”.9

Per quanto mi risulti, vi è un solo resoconto che descrive, con le parole del Salvatore stesso, quello che

Egli passò nel Giardino di Getsemani. Così dice la rivelazione:

“Poiché ecco, io, Iddio, ho sofferto queste cose per tutti, affinché non soffrano, se si pentiranno;

Ma se non volessero pentirsi, essi dovranno soffrire proprio come me; E queste sofferenze fecero sì che io

stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro”.10

Nella vita ci possono essere state volte in cui siete andati in posti dove non sareste mai dovuti andare o

avete fatto cose che non avreste mai dovuto fare. Se abbandonerete il peccato, potrete un giorno conoscere

la pace che scaturisce dal seguire il processo di un pentimento completo.

A prescindere da quali siano state le nostre trasgressioni o da quanto le nostre azioni possano aver ferito

gli altri, quella colpa può essere totalmente spazzata via. Per me, forse, la frase più bella delle Scritture è

quella in cui il Signore dice: “Ecco, colui che si è pentito dei suoi peccati è perdonato, e io, il Signore, non

li ricordo più”.11

Questa è la promessa del vangelo di Gesù Cristo e dell’Espiazione: prendere tutti coloro che vi si

avvicinano, tutti coloro che vi aderiscono e far loro vivere un’esperienza tale che al termine della loro vita

potranno passare attraverso il velo essendosi pentiti dei loro peccati ed essendo stati lavati tramite il

sangue di Cristo.12

Questo è ciò che i Santi degli Ultimi Giorni fanno nel mondo. Questa è la Luce che offriamo a coloro che

sono nelle tenebre e hanno smarrito la via. Ovunque vadano i membri e i missionari, il nostro è un

messaggio di fede e di speranza nel Salvatore Gesù Cristo.

Il presidente Joseph Fielding Smith scrisse le parole dell’inno “Does the Journey Seem Long?” Era un mio

caro amico. Tale inno infonde coraggio e contiene una promessa per coloro che cercano di seguire gli

insegnamenti del Salvatore:

Il viaggio sembra troppo lungo

e il cammino accidentato e ripido?

Vi sono rovi e spine lungo la via?

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Le pietre aguzze ti feriscono i piedi

mentre lotti per salire

sulla vetta, nel caldo del giorno?

Il tuo cuore è gonfio e triste

e la tua anima stanca,

mentre ti affatichi sotto il tuo fardello?

È pesante il carico

che devi alzare

e non hai nessuno con cui dividerlo?

Il tuo cuore non venga meno

ora che il viaggio è cominciato.

C’è Qualcuno che ancora ti chiama,

quindi guarda in alto con gioia

e tieni stretta la Sua mano;

Egli ti porterà su vette che non hai mai conosciuto:

in una terra santa e pura,

dove tutti i problemi hanno fine.

E la tua vita sarà libera dal peccato.

E non si verseranno più lacrime

perché non rimarrà alcun dolore.

Prendi la Sua mano ed entra con Lui.13

Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. “Brightly Beams Our Father’s Mercy”, Hymns, 335.

2. Mosia 3:19.

3. Mosè 6:57.

4. 2 Nefi 2:7

5. Alma 34:9

6. Mosia 16:9

7. Articoli di Fede 1:3

8. Insegnamenti dei presidenti della Chiesa: Joseph F. Smith (1998), 99.

9. Luca 22:41–44.

10. Dottrina e Alleanze 19:16–18

11. Dottrina e Alleanze 58:42

12. Vedere Apocalisse 1:5.

13. “Does the Journey Seem Long?” Hymns, 127.

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Signora Patton — la storia continua PRESIDENTE THOMAS S. MONSON

rentotto anni fa alla conferenza generale, tenuta nel Tabernacolo di Piazza del Tempio, parlai di un

amico d’infanzia, Arthur Patton, che morì giovane. Il discorso s’intitolava «Signora Patton, Arthur

vive».1 Mi rivolsi alla madre di Arthur, la signora Patton, che non era un membro della Chiesa.

Benché nutrissi poche speranze che ella ascoltasse realmente il discorso, volevo parlare del glorioso

messaggio evangelico della speranza e dell’amore a tutti coloro che erano alla portata della mia voce.

Recentemente mi sono sentito di dover fare riferimento ancora una volta ad Arthur e di raccontarvi ciò che

accadde in seguito al discorso originale.

In primo luogo, vi parlerò di Arthur, che era biondo, con i capelli ricci e un sorriso grande come una casa.

Era più alto di tutti i ragazzi della classe. Suppongo che questo fu il motivo per cui, nel 1940, mentre un

grande conflitto, la Seconda Guerra Mondiale, stava interessando buona parte dell’Europa, Arthur riuscì a

ingannare gli ufficiali di reclutamento e ad arruolarsi in Marina a soli quindici anni. Per lui, come per la

maggior parte dei ragazzi, la guerra era una grande avventura. Ricordo quanto straordinario apparisse in

uniforme. Quanto desideravamo essere più grandi, o almeno più alti, per arruolarci.

La giovinezza è un momento speciale della vita. Longfellow scrisse:

Quanto bella è la gioventù! Quanto luminosa splende

con le sue illusioni, aspirazioni, sogni!

Libro degli inizi, Storia senza Fine,

Ogni fanciulla una eroina, e ogni uomo un amico!2

La madre di Arthur era assai fiera della stella blu che adornava la finestra del soggiorno. Essa indicava a

ogni passante che suo figlio indossava l’uniforme della patria e che era in servizio effettivo. Quando passavo

davanti alla casa, spesso mi apriva la porta e m’invitava a leggere l’ultima lettera di Arthur. I suoi occhi si

riempivano di lacrime e mi chiedeva di leggere ad alta voce. Arthur significava tutto per questa madre

vedova.

Ricordo ancora le mani grosse della signora Patton che riponevano con attenzione la lettera nella busta.

Erano mani da lavoratrice, di donna delle pulizie che lavorava negli uffici del centro. Ogni giorno, tranne la

domenica, la si vedeva camminare sul marciapiede con un secchio e uno scopone in mano, i capelli grigi

tirati indietro e raccolti insieme, le spalle affaticate dal lavoro e curvate dall’età.

Nel marzo del 1944, nel pieno della guerra, Arthur fu trasferito dal USS. Dorsey, un cacciatorpediniere, alla

USS. White Plains, una portaerei. Mentre la nave si trovava a Saipan, nel Pacifico meridionale, fu attaccata.

Arthur fu un membro dell’equipaggio che risultò disperso in mare.

La stella blu fu tolta dal suo posto venerato sulla finestra frontale di casa Patton e fu sostituita da una d’oro,

che indicava che colui che era rappresentato dalla stella blu era morto in battaglia. Una luce si spense nella

vita della signora Patton. Ella brancolava nelle tenebre più cupe in profonda disperazione.

Con una preghiera nel cuore mi avvicinai al familiare vialetto che portava a casa Patton, chiedendomi che

parole di conforto sarebbero potute uscire dalle labbra di un semplice ragazzo.

La porta si aprì e la signora Patton mi abbracciò come se fossi stato il figlio. La casa divenne una cappella

quando una madre dal cuore infranto e un ragazzo poco adeguato s’inginocchiarono in preghiera.

T

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Rialzandosi in piedi, la signora Patton mi guardò fissamente negli occhi e mi chiese: «Tommy, io non

appartengo a nessuna chiesa, ma tu sì. Dimmi, Arthur vivrà di nuovo?» Al meglio delle mie capacità, resi

testimonianza che Arthur sarebbe sicuramente vissuto di nuovo.

A quella conferenza generale di tanti anni fa, nel riferire questa storia, menzionai che avevo perso traccia

della signora Patton, ma che desideravo ancora una volta rispondere alla sua domanda: «Arthur vivrà di

nuovo?»

Parlai del Salvatore del mondo, che percorse le strade polverose dei villaggi che ora con riverenza

chiamiamo Terra Santa; che ridiede la vista ai ciechi e l’udito ai sordi; che fece camminare gli storpi e vivere i

morti; che teneramente e con amore ci rassicurò: «Io son la via, la verità e la vita».3

Spiegai che il piano della vita e la spiegazione del suo corso eterno ci giungono dal Maestro del cielo e della

terra, il Signore Gesù Cristo. Per comprendere il significato della morte dobbiamo apprezzare lo scopo della

vita.

Spiegai che in questa dispensazione il Signore dichiarò: «Ed ora, in verità vi dico, io ero al principio con il

Padre e sono il Primogenito».4 «Anche l’uomo era al principio con Dio».5

Il profeta Geremia scrisse:

«La parola dell’Eterno mi fu rivolta, dicendo: ‹Prima ch’io ti avessi formato … io t’ho conosciuto; e prima che

tu uscissi … io t’ho consacrato e t’ho costituito profeta delle nazioni›».6

Da quel mondo maestoso degli spiriti entrammo nel grandioso palco della vita per dimostrarci obbedienti in

tutti i comandamenti di Dio. Durante l’esistenza cresciamo, passando dall’infanzia indifesa alla fanciullezza

curiosa e poi alla maturità riflessiva. Proviamo gioia e dolore, soddisfazione e delusione, successo e

fallimento. Assaporiamo il dolce, ma assaggiamo anche l’amaro. Questa è la vita terrena.

Ogni uomo, poi, fa quell’esperienza chiamata morte. Nessuno è esente. Tutti devono passare per il suo

portale.

Per la maggior parte delle persone c’è qualcosa di sinistro e misterioso in questo visitatore inopportuno

chiamato morte. Forse è il timore di ciò che è sconosciuto che fa sì che molti temano la sua venuta.

Arthur Patton morì velocemente. Altri tirano a lungo. Sappiamo, grazie alle rivelazioni divine, che «gli

spiriti di tutti gli uomini, appena hanno lasciato questo corpo mortale … sono ricondotti a quel Dio che

diede loro la vita».7

Assicurai alla signora Patton e a tutti gli altri ascoltatori che Iddio non li avrebbe mai abbandonati, che

mandò il Suo Unigenito nel mondo per insegnarci mediante l’esempio come dovremmo vivere. Il Figlio morì

sulla croce per redimere l’umanità. Oggi ci sono di conforto le parole che proferì all’afflitta Marta e ai Suoi

discepoli:

«Io son la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non

morrà mai».8

«Nella casa del Padre mio ci son molte dimore; se no, ve l’avrei detto; io vo a prepararvi un luogo … tornerò,

e v’accoglierò presso di me, affinché dove son io, siate anche voi».9

Reiterai le testimonianze di Giovanni il Rivelatore e dell’apostolo Paolo. Giovanni scrisse:

«E vidi i morti, grandi e piccoli, che stavan ritti davanti al trono … E il mare rese i morti ch’erano in esso».10

Paolo dichiarò: «Come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati».11

Spiegai che sino al glorioso mattino della risurrezione camminiamo per fede, «poiché ora vediamo come in

uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia».12

Rassicurai la signora Patton che Gesù invitava lei e tutti gli altri:

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«Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo ed

imparate da me, perch’io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre».13

Nel messaggio, inoltre, spiegai alla signora Patton che questa conoscenza l’avrebbe sostenuta nell’angoscia e

che non sarebbe mai stata nella situazione tragica in cui si trovava l’incredula che, avendo perso un figlio, fu

udita dire mentre guardava la bara che veniva calata nella madre terra: «Addio, figlio mio. Addio per

sempre». Piuttosto, a testa alta, con coraggio imperterrito e fede incrollabile, poteva alzare gli occhi

guardando oltre i dolci frangenti del Pacifico azzurro e sussurrare: «Arrivederci, Arthur, figlio mio prezioso.

Arrivederci, sino a quando c’incontreremo di nuovo».

Citai le parole di Tennyson, come se le fossero pronunciate da suo figlio Arthur:

Il tramonto e la stella della sera,

E una inconfondibile chiamata per me,

E possano non esserci lacrime,

Quando salperò per l’altra riva …

Crepuscolo e campane della sera,

E dopo questo il buio!

E possa non esservi tristezza dell’addio

Quando m’imbarcherò;

Poiché sebbene dalla nostra posizione nel tempo e nello spazio

Le onde possano portarmi lontano,

Spero di vedere il mio Pilota faccia a faccia

Quando avrò compiuto la traversata.14

A quel tempo conclusi il messaggio esprimendo alla signora Patton la mia testimonianza personale come

testimone speciale, dicendole che Dio, nostro Padre, si preoccupava di lei e che mediante preghiere sincere

poteva comunicare con Lui; che anche Lui aveva un Figlio che era morto, sì, il Signore Gesù Cristo; che Egli

era il nostro avvocato presso il Padre, il Principe della pace, il Salvatore e divino Redentore e che un giorno

L’avremmo incontrato faccia a faccia.

Sperai che il mio messaggio alla signora Patton avrebbe raggiunto e toccato altre persone che avevano perso

delle persone care.

E ora, fratelli, vi racconterò il resto della storia. Il 6 aprile 1969 tenni il discorso alla conferenza. Ripeto, avevo

poca o nessuna speranza che la signora Patton mi ascoltasse davvero. Non avevo motivo di pensare che

avrebbe seguito la conferenza generale. Come ho detto, non era un membro della Chiesa. Venni poi a sapere

che era accaduto qualcosa di molto simile a un miracolo. Senza avere la più pallida idea di chi avrebbe

parlato alla conferenza, o quali sarebbero stati gli argomenti trattati, i vicini Santi degli Ultimi Giorni della

signora Terese Patton, che si era trasferita in California, la invitarono a casa loro ad ascoltare una sessione

della conferenza. Ella accettò l’invito e così ascoltò proprio la sessione nella quale mi rivolsi a lei nel discorso.

Durante la prima settimana del maggio 1969, con mia sorpresa e gioia ricevetti una lettera con il timbro di

Pomona, in California, datata 29 aprile 1969. Proveniva dalla signora Terese Patton. Vi leggerò parte della

lettera.

«Caro Tommy,

spero che non te la prenda se ti chiamo Tommy, poiché è così che mi ricordo di te. Non so come

ringraziarti per il discorso confortante che hai tenuto.

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Arthur aveva quindici anni quando si arruolò in Marina. Rimase ucciso un mese prima del suo

diciannovesimo compleanno, il 5 luglio 1944.

È stato meraviglioso che tu abbia pensato a noi. Non so come ringraziarti per le tue parole

confortanti, sia quando Arthur morì sia ancora nel tuo discorso. Negli anni mi sono posta molte

domande e tu hai risposto. Ora sono in pace riguardo ad Arthur … Dio ti benedica e ti protegga

sempre.

Con affetto,

Terese Patton»15

Fratelli e sorelle, non credo sia stata una coincidenza che io mi sia sentito ispirato a tenere quel discorso

particolare alla conferenza generale dell’aprile 1969. Non penso neppure che sia stata una coincidenza che la

signora Terese Patton fu invitata dai vicini a unirsi a loro per quella particolare sessione della conferenza.

Sono certo che il nostro Padre celeste era memore della sua situazione e voleva che ascoltasse i principi

incoraggianti del Vangelo.

Benché la signora Patton è da molto che è venuta a mancare, ho sentito una forte impressione di condividere

con voi il modo in cui il Padre celeste aiutò lei, una vedova, e la sostenne. Con tutta la forza della mia anima

attesto che il nostro Padre celeste ama ognuno di noi. Egli ascolta le preghiere dei cuori umili, ascolta le

richieste d’aiuto, come udì la signora Patton. Suo Figlio, il nostro Salvatore e Redentore, oggi parla a ognuno

di noi: «Ecco, io sto alla porta e picchio: se uno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui».16

Lo udiremo bussare? Udiremo la Sua voce? Apriremo la porta al Signore, affinché possiamo ricevere l’aiuto

che Egli è dispostissimo a darci? Prego che lo faremo. Nel sacro nome di Gesù Cristo. Amen.

NOTE

1. Conference Report, aprile 1969, 126–129.

2. «Morituri Salutamus», The Complete Poetical Works of Henry Wadsworth Longfellow (1883), 259.

3. Giovanni 14:6.

4. DeA 93:21

5. DeA 93:29.

6. Geremia 1:4, 5.

7. Alma 40:11.

8. Giovanni 11:25–26.

9. Giovanni 14:2–3.

10. Apocalisse 20:12–13.

11. 1 Corinzi 15:22.

12. 1 Corinzi 13:12.

13. Matteo 11:28–29.

14. Alfred Tennyson, «Crossing the Bar», Poems of the English Race, ed. Raymond Macdonald Alden (1921), 362.

15. Corrispondenza personale in possesso di Thomas S. Monson.

16. Apocalisse 3:20.

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È RISORTO PRESIDENTE THOMAS S. MONSON

olti anni fa, mentre ero a Londra, in Inghilterra, visitai la famosa galleria d’arte Tate. In diverse

stanze erano esposte le opere di Gainsborough, Rembrandt, Constable e di altri artisti rinomati.

Ammirai la loro bellezza e riconobbi la perizia necessaria per creare quei capolavori. Ma nascosto

in un angolo tranquillo del terzo piano, c’era un dipinto che non solo attirò la mia attenzione ma mi toccò

profondamente. L’artista, Frank Bramley, aveva dipinto un cottage modesto affacciato sul mare esposto al

vento. Due donne, la madre e la moglie di un pescatore assente, avevano vegliato e atteso tutta la notte per il

suo ritorno. Ora la notte era finita e si erano rese conto che egli era disperso in mare e non avrebbe fatto

ritorno. Inginocchiata accanto a sua suocera, con la testa sepolta nel grembo della donna anziana, la giovane

moglie piangeva disperata. La candela consumata sul davanzale della finestra mostrava quanto avevano

vegliato invano.

Percepii il dolore della giovane donna; sentivo la sua pena. L’incantevole e intensa iscrizione, creata

dall’artista per la sua opera descriveva la tragica storia, recitava Un’alba senza speranza.

Oh, quanto desiderava quella giovane donna il conforto e la realizzazione delle parole di Robert Louis

Stevenson in «Requiem»:

A casa è il marinaio, tornato dal mare,

E il cacciatore, tornato dalle colline.1

Tra tutti gli elementi della mortalità, nulla è altrettanto certo quanto la sua fine. La morte arriva per tutti; è la

nostra «eredità universale; essa può reclamare le sue vittime nell’infanzia o nella gioventù, [può arrivare]

nella primavera della vita o nel declino di essa, quando cioè le nevi dell’età si sono ammassate sulla testa…

degli uomini.

La morte può avvenire in conseguenza di un incidente o di una malattia, o… per cause naturali; ma venire

deve».2 Essa rappresenta inevitabilmente la perdita dolorosa di rapporti e, in modo particolare nei giovani,

un colpo tremendo ai sogni non realizzati, alle ambizioni inadempiute e alle speranze deluse.

M

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Quale essere umano, di fronte alla perdita di una persona cara o egli stesso trovandosi sulla soglia

dell’infinito, non ha meditato su cosa ci sia oltre il velo che separa le cose visibili da quelle invisibili?

Secoli fa Giobbe, che era stato benedetto per lungo tempo con ogni tipo di dono materiale per poi trovarsi

dolorosamente afflitto da tutto quello che può accadere a un essere umano, sedette con i suoi compagni e

pronunciò la domanda senza tempo e senza età «se l’uomo muore, può egli tornare in vita?»3 Giobbe

espresse ciò su cui ogni altro uomo o donna vivente riflette.

In questa gloriosa mattina di Pasqua, desidero prendere in considerazione la domanda di Giobbe «se l’uomo

muore, può egli tornare in vita» e fornirne la risposta che non è solo il risultato di profonde considerazioni

ma proviene anche dalla parola rivelata di Dio. Comincio dalle cose principali.

Se in questo mondo in cui viviamo vi è un disegno, ci deve essere un Autore. Chi può contemplare le tante

meraviglie dell’universo senza credere che vi sia un disegno per tutta l’umanità? Chi può dubitare che vi sia

un Autore?

Nel libro della Genesi apprendiamo che il Grande Autore creò i cieli e la terra. «E la terra era informe e

vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso».

«Sia la luce», disse il Grande Autore, «e la luce fu». Egli creò il firmamento. Separò la terra dalle acque e

disse: «Produca la terra della verdura… degli alberi fruttiferi che, secondo la loro specie, portino del frutto

avente in sé la propria semenza».

Creò due luminari: il sole e la luna e, secondo il Suo disegno, anche le stelle. Ordinò che vi fossero creature

viventi nell’acqua e uccelli per volare sopra la terra. E così fu. Egli creò il bestiame, gli animali selvaggi e

ogni cosa che striscia. Il disegno era quasi completo.

In ultimo, Egli creò l’uomo a Sua immagine, li creò maschio e femmina, e diede loro il dominio su ogni cosa

vivente.4

Solo l’uomo ricevette l’intelligenza: un cervello, una mente e un’anima. Solo l’uomo, con questi attributi,

ebbe la capacità di aver fede e speranza, ispirazione e ambizioni.

Chi potrebbe sostenere in modo persuasivo che l’uomo, l’opera più nobile del Grande Autore, con il dominio

sopra tutte le creature viventi, con un cervello e una volontà, con una mente e un’anima, con l’intelligenza e

la divinità, debba finire quando lo spirito abbandona il suo tabernacolo terreno?

Per comprendere il significato della morte dobbiamo apprezzare lo scopo della vita. La debole luce della

fede deve lasciare il posto alla luce del sole splendente della rivelazione, tramite la quale sappiamo che noi

esistevamo prima della nostra nascita sulla terra. Nel nostro stato premortale, non avevamo dubbi quando,

in mezzo ai figli e alle figlie di Dio, gridammo di gioia per la possibilità di venire in questa esistenza mortale

difficile ma al contempo necessaria.5 Sapevamo che il nostro scopo era quello di ottenere un corpo fisico, di

superare delle prove e dimostrare che avremmo osservato i comandamenti di Dio. Il nostro Padre sapeva

che a causa della natura della mortalità, saremmo stati tentati, avremmo peccato e non saremmo stati

perfetti. In tal modo, per poter avere ogni possibilità di successo, Egli preparò un Salvatore che avrebbe

sofferto e sarebbe morto per noi. Non solo avrebbe espiato per i nostri peccati, ma, come parte di

quell’espiazione, Egli avrebbe anche vinto la morte fisica alla quale eravamo soggetti per via della caduta di

Adamo.

Così, più di duemila anni fa, Cristo, il nostro Salvatore, cominciò la Sua vita mortale in una stalla a

Betlemme. Il Messia a lungo profetizzato era venuto.

Sono state scritte poche cose sull’infanzia di Gesù. Mi piace molto il versetto in Luca: «E Gesù cresceva in

sapienza e in statura, e in grazia dinanzi a Dio e agli uomini».6 Mentre nel libro degli Atti, troviamo una

frase breve ma ricca di significato riguardo al Salvatore: «Egli è andato attorno facendo del bene».7

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Venne battezzato da Giovanni nel Fiume Giordano. Chiamò i Dodici Apostoli; benedisse gli ammalati, fece

camminare gli storpi, vedere i ciechi, udire i sordi, e riportò persino in vita i morti. Egli insegnò, testimoniò e

ci diede l’esempio perfetto da seguire.

E poi la missione terrena del Salvatore del mondo giunse al termine. In una sala celebrò un’ultima cena con i

Suoi apostoli; davanti a Lui stavano il Getsemani e la croce del Calvario.

Nessun semplice mortale può concepire la piena importanza di ciò che Cristo fece per noi nel Getsemani.

Egli stesso in seguito descrisse così quest’esperienza: «[Le] sofferenze fecero sì che io stesso, Iddio, il più

grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo che nello spirito».8

In seguito all’agonia nel Getsemani, privo di forze, venne afferrato da mani dure e rudi e venne portato

davanti ad Anna, Caiàfa, Pilato ed Erode. Venne accusato e Gli imprecarono contro. Percosse violenti

indebolirono ulteriormente il Suo corpo sofferente. Il sangue Gli colò dal volto mentre sulla testa Gli veniva

infilata con forza una corona dolorosa fatta di spine taglienti che Gli ferirono la fronte. E poi, ancora una

volta venne portato da Pilato, che cedette alle grida della folla arrabbiata: «Crocifiggilo, crocifiggilo!»9

Venne frustato con una frusta formata da strisce di cuoio a cui erano intrecciati pezzi di metallo e ossa

taglienti. Alzandosi sotto la crudeltà del flagellatore, con passi malfermi portò la Sua croce finché non poté

andare oltre e un altro portò il carico per Lui.

In fine, su una collina chiamata Calvario, mentre i seguaci inermi stavano a guardare, il Suo corpo

martoriato venne inchiodato su una croce. Fu deriso, tormentato e beffeggiato senza pietà. Ma nonostante

questo gridò: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».10

Passarono ore agonizzanti mentre le sue forze Gli venivano meno. Dalle Sue labbra secche uscirono le

parole: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. E detto questo spirò».11

Quando la serenità e il sollievo di una morte misericordiosa Lo liberarono dai dolori della mortalità, Egli

ritornò alla presenza di Suo Padre.

Il Maestro all’ultimo momento avrebbe potuto tirarsi indietro, ma non lo fece. Passò al disotto di ogni cosa,

in modo da poter salvare ogni cosa. Il Suo corpo senza vita venne riposto affrettatamente ma delicatamente

in una tomba presa a prestito.

Nessuna parola nelle Scritture cristiane ha un significato più grande per me di quelle pronunciate

dall’angelo a Maria Maddalena che piangeva e all’altra Maria, quando, il primo giorno della settimana, si

recarono al sepolcro per prendersi cura del corpo del loro Signore. L’angelo disse:

«Perché cercate il vivente fra i morti?

Egli non è qui, ma è risuscitato».12

Il nostro Salvatore visse di nuovo. Era avvenuto l’evento più glorioso, confortante e rassicurante di tutti gli

eventi nella storia dell’umanità: la vittoria sulla morte. Il dolore e l’agonia nel Getsemani e sul Calvario

erano stati cancellati. La salvezza dell’umanità era stata assicurata. La caduta di Adamo era stata rivendicata.

La tomba vuota di quella prima mattina di Pasqua fu la risposta alla domanda di Giobbe: «Se l’uomo muore,

può egli tornare in vita?» A tutti coloro che sono alla portata della mia voce io dichiaro che se un uomo

muore, questi vivrà di nuovo. Lo sappiamo, perché abbiamo la luce della verità rivelata.

«Poiché per mezzo d’un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo d’un uomo è venuta la risurrezione

dei morti. Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saran tutti vivificati».13

Ho letto e credo alle testimonianze di coloro che vissero le pene della crocifissione di Cristo e la gioia della

Sua risurrezione. Ho letto e credo alle testimonianze di coloro che ricevettero la visita nel Nuovo Mondo

dello stesso Signore risorto. Credo alla testimonianza di uno che, in questa dispensazione, ha parlato con il

Padre e il Figlio in un bosco, ora detto Sacro e che diede la sua vita, suggellando con il suo sangue quella

testimonianza. Egli dichiarò:

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«Ed ora, dopo le numerose testimonianze che sono state date di lui, questa è la testimonianza, l’ultima di

tutte, che diamo di lui: Che egli vive! Poiché lo vedemmo, sì, alla destra di Dio; e udimmo la voce che

portava testimonianza che egli è il Figlio Unigenito del Padre».14

Le tenebre della morte possono sempre essere disperse dalla luce della verità rivelata: «Io son la risurrezione

e la vita», disse il Maestro.15 «Io vi lascio pace; vi do la mia pace».16

Nel corso degli anni ho sentito e letto tante testimonianze da non poterle contare, condivise con me da

persone che attestano la realtà della risurrezione e che nelle ore di maggiore bisogno hanno ricevuto la pace

e il conforto promessi dal Salvatore.

Desidero condividere con voi una parte di una di queste testimonianze. Due settimane fa, ho ricevuto una

lettera commovente da un padre di sette figli che ha scritto riguardo alla sua famiglia e, in particolare, di suo

figlio Jason, che si era ammalato all’età di undici anni. Durante gli anni successivi, la malattia di Jason si

manifestò diverse volte. Questo padre ha parlato dell’atteggiamento positivo di Jason e del suo

temperamento allegro nonostante le difficoltà della sua malattia. Jason ricevette il Sacerdozio di Aaronne

all’età di dodici anni e «magnificò sempre volentieri le sue responsabilità con eccellenza, sia che si sentisse

bene o meno». Ricevette il suo riconoscimento di Scout Aquila quando aveva quattordici anni.

L’estate scorsa, non molto tempo dopo il suo quindicesimo compleanno, venne ricoverato di nuovo in

ospedale. In una delle sue visite, il padre trovò Jason con gli occhi chiusi. Non sapendo se fosse

addormentato o sveglio, cominciò a parlargli piano. «Jason», gli disse, «so che ne hai passate tante nella tua

breve vita e che la tua condizione attuale è difficile; benché tu abbia una grandissima battaglia davanti a te,

non voglio che tu perda mai la tua fede in Gesù Cristo». Ha detto che sobbalzò quando Jason aprì subito gli

occhi e disse: «Mai!» con voce chiara e risoluta. Jason poi chiuse gli occhi e non parlò più.

Suo padre ha scritto: «In questa sua semplice affermazione Jason espresse una delle testimonianze più

potenti e pure di Gesù Cristo che io abbia mai sentito … Mentre quel “mai!” si imprimeva nella mia anima

quel giorno, il mio cuore si riempì di gioia perché il mio Padre celeste mi aveva benedetto con la possibilità

di essere il padre di un figlio così meraviglioso e nobile … Quella fu l’ultima volta che lo sentii rendere la sua

testimonianza di Cristo».

Benché la sua famiglia pensasse che quello fosse solo un altro dei tanti ricoveri, Jason morì poco meno di due

settimane dopo. Un fratello e una sorella più grandi in quel momento stavano servendo la missione. Un altro

fratello, Kyle, aveva appena ricevuto la sua chiamata in missione. Infatti, la chiamata era arrivata prima del

previsto e il 5 agosto, solo una settimana prima della morte di Jason, la famiglia si era riunita nella sua stanza

di ospedale in modo che Kyle potesse aprire lì la sua chiamata e condividerla con tutta la famiglia.

Nella lettera che mi ha mandato questo padre, ha messo una foto di Jason nel letto dell’ospedale, con suo

fratello maggiore accanto che teneva la sua chiamata. Sotto la foto c’era questa didascalia: «Chiamati a

servire le loro missioni insieme: da entrambe le parti del velo».

Il fratello e la sorella di Jason che erano già in missione spedirono a casa delle lettere belle e confortanti da

essere lette al funerale. Sua sorella, che serviva nella missione di Buenos Aires Ovest, in Argentina, scrisse

come parte della lettera: «So che Gesù Cristo vive e poiché Egli vive, tutti noi, compreso il nostro caro Jason,

vivremo di nuovo … Possiamo trarre conforto nella conoscenza sicura che abbiamo che siamo stati suggellati

insieme come famiglia eterna … Se facciamo del nostro meglio per obbedire e migliorare in questa vita, lo

rivedremo [ancora]».

Continuava dicendo: «Un passo delle Scritture che mi è sempre piaciuto molto ora acquista un nuovo

significato e importanza … [In] Apocalisse capitolo 21, versetto 4 leggiamo: “E [Dio] asciugherà ogni lagrima

dagli occhi loro e la morte non sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di

prima sono passate”».

Miei cari fratelli e sorelle, nell’ora del più intenso dolore, possiamo ricevere una pace profonda dalle parole

dell’angelo in quel primo mattino di Pasqua: «Egli non è qui, poiché è risuscitato».17

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È risorto! È risorto!

Innalziam felici un cor.

Dalla tomba liberato

è alla fine il Signor.

Morte mai più vincerà

perché in Cristo è libertà.18

Come uno dei Suoi testimoni speciali sulla terra oggi, in questa gloriosa domenica di Pasqua, dichiaro che

questo è vero, nel Suo sacro nome, il nome di Gesù Cristo, nostro Salvatore. Amen.

NOTE

1. Robert Louis Stevenson, “Requiem”, An Anthology of Modern Verse, a cura di A. Methuen (1921) 208.

2. James E. Talmage, Gesù il Cristo, 15.

3. Giobbe 14:14.

4. Vedere Genesi 1:1–27.

5. Vedere Giobbe 38:7.

6. Luca 2:52.

7. Atti 10:38.

8. Dottrina e Alleanze 19:18.

9. Luca 23:21.

10. Luca 23:34.

11. Luca 23:46.

12. Luca 24:5–6.

13. 1 Corinzi 15:21–22.

14. Dottrina e Alleanze 76:22–23.

15. Giovanni 11:25.

16. Giovanni 14:27.

17. Matteo 28:6.

18. «È risorto!» Inni, 118.

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Io so che vive il Redentor! PRESIDENTE THOMAS S. MONSON

ecentemente stavo sfogliando alcuni album fotografici di famiglia. Mi sono venuti in mente tanti bei

ricordi nel rivedere le foto dei miei cari radunati in occasione di escursioni, compleanni, ritrovi,

anniversari. Da quando furono scattate le fotografie, alcune persone ritratte hanno lasciato questa

vita. Ho pensato alle parole del Signore: «Vivete insieme con amore, tanto da piangere per la perdita di

coloro che muoiono».1 Mi mancano tutti coloro che hanno lasciato il circolo familiare.

Benché difficile e dolorosa, la morte è una parte essenziale della nostra esperienza terrena. Iniziammo il

soggiorno su questa terra lasciando la nostra esistenza preterrena. Il poeta Wordsworth dipinse questo

viaggio nella sua ispirata Ode all’immortalità. Egli scrisse:

La nostra nascita è soltanto un sonno e un dimenticare; L’anima che si leva con noi, la stella della nostra vita, Ha avuto altrove la sua dimora, E viene da lontano; Non completamente dimentichi, Non completamente spogli, Ma accompagnati da nuvole di gloria, Noi veniamo da Dio, presso il quale è la nostra dimora. Nella nostra infanzia il cielo aleggia attorno a noi!2

La vita continua. La giovinezza segue la fanciullezza e il passaggio alla maturità è quasi impercettibile. Nel

ricercare e meditare lo scopo e i problemi della vita, tutti noi, prima o poi, affrontiamo la questione della

lunghezza dell’esistenza e di una vita personale infinita. Questi quesiti si fanno avanti più insistentemente

quando uno dei nostri cari ci lascia, o quando ci troviamo noi ad allontanarci da coloro che amiamo. In

questi momenti, meditiamo sulla domanda universale, ben formulata dall’antico Giobbe, che secoli fa chiese:

«Se l’uomo muore, può egli tornare in vita?»3

Oggi, come sempre, la voce dello scetticismo sfida la parola di Dio e ognuno di noi deve scegliere chi

ascoltare. Clarence Darrow, famoso avvocato agnostico, dichiarò: «Nessuna vita ha tanto valore e … ogni

morte non è che una piccola perdita».4 Schopenhauer, filosofo e pessimista tedesco, scrisse: «Desiderare

l’immortalità è desiderare il perpetuarsi eterno di un grande errore».5 Alle loro parole si aggiungono quelle

delle generazioni emergenti, quando gli uomini stolti crocifiggono di nuovo Cristo, modificando i Suoi

miracoli, dubitando della Sua divinità, rigettando la Sua risurrezione.

Robert Blatchford, nel suo libro God and My Neighbor attaccò con vigore i credi cristiani accettati, come Dio,

Cristo, la preghiera e l’immortalità. Con baldanza sostenne: «Rivendico di aver dimostrato in maniera tanto

completa e decisa tutto quanto avevo stabilito di provare, che nessun cristiano, per quanto grande o capace

sia, può replicare alle mie argomentazioni o scuotere le mie ragioni».6 Egli eresse attorno a sé un muro di

scetticismo, poi accadde un fatto sorprendente: improvvisamente questo muro crollò. Egli rimase esposto e

indifeso. Lentamente iniziò a ritrovare la via della fede che aveva disprezzato e messo in ridicolo.

Che cosa causò questo cambiamento profondo nel suo punto di vista? Era morta sua moglie. Con il cuore a

pezzi, entrò nella stanza dove giaceva tutto ciò che di lei era mortale. Guardò nuovamente il suo volto, che

tanto aveva amato. Uscì dalla stanza e disse ad un amico: «È lei, eppure non è lei. Tutto è cambiato. Qualcosa

che prima c’era è stato portato via. Non è la stessa. Che cosa potrebbe essersene andato, se non l’anima?»

R

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In seguito scrisse: «La morte non è ciò che alcune persone immaginano. È semplicemente come andare in

un’altra stanza, dove troveremo … i cari uomini e i dolci bambini che avevamo amato e perso».7

Contro il dubbio nel mondo moderno riguardo alla divinità di Cristo, cerchiamo un punto di riferimento,

una fonte inattaccabile, persino la professione di fede di un testimone oculare. Nei tempi biblici, Stefano,

condannato alla morte crudele del martirio, alzò gli occhi al cielo e gridò: «Io vedo i cieli aperti, e il Figliuol

dell’uomo in piè alla destra di Dio».8

Chi non è convinto dalla toccante testimonianza di Paolo resa ai Corinzi? Egli dichiarò «che Cristo è morto

per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture;

che apparve a Cefa, poi ai Dodici … e», disse Paolo, «ultimo di tutti, apparve anche a me».9

Nella nostra dispensazione questa stessa testimonianza fu proclamata coraggiosamente dal profeta Joseph

Smith e da Sidney Rigdon: «Ed ora, dopo le numerose testimonianze che sono state date di lui, questa è la

testimonianza, l’ultima di tutte, che diamo di lui: Che egli vive!»10

Questa è la conoscenza che sostiene. Questa è la verità che conforta. Questa è la rassicurazione che guida chi

è oppresso dal dolore, portandolo dalle tenebre alla luce.

La vigilia di Natale del 1997 incontrai una famiglia meravigliosa. Ogni suo componente aveva una

testimonianza incrollabile della verità e della realtà della risurrezione. La famiglia consisteva del padre, della

madre e di quattro figli, ognuno dei quali — tre maschi e una femmina — era nato con una forma rara di

distrofia muscolare, che lo rendeva disabile. Mark, che aveva allora sedici anni, aveva subito un intervento

di chirurgia spinale per permettergli di muoversi più liberamente. Gli altri due figli, Christopher, di tredici

anni, e Jason, di dieci, entro qualche giorno sarebbero andati in California per sottoporsi ad un intervento

simile. L’unica figlia, Shanna, era una bambina di cinque anni, una bellissima bambina. Tutti i figli erano

intelligenti e pieni di fede. Era ovvio che i genitori, Bill e Sherry, fossero fieri di ognuno di loro.

Trascorremmo un po’ di tempo insieme e lo spirito speciale di questa famiglia riempì il mio ufficio e il mio

cuore. Io e il padre benedicemmo i due figli che sarebbero stati operati, poi i genitori mi chiesero se la

piccola Shanna poteva cantare per me. Il padre mi spiegò che aveva una capacità polmonare ridotta e che

sarebbe stato difficile, ma che ella voleva tentare. Accompagnata da un nastro, cantò di un luminoso futuro

con una voce chiara e bellissima, senza perdere una nota:

Nel giorno splendido di cui ho sognato in un mondo che mi piacerebbe vedere, c’è un luogo meraviglioso dove il sole spunta e splende nel cielo per me. In questa bella mattina invernale, se i miei desideri potessero realizzarsi, in qualche modo, allora il giorno splendido di cui ho sognato sarebbe qui ed ora.11

Quando finì di cantare, le emozioni di tutti noi erano percepibili a fior di pelle. Quell’anno, la spiritualità di

quella visita influì sullo spirito del mio Natale.

Rimasi in contatto con la famiglia e quando il figlio maggiore, Mark, compì diciannove anni, furono presi

degli accordi affinché svolgesse una missione speciale presso la sede della Chiesa. In seguito anche agli altri

due fratelli è stata offerta la possibilità di svolgere missioni simili.

Quasi un anno fa Christopher, che aveva ventidue anni, soccombette alla malattia che aveva colpito anche i

suoi fratelli. Lo scorso settembre, poi, venni a sapere che la piccola Shanna, che aveva quattordici anni, era

deceduta. Al funerale fu reso grande onore a Shanna. Appoggiati al pulpito per sostenersi, i fratelli

sopravvissuti, Mark e Jason, raccontarono commoventi storie familiari. La madre cantò una dolce melodia

come parte di un duetto. Il padre e un nonno tennero sermoni toccanti.

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Sebbene il loro cuore fosse infranto, portarono una testimonianza possente e profonda della realtà della

risurrezione e del fatto che Shanna vive ancora, come pure suo fratello Christopher, che essi stanno

attendendo la riunione gloriosa con la loro famiglia.

Quando poi toccò a me parlare, raccontai di quando la famiglia venne nel mio ufficio quasi nove anni prima

e parlai della bella canzone che Shanna aveva cantato in quell’occasione. Conclusi così: «Poiché il nostro

Salvatore morì sul Calvario, la morte non tiene stretto a sé nessuno di noi. Shanna vive, sana e integra, e per

lei quel bel giorno di cui cantò quella speciale vigilia di Natale del 1997, il giorno di cui aveva sognato, è qui

ed ora».

Fratelli e sorelle, noi ridiamo, piangiamo, lavoriamo, giochiamo, amiamo, viviamo, poi moriamo. La morte è

la nostra eredità universale. Tutti dobbiamo passare per il suo portale. La morte rivendica gli anziani, gli

stanchi e gli esausti. Visita i giovani nel fiorire della speranza e nella gloria dell’aspettativa. Neppure gli

infanti sono esenti dalla sua morsa. Usando le parole dell’apostolo Paolo: «È stabilito che gli uomini

muoiano una volta sola».12

E morti rimarremmo, se non fosse per un Uomo e la Sua missione, sì, se non fosse per Gesù di Nazaret. Nato

in una stalla, messo a giacere in una mangiatoia, la Sua nascita adempì le dichiarazioni ispirate di molti

profeti. Egli fu istruito dall’alto. Fornì la vita, la luce e la via. Le moltitudini Lo seguirono. I bambini Lo

adoravano. I superbi Lo rigettarono. Egli parlò in parabole. Insegnò mediante l’esempio. Condusse

un’esistenza perfetta.

Benché il Re dei re e Signore dei signori fosse giunto, alcuni gli tributarono il saluto diretto ad un nemico, ad

un traditore. Seguirono le derisioni che alcuni chiamarono processo. Gridi di «Crocifiggilo,

crocifiggilo!»13 riempirono l’aria. Iniziò poi l’ascesa al Calvario.

Fu messo in ridicolo, insultato, deriso, schernito e inchiodato ad una croce in mezzo agli urli «Il Cristo, il Re

d’Israele, scenda ora giù di croce, affinché vediamo e crediamo!»14 «Ha salvato altri e non può salvar se

stesso!»15 Egli rispose: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».16 «Nelle tue mani rimetto

lo spirito mio. E detto questo spirò».17 Il Suo corpo fu deposto da mani amorevoli in un sepolcro scavato

nella roccia.

Il primo giorno della settimana, la mattina molto per tempo, Maria Maddalena e Maria, la madre di

Giacomo, insieme ad altre, si recarono al sepolcro. Con loro stupore, il corpo del loro Signore era scomparso.

Luca riporta che due uomini in vesti sfolgoranti apparvero dinanzi a loro e dissero: «Perché cercate il vivente

fra i morti? Egli non è qui, ma è risuscitato».18

La settimana prossima il mondo cristiano celebrerà l’evento più importante della storia conosciuta. Questa

semplice dichiarazione, «Egli non è qui, ma è risuscitato», fu la prima conferma della risurrezione letterale

del nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo. La tomba vuota quella prima mattina di Pasqua portò la

rassicurazione confortante, una risposta affermativa alla domanda di Giobbe: «Se l’uomo muore, può egli

tornare in vita?»19

A tutti coloro che hanno perso persone care, diciamo con la domanda di Giobbe tramutata in risposta: Se

l’uomo muore, egli tornerà in vita. Lo sappiamo, perché abbiamo la luce della verità rivelata. «Io son la

risurrezione e la vita», proferì il Maestro. «Chi crede in me, anche se muoia, vivrà; E chiunque vive e crede in

me, non morrà mai».20

Nelle lacrime e nelle prove, nel timore e nel dolore, nell’accoramento e nella solitudine per aver perso delle

persone care, c’è la rassicurazione che la vita è eterna. Il nostro Signore e Salvatore è il testimone vivente che

è proprio così.

Con tutto il cuore e il fervore della mia anima, elevo la mia voce come testimone speciale e attesto che Dio

vive davvero. Gesù è Suo Figlio, l’Unigenito Figliuolo del Padre nella carne.

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Egli è il nostro Redentore, il nostro Mediatore con il Padre. Fu Lui che morì sulla croce per espiare i nostri

peccati. Egli divenne la primizia della risurrezione. Poiché Egli morì, tutti vivremo di nuovo. «Io so che vive

il Redentor; qual gioia è ciò per il mio cuor».21 Prego umilmente che anche il mondo intero possa saperlo e

vivere secondo tale conoscenza. Nel nome di Gesù Cristo, il Signore e Salvatore. Amen.

NOTE

1. DeA 42:45.

2. William Wordsworth, «Ode: Intimations of Immortality from Recollections of Early Childhood», The Oxford Book of

English Verse: 1250–1900, edizione 1939, Arthur Quiller-Couch, 628.

3. Vedere Giobbe 14:14.

4. The Story of My Life (1932), capitolo 47, paragrafo 34.

5. Arthur Schopenhauer, The Home Book of Quotations, a cura di Burton Stevenson (1934), 969.

6. God and My Neighbor (1914).

7. Vedere More Things in Heaven and Earth: Adventures in Quest of a Soul (1925), 11.

8. Atti 7:56.

9. 1 Corinzi 15:3–5, 8.

10. DeA 76:22.

11. «The Beautiful Day», dal film Scrooge, 1970, musica e testi di Leslie Bricusse.

12. Ebrei 9:27.

13. Luca 23:21.

14. Marco 15:32.

15. Marco 15:31.

16. Luca 23:34.

17. Luca 23:46.

18. Luca 24:5–6.

19. Vedere Giobbe 14:14.

20. Giovanni 11:25–26.

21. «Io so che vive il Redentor», Inni, 82; vedere anche Giobbe 19:25.

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«Nella grammatica del Vangelo, la morte non è un punto esclamativo, ma soltanto una virgola».

Anziano Neal A. Maxwell

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N on sappiamo tutto ciò che ci aspetta. Viviamo in un mondo

delusioni. Per alcuni ci sarà molto divertimento e contentezza, buona salute

e una vita agiata, per altri forse malessere e una certa misura di dolore. Noi

non lo sappiamo.

Ma una cosa sappiamo:

Come la stella polare nella volta celeste, a prescindere dal futuro, lì si erge il

a

nostra vita immortale. Egli è la rocca della nostra salvezza, la nostra forza, il

guardiamo a Lui ed Egli è lì per rassicurarci e sorride su di noi.

Egli è al centro della nostra adorazione. Egli è il Figlio del Dio vivente, il

primizia di quelli che dormono» (1 Corinzi 15:20). Egli è il Signore che verrà

di nuovo «per regnare in terra sul suo popolo» (DeA 76:63; vedere anche

Michea 4:7; Apocalisse 11:15).

Nessun essere più grande ha mai camminato sulla terra. Nessun altro ha

mai compiuto un sacrificio paragonabile al Suo o concesso una benedizione

simile. Egli è il Salvatore e il Redentore del mondo. Credo in Lui. Proclamo

la Sua divinità senza equivoci né compromessi. Gli voglio bene. Pronuncio il

Suo nome con riverenza e stupore. Egli è il nostro Re, il nostro Signore, il

nostro Maestro, il Cristo vivente che sta alla destra del Padre.

Egli vive!

Egli vive, risplendente e meraviglioso,

il Figlio vivente del Dio vivente.

Presidente Gordon B. Hinckley

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La Pasqua afferma che potete anche mettere la verità in una tomba, tanto non vi resterà.

Clarence W. Hall

Potrebbe forse finire così la vita, lasciata a metà, e la sua scuola fallire?

!

Robert Mowry Bell

Tomba, tu non Lo tratterrai ancora;

La Morte è forte, la Vita ancor di più;

Più forte delle tenebre, la luce;

...

Phillips Brooks

Nostro Signore ha scritto la promessa della resurrezione non soltanto nei libri,

ma in ogni foglia di primavera.

Martin Lutero

«Parte del motivo per cui il Salvatore soffrì nel Getsemani fu affinché potesse avere una

compassione infinita per noi, quando passiamo attraverso prove e tribolazioni. Tramite la Sua

sofferenza nel Getsemani, il Salvatore si qualificò per essere il Giudice perfetto. Nessuno di noi potrà

avvicinarsi a Lui, nel Giorno

Anziano Glenn L. Pace

«Non vi sarebbe alcun Natale, se non vi fosse stata la Pasqua. Il Gesù fanciullo di Betlemme sarebbe

soltanto un altro bambino, senza il Cristo Redentore del Getsemani e del Calvario e senza la

trionfante realtà della Resurrezione».

Presidente Gordon B. Hinckley

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«Ecco, io vi dico che so veramente che Cristo verrà fra i figlioli degli uomini per prendere su di Sé le trasgressioni del suo popolo, e che egli espierà per i peccati del mondo; poiché il Signore Iddio lo ha detto [… ]

Poiché è opportuno che vi sia un grande e ultimo sacrificio; sì, non un sacrificio di uomini, né di bestie, né d'alcuna sorta di volatili; poiché non sarà un sacrificio umano; ma dovrà essere un sacrificio infinito ed eterno [… ]

Ed ecco, questo è l'intero significato della legge; ogni più piccola parte sta a indicare quel grande e ultimo sacrificio; e quel grande e ultimo sacrificio sarà quello del Figlio di Dio, sì, infinito ed eterno.

E così egli porterà la salvezza a tutti coloro che crederanno nel suo nome; poiché essendo questo l'intento di questo ultimo sacrificio: richiamare le viscere della misericordia, la quale vince la giustizia e procura agli uomini i mezzi perché possano aver fede fino a pentirsi.

E così la misericordia può soddisfare le esigenze della giustizia e le circonda con le braccia della salvezza».

(Alma 34:8, 10, 14-16)

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