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GNGTS 2017 SESSIONE 1.1 41 QUANTE VOLTE FIGLIOLA? CONFESSIONI SIBILLINE DI UNA GIOVANE FAGLIA P. Galli 1,2 , A. Galderisi 3 , E. Peronace 2 , B. Giaccio 2 , I. Hajdas 4 , P. Messina 2 , F. Polpetta 2 1 Dipartimento Protezione Civile, Roma 2 CNR-IGAG, Roma 3 UNICAM, Camerino 4 ETHZ-HPK, Zurigo, Svizzera Introduzione. Le faglie attive italiane - vuoi per i loro modesti ratei di movimento e per le litologie poco conservative dei terreni in affioramento, vuoi per le dilaganti coperture arboree e per le millenarie rivoluzioni agricole che ne hanno dissimulato le scarpate tra mille forme antropiche - mostrano spesso un sotterraneo pudore non solo nel rivelarsi agli occhi del geologo, ma - una volta scoperte - anche nel raccontare le proprie vicende tardo quaternarie e le loro storie sismiche. D’altra parte, colte sul fatto, non possono che confessare quanto commesso fino ad oggi. I terremoti distruttivi che hanno colpito l’Appennino centrale nell’agosto-ottobre 2016 (Io XI MCS; Galli et al., 2017) sono stati generati dal sistema di faglie dirette del Monte Vettore (Calamita et al., 1992; Galadini e Galli, 2000). La dislocazione in profondità ha raggiunto la superficie sia in occasione dell’evento del 24 agosto (Mw 6.2: RCMT, 2016; segmenti sud del sistema) che in quello del 26 ottobre (Mw 6.1: RCMT, 2016; segmenti nord del sistema), ma sopratutto durante il terremoto del 30 ottobre (Mw 6.57, RCMT, 2016), quando l’intero sistema di faglie si è rimobilizzato da NNW a SSE, producendo circa 25 km di fagliazione di superficie. La rottura è stata istantanea (Wilkinson et al., 2017) ed ha interessato non solo i segmenti principali e secondari già indicati dagli Autori in precedenza, ma anche diversi splays sintetici ed antitetici poco o punto conosciuti, alcuni lunghi diversi chilometri. I rigetti in superficie sono stati per lo più decimetrici (vs una media di 1.3 m in profondità con un massimo di 2.6 m; Chiaraluce et al., 2017), con picchi eccedenti 2 m limitatamente a un tratto del cordone del Vettore, la scarpata di faglia in roccia prospiciente il Piano Grande di Castelluccio. L’attività olocenica della faglia del Monte Vettore e la sua potenzialità nel generare terremoti di Mw 6.5 era stata già anticipata in Galli e Galadini (1999) e definita poi in dettaglio in Galadini e Galli (2003). Tramite lo scavo di tre trincee paleosismologiche aperte nel 1998 attraverso uno splay sintetico sconosciuto della master fault, questi autori individuarono l’occorrenza di due eventi di dislocazione cosismica nel tardo Olocene, preceduti da altri successivi all’Ultimo Massimo Glaciale (UMG). Lo splay in questione era quello di Prate Pala, nel Piano Grande di Castelluccio, associato a una scarpata di faglia alta 2-3 m nei depositi di un conoide polifasico successivo all’UMG (Fig. 1). Questo stesso splay ha registrato un rigetto centimetrico (fino a 13 cm di free-face, ma con 50 cm di warping areale) in occasione del mainshock del 30 ottobre 2016, per oltre 1 km di

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Quante volte fIglIola? ConfessIonI sIBIllIne dI una gIovane faglIaP. Galli1,2, A. Galderisi3, E. Peronace2, B. Giaccio2, I. Hajdas4, P. Messina2, F. Polpetta2

1 Dipartimento Protezione Civile, Roma2 CNR-IGAG, Roma3 UNICAM, Camerino4 ETHZ-HPK, Zurigo, Svizzera

Introduzione. Le faglie attive italiane - vuoi per i loro modesti ratei di movimento e per le litologie poco conservative dei terreni in affioramento, vuoi per le dilaganti coperture arboree e per le millenarie rivoluzioni agricole che ne hanno dissimulato le scarpate tra mille forme antropiche - mostrano spesso un sotterraneo pudore non solo nel rivelarsi agli occhi del geologo, ma - una volta scoperte - anche nel raccontare le proprie vicende tardo quaternarie e le loro storie sismiche. D’altra parte, colte sul fatto, non possono che confessare quanto commesso fino ad oggi.

I terremoti distruttivi che hanno colpito l’Appennino centrale nell’agosto-ottobre 2016 (Io XI MCS; Galli et al., 2017) sono stati generati dal sistema di faglie dirette del Monte Vettore (Calamita et al., 1992; Galadini e Galli, 2000). La dislocazione in profondità ha raggiunto la superficie sia in occasione dell’evento del 24 agosto (Mw 6.2: RCMT, 2016; segmenti sud del sistema) che in quello del 26 ottobre (Mw 6.1: RCMT, 2016; segmenti nord del sistema), ma sopratutto durante il terremoto del 30 ottobre (Mw 6.57, RCMT, 2016), quando l’intero sistema di faglie si è rimobilizzato da NNW a SSE, producendo circa 25 km di fagliazione di superficie. La rottura è stata istantanea (Wilkinson et al., 2017) ed ha interessato non solo i segmenti principali e secondari già indicati dagli Autori in precedenza, ma anche diversi splays sintetici ed antitetici poco o punto conosciuti, alcuni lunghi diversi chilometri. I rigetti in superficie sono stati per lo più decimetrici (vs una media di 1.3 m in profondità con un massimo di 2.6 m; Chiaraluce et al., 2017), con picchi eccedenti 2 m limitatamente a un tratto del cordone del Vettore, la scarpata di faglia in roccia prospiciente il Piano Grande di Castelluccio.

L’attività olocenica della faglia del Monte Vettore e la sua potenzialità nel generare terremoti di Mw 6.5 era stata già anticipata in Galli e Galadini (1999) e definita poi in dettaglio in Galadini e Galli (2003). Tramite lo scavo di tre trincee paleosismologiche aperte nel 1998 attraverso uno splay sintetico sconosciuto della master fault, questi autori individuarono l’occorrenza di due eventi di dislocazione cosismica nel tardo Olocene, preceduti da altri successivi all’Ultimo Massimo Glaciale (UMG). Lo splay in questione era quello di Prate Pala, nel Piano Grande di Castelluccio, associato a una scarpata di faglia alta 2-3 m nei depositi di un conoide polifasico successivo all’UMG (Fig. 1).

Questo stesso splay ha registrato un rigetto centimetrico (fino a 13 cm di free-face, ma con 50 cm di warping areale) in occasione del mainshock del 30 ottobre 2016, per oltre 1 km di

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Fig. 1 - Una delle 3 trincee aperte nel 1998 da Galadini e Galli (2003) lungo lo splay di Prate Pala. La faglia disloca l’andosuolo del Neoglaciale contro le ghiaie oloceniche del conoide ed è sigillata da un colluvio storico. Questa faglia si è rimossa nel 2016.

lunghezza, divenendo la prima faglia al mondo (?) a rompere in superficie dopo essere stata scoperta in trincea.

Nel Catalogo dei Paleoterremoti d’Italia (Galli et al., 2008), i due ultimi eventi individuati per via paleosismologica erano stati collocati analiticamente al 3002±1975 BC e all’828±1389 BC, anche se l’ultimo, verosimilmente, cadeva all’estremo recentiore della forchetta d’incertezza, poco prima del 240-480 AD, ma dopo il 50-265 AD (vedi in Galli et al., 2017).

Le nuove analisi paleosismologiche. I segmenti che compongono la master fault del sistema del Monte Vettore corrono tutti ad alta quota (tra 1600 e 2200 m s.l.m.) lungo i versanti acclivi occidentali della catena dei Sibillini, se non talora in cresta o ad oriente della stessa. Per questo motivo, sino ad oggi, le analisi paleosismologiche si erano concentrate sull’unico splay facilmente accessibile del sistema, il solo - tra l’altro - che interessasse depositi alluvio-colluviali post UMG. La circostanza con la quale l’intero sistema di faglie sintetiche e antitetiche si è palesato in superficie il 30 ottobre 2016 è stata determinante nell’individuare una serie di nuovi siti suscettibili di sottendere depositi tardo quaternari e quindi adatti allo scavo di trincee paleosismologiche (Figg. 2 e 3). In questa fase si presentano i risultati di tre trincee aperte tra maggio e giugno 2017 attraverso il più importante, lungo e continuo splay antitetico alla master, qui denominato faglia di San Lorenzo. La faglia è composta da due segmenti principali in relazione en échelon sinistra. Quello meridionale (Monte Abuzzago) è lungo oltre 1.3 km, con un overlap di circa 500 m e uno step over di 400 con il segmento contiguo di Monte Rotondo-Colle Infante, lungo invece 3.5 km (Fig. 2). Due trincee sono state aperte attraverso il segmento nord ed una su quello sud.

Trincea 1 di Colle Infante. Questa trincea, ubicata tra Colle Infante e Monte Prata a circa 1600 m di quota, è lunga 12 m e profonda sino a 3 m. La faglia qui ribassa verso est il versante di Colle Infante, ponendo a contatto la formazione della Maiolica (Titoniano-Aptiano) con quella della Scaglia Rossa (Turoniano-Eocene). Nel blocco di tetto, ovvero nella sella morfologica controllata dai movimenti della faglia, sono intrappolati i depositi di versante provenienti dal Monte Prata e, in misura minore, da Colle Infante. Oltre a questi, lo scavo ha esposto colluvi ghiaiosi a matrice limosa, paleosuoli sepolti e cunei colluviali al piede della scarpata cosismica della faglia.

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Fig. 2 - Dettaglio della zona centrale del sistema di faglie del Monte Vettore attivatosi nei terremoti del 2016. In rosso la fagliazione di superficie del 30 ottobre (Mw 6.56). 1-3, siti paleosismologici di Colle Infante, Portella del Vao e Capanna Ghezzi (faglia antitetica di san Lorenzo); 4, trincee 1-3 aperte nel 1998 da Galadini e Galli (2003) sulla faglia di Prate Pala. In background, stralcio della carta geologica di Pierantoni et al. (2013).

L’analisi dei depositi ha evidenziato la presenza di almeno quattro eventi di fagliazione. L’ultimo, ça va sans dire, è quello del 30 ottobre 2016, con un rigetto verticale di circa 60 cm e la formazione di una beanza ad imbuto tra il blocco di letto (Maiolica) e i depositi al tetto, già quasi riempita dalle ghiaie sciolte circostanti. Un penultimo, evidenziato dalla fagliazione di due precedenti cunei colluviali di ghiaie grossolane sciolte e dalla formazione di una beanza riempita da ghiaie in matrice sabbiosa, del tutto simile a quella del 2016. Un terzultimo, testimoniato dalla presenza di un cuneo colluviale rifagliato dall’evento successivo. Un quartultimo riconoscibile dalla fagliazione dei depositi di versante a fondo trincea e dalla formazione del grosso cuneo di ghiaie grossolane sciolte al di sopra degli stessi (cuneo colluviale). Purtroppo, alcune delle datazioni della componente organica della matrice delle ghiaie di versante e dei colluvi non hanno dato risultati conclusivi, se non quelli necessari a definire: un termine post quem per il quartultimo evento - avvenuto successivamente alla metà del VI millennio BC; un possibile termine ad quem per il terzultimo - avvenuto al termine del IV millennio BC; un termine post quem per il penultimo - avvenuto successivamente al IV millennio BC e molto prima del VII-IX secolo AD, età del paleosuolo sepolto che sigilla gli eventi precedenti il 2016. Nuove datazioni sono ancora in corso.

Trincea 2 di Portella di Vao. Questa trincea - lunga 18 m e profonda fino a 4.5 m - è ubicata sul tip meridionale del segmento di Colle Infante-Monte Rotondo, in un tratto dove il rigetto cosismico del 30 Ottobre diminuisce bruscamente, sino ad annullarsi. Nonostante l’esiguità dei rigetti, lo scavo mostrava delle buone potenzialità paleosismiche in quanto la faglia, abbandonato il versante in calcari, attraversa - sbarrandola - la valle di San Lorenzo a monte della stretta di Portella di Vao, interessando i depositi di riempimento della valle (Fig. 3). Di fatto, la successione esposta è costituita da depositi lacustri e palustri, alternati a superfici di erosione e mantellati in alto da colluvi e suoli. Le due pareti della trincea, poste a circa 3 m

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Fig. 3 - Veduta verso sud della Valle di San Lorenzo, attraversata dalla scarpata di faglia del segmento Colle Infante-Monte Rotondo. Le frecce gialle indicano la rottura cosismica del 30 ottobre 2016; quella rossa la faglia nella trincea di Portella di Vao. Il naturale deflusso delle acque è stato in passato sbarrato dall’innalzamento cosismico del footwall, inducendo la formazione di una zona paludosa. Lo stereoplot è relativo al piano di faglia in Calcare Massiccio esumatosi il 30 ottobre (in blu e rosso il contouring degli assi P e T, rispettivamente).

di distanza l’una dall’altra, hanno interessato due diversi segmenti di faglia en échelon separati da uno step over di pochi decimetri; quello nord con un rigetto verticale del piano campagna di circa 25 cm associato a una componente orizzontale di poco inferiore; quello sud caratterizzato da una beanza di 10 cm e da un warping areale non quantificabile del piano campagna tra tetto e letto. Come conseguenza, lo stile deformativo esposto nelle due pareti era prevalentemente fragile su quella nord e duttile su quella sud, una circostanza eccezionale ed interessantissima sia dal punto di vista strutturale che paleosismologico.

L’analisi comparata della stratigrafia e delle deformazioni sulle due pareti della trincea ha consentito di riconoscere sino a 4 eventi di fagliazione. Anche qui, naturalmente, l’ultimo è quello del 2016, evidenziato in parete nord dal medesimo rigetto del piano campagna e degli orizzonti più alti, nonché da un set di fratture beanti sino al piano campagna e da una dolce piegatura dei livelli più alti in parete sud. Il penultimo evento, in parete nord, è testimoniato dal maggior rigetto dei livelli sottostanti sulla faglia principale, dalla formazione di un deposito palustre di sbarramento della valle dovuto all’innalzamento cosismico del blocco di letto e dalla fagliazione della superficie di erosione su cui si appoggia, sigillandola, questo deposito. In parete sud, oltre alla fagliazione di questo stessa superficie, è ben misurabile il warping dell’intera successione precedente il deposito palustre e responsabile dello sbarramento temporaneo della valle. Il terzultimo evento è desumibile dall’ispessimento a cavallo della faglia di uno dei livelli lacustri che si depositavano al momento del terremoto, nonchè dall’incremento del rigetto dei livelli sottostanti sulla faglia principale. Infine, un quart’ultimo evento è ipotizzabile da un ulteriore ispessimento a cavallo della faglia principale del livello lacustre basale

Sulla base delle datazioni AMS effettuate su carboni e sulla materia organica dei livelli lacustri e palustri, il penultimo evento è avvenuto poco prima del IV-V secolo AD, il terzultimo tra II e III millennio BC e il quart’ultimo prima del III millennio BC.

Trincea 3 di Capanna Ghezzi. Questa trincea - lunga 8 m e profonda sino a 4 m - è stata scavata sul tip meridionale del segmento di Monte Abuzzago, dove la faglia taglia i depositi di una vallecola sospesa e sbarrata dalla faglia stessa. La trincea ha interessato un segmento

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senza apparente rigetto, ma con beanza di 5-10 cm. Al di sopra del substrato calcareo, lo scavo ha esposto un suolo idromorfo argilloso di colore verde chiaro, seguito da depositi argilloso-sabbiosi di ambiente palustre, oltre che colluvi pedogenizzati e suoli.

L’analisi dei depositi fagliati ha permesso di riconoscere l’evento del 2016, marcato da un set di fratture beanti sino a piano campagna associate a un debole warping di tutta la successione. Un penultimo evento è testimoniato invece dalla fagliazione di un orizzonte palustre pedogenizzato, sigillato al di sopra da colluvi storici. Un terzultimo evento è infine evidenziato dalla fagliazione di un livello sabbioso-limoso sottostante, troncato e sigillato dall’unità soprastante. Un quartultimo evento è ipotizzabile sulla base della presenza di un cuneo colluviale fatto a spese del suolo idromorfo affiorante nel blocco di letto.

Anche qui le età radiocarbonio non hanno dato risultati conclusivi, fornendo tuttavia un termine post quem robusto per il penultimo evento, avvenuto dopo il I secolo AD, ma prima della deposizione di un colluvio contenente ceramica alto medievale. Il terzultimo evento è invece avvenuto prima del IV secolo BC e un tempo indefinibile dopo il VI millennio BC. Anche qui ulteriori datazioni sono in corso.

Discussione e conclusioni. Le informazioni ricavate dalla faglia antitetica di San Lorenzo nelle tre trincee aperte nella primavera 2017 permettono di delineare una storia sismica millenaria del sistema di faglie responsabile della devastante sequenza del 2016. Assumendo che questa struttura antitetica si muova sempre di conseguenza alla faglia principale, e che così accada anche allo splay sintetico di Prate Pala, comparando e integrando i dati raccolti nelle tre trincee scavate nel 1998 con quelli attuali, è possibile restringere gli intervalli di incertezza temporale di ciascun evento di fagliazione e definire anche un tempo di ritorno per terremoti di Mw 6.6.

Così facendo, il penultimo evento è collocabile tra fine III e IV secolo AD, ci piace pensare successivamente al 270 AD, terminus post quem suggerito da un ripostiglio monetale rinvenuto nel XVII secolo nell’agro di Castelluccio. Il terzultimo al passaggio tra II e III millennio BC. Il quartultimo forse al termine del IV millennio BC ed un quintultimo tra IV e VI millennio .

I tempi di ritorno, dunque, sono ultramillenari, tipici di una faglia silente qual era fino al 2016 quella del Monte Vettore, al pari di quelle del Gran Sasso e del Monte Morrone (Sulmona). In particolare, considerando gli ultimi cinque eventi, il tempo di ricorrenza per eventi di Mw 6.6 è inferiore a 2000 anni, simile appunto a quello della faglia del Monte Morrone (2400 anni; Galli et al., 2015), quest’ultima silente dal II secolo AD. Le datazioni ancora in corso permetteranno, forse, una migliore definizione degli eventi descritti.

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Mts. Faults, Annals of Geophysics, 46, 815-836.Galli P. & Galadini F.; 1999. Seismotectonic framework of the 1997-98 Umbria-Marche (Central Italy) earthquakes.

Seismological Res. Letters, 70, 404-414.Galli P., Giaccio B., Messina P., Peronace E.; 2015. Holocene Paleoearthquakes and Early-Late Pleistocene Slip-Rate

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in central Italy (Mw 6.6). Seismotectonic implications, Tectonics, DOI:10.1002/2017TC004583Pierantoni P.P., Deiana G., Galdenzi S.; 2013. Geological map of the Sibillini Mountains (Umbria-Marche Apennines,

Italy), Firenze : Litografia Artistica Cartografica, 2013.RCMT; 2016: European-Mediterranean RCMT Catalog, web page: http://www.bo.ingv.it/RCMT/Wilkinson M.W. et alii; 2017. Near-field fault slip of the 2016 Vettore Mw 6.6 earthquake (Central Italy) measured

using low-cost GNSS, Scientific Reports, 7, 4612, 7 pp.