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Robert O. J. Van Nuffel Il Romanticismo e le sue teorie drammatiche In: Revue belge de philologie et d'histoire. Tome 26 fasc. 1-2, 1948. pp. 5-33. Citer ce document / Cite this document : Van Nuffel Robert O. J. Il Romanticismo e le sue teorie drammatiche. In: Revue belge de philologie et d'histoire. Tome 26 fasc. 1-2, 1948. pp. 5-33. doi : 10.3406/rbph.1948.1770 http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/rbph_0035-0818_1948_num_26_1_1770

Van Nuffel Il Romanticismo e le sue teorie drammatiche

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Robert O. J. Van Nuffel

Il Romanticismo e le sue teorie drammaticheIn: Revue belge de philologie et d'histoire. Tome 26 fasc. 1-2, 1948. pp. 5-33.

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Van Nuffel Robert O. J. Il Romanticismo e le sue teorie drammatiche. In: Revue belge de philologie et d'histoire. Tome 26 fasc.1-2, 1948. pp. 5-33.

doi : 10.3406/rbph.1948.1770

http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/rbph_0035-0818_1948_num_26_1_1770

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IL ROMANTICISMO

E LE SUE TEORIE DRAMMAT1CHE «

Definire il Romanticismo sembra un' impresa ardua. Molti hanno tentato di racchiudere in una breve formula l'essenza di questa scuola letteraria ; ma è pacifico che nessuno di queste definizioni rispecchia la realtà complessa del fenomeno. Per- ciô tenteremo, valendoci dei tentativi fatti dai nostri prede- cessori, di mettere in rilievo le caratteristiche délia rivoluzione letteraria che aU'inizio deU'ottocento prese il nome di Romanticismo.

Non v'ha dubbio che, corne nota, fra altri il Marasca : « II Romanticismo quale si è manifestato sulla fine del secolo xviii e sul principio del xix, è, nella storia dello spirito umano, uno dei fatti più estesi è più complessi. Abbraccia le princi- pali nazioni civili : Germania, Inghilterra, Francia ; onde, anche per questo, è paragonabile all'Umanesimo. Ha profondi rapporti con la storia, la filosofia, le scienze sperimentali, la politica, la religione : possiamo dirlo un momento dello spirito europeo (2). » Fondandosi su simile costatazione alcuni hanno voluto far rientrare il Romanticismo italiano nell'ambito del Romanticismo europeo e poi si sono accorti che esiste una differenza cospicua fra la teoria romantica italiana e quella degli altri paesi, specie la Germania e Γ Inghilterra. C'è, anzi, chi, fondandosi su questa diversità di intendimenti negô aile

(1) Cet article constituait le chapitre introductif d'une Histoire du théâtre romantique italien quasi terminée en 1940, et dont une partie importante a été perdue durant la campagne.

(2) Marasca, Le origini del romanticismo italiano. Questioni preliminari pi ogrammi-precedenti. Roma, Loescher, 2a ediz, 1910, p. 1.

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dottrine letterarie sorte in Italia intorno al 1815 la qualifica di romantiche i1).

Bisogna pero riconoscere che Ie discussioni vivaci che scossero la repubblica delle lettere dopo la caduta di Napoleone si aggi- rarono intorno ai concetti di Classicismo e Romanticismo. Se quest'ultima tradizione potè avere in Italia avversari e difensori essa dove necessariamente avere una certa consis- tenza ; crediamo si possa determinarla fondandosi sugli scritti teorici dei Conciliatori e dei loro amici. Osserva giustamente il Luchaire che se il Romanticismo italiano è alquanto diverso di quello degli altri popoli, ciö non significa affatto che non sia stato importante. « II l'a été d'abord dans la mesure de l'importance qu'on lui a attribuée alors, de l'intérêt avec lequel le public a suivi les polémiques, accueilli les œuvres qui se réclamaient de l'une ou de l'autre doctrine. Quelle qu'ait été la substance du romantisme il a été un fort excitant intellectuel (2). » Riconosce pero che « il est impossible de mettre le romantisme italien d'accord avec lui-même pour peu qu'on s'écarte de quelques points précis. » (3) e tenta, in seguito, di rilevare i punti essenziali di taie dottrina : « en règle générale, renoncer à la littérature de pure forme, mettre dans les écrits en vers comme en prose le plus de pensée et de sentiment possible, exprimés simplement, de façon accessible à tous. Ne pas rechercher une perfection artificielle, renoncer aux modèles d'art traditionnels, à la convention pour observer et reproduire la nature, ainsi que l'ont fait de grands écrivains anglais et allemands. En particulier briser les règles classiques de l'art dramatique, mettre au rancart l'attirail mythologique, cultiver quelques genres jusqu'à présent inconnus aux Italiens, le ro-

(1) G. Martegiani, II romanticismo italiano non esiste ; Firenze Suc- cessori B. Seeber, 1908, Manzoni aveva preveduto questo atteggiamento scrivendo nella lettera al Chauvet : « je ne désespère pas de voir le jour où les romantiques actuels de l'Italie s'entendront reprocher de n'être pas assez romantiques » (Opère, éd. Sherillo, t. III, p. 377).

(2) J. Luchaire. Essai sur l'évolution intellectuelle de l'Italie de lSl-ri à '830, Paris, Hachette, 1906, p. 70,

(3) Id., p. 77.

(3) IL ROMANTICISMO E LE SUE TEORIE DRAMMATICHE 7

man surtout. » (}). Un altro critico francese caratterizza, a nos- tro parère, con maggior félicita, questo periodo délia storia letteraria italiana : « né en Italie, chez un peuple latin, ami des idées claires et des solutions pratiques, le romantisme italien se circonscrit à un petit nombre de questions. La principale est la création d'une littérature vraiment moderne, simple, sérieuse, sincère, exprimant les sentiments et les pensées d'un peuple au début du xixe siècle ; chrétienne aussi, car ce peuple est chrétien, et les meilleurs des romantiques, Pellico, Manzoni sont de fervents catholiques ; national surtout, car, on le verra, beaucoup plus que de littérature et de poésie en général il s'agit ici de poésie, de drame, de roman italiens et volontiers toute autre préoccupation cède le pas à l'intérêt patriotique. Le romantisme italien est national, comme le romantisme allemand, et un peu pour les mêmes raisons politiques ; il tend à créer une poésie populaire, un drame italien. De même il est protestataire, au moins par ses plus ardents représentants ; il aspire à la liberté de l'Italie. D'autre part, comme les discussions littéraires proprement dites, celles qui portent sur les formes et les genres, sur la langue et les vers ont toujours eu beaucoup d'importance en Italie. Le Romantisme s'intéressera, comme les autres à ces questions et le premier discutera à fond la légitimité d'une tragédie nouvelle (2). »

« Puoi definire il Romanticismo corne l'ebbrezza del l'infini- to. Il grave problema délia vita consiste nell'afferrare e com- prendere queU'infinità ch'è fuor di noi, e nell' accordarla col- l'infinità spirituale ch'è entro noi » diceva A. Farinelli (3). Egli chiariva poi meglio la sua concezione nei riguardi del Romanticismo latino, senza perô soddisfarci del tutto. « ... generale qui da noi, in Ispagna, nel Portogallo, scriveva, e altrove nelle nazioni latine, fu l'impegno di non considerare più Tarte

(1) Id., p. 69. (2) P. van Tieghem, Le mouvement romantique. 2a éd., Paris Vuibert,

1923, pp. 93-94. (3) A. Farinelli, II romanticismo in Germania. Bari, Laterza, 2a éd.

1923, p. 47.

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come un trastullo o passatempo di oziosi, dilettamento arcadico, ma come missione morale e civile, respiro verace di vita, sogno dei nostri destini. I contemplanti dovevano quindi farsi attivi ; Tarte doveva servire al benessere della patria e al progresso vagheggiato delle stirpi ; all'ara della patria doveva prostarsi l'individuo, sentisse pur anche in se fortissimamente il suo Dio ; il bello doveva tendere al vero ; si nobilito l'utile, che aveva pur tanto ignobile aspetto ; e si immaginô seriamente di spiritu alizzare la materia, nell' urgente bisogno di interio- rizzare Tintera vita C1).» Per il Tonelli : « il Romanticismo è moto idealistico, tanto da giungere, alcuna volta, ai confini e, talvolta, attingere addirittura le vette del misticismo : crede nello spirito, regolatore della società, procedente secondo le sue leggi essenziali e fatali, eternamente giovane ed immortale ; crede nella divinità della storia, cioè nella storia, quale mani- festazione necessaria dello spirito umano, non già quale ag- gregato meccanico di fatti (2). » E per il Croce : « Per romanticismo s'intende una condizione d'intimo dissidio, il sentimen- talismo, il contrasto tra le aspirazioni e la realtà : significato conforme cosi a quello originario dato alla parola dallo Schiller e dagli Schlegel, come all'uso più comune. Il romanticismo è le mal du siècle, rappresentato non solamente da moite opère d'arte ma anche da moite biografie (3). » Quest' ultimo critico considéra quattro forme diverse nel romanticismo ; egli distingue in romanticismo morale, filosofico, politico e artistico. Questo puô ritorvarsi nel detto di Federico Schlegel sul maggior valore che il romanticismo dà al contenuto sulla forma, e anche in certi entusiasmi e consigli letterari della Staël ; scrittori romantici sono quelli che, colta Tintuizione ail' in- grosso, per incuria o per violenza di passione o per altri motivi

(1) A. Farinelli, II romanticismo nel mondo latino. Torino, Fratelli Bocca, t. I, p. 28.

(2) L, Tonelli, La critica letteraria italiana negli ullimi cinquanta anni. Bari, Laterza, 1914, pp. 20-21.

(3) Benedetto Croce, Poeti e scrittori d'Italia, T. II, Da Alfieri a Pascali (a cura di F. del Secolo e. G. Castellano), Bari, Laterza, 1927, p. 6.

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la determinano solamente in alcune linee appagandosi per le rimanenti del vago e del pressapoco (x). » Ed il romanticismo contiene nel suo nome la sua stessa condanna : « con quel ismo terminativo che puô dirsi desinenza di degenerazione o esagerazione (2). »

Tutte queste definizioni ci danno precisazioni intorno al concetto di romanticismo ; nessuna pero ci rivela il contenuto essenziale délie rivendicazioni délia scuola romantica e tanto meno mettono in rilievo il carratere peculiare del romanticismo italiano che il Galletti considéra « tutto equilibrio e buon senso e che quindi si contrappone a tutte le altre forme che lo spirito romantico vesti nelle letterature moderne (3). » Ci sembra che più si avvicinino alla realtà coloro che cercano di dare risalto aile principali aspirazioni del romanticismo. « Storica- mente, dice il Calcaterra, oggi non è possibile concepire il romanticismo italiano come un movimento spirituale che non ha occhi se non per combattere'il frigido convenzionalismo classicheggiante, l'annosa mitologia e le implacabili unità drammatiche. Sotto queste particolari questioni si muove un desiderio più vasto di liberazione e di creazione, vive e agisce l'aspirazione sincera di ridare nuova vita alla filosofia, aile lettere, all'arte, alla politica, secondo le migliori tendenze délia spiritualità italiana e nel medesimo tempo secondo le esigenze vitali délia modernità, per essere capiti come diceva il Di Brème, non solo dalla nazione, ma da tutta Europa (4). »

Guido Mazzoni chiede ai teorici del romanticismo la defini- zione dell' atteggiamento da loro assunto : \< quale insomma il romanticismo venne inteso dal Manzoni, e da molti altri dei nostri migliori, puô dirsi che tutto quanto stesse in un ragione- vole ritorno agli esemplari indigeni, di vigoria spontanea, ma

(1) Id. p. 7. Si veda anche : La Critica, Ληηο IV, fase. III, 20 maggio 1906 : Benedktto Croce, Le definizioni del romanticismo, pp. 241-245.

(2) Id. (3) A. Galletti, Introduzione alla leliera semiseria di Grisostomo di

Giovanni Berchet, Lanciano Carabba, s. d. [1913] p. 90. (1) C. Calcaterra, II romanlicismo italiano in un libro di Paul Van

Tieghcm, in La Cultura, Anno III, Fase. III, p. 168.

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insieme di ingegnoso accordo tra il classico e il neolatino : per- chè Ie opere eccellenti della letteratura italiana furon sempre tali che è forza riconoscervi, più o meno palese, un riflesso dell'antico (*). » L'autore dell' 800 ricercando anni addietro Ie origini del romanticismo asseriva che l'essenziale della teo- ria si trova racchiuso nella Lettera semiseria di Grisostomo del Berchet, nella Lettera sul romanticismo del Manzoni, nei Ser- moni sulla poesia di Giovanni Torti e nelle Idee elementarie della poesia romantica di Ermes Visconti. « Sciogliersi dalla imitazione degli antichi nelle invenzioni e nelle forme, trat- tando argomenti cristiani, patrii, moderni,cacciando la mito- logia, non osservando le unità drammatiche pseudoaristote- liche ; proporsi un intento morale, civile, politico.volgendosi ai molti con mezzi adeguati, tali dunque i criteri che troviamo affermati dai principali teorici del nostro romanticismo. Che, su per giu, fossero queste Ie medesime idee dei romantici te deschi, inglesi, francesi, non credo che nel complesso si possa negare (2). » Più recentemente egli riprendeva quasi Ie stesse idee : « Cessare per Ie invenzioni e per le forme dell'arte dai ricalchi continui sui classici greco latini ; sottrarsi alle regole che mal si facevano risalire alla poëtica di Aristotile, special- mente nel teatro, quanto ai nomi e alle figurazioni della mito- logia, divenuto un frasario e un ornamentario ; volgersi non più ai pochi iniziati nella cultura umanistica ma al pubblico largo, al popoio, con un fine che fosse religioso, morale, politi- co ; prediligere a taie uopo gli argomenti cristiani, civili, pa- triottici, proporsi insomma di essere moderni, vivi proficua- mente tra i vivi ; tutto ciö corrispondeva bene all' idealità che ammiriamo nei primi tempi e in alcuni grandi scrittori della nostra letteratura (3). »

Queste sono, senza dubbio, Ie idee fondamentali del romanticismo italiano. Ma noi non ei teniamo pago di questa rassegna

(1) G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano, Vallardi, 3a ed. 1938, pp. 196- 197.

(2) Id., Le origini del Romanticismo, In Nuova Antologia, 1 Ottobre 1893, p. 388.

(3) G. Mazzoni, L'Ottocento, éd. cit. pp. 194-195.

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sommaria ; crediamo utile rilevare l'insieme délie dottrine let- terarie professate dai romantici. Lo fece già, in modo quasi definitivo, Marino Fioroni, che alla domanda : che cosa fu e che cosa voile il romanticismo rispose con otto proposizioni appoggiate su documenti giustificativi (*).

II corpus di queste dottrine si trova nel « Conciliatore », nella lettre à Mr. C... ecc. e nella lettera al marchese d'Azeglio sopra i diversi sistemi di poesia (2) di Alessandro Manzoni e nei ser- moni délia poesia di Giovanni Torti. Alcune dolle idee ivi espresse furono poi più ampiamente trattate in altre pubblica- zioni degli stessi scrittori : la lettera semiseria di Grisostomo de Berchet, le polemiche di Lodovico di Brème e le avventnre lettera- rie di un giorno di Pietro Borsieri. Spigolando in questi scritti tenteremo di determinare l'insieme délie riforme introdotte dai romantici.

Non sarà forse inutile mostrare qui quanto l'accordo fra i « Conciliatori » fosse completo, se si vuole prescindere da certi particolari di poco conto. Silvio Pellico, che fu l'anima del giornale, ci dîce che il Conciliatore non potè nascere se non quando l'unanimità fu realizzata sulla dottrina, Infatti, parlando del primo progetto di un giornale (II Bersagliere) egli annunzia al fratello che discordanze fra i soci impediscono la sua nascità : « Berchet capita qualche volta da Lodovico, e ci dimostra stima reciproca, ma non ci frequentiamo abbastanza per conoscerci bene. Il nostro giornale tanto medidato unirebbe la società di Berchet e la nostra, ma le volontà non sono ancora sufficientemente concordi, a chi manca il tempo, a chi la fidu- cia nell' impresa, a chi la tolleranza per le opinioni dei soci, e tutto è sospeso (3). » Quando dunque il « Conciliatore » usci

(1) ΛΓ. Fioroni, I precursori del Romanticismo italiano, Catania, >Tona- ci, 1915, pp. 8-9.

(2) Ci verra forse rimprovato di e:serci fondato au questa stesura délia lettera del Manzoni riconetta in certe affermazioni essenziali quando la pubbicô egli stesso nel 1871 solto il titolo di letlera sul romanticismo ; ma a noi sembra che qui importi anzitutto considerare le sue idue al tempo vivo délia disputa.

(3) Silvio Pellico al fratello Luigi in Rinieri (Padre Ilakio) Délia

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per la prima volta, il 3 settembre 1818, col suo motto, che è già tutto il suo programma, rerum concordia discors, si puô dire che i suoi redattori erano concordi sulle idee generali. Infatti il Pellico scriveva al fratello : « il non concordar pienamente, dei varj soci nelle dottrine letterarie non nuoce a parer mio giacchè nell' esporre varie opinioni nasce il trionfo di quelle che più sono vere. L'ingiuriarsi è dannoso, come accade se non v'è una società nella quale concorrano i diversi opinanti ; ma quando si porgono la mano per discutere ciascuno il suo pensiere nello stesso, ecco la vera conciliazione.

Gonfalonieri e Porro, come nobili, erano senza contatto con certi ultraliberali. Si sono avvicinati, e ogni disarmonia à spa- rita. Romagnosi teneva un crocchio di gente che guardava in cagnesco il crocchio di Rasori. Si sono avvicinati e ogni disarmonia è sparita. Berchet, Decristoforis, Ermes Visconti, Torti, formavan un' altra brigata che guardava in cagnesco Borsieri e me. Ci siamo riconosciuti giustificati stimati. — Ci appone- vano orgoglio, pedanteria, ecc. apponevano a Brème malignità, invidia, religionismo, ecc...

Ci siamo trovati ; tutti quasi della stessa natura e della stessa credenza. Le piccole diversité saranno sostenute da ciascuno senza accanimento, e il pubblico tacitamente giudicando s'illuminera e darà la palma al vero (*). »

Peraltro, ogni volta che ne ebbero l'occasione i singoli soci protestarono della loro solidarietà coi loro amici, sicchè si puö senz'altro ammettere con Edmondo Clerici : che : « il Concilia- tore fu come il risultato delle aspirazioni più o meno consape- voli di un famiglia di poeti di critici di pensatori, che dopo molti tentativi trovarono l'espressione naturale delle loro idee in quel periodico che sorse quando Ie circostanze furono pro- pizie, coll'appoggio pecuniario e morale dei due liberali nobili milanesi, ai quali certamente non puó venire rivendicato tutto il merito della fondazione (2). »

vita e delle opere di Silvio Pellico, da lettere e documenti inediti, t. I, To- rino, Streglio, 1898, p. 241.

(1) Id., id., pp. 295-296. (2) E. Clerici, II « Conciliatore » Periodico milanese. (1818-1819) in

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Ora, non esiste dubbio alcuno che il Manzoni, fu, nell'insieme, d'accordo cogli abituati di casa Porro. Basterebbe ricordare che se « arte popolare, vera ed utile alla maggior parte dei lettori, taie fu l'idéale vagheggiato dai conciliatori » (*), il Manzoni a sua volta affermö che « la poesia e la letteratura in genere deve proporsi Vutile per iscopo, il vero per soggetto, e l'intéressante per mezzo (2). »

Ma altre testimonianze di adesione diede l'autore dei « Pro- messi Sposi ». Se una risoluzione alla quale egli non venne mai meno, lo fece rimanere sempre al di fuori di tutte le con- tese letterarie, egli considère) i compilatori del giornale corne i suoi «amis et compagnons de souffrance littéraire (3). » Man- dando al Fauriel la lettera semiseria gli scrivera : « Vous trouverez ci-joint un petit ouvrage que je désire que vous lisiez ; si vous le trouvez, comme je l'espère digne de louange, veuillez m'en dire un mot qui fera plaisir à l'auteur ; son livre a fait ici beaucoup de bruit, et on s'apprête à le réfuter, ce qui ne doit pas être trop aisé, puisqu'il a eu soin de mettre en avant les arguments dont on se serait probablement servi pour cela. Il est d'origine française et se nomme Berchet (4). » Nella célèbre lettera sulle unità, egli cita un intero passo del dialogo del Visconti (5). Infine, egli scriveva a Paride Zaiotti : « ma cio che fa più al fatto, non avevano poi essi (i romantici) ragione? certo si puö, e si potrà sempre più scoprire eccesso, e più an- cora difetto, in questa o quella opinione dell'uno o dell'altro di

Annali della R. Scuola Superiore di Pisa, Filosofia e filologia, Vol. XVII, Pisa, Tipografia Nistri, 1903, p. 12, Si veda anche : F. Cazzamini Mussi, Giornalismo a Milano dalle Origini alla prima guerra d'indipend"n- za, Milano, Famiglia Meneghina, 1934, pp. 267 sqq.

(1) In., p. 129. (2) Scritti postumi di Alessandro Manzoni, a cura di G. Sforza, vol. I,

p. 74 ; e Epistolario a cura di G. Sforza, Milano, Libreria d'Educazione e Istruzione di Paolo Carrara, T. I, p. 306.

(3) Lettere di Manzoni a Claudio Fauriel, in Epistolario, cit., T. I, p. 200.

(4) Allo stesso, da Milano, 19 marzo 1817, Ep. cit., p. 151. (5) Lettre a Mr. C... sur l'unité de temps et de lieu dans la tragédie in

Opère (éd. Scherillo), T. III, p. 367.

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loro. Si potrà andare molto innanzi ; ma sulla via da loro aperta, o sgombrata, o mostrata ; si potè combatterli ma colle armi loro, o con armi délia stessa natura délie loro ; le vecchie sono spuntate, sono di rifiuto e da baja per sempre (x). »

Risulta, crediamo, da quanto abbiamo qui sopra riferito, che, in materia letteraria, vi fu veramente accordo fra i Con- ciliatori e Alessandro Manzoni. Le teorie da loro propugnate debbonsi adunque considerare come romantiche giacchè sempre essi vollero chiamarsi romantici (2).

Carattere essenziale, spesso negletto dai critici, del roman- ticismo italiano, ci sembra la tendenza conciliatrice. Il titolo del periodico che assunse la diffusione délie idee ne è una buona prova. Il Pellico in una sua lettera al Foscolo ne dà una chio- sa : «perché, domanderai, un siffatto titolo al giornale ? perché noi ci proponiamo di conciliare e conciliamo infatti, non i leali coi falsi, ma tutti i sinceri amatori del vero. Già il pubblico si accorge che questa non è impresa da mercenari, ma di letterati se non tutti di grido, tutti collegati per sostenere, finchè è possibile, la dignità del nome italiano. » (3) Questo desiderio

(1) Lettera di Manzoni a Paride Zaiotti, da Brusuglio, β lugio '824, in Carteggio, a cura di G. Sforza e G. Gallavresi, Milano, Hoepli, Parte Seconda (1822-1831), 1921, pp. 147-150.

(2) Basterebbe ricordare questo episodio narrato da Silvio Pellico a : Ber- chet era di malumore e fremeva leggendo un articolo di Roraagnosi sul romantic ismo nel quale l'autore, professando Ie nostre dottrine, condanna (come avevi fatto tu) l'inesattezza del vocabolo romantico, infuriô, gri- dando che il pubblico crederà che abbiamo la bassezza di ritrattarci, e si fece giurare da noi che gli permetteremmo nel suo primo lavoro di stam- pare una nota, in cui protestera di essere irrevomibilmento romantico Aggiusne che se stamapavamo l'articolo del Romagnosi, Visconti non ei darebbe forse piu niente ; ma il giorno dopo sentî che Visconti aveva letto quell' articolo e che ne era contento. Berchet fu calmato e buono corne un agnello. » Lettera di Silvio Pellico a Lodovico di Breme, da Milano, 18 agosto 1818, citata da C. Cantu, II Conciliatore e i Carbonari, Episodio, Milano, Trêves, 1878, p. 66. La nota voluta dal Berchet figura infatti in calce al suo articolo : Del criterio nei discorsi, Conciliatore, n° 4, dome- nica, 13 settembre 1818, p. 14.

(3) Lettera di S. Pellico a Ugo Foscoli, in Rinieri, op. cit. Vol. I, p. 59 cf.; anche Cantu, op. cit., p. 82.

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di conciliazione è anche più esteso. Carlo Calcaterra, movendo rimprovero al Van Tieghem di « sorvolare una délie tendenze peculiari del nostro primo romanticismo : quella conciliativa » nota che « i nostri primi romantici mirarono a una conciliazione, da essi considerata corne risultato fatale dei rumorosi contrasti tra gli zelanti dell'antico e i fautori del moderno. »

E segnala « l'importanza avuta per i nostri primi romantici dal concetto di una conciliazione ideale tra gli elementi vitali délia classicità e le esigenze profonde délia civilità moderna (*). » Questa tendenza il Galetti l'aveva fatta osservare fin dal 1899 : « quella critica cosi temperata, cosi sensata, cosi prudente, chiedeva ed ispirava una riforma più pacata, innova- zioni più modeste; conciliava la tradizione latina e classica collo spirito nuovo ; si teneva ben lontana dalle avventure un po' donchisciottesche del romanticismo germanico ; aspirava insomma e trovava la sua attuazione più compiuta nell' arte manzoniana ». (2) Questo sforzo di riunire cogli elementi sem- pre vivi derivati dalla tradizione classica, le aspirazioni nuove diffuse in Italia dalle correnti venute dal nord attraverso Madame de Staël, A. G. Schlegel e il Sismondi, ci sembra il carat- tere positivo più importante del romanticismo.

Quali erano poi i punti precisi sui quali i romantici volevano che si attuassero rif orme? Sembra anzitutto che tutti fossero concordi nel parère che la letteratura non debba più essere arte di mero piacere, ma che debba invece pretendere ad una azïone sociale, che definiremo più innanzi. Diffati il Di Brème pensava che « per ottenere un nuovo risorgimento letterario occorreva rompere innanzitutto la consuetudine di considerare le lettere corne un transtullo puérile o una forma di godimento immediato, liberare il tempio degli studi dagli epicurei dello spirito, dai farisei dell'ideale, da tutti i retori senza vita e

(1) C. Calcaterra, II romanticismo italiano in un libro di Paul Van Tieghem, cit., pp. 165-166.

(2) A. Galetti, Un poeta romantico. Carlo Tedaldi Fores, ΛΓΠηηο, Casa Editrice L. Battistelli, 1, 1899 ; è un « Estratto » di Λττΐ ε Commun iga- zioni del Circolo di Studi Cremonesi, Ληηο Ι, Fascicolo III, (1899), p. 19.

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senza ali ; occorreva mettere chiaramente in evidenza che per darsi alle lettere sono necessarie quella vocazione intima e quell' elevazione ideale senza cui mai non sono féconde le opère dello spirito. » (x).

Già nell'introduzione al Conciliatore, PietroBorsieri avvertiva che « l'utilità generale deve essere senza dubbio il primo scopo di chiunque vuole in qualsiasi modo dedicare in suoi pensieri al serviglio del pubblico ; perö i libri e gli scritti d'ogni sorta, se dalla utilità vanno scompagnati, possono meritamente as- somigliarsi a belle e frondose piante che non portano frutto, e che il buon padre di famiglia esclude dal suo campo » (2). E ribatte in un articolo sullo spirito profetico dei poeti ; « ai nostri tempi la poesia ha cessato affatto di essere una potenza sociale corne a quelli d'Orfeo, e di risentirsi dell' influenza di uno spirito céleste corne in Dante e nella Gerusalemme Liberata del Tasso. Ella invece è discesa alla vile condizione di essere un'arte di puro piacere, destinata a blandire la noie de ' grandi e l'ozio degli sfaccendati. Per celebrare le fortune lascivie degli amori volgari, o Ie mense e i tesori di un mecenate, noi vediamo invocarsi allo stormo numeroso dei verseggiatori il favore delle muse e dei centomila dei dellOlimpo Davvero che nelF udir- li io perdono al volgo se ride schernevolmentc sul viso a questi profeti del passato, quando gli scontra per le vie o intorno alle porte dei potenti (3). »

Queste idee il Berchet già le aveva espresse nella lettera se- miseria : « sentirono essi che la verissima delle muse è la Filan- tropia e che l'arte loro aveva un fine ben più sublime che il diletto momentaneo di pochi oziosi. Perö avidi di richiamare l'arte a' di lei principj, indirizzandola al perfezionamento morale del maggior numero dei loro compatrioti, egli non gridaro- no come Orazio : « satis est equitem vobis plaudere » ; non mi- rarono a piaggiare un Mecenate, a gratificarsi un Augusto, a

(1) C. Calcaterra. Prefazione all'edizione delle Polemiche di Lodo- vico di Breme, Torino, Utet, 1923, p. xx.

(2) P. Borsieri, Introduzione al Conciliatore, ρ. ι ; cf. Pier Angelo Menzio, Dal Conciliatore. Torino, Utet, 1927, p. 42.

(3) P. Bohsieri in Conciliatore, n° 8, Domenica 27 settembre, p. 32.

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procurarsi un seggio al banchetto dei grandi ; non ambirono i soli battimani di un branco di scioperati raccolti nell'antica- mera del Principe (*). »

Per raggiungere questo scopo la letteratura deve essera ili- chiastica, e non deve sottostare che aile leggi della ragione e della morale. « Sei tu romantico ? — Signor no. — Sei classico ? — Signor no. Sono, scrive G. D. Romaggosi, ilichiastico se vuoi che te lo dica in greco, cioè adattato aile età ; .... Voglio essere adattato ai tempi e ai bisogni della ragione, del gusto e della morale. Osservero che questo genere non puo essere indefinito, ma dovrà essere necessariamente un frutto naturale dell'età, nella quale noi ci troviamo, e si troveranno pure i nostri posteri.

Noi dunque non dobbiamo sull'ali della metafisica errare sen a posa nel caos deU'idealismo, per cogliere quà e là le idee archetipe di questo genere ; ma dobbiamo invece seguire la catena degli avvenimenti, dai quali nelle diverse età essendo stata introdotta una data maniera di sentire, di produrre, e quindi di gustare e di propagare il bello letterario, ne nacque un dato genere, il quale si potè dire perciô un frutto di stagione di quella età. Per quanto vogliamo sottrarci dalla corrente, per quanto tentiamo di sollevarci al di sopra della ignoranza e del mal gusto comune, noi saremo eternamente figlio del tempo e del luogo in cui viviamo. Il secolo posteriore riceverà per una necessaria filiazione la sua impronta dal secolo anteriore. E tutto cio derivando primariamente dall'impero della natura che opera nel tempo e nel luogo, ne verra che il carattere poetico e letterario, comunque indipendente dalle vecchie regole dell' arte, perché flessibile, progressivo, innovato dalla forza stessa della natura, sarà necessariamente determinato, corne è deter- minato il carattere degli animali e délie piante, che dallo stato selvaggio vengono trasportate allo stato domestico » (2). Ed

(1) G. Berchet. Leltera semiseria ecc. in Opère a cura di E. Bellorini, Bari, Laterza (Sgrittori d'Italia) T. II, 1912 p. 22-23, ed. Galletti, cit. p. 116.

(2) G. D. Romagnosi. Della poesia considerata rispetto aile diverse età délie nazioni in Conciliatore, N° 3, Giovedi 10 di settembre 1818, pp. 11- 12 ; cf. Menzio, op. cit., pp. 68-76.

R. B. Ph. et H. — XVI. — 2.

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il Berchet tornava sullo stesso argomento, aggiungendo che la letteratura deve essere adatta alla nazione in cui è nata, trat- tando nel Conciliatore del libro del Bauterwerk : Geschichte der Poésie und Beredsamkeit seit dem Ende des dreizehnten Jahr- hunderts : « mediante la storia della poesia italiana viene per la prima volta a confermarsi nelle letterature moderne questa veri- tà, che il poeta allora solamente ottiene il fine più sublime e più vero dell' arte quando tien conto del carattere della sua nazione e del suo secolo, e non ributta sdegnosamente come inop- portuno ai suoi intendimenti poetici. La poesia dei poeti sommi d'Italia è poesia nazionale nello spirito del secolo in cui essi vive- vano ;.... In Italia chi ebbe in sè anima veramente poëtica senti sempre, anche senza averla spiegata teoricamente a sè mede- simo, la differenza essenziale che vi ha tra la poesia romantica, cioè quella dérivante dallo spirito della nuova civilizzazione, e la poesia degli antichi ; e moströ d'avere compresa l'essenza dell'una e l'essenza dell'altra quando accolse.come più inerenti al proprio intendimento poetico il costume del suo secolo e della sua patria ; e studiando daddovero gli antichi pensô non essere conveniente il sagrificare alle lor forme poetiche Ie forma nuove, la quali erano più conformi allo spirito della nuove poesia (*). » Questo modo di vedere peraltro egli lo aveva già fatto esprimere dal curato di Monte Atino : « rendetevi coevi al vostro secolo e non ai secoli seppeliti ;... Fate di piacere al popoio vostro, investigate l'anima di lui, pascetelo di pensieri e non di vento (2). » Ed Ermes Visconti nella « professione di {ede » (3) riprende anche lui l'idea : « beninteso sempre che i casi più recenti ei commuovono più al vivo ; e che quindi i nostri teatri ed i nostri libri devono offrirci per lo più vicende moderne, che sono ben altrimenti connesse coi beni o coi

(1) Grisostomo (Berchet) 11 Conciliatore, n° 21, Giovedi 12 di novembre 1818, p. 83 (cf. Opere,t. ΙΙ,ρ. 96-97).

(2) Berchet, Lettera semiseria ecc, op. cit., t. II, p. 25, ediz. Galletti, p. 119.

(3) G. Berchet, in Conciliatore, n° 46, Domenica 7 di febbraio 1819, p' 181 ; Opère, ed. cit., p. 133.

(15) IL ROMANTICISMO E LE SUE TEORIE DRAMMATICHE 19

mali dell' istituzioni di genti, cogli attuali desiderj e speranze délie nazioni » (*).

La letteratura deve dunque « omare a profitto della morale e del patriottismo », deve essere « un espediente di religione di consolazione ed amore che s'immedesima con tutti gli affetti, con tutte le circostanze solenni della vita sociale (2). A quest'uo- po, la letteratura deve essere popolare : « affinchè Tarte de' ver- si non sia più trastullo puérile, ma contribuisca allo scopo indispensabile di tutte le liberali istituzioni, quello cioè di giovare al bene generale ispirando il rispetto alla Religione l'amore alla Patria e l'ammirazione per tutto ciô che è vera- mente grande ed illustre, è necessario che il poeta si giovi délie idee più efficacemente sentite dalla moltitudine contem- poranea. I frutti preziosi della poesia non si raccolgono facen- dole parlare un linguaggio noto soltanto alla classe de' pochi versati negli studi délie favole » (3) II Burger porta va opi- nione che la sola vera poesia fosse la poesia popolare.... L'opi- nione nondimeno che la poesia debba essere popolare non albergo solamente presso del Burger, ma a lui s'accostarono anche gli altri poeti sommi d'una parte della Germania, ne io credo d'ingannarmi dicendo ch'ella pende assai dal vero (4). » E di questa opinione il Berchet si sforza di dare una dimostra- zione. Egli divide l'umanità in tre classi : quella degli otten-, totti, « balordi calzati e scalzi » dei quali, non occorre far parola « in merito alla poesia ; » quella dei Parigini, « che racchiude in se quei pochi i quali escono dalla comune in modo da perdere ogni impronta nazionale, vuole bensi essere rispettata dal poeta, ma non idolatrata, ma non temuta. Il giudizio che i membri di questa classe fanno délie moderne opère poetiche nonsuole

(1) Visconti, Idee elementari sulla poesia romantica in Conciliatore, n° 24 Domenica 22 di novembre 1818, p. 93 ; cl. Menzio, op. cit., p. 135,

(2) Lodovico Di Brème, Polemiche, ed. cit., p. 73. (3) G. B. D. C. fG. B. de Cristiforis) Sulla poesia, sermone di Giovanni

Torti, in Conciliatore, N° 6, Domenica 20 di settembre 1818, p. 22, Menzio, cit., p. 77.

(4) G. Berchet, Lettera semiseria, ecc, Opère, ed. cit., p. 13, ed. Gal- letti, p. 106-107.

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derivare dal suffragio immediato delle sensazione ; il più delle volte egli non combattono per Ie massime inveterate come per l'antemurale della loro riputazione. » « ma la stupidità dell' ot- tentotto è sépara ta dalla leziosaggine del Parigino per mezzo di gradi moltissimi di civilizzazione che più o meno dispongono l'uomo alla poesia La gente che il Poeta cerca, i suoi veri lettori si trovano a milioni nella terza classe e questa cred'io, (leve il poeta moderno avere di mira, da questa deve farsi intendere, a questa deve studiare di piacere, s'egli bada al proprio interesse e all' interesse vero dell' arte. Ed ecco come la sola vera poesia sia la popolare Q). »

La letterature deve secondo i romantici, trarre argomento dal medio evo e dalla storia moderna ; tutto cio che vale spon- taneamente a svegliare il nostro entusiasmo puö interessaria. Ermes Visconti nel suo terzo articolo, definizione della poesia romantica, scrive : « Ie memorie de' popoli antichi possono servire di tema anche oggidi, perché fanno parte dell' esperienza

del passato : il medio evo e la storia moderna appartengono a noi soli, ed a quelli fra i nostri predecessori che ne ebbero notizia » egli dà poi un elenco di argomenti che convengono alla poesia dei suoi tempi (2) « alla poesia romantica appartengono tutti i soggetti ricavati dalla storia moderna o dal medio evo : Ie immagini, riflessioni e racconti desunti dal cristianesimo dalle superstizioni delle plebi cristiani o dei monaci o dall' igno- ranza, dalle favole delle fate e genj degli asiatici introdotte nei romanzi e naturalizzate in Europa ; l'ideale cavalleresco, e generalmente tutte quelle opinioni ; e tutti quei gradi e tinte di passioni che non si svihipparono negli anni de' Greci e Ro- mani. » (3) In Inghilterra, dice il Pellico, gli scrittori, « s'appi- gliano a cantare argomenti moderni, cioè dal principio del Medio Evo in poi, considerandoli come legati alla nostra reli- gione, o al nostro incivilimento, o alla storia patria, e quindi più probabilmente atti ad interessare i lettori presenti. I ro-

(1) G. Berchet, Opere, ed. cit., t. II, pp. 17-18 ; ed. Galletti, pp. 110-112.

(2) E. Visconti, Idee elementari ecc, cit., p. 97 ; Menzïo, p. 143. (3) In., Ib., p. 88, Menzïo, pp. 156-157.

(17) IL ROMANTICISMO E LE SUE TEORIE DRAMMATICHE 21

mantici d'Italia professano appunto questa dottrina, e nes- suno di loro s'è mai sognato, raccomandando argomenti mo- derni, di pretendere che un uomo di genio non possa fare eccezione alla regola. » (*) Discorrendo del Philippe II di Marie J. Chenier egli nota : « per me, credo che se il passato è in generale più poetico del presente, per la ragione che il primo non circoscrive troppo dappresso l'immaginazione, non per ciô si dee tenere il passato per tanto più poetico quanto sia più lontano. V'è una lontananza di tempo alla quale l'immaginazione fa fatica di trasportarsi. La polvere de' nostri avi sarà quindi sempre più poëtica per noi, che non la polvere degli avi di Priamo. E' poesia ciô che infiamma e commuove ; e ci commuovono assai più le ricordanze moderne, che non le fan- faluche dei tempi incerti. » (2) « In quanto a te, suggerisce Gri- sostomo a suo figlio, va cauto, e fa di non lasciarti traviare in soggetti non verisimili, quando essi siano tolti di peso dalla fantasia tua nella scelta siati raccomandato di tenerti più in soggetti ricavati dalla storia, che non agli ideali. Ne ti fidare molto a quelle tradizioni che non escirono mai dal re- cinto d'un sol municipio ; perché la fama tua non sarebbe che municipale : del che non ti vorrei contento I valenti poeti d'una parte délia Germania cercano con somma cura di prevalersi di tutte le passioni, di tutte le opinioni, di tutti i sentimenti de ' loro compatrioti ; e trovano cosi argomenti che vincono universalmente. Facciamo lo stesso anche noi E la poesia italiana si arrichirà di nuove bellezze, talvolta origi- nali molto, esempre caratteristiche delsecoloincuiviviamo. » (3)

L'arte, peraltro, deve trarre ispirazione dal vero. Manzoni lo afferma in modo reciso quando dice che : « la poesia o la letteratura in genere deve proporsi il vero per soggetto » (4)

(1) Silvio Pellico, Gertrude of Wijoming, ecc. in Conciliatore, N° 39 Giovedi 14 di Gennaio 1819, p. 154.

(2) Silvio Pellico, Philippe II, ecc. in Conciliatore, n° 62 Domenica 4 di aprile 1819, p. 249.

(3) G. Berchet, Lettera semiseria in Opère, éd. cit., t. II, pp. 51-52 ; éd. Galletti, pp. 145-146.

(4) Vedi supra.

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Egli spiega meglio il suo parère : « in ogni argomento deve cercare di scoprire e di esprimere il vero storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia sorgente del bello ; giacchè, e nell'uno e nell'altro ordine di cose, il falso puö bensi dilettare, ma questo diletto, questo interesse è distrutto dalla cognizione del vero ; è quindi temporario o accidentale. Il diletto mentale non è prodotto che dall'assentimento ad un' idea ; l'intéresse, dalla speranza di trovare in quella idea, contemplandola, altri punti di assentimento e di riposo : ora quando un nuovo e vivo lume ei fa scoprire in quella idea il falso, e quindi l'impossibilità che mente vi riposi, e vi si com- piaccia, vi faccia scoperte, il diletto e l'intéresse spariscono. Ma il vero storico e il vero morale generano pure un diletto, e questo diletto è tanto più vivo, e tanto più stabile, quanto più la mente che lo gusta è avanzata nella cognizione del vero ; questo diletto adunque debbe la poesia e la letteratura proporsi di far nascere (*). » Questo vero puo essere attinto dalla natura, (e in questo i romantici italiani s'accosterebbero ai fran- cesci) . Si deve imitare la nature dice il Di Breme « che anche tu sei la natura, e sei per di più il suo interprète, il suo rivale nell'ordine morale, sensitivo e immaginoso, e ciô in tutti i tempi del mondo In vista dunque d'imitarla innalziamoci a gareggiare con lei nella stessa creazione ; e se Ie nostre dot- trine mistiche, morali, scientifiche, se i nostri usi, i recenti affetti hanno ampliato di tanto il campo dell'invenzione, mi- suriamo noi tutta l'ampiezza di quell'orizzonte, lanciamoci in quella immensità, e tentiamo animose Ie regioni dell'infinito che ei sono concedute » (2). « Farai della poesia tua una imita- zione della natura, non una imitazione di imitazione » (3). « Se la poesia è l'espressione della natura viva, ella dev'essere viva come l'oggetto ch'ella esprime, libéra come il pensiero che Ie

(1) ΛΓανζονι, Lettera sul Romanticismo in Scritti postumi, éd. cit., pp. 74-76, Epist. 306-307.

(2) Lodovico di Breme, Polemiche, éd. cit., p. 43-44. (3) Berchet, Lettera semiseria, Opère, cit., t. II, p. 21 ; éd. Galletti,

p. 115.

(19) IL ROMANTICISMO E LE SUE TEORIE DRAMMATICHE 23

dà moto, ardita corne lo scopo a cui è indirizzata » (*). La natura umana, secondo il Visconti, è argomento di poesia : « ciö che un uomo ha detto perché lo sentiva, perché corrispondeva- alle idee, osservazioni e passioni délia sua vita reale, desta in- fallibilmente la simpatia, lo spettacolo délia natura umana è sempre interessante» (2). E, riassumendo, cosi si esprime il Torti :

Ingenua, casta e limpida parola, che di gaudio, di speme e di paura, di terror, di pîetade auge o consola,

Viva, fedele universal pittura dell'uomo in prima, e quindi a parte a parte di tutta quanta immensa è la natura ;

Dalle divine e dalle umane carte nodrito ampio sapere e sapienza questo il pensier mi sta tipo dell'arte. (3)

Ma più di tutto, corne già abbiamo accennato, è fonte preci- pua d'ispirazione artistica, il vero storico :

« La direction que le romantisme en Italie cherche à imprimer à l'art est la direction historique... L'histoire parait enfin devenir une science, on la refait de tous côtés (Lettre à Mr. Chauvet). Aussi devient-elle le fond sur lequel le poète travaillera de préférence, elle lui sera un prétexte à développer les lois générales du cœur humain » (4). E basterebbe forse, peraltro, ricordare che moite volte i romantici chiamavano, il loro cenacolo « la scuola storica » (5). Questa tendenza storica, per assumere il valore e che il romanticismo tedesco le attribui- sce e che anche il romanticismo italiano le dà, cioè per « inves-

(1) G. Berchet, ib„ 27 e 121. (2) Visconti, Idee elemenlarii, ecc, in Conc. cit., p. 63 ; Menzio, pp.

132-133. (3) G. Torti, Sulla poesia, Sermone primo, in Poésie complete, con un

discorso di G. B. Cereseto sulla vi ta e sugli scritti dell'aulore, Genova, Gron- doni, 1853, p. 45.

(4) V. Waille, Le romantisme de Manzoni, Paris, Hachette, 1890, pp. 58-59.

(5) Cf. Manzoni, Lettre à Mr. C..., passim.

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tigare la storia come scuola della vita futura » (*) deve proporsi, come dice il Manzoni, l'utile per iscopo (2), vale a dire il per- fezionamente deH'umanità. Questo fine propostosi dai romantici ha détermina to in altri tempi un critico a dare come carat- tere peculiare della scuola l'efficacia (3).

Ma fra Ie riforme che il romanticismo volle introdurre ve n'ha una che suscito molte battaglie : l'esclusione della mitologia, quella mitologia greco-latina che fu, dice il Galetti, il delenda Carthago dei romantici e la cui assurdità pareva alla nuova scuola la lancia di Astolfo della loro critica (4) E' necessario ricordare qua il famoso passo della palinodia di Grisostomo? « per decreto dei « romantici » la mitologia antica vada tutta in perdizione. Mai pei gorghi Strimoni ! questo ostracismo lascia egli sperare bricciolo di ragionevolezza in chi l'invoca? Perché rapirci cio che ne tocca piu da vicino ? E come prestar venustà alla lirica, come vestire di verità i concetti, di splendore Ie immagini, senza Minerve, senza Giunoni, senza Mercuri, che pur sentiamo apparire ogni notte in ogni sogno, ad ogni fedel cristiano? Come parlare di guerre senza far sedere Bellona a cassetta di un qualche coupé, senza metterle in mano la briglia di un paio di morelletti d'andalusia? E non è noto forse, per deposizione di tutti i soldati reduci, come anche a Waterloo quella dea sia stata veduta correre su e giu pel campo, vestito di velluto nero, con due pistole nere in cintura, e con in testa un capelletto nero all'ineglese » ? (5) I conciliatori, nel numero 27 del loro periodico, citano senza commento il « parère di un grande poeta » (Torquato Tasso) sull' uso della mitologia : « quanto il maraviglioso che portano seco i Giovi e gli Apollini, sia scompagnato da ogni probabilità, da ogni verisimilitudine da ogni credenza, da ogni grazia e da ogni autorità, ciascuno

(1) A. Farinelli, // romanticismo in Germania, 2a éd. cit. p. 45. (2) Si veda anche E. Visconti, Idee elementari ecc, passim. (3) A. Pesenti, II romanticismo in Italia, Studio. Milano Tip. Giacomo

Agnelli, 1882. (4) Galletti, Introduzione alla lettera semiseria, p. 19. (5) G. Berchet, Lettera semiseria, in Opère, éd. cit., t. Il, p. 55 ;

éd. Galletti, p. 150.

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di médiocre giudizzio se ne puo facilmente avvedere leggendo i moderni scrittori : ma nei poeti antichi queste cose debbono essere lette con altra considerazione e quasi con altro gusto, non solo corne ricevute dal volgo, ma corne approvate da quella religione qualunque ella fosse » (!). II parère dei romantici intorno a questo problema fu riassunto e completato in modo magistrale da Alessandro Manzoni nella lettera al marche- se Cesare d'Azeglio : « quanto alla mitologia i romantici hanno detto che era una cosa assurda parlare del falso riconosciuto, corne si parla del vero, per la sola ragione, che altri, altre volte, l'hanno tenuto per vero ; cosa fredda introdurre nella poesia ciô che non entra nelle idee, cio che non richiama alcuna me- moria, alcun sentimento délia vita reale ; cosa noiosa rican- tare sempre questo freddo e questo falso ; cosa ridicola rican- tarlo con serietà, con aria d'importanza, con movimenti finti ed artefatti di persuasione, di meraviglia, di venerazione, ecc. I Classicisti hanno risposto che, togliendo la mitologia si spo- gliava la poesia d'immagini, le si toglieva la vita : i romantici, in risposta, hanno citata tutta quella gran parte di poesia mo- derna, che fondava su la religione o délia quale almeno la mitologia è esclusa, e che pure passa per vivissima poesia, anche presso i classicisti. Questi hanno replicato, che la mitologia era un complesso di sapientissime allegorie : gli altri hanno risposto che, se sotto quelle stolte fandonie v'era realmente un senso importante e ragionevole, bisognava esprimere questo immediatamente ; che, se in altri tempi lontani, avevano sti- mato bene di dire una cosa per farne intendere un'altra, avranno forse avute ragioni, che non si vedono nel caso nostro, corne non si vede questo scambio di idee immaginato una volta, debba divenire e rimanere corne una dottrina, una convenzione perpétua. I classicisti hanno detto ancora, che la mitologia non era altrimenti noiosa ; e hanno addotto in prova il sentimento di tanti secoli e degli uomini più colti di questi secoli, i quali si sono deliziati nella favole : gli altri hanno risposto, che la mitologia diffusa perpetuamente nelle opère dei greci e

(1) In Conciliatore, N° 27, Giovedi 6 di dicembre 1818, p. 112.

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latini, compenetrate con esse veniva naturalmente a parteci- pare della bellezza, della coltura, e della novità di quelle, per gli ingegni che, al risorgimento delle lettere cercavano quelle opère con curiosità, con entusiasmo, come era troppo naturale Un taie interesse per la mitologia communicato dagli uomini studiosi di professione alla massa della gente colta, trasfuso nelle prime idee dei giovanetti coi primi studi, mantenuto dalla lettura di quelle opère, ha dovuto sopravvivere alla sua cagione principale, l'abitudine, conservandogli, quella vita, che la novità gli aveva dato. Ma concludevano i Romantici, certe assurdita possono bensi prolungarsi per molte generazzio- ni, ma per farsi eterni non mai ; il momento della caduta viene una volta ; e per la mitologia è venuto » (1). « Ma la ragione principale per la quale io ritengo detestabile Γ uso della mitologia.... è che Γ uso della f a vole è vera idolatria. Ella sa molto meglio di me, che questa non consisteva soltanto nella credenza di alcuni fatti naturali e soprannaturali : i fatti non consisteva- no che la parte storica ; ma la parte morale, e molto della parte dogmatica (se mi è lecito applicare ad un tal caso una parola associata alle idee più santé), questa parte tanto essenziale, era fondata nell' amore, nel rispetto, nel desiderio delle cose terrene, delle passioni, dei piaceri, portato fino all' adorazione ; nella fede in quelle cose, come se fossero il fine, come se potes- sero dare la félicita, salvare l'idolatria in questo tempo puo sussistere anche senza la credenza alla parte storica, senza il culto ; puô sussistere pur troppo anche negli intelletti persuasi della vera fede » « dico l'idolatria, e non temo di abusare del vocabolo, quando S. Paolo lo ha applicato espressamente all'a- varizia, e in altri termini ha dato la stessa idea nell' affetto ai piaceri del gusto. Ora, che è la mitologia conservata nella poesia, se non questa idolatria? » (2).

Infine, la letteratura deve emanciparsi dalle arbitrarie unità drammatiche di tempo e di luogo ; forse anche di quella d'azio-

(1) A. Manzoni, Lettera sul Romanticismo in Scrilti postumi, éd. cit., pp. 36-38 ; Ep., t. I, pp. 280-281.

(2) A. Manzoni, ib. p. 40. pp. 283-284.

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ne ; quest'ultima non puô, infatti, indicare che l'unità d'ispi- razione, di cuore, l'unità d'insieme. « I grandi ingegni, vaticinava Lodovico di Brème, concepiscono indipendentemente da chi- chessia, vengono poi gli aristoteli, vengono i quintiliani, e vengono tutti i pappagalli loro, i quali confondendo insieme cio ch'è regola invariabile di bello ed elemento semplicissimo di composizione, colle sue industrie variabili e particolari presso un taie o un tal' altro poeta, v' impongono di attenervi sempre a quelle précise norme. » (*) « A che giova lardellare gli ingegni di precetti, e di tali precetti che per lo più sono divieti ed inciampi ? » (2) «È maniera romantica, sentenzia Ermes Visconti, l'emaciparsi, ogni quai volta l'azione il richieda, dalle unità drammatiche, di tempo e di luogo, e sprezzare insomma qualunque prescrizione arbitraria de' retori sulle forme de' com- ponimenti, in opposizione ai classicisti, i quali ne venerano alcune corne Alcorano, ed altre stimano corne specifici contro il supposto contagio del gusto licenzioso e corrotto » (3). Già aveva affermato : « un altro capriccio de' retori non meno frivolo dei precedenti, ma divenuto di maggiore momento at- teso il numero de' suoi partigiani, l'ostinazione con cui viene sostenuto ed i danni che ha recato all' arte drammatica, si è la célèbre dottrina sull' unità di tempo e di luogo. Venne promul- gata, corne legge assoluta in Italia ed in Francia, perché l'unità di tempo e di luogo fu erroneamente creduta necessaria ail' il- lusione teatrale, perché si è creduto di leggerne il precetto in Aristotile, e trovarne l'esempio in Euripide ed in Sofocle. Eppure era facile vedere che Aristotile non le comanda, che i Greci non se ne fecero mai una regola ; e se non si estesero a tutta quella varietà di tempo e di luoghi di cui seppero giovarsi lo Shakespeare, lo Schiller e il Goethe, ne fu causa la costruzione e decorazione de' loro teatri differentissimi dai nostri, la sem- plicità degli argomenti che potevano svolgersi acconciamente limitando l'azione alla durata di poche ore. Gli Inglesi e i

(1) Lodovico di Brème, Polemiche, ed. cit., pp. 123-124. (2) Id., Ibid., p. 121. (3) E. Visconti, Idee elementari in Çonc, cit. p. 100 ; Menzio, p. 157.

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Tedeschi hanno dimostrato colle ragione e coi fatti che la Iegge a cui ebbero la degnazione di sottoporsi il Racine, il Voltaire, e l'Alfieri è pregiudicevole e sofistica : laonde è sperabile che in breve sarà abolita dappertutto, e riconosciuta per falsa da tutti quelli che non chiudono gli occhi per paura di mirar la verità. » (x) « I classici inglesi, dice il Pellico, sono ben lungi dal credere all'unità di tempo e di luogo. Essi considerano Ie divisioni di un poema come tanti quadri che rappresentano vari punti di una storia.... gli spazj intermedj tra un evento e l'altro non tolgono che un fatto storico o favoloso sia espri- mibile colla esposizione di tre o quattro eventi, forse lontanis- simi questo da quello, ma ciascuno in perfetta relazione coll'al- tro. Metastasio era ben di questo parère, perfino circa la tra- gedia, giacchè sprezzando sempre tutte le unità fuorchè quella d'intéressé, moströ che i suoi drammi erano lavorati secondo Ie vere regola dell'arte desunte dalle stesse tragedie greche » (2). E scrive il Torti :

Un sia il loco, e dalle trentasei ore largito l'azion non esca.

Già chiaro è a tutti e tu ignorar nol dei che a tante ponno equivaler quattro ore : ma il conto falla se piii largo sei.

Non altro ei domma dell' antico errore ; riderne ardisci, e delle tre solo una unità credi, l'unità del core.

Tal mi giova nomar quella che niuna cosa consente, onde sia' 1 cor distratto da ció ch'ella ad un solo esito aduna. » (3)

Ma qui ancora la confutazione più compléta fu fatta dal Manzoni. Parleremo nel capitolo a lui consacrato della magistrale argomentazione fatta nella lettera à Mr. Chauvet e delle idee difese nella prefazione al Carmagnola. Ci basterà

(1) E. Visconti, ibid., p. 94 e 139. (2) Silvio Pellico, Gertrude, ecc. cit., Conciliatore, n° 40, Domenlca

17 di Gennaio 1819, p. 158. (3) G. Torti, Op. cit., pp. 52-53.

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accennare qui ad alcuni punti da lui esposti nelle sue lettere al Fauriel e nella lettera sul roman ticismo : « II me paraît, scriveva il 20 aprile 1812, qu'il est impossible d'appliquer dans le moment de la composition aucune des règles, ou qu'on peut avoir apprises ou que notre expérience peut nous fournir ; que de tâcher de le faire, c'est réussir à gâter sa besogne et qu'il faut bien penser, penser le mieux qu'on peut et écrire» (*) « Ne croyez pas que je veuille faire la guerre aux règles pour avoir le plaisir de les combattre sans nécessité : je ne fais que les éviter quand je les trouve dans mon chemin, et qu'il me parait qu'elles m'empêchent d'arriver ou bien de marcher » (2). « In- torno aile regole in generale, ecco quali furono se la memoria non mi falla, le principali composizioni romantiche. Ogni regola, per essere ricevuta da uomini, debbe avere la sua ra- gione nella natura délia mente. Dal fatto speciale che un taie scrittore classico, in un tal genere, abbia ottenuto l'intento, toccata la perfezione, se si vuole, con tali mezzi, non se puô dedurre, che quei mezzi debbano pigliarsi per norma univer- sale, se non quando si dimostri, che essi sieno applicabili, anzi necessarii, a tutti i casi, corne a quel caso ; e ciô per legge dell' in- telleto umano. Ora, molti di quei mezzi di quei modi messi in opera dai classici, furono suggeriti ad essi dalla natura partico- lare del loro soggetto, erano appropriati a quello, individuali per cosi dire ; e l'averli trovati a quella opportunité è un merito dello scrittore, uno dei caratteri che lo rende originale, ma non una ragione per farne una legge comune ; anzi è una ragione per non farnela » (3). « Quale è l'effetto più naturale del dominio délie regole? Di distrarre l'ingegno inventore délia contempla- zione del soggetto, e quindi d'impedimento a ben trattarlo. E taie un effetto non è egli troppo manifesto? Queste regole non sono elleno state per lo più un inciampo a quelli che tutto il mondo chiama scrittori di genio, e un' arma in mano di quelli che tutto il mondo chiama pedanti? (4) « II soggetto di

(1) A. Manzoni, Da Brusuglio, 13 luglio 1816, Ep. t. I, p. 125. (2) Manzoni, ib., p. 145. (3) Id., Scritti postumi, p. 54 ; Ep., t. I, p. 293. (4) A. Manzoni, Scritti postumi, p. 54 ; Ep. t. I, p. 293.

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una quistione che dura da tanto tempo, non è mai stato definito con precizione : la prima regola, sulla quale si volge la disputa non ha mai avuto un senso determinato, supponiamo un uomo che sentisse per la prima volta parlare di questa discussione intorno alle regole, egli dovrebbe certamente supporre che elle fossero determinate in formole précise, descritte in bel codice conosciuto e riconosciuto da tutti che lo ammettono ; tante, nè più nè meno, tali, e non altrimenti ; perché la prima condizione per fare ricevere altrui la legge, è di fargliela conoscere. Or Ella sa se la cosa sia cosi. E se, per fare un'altra supposizione, uno di quelli, che ricusano questo dominio indefinito delle regole, dicesse a uno di quelli che lo propugnano : sono convinto : questa parola regole ha un non so chè, che mi soggioga l'intel- letto ; mi rendo ; e per darvi una prova délia mia docilità, vi faccio una proposizione, la più larga che in nessuna disputa sia stata fatta giammai. Pronunziate ad una ad una Ie formule di queste regole addottale, come voi dite, da tutti i savii, e ad o gnuna rispondero accettando ; certo costui, con tanta sommissione apparente, farebbe all'altro una brutta burla, lo por rebbe in uno stano impiccio. » (*).

Per il teatro, il romanticismo richiede anche una maggior complicazione nell' intreccio : « non puo dubitarsi che la qualità dei soggetti e la natura degli animi moderni non abbiano (ge- neralmente parlando) introdotti nei lavori, specialmente dramma- tici, una varietà d'incidenti ed una complicatezza d'insieme non praticata dagli antichi ». (2)

In quanto alla mescolanza del tragico col comico se il Ber- chet si dimostra favorevole a taie fusione, il Manzoni sembra più diffidente ; non nega che questo metodo possa condurre a risultati artistici felici ma crede che nel Shakespeare per esem- pio non abbia raggiunto lo scopo : « Je pense, comme un bon et loyal partisan du classique, que le mélange de deux effets contraires détruit l'unité d'impression nécessaire pour produire l'émotion et la sympathie ; ou, pour parler plus raisonnablement,

(1) Idm Ibid., p. 63 ; ibid., p. 298. (2) E. Visconti, Idee elementari, Conc. cit., p. 100 ; Menzio, p. 157,

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il me semble que ce mélange, tel qu'il a été employé par Shakespeare, a tout-à-fait cet inconvénient. Car, qu'il soit réellement impossible de produire une impression harmonique et agréable par les rapprochements de ces deux moyens, c'est ce que je n'ai pas le courage d'affirmer, ni la docilité de répéter » (*). « Le mélange du plaisant et du sérieux pourra-t-il être transporté dans le genre dramatique d'une manière stable, et dans les ouvrages qui ne soient pas une exception? C'est encore une fois, ce que je n'ose pas savoir. (2) »

Ci sembra aver messo in rilievo, fondandoci su documenti precisi, quali erano le rivendicazioni letterarie dei romantici. Si ammette generalmente che queste idee suggerite dalla lettura di Madame de Staël, di Schlegel, di Sismondi, dovevano ne- cessariamente condurre al disprezzo dei pedanti (3) Sappiamo anche che furono i romantici ad introdurre in Italia lo studio délie letterature straniere, non allo scopo di imitarli, bensi di allargare la propria cultura : « affinchè sia intesa anche dagli spazzini délia repubblica letteraria, ecco (la dichiarazione) una buona volta in lettere maiuscole : col raccomandare la lettura di poésie comunque straniere non intendiamo mai di suggerirne ai poeti d' Italia l'imitazione. Vogliamo bensi che esse servano a dilatare i confini délia loro critica » (4).

Ma a noi non parebbe compléta questa rapida ressegna délie idee propugnate dal romanticismo, se non richiamassimo l'at- tenzione sulle preoccupazioni sociali e politiche di questi scrittori : « Patria, perfettibilità, incivilimento, ecco il motto del buon romantico » dice il Borsieri (5). « L'idea génératrice délie lettera semiseria è questa : il rinnovamento letterario che ha nome di romantico puö condurci rapidamente a risvegliare

(1) Lettre à Mr. C, in Opère, éd. Scherillo, t. III, p. 446,. (2) Ibid., p. 447. (3) Si veda per es. Borsieri, Avventure letterarie di un giorno o consigli

di un galantuomo avari scrittori, l'epistolario del Pellico ecc. (4) G. Berchet, Poesias selectas castellanas, ecc, in Concilialore, N° 99,

Giovedi 12 di agosto 1819, p. 399, Opère éd. cit., t. II, pp. 199-200. (5) P. Borsieri, in // Regalo in Conciliatore, n° 32, Domenica 20 di

dicembre 1818, pag. 128 ; cf. Clerici, op. cit., p. 119.

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in Italia la coscienza morale e l'idea nazionale » (x).

(la poesia) è santo diletto, ella è potente degli affetti piegata affar che sia

voluttà la giustizia e la innocenza » (2).

Andrea Gustarelli dice che « la teoria letteraria del romanti- cismo travasava logicamente ed insensibilmente dalla lettera- tura nella politica ; sprezzava tutte Ie vecchie ritorte di qual- siasi schiavitii ; affermava la conscienza e il diritto délia libertà degli individui e quindi della nazione » (3). Certo, come osserva il Clerici, a dottrine politiche « i conciliatori non accennarono mai in forma troppo chiara o palese, nè del resto tale condotta sarebbe stata a loro possibile e conveniente : ma seppero con rara abilità infondere in ogni articolo il sentimento patriottico, intesserlo e "compenetrarlo ad ogni argomento, valendosi a questo scopo dello scritto anche meno significativo » (4). Già nel primo numero il Sismondi recensendo una nuova edizione di Os lusiadas scriveva : peraltro, lo confessiamo, un vivo sentimento di commiserazione è mosso in noi da quello sve- gliarsi di un popoio che si vede obliato, e che si sforza di ricordare al mondo la gloria che egli aveva ottenuta, e che altri si disputano oggidi. Allorchè vediamo i Portoghesi invocare la rimembranza dell' audacia de' loro navigatori che ei apri- rono la via dell'

India, dell' eroismo de' loro guerrieri che soggiogarono i suoi imperi, combattendo uno contro mille, del genio de' loro poeti, per mezzo dei quali la musa epica dà all' Europa moderna le sue prime lezioni, ci par d'udire sovra un campo di battaglia Ie grida di quei miseri che sono dimenticati fra i morti, e che al momento in cui i seppelitori si avvicinano per rendere loro gli ultimi doveri si ridestano dal loro letargo esclamano : noi siamo vivi ancora » (5). Nota giustamente il

(1) A. Galletti, Prefazione alla lettera semiseria cit., p. 8. (2) ToRTi, op. cit., p. 45. (3) Α. Gustarelli, II Conciliatore, Giornalisti, eroi milanesi di cento

anni fa, Milano, Trêves, 1918, p. 21. (4) E. Clerici," Op. cit., p. 37. (5) [S. S.fiSMONDo] S. [isMONoi]. O, Lusiadas, ecc; in Conciliatore, n°

1, Giovedi 3 di settembre 1818, p. i.

(29) IL ROMANTICÎSMO E LE SUE TEORIE DRAMMATICHE 33

Piergili : « in questa pittura d'una nazione caduta dall' antico splendore, in questa lamentazione del novello Geremia sulle ruine dalla patria, ogni italiano potea vedere rispecchiato il proprio paese, e le calde parole dello scrittore ginevrino doveva- no infiammare gli animi a generosi sentimenti. Cosi le inten- zioni délia società del Conciliatore, trasparivano, per quanto velate, in questo stesso primo numero » (*). Ben capi la polizia austriaca che tutto mise in opera per ostacolare l'opéra intra- presa dai compilatori e che fini col condannare a morte il folgio azzurro. Ma ben capi anche il pubblico e il Pellico poteva scrivere al Porro : « a Torino, corne nelle nostre città, per dir un liberale si dice un romantico : non si fa più differenza alcuna. E' classico è diventato sinonimo d'ultra, di spia, di inquisitore » (2).

Cosi dunque si puo affermare con Guido Mazzoni : « mentre il romanticismo settentrionale tendeva alla liberazione, corne dicevano, e talora alla licenza dell' individuo intellectuale, morale, estetico, il romanticismo italiano ebbe, più che il francese, una collettiva tendenza civile, sociale, verso la liberazione délia patria » (3) In materia letteraria « la parole romanticismo à stata adoperata (in Italia) a rappresentare un comples- so d'idée più ragionevole, più ordinato, più generale che n'es- sun'altro, al quale sia stata applicata la stessa denominazio- ne » (4). Insomma, il romanticismo italiano ebbe caratteri ben propri, che lo rendono tanto più interessante e vivo : « da Berchet a De Sanctis, osserva il Borgese, si trattava principal- mente di sfruttare l'insurrezione romantica allo scopo, tutto nostro e tutt' altro che romantico, di liberare il classicismo dalle troppo grette pastoie accademiche ed intenderlo più autenticamente » (5).

R. O. J. Van Nuffel.

(1) G. Piergili, II « Foglio azzurro » e i primi romantici, in Nuova Antologia, 16 Agosto 1886, p. 632.

(2) Lettera di Silvio Pellico al conte Porro cit. da Cantu, op. cit., p. 86, Cf. anche C. !.. Pedraglio, Silvio Pellico. Cenni biografici. Como, Vit- torio Omarini, 1904, p. 68.

(3) G. Mazzoni, L'Otlocento, ed. cit., t. I, p. 199. (4) A. Manzoni, Lettera sul Romanticaismo in Scritte postumi. (5) G. Borgese, Storia délia critica romantica in Italia. 2 ediz.

Milano, Trêves, 1920, p. x. R. B. Ph. et H. — XXVI. — 3.