Udienza 27 giugno 1910; Pres. Catastini, Est. Persico, P. M. Cipollone (concl. contr.); Macchia(Avv. Brenzini, Attalla) c. Balestri (Avv. Cocchi Ott)Author(s): G. P.Source: Il Foro Italiano, Vol. 35, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE(1910), pp. 1131/1132-1135/1136Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23113070 .
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1131 PARTE PRIMA 1132
CORTE DI CASSAZIONE DI FIRENZE. Udienza 27 giugno 1910; Pres. Catastini, Est. Persico,
P. M. Cipollone (conci, contr.) ; Macchia (Avv. Bren
zini, Attalla) c. Balestri (Avv. Cocchi Ott).
Infartont «al lavoro — Operai aventi diritto all'asal
caraxlone — Caratteri — Carrettieri piccoli Impren
ditori (L. 31 gennaio 1904, sugli infortuni del la
voro, art. 1, 2).
Operaio addetto all' impresa, e perciò avente diritto al
l'1 assicurazione, è quello il cui lavoro si collega, con un
intimo nesso di mezzo a fine e con carattere continua
tivo, allo scopo propostosi dall' impresa. (1)
Quindi i carrettieri che, per proprio conto e senza stabile
occupazione presso un imprenditore, assumono il tra
sporto di merci con carretto e cavalli di loro pro
prietà, devono essere considerati, agli effetti della legge
sugli infortuni, non come operai, ma come piccoli im
prenditori. (2)
La Corte, ecc. — Attesoché col primo mezzo si censuri
anzitutto la sentenza del Tribunale di Livorno per avere
manifestato il concetto che l'attore Balestri fosse da con
(1-2) La questione è nuova ed importante. Un precedente analogamente deciso può vedersi nella sentenza della Cassa zione di Palermo 21 marzo 1908 (Foro it., Rep. 1908, voce Infor tuni, n. 198).
È bene anche tener presente la sentenza pronunciata in que sta stessa causa dal Pretore di Livorno, 2 marzo 1909 {id., Eep. 1909, voce cit., n. 36), della quale la Corte fiorentina, nel cas sare la sentenza del Tribunale, è venuta implicitamente a ri conoscere l'esattezza giuridica.
Il Pretore aveva infatti osservato : « Il Balestri esercita, sia pure in minime proporzioni, l'in
dustria del vettore ; si serve infatti di materiale di sua proprietà, può liberamente oggi impegnarsi con una persona, domani con
un'altra, senza che per questo chi spedisce o riceve la merce
possa opporsi quando il trasporto avvenga senza inconvenienti. E tenuto sotto la sua responsabilità alla consegna della merce a lui affidata, ed ha obbligo di invigilare per la sua conserva zione. In una parola, il barrocciaio, della specie del Balestri, esplica un'attività autonoma e indipendente tanto dal mittente
quanto dal destinatario. . . Da tal figura si differenzia l'altra
figura del barrocciaio operaio, del lavoratore vero e proprio che con salario determinato impiega l'opera sua alle dipendenze dirette di un imprenditore da cui gli vengono forniti i cavalli ed i barrocci, e che deve eseguire gli ordini che a lui vengono tassativamente impartiti ». E in base a tali considerazioni aveva concluso che la legge sugli infortuni era applicabile solo ai bar rocciai di questa seconda specie, e non a quelli della prima, a cui indubbiamente il Balestri apparteneva.
Ma il Tribunale di Livorno andò in contrario avviso con sentenza 2 agosto 1909 (per quanto ci consta, rimasta inedita), sostenendo in sostanza che « se guardato sotto un certo aspetto si può ritenere l'appellante Balestri un piccolo imprenditore, questa qualità viene assorbita quando esso entra a lavorare e par tecipare in un' impresa ampia e più vasta, come quella del Mac
chia, della quale viene a compiere una estrinsecazione natu rale ».
A maggior svolgimento della questione crediamo utile ri ferire anche quanto il prof. E. Serafini, in un suo parere per la Ditta Macchia nel giudizio d'appello, scriveva circa la differenza che in fatto e in diritto intercede fra l'operaio vero e proprio che stà all'altrui dipendenza e il piccolo imprenditore :
« Yi hanno delle industrie, le quali non possono assere com
piutamente esercitate se non si ha dall' industriale a propria dipendenza un certo numero di addetti al carico, scarico e
trasporto, corrispondenti alle necessità ordinarie del lavoro quo tidiano.
« Il commerciante, che non può consegnare entro il proprio magazzino all'acquirente la merce vendutagli, tiene alle proprie dipendenze stabilmente, secondo l'entità del proprio lavoro, dei
facchini, i quali, a termini dell'art. 7 della vigente legge sugli
siderarsi come un operaio ai sensi degli art. 1 e 2 L.
31 gennaio 1904 per gli infortuni degli operai sul lavoro,
e in tale sua qualità avesse diritto all'assicurazione, e
si afiermi clie con quel concetto il Tribunale ha invece
violato cotesti articoli, o quanto meno non ne ha dimo
strato in modo certo ed univoco l'applicabilità nel caso
concreto.
Ora, quando si ponga mente alle risultanze degli atti
della causa, quali sono state ritenute dalla sentenza de
nunziata, e le si mettano in raffronto non solo colla let
tera, ma altresì collo spirito informatore della legge su
gli infortuni, sarà facile persuadersi che cotesta censura,
che forma principalmente argomento del primo mezzo, è
perfettamente fondata, non fosse altro sotto il rispetto della perplessità della motivazione.
E di vero, i giudici del merito ritennero in fatto che
il Balestri non faceva parte del personale al servizio con
infortunì, debbono essere assicurati contro i sinistri che pos sono colpirli.
« Ma vi hanno delle attività che industriali e commercianti ed anche cittadini, i quali non compiono atti di commercio, si trovano in determinate ma rare circostanze a dovere esplicare e per cui si rende loro necessaria in via eccezionale l'opera di un carrettiere. Dall'altro lato, quegli industriali e commercianti che ordinariamente — come opera subordinata ma necessaria alla
integrazione del proprio esercizio — compiono operazioni di tra
sporto e tengono a questo scopo presso di sé permanentemente salariati dei facchini, hanno di tanto in tanto, per circostanze
speciali, un qualche lavoro improvvisamente più esteso del so lito ; ricevono — per mantenersi nell'esempio fatto e che si at
taglia al caso nostro — delle ordinazioni straordinarie di speciale entità, per cui, mentre non possono assumere a proprio ser
vizio altri operai (appunto perchè si tratta di casi straordinari), debbono però per un giorno, e magari per poche ore, ricorrere
all'opera di qualcuno che venga a fare quel trasporto per cui
i loro operai disponibili non sono sufficienti. Ed allora sorge una figura particolare di imprenditore che
esercita l'industria dei trasporti, assumendo per conto suo, oggi da Tizio, domani da Caio, secondo che gli capita, questi lavori, senza impegnarsi con nessuno per più di quel che non importi un singolo atto di trasporto.
« E in questa industria, come in tutte le altre, gli impren ditori si presentano in varie forme, che non sono però, diremo
cosi, se non diverse gradazioni di una stessa figura. Come vi è il commerciante di vini all'ingrosso che fa importazione ed
esportazione, acquisti e vendite in grandi partite, con ampi lo
cali e personale numeroso, e accanto a questo si trova il pic colo bettoliere che vende a bicchieri ad una ad una qualche ma
gra botticella ; così si ha la grande impresa di trasporti, con
carriaggi e facchini numerosi, e la piccola impresa esercitata in famiglia, con uno o due garzoni, e magari a solo da un pro prietario di uno o due cavalli e barrocci, che è il caso presente.
E la figura del barrocciaio-facchino, stabilmente occupato e sa lariato presso una ditta, è completamente e sostanzialmente di versa da quella del piccolo imprenditore di trasporti. Noi possia mo, tra queste due figure, far quella medesima differenza che intercede fra un cocchiere addetto stabilmente presso una fa
miglia e il piccolo proprietario di vettura di piazza. E la diffe renza essenziale sta appunto in questo, che 1' uno è un operaio, un salariato, mentre l'altro è un imprenditore.
« Nè la differenza può apparire di difficile apprezzamento quando si pensi a questi dati fondamentali : che l'operaio sala riato non corre nessun rischio, perchè egli sa perfettamente quali sono le condizioni in cui lavora, quale il suo onorario, quale il suo guadagno ; mentre il proprietario di barrocci, che lavora oggi per una ditta, domani per un privato, dopodomani per un altro, è soggetto all'alea delle condizioni del mercato, soggetto a periodi di inerzia, susseguiti magari da periodi di eccesso di lavoro, è soggetto insomma ad un rischio, che sarà
pur piccolo, proporzionato alla piccolezza dell' impresa sua, ma che fondamentalmente esiste e caratterizza con precisione la sua figura economica ».
Concetti questi ai quali crediamo di poter fare completa adesione. O. P. G. P.
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1133 GIURISPRUDENZA CIVILE E COMMERCIALE 1134
tinuativo della Ditta Macchia, ma era un carrettiere che,
adoprando barroccio e cavalli propri, prestava l'opera sua
indifferentemente ad ogni richiesta, ora al servizio di un
commerciante, ora di un altro, e lavorava, magari nello
stesso giorno, alle dipendenze di diverse ditte ; ritennero
ancora che spesse volte, abitualmente quasi, il Macchia
adoprava dei barrocciai per il trasporto del carbone, dando
loro tale incarico ogni singola volta che gli occorreva, sia
pur isolatamente, e che soltanto sotto questo punto di vi
sta ogni barrocciaio all'uopo adibito era da considerarsi
come un dipendente diretto dell' imprenditore. Ciò premesso, è evidente che tali circostanze di fatto
ha tratto il Tribunale di Livorno erronee conseguenze
giuridiche allorché ha affermato che il Balestri dovesse
considerarsi come un operaio al servizio del Macchia, nel
senso che questi avesse obbligo di garantirlo dal rischio
professionale ; e l'errore consiste nel non essersi formato
un concetto esatto degli estremi che la legge sugli infor
tuni richiede perchè il lavoratore possa godere del bene
ficio da esso impartito. Infatti per l'art. 1 della legge, affinchè l'operaio possa
pretendere l'assicurazione ivi disposta, è necessario che
egli sia addetto a taluna delle imprese che in quell'arti
colo sono specificate. Senonchè non deve fraintendersi il
significato nel quale la parola addetto è stata adoprata
dal legislatore. Con tale parola si è voluto manifestare
il concetto che l'operaio sia all'immediata e diretta di
pendenza di una determinata impresa e presti al servizio
di questa tutta la sua attività personale, sia pure in modo
avventizio, ma continuativo, in relazione con la durata
del lavoro (art. 6), con l'obbligazione personale di dare,
durante il periodo stabilito per il lavoro, l'intera sua
opera all'impresa, e di non locarla ed assoggettarla ad al
tro conduttore : insomma, si è voluto intendere che tra
il lavoro dell'operaio e lo scopò dell' industria, che l'im
presa si propone, corra un intimo nesso di mezzo a fine.
Non basta pertanto, agli effetti della legge speciale di
cui si tratta, che il lavoro dell'operaio abbia semplice mente relazione o attinenza coli' industria che dell' im
presa forma oggetto, nè che si tratti di un lavoro occa
sionale, temporaneo, che si esegua in poche ore, ma oc
corre che codesta relazione rivesta i requisiti della con
tinuità e della causalità, requisiti indispensabili onde
l'impresa possa raggiungere il fine che si è prefisso. A cagion d'esempio, in un' impresa di costruzione è
necessaria l'opera continua del muratore e del manovale,
giacché senza costoro non si può eseguire l'edificazione
che è lo scopo cui l'impresa è diretta, cosicché tanto il
muratore quanto il manovale debbono essere considerati, ai
sansi della legge, operai addetti all'impresa ; altrettanto in
vece non potrebbe dirsi di coloro che sono addetti nelle for
naci a formare i mattoni, giacché la loro opera ha bensì
attinenza e relazione coli' impresa di costruzione, ma con
tribuisce a costituire un' industria a sé, quella dei forna
ciai ; per la qual cosa essi avranno bensi diritto ad esser
protetti dall'assicurazione qualora concorrano tutti gli al
tri elementi richiesti dalla legge, ma l'obbligo correlativo
di assicurarli non starà a carico dell'impresa delle costru
zioni, sibbene a carico dell' impresa per l'industria delle
fornaci, alle cui dipendenze direttamente e immediata
mente si trovano.
La parola usata dal legislatore (addetti da addieere,
obbligare stabilmente), adunque, persuade il Supremo
Collegio che non qualsiasi lavoro può dar diritto all'ope
raio di pretendere l'assicurazione, ma soltanto quel la
voro che riveste gli estremi di cui si è sopra discorso.
E lo spirito cui si è informata la legge nel dettare
quelle disposizioni conforta codesto concetto, imperocché
dall'esame sintetico della legge e del regolamento relativo
si rileva che, se il legislatore si preoccupò doverosamente
di risarcire l'operaio dai danni cui può andare incontro
nell'esecuzione del lavoro a lui commesso, non poteva,
senza dar luogo a gravi inconvenienti ed a possibili at
triti fra le classi dei proletari e degli industriali, prescri
vere che da qualsiasi lavoro, fosse pure momentaneo o
transeunte, sorgesse il diritto nell'operaio di pretendere
la garanzia del rischio professionale. Poste dunque queste norme regolatrici e ritenute le
circostanze di fatto quali nella sentenza denunciata sono
state esposte, è evidente che i giudici del merito, nel de
cidere la specie in esame, non ebbero un chiaro e preciso
concetto delle dette regole e non ne fecero esatta e cor
retta attuazione. Imperocché, avendo il Tribunale rite
nuto che il Balestri non fosse al servizio di nessuna ditta,
e nemmeno della Ditta Macchia, e che prestasse l'opera
sua a chiunque glie la richiedesse, non si comprende come
potesse poi, senza violare le dette norme, annoverarlo tra
gli operai a favore dei quali è largito il beneficio dell'as sicurazione dal rischio professionale.
Dalle circostanze di fatto ammesse dal Tribunale con
seguiva invece più ammissibile l'ipotesi che il Balestri, come esattamente ebbe a giudicare il Pretore di Livorno
nella sua elaborata sentenza, dovesse piuttosto essere con
siderato come un piccolo imprenditore di trasporti per
conto proprio ; e ciò, sia perchè esercitava la sua attività
in modo autonomo, sia perchè il guadagno, che egli ri
traeva dall'industria, rappresentava non solo il compenso
del suo lavoro, ma altresì il lucro che esso ricavava dal
l' impiego dei capitali costituiti dal barroccio e dai ca
valli di sua proprietà; sia, finalmente, perchè, a diffe
renza dell'operaio che trovasi alle dipendenze dirette ed
immediate di un' impresa ed è da questa retribuito con
salario fisso o a cottimo, il Balestri, lavorando per conto
proprio, correva l'alea della mancanza di lavoro ed era
soggetto ad un rischio che, come bene osserva il ricorrente,
caratterizza con precisione la sua figura economica.
Ma non solo la sentenza denunciata nell'interpreta
zione del disposto degli art. 1 e 2 della legge speciale
vigente nella materia è venuta meno all'osservanza delle
regole su esposte ; essa ha pure violato, sotto altro ri
guardo, il disposto degli art. 360, 361 e 517 cod. proc.
civ., e giustamente gliene viene mossa censura in fine
del mezzo primo del ricorso.
Infatti il Tribunale, dopo aver considerato che « guar
dato sotto un certo aspetto si può ritenere il barrocciaio
come un piccolo imprenditore », soggiunge che « questa
sua qualità viene assorbita quando esso entra a lavorare
e partecipare in un' impresa ampia e più vasta ecc. ».
E così ragionando, oltre a contraddirsi, si espresse con
una motivazione incerta e perplessa sul concetto saliente
della causa, quale è quello che ha per fine di stabilire
quando, come e perchè il piccolo imprenditore di trasporti
cessi di essere tale per diventare un semplice operaio.
Ed è massima costante di questa e delle altre Corti
regolatrici che la motivazione perplessa ed incerta equi
vale a mancanza di motivazione e produce quindi la nul
lità della sentenza in base al disposto degli articoli di
legge sopra citati.
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1135 PARTE PRIMA 1136
Infine ha motivato in modo equivoco e non esau
riente in riguardo al combinato disposto degli art. 1 n. 2
e 7 della detta legge, laddove esprime il convincimento
che « spesse volte, abitualmente quasi, il Macchia adopra va barrocciai, operai ecc., e che l'essenziale si è che nella
mattinata in cui avvenne l'infortunio il Macchia per i
bisogni del suo commercio si servì dell'opera di più di
cinque barrocciai ; quindi egli doveva tutti iscriverli nel
suo registro-paga agli effetti dell'assicurazione».
Dalle quali espressioni non risulta positivamente sta
bilito, come vuole la legge, che costui occupasse in me
dia abitualmente più di cinque operai. Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE DI TORINO. Udienza 17 marzo 1910; Pres. Ostermann P. P., Est.
Milano, Società idroelettrica italiana (Avv. Campi,
Bruno, Cattaneo, Marcora, Abbove) c. Astori e
altri (Avv. Pozzi, Ferraris, Beltramelli).
Società — Società per azioni — Cambiamento deli og
getto — Diritto di recesso del soci (Cod. comm.,
art. 158). Hanno diritto di recedere dalla società i soci dissidenti
dalla deliberazione eon la quale Vassemblea ordinaria
abbia approvato Voperato degli amministratori, quando da tale operato consegua un mutamento dell'oggetto della società. (1)
La Corte, ecc. — Osserva che la questione che dap
prima si fa a sollevare la Società idroelettrica ricorrente
non è che la ripetizione di quella che essa aveva di già
(1) Questa massima sembra forse alquanto oscura ed ambi
gua. Tengo ad avvertire che in tal caso essa è da ritenere esat tamente rispondente alla decisione donde è tratta, la quale è
appunto oscura ed ambigua. Non è facile comprendere infatti se la Cassazione torinese
abbia voluto ritenere ammissibile l'esercizio del diritto di re cesso in seguito al mutamento dell' oggetto sociale avvenuto di fatto per le operazioni compiute dagli amministratori ; o ab bia invece inteso dire che basta a legittimare il recesso la deli berazione con la quale l'assemblea ordinaria abbia approvato le operazioni degli amministratori esorbitanti dai limiti dell'og getto sociale. Questa seconda ipotesi sembra però più verosimile.
Ma non è del resto necessario risolvere il dubbio, poiché io intendo dimostrare che in ambedue le ipotesi, od anche in
qualsiasi altra per avventura più benigna, la decisione della Corte suprema non può essere approvata.
La stessa valutazione dei fatti che han dato luogo alla con troversia non sembra esatta. Gioverà quindi rifarsi da quelli, tenendo conto anche della confermata sentenza App. Milano 5 novembre 1909 (edita dalla Temi lomb., 1910, 61), oscura ed
ambigua anch'essa.
I. — L'atto costitutivo della Società idroelettrica, costituitasi in forma successiva (Boll, uff., 1906, fase. XXXIV. p. 11), all'art. II così indicava l'oggetto dell' impresa sociale : « Scopo della So cietà è la produzione e distribuzione dell'energia elettrica uti lizzando le forze idrauliche ricavabili dai rivi valtellinesi : Bitto, Tartano, Masino, Coderà e Eatti, e quelle altre successive che la Società credesse del caso. Potrà essa anche prender parte cipazione e cointeressenza in aziende simili, sia in forma diretta
che indiretta e coll'acquisto di azioni o compartecipazione sotto
qualsiasi forma ». Lo statuto, più genericamente, all'art. 2 diceva essere « scopo
della Società la produzione e la distribuzione dell'energia elet trica nonché delle sue applicazioni in genere. Potrà anche pren der partecipazioni in aziende similari ».
Ora, come si rileva dall'annotata sentenza, è avvenuto che
dopo la costituzione della Società, essendosi reso disponibile un
altro rivo di maggiore importanza di quelli già in programma,
opposto davanti la Corte di Milano per contrastare la
domanda subordinata dei soci dissenzienti dalla delibe
razione dell'assemblea 30 gennaio 1908, i quali, pel ri
flesso che si fosse mutato l'oggetto della Società, facevano
valere il diritto di recesso di cui al n. 6 dell'art. 158 cod.
il Consiglio d'amministrazione ne sollecitò ed ottenne la con
cessione, e diede opera all'utilizzazione del nuOvo rivo insieme a quella di uno degli altri già contemplati. Il lamentato muta mento dell'oggetto sociale consisterebbe appunto nella sostitu zione dello sfruttamento di un nuovo corso d'acqua non com
preso tra quelli di cui era fatta parola nell'atto costitutivo. Alcuni azionisti, avuta notizia degli affari intrapresi dagli
amministratori, domandarono che fosse inserita nell'ordine del
giorno della prossima assemblea ordinaria una proposta così formulata : « a) Richiesta al Consiglio d'amministrazione di co municazioni dettagliate dei lavori sinora compiuti e di esposi zione del programma che intende attuare ; b) discussione del
l'operato del Consiglio d'amministrazione, sopratutto in merito al programma tecnico e finanziario fin qui svolto in relazione a quello posto a base della costituzione della Società; c) prov vedimenti e proposte in merito ai commi precedenti, nonché discussione e provvedimenti in merito alle eventuali responsa bilità ».
L'assemblea approvò il bilancio e l'opera degli amministra
tori, respinse l'ordine del giorno della minoranza, e votò da ultimo la seguente deliberazione : « L'assemblea, udita la rela zione del Consiglio, ha approvato, come approva, il suo ope rato, per quanto riguarda il programma tecnico finanziario
adottato e lo incoraggia a darvi piena esecuzione. Approva in fine in base alla relazione dei sindaci il bilancio chiuso al 31 di
cembre 1907 » . In seguito a questa deliberazione gli azionisti dissidenti
fecero dichiarazione di recesso per mutamento dell'oggetto della
Società, ed è questa dichiarazione di recesso che la Corte d'ap
pello di Milano ed ora la Cassazione hanno ritenuto valida ed
efficace, e che io ritengo invece per moltissime ragioni non va lida o almeno non efficace.
II. — Un primo ordine di ragioni consiste nella valutazione
dei fatti. Mi sembra che nella specie, non si potesse parlare di cambiamento dell'oggetto. Si intende che occorre tener pre sente un concetto esatto di ciò che sia quel cambiamento del
l' oggetto, il quale, costituendo un mutamento dello statuto, deve essere deliberato a norma dell' art. 158 cod. comm. e dà
luogo al diritto di recesso dei dissenzienti.
Non ogni deviazione dallo scopo sociale può essere consi
derata come mutamento dell'oggetto, perchè non ogni devia
zione è un mutamento dello statuto.
Certo non è agevole fissare in linea generale il concetto
di « cambiamento dell'oggetto > (vedi su ciò la mia nota in Foro
it., 1905, I, 1380), poiché è una pura questione di interpreta zione di volontà vedere se l'oggetto della società, come si trova
determinato dopo la modificazione, sia o no diverso da quello che era prima: interpretazione della volontà dei soci nella deter
minazione dell'oggetto nella prima formolazione delio statuto, ed
interpretazione della volontà manifestata nel modificare lo sta tuto stesso. Ed a seconda dell' intenzione dei soci può aversi cambiamento per deviazioni qualitative dalle operazioni indicate nello statuto, od anche solo per deviazioni quantitative. Il Ma nara (Trattato della società, I, n. 163) osserva giustamente : « Oc corre stabilire qual'era l'oggetto della società in tutta la deter
minatezza che esso ebbe al momento in cui la società si costi
tuì, e mettere a raffronto col medesimo l'oggetto della società
qual risulta dopo la deliberazione che introdurrebbe il preteso cambiamento ».
La difficoltà di questa ricerca diventa anche maggiore quan
do,, come nella specie, si deve vedere se l'oggetto è stato mu
tato, senza avere una formale deliberazione da interpretare. Tuttavia è chiaro che l'utilizzazione elettrica di un nuovo
corso d'acqua poteva essere considerata come un cambiamento
dell'oggetto della Società idroelettrica solo per deviazione quanti
tativa, e unicamente quindi nel caso che nello statuto fossero tassa
tivamente indicati i corsi d'acqua da utilizzare. E questo in so stanza ha creduto di aver assodato la Corte d'appello, ma a
torto, ed esorbitando dai confini che devono limitare la ricerca
della intenzione delle parti nella determinazione dell'oggetto della società.
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