193
la sacchetta Storie e immagini del cuore marinaro di Trieste Claudio Ernè Tiziana Oselladore

"La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

Embed Size (px)

DESCRIPTION

"La Sacchetta. Storie e immagini del cuore marinaro di Trieste" di Caludio Ernè e Tiziana Oselladore, collana "carte di mare", 190 pagine, Comunicarte Edizioni, 2011, € 25,00

Citation preview

Page 1: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

1

la sacchettaStorie e immagini del cuore marinaro di Trieste

Claudio ErnèTiziana Oselladore

Page 2: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

2

Page 3: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

carte di mare5

Page 4: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

carte di mare è una collana che parla di barche, mare e uomini

nella stessa collana:

Cosulich, dinastia adriaticaCarlo Sciarrelli, architetto del mareStraulino, signore del mareIl segno dell’onda. Moya, 2010-1910

Page 5: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

la sacchettaClaudio ErnèTiziana Oselladore

Storie e immagini del cuore marinaro di Trieste

Page 6: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

Coordinamento editoriale: Massimiliano Schiozzi

Tutti i diritti riservati© 2011, Comunicarte Edizioni, Triestevia San Nicolò 29 - 34121 Trieste

La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire i dirittidi riproduzione, rimane a disposizione di quanti avesserocomunque a vantare ragioni in proposito.

Progetto grafico e impaginazione: Comunicarte

in copertina:Giorgio Brezich bambino in Sacchetta nel 1945

nel primo risvolto:sul Molo Pescheria, anni ’50, foto di Mario Magajna

nel secondo risvolto:la Sacchetta al tramonto in una foto di Elio Germani

in quarta di copertina:L’attestato di aggregazione del Rowing Club Triestino allaSocietà delle Regate, 1898

ISBN 978-88-6287-067-2

www.comunicarte.info/edizioni

Page 7: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

La storia

I luoghi della Sacchetta

Gli edificiLa LanternaLa Stazione di Campo MarzioIl Lazzaretto San CarloLa Pescheria CentraleIl porto sportivoLa piscinaStazione Rogers

La BoraIl respiro di Trieste

Il lavoroIl mare di un emporio

Lo svagoI bagni pubbliciL’AusoniaPedocinAndare a velaCanottiereUn album di canottieri imperialiI raid remieriBellezze al remo

Sulle assi di legno scurodi Claudio Ernè

Porta aperta sul mondo di Tiziana Oselladore

cronologiabibliografiafonti iconografiche e ringraziamenti

7

29

31445052608182

85

99

121128134136154170177180

184

185

186188189

sommario

Page 8: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

6

la storiaVoglio per quest’umanità che soffre, mettere i colori a un quadro. Uomini, animali,macchine, tutto un movimento, dall’alba al tramonto, un movimento di partenza earrivo: da queste rive per il mondo, e dal mondo a queste rive. Così amo Trieste.

(Vittorio Bolaffio in Trieste nei miei ricordi di Giani Stuparich)

Trieste prima di tutto offre a colpo d’occhio un’entrata aperta, e libera, non imbaraz-zata da scogli, isole, o banchi di sabbia, vantaggio assai raro, che certamente nonsaprebbero vantare i porti della Dalmazia vicini al burrascoso Carnero, la cui sola eti-mologia deve intimidire il Navigante, e far nascere lo spavento. Pochi sono i Portibastantemente felici, che permettano di avvicinarsi senza necessità di Piloto: pochi chelascino entrare, e sortire con tutti i venti, e a tutte l’ore: pochi in cui la profondità siasufficiente, e tale, che il Nochiero non abbia da dipendere dai tempi lunari, e le maree.

(da Riflessioni sul porto di Trieste di Antonio de Giuliani)

Page 9: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

7

Già in epoca romana la zona che oggi indichiamo come Sacchetta era sede di atti-vità marinaresche e commerciali. Nel bacino naturale che si estendeva fino allacatena di scogli culminante con lo Zucco c’era uno dei due porti della città.

Ireneo della Croce nel suo Historia antica e moderna sacra e profana della Cittàdi Trieste ci racconta che era costituito da due moli formanti una darsena. Il primo,sul quale sarà edificato il Molo Teresiano «tutto fabbricato con pietre di smisuratagrandezza», ed estendeva «il suo curvo raggiro che eccede un buon quarto dimiglio, fino all’isoletta addimandata comunemente il Zucco» dove ancora allafine del Seicento apparivano «in figura ottagonale […] i fondamenti di pietra bian-ca lavorata di una torre, o faro, d’architettura non ordinaria». L’altro molo si tro-vava dalla «parte di terra nella riva di Grumula, sotto la Possessione de’ SantiMartiri de’ Reverendi Padri Benedettini posta tra la città, e Campo Martio […]dirimpetto ad esso Zucco» e, «tutto di belle pietre, lunghe sei piedi», s’estendeva«in lunghezza verso l’isoletta dello Zucco più di 180 passi» a chiudere «quel senoche componeva anticamente l’accennato Porto».

La morfologia del terreno all’epoca era molto diversa da quella che vediamooggi. La linea di costa, Riva Grumula, era più arretrata, il mare lambiva le odiernevia Diaz, via Lazzaretto Vecchio, via Economo e arrivava fino alla base di viaHermet mentre Passeggio Sant’Andrea era una spiaggia. La baia come si vedenella pianta riportata a pagina 9 formava una specie di piccola sacca, da qui ilnome “Sacchetta” che ritroviamo fin dai testi più antichi.

Sul luogo dove oggi corre via Campo Marzio, prima dell’erezione delLazzaretto San Carlo c’era un vasto piazzale, poi tramutato in saline, che servivain epoca romana da campo di esercitazioni militari, donde il nome che rimase allavia attuale.

Tutto quello che vediamo oggi è il risultato di successivi interramenti dovutialle mutate esigenze commerciali e ai conseguenti interventi urbanistici dellacittà.

Durante tutto il Medioevo Trieste rimane arroccata all’interno delle mura adifendersi prima dalle varie scorribande di barbari e poi dai continui attacchi deiveneziani, tanto da indurre il governo della città a cercare la protezione degliAsburgo, con spontaneo atto di dedizione all’Austria nel 1382. Da allora seguiro-no anni più tranquilli. La città sopravviveva soprattutto grazie al commercio conl’entroterra di prodotti locali. Vennero riattivate le saline fuori Porta Riborgo e

incentivata la produzione di vino e olio, ma rimase interdetto il commercio lungol’Adriatico. Venezia continuava a regnare incontrastata.

All’alba del 1700 Trieste è un borgo di circa 6000 abitanti, stremato dalle epi-demie di peste, in cui qualsiasi tipo di aspirazione commerciale viene puntual-mente inibita dalle continue prepotenze della Serenissima, che continua ad eser-citare in modo durissimo il suo diritto esclusivo di navigazione nell’Adriatico.

Le richieste di aiuto rivolte al governo austriaco sono numerose, ma spessocadono nel vuoto.

Le cose cambiano quando nel 1711 sale al trono Carlo VI. Il nuovo imperatore getta immediatamente le basi per il rilancio economico

del suo Impero. Si rende conto che per attuare il suo piano deve incentivare la rea-lizzazione di vie di comunicazione e costruire porti che gli garantiscano uno svi-luppo commerciale.

Come primo passo nel 1717 Carlo VI emana una patente con la quale dichiara:

“sicura e libera” la navigazione nel mare Adriatico, onde promuovere, regolare, edaumentare il commercio negli stati ereditari e precipuamente nell’Austria interio-re e nei porti di mare – l’immunità a quanti (anche forestieri) si stabiliranno neiporti per cominciare il commercio nel mare Adriatico – la promessa di provvedere aun sollecito miglioramento delle vie di comunicazione fra il litorale e le provincedell’interno – di concedere privilegi a quanti cittadini dell’Impero o forestieri che siimpegnino nel dare nuovo impulso alle manifatture.

Poi, in seguito alla pace di Passarowitz (1718), stipula un accordo commercia-le con l’Impero Ottomano. Venezia sta perdendo la sua influenza e le prospettivecommerciali verso Oriente iniziano ad essere allettanti.

Dopo un primo momento di tentennamento Carlo VI proclama “franchi”(liberi da dazi doganali) i porti di Fiume il 15 marzo 1719 e Trieste il 18 marzo 1719.

L’istituzione del Porto Franco facilita e incentiva l’attività commerciale. Lemerci possono essere manipolate all’interno del punto franco e ritrasportateall’estero via mare, permettendo lauti guadagni in virtù delle franchigie: non sipaga dazio né in entrata né in uscita.

Un porto efficiente all’epoca doveva dotarsi di un lazzaretto per evitare con-tagi ed epidemie. L’imperatore nel 1720 dà ordine di iniziare i lavori di costruzio-ne del lazzaretto nella zona di Campo Marzio. L’opera per mancanza di denaro edi materie prime e per incidenti diplomatici, si protrae fino al 1731.

La città inizia lentamente a rifiorire. Si avvia l’opera, di interramento delle

Page 10: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

8

saline fuori delle mura verso Porta Riborgo per preparare il terreno alla costruzio-ne di nuovi magazzini e abitazioni; si procede alla realizzazione di una strada lito-ranea lungo la Riva Grumula per poter raggiungere il lazzaretto senza dover perforza inerpicarsi per via Santi Martiri e percorrere viottoli di campagna.

Ecco allora che, attratti dalle franchigie e dalle nuove opportunità, inizianolentamente a giungere in città nuove figure di imprenditori soprattutto di origi-ne levantina, abili e determinati nel commercio. Arrivano anche, data la continuarichiesta di manodopera, molti operai dalla Carniola e dal Friuli.

La vera svolta inizia nel 1740 quando Maria Teresa succede al trono del padreCarlo VI. Nonostante la giovanissima età – aveva solo ventiquattro anni – lanuova sovrana riprende con energia la politica economica abbozzata dal padre econ grande senso pratico avvia una serie di riforme che risulteranno vincenti siaper il rafforzamento del suo Impero che per la politica di espansione commercia-le della città.

Maria Teresa nel 1749 emana un’Istruzione composta di ben cinquantadueparagrafi nella quale sono contenuti, in un’esauriente esposizione programmati-ca, tutti i lungimiranti progetti per fare di Trieste un emporio.

Nel documento ritroviamo la conferma dei privilegi del Porto Franco; istruzio-ni per migliorare il sistema dei collegamenti con la città; per moderare e regolare ipedaggi delle strade verso Trieste; per regolare le tasse sui trasporti; per sollecitarel’entrata in vigore o la creazione di regolamenti della Sanità (lazzaretti), delCommercio, dei Tribunali e dell’attività dei sensali. Furono strategiche le disposi-zioni per incoraggiare l’immigrazione e il rafforzamento di comunità non cattoli-che per migliorare e dare nuovo impulso ai traffici commerciali con l’Oriente.

L’Istruzione non tralascia nulla, neanche per quanto riguarda il piano dei lavo-ri pubblici e quello urbanistico della città. Tutto viene studiato, organizzato e rea-lizzato secondo precisi schemi di incarichi e responsabilità. Nulla viene lasciato alcaso, ci sono indicazioni precise per tutto: dalla cubatura dei magazzini all’altez-za dei solai per conservare le granaglie, per l’esecuzione delle canne fumarie,delle scale, dei tetti, dei pavimenti delle cucine.

Vengono emanate precise istruzioni per realizzare strade di collegamento fraTrieste e le altre città dell’Impero e per realizzare un nuovo acquedotto, così comeper disposizioni in merito alla bonifica e rapida urbanizzazione del Borgo delle

Saline (oltre Porta Riborgo) e quello dei Santi Martiri (fuori Porta Cavana) per per-mettere la costruzione di magazzini ed edifici utili all’attività commerciale.

Soprattutto ci sono progetti e precise indicazioni per l’ammodernamentodelle strutture portuali della città. Il piano prevedeva il recupero delMandracchio con un programma di scavi sistematici in modo da renderlo nuova-mente funzionale, la costruzione di un molo (Molo San Carlo, oggi Molo Audace)sul relitto del vascello San Carlo da anni affondato. Viene deciso: il potenziamen-to del porto in Sacchetta chiamato «porto delle navi», posto davanti al LazzarettoSan Carlo, con la costruzione di un molo fortificato sui resti di quello romano; allostesso modo viene varato un programma di dragaggio dei bassi fondali di RivaGrumula in modo da rendere praticabile la Sacchetta a navi di grosse dimensioni.

La costruzione del Molo Teresiano era già iniziata nel 1744 tra ritardi e scan-dali. Il fornitore dei massi pare li scaricasse di giorno per riportarli a bordo notte-tempo. Una “tela di Penelope”, perché il mattino seguente dopo lo sbarco se lisarebbe fatti pagare una seconda volta. Un remunerativo moto perpetuo che siconcluse solo nel 1769. Il molo divenne pienamente operativo nel 1787 e alla suaestremità era difeso da un fortino pentagonale, dotato di otto cannoni, un fornoper arroventare i proiettili e un corpo di guardia permanente.

Si narra che nonostante la Corona Austriaca avesse fatto il possibile per argi-nare le voci sullo scandalo delle forniture, Napoleone una volta arrivato a Triestenel 1797 si fece accompagnare subito a visitare il molo che tanto era costato aMaria Teresa.

Nel 1769 l’imperatrice proclama Trieste «Libera Città Marittima» e promulgal’estensione del Porto Franco a tutto il territorio: dalla Val Rosandra fino a SantaCroce. Sempre nello stesso anno sarà inaugurato anche il nuovo lazzarettocostruito sotto il colle di Gretta in soli quattro anni, intitolato a Maria Teresa. Lacostruzione si era resa necessaria per l’aumento dei traffici. Il Lazzaretto SanCarlo, quello della Sacchetta, da quel momento sarà chiamato Lazzaretto Vecchioe svolgerà funzioni di appoggio ospitando merci e passeggeri “netti”, privi dirischio. Il nuovo complesso intitolato all’imperatrice è quattro volte più grandedel Mandracchio, è dotato di una propria darsena divisa in due bacini, uno “netto”e uno “sporco”, magazzini e ampi spazi all’aperto per le merci, case per gli inter-nati e un ospedale oltre alla casa del priore, gli alloggi per il personale e la caser-

Page 11: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

9

Trieste, 1718Pianta di Trieste fatta a suggerimento di Giovanni Casimiro Donadoni siccome allegato alla sup-plica pel Portofranco, 1718. La città è ancora racchiusa dalle mura. Sopra la rosa dei venti sonovisibili le saline e il Mandracchio. Sulla destra, in senso orario, il Borgo dei Santi Martiri,

Campo Marzio e all’estremità della penisola lo scoglio dello Zucco dove sarebbe sorto unsecolo più tardi la Lanterna. È ben visibile la forma concava del litorale che è all’origine deltoponimo “Sacchetta”.

Page 12: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

10

ma per le guardie. La lungimiranza del progetto ne farà un lazzaretto “modello”per quasi un secolo e permetterà la sua utilizzazione fino al 1868, quando saràdemolito per far posto al nuovo porto che oggi ha il nome di Porto Vecchio.

La città nei quarant’anni del regno di Maria Teresa cambia volto: la popolazio-ne passa da 6.000 a 21.000 abitanti. Nasce oltre Porta Riborgo, sul reticolo dellevecchie saline, il Borgo Teresiano. Gli edifici sono di due o al massimo tre piani eospitano spazi destinati a magazzino, residenza e transazione commerciale: èuna commistione che esprime bene lo spirito imprenditoriale della nuova Trieste.

Il commercio e la navigazione sono i cardini fondamentali su cui si basa tuttolo sviluppo della città. Diviene quindi necessario formare una classe di tecnici ecapitani in grado di gestire i progetti di espansione commerciale. A questo scoponel 1753 viene fondata l’Imperial Regia Accademia di Commercio e Nautica, men-tre nel contempo la città viene dotata di tutti gli strumenti, anche finanziari, perrenderla un grande emporio: il più importante fra tutti l’apertura, nello stessoanno, della Borsa Mercantile.

La zona al di là di Porta Cavana non aveva subito grossi cambiamenti. Granparte delle proprietà erano rimaste in mano agli ordini monastici che da secolioccupavano quel territorio con quattro conventi (convento di San Francesco, con-vento dei Frati Ospitalieri con annesso ospedale dell’Annunziata, convento deipadri Cappuccini, convento dei padri Benedettini o dei Santi Martiri). Come eragià avvenuto per il Borgo Teresiano, la costruzione del borgo viene lasciata all’ini-ziativa dei privati adottando come politica di incentivazione all’urbanizzazione,il basso costo di vendita dei lotti e l’utilizzazione del lavoro coatto dei carcerati.

Nel 1781 succede a Maria Teresa Giuseppe II, ed emana la Toleranzpatent cheautorizza ebrei, ortodossi, augustani, elvetici a comprare e possedere beni stabilie di avere diritto di «Cittadinanza, Maestranza e Offici Civili».

Contemporaneamente sopprime vari ordini religiosi e smantella le proprietàecclesiastiche immettendo così sul mercato nuove aree edificabili.

Questa politica religiosa influisce positivamente sia sulla crescita demografi-ca che commerciale della città, attirando nuovi capitali e nuove energie impren-ditoriali che daranno nuovo impulso alle attività mercantili e manifatturiere.

Non indifferente è anche l’effetto immediato che gioca l’espropriazione e losmantellamento delle proprietà immobiliari ecclesiastiche nella riorganizzazio-ne della città.

La costruzione del Borgo dei Santi Martiri si può dire inizi solo nel 1780 quandoil commerciante Ambrogio de Stroheldorf chiede il permesso di poter interrare asue spese un tratto di costa per costruire due grandi magazzini a palafitta all’incircadove oggi ha sede il palazzo Revoltella e in parte l’odierna piazza Venezia.

Per dare una migliore sistemazione all’area portuale della Sacchetta e peraumentare la superficie edificabile inizia a farsi strada l’idea di portare avanti lalinea di costa nel tratto che va dal Mandracchio al Lazzaretto Vecchio, in modo dapoter consentire la costruzione di due file parallele di edifici e di provvedere allacostruzione di una sponda murata. Vengono presentati diversi progetti e i lavoriiniziati intorno al 1781 si concluderanno intorno al 1824. Giuseppe II decreta l’av-vio della costruzione del Borgo dei Santi Martiri nel 1788 e viene in suo onorechiamato Borgo Giuseppino.

La città dopo la crisi attraversata durante la dominazione napoleonica si risol-leva ed inizia così una fase di grande espansione commerciale ed economica chedurerà fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Il Borgo Giuseppino prende forma, l’edificazione procede con la costruzionequasi a schema fisso di grandi isolati talvolta costruiti in blocco e in breve tempo,e spesso dallo stesso architetto (Corti, De Puppi, Righetti) generando uno deicomplessi neoclassici più unitari realizzati in Italia.

Nell’arco del primo ventennio dell’Ottocento vengono approvati quasi tutti iprogetti dei palazzi delle Rive. La prima ad essere edificata negli anni ’30 e ’40 fuvia Lazzaretto Vecchio, con edifici ad uso commerciale e residenziale (il pianoterra è costituito da grandi e ampi magazzini e uffici, mentre il primo e il secon-do sono piani “nobili” adibiti a sontuose abitazioni). Inizia a delinearsi anche lapiazza Giuseppina (odierna piazza Venezia), dove Domenico Corti realizza buonaparte degli edifici. Nel 1846 viene costruito il Molo Giuseppino, prospicientel’omonima piazza, che verrà prolungato negli anni 1857-59. Verso la fine dell’800era riservato ai piroscafi del Lloyd Austriaco. Tra il 1854 ed il 1858 viene costrui-to il palazzo del barone Pasquale Revoltella, su disegni dell’architetto berlineseFriedrich Hitzig.

Nella zona di Campo Marzio la destinazione d’uso è diversa: si tratta di costru-zioni a uso industriale (androna Campo Marzio) o collegate con l’attività delporto, piccoli cantieri, officine, fabbriche di maioliche e sapone.

La politica commerciale è in piena espansione, Trieste si avvia a diventarefinalmente un emporio.

Page 13: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

11

Trieste, 1780Pianta della città alla morte di Maria Teresa, anno 1780. Nella mappa si notano a tratteggioi progetti di edificazione. In particolare, sulla destra, il limite designato delle future Rive.

Page 14: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

12

Nel 1818 una folla assiepata sulle Rive saluta esultante il “Carolina”, il primopiroscafo a vapore costruito a Trieste, che compie il suo viaggio inaugurale versoVenezia. Nove anni più tardi, Giuseppe Ressel prova per la prima volta l’ “elice” inmare, nel bacino della Sacchetta.

In Sacchetta attraccano grandi velieri carichi di baccalà. Il pesce secco venivatrasportato nei magazzini di androna Campo Marzio. Il lezzo era tale da far cam-biare il toponimo in «androna del baccalà».

Nel 1833 si concludono i lavori di costruzione della Lanterna su progetto diMatteo Pertsch, Trieste ha finalmente il suo faro, fioriscono attività di ogni genere.In quegli anni vengono fondate compagnie assicuratrici e marittime che contribui-scono in maniera determinante all’ascesa della città nel ruolo di nuovo e importan-te emporio: nascono infatti le Assicurazioni Generali (1831), il Lloyd AustroUngarico di Navigazione (1836), la RAS-Riunione Adriatica di Sicurtà (1838).

Nel 1836 il Lloyd affianca alla propria attività di compagnia assicuratriceanche quella di società armatrice: sei piroscafi a vapore vengono lanciati sullerotte orientali. Da quel momento l’industria cantieristica e meccanica ha unnuovo e forte impulso grazie all’intraprendenza di coraggiosi imprenditori. Ilbarone Revoltella è fra i fondatori e azionisti del Lloyd, delle AssicurazioniGenerali, dello Stabilimento Tecnico Triestino nonché fra i promotori dell’aper-tura del Canale di Suez. Si impegna a tal punto in questa impresa da diventarevicepresidente della Compagnia Universale del Canale di Suez, ben conscio degliincredibili vantaggi economici che la città potrà ricavarne.

Nel 1838 Iver Borland costruisce in androna Campo Marzio uno stabilimentomeccanico per allestire e riparare le navi del Lloyd. In Sacchetta realizza il primomolo in città dotato di una gru meccanica per caricare e scaricare le merci, ma hasfortuna e viene travolto dal fallimento della sua azienda.

Più o meno negli stessi anni Simeone Strudthoff, convinto che fosse inutile edispendioso comprare dalle fonderie inglesi le ferramenta (ancore, subbie, panet-ti per la zavorra) necessarie alle navi costruite a Trieste, impianta nella zona diChiarbola una fonderia che ha immediato successo.

Gaspare Tonello, insegnante di costruzione navale all’Imperial RegiaAccademia di Commercio e Nautica impiegato al Cantiere Panfili, tenta di intro-durre il calcolo matematico nella progettazione navale. Sogna di costruire un can-tiere moderno ma incappa nell’ostruzionismo dei proti – i vecchi maestri d’ascia

e costruttori – che figli di una secolare tradizione si ostinano ad usare il metododella “cannavetta”: un modellino a mezzo scafo realizzato a mano da cui poi trac-ciano le linee. Tonello grazie a Giuseppe Bousquet (uno dei fondatori del Lloydassieme al barone de Bruck e al barone Revoltella) riesce a realizzare il suo pro-getto e nel 1839 sotto il colle di Servola, all’estrema periferia della città, fonda ilCantiere San Marco che avrà l’esclusiva per la costruzione e il rimessaggio deipiroscafi del Lloyd fino al 1851, quando il cantiere verrà confiscato e destinato adesclusivo uso militare.

A quel punto il Lloyd decide di dotarsi di un proprio arsenale; i lavori su pro-getto dell’architetto Hansen iniziano nel 1853 e terminano nel 1861, sull’area frail Cantiere San Marco e le Officine Strudthoff, che nel frattempo si erano sposta-te a valle ampliando la loro struttura e tramutandosi in società per azioni pren-dendo il nome di Stabilimento Tecnico Triestino.

Grazie al benessere economico raggiunto si costruiscono edifici imponenti edi grande prestigio, come palazzo Carciotti sulle Rive, il Tergesteo, la Borsa.Anche in Riva Grumula i Sartorio, grandi mercanti la cui azienda aveva una sedea Trieste e una ad Odessa, edificano nel 1837 due magazzini (convertiti poi nel1864 in abitazioni con l’innalzamento di un terzo piano ad opera del Berlam) e unmolo (Molo Sartorio) dove approdano le loro navi cariche di granaglie.

Nel Borgo Giuseppino in via Lazzaretto Vecchio e via Economo sorgono atti-vità di ogni genere legate al mondo del commercio e della marineria, velerie, cor-derie, lattonieri, fabbri, alberanti (costruttori di alberi), compagnie di spedizionie di navigazione. La Sacchetta è un fermento di attività con carri trainati da buoio cavalli che fanno la spola a caricare o scaricare le merci, si calatafano scafi, fab-bri lavorano alle ferramenta.

Nello specchio di mare che va dalla Sacchetta al Canal Grande iniziano a sor-gere i primi stabilimenti balneari galleggianti: il lussuoso Soglio di Nettuno, ilBagno Buchler, il Bagno Militare, e il più bello di tutti, il Bagno Maria. Sul MoloTeresiano sorgono il Bagno Fontana – dal cognome del suo proprietario – e ilprimo bagno popolare.

Il traffico commerciale raggiunge punte insperate. Nel 1854 arrivano a Trieste12.598 bastimenti per un volume complessivo di 852.157 tonnellate di merce, nel1889 i velieri sono 4.184 e i piroscafi 4.019. Nel 1886 il Lloyd ha 86 piroscafi. Èovvio che con tale volume di traffico il porto della Sacchetta e quello del CanalGrande sono insufficienti. Si progetta quindi una nuova e più efficiente struttu-

Page 15: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

13

Piazza GiuseppinaOggi piazza Venezia, con il monumento dedicato nel 1875 all’arciduca d’Austria Massimiliano,fucilato in Messico nel 1867. L’antistante molo era il centro pulsante dell’attività portualeprima che fossero costruiti il Porto Nuovo, ora denominato Vecchio e il Porto di Sant’Andreaora chiamato Nuovo. Dal palazzo affacciato sulla piazza, il barone Revoltella scrutava l’oriz-zonte con il suo telescopio. Sullo sfondo vediamo la Lanterna e l’edificio a sinistra è PalazzoScuglievich, appartenente alla Comunità Serbo Ortodossa. Tra il 1922 e il 1923 negli uffici delConsolato del Regno dei Serbi, Croati, Sloveni, ospitato nel palazzo, lavora un giovane impie-gato: Ivo Andrić, futuro premio Nobel per la letteratura.

Trieste, fine OttocentoNelle due pagine successive una strepitosa immagine degli ultimi anni dell’800, realizzatada Giuseppe Wulz. Oltre alla Lanterna si notano la Stazione della Ferrovia Meridionale, inbasso a destra, inaugurata nel 1878, di fronte alla Stazione palazzo Panfili completato nel1880 e la cuspide della Chiesa Evangelica di confessione augustana costruita nel 1869.

Page 16: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 17: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 18: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

16

ra portuale. L’area viene identificata nella zona adiacente alla Stazione Meri -dionale e al Lazzaretto Santa Teresa che viene quindi smantellato. I lavori suprogetto dell’ingegner Talbot iniziano nel 1862 e finiscono nel 1883. Anche inquesto caso si tratta di un complesso di grande efficienza. In molti, da Marx aCavour, verranno a studiarne le caratteristiche.

La Sacchetta nel 1875 viene sottoposta per un anno a un’importante opera diapprofondimento dei fondali con dragaggi. La roccia del fondo in taluni puntiviene fatta a pezzi con l’esplosivo.

Il 3 aprile del 1875 alla presenza dell’imperatore Francesco Giuseppe viene inau-gurata la statua dell’arciduca Massimiliano d’Austria ucciso a Queretaro il 19 giugnodel 1867. La statua, opera dello scultore Giovanni Schilling, raffigura Massimilianoin divisa di ammiraglio che guarda il suo amato Castello di Miramare. Nel 1918 sul-l’onda dell’entusiasmo nazionalistico la piazza viene rinominata piazza Venezia(ironia della sorte proprio quella città che con la sua continua ostentazione dipotenza aveva indotto l’atto di dedizione all’Austria) e il monumento viene messoin un deposito nel parco di Miramare; solo nel 1961 viene restaurato e collocato nelparco e appena nel 2008 ricollocato nella sua posizione originale.

Nel 1887 fu realizzata la linea ferroviaria – «Rivebahn» – che collegava laStazione della Meridionale e l’adiacente Porto alla prima stazione di Sant’Andreadella linea per Erpelle.

Dal 1891 le franchigie del Porto Franco vengono riservate alle sole operazionisvolte all’interno del perimetro del Porto Nuovo e non più in tutta la città. Lasituazione muta: le Rive e la Sacchetta si decongestionano e tutto il traffico sisposta all’interno della nuova area portuale. In Sacchetta rimangono le maone, itrabaccoli e i bastimenti di piccolo cabotaggio che collegano Trieste con l’Istria, laDalmazia e le coste italiane.

Intanto continuano le operazioni di interramento di porzioni di riva.All’inizio del Novecento parte un imponente progetto di ristrutturazione di tuttoil bacino dal Canal Grande a Sant’Andrea. L’esplosione del traffico commercialegrazie all’apertura del Canale di Suez e alle politiche espansionistiche di Vienna,rende evidente l’inadeguatezza delle strutture portuali che, progettate per untipo di traffico di deposito, non riescono a sostenere la dinamicità dei nuovi ritmi,tanto da decidere la costruzione di un nuovo ulteriore porto. I lavori iniziano nel1901 nella zona di Sant’Andrea. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale l’impo-nente progetto era completato solo per un terzo.

Vento e vaporeAlberi, pennoni e bompressi pronti a raccogliere nelle vele ogni alito di vento. E macchinea vapore alimentate dal carbone. Gli scafi dei velieri all’inizio del Novecento erano chiari,solari, di legno, come si nota in questa immagine della Sacchetta. Quelli dei piroscafi, alcontrario, costruiti in acciaio, dovevano essere neri per mascherare gli effetti del fumodenso che usciva dai fumaioli e ammorbava l’aria depositandosi poi su tutte le superfici.

Page 19: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

17

PetkaIl Molo Giuseppino, oggi Venezia; a destra il piroscafo “Petka”, a sinistra il Magazzino Vini.

Page 20: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

18

Joyce e gli inglesiLe immagini di marinai britannici pubblicate in queste due pagine mentre passeggianonelle loro candide divise e vogano, sono state realizzate da Cirillo Arturo Giacomelli, unmagistrato che dopo il passaggio di Trieste all’Italia lasciò l’impiego statale e divenne avvo-cato. Di lui poco si sa. Le ricerche di Fabio Amodeo e Nives Millin che nel giugno 1990 glidedicarono un volume ormai introvabile dal titolo Viaggio nella Trieste di Svevo, avevanofatto emergere la data di nascita, il maggio del 1862, la città di origine, Zara, i nomi dei geni-tori, Vincenzo il padre e Filomena Micmulich la madre, nonché quello della moglie GisellaHenzinger che si spense nel 1977. «Il suo primo nome, Cirillo, gli piaceva così poco che nonlo usò mai, né in privato, né nella vita ufficiale» scrivono i due autori nella prefazione delloro libro. «Studiò legge, non sappiamo dove e divenne magistrato: approdò a Trieste comegiudice del Tribunale civile che aveva sede in via Sanità, oggi via Cadorna. Le sue udienzevenivano di tanto in tanto interrotte dalle baruffe fra pescatori o commercianti. Il processoveniva sospeso. Arturo Giacomelli ascoltava le parti e poi sentenziava, un po’ affidandosi

alla legge, molto al buonsenso». Per un periodo della sua vita, conclusasi il 29 gennaio 1937,Arturo Giacomelli fu anche fotografo. Un dilettante o meglio un “amateur”. Fotografa peril piacere di farlo e tutta la sua attività fu concentrata tra il 1902 e lo scoppio della GrandeGuerra. I suoi negativi furono trovati nella soffitta di un edificio destinato alla demolizioneda Cesare Picotti, che avendone intuito l’importanza li passò all’amico Fabio Amodeo. Intotale sono 500 lastre di cui 400 in discrete condizioni. Tra queste le due immagini pubbli-cate: sono state realizzate nell’ottobre del 1904 probabilmente nel giorno in cui JamesJoyce e la moglie Nora giunsero in treno a Trieste e il futuro autore dell’Ulisse si azzuffò inuna stradina di Città vecchia con alcuni marinai britannici ubriachi appartenenti all’equi-paggio di una nave da guerra. Joyce finì in carcere il 20 ottobre, le foto di Arturo Giacomellisono finite invece sulle pagine di questo libro. Di certo non immaginava di lasciare unmonumentale, fresco, autentico ritratto di uno snodo irripetibile. Forse una voce gli dicevache nel giro di qualche anno tutto sarebbe cambiato.

Page 21: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

19

Page 22: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

20

I grandi lavori di ristrutturazione come abbiamo detto coinvolgono tutte leRive. Vengono prolungati tutti i moli, interrati i moli del Lazzaretto Vecchio e ilMolo Borland, interrata un’ampia porzione di mare che va da dalla base del MoloTeresiano e dalla sponda litoranea di Sant’Andrea fino allo Stabilimento TecnicoTriestino, ampliato e allargato anche il Molo Teresiano, alla cui estremità è in fun-zione la Lanterna. Compaiono le prime sedi galleggianti delle società di canottag-gio e di vela.

Nell’area risultante dalle ultime opere di interramento tra il Molo Teresiano eil complesso del Lazzaretto Vecchio sorge nel 1906, su progetto di Roberto Seelig,il bellissimo complesso liberty della Stazione Transalpina (odierna Stazione diCampo Marzio), la cui realizzazione si era resa necessaria con l’apertura dellanuova linea ferroviaria che collegava Trieste e l’Adriatico alla Baviera, l’AustriaSuperiore e la Boemia attraverso la linea Gorizia-Villaco.

Lungo il Molo Teresiano, sul lato verso il mare aperto, dopo i lavori di amplia-mento trovano posto il Nuovo Bagno Militare e il bagno popolare Alla Lanterna.

Nel 1913, nel tratto della riva fra il Molo dei Pescatori (oggi Molo dellaPescheria) e il Molo Giuseppino (oggi Molo Venezia) sorse la Pescheria Nuova suprogetto di Giorgio Polli, che subito incontrò il favore e la simpatia della popola-zione vista l’imponenza e l’ampiezza degli spazi interni, chiamata anche “SantaMaria del Guato” per la torre simile al campanile di una chiesa.

La Prima Guerra Mondiale conclusasi con il dissolvimento dell’ImperoAustroungarico e le mutate condizioni geopolitiche con l’annessione della cittàall’Italia determinarono per Trieste il blocco “temporaneo” dell’attività commer-ciale. La Sacchetta inizia a mutare la destinazione d’uso. Da febbrile centro diattività mercantili e commerciali diviene luogo di ricovero e attracco per pesche-recci e maone, e inizia ad assumere la fisionomia di “porto sportivo”.

In testa al Molo Sartorio al posto della casetta “rossa” dei piloti, il 4 novem-bre 1924 viene posta la prima pietra della terza e definitiva sede dello Yacht ClubAdriaco. La costruzione, su progetto dell’architetto Bois de Chense e dell’inge-gner Mario Picciola, viene inaugurata con una sfilata di imbarcazioni nel bacinoSan Giusto il 4 novembre 1925.

Anche le sedi galleggianti delle società di canottaggio e della Vela (fondata nel1923) vengono ancorate a ridosso del Molo Sartorio. La Sacchetta diventa unmicrocosmo tranquillo dove praticare sport o passeggiare lungo la sua riva.

André Kertész in SacchettaHa sempre cercato il materiale per le proprie fotografie solo attorno a lui, nella sua vita,nelle sue emozioni. Non nell’esotismo, né nelle architetture o nei costumi di altre civiltà,non nei “segni” dei gruppi sociali o religiosi e tantomeno nei paesaggi grandiosi, né negliavvenimenti politici. Lo dimostra anche questa immagine di quattro militari su una barca amotore immobile nelle acque della Sacchetta: André Kertész la scattò il 25 dicembre 1914.È il giorno di Natale, il primo Natale della Grande Guerra e uno dei più innovativi fotografidel Novecento ha lasciato Gorizia assieme ai suoi amici in divisa per una breve visita aTrieste non ancora divenuta retrovia del fronte del Carso. Kertész ha vent’anni ed è statochiamato alle armi pochi mesi prima dal suo Imperatore. Ha abbandonato il posto di conta-bile alla Borsa di Budapest e si è presentato alla caserma Franz Joseph di Gorizia, oggi sededel Tredicesimo battaglione carabinieri. Nello zaino ha una piccola macchina fotografica,una Goerz Tenax, il cui nome ha una strana assonanza con quello della città: Goerz, Görz,Gorizia. La userà molto in quei mesi di addestramento passati tra il Carso e Gradisca.L’Austria-Ungheria è già in guerra, ma il territorio della nostra regione il 25 dicembre 1914non è lambito ancora dalla linea di fuoco. Lo sarà alla fine del maggio 1915 quando l’Italiadichiarerà guerra, gettandosi a capofitto nella tragedia europea. Alla fotografia scattata inSacchetta, Kertész affianca una precisa didascalia in lingua francese con i nomi dei suoiamici: Andor Steiner, «le professeur», Andor Telek, Emil Kransz. Alle loro spalle due imbar-cazioni da carico e le facciate dei palazzi, oggi del tutto identici. Hanno tutti le finestrechiuse, come ha decretato il luogotenente principe Konrad Hohenlohe-Schillingsfürst pertutte le case affacciate sul mare. Non deve trasparire la minima luce perché da lontano qual-cuno potrebbe raccogliere i segnali trasmessi accendendo e spegnendo una o più luci.

Page 23: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

21

Navi in SacchettaPiroscafi, alberi, pennoni, vele, scafi d’acciaio e scafi di legno, prue a clipper e prue rientran-ti di un trabaccolo con un lunghissimo bompresso. In queste immagini realizzate tutte inSacchetta, è ben illustrata la fase di profonda evoluzione vissuta delle costruzioni navali acavallo tra Ottocento e Novecento.

Page 24: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 25: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

23

Il Magazzino ViniAgli inizi del ’900 visto l’aumento del traffico commerciale fu necessario incorporare al PortoFranco anche il Molo IV con l’Hangar n. 1 allora destinato al commercio di vini nazionali. Vi fuquindi la necessità di costruire un nuovo magazzino che servisse a tale scopo. Nel 1902 fu eret-to un manufatto provvisorio alla base del Molo Giuseppino che doveva assolvere a tale funzio-ne in attesa che i lavori di costruzione degli hangar del Molo della Sanità fossero ultimati. Mauna volta terminati le ditte titolari del commercio dei vini chiesero che il magazzino restassepoiché serviva allo stoccaggio delle botti per il commercio con l’Istria e la Dalmazia che avevasubito un forte incremento. Il magazzino o “capannone delle vasche” era utilizzato da MarcoLovrinovich, commerciante di vini, che nel 1914 fonderà il Caffè San Marco. Nel 1919 inoltreveniva chiesto di poter realizzare le nuove cisterne e nel 1926 fu costruito un piazzale verso ilMolo Sartorio per il deposito dei fusti. Il tetto fu realizzato in legno ed era stato dotato di unimpianto di innaffiatura ad acqua per controllare la temperatura interna. Le cisterne per ilvino erano in cemento, i muri in pietra. Ora è di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmiodi Trieste che dopo un costosissimo cantiere di restauro – con tanto di smontaggio e rimontag-gio delle pareti – realizzerà un contenitore culturale polivalente.

La Sacchetta dalla base del Molo TeresianoSiamo agli inizi del ’900 durante i lavori di ampliamento delle Rive, come vediamo dal mate-riale di costruzione depositato sul molo, i blocchi di pietra e i cumuli di ghiaia. In secondopiano bastimenti ormeggiati per file parallele, molti già a vapore e tanti ancora a vela. Versoriva chiatte ricolme di pietre pronte per essere scaricate e, subito dietro, si intravede la casagalleggiante di una canottiera con gli atleti che preparano la barca per uscire.

Page 26: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

24

Page 27: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

25

Ambientazione ideale per quello splendido romanzo di formazione, L’ondadell’incrociatore di Pier Antonio Quarantotti Gambini, che ci restituisce l’atmosfe-ra incantata e struggente di quelle zattere galleggianti e di quei moli.

La Sacchetta sta lentamente assumendo la fisionomia che conosciamo, man-cano poche cose. Sul Molo Teresiano (oggi Fratelli Bandiera), viene costruito unnuovo stabilimento balneare: si chiama Bagno Ausonia e nel 1936 si fonderà conil Savoia (l’ex Bagno Militare) diventando lo splendido Stabilimento Ausonia,ancora oggi tanto amato e frequentato dai triestini. Sorgono caserme della finan-za, i Frigoriferi Generali (1925) e altri edifici tanto da accerchiare la Lanterna.

Nel complesso dell’ex Lazzaretto Vecchio, l’area che si affaccia su Riva Ottavi -ano Augusto negli Anni Trenta viene destinata a mercato ortofrutticolo all’ingros-so, ma bisognerà attendere fino al 1956 perché l’ingegner Guglielmo Canaruttorealizzi l’attuale struttura. Altra sorte invece capita al resto della struttura quellache delimita via Campo Marzio. Solo nel 1969 dopo il restauro l’edificio principalefu destinato a sede del Civico Museo del Mare.

Negli anni Cinquanta del Novecento, la Sacchetta è di nuovo al centro di unpiano di sistemazione. Nel 1953 viene eretta la stazione di servizio dell’Aquila(oggi Stazione Rogers) su progetto dello studio di Gian Luigi Banfi, LodovicoBelgioioso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers (BPBPR)

Nel 1954, negli ultimi mesi di attività del Governo Militare Alleato, vienecostruita fra il Molo Sartorio e il Molo Venezia la piscina coperta poi intitolata aldodici volte campione italiano di nuoto Bruno Bianchi. Per dare un’adeguata sedealle tre società remiere (Adria, Ginnastica Triestina, Canottieri Trieste) e allaTriestina della Vela viene progettato e realizzato un pontile (Pontile Istria) supalafitte in cemento armato su cui sorgeranno le nuove quattro sedi in muratura.La struttura sarà inaugurata nel 1956.

Sempre negli stessi anni in Campo Marzio viene eretto un grattacielo su pro-getto dell’architetto Romano Boico.

Le barche a vela cominciano a popolare la Sacchetta tanto da indurre neglianni ’80 la Società Triestina della Vela a costruire dei pontili per razionalizzare gli

Otto Wagner in SacchettaOtto Wagner, il famoso architetto viennese, si affaccia idealmente per due volte sullaSacchetta per interposta persona, attraverso le realizzazioni di due suoi allievi: Robert Seelig,progettista della stazione che fu della Transalpina e che oggi è conosciuta come Stazione diCampo Marzio; e Max Fabiani, autore del progetto di Casa de Stabile, posta all’angolo di RivaGrumula e via Belpoggio, il primo edificio a sinistra nell’immagine. Il palazzo, costruito tra il1905 e il 1906, è caratterizzato da una torre cilindrica angolare, munita di ampie finestre. Daquelle dell’ultimo piano Ernesto de Stabile, armatore di uno yacht ormeggiato all’Adriaco, ilclub velico nato nel 1903, osservava direttamente e su un orizzonte molto ampio le condizio-ni del mare di tutto il golfo, controllava la sua barca e lo stato dell’ormeggio a cui era assicu-rata, l’eventuale arrivo di “neverini” o di groppi di vento. I tecnici del Comune chiamati avalutare il progetto definiscono la facciata di «quasi selvaggia semplicità», non vi ravvisanoscorrettezze sul piano della composizione e della forma per quanto «non conforme al gustodella città». Interessanti, dal punto di vista storico e legale, le clausole dettate a Ernesto deStabile dai funzionari delle Ferrovie dello Stato austriache per autorizzare la costruzione del-l’edificio che si affacciava sui binari della Transalpina. Deve essere costruito con materialeignifugo; sul tetto nel lato che guarda verso i binari della stazione e del raccordo delle Rive,percorso dalle locomotive a vapore, non deve essere praticata alcuna apertura; in caso diincendio provocato dal passaggio dei treni, il proprietario non può pretendere alcun inden-nizzo dalla Direzione delle Ferrovie. Va aggiunto che Max Fabiani all’epoca è già un architetto noto e affermato in tutto l’Imperodi Francesco Giuseppe. Ha lavorato a Vienna e nel suo studio aveva ottenuto un piccolo inca-rico un pittore destinato a far parlare di sé: si chiamava Adolf Hitler e questo dettaglio fu fattovalere da Max Fabiani nel 1944 e 1945, quando come podestà di San Daniele del Carso riuscìa salvare il paese dalle rappresaglie naziste. Con l’arrivo dell’Armata popolare di liberazionejugoslava il “salvacondotto” esibito in precedenza con successo, gli si rivolse contro e SanDaniele fu messa a ferro e fuoco, perché rea di collaborazionismo col nazifascismo.

Dal campanile di San GiustoCittà vecchia, la Stazione di Campo Marzio, la Lanterna e la Sacchetta in una immagine rea-lizzata dalla sommità del campanile della Cattedrale di San Giusto negli anni tra le dueguerre mondiali.

Page 28: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

26

ormeggi. La Lega Navale nel 1989 ancora all’estremità del Molo Fratelli Bandierauna serie di pontili galleggianti e fra il 1990 e il 1992 restaura la Lanterna per farnela sua sede sociale.

Nel 1999 viene inaugurato nel bacino San Marco, davanti alla Pescheria, fra ilMolo Venezia e il Molo Pescheria, il Marina San Giusto. In testa al Molo Venezia,su progetto dell’architetto Fabio Assanti, viene eretta la sede che si ispira a quel-la dell’adiacente Yacht Club Adriaco. Sull’altro versante, alla base del Molo FratelliBandiera al posto dei Frigoriferi Generali sorge nel 2000 la Piscina Acqua Marinasu progetto degli architetti Giorgio Berni e Giulio Varini, una piscina termale conacqua di mare riscaldata. Sempre nel 2000 viene ristrutturata la palazzina dellaTriestina della Vela, su progetto dell’architetto Umberto Wetzl.

Nel 2005 viene ampliata e rinnovata negli interni la sede dello Yacht ClubAdriaco su progetto dell’ingegner Dino Tamburini. Nello stesso anno, la PiscinaBruno Bianchi, ormai insufficiente e inadeguata alle competizioni, viene abbat-tuta. Al suo posto oggi c’è un desolato parcheggio.

Analoga sorte dopo un travagliatissimo iter è toccata anche all’adiacente Ma -gazzino Vini, per il momento oggetto di lavori di risanamento delle fondazioni.

Nel 2009 viene inaugurata la nuova palazzina servizi della Lega Navale.

L’opera per il momento si conclude all’oggi. La Sacchetta che vediamo èl’istantanea degli ultimi tre secoli di idee grandiose, sogni ambiziosi e utopie.

È la storia del lavoro e della perizia di una moltitudine umana: di teste corona-te e marinai, mercanti, facchini e pescatori, imprenditori e manovali.

È il resoconto più modesto degli ultimi anni dove la Sacchetta, anima marina-ra di Trieste, è stata oggetto di vari progetti di “riqualificazione”: parchi marini,parcheggi sotterranei, sedi fieristiche e congressuali, che per fortuna o sfortunasono stati edificati solo sulle pagine della cronaca cittadina.

Per il momento ce la godiamo così com’è, con i suoi silenzi, l’urlo a volte assor-dante della Bora, che fa sbattere cime e drizze delle barche. Con la Lanterna chenelle notti di luna piena si specchia nell’acqua fra l’Adriaco e la Vela e il vociareallegro di bambini, ragazzi e uomini fatti, che attrezzano barche, yole e derive perle loro avventure in mare...

Campioni d’ItaliaL’esile scafo del “due senza” della Canottieri Trieste ha appena lasciato la zattera dellacanottiera. Ai remi due campioni d’Italia degli anni ’50: Silvio Ernè, capovoga, e CarlettoMartinolli. Sullo sfondo la Stazione di Campo Marzio.

Page 29: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

27

Dal SavoiaAdriano Cadel è l’autore di questa fotografia delle Rive scattata dalla terrazza dell’HotelSavoia-Excelsior nella quale vediamo l’area della Sacchetta e in primo piano l’edificio cheospita l’Aquario e un tempo anche la Pescheria Centrale.

Page 30: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

1

23 4

5

67

89

10

11

12

13

1415

1626

17 18

19

20

27

28

29

22

2324

25

21

Page 31: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

29

I luoghi della Sacchetta

01. Complesso ex Lazzaretto Vecchio

02. Molo Fratelli Bandiera (Molo Teresiano)

03. Primo Bagno Militare

04. Lanterna (oggi sede sociale Lega Navale)

05. Androna Campo Marzio, sede delle officine di Iver Borland e dei magazzini del baccalà

06. Molo Venezia (Molo Giuseppino)

07. Piazza Venezia (piazza Giuseppina)

08. Casa Sartorio (oggi sede della SASA Assicurazioni)

09. Molo Sartorio; in testa stava la casetta dei pilotipoi abbattuta per far posto alla sede dello Yacht Club Adriaco

10. Stazione di Campo Marzio (Stazione Transalpina)

11. Salone degli Incanti (Pescheria Nuova)

12. Bagno alla Lanterna (Pedocin)

13. Stabilimento Ausonia (nato dall’unione del Bagno Savoia già Nuovo BagnoMilitare con il Bagno Ausonia)

14. Sede dello Yacht Club Adriaco

15. Pontile Istria

16. Stazione Rogers (già stazione di servizio dell’Aquila)

17. Civico Museo del Mare (edificio principale dell’ex Lazzaretto Vecchio)

18. Mercato ortofrutticolo all’ingrosso (cortili dell’ex Lazzaretto Vecchio)

19. Piazzale su cui sorgeva la Piscina Bruno Bianchi

20. Piazzale su cui sorgeva il Magazzino Vini

21. Grattacielo di Romano Boico

22. Piscina terapeutica “Acquamarina” (Frigoriferi Generali)

23. Pontili della Lega Navale

24. Sede della Marina San Giusto

25. Marina San Giusto

26. Casa de Stabile

27. Cantiere Cartubi

28. Nuova sede della Lega Navale

29. Molo Pescheria

in corsivo i luoghi non più esistenti

Page 32: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

30

gli edificiA Trieste venga l’uomo di riflessione a meditare sopra il modo in cui nascono, si forma-no le città; a Trieste venga il Ministro a compiacersi negli effetti delle solitarie operazio-ni del suo cabinetto; il Legislatore ad apprendere l’arte di servirsi delle facoltà degliuomini per condurli, loro malgrado, ad una felice esistenza.Si formarono dei codici criminali, e lo spirito umano si esaurì nell’invenzione dei rigo-ri più barbari e più atroci per bandire i delitti, e mettere un argine alle sedizioni e aitumulti, ed una popolazione composta da varie Nazioni, ed in parte di fuggitivi, dibanditi, di micidiari, e bisognosi stranieri, vive pur quivi tranquilla per nessuna altraragione, se non perché l’uomo natio per essere agiato, si trova nell’innocente e facileesercizio della sua industria la sua felicità, e contentezza.

(da Riflessioni sul porto di Trieste di Antonio de Giuliani)

Page 33: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

31

la lanternaQuando nel 1769 finalmente il Molo Teresiano fu completato dopo tante spese perle casse dell’Impero e, ancora di più, quando il fortino pentagonale posto alla suaestremità divenne operativo nel 1787, era ovvio che un’opera così imponente e inuna posizione così strategica per una città che voleva fare del porto e del commer-cio la sua fortuna, doveva dotarsi di un faro marittimo di una certa rilevanza.

Ma i tempi non erano ancora maturi, nonostante gli appelli dell’allora Gover -natore della città conte Zinzendorf, i vari progetti presentati e le petizioni dialcuni comandanti che frequentavano il porto di Trieste, Maria Teresa prima eGiuseppe II poi risposero sempre negativamente.

Passarono molti anni e dell’eventualità di dotare il porto di un faro marittimose ne riparlò solamente dopo la terza occupazione francese, quando nel 1816 illavoro fu affidato a Matteo Pertsch. Ma anche allora le cose non furono semplici.

Tra il 1824 e il 1831 i disegni presentati dall’architetto vennero modificati bensei volte per venire incontro alle continue richieste dei vari responsabili delgoverno, fino che Pietro Nobile – l’allora Consigliere Aulico Edile – pose fine allavicenda approvando in via definitiva il progetto il 27 maggio 1831. La costruzionedell’opera durò appena due anni, e terminò nel 1833.

La Lanterna fu costruita al centro del fortino pentagonale, opportunamentesvuotato per ospitare le imponenti fondamenta che poggiavano direttamentesullo scoglio dello Zucco. Il progetto consisteva in una torre cilindrica rastrematain pietra calcarea levigata – innalzata ulteriormente in corso d’opera – alla cuisommità stava l’apparecchiatura ottica. La torre cilindrica poggiava su una «torremassimiliana», una costruzione difensiva a tronco di cono merlato con due ordi-ni di cannoni.

La parte ottica aveva le seguenti caratteristiche tecniche: 33.507 metri dal livel-lo della media marea, il suo cono luminoso era alimentato da 42 lucignoli ad olio edera visibile ad una distanza di 12 miglia da un osservatore elevato a 12 piedi vienne-si sul livello del mare, visibile quindi da Pirano a Grado, con un periodo di 30”.

La Lanterna iniziò a funzionare il 12 febbraio 1833. Finalmente Trieste avevail suo faro.

Da quel momento la Lanterna entra a far parte della vita dei triestini perchéoltre a fare da guida ai naviganti, svolgeva tutta una gamma di funzioni utili allacittà. Guardando la Lanterna gli agenti marittimi potevano sapere subito che tipodi imbarcazione stava per entrare in porto, a quale compagnia appartenesse e

Page 34: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

32

Page 35: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

33

quale fosse la sua nazionalità. Il personale della Lanterna infatti, scrutando ilmare era in grado di avvistare i navigli in arrivo e di dare con apposite bandieretutte queste indicazioni. Scrive Marino Zerboni in Il Faro della Lanterna, una lucesulla storia di Trieste:

Ogni tipo di naviglio in arrivo veniva segnalato con la relativa bandiera distintiva. Le

categorie tipologiche, per le navi da guerra erano: il vascello, la fregata, la corvetta, il

brigantino e la goletta. La bandiera a scacchi di colore blu denotava l’arrivo dei piro-

scafi provenienti da Venezia e da Ancona. La bandiera a scacchi neri annunciava l’ar-

rivo di piroscafi da Levante […]. Una serie di sfere, appese all’asta sporgente, dava

notizia del numero delle navi in arrivo e della loro distanza dal porto […]. I piroscafi

del Lloyd Austriaco avevano, per ogni linea marittima da loro servita, dei segnali di

identificazione corrispondenti.

La Lanterna è stata parte integrante del sistema di fari e fanali che laDeputazione di Borsa di Trieste, su sollecitazione dell’imperatore Francesco I, pre-dispose a partire dal 1817, a salvaguardia delle navi che transitavano lungo le costedell’Adriatico “austriaco”. Da Chioggia, a Punta Ostro, in prossimità delle Bocchedi Cattaro, passando per Salvore, San Giovanni in Pelago, Capo Promontore. Il farodi Salvore che oggi è in piena attività, al contrario della Lanterna, fu il primo ditutto il Mediterraneo a utilizzare il gas estratto dal carbone come sorgente di luceal posto dell’olio d’oliva. Non fu una buona idea anche se oggi questa scelta infeli-ce è diventata un blasone tecnico-innovativo che viene esibito nelle cronache e neisiti internet che raccontano la storia del faro progettato da Pietro Nobile. Al con-trario il carbone ad alto tenore di zolfo estratto dalle miniere dell’Arsa, provocavanel metallo profonde corrosioni. Le riparazioni erano frequenti e costose, tant’èche l’illuminazione a gas venne abbandonata nel 1823. Si ovviò all’errore ritornan-do all’illuminazione a olio di oliva. I 42 lumi, collocati su un candelabro a forma dicono, garantivano grazie ad altrettanti specchi parabolici argentati, una luceintensa, sicura e pulita che “rompeva” le tenebre a salvaguardia dell’integrità dellenavi, della vita degli equipaggi e degli investimenti degli armatori.

Ma non solo, ogni giorno a mezzogiorno veniva sparato un colpo di cannoneche si udiva in tutta la città, mentre sulla parte cilindrica una scala graduata indi-cava alla città i valori barometrici della giornata.

Nel ’900 i grandi lavori per la ristrutturazione del porto coinvolsero in qual-che modo anche la Lanterna, che vide ampliare intorno a sé lo spazio; ciò favorì

negli anni successivi la costruzione disordinata di molti edifici, dal Cantiere nava-le San Giusto alle caserme della Guardia di Finanza, che alla fine accerchiarono lastruttura rendendola quasi invisibile. Lentamente anche le sue caratteristichetecniche risultarono insufficienti tanto che nel 1927 venne inaugurato il nuovoFaro della Vittoria, ma non per questo venne a cessare la sua funzione, anzi la suaparte ottica venne ulteriormente potenziata negli anni ’40.

Nel 1946 durante il Governo Militare Alleato venne dipinta a strisce bianchee nere per poi essere riportata ai suoi colori originali nel 1955.

Smise la sua funzione nel 1969 e rimase solo la luce simbolica.Dal 1992 è sede della Lega Navale.

La LanternaLe acque calme della Sacchetta, e sulla destra ben visibile la Lanterna, inaugurata l’11 feb-braio 1833. Nei primi anni di attività il faro funzionò con una lampada a olio, privo di siste-mi ottici di condensazione della luce, introdotti appena nel 1858. La lampada a incande-scenza a vapori di petrolio entrò in funzione nel 1908. All’estrema sinistra, poco sopra ilbompresso della nave, si intravede la sagoma bianca del castello di Miramare.

Page 36: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

34

Remando in SacchettaUna pesante lancia e due marinai che vogano in direzione della Lanterna e del sottostanteBagno Militare. Oggi la voga è relegata negli spazi angusti dell’attività sportiva. Né i pescato-ri, né gli ormeggiatori si affidano a questa antica pratica, regnano sovrani i motori e le eliche.

Alla fonda nelle acque della SacchettaUn elegante brigantino che, come questa fotografia mostra con grande ricchezza di dettagli,era un veliero snello, di dimensioni contenute, con una stazza lorda tra le 100 e le 300 tonnel-late, dotato di un pronunciato bompresso e di due alberi. Se entrambi, come in questa imma-gine, sono armati con vele quadre, il brigantino prende il nome di brigantino velacciere.

Page 37: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 38: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

36

Il pielagoLe acque leggermente mosse della Sacchetta non impediscono a un pontone di calare inmare un enorme blocco di cemento: l’adiacente banchina ha urgente necessità di essereristrutturata. In primo piano un “pielago”, un due alberi che per l’attrezzatura velica iden-tica a quella del trabaccolo rivela le proprie origini. Lo scafo riproduce invece le linee del bri-gantino, conosciuto anche come brick o schooner.

Page 39: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

37

In cantiereSiamo all’inizio del Novecento in un cantiere alle spalle della Lanterna. Un trabaccolo èpronto al varo. A pochi metri dalla prua, è ben visibile lo scafo del rimorchiatore “Victor”.Dallo scalo dello stesso cantiere hanno continuato a scendere in mare navi di piccole e

medie dimensioni fino agli anni Sessanta del Novecento. Poi è stato adibito a riparazionifino al 1990 ed infine è stato abbandonato. Alto Adriatico e Cartubi sono state le ultimeragioni sociali di questo cantiere.

Page 40: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

38

Un motoscafo nelle acque della SacchettaDa notare il parbarizza diviso in due parti che protegge adeguatamente l’occasionale ospi-te, sul cui capo svetta un cappello a larga tesa, tutt’altro che “marinaro”.

Sotto il Governo Militare AlleatoLa Lanterna dipinta a righe e motovedette all’ormeggio negli anni del Governo MilitareAlleato (1946-1954). Gli scafi erano tozzi e scuri, la tuga era dipinta di bianco e a poppa agrandi lettere si leggeva: police. Queste motovedette erano adibite al servizio di Guardiacostiera, alla repressione del contrabbando ma anche di Fisher Patrol o meglio di pattuglia diprotezione della pesca. Sette erano le unità della flottiglia che operava dalla Sacchetta.

Page 41: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

39

Idrovolanti in SacchettaDue idrovolanti ammarati davanti alla Sacchetta nei primi Anni Venti. Sono due biplanicostruiti nelle officine della FBA-Franco British Aviation Company per conto delle Forzearmate francesi, britanniche e italiane. Alcuni dei duemila esemplari complessivamentecostruiti parteciparono ai bombardamenti che coinvolsero Trieste tra il 1916 e il 1917. Lebombe tricolori degli FBA arrecarono danni alle installazioni della Torre del Lloyd doveaveva sede la squadriglia di idrovolanti da caccia del barone Goffredo de Banfield. Gli FBA,che per una congenita difficoltà di pilotaggio erano denominati scherzosamente Fate BeneAttenzione, rifacendosi all’acronimo della società costruttrice, ritornarono nel cielo diTrieste per iniziativa dei fratelli Cosulich subito dopo il conflitto. Furono acquistati nel 1921

per portare in volo, a pagamento, i clienti del loro hotel di Portorose. L’iniziativa ebbe unnotevole successo. L’anno successivo gli idrovolanti targati FBA nella località costiera istria-na erano tre e la loro presenza fu adeguatamente pubblicizzata. «Fu nel 1921 che per laprima volta il rombo pieno di promesse di un motore di aviazione venne a rompere il silen-zio dell’incantata baia. Non è errato affermare che quel primo idrovolante e quel primorombo si possono considerare l’atto di nascita della Società italiana servizi aerei». Gli FBAerano costruiti in legno e tela: l’elica spingente era collegata a un motore Isotta Fraschini da150 cavalli. Notevole l’autonomia: quattro ore a 140 chilometri di velocità di crociera. Inguerra furono usati per missioni di ricognizione, bombardamento e scorta.

Page 42: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

40

Ma lei non ha mai visto uno dei nostri tramonti favolosi; che fanno fermare i tram:scendono i tranvieri, scendono i passeggeri, e stanno immobili a guardare nel fuocodel sole; e creature, case pietre, tutto è rosso, acceso come per fiamma interna.

(da Lettere al professore in L’anima di Trieste di Anita Pittoni)

Page 43: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 44: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 45: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 46: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

44

l’inaugurazione del nuovo scalo arriva la guerra e sconvolge ogni previsione. Inuovi confini, così come disegnati dalla conclusione del conflitto, fanno cessarela funzione concorrenziale delle linee che fanno capo alla stazione di CampoMarzio. L’intera rete – Südbahn e Transalpina – fa ormai capo alle Ferrovie delloStato. I servizi viaggiatori diminuiscono perché la capitale è Roma e non piùVienna. La Parenzana viene smantellata nel 1935 e nel 1945 la Transalpina cessaper sempre il servizio viaggiatori. Resta la linea per Erpelle che chiude i battentiil 31 dicembre 1958. Nessun treno percorrerà più la Val Rosandra, nessun convo-glio viaggiatori partirà o arriverà più nella stazione di Campo Marzio. Solo qual-che treno storico, carico di nostalgia e di bambini affacciati ai finestrini delle sfer-raglianti carrozze, talvolta farà risuonare il suo fischio tra quelle mura ormaisbrecciate che si affacciano sulla Sacchetta.

L’immagine a destra è stata scattata più di un secolo fa da un fotografo, oggisenza nome, che era salito sulla sommità della Lanterna con il suo pesante appa-recchio a lastre. Poi aveva messo a fuoco l’obiettivo e aveva fatto scattare l’ottura-tore. A più di cento anni di distanza questa immagine è facilmente leggibile per-ché il corpo centrale di quella che all’epoca si chiamava ufficialmente Stazionedelle Ferrovie dello Stato ma che a livello popolare veniva indicata come Stazionedi Sant’Andrea o Transalpina, è rimasta immutata: una costante nel paesaggio, alcontrario profondamente mutato in tutti gli altri aspetti. Davanti all’ingressodella stazione la finezza dei dettagli consente di “leggere” la presenza di numero-se carrozze a cavalli, ma anche quella di alcune automobili. È il segno preciso diun notevole movimento di viaggiatori. All’epoca quattro treni al giorno partivanoper Gorizia e Villaco e due carrozze erano dirette a Monaco di Baviera; partivanoinoltre due “diretti dei Tauri” che collegavano Trieste a Vienna, via Klagenfurt, aBerlino, via Salisburgo e a Praga. A sera inoltrata si metteva in movimento il con-voglio diretto a Villaco che poi proseguiva per Parigi attraverso Monaco.

Se l’edificio della stazione è rimasto immutato per più di un secolo, tutta laparte restante della fotografia ha bisogno di una spiegazione. All’estrema destra èvisibile un’ampia staccionata che delimita una spiaggia: è il Bagno alla Lanterna,non ancora protetto dal muro che vediamo oggi. Sempre a destra, ma più in alto,oltre a un piroscafo ormeggiato alla banchina si notano le prime strutture delPorto Nuovo. Quasi al centro, sul fianco destro della stazione, è ben identificabilela pensilina della Parenzana, la ferrovia a scartamento ridotto che dal 10 aprile1902 al 31 agosto 1935 collegò Trieste a Parenzo attraverso Capodistria, Isola, Buie,Portole, Montona e Visinada. I 122 chilometri della tortuosa linea erano percorsi a

la stazione di campo marzioÈ una stazione senza ferrovieri, senza treni in partenza o in arrivo, senza viaggia-tori e soprattutto senza la copertura in acciaio e vetro che fino al 1942 aveva pro-tetto dalla pioggia e dalla Bora chi attendeva sui marciapiedi di salire “in carrozza”.

Quella di Campo Marzio oggi non è più una “vera” stazione; dovrebbe diven-tare da innumerevoli anni un museo dedicato alle locomotive, al vapore, ai vago-ni del tempo che fu, ma anche questa nuova destinazione d’uso non riesce adecollare. Il progetto è ancora in attesa di adeguate risorse finanziarie: annuncia-te, negate, promesse, soppresse e stornate verso altri obiettivi. Una storia infini-ta, come quella della “valorizzazione” immobiliare di alcune parti dello stessoenorme edificio, vendute dallo Stato a società private, anch’esse in attesa di un“via libera” che non arriva mai.

Campo Marzio, come si comprende facilmente, è la stazione dei paradossi edelle attese infinite. Ma anche delle contraddizioni evidenti. Un faro, laLanterna, svetta verso il cielo a pochi metri dai binari. Le lancette dell’orologioposto nell’enorme atrio sono ferme da decenni sulle 11.20. La facciata che guardasul mercato ortofrutticolo all’ingrosso è marchiata dalla ruota alata, simbolo delleFerrovie italiane, quello originario austriaco è stato rimosso. Al contrario ognidettaglio costruttivo dice che il progetto dell’architetto Robert Seelig, impegna-to anche con le stazioni di Gorizia e Linz, è direttamente collegato alla cultura delmondo austriaco-danubiano. I lavori delle fondazioni vengono appaltati nel giu-gno 1904 alla Società costruzioni Union di Vienna mentre l’incarico di realizzarel’edificio nella parte “emersa” è affidato alla ditta triestina Gorup, Martellanz &C. I lavori vengono ultimati nel 1906 e il primo giugno la nuova stazione di TriesteSant’Andrea viene inaugurata. Occupa una superficie di 6500 metri quadrati,quattro sono i binari destinati ai treni viaggiatori, 24 quelli per lo “smistamento”,due i magazzini per le merci. Tra il fabbricato viaggiatori e i magazzini vengonosistemate la pensilina e i binari a scartamento ridotto – 760 millimetri – della fer-rovia Trieste-Parenzo.

In sintesi la stazione diviene il capolinea di una linea di primaria importanzache appartiene all’amministrazione dello Stato e che è nata per fare concorrenzaalla Südbahn, la ferrovia meridionale che appartiene ai Rotschild e che ha colle-gato Trieste ai territori dell’Impero fin dal 1857. Secondo le aspettative la nuovalinea Transalpina avrebbe dovuto contenere le tariffe per il trasporto delle merciconsentendo al porto di svilupparsi ulteriormente. Ma a otto anni di distanza dal-

Page 47: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

45

una velocità massima di 35 chilometri all’ora: partendo da Trieste alle 5.46 delmattino si arrivava a Portorose alle 8.05 e a Parenzo alle 12.42 dopo quasi sette oredi viaggio. Più del doppio del tempo necessario per raggiungere le stesse localitàcostiere a bordo di un vaporetto della Società di navigazione Istria-Trieste.

A sinistra della stazione è visibile la caserma di Marina, nella cui area negliAnni Cinquanta dello scorso secolo è stato costruito il mercato ortofrutticoloall’ingrosso. Anche per questa realizzazione, così come per quella dell’adiacentestazione, le difficoltà, i ritardi e le polemiche ne hanno segnato l’iter amministra-tivo-burocratico condizionandolo pesantemente. Il progetto della stazione, invo-cata fin dagli anni Settanta dell’800, era stato criticato perché «l’aspetto esteticodelle facciate risulta troppo misero e l’ornamentazione non è adeguata, né al con-testo architettonico né al ruolo dell’edificio, stazione terminale di una linea digrande importanza». Opposte le critiche che avevano coinvolto il progetto del

mercato all’ingrosso risultato vincitore del concorso voluto dal Governo MilitareAlleato. Lo stesso GMA aveva bocciato l’elaborato realizzato dall’Ufficio tecnicocomunale nel 1936 e poi aggiornato nel 1949. Il concorso era stato vinto dal grup-po di professionisti formato da Lucio Arneri, Roberto Costa, Antonio Guacci eDino Tamburini. Al momento di avviare la costruzione era emerso che il bandonon aveva tenuto conto dei costi di costruzione. Era un progetto magnifico, madel tutto fuori mercato. Tutto era stato azzerato. Nuova gara nella forma dell’ap-palto e nuovo vincitore, l’impresa dell’ingegner Guglielmo Canarutto. I lavorinell’area della vecchia caserma di Marina si erano avviati nel 1955 e si erano con-clusi due anni più tardi.

Page 48: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

46

In posaUn ferroviere in posa, la pensilina della ferrovia Parenzana e il corpo centrale della nuova sta-zione di Sant’Andrea, dal 1923 stazione di Campo Marzio. L’immagine è stata realizzata allafine del 1905 quando la nuova stazione era stata quasi completata. Va citata la cerimonia diinaugurazione, a cui partecipò come ospite d’onore il principe ereditario FrancescoFerdinando, ucciso nel 1914 a Sarajevo. L’erede designato di Francesco Giuseppe si imbarcòsul treno a Jesenice, all’epoca Assling e percorse la nuova linea Transalpina fino a Trieste. Neldiscorso di saluto Francesco Ferdinando parlò anche in lingua italiana: accanto a lui il pode-stà Scipione de Sandrinelli e il ministro delle ferrovie de Derschatta. Questo non gli evitò unacontestazione ante litteram da parte di un gruppo di manifestanti che intonarono canti disapore irredentista. Con l’apertura della Transalpina le distanze tra il porto di Trieste e leprincipali piazze commerciali dell’Europa centrale si abbreviano di un 20-30 per cento. I traf-fici decollarono e si svilupparono sempre in crescita fino al 1913, l’ultimo anno di pace.

Page 49: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

47

Due trabaccoli Due trabaccoli fotografati all’ormeggio in Sacchetta. Alle loro spalle la Stazione diSant’Andrea inaugurata l’11 giugno 1906. Di uno dei due scafi, quello parallelo alla banchi-na, si nota il lungo bompresso che svetta a prua, i due alberi con le sartie e le vele arrotola-

te. A poppa è legato il “caicio” che durante la navigazione veniva sistemato in coperta, soli-tamente a dritta. Al contrario nei piccoli trasferimenti veniva legato nella posizione in cuiil fotografo lo ha ritratto in questa immagine.

Page 50: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

48

Il treno sulle RiveFumo nero di carbone, sbuffi di vapore. Gli edifici che fanno da corona alla Sacchetta porta-no i segni sulle loro facciate di quanto per almeno un secolo è uscito dai camini dei piroscafiormeggiati alle banchine, da quelli delle locomotive della stazione di Campo Marzio e diquelle che percorrevano quotidianamente la «Rivabahn», o meglio il raccordo provvisorioche dal 1887 collegò l’attuale Stazione Centrale con i binari dello scalo di Sant’Andrea e conla ferrovia per Erpelle e poi con la Transalpina. In pratica la linea metteva in comunicazioneil Porto Vecchio con quello Nuovo e oltre agli edifici della Sacchetta affumicava palazzoCarciotti, l’Hotel de la Ville, la chiesa greco-ortodossa di San Nicola, il Teatro Verdi, la sede delLloyd Triestino, l’Albergo Savoia-Excelsior, la Stazione Marittima e la Pescheria Centrale.I convogli procedevano a passo d’uomo lungo le Rive, preceduti da un manovratore che sven-tolava una bandiera rossa. La velocità massima ammessa dal regolamento era di sei chilome-tri all’ora ma negli ultimi anni dell’esercizio la velocità commerciale era diventata molto piùbassa a causa delle frequentissime soste forzate delle locomotive. Erano provocate dalle autoche molti “forestieri” parcheggiavano sui binari o accanto ad essi, mai immaginando che di lìa poco sarebbe transitato un treno. Ma anche la negligenza e il pressapochismo dei triestiniha contribuito alle fermate non previste dei convogli. La «Rivabahn» è sopravvissuta a dueguerre mondiali, all’avvicendarsi di occupazioni militari e a sventolii di diverse bandierenazionali, all’avvento della motorizzazione di massa, alla progressiva uscita di scena dellemacchine a vapore, prima dalle sale macchine dei piroscafi, poi dalle locomotive. Questotreno anomalo ha visto transatlantici immensi arrivare e partire dalla Stazione Marittima; haassistito all’ammaraggio degli idrovolanti all’interno dei bacini San Marco e San Giusto. Hasubito la presenza di folle immense e osannanti radunate in piazza dell’Unità. Il treno sbuffando usciva dallo scalo di Campo Marzio, attraversava via Giulio Cesare, bloc-cando il traffico, si immetteva su un raccordo separato dalla strada oggi diventato parcheggioprivato. Poi superava l’edificio del Museo del Mare ed entrava sbuffando in Riva Grumula,passando tra l’attuale Stazione Rogers e le sedi – prima galleggianti, poi in muratura – dellesocietà nautiche. Gli stretti raggi delle curve e il conseguente forte attrito tra ruote e binaricostringevano i macchinisti a un’attenta gestione del vapore. Le locomotive del gruppo 740,le più longeve e affidabili, si sono assunte per decenni il compito di trainare i convogli della«Rivabahn». Hanno addestrato, o meglio “tirato su” a carbone e olio, generazioni di macchi-nisti, ma hanno insegnato a molti di noi la passione per il vapore. Poi a partire dagli AnniSettanta sono arrivati i locomotori diesel e a poco a poco le antiche locomotive 740 nonhanno più percorso le Rive. Infine nel maggio del 1981 è stata inaugurata la cosiddetta “lineadi cintura”, la circonvallazione che ha mandato definitivamente in pensione dopo 94 anni lalinea delle Rive. «Rivabahn» addio.

Il treno e il grattacieloNell’immagine accanto, il treno avanza lentamente sulle Rive, sullo sfondo il grattacielo diCampo Marzio costruito nel 1958 su progetto dell’architetto Romano Boico.

Page 51: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

49

La Lanterna e una locomotiva a vaporeUna “740” che, sembra un paradosso, come gli altri treni in arrivo durante la notte allaStazione di Campo Marzio potevano orientarsi, così come facevano i bastimenti e i pesche-recci, grazie al fascio di luce emesso dal faro posto a presidio del porto e della Sacchetta.

Page 52: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

50

il lazzaretto san carloViste le scarse conoscenze di cui disponeva all’epoca la medicina, un porto effi-ciente come prima cosa doveva dotarsi di un lazzaretto, per evitare la diffusionedi epidemie con gli uomini che sarebbero giunti in città in seguito ai traffici com-merciali. Ricevute assicurazioni in merito al fatto che la città poteva contribuirealle spese fornendo in parte le materie prime – calcina, sabbia marina, pietre – e1000 fiorini d’oro, il 24 febbraio 1720 Carlo VI dà ordine al capitano di Trieste,conte Marzio di Strassoldo, di iniziare la costruzione del lazzaretto nella zona diCampo Marzio.

La costruzione, fra interruzioni per mancanza di denaro, di materie prime eincidenti diplomatici si protrasse più del dovuto e terminò solo nel 1731.

Guardando le carte topografiche dell’epoca il lazzaretto aveva presumibil-mente una pianta pentagonale con la base rivolta verso il mare. Era circondato damura alte quasi sei metri; agli angoli c’erano guardiole e feritoie per sorvegliarechi era in quarantena ed impedire possibili furti di merci. Il suo aspetto era seve-ro, senza particolari ornamenti; era composto da un edificio centrale – l’unicoancora esistente, ora sede del Civico Museo del Mare – in cui si trovavano gli uffi-ci, l’abitazione del priore e del primo guardiano; dalla casa contumaciale, al latoopposto, con cortile contornato da portici, demolito nel 1935 per far posto all’at-tuale mercato ortofrutticolo all’ingrosso; da una casa con il locale adibito a parla-toio, che continuava in un muro trasversale di divisione del lazzaretto di “bandanetta” che ospitava persone e merci non infette da quello di “banda sporca” dovestazionavano i soggetti in quarantena; da un lungo edificio parallelo alla casa delpriore col lato corto sull’attuale via Economo e da uno simile a novanta gradi inparte ancora superstite. Tra le case esistevano vasti cortili dove nelle giornate disole venivano esposte (sciorinate) le merci (a quei tempi si credeva che l’esposi-zione all’aria e al sole accelerasse la purificazione).

Negli anni successivi vengono costruiti nuovi magazzini per impedire che lemerci soggiornassero all’aperto con il rischio di deperire. Nei suoi primi dieci annidi vita fu il più delle volte occupato da militari di varia nazionalità che staziona-vano all’interno dell’area in attesa di imbarco per altre destinazioni o per necessi-tà difensive – il suo lato rivolto verso il mare era stato dotato di batterie di canno-ni – visto il periodo storico piuttosto turbolento.

Nel 1740 Maria Teresa succede al trono del padre e inizia a restaurare il lazza-retto che ritornerà a pieno regime soltanto nel 1754, quando ormai il traffico com-

merciale era aumentato a tal punto da renderlo insufficiente. Si provvide quindialla costruzione di un nuovo lazzaretto più grande e funzionale, chiamato di SantaTeresa, ai piedi di Gretta, inaugurato nel 1769. Da allora il Lazzaretto San Carlo(Lazzaretto Vecchio) svolse funzioni di appoggio per i passeggeri e le merci “netti”.

Nel 1891 l’area occupata dal Lazzaretto San Carlo di proprietà dell’ErarioCamerale viene ceduta in parte all’Erario Militare, che vi colloca l’Arsenale e nel1899 la Marina da Guerra. Nel 1908 per la prima volta si parlò di una possibilecessione al Comune ma l’idea si concretizzò solo alla vigilia della Prima GuerraMondiale nel 1914. Il costo dell’operazione a carico del Comune era di 1.875.000corone, a patto che vi sistemasse il mercato ortofrutticolo. Il pagamento a causadella guerra fu procrastinato e saldato all’erario italiano appena nel 1935. Il mer-cato in realtà venne sistemato in quell’area già dal 1933, ma all’aperto e così rima-se fino al 1956 quando si realizzò, ad opera dell’ingegner Guglielmo Canarutto,l’attuale struttura.

Per quanto riguarda la parte superstite che si affaccia su via Campo Marzio, ospi-tò nel tempo reparti dell’esercito italiano, reparti americani e fu adibito addiritturaa campo profughi per poi rimanere per lunghi anni in stato di semiabbandono.

Finalmente nel 1969 l’edificio principale viene restaurato dal Comune chedecide di destinarlo a sede del Civico Museo del Mare, con progetto degli internie l’allestimento delle sale espositive di Umberto Nordio.

Page 53: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

51

La caserma di MarinaFine ’800 prima dei grandi lavori di avanzamento delle sponde della Sacchetta: in secondopiano la facciata della Caserma di Marina, che occupa l’edificio principale dell’ex Lazzaretto

Vecchio (oggi Civico Museo del Mare), sul selciato si vedono i binari della linea ferroviariache collegava i due porti della città.

Page 54: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

52

la pescheria centraleÈ spesso deserta la vecchia pescheria delle Rive trasformata in algida sala d’espo-sizione. Sotto le volte non risuona più da tempo il nasale incitamento di Bortolo,il pescivendolo con cui Lino Carpinteri e Mariano Faraguna aprirono trionfal-mente nel 1966 la saga delle Maldobrie: «Orade, orade, ociade, ociade, dentai,branzini, pessimoli, scampi, caramai, scarpene de grota e guati de scoio. Ale, alesiora Nina che el sol magna le ore».

C’è silenzio anche nella sala dove all’alba di ogni mattina i commercianti sidisputavano vivacemente a suon di banconote e voci tonanti quanto era statopescato nelle acque del golfo poche ore prima.

I triestini già prima dell’apertura al pubblico avevano iniziato a scherzare sullanatura della pescheria, chiamandola “Santa Maria del Guato” per il tozzo campa-nile che ne segna la fisionomia; di recente era stata definita dopo la trasformazio-ne in sala d’esposizione «la basilica in riva al mare»; ora appare una cattedrale neldeserto, perennemente in attesa di un pubblico che si fa desiderare.

L’11 agosto 1913, il giorno dell’inaugurazione, al contrario, la reazione colletti-va dei triestini fu di ammirato stupore per la vastità degli spazi interni, per la curamaniacale delle finiture, per l’equilibrato inserimento negli spazi delle Rive e perl’attenta calibratura dell’assieme.

«Alla nuova pescheria ieri l’afflusso di pubblico fu straordinario» – si legge suquell’antica edizione del quotidiano «Il Piccolo» – «A tutte le ore del giorno fu uncontinuo viavai di gente che ammirava, commentava e non sapeva staccarsi daquel magnifico ambiente dove aria e luce sono profuse con tanta larghezza. Èsoprattutto l’ampiezza dell’aula di vendita che colpisce».

In sintesi la Pescheria nonostante le dimensioni, oltre a svolgere magnifica-mente le funzioni per cui è stata costruita, non umilia con la sua massa il frontedei palazzetti neoclassici che contraddistinguono le Rive.

All’edificio progettato dall’architetto Giorgio Polli, il giornalista RobertoCurci ha dedicato nel 2006 un prezioso e documentato volume. «Polli si confron-tò con un doppio dilemma: dare vita a un edificio a destinazione commerciale conprecisi requisiti igienico-funzionali e ideare al contempo un edificio a sé stante,non connesso a preesistenze di sorta e soprattutto non invasivo, tale cioè da nonschermare la prospettiva neoclassica delle Rive, spalancata sul mare».

Cento metri di lunghezza, 44 di larghezza, 218 pali di cemento armato peruna lunghezza complessiva di due chilometri e 700 metri.

L’orologio vienneseLa torre della Pescheria ancora priva dell’orologio elettrico che arriverà a Trieste da Viennanel 1914.

Il tettoIl tetto della pescheria sta per essere completato. Sullo sfondo la sagoma inconfondibiledella Stazione di Sant’Andrea: all’ormeggio in Sacchetta lo scafo bianco del piroscafo“Venezia” della Tripcovich.

Page 55: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 56: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 57: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

55

L’interno della Pescheria CentraleGli operai stanno faticosamente “schierando” i pesantissimi banchi di vendita in pietranella sala centrale della pescheria. La foto è stata realizzata nell’estate del 1913.

L’inaugurazione Nella pagina successiva l’esterno della Pescheria nei giorni dell’inaugurazione nel 1913.

La Pescheria sul mareUna vista dell’edificio dal Molo Venezia.

La sala in cui Bortolo richiamava l’attenzione delle acquirenti sulle sue «ora -de, ociade, dentai e branzini», è lunga 60 metri, larga 35 e alta 26 e mezzo.

Le orade, le ociade, le scarpene e tanti altri pesci nuotano tranquilli a pochimetri di distanza dall’enorme sala dove un tempo tantissimi loro “parenti” nonaltrettanto fortunati venivano venduti per finire in padella, al forno o lessati.

La parte frontale dell’edificio accanto alla torre dell’orologio ospita infattil’Aquario. Meta di migliaia di visitatori, in gran parte bambini, accompagnati daigenitori. L’aria all’interno è umida e calda, poca è la luce per consentire una otti-ma visione delle vasche-vetrine dove i pesci scampati alle mense, nuotano lenti emuoiono di vecchiaia, com’è accaduto al pinguino Marco, per trent’anni il simbo-lo e beniamino dell’Aquario.

S’incamminò verso le Rive. L’edificio della Pescheria biancheggiava come una paretedi calcare sopra la via napoleonica. La investì una zaffata di vino versato, cotto dalsole. Sui binari è in sosta un vagone che porta un’enorme cisterna da cui pende untubo di gomma, lungo il magazzino è allineata una fila di botti in attesa. Ed ecco chetorna a dominare l’odore salmastro: la bassa marea ha scoperto il molo e la fascia dimuschio marino si sta essiccando, mentre la vegetazione rilascia l’umidità delle fogliedentellate.

(da Qui è proibito parlare di Boris Pahor)

Page 58: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 59: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

57

Page 60: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 61: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

59

Era un bel vanitoso, forse cosciente di essere una femmina anche se tutti lo chiamava-no Marco. Aveva la pretesa di andare a spasso ogni giorno, tutti lo salutavano e gli face-vano le feste. Era la gioia dei bambini. Andare con il mio papà a cercare Marco era unafesta che non mi stancava mai. Quale città che non si trovi in Patagonia può vantareun cittadino onorario così? Solo Trieste, città di matti e di pinguini clandestini.Arrivò a Trieste nel 1953 con la motonave Europa del Lloyd Triestino, di ritorno dal SudAfrica. Era stato trovato, solo e abbandonato, da alcuni marinai che arrivati dopo cin-quanta giorni di viaggio, ne fecero dono all’Aquario di Trieste. Gli venne costruita unagrande vasca dove si tuffava “a clanfa” tra le risate dei bambini. Visse trentuno anni(la vita media di un pinguino come Marco è di 20-25). Morì avvolto in una coperta, trale braccia del suo guardiano preferito, quello che lo accompagnava nelle sue scorriban-de cittadine e che brontolando, ma in realtà con gioia malcelata, lo doveva ripescarequando Marco si buttava dal Molo Pescheria tra gli applausi dei bambini e la commo-zione dei grandi. Dall’autopsia risultò che Marco era una femmina.

(Il pinguino Marco di Marinella Zonta in Guida sentimentale di Trieste)

In pescheria, anni ’70I clienti affollano ancora la grande sala ma il ruolo della Pescheria Centrale è in via di ridi-mensionamento per l’offensiva delle rivendite rionali.

Il pinguino in posaMarco accanto a una bambina che cerca di accarezzarlo con grande tenerezza. Il pinguino sadi essere fotografato e si mette in posa tra le auto, davanti all’ingresso dell’Aquario.L’immagine è del 1978.

Page 62: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

60

Il galleggiante della Ginnastica Costruito nel 1899 a Lussinpiccolo dal Cantiere Marco U. Martinolich. Una volta trainato inSacchetta fu ormeggiato dove oggi sorge il Pontile Istria. La capacità ricettiva permise allasocietà proprietaria di ospitare per qualche tempo i canottieri dell’Esperia e della Saturnia.

Da Pirano a TriesteLa sede galleggiante dello Yacht Club Adriaco rientra al traino a Trieste: ha appena conclu-so i lavori di riparazione al Cantiere Apollonio di Pirano, 1920.

il porto sportivoL’apertura del canale di Suez nel 1869 e il conseguente aumento del traffico com-merciale portarono alla realizzazione nel 1883 di una nuova struttura portualenell’area fra la nuova Stazione Meridionale e il Lazzaretto Maria Teresa e nel 1891il Porto Franco venne delimitato alla sola superficie del nuovo porto.

Ben presto all’inizio del 1900, anche questa struttura si rivelò insufficiente efu necessario progettare un ulteriore imponente porto nella zona di Sant’Andrea.Tutto ciò comportò che il grosso dell’attività mercantile si svolgesse all’internodelle strutture portuali, la Sacchetta e le Rive rimasero quindi scalo solo per i basti-menti di piccolo cabotaggio, che battevano sostanzialmente rotte adriatiche.

Il traffico all’interno della Sacchetta si decongestionò e l’attività mercantilelasciò lentamente il posto a quella ludica e sportiva. Nello specchio d’acqua fannola loro comparsa le prime zattere galleggianti sedi di associazioni sportive deicanottieri che dividono lo spazio con maone e trabaccoli. Lungo il Molo Teresiano(oggi Molo Fratelli Bandiera), dai primi del ’900 iniziano a sorgere stabilimentibalneari che nell’arco del Ventennio diventeranno mete frequentatissime dibagnanti e sportivi. La trasformazione è in atto, la Sacchetta si avvia a diventaregradualmente un «porto sportivo».

Chi percorrendo le Rive venga a costeggiare la Sacchetta, spesso si sofferma a osser-vare le «canottiere». Sono alcuni pontoni che hanno l’aspetto di villini galleggian-ti, bianchi, a due piani, e stanno attraccati, l’uno vicino all’altro, al molo che fron-teggia la Lanterna. (…) Si ferma spesso anche qualche forestiero. Lo attraggonoquelle casette candide, di legno dal tetto a terrazzo, galleggianti fra i trabaccoli e ibragozzi, le maone e i rimorchiatori. Forse lo colpisce il contrasto tra l’aria pulita,cittadina, e anche capricciosa e un po’ inutile delle canottiere e quella rude, e spor-ca, dei velieri che scaricano sabbia o legname e delle chiatte che fanno carbone.

Queste poche righe tratte da L’onda dell’incrociatore, il romanzo di PierAntonio Quarantotti Gambini pubblicato nel 1947 e che nel 1948 vince il PremioBagutta, meglio di qualsiasi altra immagine ci raccontano cos’era la Sacchettanegli anni Venti e Trenta del ’900.

In un primo momento per dare una sistemazione più sicura le canottiere ven-gono sistemate a ridosso del Molo Fratelli Bandiera, poi nel 1925 lo Yacht ClubAdriaco inaugura la sua sede definitiva, una costruzione posta in testa al MoloSartorio, al posto della casetta dei piloti e anche le zattere galleggianti delle altreassociazioni sportive vengono sistemate a ridosso dello stesso molo.

Page 63: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

61

Page 64: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

62

Page 65: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

63

Il Rowing ClubLa sede del Rowing Club Triestino ormeggiata al Molo Sartorio. Inalbera il gran pavese percelebrare una vittoria sportiva o un’importante ricorrenza.

Una panoramica della SacchettaInizi del Novecento: in primo piano è ben visibile un piroscafo a ruote. All’estrema sinistrala casetta dei piloti e al centro la sagoma inconfondibile del Magazzino Vini.

Bisogna aspettare gli anni Cinquanta per la consacrazione definitiva del luogoa «porto sportivo», con il piano di sistemazione della Sacchetta avviato durante ilGoverno Militare Alleato (GMA). La prima a veder la luce è nel 1954 la piscinaintitolata a Bruno Bianchi, costruita nello spazio fra il Molo Sartorio e il MoloVenezia. Nelle immediate vicinanze a lato del Molo Sartorio viene costruito ilPontile Istria, su cui sorgono le nuove sedi delle tre società sportive di canottieriAdria, Ginnastica Triestina, Canottieri Trieste nonché della Società Triestinadella Vela. La struttura sarà inaugurata nel 1956.

Da allora le barche a vela cominciano a popolare la Sacchetta, tanto da indur-re negli anni la Triestina della Vela e lo Yacht Club Adriaco a costruire dei pontiliper razionalizzare gli ormeggi.

Nel 1992 la Lega Navale dopo un accurato restauro ha fissato la sua sede nellaLanterna e nuovi pontili vengono ancorati al Molo Fratelli Bandiera.

Infine nel 1999 viene inaugurato nel bacino San Marco, davanti allaPescheria, fra il Molo Venezia e il Molo Pescheria, il Marina San Giusto, in gradodi ospitare sui suoi pontili galleggianti moltissimi natanti.

Oggi la Sacchetta è una selva di imbarcazioni di ogni tipo, dalle maestosesignore in legno agli scafi ultramoderni, dove ferve l’attività dei canottieri che,all’alba o nelle tiepide ore della sera quando il mare è liscio come l’olio, sfilanosilenziosi verso il tramonto.

Page 66: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

64

La casetta dei pilotiIl Molo Sartorio viene realizzato in stadi successivi fra il 1840 e il 1845, data dell’ultimo pro-lungamento, come risulta dagli atti e dai progetti conservati dall’Archivio Diplomatico dellaBiblioteca Civica del Comune di Trieste. A pochi mesi di distanza viene presentato il progettoper la costruzione, in testa al molo, di una piattaforma su cui successivamente verrà eretta la

casetta dei piloti che vediamo nell’immagine in alto in testa al molo e nell’immagine a destra.L’edificio ospitava i componenti della corporazione a cui comandanti e armatori affidavano leloro navi nei momenti difficili dell’entrata e dell’uscita dal porto. Nel 1924 sarà demolita, alsuo posto viene costruita la nuova sede dello Yacht Club Adriaco.

Page 67: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

65

Page 68: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 69: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

Adriaco, la seconda sedeL’elegante silhouette di uno sloop con il gran pavese ormeggiato davanti alla nuova sede gal-leggiante dello Yacht Club Adriaco costruita dal cantiere Voltolina di Muggia. Sullo sfondola casetta dei piloti sul Molo Sartorio.

67

Adriaco, la prima sedeIl pielago che fu dal 1905 al 1912 la prima sede dell’Adriaco: in questa immagine realizzata agliinizi del Novecento è ormeggiato al Molo Sartorio. Il pielago era un’imbarcazione a due alberida carico con uno scafo panciuto e capiente. Per renderlo adatto ad ospitare la sede del club fucostruita in coperta una specie di tettoia e nello scafo, all’estrema prua, fu aperto un boccapor-to attraverso il quale gli alberi delle imbarcazioni potevano essere ricoverati sotto coperta.

Page 70: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

68

Page 71: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

69

L’AdriacoVeduta della sede dello Yacht Club Adriaco. Nello specchio d’acqua si notano in primo pianole barche sociali tra cui spiccano le linee eleganti del due alberi con lo scafo dipinto di nero.In secondo piano l’imponente sagoma di un piroscafo attraccato alla banchina dei Fri -goriferi Generali che fa sembrare modeste le dimensioni della palazzina del club.

Relax alla canottieraImmagine di quiete e tranquillità per il galleggiante della Ginnastica. Sulla terrazza si vedeun atleta in sedia a sdraio, riposa o prende il sole. Alcune barche dell’Adriaco hanno issato levele forse per farle asciugare. Tutto è calmo, il mare è liscio come l’olio, il sole sta volgendoal meriggio. Quante volte abbiamo visto la Sacchetta così.

Page 72: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

La Sacchetta anni TrentaDue vaporetti provenienti dall’Istria stanno raggiungendo le Rive. Sul Molo Venezia sonoormeggiati numerosi trabaccoli. Sul Molo Sartorio si notano la sede dell’Adriaco e i tre gal-leggianti della Ginnastica, del Rowing Club e dell’Adria. Sul lato inferiore della foto si nota,quasi in primo piano, la sede della Triestina della Vela.

La Filonautica TriestinaLa prima sede della Filonautica Triestina è una vecchia brazzera ancorata in Sacchetta. Lafoto è stata scattata il 14 dicembre del 1923.

70

Dal molo della Pescheria ai bagni ci sono circa sei isolati paralleli al mare, lì dove stan-no le case galleggianti, risulta sempre strano vedere case di tre o quattro piani dipintedi grigio e con finestre bianche, che oscillano dolcemente tra le onde, hanno sulle paretidel pianterreno grandi fasci di corde che le proteggono dai colpi contro la pietra delmolo. Quando avrò la bici, pensa, arriverò agli stabilimenti in meno di cinque minuti.

(da I corridoi della memoria di Santiago Grimani)

Page 73: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

71

Page 74: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

72

La Bora del ’54Il 2 febbraio 1954 la Bora raggiunse a Trieste i 171 chilometri l’ora. La raffica fu misurata a45 metri di altezza, sulla sommità della torre dell’Istituto Talassografico in via GioacchinoMurat. La tradizione popolare riferisce che la velocità del successivo “refolo” fu tanto ele-vata che lo strumento di misura, l’anemometro, si ruppe. Qualche secondo prima questaraffica assassina aveva inferto il colpo di grazia al galleggiante della Canottieri Trieste. Lofece sbattere con inusitata violenza sulla banchina del Molo Sartorio. Lo scafo iniziò a fareacqua e pochi minuti più tardi si adagiò sul fondo melmoso. Le imbarcazioni, i remi, i ban-chi da falegname su cui il custode Aldo Brezich costruiva e riparava gli scafi da regata e dagita, iniziarono a galleggiare, toccando il soffitto del magazzino allagato. Ebbero la peggio leesili prue degli outrigger, i timoni riposti sulle rastrelliere, gli attrezzi con i manici in legno,le tavole di mogano lasciate sul pavimento. Si salvarono alcuni skuller e poco altro. Il custo-de, sua moglie Clorinda e il figlio Giorgetto persero la casa e il lavoro. I canottieri dellaTrieste persero la loro indipendenza e autonomia. Finché non fu costruita la sede in mura-tura di Pontile Istria si sparsero per le canottiere consorelle: ospiti e senza imbarcazioniproprie. Le poche scampate al disastro furono ricoverate in un magazzino del Porto Vecchioappartenente al socio Pogorelz.

Page 75: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

73

Page 76: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

RagazziniA sinistra la sede galleggiante della Triestina della Vela nel maggio del 1929. Sul passo unragazzino voga con un remo posto a poppa. Propulsione e timone allo stesso tempo.

In alto un’immagine dell’età di mezzo: Giorgetto Brezich sulla zattera dell’Adria mentrealle sue spalle è quasi completata “al grezzo” la costruzione delle nuove sedi in muraturadelle società di canottaggio.

A destra un trabaccolo ormeggiato al Pontile Istria dove le costruzione delle nuove sedi nonha ancora raggiunto il secondo piano.

Page 77: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

75

sono in grado di dire: certo moltissime perché dopo le “sedute” del consiglio direttivo dellaCanottieri Trieste di cui papà faceva parte, l’impegno e le ore di lavoro occupavano anche isabati pomeriggio, quando lo studio di Umberto Nordio era chiuso. Il momento più felice fu quello della definizione degli “scafetti” dello spogliatoio. Ognisocio della Trieste ne doveva avere uno. Dopo averli disegnati, papà li costruì in scala ridot-ta usando alcuni fogli di spesso cartone. Affiancò tre o quattro copie degli armadietti, valu-tò, stringendo gli occhi, l’effetto prospettico e poi quello cromatico degli accoppiamenti dicolore. Finalmente capivo, toccavo con le mani qualcosa che papà stava costruendo in unappartamento di via Carpaccio; qualcosa che sarebbe poi stato realizzato in Sacchetta.Mentre il progetto si definiva e prendeva corpo, le vecchie sedi galleggianti continuavano aessere frequentate come se non stesse per accadere nulla: in effetti una stagione si stava perchiudere e una nuova, tutta da definire, stava per aprirsi nel canottaggio triestino. Gli ope-rai della SE.L.A.D. (Sezione Lavoro Aiuto Disoccupati, organismo che il Governo MilitareAlleato creò per combattere la disoccupazione per mezzo di un imponente programma diopere pubbliche) avevano già “gettato” il calcestruzzo dei pilastri e della superficie piana sucui sarebbero sorte le “casette” dell’Adria, della Trieste, della Ginnastica e della Vela, pro-gettate da papà, geometra, collaboratore dell’architetto Umberto Nordio e appassionato delremo. All’epoca l’acqua della Sacchetta era limpida e dalle zattere, osservando il fondo scurodel mare, si vedevano le granzievole muoversi immense e lente.

Dal legno al cemento armatoHo visto nascere sul tavolo di disegno di papà le nuove sedi in muratura delle canottieredella Sacchetta. Avevo sei o sette anni e da tempo frequentavo il galleggiante e la zatteradella Canottieri Trieste, poi affondati in una terribile notte di Bora del febbraio 1954. Deidisegni su cui papà era chino ogni sera capivo poco o nulla anche perché prima la matita, poiil pennino del Graphos con l’inchiostro di china, lasciavano tracce sottili sui fogli di cartatrasparente che i geometri chiamavano “lucidi”. Papà all’epoca lavorava fino alle 14all’Ufficio tecnico della Provincia, secondo piano di palazzo Galatti; nei pomeriggi entravaverso le 15 nello studio di via delle Zudecche di cui era titolare l’architetto Umberto Nordio:sul tavolo a fianco di quello di papà lavorava l’architetto Bruno Kravos, di cui a tanti anni didistanza ricordo solo le camicie chiare con le maniche arrotolate e il fatto che mi sollevavacon facilità per consentire alle mie mani di bambino di raggiungere il bottone “giusto” chefaceva muovere il vecchio traballante ascensore dello stabile. Di sera papà spostava la macchina da cucire Singer che era della nonna Gisella e trasferivadalla verticalità del muro al tavolo orizzontale la superficie levigata della tavola da disegno.Agli angoli tante “puntine” lucide e tanti minuscoli fori neri, lasciati dalle stesse puntinenel legno per bloccare altri lucidi e consentire il movimento della riga a martello. Poi siaccendeva una lampada trattenuta dalla vite di un morsetto e la matita incominciava a cor-rere sulla carta. Io guardavo lo squadretto che si posizionava, la punta di grafite che seguivalo spigolo. Quante ore notturne papà abbia passato sul progetto delle nuove canottiere non

Page 78: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

76

Proponiamo di seguito due testi che sono due punti di vista diversi e opposti sullosviluppo della Sacchetta e in particolare della parte così detta Porto Sportivo. Ilprimo Evoluzione della Sacchetta (tratto dalla «Rivista Mensile della Città diTrieste», Nuova Serie, Vol. IV, fascicolo n. 3, marzo 1953, pagine 15-16) esalta inuovi lavori; nel secondo testo, dello scrittore Pier Antonio Quarantotti Gambini(tratto da Luce di Trieste, Eri Edizioni Rai Radiotelevisione italiana, 20 febbraio1964, pagine 21-22) la visione è critica o forse nostalgica di un tempo passato:

Passeggiando lungo la riva e proseguendo oltre la pescheria e il deposito vini, eccoaffacciarsi lo specchio tranquillo della Sacchetta, una delle zone più caratteristiche diTrieste marinara. La Sacchetta nei secoli scorsi era il porto naturale di Trieste, il cen-tro del traffico marittimo e ancora i nostri nonni la ricordano pulsante di vita, tuttaun andirivieni di velieri che portavano sabbia, ghiaia, legname, sale, vino, merci tutteche venivano scaricate a mano su lunghe passerelle, in un brusio continuo che s’accen-deva e si spegneva con il giorno.

La mano del tempo è passata però sulla Sacchetta, ne ha forzato la vita e anche icolori e oggi essa ci appare un bacino tranquillo, popolato di natanti in disarmo, bar-che da pesca, barche da diporto, in un ambiente che si anima soltanto nelle giornatefestive allorché più numerose fioriscono le vele bianche delle piccole imbarcazioni ches’avventuravano gioiose sul mare e più di frequente si manifesta l’eco scandito daicanottieri.

Molte cose sono mutate nella Sacchetta, ma a poco a poco, impercettibilmente, percui ai nostri occhi essa è sempre la stessa vecchia amica, il porto di tanti gioiosi ricor-di, di tante ore liete passate nell’ambiente delle vecchie canottiere, tipicamente mari-naresche, accovacciate, quasi stanche, lungo la riva, al riparo dal vento e dai marosi.

Da qualche tempo però, in questo angolo sereno di Trieste, apparentementeimmutato ed immutabile, si nota qualche cosa di inconsueto, un fremito di nuovavita, un flusso di nuove iniziative. È sorto sul lato sinistro di Molo Sartorio un nuovomolo, un pontile in cemento armato, sul quale fra breve avranno inizio i lavori per lacostruzione delle nuove sedi sociali della Società Triestina della Vela, della Ginnastica,della Trieste e dell’Adria.

Un po’ più a nord, sulla destra del Molo Sartorio, già si profila la sagoma ormai deli-neata della nuova piscina, altra importantissima realizzazione per Trieste sportiva.

È tutto un mondo che sta sorgendo, un mondo che realizza tante vecchie aspira-zioni degli sportivi triestini e per il quale, per germinazione spontanea, è già sorto unnome: “Il porto sportivo di Trieste”.

Tutto questo complesso di opere dovrebbe essere portato a compimento entro l’anno1953 e sarà un complesso armonico, dominato dalla mole imponente della piscina, verae propria conquista dei nostri nuotatori. Si svilupperà al centro con il Molo Sartorio, conlo sfondo della palazzina dell’Adriaco, e a sinistra con il nuovo pontile sul quale sorge-ranno quattro agili palazzine fiorite, sedi delle quattro Società nautiche già nominate.Completerà il quadro la flotta delle imbarcazioni da diporto che troveranno posto tuttoall’ingiro e nello specchio d’acqua interno fra Molo Sartorio e pontile.

Sarà un giorno lieto ma pieno anche di nostalgia e di rimpianto quello in cuivedremo lentamente avviarsi verso un nuovo destino le vecchie sedi galleggianti delleSocietà nautiche, fucine inesauste di glorie sportive e patriottiche, dalle quali, comedono finale, è scaturito il seme di questa nuova vita che sorge ad onore della nostrabella Trieste e a maggior gloria dello sport.

***

Trieste ha già veduto scomparire gran parte della bellezza delle sue Rive, un tempotutte aperte sul mare – lo dice il loro stesso nome – come un unico lunghissimo molo.Le Rive vennero sacrificate dapprima a poco a poco, poi con ritmo sempre più rapido.Oggi chi costeggiando la Sacchetta (cioè quella parte interna del porto che accoglievavelieri, piccoli piroscafi in disarmo e imbarcazioni da diporto), percorre la RivaGrumula, che ai tempi della mia infanzia era tutto un vario movimentato piacevolis-simo lungomare, si trova né più né meno che in una via, chiusa da edifici dall’uno edall’altro lato.

La Riva Grumula cominciò ad agonizzare, molti anni fa, quando vi si costruìqualche magazzino; subì un colpo mortale allorché vi si edificò la piscina coperta,interrando un piccolo bacino sempre festoso di monelli, dove le barche venivanoanche tirate in secca e calafatate; e finì di essere una riva il giorno in cui si sostituiro-no le graziose tradizionali sedi galleggianti delle società nautiche con alcuni edifici inmuratura, sin troppo razionali, sorretti da palafitte di cemento. La piscina coperta è

La Società Triestina della VelaIl secondo piano della nuova sede è quasi completato. La parte sovrastante le piccoleimbarcazioni oggi ospita il ristorante.

Page 79: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 80: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

78

Page 81: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

79

certo gradita a più di un gruppo di giovani (sebbene la si veda quasi mai molto fre-quentata); ma essa avrebbe esplicato altrettanto bene la sua funzione se la si fossecostruita altrove. Là dov’è, e alta com’è (ha un tetto da autorimessa, anzi da hangarper dirigibili) oltre a togliere la vista del mare, è una delle costruzioni più stonate e piùfuori posto che siano state innalzate a Trieste.

Delle nuove sedi delle società nautiche, ossia delle cosiddette canottiere, si preferi-rebbe quasi non parlare. Nessun dubbio sulla loro funzionalità; ma come non ci si èresi conto che cosa erano i galleggianti, simili a quelli – spesso di nuovissima costru-zione – che tuttora esistono, quali sedi di società di canottaggio o di stabilimenti bal-neari, sui canali olandesi, sulla Senna a Parigi, e anche sulla Loira, nonché aFiladelfia, e chissà in quali luoghi ancora, e altra cosa sono invece gli edifici in calce-struzzo che li hanno sostituiti? I quali, oltre al resto, hanno un difetto comune a trop-pe costruzioni moderne: quello di peccare di un certo gigantismo, rispetto alla esigui-tà dello spazio in cui sorgono.

E la Riva e il Molo della Lanterna, che, descrivendo una specie di semicerchio, chiu-dono la Sacchetta di faccia alla Riva Grumula? Si sono infittite anche laggiù, nei pressidella Lanterna, e intorno ad essa (un tempo quasi isolata nel suo bianco profilo turrito,se si fa eccezione per una caserma della Marina), costruzioni piccole e grandi, che alza-no un’altra quinta contro il mare. Per primo sorse un magazzino di parecchi piani(destinato inizialmente, se non erro, alle carni congelate in arrivo dall’Argentina), e poitutta una madrepora, specie dentro la zona militare, di casematte e baracche.

Così è scomparsa in gran parte la bellezza delle Rive in una città che veniva cele-brata proprio per il suo immediato, diretto, contatto col mare.

E lo sparuto pseudo-grattacielo innalzato a Campo Marzio? A causa di esso, chipercorra le Rive, venendo da piazza Unità, non vede più stagliarsi nel cielo la torrettadella Pescheria: la torretta viene a sovrapporsi, prospetticamente, al corpo del gratta-cielo. Il quale, così intrudendosi in uno spazio d’aria che dava, sopra i tetti, un’impres-sione amplissima, come la dà sempre il cielo, tronca brutalmente il colpo d’occhio limi-tandolo e immeschinendo, quanto a sensazione visiva, tutta quella parte della città.

L’inaugurazione delle nuove sediÈ il 22 gennaio del 1956 e sulla sinistra una Fiat 1400 e una 500 esibiscono ancora le targhedi colore bianco con l’alabarda rossa che furono imposte dal Governo Militare Alleato. Inalto la facciata della nuova sede della “Vela”.

Page 82: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 83: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

81

la piscinaCinquant’anni di vita, non uno in più: poi l’entrata in scena violenta delle ruspeper un veloce e definitivo azzeramento. Abbattuta la volta, abbattuti i due corpilaterali, fatte a pezzi le gradinate con i duemila posti, distrutti i quattro trampo-lini, la vasca lunga 33,3 metri e larga 18, gli spogliatoi, gli uffici e gli ambulatori.Ora al suo posto c’è un parcheggio.

Era nata il 13 marzo 1954 la grande piscina coperta costruita a Trieste con ifondi del Coni. All’epoca la città era amministrata dal Governo Militare Alleato el’Italia voleva regalare alla città l’impianto sportivo «quale simbolo tangibile deivincoli che legano Trieste alla Madre Patria». Il Comune avrebbe dovuto metterea disposizione un terreno adatto ad accogliere la piscina e successivamente avreb-be dovuto assumersi gli oneri della gestione dell’impianto. La prima zona prescel-ta fu quella del piazzale di Montebello, posta tra l’Ippodromo e l’ex campo di cal-cio della Triestina. Non se ne fece nulla perché il Governo Militare Alleato acqui-sì per costruire un autoparco una parte dell’area individuata dal Comune. Allostesso tempo erano emerse con grande evidenza tutte le difficoltà di collegarsi almare con una conduttura. La piscina nel primo progetto avrebbe dovuto essereinfatti riempita con la stessa acqua in cui si tuffavano i triestini che frequentava-no l’Ausonia, il Pedocin, il Bagno alla Diga, il Ferroviario e l’Excelsior di Barcola.Acqua di mare, non di Aurisina.

Nel 1950 la svolta, con l’individuazione e la scelta di un terreno ritenuto adat-to sulla riva della Sacchetta, a lato del Magazzino Vini. In precedenza l’area eraoccupata da uno squero. I lavori iniziano nel 1951: il progetto è dell’architettoEnzo Cosolo, un professionista triestino che lavora alla Direzione Centro StudiImpianti Sportivi del Coni. La direzione del cantiere è affidata all’ingegner PaoloScarpa. Le polemiche non tardano e si rifanno alle critiche che l’ingegner AldoBadalotti, capo dell’ufficio tecnico comunale, aveva espresso in precedenza. Nonera stato ascoltato e nella discussione svoltasi all’interno della Commissione edi-lizia avevano avuto il sopravvento il giudizio positivo e la volontà edificatoria delsindaco Gianni Bartoli. In estrema sintesi l’architettura dalla piscina non regge ilconfronto con il contesto neoclassico delle Rive, impedisce la vista del mare, èdifficilmente raggiungibile da gran parte della città.

Reti e stelleReti di pescatori stese ad asciugare davanti alla piscina demolita nel 2005. Sotto, la banchi-na del Molo Sartorio con decine di “stelle” allineate sui rispettivi scali, in attesa dell’avviodella regata.

Page 84: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

82

con la motorizzazione di massa, si sarebbero avventati sul paesaggio italiano,lasciato spesso senza alcun controllo né forma di progettualità unitaria.

La ripetizione sfalsata dei tre moduli diversifica le vedute, le coperture a volta crea-no un movimento che riesce a non stridere con il paesaggio urbano, l’uso di coloribrillanti per le diverse componenti costruttive contribuisce a vivacizzare l’insieme,conferendo al piccolo oggetto architettonico quel carattere brioso che per il gruppoBBPR era necessario perseguire. La struttura è semplice con pilastrini di cementocolato in casseri di eternit, dipinti di blu che sostengono travi a doppia mensola evolte in laterizio armato

ha scritto Michela Maguolo nel volume Trieste Anni Cinquanta – La città delleforme. Luca Molinari scrive che lo «sviluppo seriale del padiglione in più elemen-ti uguali, appoggiati tra loro con un leggero scarto, quasi una interpretazione delmagazzino portuale, prova a porsi come alternativa a una interpretazione piùmacchinista e futurista del padiglione per automobili di matrice americana».Riaperta nel 2008 dopo un restauro – curato da Gigetta Tamaro e LucianoSemerani – che ne ha ripristinato anche i colori originali, l’edificio ospita mostred’arte e conferenze, piccoli concerti e incontri. Da distributore di benzina a distri-butore di cultura.

stazione rogersEra una stazione di servizio della raffineria Aquila. E vendeva benzina, gasolio,lubrificanti a chi si affiancava con il proprio camion, auto o moto alle colonnine didistribuzione. Ma c’era anche chi arrivava al distributore a piedi, con la tanica inmano. E poi riempito il contenitore fino all’orlo riguadagnava qualche pontile dellaSacchetta dov’era ormeggiata la sua piccola barca. Oggi di tutto questo s’è persoquasi il ricordo. La Sacchetta è zeppa di imbarcazioni a vela e cabinati di dimensioniragguardevoli e talvolta sfacciate. Nessuno versa più il carburante dalle taniche alserbatoio, nessuno si affianca alle colonnine dove Luisa, con la pistola in mano e ladivisa della società petrolifera addosso, serviva i clienti, talvolta brusca, più spessosorridente. Sotto il suo caschetto di capelli biondi.

Oggi dalla Sacchetta e dalle vie che a terra la delimitano, sono scomparsetutte le stazioni di servizio. Esso, Shell, Agip e Total si sono ritirate da quell’areadella città e a ricordo di anni in cui il carburante si comprava a prezzi meno esosidi quelli attuali, resta l’edificio che fu costruito al numero 12 di Riva Grumula trail 1952 e il 1953 e che oggi ha preso il nome di Stazione Rogers. Il progetto è dellostudio BBPR, fondato nel 1932 a Milano da Gianluigi Banfi, Ludovico Belgioioso,Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers.

Quando il progetto della stazione di servizio venne definito nei suoi caratteriessenziali, dei quattro fondatori solo tre sono in vita: Gianluigi Banfi e LudovicoBelgioioso erano stati arrestati nel 1944 a Milano perché attivamente impegnatinella resistenza al nazifascismo e deportati nel campo di sterminio diMauthausen dove Banfi muore nel giugno 1945. Ma ritorniamo alla stazione diservizio progettata per l’Aquila.

Nel paesaggio acquistano sempre maggiore importanza certi organismi architetto-nici secondari: le edicole per i giornali, i chioschi, i diversi servizi per l’automobili-smo, le tettoie alle fermate dei mezzi pubblici. Tutti questi, da una fase di sponta-nea improvvisazione stanno ora assumendo una fisionomia precisa. Il duplice pro-blema è di non perdere quel carattere brioso che veniva conferito alla città dal pit-toresco incontrollato, mentre si deve profittare degli insegnamenti della tecnica edell’estetica moderne le quali concorrono alla determinazione di forme consapevo-li e il più possibile rigorose. A questi principi si ispira il piccolo edificio che abbiamocostruito a Trieste.

Questo scrivono i tre architetti che attraverso il progetto di questa stazione di ser-vizio riflettono con grande anticipo su uno dei problemi che di lì a qualche anno,

Page 85: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

83

Un distributore di culturaLa stazione di servizio della società petrolifera Aquila, ora Stazione Rogers, in alcune imma-gini degli anni ’50. Dal carburante per motori a scoppio e diesel, a quello per la mente, gliocchi e i cuori.

Page 86: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

84

la boraNessun progresso tecnico, e scientifico, nessun sconvolgimento politico, nessuna rivo-luzione ce la potranno togliere. C’è rimasta la Bora. Un tormento, un inferno, per chia Trieste non è nato e cresciuto, per chi dall’Istria o dal Friuli non veniva, sin da pic-colo, tutti i giorni per i suoi studi e per i suoi affari a Trieste. Una mezza catastrofe chetre, quattro, dieci volte all’anno si scatena sulla città, una sofferenza fisica, una faticainsostenibile – ma anche uno scoppio di gioia e di gioventù, di ebbrezza e di entusia-smo, una sferzata che fa piangere e ridere, che dà voglia di cantare. E solo chi è rima-sto fedele a Trieste ne gode i benefici. Chi sta lontano anche pochi anni, cinque o sei, eritorna all’improvviso in una giornata di Bora, viene agguantato alle spalle dai refolie costretto a farsi tutta di corsa la strada fino a casa: è il primo castigo della madresevera al figlio ingrato che l’ha abbandonata. Quelle potenti manate sulle spalle e sulpetto che sono deliziose carezze per i triestini fedeli alla loro città, diventano busse vio-lente per gli estranei.

(da Autoritratto triestino di Alberto Spaini)

Page 87: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

85

il respiro di triesteLa Borra, di cui tanto si parla, senza conoscerne altro che il nome, è propriamente l’Est-Nord-Est, o sia vento, che viene tra il Greco, ed il Levante. Quest’è un vento di terra, chechiuso fra monti, fa lo stesso effetto che un torrente chiuso fra limiti troppo angusti.Peraltro anche rapporto al mare egli deve chiamarsi piutosto un vento incomodo, chevento pericoloso. Le Navi nel Porto temono più il mare, che il vento. La Borra come ventodi terra solleva bensì, ma non agita il mare, perché convien far riflessione che il marecomincia ad agitarsi lontano dal lido, a misura che il vento ha campo di estendersi, diagire sopra la superfìcie, e di sconvolgere tutta la massa delle acque. Contro la sola vio-lenza del vento le Navi si assicurano facilmente mediante un buon canape, purché tro-vino dove legarsi con sicurezza.

(da Riflessioni sul porto di Trieste di Antonio de Giuliani)

Qualsiasi manifestazione di potenza della natura ci frastorna, ci intimorisce; nonè paura sciocca, è un timore “sano”, quasi reverenziale di fronte a cui ci inchinia-mo, deponiamo le armi, ma non siamo inermi e passivi, rimaniamo incantati eaffascinati di fronte a qualcosa contro cui non possiamo niente.

La Bora quando soffia per bene, quando le sue raffiche oltrepassano i 100 kmorari fa parte a pieno titolo di questi meravigliosi fenomeni. Suscita intense emo-zioni. Emozioni che coinvolgono tutti i nostri sensi, l’udito quando il suo ululare,sibilare produce un frastuono assordante diventando in certi momenti, a sentirlobene, musica; l’olfatto, odore di pulito, di aria tersa cristallina; la vista, quale spet-tacolo il mare con la Bora, con i suoi spruzzi, sembra ribollire, abbattendosi sullasua superficie disegna carezze e schiaffi violenti; il tatto, le nostre mani sannosubito quando arriva, si asciugano, la loro pelle diventa più secca, e quale sensa-zione su tutto il nostro corpo camminare facendo fronte a un violento “refolo”; ilgusto di salsedine, se cammini lungo le Rive, il sale ti imperla le labbra.

È per questo che quando arriva la città si risveglia, percorsa da un fremitointenso, pochi non la amano. Solo chi non la capisce e non la “sente”, non puògodere di tanta meraviglia. Nelle sue manifestazioni migliori genera un’inarresta-bile curiosità e allora le Rive si affollano, e alle panchine stanno coppiette di tuttele età che ammirano incantate lo spettacolo del mare che danza al ritmo di un val-zer o di un rock sfrenato cambiando continuamente registro.

Di fronte a tanta bellezza è buona cosa lasciare la parola ai maestri. A chi sarealmente cogliere la poesia e la forza di una tale espressione della natura. Per que-sto, per accompagnare le immagini, abbiamo riportato in queste pagine gli scrittidi Libero Mazzi e Anita Pittoni.

Il primo è stato scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Perquasi vent’anni ha diretto e gestito in prima persona la Terza pagina e quella deglispettacoli del quotidiano «Il Piccolo». Ha collaborato, fino alla morte avvenutanel 1994 quando aveva da poco compiuto i 70 anni, con riviste e giornali italianie stranieri. Prima di essere assunto al «Piccolo» nel 1957 era stato dipendente delComune di Trieste e aveva lavorato al Museo della Cattedrale. Le sue grandi capa-cità erano state notate da Vittorio Tranquilli già direttore del quotidiano.

Anita Pittoni, nata nel 1901, da subito dimostra uno spirito libero e anticon-formista. Di famiglia socialista, suo zio Valentino Pittoni è stato il fondatore delpartito socialista a Trieste, dopo un breve matrimonio si rifugia a casa delle sorel-le Wanda e Marion Wulz, famose fotografe triestine. Lì comincia a lavorare e apromuovere le sue prime creazioni di moda, arredamento e artigianato artisticoche in poco tempo ottengono un buon successo. Inizia a collaborare con gli studidi Peressutti e Rogers, Nordio, Belgioioso, Pulitzer Finali. Con i suoi lavori si alle-stiranno i saloni di grandi transatlantici. Partecipa a tutte le TriennaliInternazionali d’Arte Decorativa di Milano, è presente alle Biennali di Veneziadel 1934 e 1942, all’Esposizione Mondiale di Parigi del 1937, a diverse mostred’arte decorativa a New York, Buenos Aires, Berlino.

Subito dopo la guerra interrompe l’attività artistica: comprende che la cittàsta vivendo un momento difficile, crede sia fondamentale creare un luogo doveritrovare la propria spiritualità e ricostruire l’unità culturale. La sua casa diventaun rifugio, un punto di riferimento, per molti intellettuali: Saba, Giotti,Stuparich, Quarantotti Gambini, Bazlen.

Con il loro aiuto fonda una propria casa editrice, “Lo Zibaldone”, «con l’inten-zione di offrire uno strumento di chiarificazione culturale per fissare i lineamen-ti complessivi di Trieste e della sua regione in una collana svelta e di agevole let-tura che fosse un documentario verace, ideale e concreto, attraverso il tempo e gliargomenti, cui gli studiosi d’Italia e degli altri paesi, la gente di cultura, gli appas-sionati potessero affidarsi senza sospetto».

Muore a Trieste nel 1982 in miseria, completamente dimenticata dalla suacittà che solo dopo molti anni ha cercato di recuperarne la figura dedicandole nel1995 una mostra ed erigendo un suo busto nel Giardino Pubblico.

Page 88: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

86

Page 89: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

87

Ma la Bora d’improvviso, soffiando a centosessanta chilometri, rotola giù dal Carso,cambia tutta la fisionomia, e spazza, e spazza, e spazza. E il suo impeto non cessa:implacabile, non lascia sul cielo la più lieve sfumatura bianca. La città in breve sem-bra sommersa in un chiarissimo cristallo; ogni cosa acquista un colore vivo, polito.Son serene anche le pietre. Tutto è visibile e chiaro: le casette più piccole delle più lon-tane colline, gli alberi sul ciglio del Carso son disegnati alla maniera delle miniature;rivolgendosi al porto si possono vedere come son congegnate le gru, vite per vite.Quando soffia la Bora i colori da noi sono smaglianti anche d’inverno: blu, verdi,rossi, violetti intensi, bianchi.Saper adoperare queste tavolozze così ricche e mutabili e ardite è una gran gioia. Noncreare, ma prendere dalla natura e foggiare. Dio creò dal nulla. Deve essere stato bentriste per lui. Noi troviamo le cose perfette, le utilizziamo solamente. E da ciò nasce lanostra possibilità di fede. Che se poi vogliamo pensare che siamo noi, spirito, a crear-ci tante bellezze, la fede per qualche cosa di perfetto all’infuori di noi vien meno. Maallora ci aggrappiamo ad essa e in uno sforzo disperato d’analisi la riacquistiamo,obbligandoci a credere che è pur sempre la stessa Natura, operante all’infuori di noi esu di noi, che ci indirizza, ci porta, ci domina.

(da Saper guardare di Anita Pittoni)

Lei non è mai stato in balia della Bora, colto da un refolo a centosessanta all’ora! Leinon ha mai visto le onde schiumanti farsi immobili nell’aria, alte sui moli, agghiaccia-te all’istante, fermate nel loro ardito movimento verso il cielo, ferme nella loro curvacapricciosa e solenne, «decorative» che solo i giapponesi hanno saputo cogliere e che illiberty ha fatto sue. Mentre le rive, le strade deserte, sono una lastra di ghiaccio, e lacittà, anch’essa fermata, trema nel respiro vorticoso del vento, che umilia i coraggiosicostringendoli a camminare… seduti o aggrappati miseramente alle corde tirate lungoi marciapiedi; che butta in mare carri e cavalli e camions; che riempie in poche ore lesale operatorie degli ospedali…

(da Lettere al professore in L’anima di Trieste di Anita Pittoni)

Una Sacchetta siberianaAlcune immagini dei primi giorni del febbraio ’54 quando la città fu investita da un’ondatadi maltempo, seconda solo a quella del terribile inverno del 1929.

Page 90: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

88

Un muro di ghiaccioIl muro di cinta del complesso dell’ex caserma di artiglieria nel febbraio ’54.

Page 91: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

89

Ritorno alla Bora come sentimento. Come condizione del risveglio dalla subdola pigri-zia della nebbia o dello scirocco che abbassa la latitudine fino a lunghe e compiacentiillusioni mediterranee. E come fatalistico e inevitabile castigo (penitenza?), per cuistraborati al posto di stralunati, momento che la si piglia come il ciel la manda.Sentimento anche nelle sfumature o nei preludi. Quando si annuncia di notte, muo-vendo appena l’aria per pochi secondi, furtivamente, a modo di prova. Pare unacarezza senza energia-carica-potenza.Non sbatte le imposte, anima solo con leggiadria qualcosa di bianco rimasto ad asciu-gare, ed è come un voltar pagina: dopo potrebbe accadere di tutto, nascere un genio oscoppiare una guerra. Gli altri annunci sono sempre più lunghi e più vicini uno all’al-tro, fino al sibilo nella fessura, fino alla raffica che non lascia dubbi. Ci risiamo.Un sentimento? Si, ma di rassegnazione. Sapere che prima o poi arriva, e ignorarequando se ne andrà. Dunque anche suspense, con alleanza interna di astuzia e resi-stenza, di mosse e contromosse per difendersi in una specie di duello con un avversario(non nemico) invisibile; tanto che a un certo momento potrebbe continuare per sempre;ed è invece il silenzio del dopo, calato all’improvviso, che sembra rumoroso e lasciaintronati, vuoti di dentro e sospesi nell’aria di nuovo immobile, e tuttavia appesantiti.Sentimento ancora due volte. Quando alle cinque della sera porta dalle case a sperder-si sul mare il fischio di una sirena del porto. Arriva ondeggiando nell’incavo tra due otre raffiche, e si allontana assottigliandosi dove il sole sta tramontando o è già sottol’orizzonte. Oppure quando alla fine di una lunga e violenta rabbia si ferma esauritasul mezzogiorno, ma prima, da un’ora o due, pur infiacchita si diverte a mutar qua-drante quasi in uno scherzo, adesso che è il momento di smettere. Lo scherzo di chi nonce la fa più, di chi capisce d’essere alla fine.

(da Andare a Lussino di Libero Mazzi)

La Sacchetta spazzata dalla Bora“Refoli” di Bora sulla Sacchetta, febbraio 1954.

Page 92: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

90

In balia del geloBarche “ghiacciate”, febbraio 1954.

Page 93: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

91

Bora in SacchettaQuesta fotografia è stata scattata il 2 febbraio 1954 dal meteorologo Silvio Polli per docu-mentare gli effetti della Bora sulle acque della Sacchetta e sulle banchine. Il giorno seguen-te, mercoledì 3 febbraio il «Giornale di Trieste» riferiva del disastro provocato dall’ondata dimaltempo. «Il gelido vento dell’altra notte ha ucciso nel sonno una povera mendicante,

Sonia Peterlic, di 76 anni, che occupava un misero abituro nello stabile al numero 10 diAndrona della Marinella. Nubile e senza nessuno al mondo la Peterlic aveva raccolto la suamiseria tra quelle mura fragili come carta alle 18.30, non reggendo il freddo delle strade e siera subito coricata».

Page 94: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

92

Gli accorti profeti della meteorologia lo predicavano da tempo: non ci sarà più la Bora.Lentamente, anno dopo anno, essa si af fievolirà fino a sparire del tutto. Addio rafficherabbiose e impreve dibili, ululati giù per i camini, spifferi gelidi invincibili dalle finestrepur piccole e rinforzate. Questione di masse d’aria, pare, o di gran di cambiamenti nel-l’atmosfera, lontanissimi da noi, che tuttavia per i misteriosi canali degli spazi celesti...Del resto sono spariti i dino sauri, sono spariti continenti di ghiaccio, perché nondovrebbe e non potrebbe sparire un vento capriccioso, violento e volubile?Ecco il gelo sempre un po’ sarcastico della scienza, ecco la dolce irrisione ai sentimen-ti. Perché la Bora è un sentimento prima di essere una oleografia e una paura (le car-toline umoristiche con i tram ribaltati e le gonne delle ragazze a paracadute capovol-to). Un sentimento prima di una sensazione fisica invocata per liberarsi dall’umido,dal «caligo» che si allarga dalla Padania e fa belle le cose vicine sfumandone i contor-ni, ma lascia boccheggianti come un sub in apnea prolungata.Quando vien la Bora. Anzi, quando veniva. Una sferzata, una sveglia. Addio abban-doni e pigrizia imputati allo scirocco, al mare in casa. Si diventava brutti anche, comepicchiati da un boxeur in visibile che lavorasse accanito al volto e al corpo. Si dice stra-lunati, perché non si dovrebbe dire straborati? Se con il cappello non volano via gliabiti, cento brandelli di coscienza vengono scossi e messi a nudo. Diventa difficilecamminare, bisogna pensare, scegliere gli iti nerari, resistere poi; perché durerà ungiorno, ma può anche durare una settimana, ed è un match lungo, spossante, dove cisi difende con i riflessi e con l’astuzia, e infine con la pazienza. (Un po’ le onde matteche sballottavano Ulisse, e che forse Joyce percepì pro prio qui da noi dopo rimbalzitortuosi e trasformazioni psicofisiche inaccessibili o soltanto intuibili). È, in certiistanti, il momento della verità, quando si avverte di essere soli, nudi e indifesi, e tuttala forza disponibile sta nei battiti – accelerati o flebili – del pro prio cuore che può reg-gere o no. Per la Bora ci si veste, o così sembra, mentre in realtà ci si spoglia.Poi la Bora in Carso, in campo aperto, quasi una sublimazione di elementi chimici; laBora pura, a diciotto carati, nelle albe livide quando, a piedi, si sbucava sull’altipiano,ed era ormai una sorta di frenesia pagana, forse un residuo ancestrale di masochismo.«La Bora mi schiaffa a ondate nella schiena» scrive Slataper in quello che Gobetti hadefinito il dramma di una moralità. E ancora: «La Bora aguzza di schegge mi frusta emi strappa le orecchie. Ho i capelli come aghi di ginepro, e gli occhi sanguinosi e labocca arida... Bella è la Bora...».Scriviamo con la nebbia e lo scirocco che da settimane non si dipanano, e pare archeo-logia, dinosauri, età sepolte. Ancora una de cina d’anni fa in Sacchetta, durante unatumultuosa notte di Bora che durava da giorni, bisognò tagliare con l’accetta gli albe-

ri di al cune barche per evitare una Scapa Flow tascabile, e i danni furono tanti. Poi ilmare portato sui moli, sulle dighe, e fissato dal gelo in mostruose, gonfie sculture inlibertà. «Dilati rabbioso il tuo fiato nello spazio e i tronchi si squarciano dalla terra eil mare, gonfiato dalle profondità, si rovescia mostruoso contro il cielo. Scricchia e tur-bina la città quando tu disfreni la tua rauca anima». Dramma di una moralità oresurrezione? E Saba: «Anche un fiato di vento pare un sogno – agli uomini del porto...Sotto il cielo coperto è volta l’ansia – di tutti ad una raffica, alla prima».Scriviamo nella nebbia pensando alla Bora, al rassegnato, gelido sarcasmo degli stu-diosi che prevedono al di là dei sentimenti. Un mondo antico, un mondo nuovo. È giu-sto dire: i giovani che ne sanno? Come per la guerra, del resto. Ci si vestiva addirittu-ra in modo speciale per la Bora; cappotti stretti, chiusi in alto, suggeri vano i sarti, e iconsigli erano onesti ma superflui. Adesso va bene la linea Milano-Roma che scende daLondra. La Bora questa sconosciuta, questa mitologia, o fisima dei vecchi. Già, adessoquando viene è bella perché schiuma il golfo e basta. Tant’è vero che come gli abitianche le case si allineano. A che servono le fine stre strette? L’architettura come lamoda; i diritti dei tempi che travolgono, che livellano; si parla, fra un paio d’anni nonlontani, di una colonia nel sesto continente, che non sarebbe più ormai quello sotto-marino di Folco Quilici, ma la Luna. «Dal primo al trenta gennaio sono aperte le emi-grazioni per...».Di notte, quando c’è davvero silenzio e la città sembra aver ritrovato il suo cuore, adogni soffio d’aria si annusa e si tende l’orecchio. Chissà, forse è lei che torna almeno perun po’. Perché diciamo la verità: se la Bora dovesse scomparire, se non dovesse ritor-nare altro che come frammento di memoria, come i fanali a gas o il porto zeppo divelieri fino al largo della vecchia Lanterna, cosa resterebbe di vero a Trieste?

(Requiem per la Bora di Libero Mazzi, in Scrittori Triestini del Novecento)

Page 95: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

93

Febbraio 1954La Sacchetta spazzata dalle raffiche di Bora nei primi giorni del febbraio 1954. L’ondata dimaltempo, seconda solo per intensità a quella del 1929, trasforma in senzatetto oltre 300 trie-stini. Crolla la ciminiera della fabbrica di birra Dreher, tre pedoni, sbattuti a terra dal vento,

muoiono all’ospedale: si chiamano Graziella Gellini, 18 anni, Giovanni Vascotto, 57, Pio dePaulin, 30. Il porto è bloccato, le navi e le banchine sono ricoperte di ghiaccio. Domenica 7 feb-braio arriva anche la neve che imbianca tutta la città mentre la Bora cessa di soffiare.

Page 96: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

94

Scappa, scappa galantuomoIn queste immagini vediamo l’Ursus, l’antico pontone che è stato vanto della città, che harotto gli ormeggi e ha trascinato verso il largo il rimorchiatore Audax che gli stava accanto.Era il 2 marzo 2011. L’Ursus ha strappato le cime vecchie, ha chiesto aiuto alla Bora che sof-fiava a 170 chilometri l’ora e se ne è andato. Finalmente libero. Ha lasciato la testata delMolo Quarto, ha sfiorato senza toccarla l’estremità della Diga Vecchia e assieme al rimor-chiatore ha puntato, sospinto dalle fortissime raffiche, verso la Sacchetta e la Lanterna. Via,via dalla gente che lo aveva abbandonato come fosse un relitto o un’attrazione da luna parko circo. Via da chi diceva di volergli bene ma non accarezzava più da tempo le sue lamierecon odorosa vernice, che non gli riempiva il cuore e i serbatoi di olio e di nafta, che lasciavache i suoi tendini d’acciaio si irrigidissero nell’inattività. Meglio prendere il largo senza nes-suno a bordo e fuggire in mezzo al mare. Altre raffiche hanno corretto la rotta, lo scafo non ha opposto resistenza e si è lasciato docil-mente portare dal vento, incurante delle onde. Ha visto la Lanterna allontanarsi, ha evita-to le dighe che proteggono il vallone di Muggia. Erano nascoste dal pulviscolo d’acqua solle-vato dal vento impetuoso, ma l’Ursus sapeva come evitarle perché da almeno 80 anni avevamemorizzato la loro posizione. “Scappa, scappa galantuomo”. L’allarme era già suonato in città. «L’Ursus è al largo, dobbia-mo raggiungerlo». I potenti diesel di formidabili rimorchiatori si erano messi a girare nellesale macchine. Inizia la caccia. Altri uomini con piccole fotocamere in mano raggiungono le rive e cercano dimettere a fuoco nella tempesta i loro obiettivi sul gigante ormai lontano e quasi invisibile.Due ore più tardi, sono le 10 del mattino, i rimorchiatori “Taur”, comandante MauroDelben, “Uran”, comandante Riccardo Segarich, e “Daneb”, comandante Franco Picaro, cir-condano l’Ursus e cercano di prenderlo al guinzaglio per riportarlo a riva. Lottano con leonde e le raffiche per altre due ore, 6.000 cavalli, contro la Bora che proteggeva la corsadisperata e libera dell’Ursus. Un marinaio del “Daneb”, Mario Sau, ha capito che la strategiadella forza e dell’assedio al vecchio scafo non avrebbe prodotto nulla di positivo. Anzi, sisarebbe rischiato il disastro, il naufragio. Dalla prua del suo rimorchiatore il marinaio si lancia da solo sulla coperta del pontone.Scivola, si riprende, raggiunge la gru che ondeggia nell’ululato del vento. Sussurra parolegentili, sfiora la ruota del timone, cerca un cavo robusto, spiega al gigante d’acciaio che nes-suno gli farà del male, che sarà finalmente rimesso a nuovo, oliato e verniciato. Gli promet-te che Trieste gli darà finalmente un ormeggio stabile, accanto al cuore della città. E l’Ursuscapisce, si abbandona a quel piccolo uomo che ha rischiato la vita per raggiungerlo e spiegar-gli che in tanti gli vogliono bene, che gli perdonano quel gesto di orgoglio e di disperazioneche lo ha portato in mezzo al golfo, tra le raffiche di Bora e il mare in tempesta. I cavi d’ac-ciaio si tendono, il pontone ondeggia, si ferma, incomincia la lenta marcia di rientro versola città che lo attende e ha trepidato per la sua sorte.La costruzione dello scafo dell’Ursus iniziò nell’aprile del 1913 su uno scalo delloStabilimento Tecnico Triestino e il suo varo porta la data del 28 gennaio 1914: nelle inten-zioni dei progettisti doveva sollevare ai 70 metri d’altezza del suo smisurato braccio ben350 tonnellate. Questo per rendere meno problematico l’allestimento delle artiglierie dellenavi da battaglia dell’Impero di Francesco Giuseppe. Invece la guerra impedì il completamento del progetto e lo scafo rimase all’ormeggio peranni, privo dei macchinari e delle strutture di sollevamento. Alla fine del conflitto mondiale il pontone ormai divenuto italiano continuò ad essere usatocome deposito di materiale del cantiere. Soltanto a metà degli Anni Venti il progetto origi-nario venne riesumato e lo scafo fu dotato di due motori tipo Graz, rimasti in servizio per

Page 97: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 98: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

96

mezzo secolo fino al 1975, quando furono sostituiti da altri due con potenza maggiore epeso di gran lunga inferiore. La gru girevole che lo ha reso famoso in tutto il Mediterraneo, fu installata il 10 ottobre1931. Riusciva a sollevare fino a 150 tonnellate, aumentabili di altre 20-30 con l’allagamen-to dei gavoni di poppa. Nella sua lunga storia operativa l’Ursus ha sollevato locomotive a vapore e littorine, carriarmati e fumaioli di transatlantici, cannoni di grosso calibro per armare numerose corazzate,la copertura dell’Idroscalo di Trieste, piccole navi, relitti sezionati dai palombari con la fiam-ma ossidrica. Ha alzato e portato a destinazione anche i tre giganteschi giroscopi Sperry che dovevanosmorzare il rollio del Conte di Savoia, il transatlantico “cugino” del mitico Rex, costruito alSan Marco tra il 4 ottobre 1930, il giorno della sua impostazione, il 28 ottobre 1931 quandofu varato e il 30 novembre 1932 quando fu consegnato alla società armatrice. Tutto questo ha fatto si che il pontone-gru, che oggi ha quasi cent’anni di vita e di multifor-me attività, sia diventato uno dei simboli di Trieste: come il faro della Vittoria, come la catte-drale di San Giusto o il canale del Ponterosso. Nel luglio 2011 l’Ursus è divenuto “monumento nazionale”, anche se non è ancora chiaro chisi assumerà i notevoli costi di restauro e di gestione. Queste le sue caratteristiche: mille e 12 tonnellate di stazza, dislocamento a pieno carico2.260 tonnellate, 53,67 metri di lunghezza, 23,95 di larghezza, raggiungeva autonomamen-te la velocità di 4,5 nodi spinto da due eliche. L’equipaggio era di 15 persone: un conduttore, un nostromo, nove marinai, un motorista, unfuochista, un elettricista e un gruista.

Page 99: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 100: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

98

il lavoroChi volesse formarsi un’idea di Trieste, prima della levata del Porto franco (1891)dovrebbe immaginare un fantastico magazzino di mercanzie di ogni specie, dove illavoro di manipolazione, carico, scarico non aveva tregua né giorno né notte. Laprima impressione che avrebbe riportata un osservatore di superficie sarebbe stataquella di trovarsi in mezzo a un piccolo caos mercantile, dove ogni cosa venisse risol-ta dalla combinazione fortuita. È vero che quell’accatastar merci sulle rive, sui moli,nei cortili e lungo le vie; quell’andirivieni di uomini, di carri e di cavalli, poteva gene-rare l’idea del disordine, ciò che era realmente. Ma un disordine regolato da lunga pra-tica ed esperienza da parte di tecnici provatissimi.Dal veliero al transatlantico, dal treno merci all’ultima carrettella spinta a braccia,tutto si muoveva sotto le direttive degli esperti, senza tregua, senza posa come presi daun vortice di una danza tutta febbre. Si può dire che a Trieste allora fossero ignorati ilriposo e l’inerzia. La spinta dall’alto s’irradiava per vibrazione in ogni ambiente. Neigrandi magazzini come nei modesti depositi, nei negozi di lusso come nei botteghinidi stralcio, dalle baracche, sui mercati popolari, fino ai venditori stradaioli ambulan-ti. La città non aveva che un moto: scambio di denaro con merci e viceversa.

(da Trieste che passa 1884-1914 di Adolfo Leghissa)

Page 101: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

99

luogo di febbrile attività mercantile e marinara si trasformò negli anni Cinquantain una sorta di “porto sportivo” dove la pesca fu l’unica attività commerciale emarinara rimasta fino a quando una decina di anni fa la Pescheria non cessò la suaattività e i pescatori furono spostati all’ex Gaslini in Scalo Legnami.

Nelle pagine che seguono alcune delle immagini più significative relative alleattività della pesca e dei pescatori agli inizi del secolo sono della collezione diMario Marzari (1947-2000).

Il suo profondo amore per il mare in tutte le sue declinazioni lo hanno fattoraccogliere, collezionare e studiare nel corso della vita migliaia di volumi, riviste,fotografie, cartoline e disegni.

Acuto indagatore e fotografo egli stesso, Mario Marzari è stato anche curato-re di numerose mostre e allestimenti, autore di libri dal grande valore storicodocumentale e di articoli pubblicati su molte riviste internazionali e corrispon-dente dall’Italia per la rivista specializzata inglese «Classic Boat & The Boatman».

Alla sua morte la moglie Alessandra Festini ha donato al Civico Museo delMare di Trieste l’intero archivio per renderlo fruibile ad altri studiosi e dall’8 giu-gno del 2010 la biblioteca di questo stesso museo è intitolata a Mario Marzari.

il mare di un emporioPer i moli della Sacchetta, per le androne e lungo tutte le Rive lavorava senza tre-gua un’umanità variegata per lingua e professione: stivadori, che avevano il com-pito di caricare la nave senza pregiudicarne la stabilità, piateri che trasportavanole mercanzie su barcacce (peàte), armizzadori che si occupavano di assicurare lanave ai fari d’ormeggio con gomene, carpentieri, alberanti che preparavano leantenne per l’alberatura, pegoloti che preparavano la pece per le carene, sessolotedonne che avevano il compito di sgranare i chicchi di caffé o le granaglie, segatorifalegnami che segavano assi di legno per le ordinate delle navi, fabbri che prepa-ravano le ferramenta (parti in ferro) delle barche, calafai che con stoppa e pecerendevano stagno lo scafo.

Nicolò Tommaseo annota il 2 novembre 1824:

Di nuovo a Trieste risospinto dal tempo… Tra gli ignudi scogli dalmatici, dentro alporto deserto di San Pietro in Nembo, per l’onde del Quarnero, sulle rive ospitali diParenzo, nella terra di Trieste, tra l’imperversar delle stoltizie de’ miei compagni diviaggio, tra il fischiar dei venti, tra il vortice della contumacia triestina ove accor-gonsi genti d’ogni favella, d’ogni abito, d’ogni fede, d’ogni costume, e il Commerciodimena le sue cento lingue, io me ne andavo mormorando sottovoce… Una molti-tudine affaccendata che inonda le vie, un andazzo di mercanti e di meretrici, unbisbigliare di varie lingue, un misto di varii costumi, molta industria, poco impe-gno, molta arte, punto studio, molto moto, poca vita tale è Trieste…

C’era un fermento di attività, un continuo movimento di carri trainati dacavalli o buoi che trasportavano le merci dalle navi ai magazzini sparsi in tutta lacittà o viceversa, ambulanti che vendevano merce di vario tipo, agenti, mediato-ri, procacciatori di affari ecc. Tutti anche se di nazionalità diversa alla fine si com-prendevano usando come lingua franca il triestino.

Con la perdita del Porto Franco nel 1891, la situazione gradualmente mutò. Lerive e la Sacchetta si decongestionarono e tutto il traffico si spostò all’interno delPorto Franco Nuovo. In Sacchetta rimasero le maone che scaricavano sabbia e pie-tre per i lavori di imbonimento o di costruzione di nuove parti della città, le barchedei pescatori o i mercantili che aspettavano il loro turno per poter scaricare lamerce nel nuovo porto o per fare qualche lavoro di manutenzione. Comparvero leprime zattere galleggianti sedi di società sportive per il canottaggio e lo yachting,vennero costruiti i primi bagni pubblici. Lentamente nel corso dell’ultimo secolola Sacchetta da porto principale della città cambiò la sua destinazione d’uso e da

Page 102: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

100

Il Molo GiuseppinoVelieri e vapori ormeggiati al Molo Giuseppino in questa originale fotografia scattata daltetto della Pescheria.

Page 103: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

101

Molo Giuseppino, 1918Scaricatori in attesa accanto a un carro. Uno dei tre facchini ha alla cintura il classico saccoche gli avrebbe protetto il capo, le spalle e la schiena nel caso avesse dovuto sbarcare oimbarcare merce polverosa, sporca e ingombrante.

Page 104: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

102

Il mare vuotoLa Sacchetta è completamente “vuota”. Né piroscafi, né trabaccoli né tantomeno imbarca-zioni a a vela o canoe delle società remiere sono visibili nel ristretto “braccio di mare” ripre-so in modo inusuale, dalla banchina antistante la stazione della ferrovia, in direzione dellacittà. A destra maone e scafi in disarmo.

Page 105: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

103

Chi di noi non ricorda i chioggiotti? Voglio dire: chi di noi, cresciuti sulle coste adria-tiche, non ricorda i pescatori di Chioggia, che, scendendo dai loro bragozzi, si aggira-vano familiarmente sui nostri moli?Era facile riconoscerli, non soltanto dalla parlata, molle e tuttavia non priva di ener-gia, ma anche dal loro modo di vestire: dalle ruvide brache alquanto corte, e dagli zoc-coli soprattutto, che d’inverno essi portavano assieme a grossi calzerotti di lana. C’erarumore di zoccoli sul lastrico dovunque passasse un chioggiotto; e in genere essi gira-vano in due o in tre.Certe sere d’estate, poco dopo il tramonto, quando la luce, impallidendo, durava anco-ra nell’aria, lungo i moli di Trieste, nei pressi della Pescheria e nella Sacchetta, si accen-devano alcuni fuochi. Erano le barche chioggiotte: un fuoco in ogni barca; e, accantoal fuoco, un uomo intento a rimestare la polenta. Polenta e sardelle: era la cena deichioggiotti. Mangiavano raccolti in cerchio sopracoperta, e poi rimanevano lì, chiac-chierando e fumando la pipa, sinché durava la luce, e anche più tardi. Chi passava perdi là, udiva talvolta le loro voci nel buio, accanto all’ultima brace.

(I Chioggiotti di Pier Antonio Quarantotti Gambini, in Luce di Trieste)

Page 106: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

104

A bordoUn momento di pausa per la ciurma, panni stesi ad asciugare sul boma, facce stanche e con-sunte dalla salsedine.

Page 107: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

105

Il pranzoGiovani marinai stanno allegramente consumando il pranzo, alle loro spalle si nota la granquantità di imbarcazioni ormeggiata fra il Molo Sartorio e la riva. A sinistra si intravede lacasetta dei piloti.

Page 108: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

106

Pesca fortunataPescatori rientrati in porto preparano le cassette di pesce da presentare all’incanto inPescheria o forse sperano di venderlo direttamente sui moli.

Page 109: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

107

AlberiUna selva di barche e alberature rientrate forse dopo una notte di pesca, sullo sfondo a sini-stra si intravedono le sedi galleggianti delle società sportive.

Page 110: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

108

Il Molo SartorioSul Molo Sartorio, in primo piano un marinaio osserva i trabaccoli su cui sta lavorando ungruppo di uomini, mentre un manzo pascola tranquillamente, sullo sfondo la Casa Sartorio,a destra si scorge la casa galleggiante sede dello Yacht Club Adriaco.

Page 111: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

109

Occhi, tricolori e stelleC’è uno stretto legame tra questi bragozzi e la Pescheria Centrale. Sulle prue al posto deitradizionali “occhi” le barche esibiscono altrettanti tricolori, con tanto di stemma sabaudo.Sulla facciata della Pescheria i bragozzi in altorilievo, realizzati da Ambrogio Pirovano, alposto degli occhi esibiscono la stella d’Italia. Una provocazione sfuggita nel 1913 alle auto-rità austriache.

Page 112: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

Il Molo Venezia negli anni Trenta In primo piano un bragozzo con un lunghissimo bompresso e le enormi vele. L’equipaggioè a bordo e ha steso i panni ad asciugare su un improvvisato cordino. All’estrema sinistra èriconoscibile la sede di mattoni rossi dell’Adriaco e, sulla destra, sono ben visibili laLanterna e il vaporetto “San Marco” 276 tonnellate di stazza, 49,5 metri di lunghezza,costruito a Monfalcone nel 1911 per la Società di Navigazione a vapore Istria-Trieste. Unpiroscafo sfortunato. Nell’inverno terribile del 1929 mentre navigava tra Isola e Pirano fu

investito da ondate altissime che spazzarono il ponte di comando e trascinarono in mare unmarinaio, morto annegato. Il 9 settembre 1944 mentre era al comando del capitano MilloRassevi e navigava da Umago verso Trieste, fu attaccato da aerei alleati che lo mitragliaronoe lo bombardarono. Il fumaiolo fu dilaniato così come il ponte di comando e a bordo si svi-luppò un devastante incendio. Il San Marco col timone bloccato si incagliò sulla scogliera diPunta Salvore. L’attacco costò la vita a più di 150 incolpevoli passeggeri e marinai.

110

Page 113: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

111

Lussino alla Romagna, a Fiume, a Ragusa gli scafi sono stati del tutto uguali. Fino ai primidecenni del Novecento il trabaccolo ha navigato usufruendo di grandi vele al terzo. Poisubentrarono i primi motori e le eliche mentre i due alberi diventavano sempre più corti.Spariva anche il bompresso, l’albero suborizzontale che sporgeva dalle prue.

Gli ultimi trabaccoliL’acqua in coperta, la pompa di sentina in costante azione, il diesel che borbotta. Uno degliultimi trabaccoli sta attraccando al Molo Venezia con il suo povero carico di sabbia. La foto,scattata nel 1964, racconta il crepuscolo del tradizionale veliero che per più di 200 anni hasolcato le acque dell’Adriatico trasportando merci di ogni genere. Da Trieste a Otranto, da

Page 114: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

112

Legera, Legeron, Vanessa Tre imbarcazioni da pesca triestine hanno esibito questi nomi dipinti sui loro scafi. Gli equi-paggi lavoravano formalmente per cooperative, consorzi, o società non ben definite negliscopi e negli organigrammi perché mutavano di continuo sede e ragione sociale. Certo è chetutte facevano riferimento ad un unico armatore. Si chiamava Toni Lorello, non amavarispettare alla lettera regole e gerarchie; gli appioppavano multe e sanzioni per aver violatoqualche norma sulla pesca, sui punti del golfo in cui calava le reti, sull’uso della nafta superche, lo accusavano, troppe volte finiva anche nei serbatoi di alcune vetture. Era in buonacompagnia in questi “travasi” Toni Lorello e rideva quando citava il nome di un famoso ericco manager di una società di salvataggi, bloccato dalla finanza con due taniche ben stret-te nelle mani mentre usciva dal Pontile Istria per rifornire la sua potente automobile.Toni Lorello pensava e pescava a modo suo. Al termine di una notte infruttuosa, ormeggiòla “Vanessa” al pontile della Siot. Non c’erano petroliere. Fece calare la saccaleva, accese lelampare. La rete si riempì presto di cefali. Guizzanti e abbondanti. Una pesca miracolosa,impossibile in altre zone del golfo invano battute nelle ore precedenti con lo scandaglio acolori. Era quasi giorno quando la “Vanessa” sciolse le cime dall’ormeggio “proibito” del-l’oleodotto. Nessuno l’aveva disturbata nonostante le migliaia di watt delle sue lampare. Laluce intensa attirava i pesci, ma apparentemente non era vista dagli uomini. Un’ora piùtardi i cefali erano al mercato all’ingrosso, ancora ospitato dalla Pescheria Centrale. Anche lìla vendita non subì scossoni o rallentamenti. E l’incasso fu buono, anzi trionfale. I cefali tar-gati Siot finirono nelle rivendite rionali.Dopo alcuni giorni il mistero delle lampare non viste fu chiarito. Quella notte non c’eranoin golfo motovedette di pattuglia. All’epoca, molti, molti anni fa, uno degli uomini della“Vanessa” restava a terra, all’imboccatura della Sacchetta, dove ancora oggi sono ormeggia-ti motoscafi della Guardia di Finanza e dei Carabinieri. Osservava le prue, le contava conattenzione e riferiva a Toni e al suo equipaggio col “baracchino”, se qualcuna stava peravviarsi verso l’agguato. Ovviamente usava un gergo, un linguaggio cifrato. Per evitare laCapitaneria non c’erano invece problemi. In quegli anni i diesel delle motovedette targate“Cp” erano talmente rumorosi che il loro rombo da Barcola raggiungeva il molo Audace, edalla parte opposta quello carboni. Avviandoli all’alba avrebbero svegliato migliaia di perso-ne. Va ricordato che dopo qualche anno quei diesel provvidenziali furono mandati in pen-sione e la “Legera”, il “Legeron” e la “Vanessa” finirono di conseguenza in disarmo. Fermopesca, specie alla Siot.

Trabaccoli e barchettiNell’immagine in alto a destra gli ultimi trabaccoli attraccati alla banchina del Molo Venezianell’aprile del 1964 carichi di sabbia. È il gradino più basso nella scala sociale dei trasporti edei profitti, il canto del cigno di un piccolo veliero che per più di due secoli ha collegato iporti dell’Adriatico. In basso vediamo che sullo stesso Molo Venezia, ma sul lato Nord,attraccavano barche da pesca molto simili al trabaccolo, ma di dimensioni minori. Si chia-mavamo “barchetti” e nei bassi fondali dell’alto Adriatico calavano le reti a strascico, cono-sciute anche come “a tartana”.

Page 115: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

113

Page 116: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

114

Un gesto antico di millenniLe reti da pesca venivano tessute in canapa dalle donne della famiglia o dai più anziani, a cuil’età avanzata precludeva lavori più pesanti. Poi venivano tinte, immergendole nell’acquabollente assieme a pezzi di corteccia di pino. Il tannino conferiva alla canapa un colorebruno rossastro e rendeva le reti più durevoli, preservandole dalla macerazione e dallemuffe. La loro tessitura seguiva regole precise, dettate dalla profondità a cui dovevano esse-re calate. Le reti più leggere, quasi trasparenti, erano usate per i bassi fondali; quelle piùpesanti per le profondità maggiori dal momento che resistevano meglio agli sforzi perriportarle – cariche di pesce – in barca. Ma non basta. Anche le dimensioni delle prede con-dizionavano la larghezza delle maglie. In questa immagine realizzata negli Anni Ottanta sul retro della piscina, un piccolo gruppodi anziani pescatori sta rammendando le reti stracciate durante la notte precedente. Il loroè un gesto antico di millenni, oggi difficile se non impossibile da osservare sulle rive o suimoli di Trieste.

Nelle immagini successive si vede come fino all’epoca della motorizzazione di massa il sel-ciato delle rive della Sacchetta diveniva laboratorio di rattoppo delle reti dei pescatori.Lavorano seduti a terra, in maniche di camicia come mostrano queste immagini di MarioMagajna. Siamo nel settembre del 1950. In fondo vediamo una garrita sulle Rive che ritor-na anche nell’immagine della pagina successiva.

La garritaReti al sole e, dietro la garrita in cemento destinata ai malcapitati finanzieri “comandati” asorprendere contrabbandieri o poveri cristi che durante la guerra cercavano di procurarsi unpo’ di sale, prelevando un fiasco o due di acqua di mare. Quelle garrite, sparse a piene manisulle rive della Sacchetta, ma anche più in là, rappresentavano vere camere di tortura: fornid’estate, frigoriferi d’inverno.

Page 117: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

115

Page 118: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 119: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 120: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

118

Tre tonni Tre tonni congelati vengono sbarcati, appesi per le code, da un peschereccio sul Molo FratelliBandiera dove all’epoca avevano sede i Frigoriferi Generali.

Dalla Sacchetta all’Atlantico Sul suo scafo d’acciaio, a poppa e a prua era scritto “Selene”: questo era il nome del pesche-reccio triestino che negli anni Sessanta assieme al gemello “Oceanus”, calava la propria retea strascico a Nord dei banchi di Arguin, Mauritania, Africa Occidentale. «La rete veniva cala-ta ogni tre ore» spiega Raffaello Moradei, imbarcato sul “Selene” come mozzo di coperta.All’epoca era uno studente del terzo anno dell’Istituto Nautico di Trieste in cui due estati piùtardi si sarebbe diplomato. Ora è un pilota in pensione del Porto di Venezia, non va più permare nemmeno per piacere, e ricorda con tenerezza e ironia quel suo primo imbarco. L’unicodella sua lunga navigazione a bordo di un peschereccio. «La rete restava in mare per un’orae mezzo. Poi veniva salpata e riversava in coperta il suo guizzante contenuto. Noi divideva-mo subito i pesci. Da una parte i pregiati: cernie, palombi, razze, grossi sgombri. Dall’altra icomuni. Finivano tutti in una cella di congelamento a 30 gradi sotto zero. Poi sarebbero staticonservati a meno 18. Buttavamo invece in mare il pesce che non aveva valore commercia-le». I ritmi con cui la rete veniva calata e salpata, 24 ore su 24, sette giorni su sette, condizio-

navano la vita di bordo. «Due ore di lavoro, una di sonno. Ma era un sonno pesantissimo,ristoratore. Avevo 17 anni e non sentivo la fatica. A bordo eravamo in 26 e dormivamoall’estrema prua». «Il Selene era stato costruito in base a un progetto olandese. Credo alNavalgiuliano» racconta Raffaello Moradei. Dalla sua “matricola” conservata in un cassettodella sua bella casa di Rialto, risulta che il “Selene” aveva un stazza di 602 tonnellate, eralungo 56 metri e il suo diesel Man da 1.310 cavalli gli consentiva di raggiungere con l’unicaelica una velocità di 13-14 nodi. «Ma noi durante la pesca andavamo sempre più piano manmano che la rete si riempiva. Non eravamo soli su quella platea continentale. Vedevamoattorno a noi enormi pescherecci giapponesi, coreani e sovietici. Tutti con lo scivolo a poppache agevola i movimenti della rete. Noi invece la salpavamo dal lato sinistro dello scafo. Unatecnica superata. I soldi erano pochi per tutti. Poi capii quale fosse il vero business…». Il verobusiness era rappresentato da decine e decine di casse di sigarette che venivano acquistate aLas Palmas, nella Gran Canaria. Nel viaggio di ritorno a Trieste il “Selene”, al largo diGiulianova, le distribuiva a piccoli pescherecci che venivano sotto bordo. Appuntamentivolanti. Tutto l’equipaggio partecipava all’affare. «L’unico escluso ero io, perché ero al primoimbarco e forse non si fidavano. Sui pescherecci che portavano a terra le sigarette, eranoimbarcati molti parenti di uomini del nostro equipaggio. Un affare di famiglia…».

Page 121: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

119

Page 122: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

120

lo svagoApertura alle ore 5 del mattino nel mese di agosto, alla 6 nel mese di settembre, chiu-sura alle 22 in agosto, alle 20 in settembre. Nel caso il mare fosse agitato e minacciassela sicurezza dei bagnanti, lo stabilimento verrà immediatamente chiuso per essereriaperto a pericolo cessato. È vietato bagnarsi fuori dai luoghi a ciò destinati. Ibagnanti devono indossare almeno mutande i maschi e le femmine una vestaglia.Soltanto bambini accompagnati, possono accedere al reparto donne. È vietato con-durre cani, cavalli e altri animali. Sono rigorosamente vietati canti e schiamazzi, illancio dei sassi e ogni altro atto molesto o pericoloso per la sicurezza delle persone.

Imperial Regia Direzione di Polizia

Page 123: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

121

i bagni pubbliciIl clima di Trieste, checché ne sia stato detto, deve chiamarsi buono. L’aria vi è pura,amena la posizione e, dopo l’apertura della ferrovia anche quella polvere di cui ci silagnava tanto, per il frequente passaggio dei rotabili sulla nuova strada di Opicina,si è diminuita di molto. L’acqua del nostro mare è ottima, limpidissima, e contienetutti i principi che sono utili per quelli che hanno bisogno di prendere i bagni dimare. Furono stabilite varie galleggianti all’uopo.

(da Tre giorni a Trieste di P. Formiggini, P. Kandler, P. Revoltella e G.B. Scrinzi)

Per i triestini, come giustamente sostiene Mauro Covacich nel suo Trieste sottoso-pra, a Trieste il mare è semplicemente un lato della stanza, ti alzi al mattino e saidov’è, stai dove stai e sai che c’è. Viene percepito in modo diverso da qualsiasialtra città o località balneare, qui c’è più prossimità, più confidenza con il mare,non a caso si dice “andar al bagno” per indicare che si va al mare, quasi a dire chesi va scalzi o al massimo in ciabatte in un luogo prossimo, vicino, familiare e nonsolo fisicamente

Fin dagli inizi dell’Ottocento c’era per i triestini la consuetudine di fare ibagni di mare, esistono testimonianze nelle cronache cittadine di bagnanti pre-senti lungo la riva di Sant’Andrea e alla base esterna (verso il mare aperto) delMolo Teresiano.

Il primo bagno pubblico fu Il soglio di Nettuno, un bagno galleggiante dall’aspet-to elegante e imponente, aperto nel 1824 in Sacchetta nei pressi del MoloGiuseppino a cui si accedeva attraverso una passerella. Dotato di molti comfort,offriva alla sua clientela – per la maggior parte borghesia italiana e tedesca – cabineper spogliarsi, vasche per immersione con acqua calda e fredda, un servizio di caf-fetteria e addirittura una mostra di flora e fauna marina. Il successo dell’iniziativa fuenorme e molti imprenditori seguirono l’esempio. Poco dopo, infatti, aprì il BagnoBuscaglia (in seguito Buchler) posto proprio in centro città di fronte a PiazzaGrande: lo si poteva raggiungere con un vaporetto, aveva una struttura completa-mente smontabile e d’inverno soggiornava a ridosso del Molo Teresiano inSacchetta. Fra tutti però, il più bello, il più grande e il più famoso fu il Bagno Mariarealizzato nel 1858 dai cantieri Strudthoff e posizionato davanti all’Hotel de la Ville.

Ma le strutture galleggianti purtroppo si sa sono alla mercé degli elementi e,infatti, scomparirono tutte dopo la terribile mareggiata del 1911.

Anche la Marina, attenta alla salute dei suoi militari, costruisce nel 1830 unostabilimento galleggiante ancorato verso la Lanterna, la Scuola Militare di Nuoto,

“Al bagno”Donne si apprestano a prendere il sole al Bagno Militare, sullo sfondo la Lanterna e la tet-toia in legno dell’omonimo bagno. Nella foto sotto uomini placidamente immersi in acqua.Uomini e donne erano separati e avevano a disposizione due zone diverse dello stabilimen-to e guai a contravvenire al regolamento. Oggi questa divisione è sopravvissuta solo allo sta-bilimento alla Lanterna, meglio conosciuto come “Pedocin”.

Page 124: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

122

Il Bagno FontanaFine ’800, la sontuosa facciata del Bagno Fontana. Il bagno venne demolito di lì a pochi annidurante i lavori di ampliamento delle Rive.

Nella foto panoramica della pagina accanto, realizzata da Giuseppe Wulz negli anni Novan -ta dell’Ottocento, si nota davanti alla Lanterna il Bagno Fontana e, tra i binari, le cataste diquello che fu lo scalo legnami.

all’inizio riservato solo ai militari, ma poi ristrutturato e ampliato viene frequen-tato anche dalla buona società austriaca.

Verso la fine dell’Ottocento si ha l’apertura del primo bagno popolare,all’estremità del Molo Teresiano, mentre alla sua radice, nel 1890, ne viene eret-to un altro, il Bagno Fontana, destinato ad una clientela borghese che poteva per-mettersi di pagare un biglietto e la corsa del tram a cavalli che lo collegava con lacittà. Questo stabilimento però ha vita breve, scompare, infatti, con i grandi lavo-ri di sistemazione del Porto agli inizi del ’900, che prevedevano fra l’altro anchel’ampliamento delle Rive da Riva Grumula alla Caserma di Marina (ex LazzarettoVecchio) e Campo Marzio con la costruzione della Stazione Transalpina.

Il problema dei bagni pubblici però non viene accantonato dal governo dellacittà che anzi pattuisce una convenzione con l’Imperial Regio Governo Marit -timo con la quale il Comune si garantiva – in virtù anche dell’aumento dellapopolazione – una porzione di riva maggiore del Molo Teresiano, (ex zona scalolegnami, verso il mare aperto) da destinare a bagno pubblico o da dare in conces-sione a privati. Così nasce il nuovo popolare Bagno alla Lanterna, originariamen-te una struttura in legno, negli anni ’30 eretta in calcestruzzo.

Nel 1909 nasce il Nuovo Bagno Militare posizionato alla base del Molo Tere -siano verso Sant’Andrea, costruito su una struttura di legno a palafitte, lungo 40e largo 43,5 metri, con un’altezza di 3 metri sopra la media bassa marea. Dotatodi 120 cabine, di una vasca di 15 per 30 metri per nuotatori provetti, di due vaschepiù piccole per i meno esperti e di una zona riservata alle donne. Lungo il pontiledi accesso che misurava ben 86 metri, c’erano due sale d’aspetto, buffet e servizi.L’accesso era libero tranne che negli orari riservati ai militari. Nel 1919, dopo laGrande Guerra, lo stabilimento è messo all’asta e acquistato nel 1920 dal cavalierBartolomeo Vigni che s’impegnò a cambiare denominazione da Bagno Militare aBagno Savoia.

Nel 1932 il bagno subisce una totale trasformazione sul progetto dell’architettoFranceschina, le vecchie strutture di legno sono sostituite con un’opera in calce-struzzo e cemento armato, le cabine diventano 400, viene dotato di un servizioristorante, di un guardaroba, di parcheggi e secondo il regolamento vigente di bagni-no munito di imbarcazione per qualsiasi operazione di salvamento, inoltre, cosaalquanto curiosa, di un macchinario per la respirazione artificiale per gli asfittici.

Page 125: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 126: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

124

Il Bagno MilitareIn questa immagine scattata dalla Lanterna, si vede in primo piano il primo Bagno Militare.A destra alcuni bagnanti. Lo stabilimento sarà demolito agli inizi del ’900 durante i lavoriper l’ampliamento del Molo Teresiano.

Page 127: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

125

Il Molo TeresianoDecine e decine di tronchi d’albero accatastati dicono che la banchina veniva usata comescalo legnami. Sulla sinistra sono visibili i binari di un raccordo ferroviario.

Page 128: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

126

Il Bagno Militare e la Lanterna In quest’immagine realizzata nel 1902 si nota l’ampia area libera alla base del faro, oggi alcontrario circondato, quasi asfissiato, da magazzini, caserme, depositi, parcheggi.

Page 129: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

Il Bagno Militare A pochi metri dalla Lanterna, accanto al Bagno Fontana, si sono gettati in mare con i panta-loni rimboccati sopra il ginocchio. Scopo evidente quello di raggiungere l’estremità dellastaccionata e buttare l’occhio dall’altra parte. Cosa realmente attirasse questi giovani non ècerto, comunque nel 1904, quando questa foto è stata scattata, la separazione tra uomini edonne in riva al mare era tassativa.

127

Page 130: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

128

l’ausoniaAd una distanza di circa 37 metri dal Bagno Savoia e a 19 metri dalla Riva Traianasorge nel 1935 il Bagno Ausonia. Realizzato in cemento armato con le più moder-ne tecniche di costruzione e tra le prime realizzate in Italia con il metodo dei pilo-tis (piloni tipo palafitte che permettevano di far partire la costruzione dal primopiano lasciando libero il piano terra) il nuovo stabilimento doveva offrire alla suaclientela quanto di meglio si poteva avere per lo sport e per la cura del corpo, siamoin pieno “ventennio” e la pratica dello sport è uno dei pilastri su cui poggia tuttal’ideologia fascista.

Il progetto, infatti, prevede ampi spazi per le attività ginniche dotati di tutti ipiù moderni attrezzi, una vasca di 50 metri per praticare il nuoto con tanto di sca-linate e tribune per assistere alle gare, trampolini di 3, 5, e 10 metri.

Nel 1936 il Savoia e l’Ausonia vengono unificati e diventano lo StabilimentoAusonia. Negli anni svolse a pieno le sue funzioni di polo sportivo e ospitò iCampionati Nazionali di Nuoto femminile nel 1938, 1941, 1947 e il Campionato diNuoto Maschile nel 1939 con grande partecipazione di pubblico poiché molti deinuotatori erano triestini. Oltre allo sport c’era anche altro, possiamo dire infattiche l’Ausonia sia stato una sorta di beauty farm ante litteram: lo stabilimentooffriva parrucchiere, callista, un servizio di massaggi, bagni terapeutici seguiti daun medico, solario riservato alle donne che volessero prendere il sole “integrale”e ancora, per chi volesse passare tutta la giornata al mare, non mancavano un ser-vizio ristorante e sale di servizio. Insomma uno stabilimento modello che potevaospitare fino a 2000 persone.

Nel 1953 a causa di una fortissima mareggiata le strutture subiscono gravidanni in seguito ai quali vengono fatti ulteriori lavori di ristrutturazione e amplia-mento.

Per oltre mezzo secolo è stato uno degli stabilimenti più amati dai triestiniintere generazioni hanno imparato a nuotare, a tuffarsi, hanno flirtato, ballato,passato giornate intere. Poi lentamente la struttura per incuranza e mancanza dimanutenzione ha iniziato a cedere, tanto che nel 1995 il trampolino di 5 metri èprecipitato in acqua con una decina bagnanti: per fortuna in quel momento nonc’era nessuno che nuotava sotto…

Oggi è in gestione a una cooperativa, sono state demolite tutte le cabine inlegno e della struttura rimangono solo la piattaforma, la vasca natatoria e il sola-rium ma è ancora affollatissimo e amato dai triestini.

Una giornata d’agostoIn questa e nelle pagine successive una serie di fotografie che mostrano lo StabilimentoAusonia all’apice del suo fulgore. Le foto a pagina 130 sono state fatte nell’agosto del 1936,mentre quella grande è stata scattata nell’agosto del 1937. Si vede bene la struttura deitrampolini che culminava con un orologio. Una curiosità: tutte le immagini sono state scat-tate attorno a mezzogiorno.

Page 131: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

129

Page 132: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

130

Page 133: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

131

Page 134: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

132

All’Ausonia, anni ’50Sane e sportive “mule” triestine fanno bella mostra di sé in vari momenti di una giornatapassata allo stabilimento. Il momento della doccia gelata dopo un tuffo in mare o mentre siapprestano a tuffarsi sotto lo sguardo ammirato dei ragazzi. Negli anni ’50 era ancora inte-gra la struttura dei trampolini, oggi non più esistente. La piattaforma raggiungeva i diecimetri di altezza, quella intermedia i cinque.

Page 135: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

133

Page 136: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

134

“El pedocin”Una veduta aerea della Lanterna ai giorni nostri, l’affollato “Pedocin”, l’Ausonia e sullo sfon-do i pontili della Lega Navale. A destra una suggestiva immagine del Bagno alla Lanternache sembra quasi rievocare le parole della bella canzone di Enrico Ruggeri Il mare d’inverno(«Il mare d’inverno, è solo un film in bianco e nero visto alla tv. E verso l’interno, qualchenuvola dal cielo che si butta giù… Passerà il freddo e la spiaggia lentamente si colorerà…»).

pedocinDa sempre la zona preferita dai triestini per fare il bagno era quella lungo il MoloTeresiano intorno alla Lanterna. Verso la fine dell’Ottocento sorse un bagnopopolare vicino al Bagno Fontana, era una struttura in legno senza alcun serviziotanto che se volevi appendere i tuoi vestiti dovevi portarti un chiodo e batterlosulle travi, da cui il suo primo nome: Ciodin.

Con i lavori di sistemazione del porto all’inizio del ’900 anche questo stabili-mento come il Bagno Fontana fu smantellato. Una volta conclusi i primi lavori diristrutturazione del Molo Teresiano il Comune riuscì a farsi concedere uno spazioancora più ampio del precedente e vi eresse il nuovo Bagno alla Lanterna, unastruttura con una lunga tettoia in legno che fungeva anche da spogliatoio, recin-zioni che arrivavano fino al mare e uno steccato che divideva la zona riservata alledonne e ai bambini da quella riservata agli uomini, con tanto di bagnino munitodi barca. Il nuovo bagno fu subito affollatissimo tanto da meritarsi il nome diPedocin (un tacà all’altro come i pedoci); in realtà sull’origine del nome ci sonovarie interpretazioni: il bagno era frequentato all’epoca anche da molti soldatiche erano infestati dai pidocchi.

La divisione fra uomini e donne all’interno dello stabilimento era rigorosa,tanto che chi sconfinava doveva vedersela con la polizia; anche l’abbigliamentodoveva essere consono e adeguato: mutande da bagno per gli uomini e “vestaglia”per le donne.

Negli anni ’30 viene completamente ristrutturato con opere in calcestruzzo elo steccato divisorio diviene un muro.

Da allora il bagno più amato dai triestini non è cambiato per nulla. Il muro divi-sorio esiste ancora e guai abbatterlo, i triestini sono gelosi della loro privacy. Nellaparte delle donne si continua a stare come “pedoci”, mamme e nonne con bambi-ni, che a mezzogiorno cominciano a tirar fuori dalle borse sardoni o fetine impana-de, commesse e impiegate che rubano l’oretta della pausa pranzo per farsi il toc’(tuffo) quotidiano, le “vecchie habitué” con la pelle come il cuoio che iniziano lastagione con il primo sole, alle quali, se per caso rubi il posto abituale, devi alzartie lasciarglielo perché loro – le habitué – hanno il loro posto da… decenni ormai.

Page 137: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

135

Quando il bagno era deserto con le docce tristi imbiancate di calce che si susseguivanosu una sola riga coi loro cannelli asciutti, scendevano i soldati. Pareva essere tutto sereno intorno: a quell’ora non c’era più nessuno dei bagnanti delmezzogiorno.La spiaggia era divenuta grigia e azzurra, lontana, con la città fumosadi ciminiere e di fabbriche dietro la Lanterna.Scendevano i soldati coi loro grossi vestiti di lana verde pregni di polvere e di sudore: sispogliavano lentamente al riparo del vento liberandosi con un respiro di sollievo dellagiubba e delle fasce alle gambe: immergevano i piedi nell’acqua. Erano bianchi e affaticati. Sulla spiaggia verso le otto comparivano gli operai del can-tiere con un disegno di sole sul petto fin dove arriva la camicia, il resto del corpo palli-di, con le vene delle braccia in rilievo: qualcuno aveva dei tatuaggi, ma solo chi era statoun tempo marinaio. Allora avevano il desiderio e il coraggio di spogliarsi per un bagnoanche due uomini con le barbe lunghe e nere che sembravano ebrei: erano vestiti di

panno grosso, con cappelli rotondi sul capo, neri. Sceglievano un posto isolato sulla rivaa sassolini chiari, spiccavano da soli come due fantocci. Il vento li faceva gonfi nellecamicie e ne uscivano con due braccetti magri ed esangui, con un petto su cui stavaappuntato un giustacuore. Non si immergevano mai com pletamente, neanche abagnarsi la barba, e conservavano il cappello sulla testa come a riparare una cosa pre-ziosa. Forse erano due preti israeliti: né qualcuno a quell’ora avrebbe potuto meravi-gliarsi della loro prudenza.Passava il vaporetto di San Nicolò con le musiche allegre dei gitanti e dei forestierinelle cabine gialle di luminarie: allora le ondate scompigliavano gli esuli bagnantidella Lanterna. Quando il San Nicolò aveva superato il faro tornava l’azzurro plum-beo del cielo a calmare le acque.

(da Una patria da trovare di Graziana Pentich in Scrittori triestini del Novecento)

Page 138: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

136

1931 la Filonautica Triestina cambia nome e diventa la Società Triestina della Vela.Negli anni ’30 all’Adriaco iniziano a far capolino nomi che poi entreranno nellastoria della vela: Tito Nordio, Luigi de Manincor, Carlo Strena, Mario Salata, GinoPaolin, Gino Natali, Bruno Pancrazi, Gabrio de Szombathely, i fratelli Moscovita,Giorgio Machne, Nico Rode, Pietro Gorgatto. Nel 1936 all’Olimpiade di Kiel, Luigide Manincor e Mario Salata fanno parte dell’equipaggio del 8 m. S.I. Italia chevince l’oro. In Sacchetta iniziano a veleggiare le prime Star. Tito Nordio, MarioSalata, Nico Rode diventano i protagonisti indiscussi di questa nuova classe. Lastagione fortunata continua anche nel dopoguerra. Nico Rode fa coppia fissa conStraulino sulla Star e diventano leggenda. Sergio Sorrentino partecipa alleOlimpiadi nella classe Dragoni. Ottaviano Danelon, Bruno Dequal, Franco deDenaro, Carlo Lapanje, Claudio Toffaloni primeggiano nelle Star.

La Triestina della Vela in quegli anni consolida le basi dell’associazione anchegrazie alla forte personalità dei suoi primi dirigenti. Riccardo de Haag (Barbanera),Paolo Pupis, Marsilio Vidulich solo per citarne alcuni sono stati capaci di coinvol-gere nel loro progetto decine di soci, entusiasmandoli e motivandoli. In questomodo il circolo cresce e si radica nel territorio.

Di storia della vela, della marineria e della cantieristica si occupal’Associazione Marinara Aldebaran, nata nel 1951. L’associazione per un periodo èstata ospitata all’interno del Civico Museo del Mare; ora la sua sede è posta sulMolo Fratelli Bandiera, in un edificio a pochi metri dalla Lanterna.

Non ha pontili, non possiede imbarcazioni, non organizza regate, ma la suaattività influenza l’ambiente culturale e marinaio non solo cittadino. Il suo “teso-ro” è rappresentato da una biblioteca con più di 4.000 volumi dedicati alla storia,alla cantieristica, alle società di navigazione. Sono conservate nell’archivio anchemigliaia di fotografie e centinaia di documenti e progetti.

Negli anni ’50 Paolo Pupis, assieme ai presidenti delle società di canottaggio,riesce a portare a termine la costruzione del Pontile Istria su cui il 22 gennaio1956 viene inaugurata anche la nuova sede della società.

La Sacchetta con la costruzione della piscina e del Pontile Istria diventa unvero porto sportivo. Nel suo bacino ancora libero dai pontili, galleggianti e non,bordeggiano le derive degli allievi dei due circoli velici che iniziano a cimentarsiin questo sport. Diventa una sorta di palestra, dove provare i primi bordi, le primestrambate, le prime regate, e poi finalmente prendere il largo.

Alla Triestina della Vela si punta molto sull’addestramento teorico e pratico deigiovani. Sin dal 1948 vengono attivati i primi corsi. Il direttore sportivo Mario

andare a velaIl primo, lo Yacht Club Adriaco, nasce il 21 marzo 1903 da un incontro di appassio-nati velisti e ferventi irredentisti tenutosi nel lussuoso Hotel de la Ville sulleRive. Di sicuro le tendenze politiche dei fondatori erano note al governo austria-co e fu per questo che furbescamente come primo presidente fu scelto il coman-dante della Marina Militare Austroungarica Vittorio Bousquet. L’autorizzazioneda parte del Governo, arrivò, senza intoppi, il 31 marzo 1904. La sede fu posta abordo di un vecchio “pielago” ormeggiato in Sacchetta mentre le imbarcazionidei soci avevano ottenuto il permesso di ormeggiarsi lungo il Molo Sartorio. Nel1907 la prima regata, percorso Trieste-Miramare e ritorno che si conclude con lasfilata delle imbarcazioni davanti al Molo San Carlo (oggi Molo Audace) assiepa-to di spettatori ammirati.

Nel 1912 viene ormeggiata in Sacchetta,nello spazio oggi occupato dal PontileIstria, la nuova sede galleggiante costruita dal cantiere Voltolina di Muggia.

Dopo l’intermezzo drammatico e sanguinoso della Prima Guerra Mondiale laSacchetta ritorna ad animarsi. L’Adriaco riprende l’attività sportiva e “poiché nontutti possono essere soci dello Yacht Club Adriatico” come recita la lettera diautorizzazione della Prefettura, il 2 luglio 1923 nasce dall’idea di nove amici riu-niti al Caffè Tommaseo, la Filonautica Triestina. È una nuova associazione aper-ta a tutti gli amanti del mare e dello sport della vela. La sede viene fissata su unavecchia brazzera ancorata in Sacchetta. Il successo dell’iniziativa è immediato, leadesioni alla nuova associazione si moltiplicano. La brazzera a breve scadenzanon sarebbe stata più in grado di accogliere tutti i soci. Ma proprio in quegli annilo Yacht Club Adriaco per gli stessi motivi di sovraffollamento aveva avviato lacostruzione di un’ampia palazzina in mattoni rossi, in testa al Molo Sartorio. Il 4novembre 1925 con una solenne cerimonia e con tanto di sfilata delle barchesociali nel bacino San Giusto, il presidente Antonio N. Cosulich inaugura la nuovasede dello Yacht Club Adriaco.

Nel 1925 la Filonautica Triestina acquista la vecchia casa galleggiante e ne fala nuova e più consona sede al suo numero crescente di soci.

L’attività sportiva dei due circoli anima la Sacchetta. Frequenti le feste, i ritro-vi e le regate di Cut Boat e Passere Lussignane. Gli eleganti scafi dei 6 o 8 m. S.I.degli armatori dell’Adriaco fanno bella mostra di sé lungo la banchina del MoloSartorio, e raggiungono importanti risultati sportivi. Nel 1926 per la prima voltal’Adriaco organizza una regata di 6 m. S.I. per soli equipaggi femminili. Mentre nel

Page 139: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

137

4 novembre 1925 Sfilata delle barche sociali in Bacino San Giusto per l’inaugurazione della nuova sede delloYacht Club Adriaco.

Page 140: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

138

Sfilata nel Bacino San Giusto L’inizio della sfilata nel Bacino San Giusto e il Molo Sartorio addobbato a festa per l’inaugu-razione della nuova sede sociale dello Yacht Club Adriaco.

Page 141: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

139

tenni, un appuntamento imperdibile per i “vecchi lupi di mare”; la CoppaSciarrelli (YCA) dedicata al designer scomparso nel 2006; il Trofeo città di Trieste(YCA) manifestazione che richiama da tutta Italia bellissime imbarcazioni d’epo-ca; il Nastro Azzurro (STV), la Marinaresca (STV), il Piccolo Nastro Azzurro (STV),la Coppa dei due Fari (LNI), la Trieste-Grado-Trieste (LNI), la Coppa d’Inverno(LNI), solo per citarne alcuni.

Nel 1995 la Triestina della Vela decide di ristrutturare la sede sociale per ren-derla più funzionale e moderna. L’anno successivo viene scelto il progetto delconsocio Umberto Wetzl. I lavori finiscono nel 2000.

Anche lo Yacht Club ristruttura e amplia la sua palazzina di mattoni rossi.Viene scelto il progetto dell’ingegner Dino Tamburini e, dopo un iter burrascoso,finalmente nel 2005 la nuova sede viene inaugurata.

Nel 2009 la Lega Navale inaugura la palazzina servizi, nuova ala della sua sedesociale.

I circoli continuano a crescere: lo Yacht Club Adriaco raggiunge la quota di800 soci; la Triestina della Vela quasi 700; la Lega Navale più di 600.

La Sacchetta oggi è un vero porto sportivo. L’impegno e la dedizione di chi hafondato e animato questi circoli nel corso degli anni ha raggiunto risultati chesono sotto gli occhi di tutti.

Ne possono essere fieri Gabrio de Szombathely, l’attuale commodoro YachtClub Adriaco, in carica dal 1999, e Giorgio Brezich commodoro dal 2011 dellaTriestina della Vela.

Finozzi si mette d’impegno e i risultati si vedono negli anni a seguire. Atleti comeGiorgio Brezich, Franco Ostoich, Giorgio Giani, Piero Napp, Giuseppe Terdo -slavich, Giorgio Radin, Giorgio Ferin, Pietro Barcia, Bruno Catalan, Arrigo Fonda,Roberto e Vincenzo Distefano, conquistano per vari anni consecutivi il titolo ita-liano juniores delle classi giovanili.

Ma non bisogna dimenticare neanche l’apporto dei soci come BrunettoRossetti, armatore del mitico “Nibbio”, sul quale hanno regatato generazioni digiovani allievi, o Lucia Giurco “Lucetta” armatrice di “Lucy” e “Susan Joy”. Bastasentire come Lucetta si autodefinisce: «una vita per vela e per la Vela», per capireil sentimento che univa e unisce queste persone e che ambiente hanno creatotutt’intorno a sé.

Arrivano gli anni ’60 e dalla Sacchetta partono barche alla volta delle coste dal-mate dove si può nuovamente navigare per diporto. L’Adriaco organizza la Trieste-San Giovanni in Pelago (un isolotto posto davanti a Rovigno d’Istria), e le regated’altura Transadriatiche sono molto frequentate. Nel 1960 si disputa la prima edi-zione della Coppa Nordio (in onore del campione scomparso nel 1959): la sededell’Adriaco e il Molo Sartorio sono letteralmente invase per tre giorni dalle Star.

Dagli anni Settanta in poi nuove generazioni di atleti hanno raggiunto impor-tanti risultati in campo agonistico, come Guglielmo Danelon, Giuseppe Moletta,Gianfranco Noè, Roberto Vencato e Roberto Sponza, Fabio Apollonio, MarinoVidulich, Dani De Grassi, Franco Cittar, Marco Penso, Lorenzo e Marco Bodini,Emanuela Sossi, e molti altri: basta guardare il palmares dei due circoli fino alleultime vittorie di Elena Pesle, Francesca Pitocco, Giulia Pinolo, Chiara Calligaris.

Negli anni Ottanta la Triestina della Vela decide di mettere ordine in Sac -chetta. Sono troppo numerose le imbarcazioni ormeggiate nello specchio d’acquaantistante la sede, la situazione rischia di diventare critica per uscire in mareaperto e pericolosa in caso di maltempo. Così si decide di costruire dei pontili el’operazione, molto dispendiosa, si conclude nel 1981.

Alla fine degli anni Ottanta fa la sua comparsa in Sacchetta la Lega Navale.Ottiene la concessione per ancorare all’estremità del Molo Fratelli Bandiera i suoipontili galleggianti e nel 1989 inaugura la sua sede nautica. Fra il 1990 e il 1992restaura la storica Lanterna e ne fa la sua sede sociale. Un nuovo circolo nauticoha come base lo specchio d’acqua della Sacchetta, inizia un’attività che allo sportaffianca la diffusione della cultura marinara.

I circoli della Sacchetta continuano la loro attività organizzando manifesta-zioni di rilievo come la Coppa Banfield (YCA), originale regata per ultrasessan-

Page 142: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 143: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

141

Verso CapodistriaBarche a rimorchio verso una regata a Capodistria. Facce allegre in primo piano, e sullo sfon-do l’infilata di scafi e vele.

Emo TarabocchiaEquipaggio in posa a bordo del 8 m. S.I. “Emo Tarabocchia”, donato all’Adriaco dal conteEttore dalla Zonca nel 1920. Prima di assumere il nome del volontario triestino morto nel1915 sul Podgora vestendo la divisa dell’esercito italiano, il cutter si chiamava “Marietta”.

Page 144: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

142

La Triestina della Vela, 1928Casa galleggiante della Triestina della Vela nel 1928: è l’ora delle pulizie e uno zelantenostromo gratta con vigore il ponte sotto lo sguardo divertito dei suoi amici.

Page 145: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

143

Aprile 1929 Un’insolita veduta del bagno Lanterna con in secca sulla spiaggia derive e barche probabil-mente il giorno prima di una regata.

Page 146: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

144

Carlo Sciarrelli e la SacchettaNon possiamo parlare di Adriaco, vela o Sacchetta senza accennare a Carlo Sciarrelli, classe1934. Questo incredibile e particolare personaggio frequenta fin da ragazzo l’Adriaco egirando per i moli rimane affascinato dalle barche, dalle loro forme e da come scivolano sul-l’acqua. Ancora ragazzo inizia a bordeggiare per la Sacchetta per impadronirsi dei segretidella navigazione. Ma non basta, vuole capire il comportamento degli scafi in mare. Iniziacosì un percorso di conoscenza e formazione puntiglioso e maniacale che lo porterà a pro-gettare fra gli scafi più belli e armoniosi degli ultimi quarant’anni della storia dello yachting.Tutta la sua opera di yacht designer infatti, è stata connotata dalla ricerca della bellezza. Daprofondo conoscitore dei classici quale era, puntava alla sintesi perfetta tra armonia edequilibrio delle forme e funzionalità. «Il bello non è nuovo, il nuovo non è bello» soleva dire. Nel 1960 la sua prima barca, l’“Anfitrite”, vince quasi tutte le regate alle quali partecipa.Inizia così la sua storia di progettista, architetto, yacht designer. Nella sua vita ha progetta-to circa 140 barche e dai suoi progetti sono state realizzate in tutto il mondo più di 400imbarcazioni. All’Adriaco e alla Vela fanno e hanno fatto tanta bella mostra di sé molti scafiprogettati da Carlo Sciarrelli come “Andromeda”, “Attica”, “Athena”, “Isabella”, “Nababbo”,“Tiziana IV”, “Mon Ile”, “Stella Polare” e “Shahrazad” solo per citarne alcune. Barche chenon ci stancheremo mai di ammirare. Nel 2003 riceve la Laurea ad Honorem in Architettura dall’Università di Venezia e nellostesso anno gli viene conferita la civica benemerenza dal Comune di Trieste con la seguen-te motivazione: «per aver contribuito con la sua opera a diffondere in tutto il mondo il valo-re e il nome della città di Trieste e la sua tradizione per lo yachting. Le sue creazioni hannoavvicinato la progettazione dell’architettura navale alle soglie dell’arte».Lo Yacht Club Adriaco ricorda il grande progettista scomparso nel 2006 con la CoppaSciarrelli che viene disputata ogni anno ai primi di ottobre.Carlo Sciarrelli. Architetto del mare era il titolo della mostra con la quale Trieste gli ha resoomaggio nel 2007; e lo stesso titolo ha il volume uscito in questa collana che ripercorre levicende di questo intelligente frequentatore della Sacchetta.Nell’immgaine lo vediamo al lavoro allo scafo dell’“Anfitrite” davanti alla sede dell’Adriaco.

MenigoNell’immagine a destra il nostromo dell’Adriaco “Menigo” al lavoro mentre pittura lo scafodi una barca.

Page 147: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

145

Page 148: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 149: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

147

Zio Toti e “Giorgetto”Giorgetto Brezich con lo “zio Toti”, un anziano nostromo: sono fotografati nei primi anniCinquanta a bordo di una piccola imbarcazione ormeggiata alla zattera della CanottieriTrieste. “Zio Toti” era un vero artista nella realizzazione delle “impiombature” di cime ecavi. Anche d’acciaio. I proprietari delle barche a vela lo cercano per affidare alla sua arte leestremità dei cavi da chiudere ad anello. Impiombare un cavo è infatti tutt’altro che facile.Serve forza, intuito, esperienza perché bisogna fondere la fune dentro ai capicorda, pres-sandola in modo tale da non farla più sfilare sotto sforzo. Anzi maggiore è lo sforzo più sicompatta l’impiombatura. “Zio Toti” in questo era un re. Sullo sfondo vediamo la Lanternadipinta a righe dal Governo Militare Alleato.

Un ammiraglio in SacchettaTino Straulino, campione olimpico e comandante della Vespucci, in Sacchetta nel pozzettodi Merope III nel 1959, quando al XXI Campionato Italiano Star con Francesco Lapanjevince il titolo italiano per la dodicesima volta. Sullo sfondo si nota la stazione di serviziodell’Aquila (oggi Stazione Rogers) nella sua veste originaria prima delle modifiche deglianni ’70 e ’80.

Page 150: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

148

“Arma e vai!”Questo scrive Straulino nel suo libro. Ecco i giovani allievi della Vela fotografati mentrearmano le loro derive. Fin dal 1946 la società organizza corsi di addestramento teorico e pra-tico per i ragazzi che vogliano avvicinarsi a questo sport. I nuovi allievi imparano a «sentireil mare, a leggere sulla sua superficie il vento, ad assecondare gli elementi e a non opporsiad essi. Devono conoscere la barca e sentirne l’anima, ed essere tutt’uno con lei. Solo cosìpotrai sapere come risponderà ai tuoi comandi, e né lei, né il mare ti tradiranno mai. Solocosì si può diventare un vero marinaio» (Tino Straulino in Arma e vai!).

Page 151: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

149

Page 152: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

150

Trieste-IsolaTraguardo di partenza della regata Trieste-Isola, 16 giugno 1929. Con passere lussignane eCut in Sacchetta. I Cut sono barche di derivazione americana, dallo scafo largo con la poppatagliata (cut, tagliata appunto), senza slancio, dotate di un solo albero posto molto a prua,l’armo quindi disponeva della sola randa.

Allenamento in Sacchetta La specchio d’acqua della Sacchetta prima della posa dei pontili era la palestra ideale per ini-ziare a praticare lo sport della vela.

Coppa Fernetto, 1967Di bolina, con i muscoli tirati per lo sforzo, facendo bordo all’ultimo momento prima dischiantarti sulla sponda per vedere se hai coraggio. Due allievi sulla deriva in Sacchetta.Sullo sfondo vediamo a sinistra la sede della Vela, Casa Stabile e all’estrema destra StazioneRogers, che nel momento in cui è stata fatta la foto era ancora una stazione di servizio, nonpiù dell’Aquila ma della francese Total.

Finn e SnipeNella pagine successive due belle e insolite immagini della Sacchetta. A sinistra Finn eCadet che si accingono a prendere il mare per le regate, a destra la spiaggia del Bagno allaLanterna invaso da Snipe e Flying Dutchman.

Page 153: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 154: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 155: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

153

Page 156: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

154

canottiereFieri dei muscoli del loro torace, dei bicipiti e dei quadricipiti. Lucidi di sudore,elastici, eleganti, con gli occhi che guardano lontano. L’iconografia del canottiereagli inizi del Novecento deve rispondere a questi canoni estetici. Un paio di baffia manubrio, un berretto da marinaio completano il ritratto. Trieste è all’apicedella sua fortuna commerciale, secondo porto del Mediterraneo alle spalle diMarsiglia. Piroscafi e velieri, ferrovie e magazzini, facchini e operai, commercian-ti e funzionari. Tutti sudditi austriaci ma di sentimenti politici e nazionali moltodiversi. Talvolta opposti.

Nelle acque del golfo remano e sudano soci e atleti della Ginnastica Triestina,dell’Adria, del Rowing Club, della Società operaia Triester Arbeiterverein. I primiguardano a Roma, i secondi non rinnegano i fondatori della loro società, ricchicommercianti di Amburgo calati sulle rive dell’Adriatico. Due sono invece leanime dei canottieri del Rowing: chi si riconosce in quella di ispirazione mazzi-niana, uscirà dalla società nel 1904 per fondare a Barcola la Canottieri Nettuno.Gli atleti della Società operaia guardano invece al Socialismo austriaco. Ma andia-mo con ordine e focalizziamo la nostra attenzione sulle tre società oggi presentiin Sacchetta: la Ginnastica, l’Adria e la Canottieri Trieste.

«Fu acquistata una barca per gli esercizi ginnastici a remo». Questa decisioneche risale al novembre 1863 segna l’inizio dell’attività della Ginnastica Triestina,o meglio di quella che fu la Sezione nautica dello storico sodalizio che, più voltesciolto dalle autorità austriache, coniugò sotto vari nomi l’attività fisica e l’amordi Patria. La prima “barca” biancoceleste fu un lancione della lunghezza di 14metri. Oltre al timoniere i vogatori erano costretti a trasportare a bordo anche ilcaposquadra. Una dozzina di remi per due passeggeri. Il primo regolamento dedi-cato ai “remiganti” venne pubblicato nel 1868 mentre la sede era ospitata nelbagno galleggiante Al soglio di Nettuno; nel 1872 i canottieri e le imbarcazioni sispostano al Bagno Maria, ormeggiato nel Bacino San Marco.

La Canottieri Adria, o meglio la Ruderverein Adria, era stata fondata il 15 set-tembre 1877 nel corso di una riunione organizzata nella birreria Adria alle 8.30della sera, come si legge nell’atto di costituzione pubblicato sul Vereins Journaldes Triester Ruderverein Adria. Il locale scelto per la riunione, con buona proba-bilità, era la trattoria-birreria “All’Adria” di Giovanni Pitschen, in via CanalGrande 11, oggi via Cassa di Risparmio. La riunione era stata promossa daAlessandro Cristian Mattia Schröder, unico figlio maschio del ricco commercian-

te Alessandro Schröder e di Giulia Hansenclever. Schröder ha 27 anni e viene elet-to presidente. Riesce a fondere tre piccole società nautiche: si chiamano Carlotta,Themis e Meteor e più che altro sono tre gruppi di amici che, amando il mare el’attività fisica, avevano riunito le loro forze e i loro risparmi per acquistare eusare in comune alcune imbarcazioni.

Il Rowing Club Triestino – oggi Canottieri Trieste – viene fondato nel 1896per iniziativa di Camillo Picciola, forse il più completo atleta del canottaggioottocentesco triestino. Aveva vestito la maglia dell’Unione Ginnastica e del vec-chio Club Saturnia. Campione dell’Adriatico per tre volte, pioniere del turismonautico su lunghe distanze, primo nelle acque del golfo a comprendere il ruoloessenziale della tecnica, dell’elasticità e della leggerezza della vogata. Pur essen-do un patriota convinto non disdegnò di vogare con atleti austriaci e tedeschi chestimava e rispettava. Ma il suo pragmatismo non fu apprezzato. Il suo carattere,la sua determinazione, l’apertura a chi era visto dai liberal-nazionali come nemi-co, gli alienarono molte simpatie. Uscì dalla Saturnia e costituì un circolo nauti-co, il Rowing Club, che richiamò giovani atleti italiani refrattari al dogmatismo,al settarismo.

Nonostante le profonde differenze e la rivalità che li contraddistingue, i variclub triestini costituiscono nel 1884, col beneplacito della Massoneria, la Societàdelle regate, una sorta di coordinamento, una cassa di compensazione delle diver-se “anime” e delle diverse origini politiche e nazionali.

L’attività remiera ha un crescendo quasi trionfale. Coppe, trofei, prime formedi professionismo, imbarcazioni, sedi, feste, raid. La guerra mondiale spazza via

Cinque uomini in barcaSei uomini compaiono in questa foto realizzata dallo studio Sebastianutti & Benque nel-l’estate del 1886 dalla banchina della Sacchetta; ma solo di cinque si conoscono i nomi. Ènoto quello dell’allenatore Alexander Leine che sta dando gli ultimi ordini all’equipaggio diun “quattro con timoniere” della Canottieri Adria. Leine, originario di Parigi, è stato assun-to da un anno come allenatore della società di cui è presidente Alessandro von Schroder, pri-mogenito di una famiglia di commercianti di Amburgo stabilitisi a Trieste nel 1843.Alexander Leine è anche architetto nonché comproprietario del cantiere Clasper, Leine eTellier, specializzato nella costruzione d’imbarcazioni da regata per il canottaggio a cuil’Adria negli anni successivi ordinerà numerosi modelli. Si conoscono anche i nomi di quat-tro dei cinque componenti l’equipaggio che, di fronte al fotografo, ha assunto la posizionepiù adatta per scattare al segnale di partenza della regata. Kermol, Vernouille, Ganzoni,Kessel impugnano i remi. Del timoniere, al contrario non si sa nulla. Né nome né cognome.È una tradizione antica dei canottieri opposta a quella dei velisti, dove viene ricordatomolto spesso solo il nome di chi traccia la rotta. Sullo sfondo la Lanterna e il Bagno Militare.

Page 157: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 158: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 159: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

157

tutto. Le società di sentimenti italiani vengono sciolte dalla Imperial-RegiaDirezione di polizia. Alla fine del conflitto l’azione si ripete, ma nel verso opposto.L’Hansa, la società remiera dei tedeschi residenti a Trieste, viene chiusa, l’Adria èin bilico e rischia di fare la stessa fine perché la sua appartenenza italiana è ritenu-ta “discutibile” e la lingua ufficiale in cui vengono redatti gli atti è quella tedesca.

Piccoli funzionari, zelanti burocrati pretendono di riscrivere la Storia.Vogliono piegare il passato e il presente al volere dell’ideologia che si è fatta regi-me. I danni sono enormi ma pochi li vedono. La normalizzazione impera: chi nonsi allinea anche se è stato degnamente presidente della società, è costretto a get-tare la spugna. Accade all’Adria dove prima Ernesto Krauseneck, poi RiccardoMaramaldi, devono lasciare la carica a cui sono stati eletti dai soci perché la loroazione «non ha soddisfatto a pieno le autorità fasciste». Al contrario in campoagonistico i successi non si contano. Il canottaggio triestino e istriano vive unastagione d’oro.

Anche l’iconografia ufficiale cambia profondamente con l’entrata in scenanelle canottiere di nuovi ceti sociali. Via i baffi, via i berretti da marinaio, via glisguardi che guardano lontano. I volti sono rasati, i capelli lucidi di brillantina.Anche sulle zattere della Sacchetta in quegli anni compaiono uomini in divisanera che calzano alti stivali di cuoio. Poco dopo, nell’autunno del 1938, i consiglidirettivi delle società sportive applicano alla lettera le disposizioni delle leggi raz-ziali volute dal fascismo e promulgate dal re-soldato. Di questa infamia sono statetrovate le prove nei verbali delle riunioni dei direttivi. Il 15 novembre 1938 settepersone decidono di espellere i soci ebrei dell’Adria. Ecco i nomi. «Wondrich,Rutter, Romano, Ivanissevich, Berta, Krauseneck, Mareglia, deliberano, in con-formità alla situazione attuale e alle direttive politico razziste, di consideraredimissionari i seguenti soci attivi: Giorgio Camerini, Bruno Cohen, RobertoCohen, Piero Guastalla, Giuseppe Klugmann, Riccardo Klugmann, Bruno Levi,Sergio Macerata, Egone Lussland, Gualtiero Lussland, Bruno Tolentino, PaoloTolentino, Alfredo Pollitzer, Tullio Segrè, Egone Weiss».

La Canottieri Trieste non è da meno dell’Adria e sotto la presidenza di GiorgioAmodeo mette alla porta, tra gli altri, Mario Stock, che trent’anni più tardi sareb-be stato eletto presidente della Comunità ebraica cittadina. Scampato all’arrestoe alla deportazione, Mario Stock al termine del conflitto mondiale avrebbe chie-sto e ottenuto di rientrare nella società che lo aveva espulso. Un gesto forte perristabilire il suo diritto.

Il Rowing ClubLa sede del Rowing Club era ospitata tra il 1897 e il 1908 in un magazzino della Sacchetta apochi metri da dove oggi sorge la Piscina terapeutica. Due i piani della costruzione: il primoera adibito a spogliatoio, con 60 “cassetti” per gli abiti degli atleti e due stanzini riservatirispettivamente alle riunioni della direzione e al custode. Al pianterreno il magazzino perle imbarcazioni e un ripostiglio-doccia.

La bandiera irredentaFine ’800: la Lanterna, l’animato scalo legnami alla base del Molo Teresiano, il vecchioBagno Militare con issata la bandiera austro-ungarica: tutto normale se non fosse che qual-che “simpatico e intraprendente” irredentista ha grattato la lastra fotografica e vi ha dise-gnato la bandiera italiana sull’asta in primo piano.

Page 160: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

158

Page 161: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

159

L’EintrachtUn atleta dell’Eintracht fotografato in Sacchetta. La società aveva sede sulla Diga Vecchia,nella costruzione che oggi ospita un rinnovato stabilimento balneare. L’associazione ginni-ca “Turnverein Eintracht” nacque a Trieste nel 1864 dalla fusione di due club preesistenti.

L’evoluzione del canottaggioUna strana imbarcazione con a bordo l’equipaggio con i colori del Rowing Club, fotografatain Sacchetta a qualche decina di metri dal Bagno Militare. L’imbarcazione è “strana” perchéai due vogatori di coppia era stato affiancato un timoniere, comodamente seduto su un’ele-gante sedia con tanto di braccioli. Oggi nessuna imbarcazione di coppia è dotata di un timo-ne e di un timoniere che lo manovra. Questa immagine testimonia l’esistenza di un ramoestinto nell’evoluzione del canottaggio.

Page 162: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore
Page 163: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

161

Un impettito equipaggioL’impettito equipaggio di un quattro con timoniere si mette in posa nello specchio di mareantistante la casetta rossa dei piloti. L’alberatura e i pennoni ancora presenti sullo scafo delpiroscafo alla fonda sulla sinistra dell’immagine dicono che la fotografia è stata scattata allafine dell’Ottocento.

Canottieri vittoriosiIn questa antica fotografia conservata nella sede della Ginnastica di Pontile Istria, sonoquindici i canottieri che si sono messi in posa davanti all’obbiettivo. Al centro un uomo bar-buto con la bombetta sul capo, di certo un dirigente della società. Alla sua sinistra cinqueatleti, quattro ben piazzati e uno, mingherlino, seduto a terra. È evidente che si tratta del-l’equipaggio di una yole a quattro. Sulla destra altri nove atleti, otto vogatori e un timonie-re di una vittoriosa yole a otto.

Page 164: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

I protagonistiBandiere, gagliardetti, medaglie, divise e un fotografo capace di comporre un’immagineequilibrata e accattivante dei canottieri vittoriosi, quasi una foto pubblicitaria della società– l’Unione Ginnastica – per la quale gli atleti si propongono come “testimoni”.

162

Page 165: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

163

TirrenoLa yole a quattro vogatori “Tirreno” dell’Unione Ginnastica ha raggiunto il canale delleNoghere. L’imbarcazione era stata acquistata nel 1886 ma l’immagine è stata realizzata nel1889. Sullo sfondo il ponte di Zaule che fino al 1797 separava il territorio dell’Imperod’Austria da quello della Repubblica di Venezia. Il ponte fu distrutto nel corso della SecondaGuerra Mondiale.

Page 166: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

164

Una yolettaUna yoletta a due fotografata nelle acque della Sacchetta negli anni ’20. Le forme delloscafo sono più panciute di quelle delle analoghe imbarcazioni odierne.

L’allenamentoNel 1913 alla Ginnastica Triestina durante una lezione di voga nello zatterino.

La più popolare, la più fiera. Sciolta a ogni momento dalla polizia austriaca che l’ac-cusa di complotti irredentistici (persino due bombe erano state trovate nascoste sottoil pavimento di uno spogliatoio, ma la voce corrente era che ve le avesse messe la poli-zia) la Ginnastica cambia sempre nome: si chiamava Società, Unione, Associazione,ma sempre Ginnastica. E il grido “forza Ginnastica” era altrettanto fervido e suscita-va altrettanto entusiasmo dell’altro, mai pronunciato, ma sempre vivo nell’animo ditutti: viva l’Italia. “Forza Ginnastica” voleva dire “Viva l’Italia”. E questo spiega comecon l’avanzare della mattinata gli animi sempre più si accendessero, fino a quell’ulti-ma regata, nella quale il Turnverein aveva qualche probabilità di vincere, la jole aquattro. Ostinati i tedeschi tutti gli anni puntavano su quell’armo, che era poi quellodove la Ginnastica era la più quotata. Barca tranquilla, sicura, popolaresca, la jole aquattro si poteva considerare un genere aperto a tutti (persino ai lugari delTurnverein) e là ogni anno Trieste pativa la sua passione estiva e marinara: con unbrivido accettava la sfida dei tedeschi e, febbricitante, confidava nella vittoria. Infondo di tutta la regata, e con bravissimi canottieri, e doppi skuller, e otto fuori scal-mo, tutto quello che interessava ai triestini era la borghese jole a quattro, la gioia divedere la Ginnastica battere il Turnverein.

(da Autoritratto triestino di Alberto Spaini)

Page 167: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

165

Page 168: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

166

Crociera a remi con fidanzamentoPierpaolo Luzzato Fegiz (Trieste 19 giugno 1900 - 11 agosto del 1989), fu profes-sore di statistica e un grande innovatore. Nel 1936 fu incaricato dell’organizzazio-ne dell’Ufficio Statistico della SIAE, che impostò con un sistema a schede, trasfor-mabili in schede perforate, idoneo a recepire le innovazioni in tema di elaborazio-ne di dati che si stavano sviluppando negli Stati Uniti. Nel 1946 assieme ad ungruppo di studiosi fonda la DOXA, che per 38 anni sotto la sua direzione ha ese-guito centinaia di indagini su campioni, dal referendum istituzionale del 1946, aquello sulla distribuzione del reddito nazionale o sul divorzio ecc.

È preside della Facoltà di Economia e Commercio di Trieste dal 1951 al 1960.In seguito fu chiamato alla Cattedra di Statistica della Facoltà di Economia eCommercio dell’Università di Roma, cattedra che lasciò nel 1975 con il titolo diprofessore emerito.

Nel 1955 fu nominato presidente della Camera di Commercio di Trieste.Appassionato sportivo è stato uno dei pionieri dello sci alpino e nel 1925 ha con-seguito il titolo di Campione italiano di canottaggio (singolo). Ecco come nel suoLettere da Zabodaski. Ricordi di un borghese Mitteleuropeo (1900-1984), ricorda unaparticolare «crociera a remi con fidanzamento»:

La mia attività remiera presso il Rowing Club Triestino, diventato in seguito CanottieriTrieste, si svolgeva in parte su imbarcazioni a due o quattro remi yole e in parte su canot-ti monoposto, un po’ più larghi e più pesanti degli skiff. Per me quello che chiamavanosculler era diventato una specie di bicicletta, con cui andavo al bagno e alla ricerca diamici e di amiche. Qualche volta, non avendo trovato una data persona a Grignanopresso Miramare (8,5 km dalla Canottiera) attraversavo il golfo di Trieste fino a PuntaSottile (altri 14 km) per poi ritornare a Trieste (7,5 km) in mattinata. Totale circa 30 km.Al Rowing Club Triestino c’era la tradizione delle lunghe crociere, con le barche a reminormalmente usate per brevi gite nel Golfo e per le regate; e alcune yole a quattro contimoniere erano arrivate, dopo aver attraversato l’Alto Adriatico e risalito il Po, a Torinoe a Lugano. Perciò una gita da Trieste a Zara in yole a quattro, come quella progettata dame e da quattro amici, nell’agosto del 1934, non aveva nulla di straordinario. Per me fuinvece, tenuto conto del suo esito imprevisto, una crociera eccezionale. Queste leggerebarche, a madieri di mogano sovrapposti, sono aperte, ma lunghi e stretti spazi di pruae di poppa possono essere chiusi con due protezioni impermeabili (paramari), cosicchévi trovano posto i cavi, l’ancorotto, gli indumenti dell’equipaggio, le provviste ed eccezio-nalmente anche una tenda. Noi avevamo previsto di dormire in alberghetti della costaistriana; e infatti, partiti nel pomeriggio dell’8 agosto, passammo la notte a Salvore.

Page 169: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

167

8 agosto 1934 Alle 16 in canottiera. Partenza alle 18. L’equipaggio dell’Aquileia è così composto:Willy Cavalieri, Andro Clarici, Gigi Liebmann (della Ginnastica), Carlo Struckel, io.Alla partenza sono io primo remo, Gigi al timone. In seguito ci cambiamo di postoogni mezz’ora (il primo va al secondo, il timoniere al primo, il quarto al timone, ecc.).Pirano circa 20.30. Notte scura. Ormeggiamo la barca, poi mangiato e a dormire(alberghetto). Dormito male (Clarici mi viene continuamente addosso).

9 agosto Bella mattina, la baia Salvore tranquilla e luminosa. Partenza poco dopo le 7. Il tempopeggiora. Al largo di Umago siamo incerti se proseguire o no. Mare calmo. A Cittanovadeciso di far tappa (ore 10). La pioggia però non viene. Bagno, colazione (pesce), poicirca ore 13, partenza. Prima di Parenzo rovesci di pioggia, poi colpo di vento fortissi-mo (io al timone). Entrati senza incidenti nel porto di Parenzo. Mentre manovriamoper sbarcare, altro colpo di vento. Siamo completamente inzuppati. Cambiati, quindial caffè e a passeggio. Visitato la basilica. Verso le 18, visto il tempo migliorato, ci rimet-tiamo in mare. In circa due ore a Rovigno. Dopo cena visto Massimo Selva, Direttoredell’Istituto di biologia marina di Rovigno, e famoso studioso dei tonni. Parliamo dellaspedizione tonnifera che stiamo progettando col Capitano Antonio Cosulich.Dopo Rovigno la crociera prosegue senza incidenti, con tappe a Fasana, Porto Olmopiccolo (pernottamento).

11 agosto La traversata del Quarnero comincia alle 5.45 dell’11 agosto, con mare quasi calmo,che gradualmente diventa agitato (scirocco). Ogni mezz’ora vuotiamo l’acqua imbar-cata. Alle 11.15 siamo a Unie. Ripartiti alle 13, e doppiata la punta N-O di Unie, abbia-mo ancora mare e vento contrari. A Punta Bianca, di fronte allo scoglio di Zabodaski,sentiamo un urlo, e vediamo gente in shorts che si agita e sventola asciugamani. Mipare di riconoscere Argia Cosulich. Poco dopo avvistiamo la motonave Vulcania: pre-occupazione per le onde. In bonaccia, presso lo scoglio di Zabodaski, vuotiamo labarca, poi remiamo in direzione Bocca Vera…

12 agosto Bello. Mattina Cigale; lunga discussione coi miei compagni. Visto Mario Mini, AnitaSparano, Blitznakoff, Dudan, Bruno Corazza, i Fulignot, ecc. Dopo colazione assisti-to alle regate a vela, prima dalla finestra, poi dal motoscafo Foca di Antonio Cosulich.

La cosa più importante è il duello, che si ripete tutti gli anni fra la Mimosa diEustachio Tarabocchia (padre di Ivetta) e la Primavera. Tutta Lussino si divide in dueparti. Ma oggi c’è poco vento, e la gara non è interessante. La Mimosa è indietro, poiraggiunge la Primavera, infine lottano bordo a bordo. Dopo cena al Park Hotel, ballointerrotto dalla pioggia. Conosciuto il padre di Ivetta, capitano di lungo corso, bell’uo-mo, simpatico. Parlato di tonni.

13 agosto Mattina a Cigale. Discussioni coi miei compagni: si parte o non si parte per Zara?Liebmann non può venire a Zara e tentiamo invano di rimpiazzarlo con un locale.Così la crociera finisce a Lussino. Del resto il tempo è poco promettente. Poi passeggia-ta con Ivetta, Carlina Piperita e Laura Boschian alla Croce a Val d’Ora e Bocca Falsa.Bellissimo sentiero. Animata conversazione con Ivetta.

[…]

18 agosto Bellissimo. Gara a staffette fra tre «quartieri» di Lussinpiccolo: Pricco, Squero, Cigale.Ogni squadra ha 8 membri, 3 femmine e 5 maschi. Vince Squero, con Ivetta, Carlina,Struckel, Guerrino e un altro. Alla sera, grande cena alla pensione Hajos, offerta dallasignora Anna Martinolich (detta zia Anna dei matrimoni) ai suoi nipoti. Io unico nonnipote. A tavola sono fra Argia e Ivetta.

19 agosto Mattina bagno, nel pomeriggio giocato tennis con Ivetta (perduto 2-6). Altro bagno,poi lasciamo Paoletto e Leone, e ritorniamo, io e Ivetta, a Velopin. Lì abbandoniamo lastrada, e prendiamo un sentiero verso la Croce. Caldo, cielo in parte annuvolato,mezza luna…Durante quella passeggiata mi parve di sentire una voce imperiosa che mi diceva:«Oggi o mai più». Mai più significava non solo non sposare Ivetta, che non mi avreb-be aspettato indefinitamente, ma non sposarmi affatto e continuare una vita disordi-nata e agitata, alla lunga infelice. Improvvisamente le chiesi: «Crede che potremmovivere insieme il resto della vita?».La risposta affermativa segnò per me la fine di un lungo periodo di navigazione senzabussola.

Page 170: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

168

La GinnasticaA sinistra Mario Ustolin e Francesco Dapiran con i remi del due di coppia, con cui partecipa-rono nel 1948 alle Olimpiadi di Londra, raggiungendo onorevolmente la semifinale. Sedutoa terra l’allenatore Pino Culot. La foto è esposta nella sede della Ginnastica di Pontile Istriae sul passepartout di colore azzurro si legge: «la presente quale ricordo alla gloriosa SocietàGinnastica che, per prima nella storia del canottaggio triestino, ebbe l’onore di rappresen-tare Trieste italiana ai Giochi Olimpici di Londra 1948. L’allenatore Pino Culot sentitamen-te offre».

L’AdriaL’equipaggio di un quattro senza timoniere dell’Adria in precario equilibrio, con i remi sol-levati, fotografato tra la zattera e la banchina del Molo Sartorio negli anni immediatamen-te precedenti il secondo conflitto mondiale. È riconoscibile il capovoga, Silvio Ernè.

La Canottieri TriesteNella pagina accanto la yole a otto della Canottieri Trieste, capovoga il presidente dellasocietà, l’avvocato Giorgio Amodeo, fotografata nel 1976 davanti ai Frigoriferi Generalicostruiti nel 1925 per conservare la carne congelata proveniente dall’Argentina. Il depositoera considerato area extradoganale, e per queso motivo all’entrata e all’uscita la merce era“verificata” da militari della Guardia di finanza. Alla carne congelata negli anni Cinquantasi affiancò il pesce: tonni, razze, cernie, calamari, catturati nelle acque dell’Oceano Atlan -tico da pescherecci armati a Trieste. Tra questi il Selene e l’Oceanus.

Page 171: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

169

Page 172: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

170

un album di canottieri imperialiUn album fotografico venne regalato ad Alessandro Schröder, presidente dellaCanottieri Adria-Ruderverein Adria, dai soci del club. Era l’11 maggio 1880 e inquel giorno Ali Schröder avrebbe sposato Ida Moll, figlia di un ricco commercian-te triestino.

L’album ha una copertina in pelle, rilegata a sbalzo con preziose inserzioni inottone dorato e smalti policromi: nelle trenta pagine portafoto erano inseriti iritratti dei soci dell’Adria, tutti commercianti residenti a Trieste.

Il prezioso regalo di nozze era stato realizzato dalla ditta August Klein diVienna, all’epoca forse il più prestigioso “Buchbinder”, rilegatore di libri, e fondi-tore miniaturista dell’Impero, nonché fornitore di famiglie reali, nobili e agiatiborghesi. L’album era stato ordinato a Vienna attraverso la ditta triestina di LuigiLordschneider che nel 1896 gestiva un negozio in piazza della Borsa 6 in cui offri-va al pubblico «chincaglierie da semplici oggetti d’uso ad articoli di gran lusso.Esclusivo deposito argenterie Christoffe a prezzi originali di fabbrica, nonchébronzi e ceramiche artistiche delle più rinomate fabbriche».

Ma ritorniamo all’album oggi custodito dalla Canottieri Adria. Sulla primapagina interna compare la dedica in lingua tedesca. «La società Canottieri Adria,al suo amato presidente nel giorno della festa di nozze. Trieste, maggio 1880». Poiinizia la “galleria” dei ritratti dei soci che oggi costituisce, grazie alle minuziose eapprofondite ricerche d’archivio dell’architetto Francesco Fegitz, un documentoantropologico di grande rilevanza per capire e descrivere il passato della nostracittà alla fine dell’Ottocento.

La ricerca, oltre all’età e alla città di nascita mette in evidenza le professioni –al 90 per cento commercianti, ma anche un impresario, un comandante del LloydAustriaco – nonché la religione di ogni socio dell’Adria: gli evangelici sono piùnumerosi dei cattolici ma non mancano gli ebrei. Non mancano i rapporti diparentela. Ma ancora più forte, come dicevamo, è il legame etnico linguistico,religioso ed economico sociale. Come scrive l’architetto Francesco Fegitz nellasua ricerca:

I soci che hanno dedicato l’album al loro presidente erano per lo più di origine tede-sca e, in minor numero, austriaca, fatto salvo Juhasz che è di origine ungherese eCurths, Garzoni ed Escher che sono svizzeri. Bryce è suddito inglese e Tonniesnasce a Lubiana, ma è austriaco. Ben sedici soci sono o saranno anche iscritti alDeutschen und Österreichischen Alpenverein. I più eminenti tra i commerciantirisultano essere oltre a Schröder, gli appartenenti alla famiglia Brunner. Parte dei

Page 173: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

171

I campioni dell’AdriaDi questi sette canottieri con le medaglie esibite sul petto, si sono tramandati i nomi ecognomi: Otto Curths, Hugo Moll, Rudolf Lixl, Rudolf Bacharach, Carlo Antonio Ganzoni,Rudolf Bryce, Alfred Pollitzer, fondatore della fabbrica di saponi Adria.

Page 174: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

172

soci fotografati nei ritratti, o meglio le loro famiglie costituiscono il gotha della bor-ghesia benestante tedesca e i loro nomi si intrecciano ai vertici delle istituzionicommerciali ed economiche.

Gran parte delle foto dell’album sono state realizzate da Giovanni BattistaRottmayer - K.K. Hof & Marine Fotograph con studio in via Santi Martiri 1. Nel1884 sarebbe diventato l’Atelier Rottmayer di Spiridione Manenizza. Altre imma-gini portano la firma di Giuseppe Wulz, di Sebastianutti & Benque, fotografi dellaImperial Regia Corte d’Austria e del Brasile e degli studi Zanutto di Trieste e Graz.

Il presidente e gli atletiAlexander Christian Matthias Schröder, “Alessandro junior” per distinguerlo dal padre, èstato il fondatore e il primo presidente dell’Adria. Quando Gianbattista Rottmayer realizzònel 1880 questo ritratto nel suo studio di Trieste in via Santi Martiri 1, “Ali” Schröder aveva30 anni. Nelle pagine successive alcuni dei 173 atleti dell’Adria fotografati nel 1886 in occa-sione di un’importante vittoria.Gli atleti, da sinistra a destra, dall’alto in basso: Julius Buchler, Victor Wunsch, Max Schnizer, Johannes G. Juhasz, Rudolf Buchler, Edwardde Bondely, Rudolf Brunner, L. R. Lixl; Carlo Vernouille, Julius Kubin, Rudolf Bachrach, Otto Cürths, Axel Bodtker, Carlo AntonioGanzoni, Albert von Wittenbach, Rudolf Lixl; Paul Cozzi, Hugo Moll, Heinrich Eberhardt, Heinrich Wintenberger, Oscar von Escher,Adolf Tonnies, Rudolf Schwarzl, Basil Bryce.

Page 175: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

173

Page 176: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

174

Page 177: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

175

Page 178: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

176

cavalli, o si affrontava una passeggiata a piedi di tre o quattro chilometri. Dalla Sacchetta al lun-gomare di Barcola, da più di un secolo il campo di tutte le regate triestine. «Quando un armo èin gara – scrive Alberto Spaini in Autoritratto triestino – sotto la pressione di quaranta palate alminuto, le sottigliezze politiche scompaiono al di là di quel velo purpureo che offusca lo sguar-do sotto lo sforzo tremendo. Che si corra per l’Italia, o si corra per l’Austria di FrancescoGiuseppe o si corra per una Grande Germania che vada da Trieste ad Amburgo, sono cose dadimenticare dal momento in cui la pistola dello starter ha dato il via».

Quaranta palate al minuto per l’Italia, Francesco Giuseppe o il ReichAlla prima regata dei canottieri triestini disputata il 26 agosto 1883 assistette una folla strari-pante, difficilmente eguagliabile oggi anche negli stadi del calcio: ben 15 mila persone. Un altrodato fa meditare sulla passata popolarità del canottaggio: per assistere alle fasi finali delle rega-te che si svolgevano sul lungomare di Barcola, ogni spettatore doveva sborsare una corona. Incaso contrario doveva restare al di là di un lunghissimo tendone steso parallelamente alla costache impediva agli occhi di seguire le ultime fasi della regata, il cosiddetto “serrate” degli equi-paggi in vista del traguardo. Va aggiunto che per raggiungere Barcola o si saliva su un tram a

Page 179: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

177

i raid remieriC’era chi le vacanze le passava in barca: non a bordo di un agile e spazioso yacht dadiporto, ma come un forzato, legato indissolubilmente al remo e allo scanno dellabarca che era insieme sua dimora e suo tormento. Tra i canottieri fin dagli anni pio-nieristici di questo sport, il viaggio per mare esercita un grande fascino. La primaimpresa di cui resta memoria risale al lontanissimo 1869, quando un equipaggiodella Ginnastica raggiunse a remi Treviso. Nella lancia, probabilmente a sedile fisso,soffrono e vogano cinque atleti di cui riferisce i nomi Luciano Michelazzi, dirigentedella stessa società, storico del remo, consigliere della Federazione. I cinque ardi-mentosi si chiamavano Moretti, Martinelli, Sandrinelli, Erminio e Federico Ongaro.Altre imbarcazioni biancocelesti si spingono a cavallo tra ’800 e ’900 ad Ancona,Rovigno, Pola e Zara. Probabilmente non più a bordo di pesanti lance ma vogandosu più slanciate e veloci yole da mare. Altrettanto fa l’Adria i cui atleti raggiungonoripetutamente Venezia, Fiume e molti porti della costa dalmata.

In effetti la yole trova nei raid un nuovo impiego come mezzo di trasporto enon solo come agile imbarcazione da regata e allenamento. A forza di remi ven-gono raggiunte località della costa più lontane delle usuali Muggia, Capodistria eSistiana. Le maglie della Ginnastica, dell’Adria, del Rowing Club raggiungonospesso Parenzo, Grado, Barbana, Terzo di Aquileia, Caorle, Orsera e Capo Pro -montore. Qualche volta risalgono il Livenza fino a Motta e a Sacile. E quando icanottieri sbarcano e cercano una locanda, una trattoria dove riposarsi e rifocillar-si indossano obbligatoriamente la divisa sociale, berretto stile marina con visiera,giacca blu o nera con bottoni d’ottone, cravatta con lo stemma della società diappartenenza, pantaloni e scarpe bianche.

Nel 1901 è raggiunta Abbazia, l’anno successivo Fiume e nel 1903 per ben duevolte Ragusa. Le imbarcazioni erano fragili e scomode, le riserve d’acqua raziona-te, la possibilità di un naufragio sempre presente a causa dei “neverini” e dei grop-pi di vento. Anche la fatica fisica è grande e prolungata per ore e ore. Talvolta anchedieci, sotto il sole estivo, con la protezione di cappellini e berretti. Si dorme spessoall’addiaccio o protetti da una tenda. Si ricuperano le forze, poi di primo mattinovia di nuovo a remare. Negli anni successivi alla Grande Guerra vengono raggiunteVenezia e Chioggia, navigando per buoni tratti in mare aperto, fidando nella buonafortuna e nelle capacità di preveggenza meteorologica del comandante.

Nel 1919 una yole targata Sacchetta, in dettaglio Rowing Club Triestino, rag-giunge Mantova, nel luglio del 1921 nuovamente Zara e nell’estate del 1922

A SistianaIl maestro Piero de Iurco, una delle figure più note dello sport triestino del Novecento, tito-lare negli anni Cinquanta di una rubrica di esercizi ginnici che andava in onda in direttaogni mattina alle 7 su Radio Trieste, è l’organizzatore della gita remiera a Sistiana di cui que-sta immagine costituisce la foto-ricordo. La guerra è appena finita, il desiderio di svago ègrande e una fisarmonica allieta i canottieri e le ragazze.

Page 180: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

178

Torino. È un’impresa di grande risonanza. Festeggiamenti attendono nella cittàsabauda i vogatori e il Reale Rowing Club, l’attuale Federazione canottaggio, lipremia con un diploma di benemerenza che ancora oggi è conservato nella sededella Canottieri Trieste. Con linguaggio pieno di enfasi «viene conferito ai signo-ri Gefter Wondrich Riccardo, Barbich Sebastiano, Nicolich Giorgio, CarnielCornelio, Carniel Publio, un diploma di benemerenza con plauso per il raid nau-tico Trieste-Venezia-Torino effettuato dal 22 luglio al 9 agosto 1922 per la gloriadel Canottaggio italiano».

Lo stesso equipaggio si ripete nell’estate 1927 e sempre con una yole da marerisale il Po, tocca Milano, naviga a fatica sul Ticino e raggiunge Locarno e Lugano.L’impresa ha ampio risalto non solo sui giornali locali. Anche perché il raid non silimita solo al tragitto di andata ma l’equipaggio ritorna vogando a Trieste sempresullo stesso percorso. Complessivamente 1600 chilometri, tutti percorsi a forzadi remi, a bordo di una yole a quattro vogatori. L’impresa è stata compiuta da cin-que canottieri dell’allora Rowing Club: Riccardo Gefter Wondrich, organizzatoree capo della spedizione, poi presidente della Canottieri Adria e nel dopoguerraDeputato della Repubblica a Roma eletto nelle liste del Movimento sociale;Sebastiano Barbich-Barbo, veterano di altri raid remieri tra i quali la Trieste-Torino del 1922; Nino Catalan e i fratelli Mario e Oscar Pirona, famoso pasticcie-re. Il 17 agosto 1927 «Le Ultime notizie», l’edizione delle ore 18 del quotidiano «IlPiccolo», pubblicò, a firma di Riccardo Gefter Wondrich, un dettagliato resocon-to del raid. Ecco alcuni passi:

L’imbarcazione: fu scelta la vecchia e gloriosa yole “Aquileia”, che avendo compiu-to altri raids aveva completo l’equipaggiamento di bordo; casse di zinco per i vesti-ti, i viveri e il servizio di cucina, tenda coperta, bidoni per l’acqua potabile, cassettaper le riparazioni, farmacia e remi di riserva, un carico di circa due quintali.La partenza: all’alba del 20 luglio lasciamo dalla nostra sede della Sacchetta. Un’orapiù tardi incominciano le difficoltà: si è levato un vento di levante molto fresco e layole incomincia a imbarcare acqua. Bisogna assolutamente poggiare verso terra eattendere il calare del vento. Ci portiamo sotto la terza diga e quindi a Punta Sottiledove togliamo l’acqua e aspettiamo la bonaccia. Alle 9 si può ripartire e si puntadirettamente sul faro del Tagliamento. Arrivati a Porto Buso per il canale, torniamoin mare e alle 21 dopo circa 12 ore di voga, giungiamo a Porto Lignano.I canali: il giorno seguente dopo sei ore di voga lungo un canale monotono e deser-to che porta a Caorle, entriamo in mare e seguiamo la costa fino al faro di PiaveVecchia dove una ondata improvvisa carica la yole di acqua, costringendoci all’im-mediato approdo.Il vento: è continuo e molesto e ci ha impedito di fare molta strada, pur avendovogato per oltre undici ore. Il 22 luglio lasciamo all’alba il Faro di Piave Vecchia epercorriamo il litorale veneto fino a Chioggia, senza toccare Venezia, sempre osta-colati da vento contrario. L’ardore del sole ci ha fatto assumere il bel colore dei gam-

Sul lago MaggioreLa yole a quattro del Rowing Club fotografata a Pallanza, sul lago Maggiore. È il diciassette-simo giorno del raid avviatosi dalla Sacchetta il 20 luglio 1927.

A LocarnoL’equipaggio del Rowing Club è giunto a Locarno: è il 5 agosto 1927. I vogatori riconoscibilidalle canottiere bianconere sono, da sinistra, Sebastiano Barbo, Riccardo Gefter-Wondrich,Nino Catalan, Mario Pirona. Oscar Pirona è seduto a terra.

Page 181: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

179

Da Trieste a ZaraLa foto in alto è stata scattata il 5 luglio 1975 al largo di Rovigno. Al centro, con il cappellodi paglia sul capo, Luciano Michelazzi che ha organizzato il raid Trieste-Zara per ricordare leanaloghe imprese realizzate nel 1925 e nel 1931 dalla sua società, la Ginnastica Triestina.Con Michelazzi hanno vogato per cinque giorni a bordo della yole a quattro “Zara” e deldoppio skuller “Timavo”, Mario Parasuco, Vinicio Tomasi, Mario Gottardis, LiberoMogorovich, Duilio Biloslavo, Fausto Toffoli. La foto in basso mostra come i canottieri sonoriusciti a superare il gran caldo di quell’estate tuffandosi per rinfrescarsi. Qui li vediamonelle acque basse della Gagliola.

beri dopo la cottura ma grazie al grasso speciale di cui siamo abbondantementecoperti, non dobbiamo però lamentare bruciature. Nel pomeriggio infiliamo i bel-lissimi canali che oltre il Brenta e l’Adige, di cui risaliamo un tratto, portano al Po.Alla conca di Tornova bisogna trasportare la yole a braccia dopo averla scaricata: èun lavoro lungo e faticoso. A sera avanzata giungiamo al canale di Loreo e ci fermia-mo nell’omonimo paese dopo una vogata di undici ore.La fatica nel Po: per otto giorni voghiamo nel fiume e arriviamo al Ticino. Il fiumeè in magra eccezionale ma talvolta è solenne e triste, nudo e spoglio in qualche suotratto, altre volte verdeggiante di pioppi, ontani e betulle, pieno di isolotti, di ban-chi di sabbia, con la corrente ora rapida, ora lenta, le cime dei campanili dei piccoliborghi sporgenti dagli argini, i traghetti accanto ai ponti, i sandolini e i burchielliimmutati nella forma da secoli, i poveri pescatori con le caratteristiche reti quadra-te. Otto giorni vogando in media otto-nove ore al giorno, toccando Pontelagoscuro,Ostiglia, Boretto, Casalmaggiore, Cremona, Piacenza. Dormiamo sempre all’ad-diaccio e quasi sempre provvediamo da soli alla cucina. Il caldo è ancora insoppor-tabile ed è grande la fatica di vogare contro corrente. Non credo di sbagliare dicen-do che da qualche giorno la temperatura al sole ha raggiunto e superato i 55-60gradi: la sete è continua e grondiamo di sudore.Il Ticino: è impetuoso e la yole non lo può percorrere. Dobbiamo andare a Milano,percorrendo il Naviglio superando ben nove chiuse. Il dislivello fra Pavia e Milano èdi circa 80 metri su un percorso di 34 chilometri. Dopo Turbigo la corrente delNaviglio è talmente forte e impedisce assolutamente di avanzare, vogando con lanostra yole tanto carica non si procede. Fabbrichiamo e indossiamo una sorta dibardatura e iniziamo il traino camminando sulla riva, mentre uno di noi sta al timo-ne per mantenere dritta la barca.Rischio di naufragio: i dieci chilometri che ci separano dal Lago Maggiore sonosegnati da una corrente impetuosa e pericolosa e da frequenti rapide sassose. Conogni attenzione tiriamo la barca, il timoniere teso nello sforzo di mantenere laprora nel filone. Qui si verifica l’incidente più grave del viaggio. Un istante solo e layole viene investita dalla corrente di fianco, i suoi dieci metri e mezzo vengono tra-scinati inesorabilmente via. Vediamo spezzarsi la corda di traino, la yole fa due girisu se stessa, il timone è strappato, la corrente l’abbranca. Mi getto in acqua conCatalan e Mario Pirona, sperando di precedere la yole. L’agguantiamo per la poppae la tiriamo a riva.Il confine svizzero: la sera del 5 agosto dopo 17 giorni passati sempre a vogare, arri-viamo a Locarno. Il 6 agosto con la yole su di un carro percorriamo la strada lunga10 chilometri che unisce Luino a Ponte Stresa, dove riprendiamo contatto con l’ac-qua. Il lago di Lugano è stretto, cupo, rinchiuso tra i monti. A mezzodì arriviamo aLugano.

Gli atleti della Ginnastica non sono da meno. Zara viene raggiunta tre volte.Di questi raid l’archivio della società biancoceleste conserva i diari redatti daRaimondo Cornet e Tito Perissini, rispettivamente nel 1925 e nel 1931. È invecescomparso il libro di bordo della spedizione remiera effettuata nel 1935 lungo lacosta dalmata. Dei componenti di quell’equipaggio sono noti solo i cognomi:Alzetta, Beltramini, Biagi, Dobrina e Lipanije.

Page 182: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

180

bellezze al remoQuattro signore col cappellino fotografate nel 1935 sul terrazzo della sede delRowing Club, quella che all’epoca era ritenuta la più esclusiva delle società dicanottaggio della Sacchetta.

Le donne non erano ammesse sul galleggiante ormeggiato al Molo Sartorio,eccezion fatta in occasione di alcune feste diurne in cui veniva celebrato l’anni-versario di fondazione del club oppure quando veniva varata una nuova imbarca-zione. Come esimersi in questo caso dal beneaugurante ruolo di una madrina?

Ma la madrina non poteva essere l’unica donna presente sulla zattera e allorale munitissime porte della canottiera necessariamente si dovevano aprire allealtre signore, mogli e figlie di soci e di invitati alla cerimonia.

Negli anni Venti e Trenta l’apartheid rappresentava un “valore” tenacementedifeso nelle società della Sacchetta anche perché le rare aperture alle ragazze-atlete non si erano rivelate facili da gestire in un ambiente prettamente maschi-le e giovanile. La società che per prima aveva aperto in modo effimero le porteanche all’altro sesso era stata la Ginnastica. Era il 1927 e si era costituita una sot-tosezione per signorine, «subito ricca di 32 iscritte, ma era una gatta da pelarecome fu presto evidente» scrive Manlio Cecovini nel 1963 nel prezioso volumededicato ai primi 100 anni della società biancoceleste. «Le barche non andavanobene, o se non erano le barche erano gli spogliatoi o gli orari. Fatto è che la sezio-ne femminile tante volte tentata, finì coll’esaurirsi...».

Nel 1942 in piena guerra, il “maestro” Piero de Iurco tenta nuovamente diavviare la sezione femminile della Ginnastica. «Le difficoltà erano tante e di ognigenere, ma le ragazze triestine avevano voglia di cimentarsi anche nello sport delremo e la Federazione applaudiva. La squadretta era tosta e si assicurava la parte-cipazione ai campionati nazionali di Padova e Venezia». Altrettanto accadeall’Adria per iniziativa del capitano Milan degli Ivanissevich. Ma pochi mesi piùtardi dopo un’unica vittoria in regata, la sezione femminile viene chiusa. LaGinnastica invece persevera e Pino Culot nel 1943 ne diviene l’allenatore. «Ungrosso nucleo di gentili vogatrici, unite a quelle originarie bianco-azzurre, dannoalla sezione femminile nuova linfa e energia, portando il numero complessivo deisoci paganti sceso fino a 144, a ben 216, numero più che promettente, dato iltempo di guerra».

Nel 1945, a conflitto ormai concluso, un equipaggio femminile biancocelestepartecipa alle regate di Milano con una yole a quattro. «L’armo femminile si affer-

mò in modo brillantissimo, entusiasmando i tecnici e i giornalisti, ancora unavolta dimostrando le grandi doti sportive delle ragazze triestine. Componevanol’armo Fernanda Barbariol, Lydia Giusti, Lyda Curtolo, Liliana Corazzini, timonie-re Pino Culot». Le immagini pubblicate in queste pagine raccontano come si svol-gevano gli allenamenti in Sacchetta; quale fosse lo spirito di cameratismo e diamicizia che contrassegnava vogatori e vogatrici.

Ora a più di 75 anni da questa fotografia delle signore con il cappellino realiz-zata nel 1935, ragazze e donne sono stabilmente insediate nelle canottiere.Partecipano a regate, escono in mare per diletto e alla Canottieri Trieste, che perdecenni è stata la più refrattaria all’apertura ma che ha ceduto aprendo la sezionefemminile nel 1985, una donna ha la responsabilità come allenatrice della squa-dra agonistica: si chiama Valentina Mariola e ha conquistato nel 2011, dopo 53anni di digiuni forzati, un titolo italiano per la società bianco-nera. L’equipaggiodel doppio esordienti era femminile: Lisanna Bartolovich ed Eloisa Dutra.

Page 183: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

181

Fascismo, donne e sport, 1942Lo sport nell’Italia tra le due guerre è un “dovere” che il regime impone anche alle ragazze.Le loro mamme non possono seguirle, vista la diversa età e – come si vede nell’immaginenella pagina di sinistra – devono accontentarsi di osservarle dal ballatoio di una “canottie-ra” in un giorno di festa.

Page 184: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

182

Ragazze in SacchettaUn doppio skuller, uno strano quattro di coppia con timoniere e una tradizionale yole a quat-tro nelle acque della Sacchetta. Su queste imbarcazioni vogano o stanno per vogare, giovaniragazze che vogliono cimentarsi con i remi e con la fatica che questo sport impone a chi lopratica. Le foto risalgono ai primi anni della seconda guerra mondiale, quando l’Adria e laGinnastica Triestina aprirono le porte delle canottiere e degli spogliatoi alle ragazze. Forseera un tentativo suggerito dal Regime di dimostrare alla città che tutto comunque stava pro-cedendo per il meglio, normalmente, tranquillamente. La guerra invece aveva già coinvoltodrammaticamente i nostri soldati e marinai, in Grecia, in Africa, nel Mediterraneo.

Page 185: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

183

Le biancocelestiLe pale dei remi sono quelle biancocelesti della Ginnastica, i sorrisi quelli delle ragazze cheformano un equipaggio: amiche, atlete, forse complici in un’attività sportiva che era statafin dalle origini rude, forte, maschile, muscolosa e sfibrante nella sua meccanica ripetitivi-

tà. Questa immagine mostra un volto diverso del canottaggio, un volto sorridente, gentilee scanzonato. In sintesi l’apertura di questa attività sportiva alle ragazze e alla loro sensibi-lità e creatività.

Page 186: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

184

Sulle assi di legno scuroNon so se sono stato portato sulle assi di legno scuro di una zattera della Sac -chetta quando mi dondolavo nel sacco pieno d’acqua di mia madre e dovevo anco-ra nascere. Lei andava lì, sul molo Sartorio, scendeva la passerella e percorreva illato destro della sede galleggiante della Canottieri Trieste. Poi attendeva papà chedi lì a poco sarebbe rientrato dall’allenamento a bordo del quattro senza timonie-re. Non ho la prova di esserci stato, ma lo credo perché i miei genitori erano spo-sati da poco. Quel che è certo è che quando ero un bambino ancora disteso nellacarrozzina verde, su quella zattera mi hanno portato più volte. «Piangevi quandola carrozzina si muoveva di conserva con la zattera su cui due o tre canottierierano saliti contemporaneamente, facendola ondeggiare» dicevano in famiglia.Certo è che quando ho acquistato la prima certezza dei miei passi, tenuto permano, su quel galleggiante sono salito più volte. Lì, per la prima volta ho guarda-to l’acqua scura, ho visto pesci piccoli e grandi. Ho visto la gatta Lilla che attende-va che qualcuno li prendesse all’amo e glieli regalasse.

All’Ausonia, sulla spiaggetta di sassolini, papà mi ha fatto entrare nel maresalato per la prima volta. Gli occhi nell’acqua bruciavano e piangevo. In Sacchetta,da scolaro, sono salito per la prima volta su una barca a vela. Al timone c’era FurioNordio e quando le raffiche di bora facevano sbandare lo scafo e l’orizzonte sialzava da una parte, abbassandosi dall’altra, io gridavo, «affonda, affonda», e mirifugiavo sotto la tuga. Assieme a tanti canottieri ho viaggiato da bambino sugrandi pullman, sul tetto dei quali erano state caricate a fatica sottili barche daregata e remi con la pala bianconera. Siamo stati a Ravenna ed anche a Padova sulBacchiglione a sostenere i nostri equipaggi.

Poi in Sacchetta tanti anni fa, ho provato a salire per un paio di volte su unoSnipe; io inesperto al fiocco, al timone e alla randa Giorgio Brezich, figlio di Aldo edella signora Clorinda che preparava panini formidabili col salame tagliato grossoe aveva il frigorifero sempre pieno di aranciate, bottiglie di coca cola e birre. Avevovisto crescere d’inverno quel beccaccino nel magazzino della canottiera quasideserta. Aldo, custode e carpentiere di lusso, lo aveva costruito con l’aiuto delcognato Valerio Filiput, poi custode della Ginnastica. Era il primo di una serie for-tunata e vincente: si chiamava Barbanera e papà aveva dipinto a poppa sul legnolucido il nome con la vernice gialla. Il paramare non aveva uno spigolo al centro,ma un intarsio perfetto gli aveva donato una rotondità da mobile di classe. AldoBrezich, tra un beccaccino e l’altro, costruiva e riparava yole e skuller, remi di cop-pia e di punta, timoni e carrelli. Legno e vernice, bronzo e ottone. Lì, sulla zattera

della nuova canottiera in muratura, ho conosciuto il remo dello zatterino. Un remocon la pala bucata, perché non ci fosse troppo attrito con l’acqua. Avevo 15 anni. Hoimparato presto e dopo una settimana di quegli esercizi all’asciutto, sono salito suuna yole a quattro. Sei del mattino, la zattera che si allontana, le barche della Vela,poi quelle dell’Adriaco, l’uscita dalla Sacchetta, la città appena illuminata dai primiraggi di sole, la diga vecchia. Vogando per un’ora, seduto su un carrello che andavasu e giù, ho capito per la prima volta a mie spese che la fatica apre ferite dolorosenelle mani dei canottieri alle prime armi. Vesciche che scoppiano, dolore, crema.«Remo ferisce, remo guarisce» dicevano gli anziani. Era vero e ho visto formarsi iprimi calli sul palmo delle mie mani di studente. All’inizio il mio remo era il tre, poisono passato al due, perché dicevano che avevo il braccio destro più forte del sini-stro e un remo pari era quello che mi spettava. Dalla Sacchetta sono partito speran-zoso un paio di volte vogando verso Barcola per partecipare a regate che non ho maivinto. Passato il traguardo mi tenevo lontano da riva, dove spettatori e bagnantiguardavano e si agitavano. Ero un po’ vergognoso. Colpi di remo veloci e via verso laSacchetta. Nelle docce fumanti di vapore della canottiera, al rientro dalle “uscite” inbarca, ho visto decine di uomini nudi nelle docce. Qualcosa di simile sarebbe acca-duto di lì a qualche anno alla visita di leva. Nella doccia ho conosciuto i primi profu-mati bagnoschiuma. E gli accappatoi lunghi fino al ginocchio.

Lì, allontanandomi dalla zattera, ho capito cos’è la solitudine di chi è costret-to a vogare su un singolo; sono stato anche contagiato dall’allegria scanzonatadegli equipaggi numerosi. Dietro la piscina che non c’è più, ho baciato nellapenombra una ragazza di cui non so più nulla. Ricordo che la bora soffiava e cheil freddo era intenso. Lì, all’angolo della Sacchetta dove un tempo svettava seve-ro l’edificio dei Frigoriferi Generali, mi sono immerso con lo scafandro di palom-baro. Qualche anno dopo, a non molta distanza, ho assistito all’arrivo di duemotovedette grigie della Guardia di Finanza. In coperta, ammassati tra i militariin tuta blu, decine di uomini giovani con volti neri e maglie colorate. Spaventatianche se alzavano verso il cielo la mano destra con due dita aperte a “v”. Eranoalbanesi e curdi, ricuperati nella laguna di Grado dove erano stati fatti sbarcare epoi abbandonati a se stessi. Erano stati intercettati e portati a Trieste per essereinterrogati e spediti poi chissà dove. Barche, uomini, vedette, acqua, remi, scafida regata, scafandri, galleggianti e treni che non ci sono più. Credo siano motivisufficienti per aver costruito questo libro. Un tuffo nella memoria, un tuffo nellamia Sacchetta quando il futuro appariva migliore.

Claudio Ernè

Page 187: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

185

Porta aperta sul mondoPorta di casa mia di cui tengo le chiavi a portata di mano.Vado e torno lenta o di corsa, al mattino curiosa del nuovo giorno. Scappo frettolosa e corro a rifugiarmi dopo una giornata fredda di Bora.Luogo sicuro per accucciarsi al calduccio. Porta aperta sul mondo giro d’aria frescad’avventura.

Basterebbero queste cinque righe forse per spiegare il perché di questo libro. Certodi lei i miei ricordi sono zeppi. Pieni di immagini scolpite nella memoria piene diemozioni e sensazioni che mi accompagneranno per tutta la vita e che sono la miavita. Dalla prima infanzia quando passeggiavo con i miei genitori lungo le sue Rivee guardavo con curiosità e stupore le belle barche ormeggiate ai suoi pontili, oquando quasi adolescente smontavo dalla Lambretta di mio padre per andare allaPiscina Bruno Bianchi e venivo colpita dall’odore acre che proveniva dalMagazzino Vini, e una volta dentro spesso rimanevo incantata a guardare dai gran-di finestroni la Bora che impazzava suscitando subito le ire della mia allenatriceche mi intimafa di tornare in vasca. O quelle più recenti e forti di quando corro giùper le scale di casa con la macchina fotografica per andare a immortalare il mare intempesta.

O ancora forse il ricordo più struggente il ruggito delle lamiere della piscina indemolizione che come un animale ferito a morte si dimenava languidamentesotto i colpi sferzanti della Bora come toccato da un ultimo élan vital.

Odori e visioni che appartengono a tutti noi. Ma non è solo per questo. La Sacchetta è qualcosa di più. Uno spazio non fisi-

co o perlomeno non solo fisico. Uno spazio dell’anima, una condizione dell’esse-re in cui mi sento ogni mattina quando scendo in strada ed è la prima cosa chevedo, inforco la bici vado a vedere come sta Attica, la mia barca, guardo i segna-vento delle barche per capire che vento tira. Inizio bene la giornata. O quandodopo il lavoro ripercorro la stessa strada in senso contrario, con l’ansia di arrivaree di stare in pace, a passare ore in silenzio a far piccole manutenzioni sulla barcaforse inutili e superflue in sé ma tanto importanti per me.

Certe volte rimango immobile a guardare i ragazzi che entrano in fila indianafra la Vela e l’Adriaco con le loro derive dopo l’allenamento e ascolto divertita tuttaquell’allegria e spensieratezza. Oppure nelle giornate di regata l’attività che ferve,tutta quell’agitazione sui moli quell’umanità che si muove chiacchera, si scambiaopinioni e consigli, c’è tanta energia nell’aria e tento di assorbirla di farne tesoro.

Ogni volta quando cammino su quelle pietre penso a com’era, penso alle vec-chie fotografie che mi mostrava mio padre, con tutti quei bastimenti ormeggiati,alla vitalità di queste Rive e alle storie umane che si sono intrecciate lungo questimoli.

La Sacchetta è nata come porto ed è rimasta tale, forse il suo fascino sta pro-prio in questo. Una volta dalle sue sponde partivano e arrivavano merci e uominicon i loro sogni e le loro speranze oggi in fin dei conti il quadro non è cambiato poimolto, invece degli alberi dei bastimenti ci sono quelli delle barche a vela, dallaSacchetta si continua a partire per poi farvi ritorno. Partiamo ragazzini alla nostraprima avventura, annusando il mare, e cento volte dopo ritorniamo verso terraricchi di neverini, bonacce, mare corto, boline invernali, laschi estivi. Portiamocon noi, scritto sulla nostra pelle e sull’opera viva della nostra barca tutta questavita e la riversiamo in Sacchetta.

Tre secoli di storia, cent’anni di navigazioni, fantasmi di marinai e capitani,facchini e paroni di trabaccoli. Legno, fumo, tela, reti, carbone, Bora ghiacciata.Tutto questo porto con me in Sacchetta. La Sacchetta è casa mia.

Tiziana Oselladore

Page 188: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

186

Cronologia

medioevo città dentro le mura

1382 Atto spontaneo di dedizione all’Austria

1711 sale al trono Carlo VI

1717 Carlo VI emana la Patente di sicura e libera navigazione nel mare Adriatico

1718 pace di Passarowitz; in seguito alla quale stipula accordi commerciali con la Sublime Porta

1719 18 marzo: Trieste Porto Francoinizio bonifiche delle saline fuori Porta Riborgo

1720-1731 costruzione Lazzaretto San Carlo

1740 sale al trono Maria Teresa

1744-1769 costruzione Molo Teresiano

1749 Maria Teresa emana l’Istruzione composta da cinquantadue paragrafi su come fare di Trieste un emporio; inizia la costruzione del Borgo Teresiano

1753 Maria Teresa fonda l’Imperial Regia Accademia di Commercio e Nautica

Nasce la Borsa Mercantile

1769 Maria Teresa proclama Trieste Libera Città Marittima; promulga l’estensione del Porto Franco dalla Val Rosandra a Santa Croce; viene inaugurato il nuovo lazzaretto di Maria Teresa

1780 sale al trono Giuseppe II

prima richiesta di edificazione in Borgo Santi Martiri

1781 Giuseppe II emana la Toleranzpatent

piani per interrare la riva dal Mandracchio al Lazzaretto Vecchio

1787 Molo Teresiano completato con un fortino pentagonale

1788 Giuseppe II decreta l’avvio della costruzione del Borgo Giuseppino

1818 prova in mare per “Carolina”, primo piroscafo a vapore

1824 nasce il Soglio di Nettuno, il primo bagno galleggiante

1827 prova in mare per la nave “Civetta” di Giuseppe Ressel, che muove per mezzo di una verigola o elice

1830 primo bagno galleggiante militare

1830-1840 vengono realizzati palazzi in via Lazzaretto Vecchio

1831 nascono le Assicurazioni Generali

1833 inaugurazione della Lanterna su progetto di Matteo Pertsch

1836 nasce il Lloyd Austriaco di Navigazione

1837 i Sartorio costruiscono sulle rive due palazzi e un molo (Molo Sartorio)

1838 nasce la RAS – Riunione Adriatica di Sicurtà

Iver Borland costruisce in androna Campo Marzio uno stabilimento meccanico, e un molo, il primo dotato di una gru meccanica

Nascono le Officine Strudthoff, poi Stabilimento Tecnico Triestino

1839 nasce il cantiere San Marco di Gaspare Tonello

1846 si realizza il Molo Giuseppino

1853-1861 costruzione dell’Arsenale del Lloyd

1854-1858 si costruisce il palazzo del Barone Revoltella

1858 viene inaugurato il Bagno Maria (bagno galleggiante)

1862-1883 costruzione del nuovo porto nella zona fra la nuova stazione e il Lazzaretto Santa Teresa cheviene smantellato

1869 17 settembre: apertura del Canale di Suez

1875 inaugurazione della statua di Massimiliano in piazza Giuseppina

Sacchetta sottoposta a opera di approfondimento della batimetria con lo scoppio di mine

1890 inaugurazione del Bagno Fontana

1891 Porto Franco ridotto alla sola superficie del nuovo porto

1900 inizia il progetto di riqualificazione delle Rive, imponenti opere di interramento dal Canal Grande a Sant’Andrea

1906 edificazione della Stazione Transalpina

1909 nasce il Nuovo Bagno Militare dal 1918 Bagno Savoia; nasce anche il bagno Lanterna

1913 edificazione della Pescheria Nuova

1925 4 novembre: inaugurazione palazzina Yacht Club Adriaco

edificati i Frigoriferi Generali

1935 nasce il Bagno Ausonia che nel 1936 incorpora anche il Bagno Savoia

1953 lo Studio Belgiojoso Peressutti e Rogers realizza sulle Rive la stazione di servizio per la raffineria Aquila (oggi Stazione Rogers)

1954 forte Bora con gravi danni alle sedi galleggianti

Costruzione Piscina Bruno Bianchi

1956 inaugurazione Pontile Istria e delle nuove sedi delle società sportive

realizzazione della struttura del Mercato ortofrutticolo all’ingrosso sull’area ex Lazzaretto Vecchio

1958 costruzione del grattacielo su progetto di Romano Boico

1969 Edificio principale dell’area ex Lazzaretto Vecchio diventa il Civico Museo del Mare

1981 posizionati i piloni per i pontili di ormeggio della Società della Vela

1989 la Lega Navale inaugura la sezione nautica

1992 la Lega Navale inaugura la sua sede sociale nella Lanterna

1999 Inaugurazione nel bacino San Marco del Marina San Giusto

2000 inaugurazione nuova sede della Società della Vela

2005 inaugurazione nuova sede Yacht Club Adriaco

abbattimento della Piscina Bruno Bianchi

2008 riapertura della rinnovata Stazione Rogers

2009 inaugurazione nuova palazzina servizi della Lega Navale

Page 189: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

187

Panorama della Sacchetta anni ’50 La Lanterna a strisce e sullo sfondo la quinta della splendida “palazzata” di Riva Grumula; siscorge sul mare il Pontile Istria in costruzione, a destra lo Stabilimento alla Lanterna.

Page 190: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

Bibliografia consultata dagli autori

Evoluzione della Sacchetta, in «Rivista Mensile della Città diTrieste», Nuova Serie, Vol. IV, fascicolo n. 3, marzo 1953

AA. VV., Maria Teresa, Trieste e il Porto, catalogo dellamostra, Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia,Udine, 1981

AA. VV., Scrittori Triestini del Novecento, Lint, Trieste, 1968

AA. VV., Trieste: l’architettura neoclassica, B&MM Fachin,Trieste, 1989

AA. VV., Trieste anni cinquanta, Comune di Trieste, Trieste,2004

Alga Marina (pseudonimo di Eugenio Chiminelli), Il porto diTrieste dal 1700 in poi, Stabilimento Tipografico Nazionale,1934

Fabio Amodeo, Nives Millin, Arturo Giacomelli, viaggio nellaTrieste di Svevo, Ed. Arte &, Udine, 1990

Enzo Angiolini (a cura di), Ursus, Luglio Editore, Trieste, 2007

Liliana Bamboschek, Ocio, col bagno! Vecchi stabilimenti bal-neari a Trieste, Il Murice, Trieste, 2001

Edgardo Bartoli, Nicoletta Brunner, Nonna Trieste, Modiano,Trieste, 1970

Corrado Belci, Il libro della Bora, Lint, Trieste, 2002

Guido Botteri, Il Porto Franco di Trieste, una storia europea diliberi commerci e traffici, Editoriale Libraria, Trieste, 1988

Fulvio Caputo (a cura di), Le carte dell’Impero, catalogo dellamostra, Comune di Trieste 23 settembre-30 ottobre 1982,Albrizzi, Venezia, 1982

Antonella Caroli, Gli stabilimenti balneari Ausonia,Campanotto Editore, Pasian di Prato (UD), 2006

Antonella Caroli, L’Adria nella storia del canottaggio triestino,La mongolfiera libri, Trieste, 1997

Mauro Covacich, Trieste sottosopra, Laterza, Roma, 2006

Roberto Covaz, Storia di Marco, il pinguino rapito, MGS Press,Trieste, 2005

Antonio Cratey, Perigrafia dell’origine dei nomi imposti alleandrone, contrade e piazze di Trieste, Trieste, 1808

Renzo S. Crivelli, Itinerari Triestini, James Joyce, MGS Press,Trieste, 1996

Renzo S. Crivelli, Elvio Guagnini, Itinerari Triestini,Umberto Saba, MGS Press, Trieste, 2007

Ireneo della Croce, Historia antica e moderna sacra e profanadella Città di Trieste, Venezia, 1698

Roberto Curci, La basilica in riva al mare, Edizioni Iniziativeculturali, Trieste, 2006

Guglielmo Danelon, Tiziana Oselladore (a cura di), CarloSciarrelli. Architetto del mare, Comunicarte Edizioni, Trieste,2008

Maurizio Eliseo, Paolo Piccione, Transatlantici, Tormena,Genova, 2001

Francesco Fegitz, Contributi per una storia dei CanottieriAdria, 1877, Tipo-lito Astra, Trieste, 2007

Saul Formiggini, Pietro Kandler, Pasquale Revoltella,Giovanni Battista Scrinzi, Tre giorni a Trieste, TipografiaLloyd Austriaco, Trieste, 1858

Ettore Generini, Curiosità triestine. Trieste antica e moderna,Edizioni Italo Svevo, Trieste, 1968

Antonio de Giuliani, Riflessioni sul porto di Trieste, Edizionidello Zibaldone, Trieste, 1950

Giorgio Giudici, I lazzaretti nella Trieste del ’700, Atti delConvegno di Storia Medica Giuliana, estratto da «QuaderniGiuliani di Storia», n. 1, Trieste, 1984

Ezio Godoli, Le città nella storia d’Italia, Trieste, Laterza, Bari,1984

Santiago Grimani, I corridoi della memoria, Sellerio,Palermo, 1996

Armando Halupca, Leone Veronese, Trieste nascosta, Lint,Trieste, 2005

Adolfo Leghissa, Trieste che passa 1884-1914, Tipografia R.Fortuna, Trieste (s. a.)

Mario Marzari, Trabaccoli e Pielaghi, Mursia, Milano, 1988

Gabriella Musetti, Guida sentimentale di Trieste, Arbor libro-rum edizioni, Trieste, 2011

Libero Mazzi, Andare a Lussino, Tipografia Moderna,Trieste, 1967

Libero Mazzi, Queste mie strade, Tipografia Moderna,Trieste, 1968

Libero Mazzi, L’Ulisse di plastica, Tipografia Moderna,Trieste, 1971

Libero Mazzi, L’anima in disordine, Marino Bolaffio Editore,Trieste, 1977

Jane Morris, Trieste o di nessun luogo, Il Saggiatore, Milano,2003

Paolo Nicoloso, Federica Rovello (a cura di), Trieste 1918-1954. Guida all’architettura, MGS Press, Trieste, 2005

Cesare Pagnini, Manlio Cecovini, I cento anni della Societàginnastica triestina, Smolars, Trieste, 1963

Boris Pahor, Qui è proibito parlare, Fazi, Roma, 2009

Anita Pittoni, L’anima di Trieste, Vallecchi, Firenze, 1968

Anita Pittoni, Saper guardare, in «Lil», nr. 3, 1933

Pier Antonio Quarantotti Gambini, Luce di Trieste, ERI -Edizioni RAI, Verona, 1964

Pier Antonio Quarantotti Gambini, L’onda dell’incrociatore,Einaudi, Torino, 1947

Antonio Rinaldi (a cura di), L’onda di Trieste, Vallecchi,Firenze, 1968

Giulio Roselli, Cara Parenzana!, B&MM Fachin, Trieste, 1987

Giulio Roselli, La ferrovia Trieste-Buie-Parenzo, GraficheTrevisan, Castelfranco Veneto, 1972

Federica Rovello (a cura di), Trieste 1872-1917. Guida all’ar-chitettura, MGS Press, Trieste, 2007

Silvio Rutteri, Trieste romantica, Edizioni Italo Svevo, Trieste,1972

Umberto Saba, Pier Antonio Quarantotti Gambini, Il vecchioe il giovane, Carteggio 1930-1957, Arnoldo Mondadori,Verona, 1965

Giovanni Guglielmo Sartorio, Memorie biografiche,Tipografia del Lloyd Austriaco, Trieste, 1863 (edizione ana-statica a cura di Lorenza Resciniti e Simone Volpato,Comune di Trieste, Trieste, 2010)

Alfieri Seri, Sergio degli Ivanissevich, San Vito, già ChiarbolaInferiore, Cenni descrittivi e curiosità storiche, Cassa diRisparmio di Trieste – Edizioni Italo Svevo, Trieste, 1980

Alberto Spaini, Autoritratto triestino, Giordano, Milano, 1963

Giorgio Spazzapan, Paolo Valenti, I vaporetti. Storia dei ser-vizi costieri per passeggeri nel Golfo di Trieste, Luglio Editore,Trieste, 2003

Giani Stuparich, Trieste nei miei ricordi, Garzanti, Milano,1948

Gabrio de Szombathely, Un itinerario di 2000 anni nella sto-ria di Trieste, Edizioni Italo Svevo, Trieste, 1996

188

Page 191: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

189

Gabrio de Szombathely, 1903-2003 Yacht Club Adriaco,Editoriale Lloyd, Trieste, 2003

Jules Verne, La congiura di Trieste da Mathias Sandorf, Labiblioteca del Piccolo, Trieste, 2004

Claudio Visintini, I Lazzaretti della città di Trieste, EdizioniItalo Svevo, Trieste, 2008

Enrico von Widmann (a cura di), Il centenario della CanottieriAdria, Del Bianco, Udine, 1977

Marino Zerboni, Il Faro della Lanterna. Una luce sulla storiadi Trieste, Edizioni Italo Svevo, Trieste, 2010

Fabio Zubini, Borgo Giuseppino, Edizioni Italo Svevo,Trieste, 2002

Le notizie relative al Magazzino Vini sono tratte dalla docu-mentazione conservata all’Archivio Generale del Comune diTrieste (AGCTs, Ufficio Tecnico prot. corr. 451/1919).

I dati relativi alla casetta dei piloti sono tratti dall’ArchivioDiplomatico – Biblioteca Civica A. Hortis del Comune diTrieste (4 L 1/579 - Piano di costruzione d’una piattaforma daeseguirsi alla estremità del Molo Sartorio. Trieste 26 Sett.bre1845. Disegno a penna parzialmente acquerellato 453x617scala di 7 klafter = mm 160 per la pianta scala pel profilocostruzione non precisata. Imp. Reg. Direzione delle pubbli-che costruzioni. Molo Sartorio Moli. DG N 904/845; 4 L 1/581 - Piano d’ulteriore prolungamento con muraturacementiccia del Sartorio nella Rada di Trieste.Trieste 18 Settembre 1845. Disegno a penna parzialmenteacquerellato 482x749 scala di 10 klafter = mm 133. Imp. Reg.Direzione delle pubbliche costruzioni Francesco Tureck,Baubelay Molo Sartorio Moli. DG N 844/845. Sul retro 53 sutalloncino in carta e manoscritto 197.4 L 1/583 - Pianta della piattaforma all’estremità del MoloSartorio che varia dal progetto approvato in quanto d’averecostruito la parte m-n onde lasciare l’appertura pella corrente del-l’acqua. Trieste 20 Giugno 1846. Disegno a penna parzialmen-te acquerellato 342x500 scala di 11 klafter = mm 145 per lapianta e di 3 klafter = mm 139 per il profilo. Imp. Reg.Direzione delle pubbliche costruzioni Anthoine Molo SartorioMoli. In alto a sin. e sul retro Tipo F. DG N 386/846.).

Le piante alle pagine 9 e 11 sono tratte da Pietro Kandler,Cartolare di piani e carte dove si descrive la storia di Trieste edel suo territorio, Trieste, 1856 (riproduzione facsimilaredell’originale a cura, con saggio e commenti di GiulioCervani, Edizioni della Cassa di Risparmio di Trieste,Trieste, 1975); Biblioteca Civica A. Hortis del Comune diTrieste, R.P. 7-65.

Fonti iconografiche

4-5, 13, 14-15, 17, 21 dx b, 23, 25, 26, 28, 31, 32, 34, 38 dx, 42-43, 45, 47, 49, 55 dx, 57, 58, 59, 65, 69, 72, 73, 75, 78,80, 81, 87, 88, 89, 90 sx, 91, 102, 111, 112 a, 116, 119 (le primedue), 121 b, 123, 125, 126, 127, 134, 135, 157, 158, 160, 168 dx,171, 176: Collezione Claudio Ernè, Trieste;

16, 35: Collezione Piero Delbello, Trieste;

18, 19: Collezione Fabio Amodeo, Udine;

20: Archivio CRAF, Spilimbergo;

21 a, 24, 27, 40, 130, 131, 187, 190: Collezione MassimilianoSchiozzi, Trieste;

22, 39, 41, 46, 55 sx, 64, 101, 108, 109, 110, 117, 121, 122,156: Collezione Tiziana Oselladore, Trieste;

36, 51, 63, 100, 103, 104, 105, 106, 107: Collezione MarioMarzari, Trieste;

37, 52, 53, 54, 56, 68, 86, 112 b, 113, 114, 118, 124 dx, 132,133: Collezione privata, Trieste;

62, 159, 166, 169, 178, 180: Archivio Società CanottieriTrieste, Trieste;

48: Collezione Andrea Di Matteo, Trieste;

60, 155, 170, 172, 173, 174, 175: Archivio Società TriestinaCanottieri Adria 1877;

61, 66, 67, 93, 138, 137, 140, 141, 145: Archivio Yacht ClubAdriaco, Trieste;

82, 83: Archivio Stazione Rogers, Trieste;

90 dx: © Ugo Borsatti, Collezione Guglielmo Danelon, Trieste;

94, 95: © Simona Dibitonto, Trieste;

96, 97: Walter Macovaz, Trieste;

115: © Mario Magajna, Collezione privata;

124 sx, 179, 182 dx a: Collezione Luciano Michelazzi, Trieste;

128, 129: Collezione Basiliola de Leitenburg, Trieste;

119, 177, 181, 182, 183: Collezione Raffaello Moradei, Venezia;

144: Archivio Comunicarte Edizioni, Trieste;

146: Collezione Giorgio Brezich, Trieste;

147: Collezione Marzia Straulino, Novara;

38 sx, 70, 71, 74, 76, 77, 79, 142, 143, 148, 149, 150, 151,152, 153: Archivio Società Triestina della Vela, Trieste;

161, 162, 163, 164, 165, 168 sx: Archivio Società GinnasticaTriestina Sezione Nautica - Canottaggio, Trieste;

Ringraziamenti

Gli autori e l’editore ringraziano quanti hanno contribuitoin vario modo alla realizzazione di questo volume:

Fabio Amodeo per le immagini di Arturo Giacomelli;

Cinzia Benussi per l’attenta revisione;

Giorgio Brezich per le immagini e le notizie sulla Triestinadella Vela;

Massimo Cetin per le immagini della Pescheria Centrale;

Guglielmo Danelon per le vicende storiche dell’Adriaco;

Piero Delbello per le immagini storiche del porto;

Andrea Di Matteo per le immagini dei treni sulle Rive;

Maurizio Eliseo per le notizie sulla storia della marineria;

Francesco Fegitz per la documentazione sull’Adria;

Alessandra Festini per le immagini dalla collezione Marzari;

Walter Liva direttore del CRAF di Spilimbergo;

Walter Macovaz e Simona Dibitonto per le immaginidell’Ursus;

Luciano Michelazzi e Paolo Rosso della Ginnastica TriestinaSezione Nautica per le immagini storiche e i diari dei raidremieri;

Raffaello Moradei per il racconto e le immagini del Selene edelle donne canottiere;

Claudio Oselladore senza il quale la parte storica non sareb-be stata scritta;

Giorgio Sebastiani per i materiali storici dell’Adriaco;

Mario Sorz per le foto storiche della Canottieri Trieste;

Paola Ugolini dell’Archivio Generale e Gabriella Norio dellaBiblioteca Civica A. Hortis del Comune di Trieste per lericerche archivistiche;

Stelio Vinci per averci segnalato il libro Corridoi della memo-ria di Santiago Grimani (Oscar Grünbaum);

Cristina Zar per i suoi suggerimenti sui testi di Libero Mazzi;

Stelio Zoratto del Civico Museo del Mare di Trieste per ipreziosi consigli;

gli archivisti del quotidiano «Il Piccolo» per la gentilezza ela disponibilità dimostrata nelle ricerche;

Fabrizio Gaio e Maila Zarattini per le pazienti letture;

Infine un sentito ringraziamento a tutti i soci dei circolisportivi della Sacchetta che ci hanno aiutato con i loro rac-conti e i loro ricordi.

Page 192: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

Finito di stampare nel mese di ottobre 2011 presso le Poligrafiche San Marco, Cormons.

Page 193: "La Sacchetta" di Claudio Ernè e Tiziana Oselladore

192

«Il cutter continuava ad inclinarsi, le in -crespature dell’acqua si facevanosempre più visibili; entrambi tacevano,dalla poppa lui si era spostato sul latodove sedeva lei, reggendo una cima inuna mano, nell’altra l’impugnatura deltimone. […] Tuttavia lui aveva lo sguar-do puntato in direzione della città, chesi stava lentamente allontanando.Disse: «Quando vengo qua e osservo lacittà, mi fa sempre la stessa impressio-ne. Altre città, come Napoli, Palermo,Venezia, per esempio, hanno mante-nuto lo scopo per il quale sono statecostruite. Conoscono la ragione dellaloro esistenza. A Trieste, invece, ècome se fossero stati eretti dei grandiedifici lungo la costa solo perché altro-ve, nel mondo, ci sono palazzi in riva almare. Quei grandi edifici stanno anco-ra attendendo che la gente decidacosa farne.»

Boris Pahor

ISBN 978-88-6287-067-2

€ 25,00

carte di mare