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associazione culturale Larici – http://www.larici.it Madame de Staël Dieci anni d’esilio: 1812 1 1 In Oeuvres posthumes de madame la baronne de Staël-Holstein, précédées d’une notice sur son caractère et ses écrits, Paris 1861, capp. IX-XX, pp. 387-413. La prima edizione uscì nel 1820-1821. Traduzione dal francese e note (N.d.T.): © associazione culturale Larici. 1

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Madame de Staël

Dieci anni d’esilio: 18121

1 In Oeuvres posthumes de madame la baronne de Staël-Holstein, précédées d’une notice sur son caractère et ses écrits, Paris 1861, capp. IX-XX, pp. 387-413. La prima edizione uscì nel 1820-1821. Traduzione dal francese e note (N.d.T.): © associazione culturale Larici.

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Passaggio in Polonia

Arrivai ai primi giorni di luglio nel capoluogo del circondario da cui dipende Łańcut; la mia vettura si fermò dinanzi alla posta e mio figlio andò, come al solito, a far vistare il mio passaporto. Dopo un quarto d’ora mi stupii di non rivederlo e pregai Schlegel2 di informarsi sul motivo del ritardo. Tornarono entrambi, seguiti da un uomo di cui non dimenticherò in vita mia la figura: un falso sorriso cortese su un volto da stupido dava al suo aspetto un’espressione molto sgradevole. Mio figlio, fuori di sé, mi spiegò che il capitano del circondario gli aveva dichiarato che non potevo restare più di otto ore a Łańcut e che, per garantirsi la mia obbedienza all’ordine, un commissario mi avrebbe seguito fino al castello3, vi sarebbe entrato con me, e mi avrebbe lasciato soltanto dopo la mia partenza. Mio figlio aveva fatto presente al comandante che, sfinita dalla stanchezza com’ero, avrei avuto necessità di più di otto ore per riposare e che la vista di un commissario di polizia, nel mio stato di sofferenza, avrebbe potuto causarmi una grave agitazione. Il comandante gli aveva risposto con una brutalità che si può trovare solo tra i subalterni tedeschi, così come soltanto in costoro si incontra quel rispetto ossequioso che accompagna sempre l’arroganza verso i deboli. I movimenti dell’anima di quegli uomini somigliano alle evoluzioni di un giorno di parata: un mezzo giro a destra e un mezzo giro a sinistra, secondo l’ordine ricevuto.

Il commissario incaricato di sorvegliarmi si stancò di farmi inchini fino a terra, ma non volle modificare in nulla la sua consegna e montò su una carrozza, i cui cavalli toccavano le ruote posteriori della mia berlina. L’idea di arrivare in questo modo da un vecchio amico, in un luogo di delizie in cui mi facevo una festa di trascorrere alcuni giorni, mi fece un male che non riuscivo a sopportare e credo che a ciò si aggiunse anche l’irritazione di sentirmi dietro quell’insolente spia, che sarebbe stato senza dubbio facile da ingannare se si fosse voluto, ma che faceva il suo lavoro con un misto insopportabile di pedanteria e di rigore4. Ebbi una crisi di nervi a metà

2 Wilhelm August von Schlegel (1767-1845) fu poeta, scrittore e traduttore di Shakespeare. Di idee liberali e portavoce della prima fase del Romanticismo tedesco, viaggiò in Europa con Madame de Staël tra il 1808 e il 1817. (N.d.T.)

3 Si tratta del castello del principe Henryk Lubomirski a Łańcut, che era ed è una delle più sfarzose residenze polacche. (N.d.T.)

4 «Per spiegare quanto erano vive e fondate le angosce provate da mia madre durante questo viaggio, devo dire che l’attenzione della polizia austriaca non era diretta a lei sola.

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strada e mi costrinsero a scendere dalla vettura e a stendermi sul bordo del fossato. Quel miserabile commissario immaginò che fosse il caso di aver pietà di me e, senza uscire dalla carrozza, mandò il suo domestico a cercarmi un bicchiere d’acqua. Non posso descrivere la collera che provai contro me stessa e contro la debolezza dei miei nervi: la compassione di quell’uomo era l’ultima offesa, e avrei voluto mi fosse risparmiata. Egli ripartì insieme alla mia carrozza e io entrai con lui nella corte del castello di Łańcut. Il principe Henryk, non immaginando nulla di simile, mi venne incontro con amabile allegria, ma fu immediatamente colpito dal mio pallore e io gli dissi subito quale singolare ospite era con me: ciononostante, non smentì per un solo momento il suo sangue freddo, la sua fermezza e la sua amicizia per me. Ma è mai concepibile una situazione in cui un commissario di polizia si siede alla tavola di un aristocratico5, come il principe Henryk, o a quella di chicchessia, senza il suo consenso? Dopo cena, il commissario si avvicinò a mio figlio e gli disse, con quel tono di voce mellifluo che io detesto soprattutto quando viene usato per proferire parole offensive:

«Dovrei, secondo gli ordini ricevuti, passare la notte nella camera di vostra madre, per assicurarmi che non abbia contatti con alcuno, ma non ne farò nulla, per riguardo alla signora».

«Potete aggiungere anche per riguardo a voi, – rispose mio figlio, – perché se mettete piede, di notte, in camera di mia madre, vi getterò dalla finestra».

«Ah, barone!» rispose il commissario, inchinandosi più del solito perché la minaccia aveva quel finto tono di forza che non mancò di toccarlo nel vivo. Andò a coricarsi e, il giorno dopo, a colazione, il segretario del principe lo trattenne così bene, dandogli da mangiare e da bere, che avrei potuto, credo, restare qualche ora di più, ma mi vergognavo di scatenare una qualunque scena in casa del mio amabile ospite. Non ebbi così il tempo di vedere quei bei giardini che nei loro prodotti ricordano il clima del Mezzogiorno, né quella casa che è stata l’asilo degli emigrati francesi

I connotati di Rocca [Secondo marito di Madame de Staël (N.d.T.)] erano stati diffusi su tutto il percorso, assieme all’ordine di arrestarlo in quanto ufficiale francese. Sebbene egli avesse dato le dimissioni e le sue ferite gli impedissero di continuare il servizio militare, nulla faceva dubitare che, se fosse stato consegnato alla Francia, sarebbe stato trattato con il massimo rigore. Egli aveva perciò viaggiato da solo e sotto falso nome, e aveva appuntamento con mia madre a Łańcut. Essendovi arrivato prima di lei e non sospettando che potesse essere scortata da un commissario di polizia, le andò incontro, pieno di gioia e fiducia. Il pericolo al quale si esponeva, senza saperlo, gelò di terrore mia madre, la quale ebbe appena il tempo di fargli cenno di tornare sui suoi passi, ma senza la generosa presenza di spirito di un gentiluomo polacco, che fornì a Rocca i mezzi per fuggire, sarebbe stato sicuramente riconosciuto e fermato dal commissario. Ignorando quale potesse essere la sorte del suo manoscritto e in quali circostanze pubbliche o private avrebbe potuto pubblicarlo, mia madre ha ritenuto di dover eliminare questi particolari, che mi è oggi concesso di far conoscere. (Nota di de Staël figlio)»

5 La locuzione francese «grand seigneur», gran signore, indica un uomo di alto rango che ha autorità su certe persone e possiede dei beni, ma è anche un nobile di nascita o un uomo colto e dai modi molto raffinati. Nella traduzione si è usata la parola “aristocratico” che, in lingua italiana, ne riassume i significati. (N.d.T.)

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perseguitati e dove gli artisti hanno inviato i frutti dei loro talenti per sdebitarsi delle gentilezze offerte loro dalla signora del castello6. Il contrasto tra quelle dolci e brillanti impressioni e il dolore e l’indignazione che provavo era intollerabile: quando ricordo Łańcut, che ho tante ragioni di amare, rabbrividisco ancora.

Mi allontanai dunque da quella residenza piangendo amaramente e non sapendo ciò che mi avrebbero riservato le cinquanta miglia che dovevo ancora percorrere in territorio austriaco. Il commissario mi condusse fino ai confini del suo circondario e, quando mi lasciò, mi chiese se fossi stata contenta di lui: la stupidità di quell’uomo disarmò il mio risentimento. La particolarità di tutte queste persecuzioni, che un tempo non erano affatto nel carattere del governo austriaco, è che esse sono condotte dagli agenti con durezza e, al tempo stesso, con goffaggine: costoro, da persone oneste quali erano, ora pongono, nelle cose spregevoli che si esigono loro, la stessa scrupolosa precisione che mettono nelle buone, ma la loro inesperienza in questo nuovo e a loro sconosciuto modo di governare fa far loro cento sciocchezze, sia per goffaggine, sia per grossolanità: prendono la clava di Ercole per uccidere una mosca e, durante codesto inutile sforzo, possono sfuggir loro le cose più importanti.

Uscendo dal circondario di Łańcut, continuai a incontrare fino a Leopoli, capitale della Galizia7, dei granatieri dislocati di posta in posta per controllare la mia marcia. Mi sarebbe spiaciuto per il tempo che si faceva perdere a quelle brave persone se non avessi pensato che per loro era meglio essere lì, piuttosto che nello sventurato esercito consegnato dall’Austria a Napoleone. Arrivata a Leopoli, ritrovai l’antica Austria nel governatore e nel comandante della provincia, che mi ricevettero entrambi con perfetta cortesia e mi dettero ciò che desideravo sopra ogni cosa: un permesso per passare dall’Austria in Russia. Qui finì il mio soggiorno in quella monarchia che avevo visto potente, giusta e proba, ma che l’alleanza con Napoleone, finché è durata, l’ha ridotta all’ultimo rango fra le nazioni. Senza dubbio, la storia non dimenticherà che si è mostrata molto bellicosa nelle sue lunghe guerre contro la Francia e che il suo ultimo sforzo per resistere a Bonaparte fu ispirato da un entusiasmo nazionale veramente degno di elogio, ma il sovrano d’Austria, cedendo ai suoi consiglieri più che al proprio carattere, ha spento completamente tale entusiasmo, fermandone lo slancio. Quegli infelici periti sui campi di Essling e Wagram8, per avere

6 La principessa Lubomirska era nota «per la generosa beneficenza cui dedicava la sua fortuna» (cap. VIII) verso tutti gli emigrati incontrati. (N.d.T.)

7 Leopoli (L’viv, in russo e ucraino) era la capitale del Regno di Galizia e Lodomeria, o semplicemente Galizia, la più settentrionale delle province dell’impero austro-ungarico dal 1772 al 1918. Oggi è in Ucraina. (N.d.T.)

8 A Essling e Wagram, città sul Danubio, avvennero due battaglie tra Francesi e Austriaci nel 1809. Sconfitto a Essling, Napoleone vinse a Wagram, ma nei due conflitti perirono oltre sessantamila francesi. In seguito a ciò Napoleone destituì il maresciallo Jean-Baptiste Jules Bernadotte, di cui poi appoggiò la nomina a re di Svezia sperando in una alleanza che non avvenne. Madame de Staël fu amica e ospite di Bernadotte. (N.d.T.)

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ancora una monarchia austriaca e un popolo tedesco, non si aspettavano certo che tre anni dopo i loro compagni d’armi si sarebbero battuti affinché l’impero di Bonaparte si estendesse fino alle frontiere dell’Asia e non vi fosse, nell’Europa intera, neanche un deserto dove gli esuli, dai re agli umili sudditi, potessero trovare asilo, perché tale è l’unico scopo della guerra della Francia contro la Russia.

Arrivo in Russia

Non si era molto abituati a considerare la Russia come lo Stato più libero d’Europa, ma il giogo che l’imperatore della Francia fa pesare su tutti gli Stati del continente è tale che ci si crede in una repubblica appena si arriva in un paese in cui la tirannia di Napoleone non può più farsi sentire. Entrai in Russia il 14 luglio, cioè l’anniversario del primo giorno della rivoluzione, e ciò mi colpì molto: per me si chiudeva il cerchio della storia della Francia cominciata il 14 luglio 17899. Quando la barriera che separa l’Austria dalla Russia si aprì per lasciarmi passare, giurai di non rimettere mai più piede in un paese sottomesso, in qualunque modo, all’imperatore Napoleone. Questo giuramento mi permetterà mai di rivedere la bella Francia?

La prima persona che mi ricevette in Russia fu un francese, un tempo impiegato negli uffici di mio padre10; egli mi parlò di lui con le lacrime agli occhi e quel nome evocato mi sembrò di buon augurio. E infatti, nell’impero russo, ingiustamente chiamato barbaro11, io non ho provato che impressioni nobili e dolci: possa la mia riconoscenza attirare maggiori benedizioni su quel popolo e sul suo sovrano! Entravo in Russia quando l’esercito francese era già penetrato molto addentro nel territorio russo, tuttavia nessuna persecuzione, nessuna difficoltà fermò per un istante il viaggiatore straniero. Né io, né i miei compagni sapevamo una parola di russo, parlavamo soltanto francese, la lingua del nemico che stava devastando l’impero; non avevo con me, per una serie di casi seccanti, nemmeno un domestico che sapesse il russo e avremmo realmente meritato l’epiteto di sordomuti, che i Russi danno nella loro lingua agli stranieri, se un generoso medico tedesco (il dottor Renner) non ci avesse voluto fare da interprete fino a Mosca. Ebbene, pur in quelle condizioni, il nostro viaggio fu sicuro e facile, tanto è grande in Russia l’ospitalità dei nobili e del popolo! Fin dai nostri primi passi, apprendemmo che la strada diretta per Pietroburgo era

9 «È il 14 luglio 1817 che mia madre è mancata e Dio l’ha accolta nel suo seno. Chi non sarebbe colpito da un’emozione religiosa meditando su queste misteriose coincidenze del destino umano? (Nota di de Staël figlio)»

10 Jacques Necker (1732-1804), banchiere svizzero, diventò ministro delle Finanze del re di Francia Luigi XVI. Madame de Staël subì fortemente l’influenza del padre, per il quale nutriva un autentico culto. (N.d.T.)

11 Fu Pietro il Grande a definire un «Paese barbaro» la nazione che era appena stato chiamato a guidare. Il termine fu poi ripetuto spesso dagli illuministi francesi. (N.d.T.)

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già occupata dalle truppe e perciò, per andarvi, occorreva passare per Mosca. Era una deviazione di duecento leghe in più12, poco rispetto alle millecinquecento che avremmo fatte, e ora sono lieta di aver visto Mosca.

La prima provincia che dovemmo attraversare, la Volinia, fa parte della Polonia russa: è un paese fertile, invaso di ebrei come la Galizia, ma molto meno misero13. Mi fermai nel castello di un polacco al quale ero stata raccomandata ed egli mi consigliò di affrettarmi a proseguire, perché i Francesi marciavano verso la Volinia e avrebbero potuto entrarvi entro otto giorni. I Polacchi, in genere, amano più i Russi degli Austriaci; i Russi e i Polacchi sono di razza schiavone14 e sono stati nemici, ma si stimano reciprocamente, mentre i Tedeschi, più progrediti degli Slavi nella civilizzazione europea, non sanno riconoscerne le qualità possedute in altri campi. Era facile accorgersi che i Polacchi non temevano l’ingresso dei Francesi in Volinia, ma, benché la loro opinione fosse conosciuta, non si infliggevano loro quelle meschine persecuzioni che non fanno che fomentare l’odio senza contenerlo. Era tuttavia sempre uno spettacolo penoso quello di una nazione sottomessa a un’altra, occorrono molti secoli prima che l’unità sia tanto solida da far dimenticare i nomi del vincitore e del vinto.

A Žytomyr, capoluogo della Volinia, mi raccontarono che il ministro della polizia russa era stato inviato a Vilna15 per sapere il motivo dell’aggressione dell’imperatore Napoleone e per protestare, secondo le norme diplomatiche, contro il suo ingresso in territorio russo. Non si ha idea degli innumerevoli sacrifici compiuti dall’imperatore Alessandro per conservare la pace. Infatti, l’imperatore Alessandro era lontano dal poter essere accusato da Napoleone di avere mancato al trattato di Tilsitt16, semmai poteva essere rimproverato per una fedeltà troppo scrupolosa a quel disastroso trattato: era Alessandro ad avere il diritto di fare la guerra a Napoleone, poiché fu questi il primo a trasgredire l’accordo. L’imperatore di Francia si lasciò sfuggire, nella sua conversazione con Balašov17, ministro della Polizia, una di quelle

12 La lega era la distanza percorsa da una persona, o un cavallo, in un’ora di tempo, ossia 4 o 5 chilometri. (N.d.T.)

13 La Volinia fu provincia della Polonia fino al 1793 e dell’impero russo fino al 1921, quando fu spartita tra Polonia e Urss. La parte orientale, sovietica, ebbe come capitale Žytomyr (oggi in Ucraina) dove si fermò Madame de Staël. (N.d.T.)

14 Slava o slavone. Il termine “schiavone” deriva dall’appellativo dato dai Bizantini, a partire dal VI secolo, agli Slavi che, varcato il Danubio, iniziavano a infiltrarsi nella Penisola balcanica. Da qui in poi si è preferito tradurre con “slavo”. (N.d.T.)

15 Vilnius. (N.d.T.)16 Furono due i trattati siglati nel 1807 a Tilsitt (o Tilsit; attuale Sovetsk nell’oblast’ russo di

Kaliningrad) da Napoleone: il 7 luglio con lo zar Alessandro I di Russia e il 9 luglio con il re Federico Guglielmo III di Prussia. La pace franco-russa sancì la divisione dell’Europa orientale tra le due potenze, che, in quell’occasione e segretamente, si unirono contro l’Inghilterra. Sull’altro fronte, la Prussia dovette rinunciare a metà del proprio territorio a favore degli stati vassalli di Napoleone. (N.d.T.)

17 Lo statista e generale Aleksandr Balašov [o Balašev; 1770-1837] fu nel 1808 capo della polizia di San Pietroburgo e dal 1809 al 1812 governatore militare della stessa città. Contemporaneamente, fu membro del Consiglio di Stato e ministro della Polizia (1810-12 e 1819), partecipando a diverse missioni diplomatiche con l’imperatore Alessandro I. Nel

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inconcepibili indiscrezioni che si prenderebbero per confidenze se non si sapesse che a Napoleone conviene aumentare il terrore che ispira, mostrandosi al di sopra di ogni calcolo. «Credete, – disse a Balašov, – che mi preoccupi di quei giacobini di Polacchi?» E infatti, si assicura che esista una lettera indirizzata, alcuni anni fa a Romanzov18 da un ministro di Napoleone19, nella quale si propone di cancellare da tutti gli atti europei il nome di Polonia e di Polacchi. Quale sventura per questa nazione che l’imperatore Alessandro non abbia preso il titolo di re di Polonia e non abbia associato la causa di questo popolo oppresso a quella di tutte le anime generose! Napoleone chiese a uno dei suoi generali, dinanzi a Balašov, se fosse mai stato a Mosca e come fosse quella città; il generale disse che gli era sembrata più un grosso villaggio che una capitale. «E quante chiese ci sono?» continuò l’imperatore. «Circa milleseicento» gli fu risposto. «È inconcepibile – riprese Napoleone – in un tempo in cui non si è più religiosi». «Perdonate, sire, – disse Balašov, – i Russi e gli Spagnoli lo sono ancora». Risposta ammirevole e che prediceva, come si doveva sperare, che i Moscoviti sarebbero stati i Castigliani del Nord20.

Tuttavia l’esercito francese faceva rapidi progressi e ci si abituò a vedere i Francesi trionfare all’esterno, sebbene a casa loro non sappiano resistere ad alcun tipo di giogo, sì che io potevo temere, a ragione, di incontrarli già sulla strada di Mosca. Strana sorte la mia, che così presto ho dovuto fuggire i Francesi, tra i quali sono nata e che hanno portarono mio padre in trionfo, e ancora doverli fuggire sino ai confini dell’Asia! Ma infine qual è il destino, grande o piccolo, che l’uomo scelto per umiliare quell’uomo non sconvolge? Credetti di essere costretta ad andare a Odessa, città diventata prospera per l’illuminata amministrazione del duca di Richelieu21 e da lì a Costantinopoli e in Grecia: mi consolavo del lungo viaggio pensando a un poema su Riccardo Cuor di Leone che mi propongo di scrivere, se la vita e la salute me lo permetteranno. Questo poema è destinato a dipingere i costumi e la natura dell’Oriente e a consacrare una grande epoca della storia inglese, quella in cui l’entusiasmo delle crociate lasciò il posto all’entusiasmo della libertà. Ma poiché si può dipingere soltanto ciò che si è

1819-28 fu governatore generale di Voronež, Orël, Rjazan’, Tambov e Tula. (N.d.T.)18 Il conte Nicolai von Romanzov (1750-1826) fu, sotto l’imperatore Alessandro I,

ciambellano, senatore, ministro del Commercio e degli Affari esteri. Da sempre favorevole a Napoleone, lasciò tutte le cariche all’invasione francese in Russia. Amante delle arti e delle scienze, Romanzov si dedicò alla pubblicazione di antichi manoscritti e finanziò alcune spedizioni dell’esploratore Otto von Kotzebue. (N.d.T.)

19 Il ministro era Jérôme Paul Marie Jean Baptiste de Champagny (1756-1834). Dopo che Napoleone rovesciò il Direttorio (18 brumaio), Champagny fu consigliere di Stato, ambasciatore a Vienna (1801-04), ministro degli Interni (1804-07) e poi degli Esteri (1807-11). Dopo la Restaurazione poté riprendere l’attività politica solo nel 1819, quando ebbe la nomina alla Camera dei Pari. (N.d.T.)

20 Il riferimento è alla strenua resistenza degli Spagnoli, militari e soprattutto civili, contro le truppe napoleoniche nel 1808. (N.d.T.)

21 Armand Emmanuel de Vignerot du Plessis, duca di Richelieu (1766-1822) fu nominato, nel 1803, dallo zar Alessandro I, governatore di Odessa e poi del sud della Russia conquistato agli Ottomani. In undici anni trasformò Odessa da villaggio a importante città. (N.d.T.)

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visto, come si può esprimere soltanto ciò che si è sentito, occorre che vada a Costantinopoli, in Siria e in Sicilia, per seguire le tracce di Riccardo. I miei compagni di viaggio, giudicando le mie forze meglio di me stessa, mi dissuasero però dal’impresa e mi assicurarono che, affrettandomi, sarei andata più veloce di un esercito. Infatti, non ebbi molto tempo da perdere.

Kiev

Risolta a proseguire il mio viaggio in Russia, mi diressi su Kiev, città principale dell’Ucraina e un tempo di tutta la Russia, poiché questo impero è cominciato stabilendo la propria capitale nel Mezzogiorno. Allora i Russi avevano continue relazioni con i Greci insediati a Costantinopoli e, in generale, con i popoli d’Oriente, di cui, per molti aspetti, hanno preso le abitudini. L’Ucraina è un paese molto fertile, ma per nulla piacevole; si vedono vaste distese di grano che sembrano coltivate da mani invisibili, tanto le case e gli abitanti sono radi. Non bisogna immaginare, avvicinandosi a Kiev, come pure alla maggior parte di quelle che in Russia si chiamano città, di vedere qualcosa di simile alle città occidentali; le strade non sono meglio curate e nessuna villa di campagna annuncia una contrada più popolata.

Giungendo a Kiev, la prima cosa che vidi fu un cimitero: capii così che ero vicino a un luogo abitato. Quasi tutte le case di Kiev somigliano a tende e, da lontano, la città assume la parvenza di un accampamento: non si può non pensare che siano state prese a modello le dimore ambulanti dei Tartari22 nella costruzione in legno di queste case, che non sembrano neppure molto solide. Pochi giorni bastano a costruirle, i frequenti incendi le consumano, e si va alla foresta per ordinare una casa come al mercato per far le provviste per l’inverno. In mezzo alle capanne, si alzano tuttavia dei palazzi e soprattutto delle chiese, le cui le cupole verdi e dorate colpiscono notevolmente la vista. Quando, verso sera, il sole getta i raggi sulle loro volte brillanti, si crede di vedere la luminaria di una festa, piuttosto che un edificio duraturo.

I Russi non passano mai dinanzi a una chiesa senza farsi il segno della croce, e la loro lunga barba accresce molto l’espressione religiosa della loro fisionomia. Per lo più portano un’ampia veste blu, stretta attorno al corpo con una cintura rossa; anche l’abito delle donne ha qualcosa di asiatico e vi si nota quel gusto per i colori vivaci proveniente dai paesi dove il sole è così bello che si ama far risaltare il suo splendore sugli oggetti che esso illumina.

In poco tempo mi pigliò tanta passione a quei vestiti orientali che non mi piaceva vedere i Russi vestiti come il resto degli Europei, perché, a quel tempo, mi sembrava che stessero per entrare nella grande regolarità del

22 La dizione esatta sarebbe Mongoli-Tatari o, in breve, Tatari, ma gli scrittori francesi usavano il nome derivato dal latino tartarus, barbaro, diffusosi dal XIII secolo. (N.d.T.)

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dispotismo napoleonico che a tutte le nazioni fa dono inizialmente della coscrizione, poi delle tasse di guerra e infine del Code Napoléon23, allo scopo di governare nello stesso modo nazioni molto diverse tra loro.

Il Dnepr, che gli antichi chiamavano Boristene, passa per Kiev, e l’antica tradizione della regione assicura che fu un barcaiolo che, attraversando il fiume, trovò le acque così pure da voler fondare una città sulle sue sponde. Infatti, i fiumi sono le principali bellezze naturali della Russia, raramente vi si incontrano ruscelli perché la sabbia ne ostruisce il corso. Non vi è quasi varietà di alberi: la triste betulla ritorna incessantemente in questa natura poco inventiva; si arriva persino a rimpiangere le pietre, tanto ci si stanca di non incontrare né colline né valli e di avanzare sempre senza vedere nulla di nuovo. I fiumi liberano l’immaginazione da questa stanchezza e sono benedetti anche dai preti. L’imperatore, l’imperatrice e tutta la corte vanno ad assistere alla cerimonia della benedizione della Neva, nel momento del più intenso freddo invernale24. Si dice che Vladimir, all’inizio dell’XI secolo, abbia dichiarato che tutte le acque del Boristene erano sante e che bastava immergersi per diventare cristiani; poiché il battesimo dei Greci si fa per immersione, migliaia di persone si bagnarono in quel fiume per abiurare l’idolatria25. Era quello stesso Vladimir che aveva inviato propri ambasciatori in diversi Paesi per sapere quale tra tutte le religioni gli convenisse adottare e decise per il culto greco per la pompa delle cerimonie e forse anche per ragioni più importanti: il culto greco, non riconoscendo l’autorità del papa, dà al sovrano della Russia sia i poteri spirituali che quelli temporali.

La religione greca è necessariamente meno intollerante del cattolicesimo, perché, essendo accusata di scisma, non può lamentarsi degli eretici: così tutte le religioni sono ammesse in Russia e, dalle rive del Don fino a quelle della Neva, la fraternità della patria riunisce gli uomini, anche se le opinioni teologiche li dividono26. I preti greci sono sposati e quasi mai i nobili prendono i voti: ne risulta che il clero non ha molto ascendente

23 Il Code Napoléon (in italiano: Codice Napoleonico) è il nome con cui è conosciuto il Code Civil des Français, il codice di diritto civile francese promulgato nel marzo 1804. Esso era un compromesso tra il diritto consuetudinario di ispirazione germanica delle province del nord della Francia e il diritto romano delle regioni del sud e dell’est del paese e fu preso a modello da molte nazioni, anche extraeuropee. (N.d.T.)

24 Per la Chiesa ortodossa, la Grande benedizione delle acque (in slavo Bogojavlénskaja vodá) – simbolo del fiume Giordano – è celebrata dal vescovo il 6 gennaio, al termine della Messa solenne per la festa del Battesimo di Gesù Cristo, oppure la vigilia, dopo il Vespro, per esprimere la credenza che la Creazione, uomo compreso, sia avvenuta per essere colmata dalla presenza santificante di Dio. (N.d.T.)

25 Il battesimo di Vladimir e dei Kieviani è narrato nella Cronaca degli anni passati, compilata all’inizio del XII secolo nel monastero delle Grotte di Kiev. È in questo monastero che si trovano le grotte-catacombe di cui si parla più avanti. (N.d.T.)

26 Non è del tutto vero. Dopo il grande scisma d’Oriente (1054), all’interno della Chiesa russa avvenne uno scisma nel 1666-1667 a causa delle riforme ecclesiastiche e liturgiche volute dal patriarca Nikon e appoggiate dallo zar Alessio I. Gli scismatici (Raskol’niki), poi divisisi in numerose sette, furono duramente perseguitati fino al 1905. Cattolici e protestanti godettero di ampie libertà, perché cristiani e portatori della civiltà occidentale. Gli ebrei furono tollerati fino all’ascesa al trono di Nicola I (1825). (N.d.T.)

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politico, agisce sul popolo ma è del tutto sottomesso all’imperatore.Le cerimonie del culto greco sono almeno altrettanto belle di quelle dei

cattolici e i canti di chiesa sono stupendi; in questo culto tutto pare come un sogno, vi è qualcosa di poetico e sentimentale, ma mi sembra che colpisca l’immaginazione più che dirigere una condotta. Quando il prete esce del santuario, dove resta rinchiuso per comunicarsi, si direbbe che si aprono le porte del giorno: le nuvole d’incenso che lo avvolgono, l’argento, l’oro e le pietre preziose che brillano sui loro paramenti e nella chiesa, sembrano venire dal paese dove si adorava il sole. Il senso di raccoglimento, che ispira l’architettura gotica in Germania, in Francia e in Inghilterra, non può compararsi in nulla all’impressione data dalle chiese greche: queste ricordano i minareti turchi e arabi più che i nostri templi. Non bisogna neppure aspettarsi di trovare, come in Italia, lo sfarzo delle belle arti: i loro ornamenti più notevoli sono vergini e santi incoronati di brillanti e rubini. La magnificenza è il carattere di tutto ciò che si vede in Russia: la sua bellezza non è data né dal genio dell’uomo, né dai doni della natura.

Le cerimonie del matrimonio, del battesimo e della sepoltura sono nobili e commoventi; vi si trovano antiche usanze del paganesimo greco, ma solo quelle che, non intaccando il dogma, possono aumentare l’effetto delle tre grandi scene della vita: nascita, matrimonio e morte. Fra i contadini russi, si è conservata l’usanza di parlare al morto prima di separarsi per sempre dalle sue spoglie: «Perché – gli dicono – ci hai abbandonati? eri forse infelice su questa terra? tua moglie non era bella e buona? perché dunque l’hai lasciata?». Il morto non risponde, ma il valore della vita viene così proclamato in presenza di coloro che ancora ne dispongono.

A Kiev vi sono delle catacombe che ricordano un po’ quelle di Roma e sono meta di pellegrini che giungono a piedi da Kazan’ e da altre città ai confini dell’Asia, ma questi pellegrinaggi sono maggiormente sopportati in Russia che altrove, benché le distanze siano molto maggiori. Il carattere di questo popolo è di non temere né la stanchezza, né le sofferenze fisiche; in questa nazione vi è pazienza e attività, gaiezza e malinconia. Vi si vedono riuniti i più sorprendenti contrasti e ciò può far presagire grandi cose, poiché, di solito, solamente gli esseri superiori possiedono qualità opposte, mentre le masse sono per lo più di un solo colore.

A Kiev potei apprezzare l’ospitalità russa. Il governatore della provincia, il generale Miloradovič27 mi riempì delle gentilezze più squisite: era un aiutante di campo di Suvorov28, intrepido come lui, e mi ispirò maggior

27 Michail Miloradovič (1771-1825) fu agli ordini del generale Aleksandr Suvorov nelle guerre contro la Turchia e la Polonia del 1799. Nel 1805, come generale al servizio di Michail Kutuzov, partecipò alla campagna di Austerlitz e nel 1812 a quella di Borodino. (N.d.T.)

28 Aleksandr Suvorov (1729-1800), considerato uno fra i più grandi strateghi dei tempi moderni, combatté contro i Prussiani, i Turchi e, nel 1799, contro i Francesi nell’Italia settentrionale – vincendo a Cassano d’Adda, sul fiume Trebbia e a Novi Ligure – ma dovette ritirarsi sulle Alpi Svizzere e, rientrato in Russia, lo zar Paolo I lo rimosse. Suvorov fu sepolto nella chiesa dell’Annunciazione, nel monastero di Aleksander Nevskij a San Pietroburgo senza onori e, secondo i suoi desideri, con una semplice iscrizione sulla

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fiducia sui successi militari della Russia, perché fino ad allora avevo incontrato soltanto ufficiali di scuola tedesca che non avevano nulla del carattere russo. Vidi nel generale Miloradovič un vero russo, impetuoso, coraggioso, colmo di fiducia e per niente succube di quello spirito d’imitazione che talvolta cela nei suoi compatrioti perfino il loro carattere nazionale. Mi raccontò alcune caratteristiche di Suvorov, che provano come quell’uomo studiasse molto, sebbene possedesse il singolare istinto di comprendere subito uomini e circostanze, ma nascondeva i suoi studi per colpire maggiormente l’immaginazione dei propri soldati, assumendo, in qualunque situazione, un’aria ispirata.

I Russi hanno, secondo me, molta più affinità con i popoli del Mezzogiorno, o piuttosto dell’Oriente, che con quelli del Nord. Ciò che hanno di europeo è la vita di corte, uguale in tutti i Paesi, ma la loro natura è orientale.

Il generale Miloradovič mi raccontò che un reggimento di calmucchi era stato messo di guarnigione a Kiev e che un giorno il loro comandante gli confessò che soffriva a passare l’inverno chiuso in città, perciò chiedeva il permesso di accamparsi nella foresta vicina. Non gli si poteva certo rifiutare un piacere tanto semplice: così egli andò, con la sua truppa, in mezzo alla neve, ad abitare nei carri che per loro sono anche capanne. I soldati russi sopportano quasi allo stesso modo le fatiche e le sofferenze del clima e della guerra, e il popolo, di ogni classe, ha un tale disprezzo degli ostacoli e delle pene fisiche che lo può portare alle più grandi cose. Durante un ballo, quel principe calmucco, cui le case di legno sembravano, in pieno inverno, delle dimore troppo raffinate, regalava diamanti alle signore che gli piacevano e, siccome non poteva farsi intendere da loro, sostituiva i complimenti con i doni, come succede in India e nelle contrade silenziose d’Oriente, in cui la parola ha meno potere che da noi. Il generale Miloradovič mi invitò, per la sera stessa della mia partenza, a un ballo in casa di una principessa moldava e mi spiacque veramente di non poter partecipare, perché tutti i nomi di Paesi stranieri, di popoli che non sono quasi più europei, svegliano in modo particolare la mia immaginazione. Ci si sente, in Russia, alle porte di un’altra terra, vicino a quell’Oriente da cui provengono tante credenze religiose, e che ancora racchiude in seno incredibili tesori di perseveranza e riflessione.

Strada da Kiev a Mosca

Circa novecento verste29 separavano ancora Kiev da Mosca. I cocchieri russi mi conducevano come il lampo, cantando delle canzoni le cui parole erano,

tomba: «Qui giace Suvorov». Un anno dopo lo zar Alessandro I eresse una statua alla sua memoria nel Campo di Marte. Madame de Staël ne scrive più avanti. (N.d.T.)

29 Una versta, unità di misura russa, corrisponde a 1066,8 metri. (N.d.T.)

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a quanto mi assicurarono, complimenti e incoraggiamenti per i loro cavalli. «Andate, – dicevano loro, – amici miei, noi ci conosciamo, andate in fretta». Non ho visto nulla di barbaro in quel popolo; al contrario, i suoi modi hanno qualcosa di elegante e di dolce che non si trova altrove. Un cocchiere russo non passa mai davanti a una donna, di qualunque età o di qualsiasi condizione, senza salutarla e la donna gli risponde con un inchino del capo, che è sempre nobile e grazioso. Un vecchio, che non poteva farsi capire da me, mi mostrò prima la terra e poi il cielo, per indicarmi che la prima sarebbe stata presto, per lui, la partenza verso l’altro. So bene che mi si possono obiettare, con ragione, le grandi atrocità che si riscontrano nella storia della Russia, ma, da una parte, ne accuserei i bojari, corrotti dal dispotismo che esercitavano o che subivano, piuttosto che la nazione stessa e, dall’altra parte, i dissensi politici che, ovunque e in tutti i tempi, snaturano il carattere nazionale, e nulla è più deplorevole nella storia che il susseguirsi di padroni innalzati e rovesciati dal delitto, ma questa è la condizione inevitabile del potere assoluto sulla terra. Gli impiegati civili di classe inferiore, coloro che si attendono la fortuna dalla furberia o dagli intrighi non somigliano affatto agli abitanti della campagna e io capisco tutto il male che si è detto e che deve dirsi di loro, ma bisogna cercare di conoscere una nazione guerriera attraverso i suoi soldati e attraverso la classe da cui escono quei soldati, cioè i contadini.

Sebbene viaggiassimo con gran rapidità, mi sembrava di non avanzare, tanto il paesaggio era monotono. Pianure di sabbia, boschi di betulle e alcuni villaggi a gran distanza uno dell’altro, composti di case di legno, tutte tagliate sullo stesso modello: ecco le sole cose che si offrivano al mio sguardo. Provavo quella sorta di incubo che si ha talvolta di notte, quando si crede di camminare sempre e di non avanzare mai. Mi sembrava che questo Paese fosse l’immagine dello spazio infinito e che ci volesse l’eternità per attraversarlo. Ogni momento si vedevano passare dei corrieri che andavano a una velocità straordinaria: stavano seduti su una panca di legno messa di traverso su un carrettino tirato da due cavalli e nulla avrebbe potuto fermarli. A volte gli scossoni li facevano saltare a due piedi sopra il sedile, ma essi ricadevano con un’agilità stupefacente, e si affrettavano a dire avanti! in russo, con un’energia simile a quella dei Francesi in un giorno di battaglia. La lingua slava è molto sonora, direi quasi che ha qualcosa di metallico: sembra di sentire battere il bronzo quando i Russi pronunciano alcune lettere della loro lingua, completamente diverse da quelle che compongono i dialetti dell’Occidente.

Si vedevano passare alcune truppe di riserva che si affrettavano verso il teatro di guerra; dei cosacchi procedevano, senza ordine e senza uniforme, verso l’esercito con una grande lancia in mano e addosso una specie di veste grigiastra con un ampio cappuccio alzato sulla testa. Mi ero fatta tutt’altra idea di questo popolo che abita dietro al Dnepr: la loro vita è indipendente, alla maniera dei selvaggi, ma in guerra si lasciano governare dispoticamente. È abituale vedere in belle uniformi di colore acceso i più temibili eserciti, ma i colori smorti con cui vestono i cosacchi fanno un altro

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genere di paura: paiono dei fantasmi che piombano addosso.A metà strada, tra Kiev e Mosca, essendo gli eserciti già vicini, i cavalli

diventarono più rari. Iniziai a temere di dover interrompere il viaggio proprio nel momento in cui sarebbe stato necessario affrettarsi e, quando passavo cinque o sei ore davanti a una posta, perché di rado c’era una camera in cui entrare, pensavo fremendo a quell’esercito che avrebbe potuto raggiungermi all’estremità dell’Europa e rendere la mia posizione tragica e ridicola allo stesso tempo, perché questa sarebbe stata la sorte del mancato successo di un’impresa come la mia: non essendo conosciute ai più le circostanze che mi avevano costretto, la gente si sarebbe chiesta perché avessi lasciato la mia casa, anche se per me era come una prigione, e molte brave persone non avrebbero mancato di dire, con un’aria di compunzione, che ero stata sì sfortunata ma avrei fatto meglio a non partire. Se la tirannia avesse soltanto i suoi sostenitori diretti, essa non riuscirebbe mai a mantenersi; la cosa stupefacente, e che rivela più di ogni altra la miseria umana, è che la maggior parte degli uomini mediocri è al servizio degli avvenimenti: essi non hanno la forza di pensare più in là del fatto stesso e, quando un oppressore ha trionfato e la vittima caduta, essi si affrettano a giustificare, non già il tiranno, ma il destino di cui egli è strumento. La debolezza di spirito e di carattere è certamente la causa del servilismo, ma c’è nell’uomo pure un certo bisogno di dar ragione al destino, qualunque sia, come se fosse un modo di vivere in pace con esso.

Raggiunsi finalmente il punto in cui la strada mi allontanava dalla zona di guerra e arrivai nei governatorati di Orël e di Tula, dei quali si è poi tanto parlato nei bollettini militari dei due schieramenti. Fui ricevuta in quelle isolate residenze, perché così appaiono le città di provincia in Russia, con ospitalità perfetta. Molti gentiluomini dei dintorni vennero alla locanda a farmi i complimenti per i miei scritti e confesso che fui lusingata di trovarmi una reputazione letteraria a tanta distanza dalla mia patria. La moglie del governatore mi ricevette alla maniera asiatica, con sorbetti e rose; la sua camera era elegantemente decorata di strumenti musicali e quadri. Si vede ovunque in Europa il contrasto tra la ricchezza e la miseria, ma in Russia non è, per così dire, né l’una né l’altra che si nota. Il popolo non è povero e i signori sanno condurre, quando occorre, la stessa vita del popolo: è la mescolanza delle privazioni più dure con i piaceri più raffinati che caratterizza questo Paese. Gli stessi signori, le cui case racchiudono ciò che c’è di più lussuoso nelle diverse parti del mondo, si nutrono in viaggio molto peggio dei contadini francesi e sanno sopportare, non soltanto in guerra, ma anche in tante altre circostanze, una vita molto disagiata. Il rigore del clima, le paludi, le foreste, i deserti di cui è composta gran parte del Paese mettono l’uomo in lotta contro la natura. Anche i frutti e i fiori crescono soltanto nelle serre, i legumi generalmente non sono coltivati, non esistono vigne. Il modo di vivere abituale dei contadini in Francia potrebbe ottenersi in Russia soltanto con spese molto forti. Non c’è l’occorrente che per il lusso, perciò, quando il lusso è impossibile, si rinuncia anche al necessario. Quello che gli Inglesi chiamano comfort, e che noi francesi esprimiamo con

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aisance, non si vede quasi mai in Russia. Non si troverà mai nulla che sia abbastanza perfetto da soddisfare, in qualche modo, l’immaginazione degli aristocratici russi, ma, quando manca loro questa poesia di ricchezze, essi bevono l’idromele, dormono su una panca e viaggiano giorno e notte in un carro aperto, senza rimpiangere il lusso al quale li si crederebbe abituati. Amano la ricchezza più per la sua magnificenza che per i piaceri che offre: anche in questo simili agli orientali che sono ospitali verso gli stranieri, li colmano di regali e trascurano spesso il benessere quotidiano della vita. È una delle ragioni che spiegano il grande coraggio con cui i Russi hanno sopportato la rovina causata dall’incendio di Mosca. Avvezzi più allo sfarzo esteriore che alla cura di se stessi, non sono affatto indeboliti dal lusso, e il sacrificio del denaro soddisfa il loro orgoglio altrettanto e più della grandiosità con la quale lo spendono. Ciò che li caratterizza è, in tutti i campi, il gigantesco: le dimensioni ordinarie non si possono mai applicare. Con ciò non voglio dire che non si trovino né la vera grandezza, né la stabilità, ma l’arditezza e l’immaginazione dei Russi non conoscono confini: tutto è colossale più che proporzionato, audace più che riflessivo, e se lo scopo non è raggiunto, è soltanto perché è superato.

Aspetto del paese – Carattere del popolo russo

Mi avvicinavo sempre più a Mosca e nulla annunciava una capitale. I villaggi di legno non erano meno distanti gli uni dagli altri, non si vedeva più movimento su quei vasti piani che chiamano strade maestre, non si sentiva maggior rumore, le case di campagna non erano più numerose: c’è tanto spazio in Russia che tutto si perde, anche i castelli, anche la popolazione. Si direbbe di attraversare un Paese dal quale la popolazione se n’è appena andata. L’assenza di uccelli aumenta il silenzio, anche il bestiame è raro, o perlomeno si trova a gran distanza dalla strada. L’estensione fa sparire tutto eccetto l’estensione stessa, la quale tormenta la mente come certe idee metafisiche che, una volta afferratele, non ce ne si può più sbarazzare.

La vigilia dell’arrivo a Mosca, mi fermai, la sera di un giorno molto caldo, in un prato assai piacevole; alcune contadine vestite pittorescamente, secondo i loro costumi, ritornavano dal lavoro cantando quelle canzoni dell’Ucraina le cui parole inneggiano all’amore e alla libertà con una malinconia che ha del rimpianto: le pregai di danzare ed esse acconsentirono. Non conosco nulla di più grazioso delle danze di paese, che hanno tutta l’originalità che la natura dà all’arte; vi si nota una certa modesta voluttà: le baiadere dell’India devono avere qualcosa di analogo a questo misto di indolenza e vivacità, fascino della danza russa. Tali indolenza e vivacità rivelano la fantasticheria e la passione, due elementi del carattere che la civiltà non ha ancora né formato né dominato. Ero colpita dalla dolce allegria delle contadine, come lo ero stata, in diverse sfumature, da quella della maggior parte dei popolani con cui avevo avuto rapporti in

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Russia, ma sono certa che essi sappiano essere terribili quando si scatenano le loro passioni, perché non avendo cultura non sanno dominare la violenza.

Come conseguenza della stessa ignoranza, ci sono pochi principi morali: il furto è molto frequente in Russia, così come l’ospitalità; i Russi danno e prendono a seconda di come parli, alla loro immaginazione, l’astuzia oppure la generosità, sia l’una che l’altra suscitano l’ammirazione del popolo. Vi è in questo modo di essere un po’ di somiglianza con i selvaggi, ma ora mi sembra che le nazioni europee abbiano forza solo quando sono ciò che si dice barbare, cioè non illuminate30, o libere. Tuttavia, le nazioni che dalla civiltà hanno imparato l’indifferenza per l’una o l’altra schiavitù, a condizione che il loro focolare non venga disturbato, e l’arte di giustificare la potenza e la servitù sono fatte per essere vinte. Mi immagino spesso come debbano essere ora quei luoghi che ho visto così tranquilli, quelle graziose ragazze, quei contadini dalla lunga barba che seguivano tanto pacificamente il destino tracciato dalla Provvidenza: senza dubbio essi saranno morti o in fuga, poiché nessuno di loro si sarà messo al servizio del vincitore.

Una cosa degna di nota è fino a che punto lo spirito nazionale sia sviluppato in Russia. La fama di invincibile che i molteplici successi hanno conferito alla nazione, la fierezza naturale dei grandi, la devozione che è nel carattere del popolo, la religione, profondamente sentita, l’odio per gli stranieri, che Pietro I ha cercato di vincere per illuminare e civilizzare il suo Paese, ma che è comunque restato nel sangue dei Russi e che si risveglia all’occasione, tutti questi motivi insieme fanno di questo popolo una nazione molto energica. Alcuni brutti episodi accaduti nei regni precedenti, alcuni russi che si sono indebitati sui marciapiedi di Parigi, alcune battute di spirito di Diderot hanno messo in testa ai Francesi che la Russia consista soltanto di una corte corrotta, di ufficiali cortigiani e di un popolo di schiavi: è un grande errore. È vero che quella nazione si può conoscere, di solito, soltanto dopo un lunghissimo esame, ma, nelle circostanze in cui l’ho osservata io, tutto era palese: non si può giudicare un Paese sotto una luce più favorevole che in un periodo di sventura e di coraggio. Non sarà eccessivo ripeterlo: è una nazione composta dei più sorprendenti contrasti e, forse, ciò è causato dal suo misto di civiltà europea e carattere asiatico.

L’accoglienza dei Russi è così cortese che fin dal primo giorno ci si crede in amicizia con loro, ma non lo si sarà nemmeno dopo dieci anni. Il silenzio dei Russi è veramente straordinario, ma esso riguarda soltanto ciò che ispira loro vivo interesse, perché di tutto il resto parlano finché si vuole, tuttavia la

30 Epoca illuminata e uomini illuminati sono espressioni che rimandano al periodo tra l’inizio del XVIII secolo e la fine della Rivoluzione francese, quando si diffuse l’orientamento culturale e filosofico detto Illuminismo perché succedeva a un’epoca oscura e ignorante, in cui l’uomo non usava i “lumi” della sua ragione. In questo tempo, l’Europa fu testimone di notevoli cambiamenti culturali, caratterizzati dalla perdita della fede nella religione e dalla conseguente esaltazione di idee e principi storicamente diffusi dal cristianesimo ma considerati come razionali e laici, avulsi dalla loro origine religiosa: libertà, uguaglianza, fraternità (o fratellanza), diritti umani, scienza, pensiero razionale e autonomia del potere politico. In generale, per “lumi” si intendono la capacità di pensiero e la cultura. (N.d.T.)

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loro conversazione rivela soltanto la loro cortesia, non tradendo mai né le loro sensazioni, né le opinioni. Li hanno spesso paragonati ai Francesi, ma questo confronto mi sembra il più falso del mondo. La flessibilità del loro carattere rende loro l’imitazione molto facile in qualunque campo: sono Inglesi, Francesi, Tedeschi nei loro modi a seconda di quel che richiedono le circostanze, ma essi non cessano mai di essere Russi, cioè impetuosi e riservati insieme, più capaci di passione che di amicizia, più fieri che delicati, più devoti che virtuosi, più coraggiosi che cavalieri, e così violenti nei loro desideri che nulla li può fermare quando si tratta di soddisfarli. Sono molto più ospitali dei Francesi, ma la loro società non consiste, come da noi, in un gruppo di uomini e donne intelligenti che si dilettano nello stare insieme. Da loro ci si riunisce come si va a una festa, per vedere molta gente, per assaggiare frutti e prodotti rari dell’Asia o dell’Europa, per ascoltare musica, per giocare, ossia per provare emozioni vive nell’esteriorità piuttosto che nello spirito e nell’animo: queste, essi le riservano per le azioni e non per la società. Del resto, poiché in genere sono molto poco istruiti, trovano poco piacere nelle conversazioni serie e non mettono alcun amor proprio a brillare per lo spirito che vi si può mostrare. La poesia, l’eloquenza, la letteratura non sono affatto diffuse in Russia: sono il lusso, la forza e il coraggio i principali obiettivi dell’orgoglio e dell’ambizione; tutte le altre maniere di distinguersi sembrano ancora, a questo popolo, effeminate e inutili.

Ma il popolo è schiavo, si dirà, come si fa a indovinarne il carattere? Non ho certamente bisogno di dire che ogni persona illuminata auspica che il popolo russo esca dallo stato attuale, e forse colui che lo desidera di più è l’imperatore Alessandro, ma la schiavitù russa non ha caratteristiche simili a quelle che ci immaginiamo in Occidente; non si tratta affatto, come sotto il regime feudale, di vincitori che hanno imposto dure leggi ai vinti, i rapporti dei grandi con il popolo somigliano piuttosto a ciò che si chiamava la famiglia degli schiavi presso gli antichi e non hanno nulla a che fare con la condizione di servi presso i moderni. In Russia non esiste il terzo Stato31 e ciò è un grande inconveniente per il progresso delle lettere e delle arti, perché, di solito, è nel terzo ceto che si sviluppano gli ingegni, ma l’assenza di intermediari tra i grandi e il popolo fa sì che si amino di più a vicenda. La distanza tra i due ceti sembra maggiore, in quanto non sono separati da classi intermedie, ma nei fatti essi si toccano. È un’organizzazione sociale completamente sfavorevole ai lumi dei primi ceti, ma non al benessere degli ultimi. Del resto, dove non ci sono governi rappresentativi, cioè nei Paesi in cui il monarca decreta ancora la legge da eseguire, gli uomini sono spesso più avviliti dal sacrificio stesso della propria ragione e del proprio carattere che in questo vasto impero dove poche idee semplici, di religione e di patria, amalgamano una gran massa guidata da alcuni capi. L’immensa estensione dell’impero russo fa anche sì che il dispotismo dei grandi non

31 Il terzo Stato era uno dei ceti in cui era divisa la società francese prima della Rivoluzione e comprendeva borghesi, contadini e operai. I primi due erano il clero e la nobiltà. (N.d.T.)

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pesi direttamente sul popolo; infine, soprattutto, lo spirito religioso e militare domina così tanto nella nazione, che le si possono perdonare i difetti di fronte a queste due grandi fonti di belle azioni. Un uomo di molto spirito diceva che la Russia somigliava alle opere di Shakespeare, dove tutto ciò che non è mancanza è sublime, dove tutto ciò che non è sublime è mancanza. Nulla di più giusto di questa osservazione, ma nella grande crisi in cui si trovava la Russia quando l’ho attraversata, si poteva soltanto ammirare l’energia di resistenza e la rassegnazione ai sacrifici manifestate dalla nazione e quasi non si osava, vedendo tali virtù, permettersi di osservare ciò che si sarebbe biasimato in altri tempi.

Mosca

Le cupole dorate annunciano da lontano Mosca, tuttavia, poiché il paese circostante è soltanto una pianura, come del resto tutta la Russia, si può arrivare nella grande città senza essere colpiti dalla sua estensione. Qualcuno diceva, a ragione, che Mosca era più una provincia che una città e infatti vi si vedono capanne, case, palazzi, un bazar come in Oriente, chiese, edifici pubblici, cisterne, boschi, parchi: in questo vasto centro si notava la diversità dei costumi e delle regioni che compongono la Russia. «Volete – mi si chiedeva – comperare scialli di cachemire nel quartiere dei Tartari? Avete visto la città cinese?» L’Asia e l’Europa erano riunite in quell’immensa città. Vi si usufruiva di maggior libertà che a Pietroburgo, dove la corte doveva necessariamente esercitare molta influenza. Gli aristocratici stabilitisi a Mosca non ricercavano affatto delle posizioni, ma provavano il loro patriottismo con regali immensi fatti allo Stato: istituzioni pubbliche in tempo di pace e soccorsi in guerra. Le colossali fortune degli aristocratici russi sono impiegate per fare collezioni di ogni genere, imprese, feste sul modello «Mille e una notte», e molto spesso tali ricchezze vengono perdute nelle passioni sfrenate di chi le possiede. Quando arrivai a Mosca, si parlava soltanto dei sacrifici che si facevano per la guerra: un giovane conte di Mamonov32 arruolava un reggimento per lo Stato e vi voleva prestar servizio come semplice sottoluogotenente; una contessa Orlov, cortese e ricca alla maniera asiatica, donava un quarto del suo reddito. Mentre passavo dinanzi a palazzi circondati di giardini, dove si prodigava lo spazio in città come altrove si farebbe in mezzo alla campagna, mi dicevano che il proprietario di una superba dimora aveva appena regalato mille contadini allo Stato e un altro duecento. Avevo difficoltà ad abituarmi all’espressione regalare degli uomini, ma i contadini stessi si offrivano con slancio e i loro signori non erano, in guerra, che i loro interpreti.

Appena un russo diventa soldato gli viene tagliata la barba e da quel

32 Nel testo originale è erroneamente scritto Momonoff. Della casata è noto Aleksandr Dmitr’ev Mamonov (1758-1803) perché fu un amante di Caterina II. (N.d.T.)

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momento egli è libero. Si voleva che tutti coloro che avessero servito nella milizia fossero anche considerati liberi, ma allora lo sarebbe stata l’intera nazione, poiché essa si è mobilitata in massa. Speriamo che questa liberazione così tanto desiderata possa avvenire senza scosse, ma, nel frattempo, sarebbe augurabile che le barbe fossero conservate, tanto queste danno forza e dignità alla fisionomia dell’uomo. I Russi dalle lunghe barbe non passano mai dinanzi a una chiesa senza fare il segno della croce e la loro fede nelle immagini visive della religione è molto commovente. Le loro chiese portano l’impronta di quel gusto per il lusso che proviene dall’Asia: non vi si vedono che ornamenti d’oro, d’argento e di rubini. Si dice che un tale in Russia abbia proposto di comporre un alfabeto con pietre preziose e di scrivere così la Bibbia: egli conosceva il modo migliore di interessare alla lettura l’immaginazione dei Russi. Tuttavia, questa fantasia non si è manifestata finora né con le belle arti, né con la poesia. In qualunque cosa i Russi arrivano molto rapidamente fino a un certo punto, ma non vanno oltre: l’impulso fa fare i primi passi, ma per i secondi ci vuole riflessione e i Russi, che nulla hanno dei popoli del Nord, sono, fino a oggi, assai poco capaci di meditazione.

Alcuni palazzi di Mosca sono di legno, sia perché si possono costruire più in fretta, sia perché la natura incostante della popolazione, in tutto ciò che non è religione e patria, viene soddisfatta cambiando con facilità dimora. Molti begli edifici sono stati costruiti per una festa: erano destinati allo splendore di un solo giorno, e le ricchezze con cui sono stati decorati le hanno fatto durare fino a questa epoca di distruzione universale. Un gran numero di case è colorato in verde, in giallo, in rosa, e scolpito con minuzia pari alle decorazioni di un dolce.

Il Cremlino, questa cittadella dove gli imperatori di Russia si sono difesi contro i Tartari, è circondato di un’alta muraglia merlata, fiancheggiata da torrette che, per la loro strana forma, ricordano piuttosto un minareto della Turchia che una fortezza come la maggior parte di quelle in Occidente. Sebbene il carattere esteriore degli edifici della città sia orientale, l’atmosfera del cristianesimo si percepiva in quella moltitudine di chiese molto venerate che a ogni passo attiravano lo sguardo. Guardando Mosca mi si affacciava alla mente Roma, non che, indubbiamente, i monumenti vi fossero dello stesso stile, ma perché il miscuglio di campagna isolata e splendidi palazzi e l’estensione della città e il numero infinito di templi mettono in relazione la Roma asiatica con la Roma europea33.

Verso i primi giorni di agosto mi fecero vedere l’interno del Cremlino: vi giunsi dalla scala su cui era salito pochi giorni prima l’imperatore Alessandro, circondato da una folla immensa che lo benediceva e gli prometteva di difendere l’impero a ogni costo: il popolo ha mantenuto la

33 Si accenna al mito di Mosca come “terza Roma”, nato dopo la caduta di Costantinopoli (1453) e sviluppato sotto Ivan III: dopo Roma e Bisanzio, cadute sotto il peso dei loro peccati, Mosca sarebbe diventata la terza città più importante della storia religiosa, economica, sociale, politica, culturale: mai ci sarebbe stata la quarta, scriveva Filofeo di Pskov nel XVI secolo. (N.d.T.)

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parola. Per prime mi furono aperte le sale in cui si custodivano le armi degli antichi guerrieri russi, ma questi arsenali sono più interessanti negli altri Paesi europei. I Russi non hanno preso parte alle imprese della cavalleria, non hanno partecipato alle crociate; costantemente in guerra contro Tartari, Polacchi e Turchi, il loro spirito militare si è formato in mezzo ad atrocità di ogni genere che erano conseguenza sia delle barbarie delle nazioni asiatiche che di quelle dei tiranni che governavano la Russia. Non vi era dunque il generoso valore dei Bayard34 o dei Percy35, ma in questo paese, da molti secoli a questa parte, si è manifestato solo un intrepido, fanatico coraggio. I Russi, nei rapporti sociali, così nuovi per loro, non si distinguono affatto per lo spirito di cavalleria come viene concepito in Occidente, ma si sono sempre dimostrati terribili contro i loro nemici. Tanti massacri hanno avuto luogo all’interno della Russia, fino al regno di Pietro il Grande e oltre, che la moralità della nazione, e soprattutto quella degli aristocratici, deve averne molto sofferto. Questi governi dispotici, il cui solo limite è l’assassinio del despota, capovolgono i principi dell’onore e del dovere nella mente degli uomini, ma l’amore per la patria e la fedeltà alle credenze religiose si sono mantenuti in tutta la loro forza attraverso le vicende di queste sanguinose storie, e la nazione che conserva tali virtù può ancora stupire il mondo.

Dall’antico arsenale, fui condotta nelle stanze occupate un tempo dagli zar, e dove si conservano gli abiti che portarono il giorno della loro incoronazione. Questi appartamenti non hanno alcun tipo di bellezza, ma si accordano molto bene alla vita dura che gli zar conducevano e conducono tuttora. La più grande magnificenza regna nel palazzo di Alessandro, ma egli dorme sul duro e viaggia come un ufficiale cosacco.

Mi si mostrò, nel Cremlino, un trono a due posti, che fu inizialmente occupato da Pietro I e da suo fratello Ivan36. La principessa Sofia, loro sorella, si sedeva alle spalle di Ivan e gli suggeriva ciò che doveva dire, ma tale forza presa in prestito non resistette a lungo all’autentica forza di Pietro, e presto questi regnò da solo. È dal suo regno che gli zar hanno cessato di indossare il costume asiatico; la grande parrucca del secolo di Luigi XIV arrivò con Pietro I e, senza sminuire l’ammirazione che ispira questo grand’uomo, c’è un non so quale sgradevole contrasto tra la ferocia del suo genio e la cerimoniosa impeccabilità del suo modo di vestire. Ha

34 Pierre de Terrail, cavaliere di Bayard (italianizzato in Baiardo; 1476-1524) era un famoso capitano d’armi francese particolarmente distintosi durante le guerre italiane del Rinascimento, inizialmente volute dai sovrani francesi per far valere i loro diritti ereditari sul Regno di Napoli e sul Ducato di Milano. Bayard è il personaggio storico che ha fatto nascere la leggenda del «cavaliere senza paura e senza macchia», colui che simboleggia i valori della cavalleria francese della fine del Medioevo. (N.d.T.)

35 Pierre François Percy (1754-1825) fu, dal 1782, chirurgo maggiore in quasi tutte le campagne militari dell’impero francese. Formò, a sue spese, il primo battaglione dedicato al trasporto di feriti e inventò speciali carrozze con medicine e strumenti. (N.d.T.)

36 Ivan V, figlio di Alessio I salì al trono nel 1682, in seguito alla morte del fratello Fëdor III. Poiché Ivan era malato mentalmente e fisicamente, la Duma dei bojari gli volle affiancare nella reggenza il fratellastro Pietro (figlio della seconda moglie di Alessio I), allora decenne. Quando Ivan morì, nel 1696, Pietro diventò l’unico regnante. (N.d.T.)

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avuto ragione di eliminare, per quanto possibile, i costumi orientali dal seno della sua nazione? doveva mettere la propria capitale al Nord e all’estremità dell’impero? Sono importanti interrogativi non ancora risolti, solamente i secoli potranno esprimere giudizi su così grandi pensieri.

Salii sul campanile della cattedrale, chiamato Ivan Velikij37, da dove si domina la città: di là vedevo il palazzo degli zar che hanno conquistato con le loro armi le corone di Kazan’, di Astrachan’ e della Siberia. Sentivo i canti della chiesa dove il katholikos38, principe di Georgia, officiava tra gli abitanti di Mosca e creava un’unione cristiana tra Asia ed Europa. Millecinquecento chiese attestavano la devozione del popolo moscovita.

A Mosca, gli edifici per il commercio avevano un carattere asiatico; alcuni uomini con il turbante e altri abbigliati secondo i diversi costumi dei vari popoli d’Oriente dispiegavano le merci più rare: le pellicce della Siberia e i tessuti dell’India offrivano tutti i piaceri del lusso agli aristocratici, le cui fantasie venivano soddisfatte alla vista degli zibellini dei Samoiedi e dei rubini dei Persiani. Qui, il giardino e il palazzo Rozamuskij39 contenevano stupende collezioni di piante e di minerali; più in là un conte di Buturlin40 aveva passato trent’anni della sua vita a raccogliere una bella biblioteca: tra i libri che possedeva ce n’erano alcuni annotate a mano da Pietro I. Questo grand’uomo non dubitava che quella stessa civiltà europea di cui era tanto geloso avrebbe devastato gli istituti di istruzione pubblica che egli aveva fondato nel suo impero, allo scopo di educare, con lo studio, lo spirito impaziente dei Russi.

Più in là sorgeva l’istituto dei trovatelli, una delle più toccanti istituzioni d’Europa; nei diversi quartieri della città c’erano ospedali per tutte le classi sociali; in poche parole, ovunque si volgesse lo sguardo si vedevano ricchezze o beneficenze, edifici di lusso o istituti di carità, chiese o palazzi, che davano benessere o splendore a moltissime persone. Si scorgevano le anse della Moscova, di questo fiume che, dall’ultima invasione dei Tartari, non aveva più ricevuto sangue nelle sue acque: la giornata era superba, il sole sembrava compiacersi di diffondere i raggi sulle cupole scintillanti. Mi ricordai del vecchio arcivescovo Platon41, che aveva appena scritto

37 Ossia Ivan il Grande; il campanile, eretto nel XVI secolo sulle fondamenta di una torre preesistente, è alto 81 metri. (N.d.T.)

38 Katholikós è il titolo del gerarca delle Chiese orientali antiche. (N.d.T.)39 Tra i Razumovskij (in russo) o Rozumov’skij (in ucraino), russi di origini ucraine, che

Madame de Staël avrebbe potuto conoscere, figurano Aleksej (1748-1822), ministro di Istruzione dell’impero russo dal 1806 al 1816 e Andrej (1752-1836), mecenate per musicisti e artisti e, in seguito, ambasciatore russo al Congresso di Vienna. (N.d.T.)

40 Nell’originale è Bouterlin, ma si tratta dei conti Buturlin. Durante l’incendio di Mosca del 1812, andò perduta la grande biblioteca di famiglia, parte della quale fu sottratta dai Francesi, ma recuperata dai Russi al termine della battaglia presso il fiume Beresina. Nel 1817-1818 la famiglia Buturlin emigrò in Italia, a Firenze, dove il conte Dmitrij (1790-1849) riuscì a ricostruire una nuova biblioteca diventata la più grande in Europa. (N.d.T.)

41 Platon II fu metropolita di Mosca dal 1775 al 1812. Durante i regni di Caterina II, Paolo I (di cui Platon fu istruttore religioso) e Alessandro I, egli promosse lo sviluppo religioso, morale, intellettuale e materiale dell’arcidiocesi, mantenendo nel frattempo un’incessante attività letteraria. (N.d.T.)

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all’imperatore Alessandro una lettera pastorale, della quale mi aveva vivamente commosso lo stile orientale: egli inviava l’immagine della Vergine, dai confini dell’Europa, per tener lontano dall’Asia l’uomo che voleva imporre ai Russi tutto il peso delle nazioni incatenate sui suoi passi. Per un momento mi venne il pensiero che Napoleone avrebbe potuto passeggiare su quella stessa torre dalla quale ammiravo la città che stava per distruggere; per un attimo pensai che egli si sarebbe inorgoglito all’idea di sostituire, nel palazzo degli zar, il capo della Grande Orda che pur seppe impossessarsene per un certo periodo42, ma il cielo era così bello che respinsi quel timore. Un mese dopo la bella città era in cenere, perché si potesse dire che ogni Paese che si fosse alleato con quell’uomo sarebbe stato devastato dal fuoco di cui egli dispone.

Ma quanto i Russi e il loro monarca hanno riscattato quell’errore! Anche la sventura di Mosca è servita a rigenerare l’impero: quella città religiosa è morta come un martire, il cui sangue versato dà nuova forza ai fratelli che gli sopravvivono.

Il famoso conte Rostopčin43, il cui nome ha riempito i bollettini imperiali, venne a trovarmi e mi invitò a pranzare a casa sua. Era stato ministro degli Affari esteri di Paolo I; dalla sua originale conversazione ci si poteva facilmente accorgere che il suo carattere si sarebbe mostrato molto forte se le circostanze l’avessero richiesto. La contessa Rostopčin volle regalarmi un libro che aveva scritto sul trionfo della religione: libro purissimo di stile e di morale. Andai a trovarla nella sua villa, all’interno di Mosca, e, per arrivarvi, occorreva attraversare un lago e un bosco: a quella casa, una delle dimore più belle di Russia, ha appiccato il fuoco lo stesso conte Rostopčin all’avvicinarsi dell’esercito francese. Certamente, questo gesto avrebbe dovuto suscitare una certa ammirazione anche tra i nemici, ma l’imperatore Napoleone ha invece paragonato il conte Rostopčin a Marat44, dimenticando che il governatore di Mosca sacrificava i propri interessi mentre Marat incendiava le case degli altri, il che è differente. Ciò che si sarebbe potuto rimproverare al conte Rostopčin è di aver dissimulato troppo a lungo le cattive notizie delle operazioni militari, sia che illudesse se stesso, sia che credesse necessario illudere gli altri. Gli Inglesi, con quella ammirevole rettitudine che distingue ogni loro azione, illustrano con franchezza tanto le sconfitte che i successi e, in loro, l’entusiasmo si sostiene con la verità, qualunque essa sia. I Russi non possono raggiungere ancora questa perfezione morale, che è il risultato di una libera costituzione.

42 La Grande Orda era il nucleo centrale dell’Orda d’Oro, regno dei Tatari, i quali saccheggiarono Mosca nel 1382. (N.d.T.)

43 Fëdor Rostopčin (1763-1826) fu aiutante di campo e ministro degli Affari esteri dello zar Paolo I e governatore generale di Mosca dal 1812. È tradizionalmente considerato l’autore dell’incendio di Mosca all’arrivo dei Francesi, ma nel suo libro di memorie La verità sull’incendio di Mosca (1823) smentì tale circostanza. (N.d.T.)

44 Jean-Paul Marat (1743-1793) era il rivoluzionario francese, giacobino, che finì pugnalato nella vasca da bagno da Charlotte Corday D’Armont, militante girondina. L’omicidio diventò soggetto di molti quadri. (N.d.T.)

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Nessuna nazione civile ha tanti selvaggi quanto il popolo russo, e quando i grandi hanno energia, si avvicinano anche ai difetti e alle qualità di quella natura senza freno. Si è molto elogiata la famosa frase di Diderot: I Russi sono fracidi prima di essere maturi45. Non ne conosco di più false; i loro stessi vizi, tranne poche eccezioni, non sono dovuti a corruzione, ma a violenza. Un desiderio russo, diceva un grand’uomo, farebbe saltare in aria una città: i Russi sono presi, secondo le volte, dal furore e dalla furbizia quando vogliono portare a termine una qualunque decisione, buona o cattiva. La loro natura non è affatto mutata in seguito alla rapida civilizzazione impressa da Pietro I: finora ha cambiato soltanto le loro maniere e i Russi, fortunatamente per loro, sono sempre quel che chiamiamo barbari, cioè guidati da un istinto spesso generoso, sempre involontario, che ammette la riflessione solamente nella scelta dei mezzi e non nell’analisi dello scopo. Dico fortunatamente per loro non perché pretenda di elogiare la barbarie, ma perché voglio indicare quell’energia primitiva che, nelle nazioni, può solo rimpiazzare l’intima forza della libertà.

Vidi a Mosca uomini più illuminati nel campo delle scienze e delle lettere, ma, come a Pietroburgo, quasi tutte le cattedre dei professori sono occupate da tedeschi. C’è una grande penuria, in Russia, di uomini istruiti, in tutti i campi: i giovani, per la maggior parte, frequentano l’Università soltanto per entrare più in fretta nella carriera militare. Gli impieghi civili, in Russia, danno gli stessi gradi dell’esercito; lo spirito della nazione è rivolto interamente alla guerra; in tutto il resto, amministrazione, economia politica, istruzione pubblica eccetera, gli altri popoli europei superano, fino a oggi, i Russi. Tuttavia, in letteratura si trovano la dolcezza e la bellezza dei suoni della loro lingua che si fanno notare anche da coloro che non la comprendono. È una lingua che si adatterebbe molto bene alla musica e alla poesia, ma i Russi hanno, come tanti altri popoli del continente, il torto di imitare la letteratura francese che, per le sue proprie bellezze, non è adatta che ai Francesi. A me sembra che i Russi, dovrebbero ispirarsi, negli studi letterari, ai Greci piuttosto che ai Latini. I caratteri della scrittura russa, così simili a quella greca, le antiche relazioni dei Russi con l’impero di Bisanzio, il futuro destino, che li condurrà forse verso i celebri monumenti di Atene e di Sparta, tutto deve portare i Russi allo studio del greco, ma occorre soprattutto che i loro scrittori attingano la poesia nel più profondo del loro animo. Fino a oggi, i loro lavori sono composti, per così dire, a fior di labbra, e mai una nazione così impetuosa potrà sostenersi su tanto esili accordi.

45 La frase «Les Russes sont pourris avant d’être mûrs», attribuita a Denis Diderot (1713-1784) ma forse detta da Voltaire (1694-1778), era nata tra gli stessi ministri di Caterina II che avevano definito la società russa «in via di formazione e corrotta ancor prima di essere matura», che è il significato mantenuto da Madame de Staël. In seguito, prese a indicare anche l’arretratezza e la debolezza dei Russi perché si servivano ancora dello knut e della schiavitù. (N.d.T.)

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Strada da Mosca a Pietroburgo

Lasciai Mosca con rimpianto. Mi fermai un po’ di tempo in un bosco, vicino alla città, dove, nei giorni di festa, gli abitanti vanno a danzare e a festeggiare il sole, il cui splendore, anche a Mosca, è di così breve durata. Cos’accadrà avanzando verso nord? Si dice che queste eterne betulle, che stancano per la loro monotonia, diventino molto rare avvicinandosi ad Arcangelo46 e là le si osservino come gli aranci in Francia. Il paesaggio da Mosca a Pietroburgo è soltanto sabbia all’inizio e palude in seguito; quando piove, la terra diventa nera e non si sa più dove sia la strada. Tutte le case dei contadini denunciano però una certa agiatezza: sono decorate con colonne e hanno arabeschi scolpiti nel legno attorno alle finestre. Sebbene fosse estate quando attraversai il paese, sentivo minacciare l’inverno come se fosse nascosto dietro le nuvole; i frutti avevano un sapore aspro, perché la loro maturazione era stata troppo affrettata; una rosa mi emozionava come un ricordo delle nostre belle contrade e anche i fiori parevano portare le corolle con meno orgoglio, come se la gelida mano dell’inverno fosse già lì pronta ad afferrarle.

Passai per Novgorod47, che era, sei secoli fa, una repubblica associata alle città anseatiche48 e che ha conservato a lungo uno spirito d’indipendenza repubblicana. A noi piace sostenere che la libertà è stata reclamata in Europa nell’ultimo secolo, ma è piuttosto il dispotismo un’invenzione moderna. Nella stessa Russia, la schiavitù dei contadini è stata introdotta soltanto nel XVI secolo; fino al regno di Pietro I, la formula di tutti gli ukase49 era: I bojari hanno proposto, lo zar ordinerà. Pietro I, sebbene per molti aspetti abbia fatto un bene infinito alla Russia, ridusse il potere degli aristocratici e riunì in sé il potere temporale e il potere spirituale, per non porre ostacoli ai suoi propositi. Richelieu fece lo stesso in Francia50 e Pietro I lo ammirava molto: si sa che visitando la sua tomba a Parigi, Pietro esclamò: «Grand’uomo! darei la metà del mio impero per imparare da te a governare l’altra metà». Lo zar, in quell’occasione, mostrò troppa modestia, perché egli aveva su Richelieu il vantaggio di essere

46 O, in russo, Archangel’sk, città che sorge presso la foce della Dvina settentrionale nel Mar Bianco, all’estremo nord della Russia europea. (N.d.T.)

47 Novgorod la Grande. (N.d.T.)48 Costituita nel XII secolo e conclusa nel XVII secolo, la Lega Anseatica (o Hansa) era

un’alleanza di mercanti delle città dell’Europa del Nord e sul Mar Baltico, associatisi per acquisire privilegi commerciali. Si scambiavano tessuti fiamminghi, pellicce russe, pesce, ferro e minerali scandinavi, oltre a grano, legname, pece e sale. A Novgorod fu costruito uno scalo commerciale dai mercanti di Lubecca, la città anseatica principale. (N.d.T.)

49 In slavo, ukáse o ukáz significa “decreto”, “editto” ed era una particolare categoria di leggi in uso nella Russia zarista dal XVIII secolo agli inizi del XX secolo. (N.d.T.)

50 Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu (1585-1642), noto come Cardinale Richelieu, fu primo ministro dal re Luigi XIII di Francia. La sua politica mirò a rafforzare il potere del re in Francia (a scapito dei nobili) e a fare della Francia la più grande potenza d’Europa (vincendo la Guerra dei trent’anni contro Spagna e Austria). (N.d.T.)

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anzitutto un grande guerriero e poi il fondatore della marina e del commercio del suo Paese, mentre Richelieu non ha fatto che governare tirannicamente all’interno e astutamente all’estero. Ma torniamo a Novgorod: Ivan Vasil’evič51 se ne impossessò nel 157052, distrusse la libertà di quella città e fece trasportare a Mosca, nel Cremlino, la grande campana chiamata in russo Večevoj kolokol, al suono della quale i cittadini si radunavano in piazza, per deliberare sugli interessi pubblici. Perdendo la libertà, Novgorod vide man mano sparire la propria popolazione, il commercio, le ricchezze, tanto il soffio del potere arbitrario, come dice il migliore storico della Russia, inaridisce e distrugge! Ancora oggi, Novgorod offre un aspetto singolarmente triste: una vasta cerchia di mura annuncia quanto un tempo la città era grande e popolosa, ma ora all’interno non si vedono che poche case sparse, i cui abitanti sembrano messi là come statue che piangono sulle tombe. Forse ora è lo stesso spettacolo che offre quella bella città di Mosca, ma lo spirito nazionale la ricostruirà, come l’ha riconquistata.

San Pietroburgo

Da Novgorod fino a Pietroburgo non ci sono quasi altro che paludi, e si arriva in una delle più belle città del mondo, come se, con un colpo di bacchetta, un mago facesse uscire dal seno del deserto tutte le meraviglie dell’Europa e dell’Asia. La fondazione di Pietroburgo è la maggior prova di quell’ardente volontà russa che non conosce nulla di impossibile. Tutto è umile nei dintorni, la città è costruita su una palude e anche il marmo è posato su palafitte, ma, vedendo queste costruzioni superbe, si dimenticano le loro fragili fondamenta e non ci si può impedire di meditare sul miracolo di una sì bella città costruita in così poco tempo. Questo popolo, che va sempre dipinto per contrasti, è di una straordinaria perseveranza contro la natura, o contro gli eserciti nemici. La necessità ha sempre trovato i Russi pazienti e invincibili, ma nelle cose ordinarie della vita essi sono molto incostanti. Anche negli stessi uomini, negli stessi padroni, l’entusiasmo non dura a lungo, solamente la riflessione può garantire la durevolezza dei sentimenti e delle opinioni nella tranquillità abituale della vita, e i Russi, come tutti i popoli sottomessi al dispotismo, sono più capaci di dissimulazione che di riflessione.

Arrivando a Pietroburgo, il mio primo sentimento fu di ringraziare il cielo di essere sulla riva del mare. Vidi sventolare sulla Neva la bandiera inglese,

51 Si tratta dello zar Ivan IV il Terribile (1530-1584), che dal popolo era chiamato con nome e patronimico. (N.d.T.)

52 Nel testo è 1470, ma è un errore. Lo zar, convinto che i bojari di Novgorod stessero concludendo un’alleanza con la Polonia, ordinò di saccheggiare la città e di ucciderne tutti gli abitanti. L’assedio di Novgorod avvenne nel gennaio e nel febbraio 1570 e furono uccise duemila-tremila persone. (N.d.T.)

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segnale di libertà, e sentii che, affidandomi all’oceano, sarei potuta rientrare sotto l’immediata protezione delle Divinità: è un’illusione da cui non ci si può difendere quella di sentirsi sotto la mano della Provvidenza, sia quando si è in balia degli elementi, sia quando si dipende dagli uomini, e soprattutto dall’uomo che sembra un’incarnazione del principio del male sulla terra.

Di fronte alla casa dove abitavo a Pietroburgo, vi era il monumento a Pietro I: egli è rappresentato a cavallo, mentre si arrampica su un pendio scosceso, in mezzo ai serpenti che vogliono contrastare i passi del cavallo. I serpenti sono evidentemente messi lì per sostenere l’immensa massa del cavallo e del cavaliere, ma l’idea non è felice, perché, nei fatti, non è l’insidia che un sovrano può temere, e i serpenti non sono i suoi nemici. Pietro I, in special modo, non ebbe nulla da temere in vita, se non da parte di quei russi che rimpiangevano le antiche usanze del Paese. Tuttavia l’ammirazione che di lui si conserva ancora è una prova del bene che ha fatto alla Russia, perché cento anni dopo la loro morte i despoti non hanno più adulatori. Sul piedistallo della statua è scritto: A Pietro I, Caterina II. Un’iscrizione semplice e anche fiera che ha il merito della verità: queste due grandi figure hanno portato molto in alto l’orgoglio russo e hanno saputo inculcare nella testa di una nazione che essa è invincibile e ciò la rende tale, almeno entro i suoi confini, perché la conquista è un gioco che dipende forse ancor più dai difetti dei vinti che dal genio del vincitore.

A Pietroburgo usano dire di una donna che ella è vecchia come le vie della città, tanto queste sono moderne. Gli edifici sono ancora di un biancore abbacinante e la notte, quando la luna li illumina, si ha l’impressione di vedere dei grandi fantasmi bianchi che osservano, immobili, il corso della Neva. Non so che cosa ci sia di particolarmente bello in questo fiume, ma mai le acque di un altro corso mi sono sembrate così limpide. Degli argini di granito di trenta verste di lunghezza fiancheggiano le sue acque e questa magnifica opera del lavoro dell’uomo è degna dell’acqua trasparente che guarnisce. Se Pietro I avesse diretto simili lavori verso il mezzogiorno dell’impero, non avrebbe ottenuto ciò che desiderava, cioè una Marina, ma forse si sarebbe meglio conformato al carattere del suo popolo. I Russi che abitano a Pietroburgo hanno l’aria di gente del sud condannata a vivere al nord e costretta a compiere ogni sforzo per lottare contro un clima in disaccordo con la loro natura. Gli abitanti del nord sono, di solito, molto casalinghi e temono il freddo, proprio perché è il loro nemico quotidiano. Invece il popolo russo, non ha preso alcuna di queste pratiche: i cocchieri attendono dieci ore alla porta, in inverno, senza lagnarsi, essi si stendono sulla neve, sotto la loro carrozza, portando le usanze dei Lazzaroni di Napoli53 al sessantesimo grado di latitudine: voi li vedete sistemati sui

53 I lazzaroni (o lazzari) erano i giovani popolani di Napoli dal Seicento all’Ottocento. Miseri e vestiti di stracci (dallo spagnolo lazaros, cencioso, o dal latino lacerus, lacero, strappato), vivevano alla giornata. Occasionalmente erano incaricati dal re Ferdinando di mantenere l’ordine pubblico e, in questa mansione e non per spirito rivoluzionario, si opposero all’esercito napoleonico, durante la seconda Repubblica Napoletana (1798-1799), a favore dei Borboni che erano i legittimi reali di Napoli. (N.d.T.)

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gradini delle scale, come i tedeschi sulle loro piume, e a volte dormono in piedi, con la testa appoggiata contro un muro. Secondo i casi, indolenti o impetuosi, si abbandonano alternativamente al sonno o alle fatiche più incredibili. Alcuni si ubriacano, differenziandosi in ciò dai popoli meridionali che sono molto sobri, ma anche i Russi lo sono e in modo incredibile quando lo esigono le difficoltà della guerra.

A loro modo, gli aristocratici russi mostrano i gusti degli abitanti del mezzogiorno. Per farsene un’idea, bisogna vedere le varie ville che si sono fatti costruire su un’isola formata dalla Neva, all’interno delle mura di Pietroburgo: le piante del sud, i profumi dell’Oriente, i divani dell’Asia abbelliscono quelle residenze e delle immense serre, dove maturano frutti di tutti i Paesi, formano un clima artificiale. I proprietari dei palazzi cercano di non perdere il più piccolo raggio di sole; quando esso appare all’orizzonte, lo festeggiano come un amico che presto se ne andrà, ma che un tempo hanno conosciuto in una regione più felice.

Il giorno dopo il mio arrivo, pranzai da uno dei commercianti più stimati della città, il quale esercitava l’ospitalità alla maniera russa, cioè metteva una bandiera sul tetto del proprio palazzo per annunciare che pranzava in casa, e questo invito bastava per tutti gli amici. Pranzammo all’aperto, tanto si era contenti di quei poveri giorni di fine estate, così smorti che noi, nel sud dell’Europa, non li avremmo chiamati con questo nome. Il giardino era molto piacevole, abbellito da alberi e fiori, ma a quattro passi dalla casa ricominciavano il deserto o la palude. La natura, attorno a Pietroburgo, sembra un nemico che rivendichi i propri diritti appena l’uomo cessa un momento di lottare contro essa.

La mattina seguente mi recai nella chiesa di Nostra Signora di Kazan’, costruita da Paolo I, sul modello di San Pietro a Roma. L’interno, decorato con un gran numero di colonne di granito, è della massima bellezza, ma la chiesa non piace proprio perché ricorda San Pietro e ancor più perché si distingue chiaramente che l’hanno voluto imitare: non si fa in due anni ciò che è costato un secolo di lavoro ai primi artisti del mondo. I Russi volevano, con la rapidità, sfuggire al tempo e allo spazio, ma il tempo conserva soltanto ciò che esso stesso ha fondato, e l’arte, prima fonte dell’ispirazione, non può tuttavia fare a meno della riflessione.

Da Nostra Signora di Kazan’ andai al monastero di Sant’Alessandro Nevskij, luogo dedicato a uno degli eroici sovrani di Russia, che estese le proprie conquiste fino alle rive della Neva. L’imperatrice Elisabetta, figlia di Pietro I, gli aveva fatto erigere un sepolcro d’argento, sul quale c’è l’usanza di porre una moneta, in pegno del voto pronunciato al santo. La tomba di Suvorov è in questo monastero, ma c’è soltanto il suo nome che la orna: è sufficiente per lui, ma non per i Russi, ai quali ha reso ben alti servizi. Tuttavia, questa nazione è così militare che essa si stupisce poco di un’impresa bellica. Le più grandi famiglie russe hanno innalzato monumenti funebri ai propri genitori nel cimitero presso la chiesa di Nevskij, ma nessuno è degno di nota: non sono belli sotto il profilo artistico e non hanno una qualche grande idea che colpisca l’immaginazione. È vero che il

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pensiero della morte non ha molta influenza sui Russi: sia per coraggio, sia per incostanza nelle impressioni, i lunghi rimpianti non sono nel loro carattere; sono capaci più di superstizione che di emozione; la superstizione si riferisce a questa vita e la religione all’altra; la superstizione si lega al destino e la religione alla virtù; è per la vivacità dei piaceri terrestri che si diventa superstiziosi ed è, al contrario, per il sacrificio di questi stessi desideri che si è religiosi.

Romanzov, ministro degli Affari esteri della Russia54, mi colmò delle più grandi cortesie ed era con rammarico che pensavo che, essendosi inserito così tanto nel sistema di intese dell’imperatore Napoleone, avrebbe dovuto ritirarsi come i ministri inglesi quando quel sistema fu respinto. Certamente, in una monarchia assoluta, la volontà del padrone spiega tutto, ma la dignità del Primo ministro esige forse che parole di senso opposto non escano dalla stessa bocca. Il sovrano rappresenta lo Stato e lo Stato può cambiare politica quando le circostanze lo esigano, ma il ministro non è che un uomo e un uomo, su questioni di tale importanza, deve avere una sola opinione nel corso della propria vita. È impossibile avere maniere migliori di Romanzov e ricevere gli ospiti più nobilmente. Ero a casa sua quando furono annunciati l’inviato dell’Inghilterra, lord Tyrconnell55, e l’ammiraglio Bentinck56; entrambi figure notevoli, erano i primi inglesi che riapparivano sul continente, dal quale la tirannia di un solo uomo li aveva banditi. Dopo dieci anni di una così terribile lotta, dopo dieci anni durante i quali i successi e le sconfitte avevano sempre trovato gli Inglesi fedeli alla bussola della loro politica, la coscienza, essi ritornavano finalmente nel Paese che, per primo, si liberava della monarchia universale. Il loro tono di voce, la loro semplicità, la loro fierezza, tutto risvegliava nell’animo quel senso della verità in ogni cosa, che Napoleone ha trovato il modo di rendere oscuro agli occhi di coloro che hanno letto solamente i suoi gazzettini e hanno ascoltato soltanto i suoi emissari. Non so neanche se gli avversari di Napoleone sul continente, costantemente oppressi da una falsa opinione, che non cessa di stordirli, possano affidarsi senza turbamenti al proprio sentimento. Se posso giudicare da me stessa, so che spesso, dopo avere ascoltato tutti i consigli di prudenza o di viltà di cui si è oppressi nell’atmosfera bonapartista, io non sapevo più che cosa pensare delle mie idee: il mio sangue mi impediva di rinunciarvi, ma la mia ragione non sempre bastava a preservarmi da tanti sofismi. Fu dunque con viva emozione che sentii di nuovo la voce di

54 Lo statista russo Nikolaj Petrovič, conte di Romanzov (1750-1826) fu, sotto Alessandro I, ciambellano, senatore, ministro del Commercio e, dal 1807, degli Affari esteri. Nemico dell’Inghilterra e favorevole alla Francia, nel 1808 aveva accompagnato lo zar all’incontro a Erfurt con Napoleone e i principi della confederazione del Reno, durante il quale si stipulò un’alleanza tra Francia e Russia, in seguito disattesa. Dopo la disfatta di Napoleone del 1812, Romanzov si ritirò a vita privata e lasciò la Russia. (N.d.T.)

55 George Carpenter conte di Tyrconnell (1788-1812) entrò come volontario al servizio della Russia e morì a Vilnius mentre inseguiva l’esercito francese. (N.d.T.)

56 Lord William Bentinck (1774-1839), politico e generale, fu comandante in Capo delle Forze Britanniche in Sicilia e governatore generale dell’India dal 1828 al 1835. (N.d.T.)

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quell’Inghilterra, con la quale si è quasi sempre sicuri di trovarsi d’accordo quando si cerca di meritare la stima della gente onesta e di se stessi.

Il giorno dopo, il conte Orlov57 mi invitò a passare la giornata sull’isola che porta il suo nome: è la più bella tra quelle formate dalla Neva e il giardino è ombreggiato da querce, alberi rari in questo Paese. Il conte e la contessa Orlov impiegano la loro fortuna a ricevere gli ospiti con molta semplicità e altrettanta magnificenza, da loro ci si sente a proprio agio come in un rifugio campestre e vi si gode tutto il lusso della città. Il conte Orlov è uno degli aristocratici più colti che si possano incontrare in Russia e il suo amore per il proprio Paese è talmente profondo che non si può non esserne commossi. Il primo giorno che passai da lui, era stata appena proclamata la pace con l’Inghilterra: era una domenica e nel giardino, aperto quel giorno ai visitatori, si vedeva un grande numero di quei mercanti con la barba, che mantengono in Russia il costume dei mugik, cioè dei contadini. Molti si riunirono per ascoltare l’ottima orchestra del conte Orlov, che ci fece ascoltare l’inno inglese God save the king58 (Dio salvi il re), che è il canto della libertà, in un paese dove il monarca ne è il primo custode. Eravamo tutti commossi e applaudimmo a questo inno nazionale in nome di tutti gli Europei, perché ormai vi sono soltanto due specie di uomini in Europa: coloro che servono la tirannia e coloro che sanno odiarla. Il conte Orlov si avvicinò ad alcuni mercanti russi, e disse loro che si stava celebrando la pace dell’Inghilterra con la Russia, essi si fecero allora il segno della croce e ringraziarono il cielo che il mare fosse di nuovo aperto per loro.

L’isola Orlov è situata al centro di tutte le altre isole che gli aristocratici di Pietroburgo, l’imperatore e l’imperatrice hanno scelto come residenza estiva. Non lontano, è l’isola Stroganov, dove il ricco proprietario ha fatto venire dalla Grecia alcune antichità di gran valore59. Finché egli visse, la sua casa era aperta ogni giorno e chiunque vi era stato presentato una volta poteva ritornarvi; non invitava mai nessuno a pranzare o a cenare per un giorno prefissato: aveva convenuto che, una volta ammessi, si era sempre ben accetti; spesso non conosceva nemmeno la metà delle persone che pranzavano a casa sua, ma gli piaceva questa grandiosa ospitalità come ogni altro tipo di magnificenza. In molte case, a Pietroburgo, ci sono più o meno le stesse abitudini; è facile concludere che non vi si incontra ciò che noi in Francia chiamiamo il piacere della conversazione: la compagnia è

57 Il conte Grigorij Vladimirovič Orlov (1777-1826), nipote dell’omonimo favorito di Caterina II, fu letterato, senatore e membro dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo. Durante la Restaurazione, soggiornò a Parigi, si legò al Partito liberale e raccolse con meticolosa cura documenti e cimeli su Napoleone e sulla storia inglese. Tornato a San Pietroburgo, donò l’intera collezione all’Archivio di Stato russo. (N.d.T.)

58 In inglese nel testo. (N.d.T.)59 Degli Stroganov (spesso scritto erroneamente Strogonov, come nel testo originale) era

contemporaneo di Madame de Staël il conte Pavel (1774-1817), statista e generale che partecipò alle guerre napoleoniche, ma nel testo ci si riferisce al conte Aleksandr Stroganov (1733-1811), dignitario della corte imperiale, presidente dell’Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo e direttore della Biblioteca Nazionale, che amava l’arte e l’architettura classica e collezionò importanti opere d’arte. (N.d.T.)

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troppo numerosa perché possa verificarsi una conversazione di una certa importanza. Tutta la buona società ha maniere perfette, ma non c’è sufficiente cultura fra i nobili, né abbastanza confidenza tra persone che vivono continuamente sotto l’influsso di una corte e di un governo dispotico, perché si possa conoscere il fascino dell’intimità.

La maggior parte degli aristocratici russi si esprime con grazia e modi appropriati cosicché spesso ci si illude, in un primo momento, sul grado di intelligenza e di cultura dell’interlocutore. All’inizio, quasi sempre, sembra che si conversi con un uomo o una donna molto intelligente, ma talvolta, alla lunga, non vi è che questo inizio. Non si è affatto abituati, in Russia, a parlare dal profondo del proprio cuore né del proprio animo: un tempo si aveva così paura dei propri padroni che non ci si è ancora abituati alla ragionevole libertà concessa dal carattere di Alessandro.

Alcuni gentiluomini russi hanno provato a mettersi in luce in letteratura e hanno dato prova di talento, ma i lumi non sono abbastanza diffusi perché dall’opinione di ciascuno possa svilupparsi un vero e proprio giudizio pubblico. Il carattere dei Russi è troppo passionale per amare i pensieri sia pur minimamente astratti, soltanto i fatti li divertono: non hanno ancora avuto né il tempo né il gusto di tradurre i fatti in idee generali. Del resto, ogni pensiero significativo è sempre più o meno pericoloso in mezzo a una corte dove ci si guarda l’un l’altro e dove generalmente ci si invidia.

Il silenzio orientale si è trasformato in parole piacevoli, che non penetrano, di solito, fino al fondo delle cose. Per un attimo ci si trova bene in quest’atmosfera brillante che fa scorrere piacevolmente la vita, ma alla lunga non ci si accultura, non si sviluppano le proprie facoltà, e gli uomini che passano così il proprio tempo non acquisiscono alcuna capacità per lo studio o gli affari. Non era così nella società di Parigi: si sono visti uomini formati soltanto attraverso i discorsi seri o faceti che nascevano nelle riunioni di nobili e letterati.

La famiglia imperiale

Conobbi infine quel monarca, assoluto per legge e per costumi, ma così moderato per propria inclinazione. Fui dapprima presentata all’imperatrice Elisabetta che mi apparve come l’angelo protettore della Russia. I suoi modi sono molto riservati ma ciò che dice è pieno di vita, ed è al centro di tutti i pensieri più generosi cosicché i suoi sentimenti e le sue idee hanno preso forza e calore60. Ascoltandola, fui commossa da qualcosa di inesprimibile che non si riferiva alla sua grandezza, ma all’armonia della sua anima; era da

60 Stando alle biografie, all’epoca della visita di Madame de Staël, Elisabetta Alekseevna (nata Luisa Maria Augusta, principessa di Baden; 1779-1826) e Alessandro I si era da poco riavvicinati dopo reciproci tradimenti e la morte di due figlie. Elisabetta fu comunque sempre una strenua sostenitrice della politica del marito. (N.d.T.)

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tanto tempo che non trovavo più in accordo la potenza con la virtù. Mentre mi intrattenevo con l’imperatrice, la porta si aprì e l’imperatore Alessandro mi fece l’onore di venire a parlarmi. Ciò che mi colpì subito in lui fu un’espressione di bontà e di dignità tale che queste due qualità sembravano in lui inseparabili, come se egli ne avesse creata una sola. Fui anche molto colpita dalla nobile semplicità con cui affrontò i grandi interessi dell’Europa, fin dalle prime frasi che mi indirizzò. Ho sempre considerato come un segno di mediocrità il timore di trattare le questioni serie che caratterizza la maggior parte dei sovrani d’Europa: essi hanno paura di pronunciare parole che abbiano senso realistico. L’imperatore Alessandro, al contrario, s’intrattenne con me come avrebbero fatto gli uomini di Stato d’Inghilterra, che ripongono la loro forza in se stessi e non nelle barriere di cui possono circondarsi. L’imperatore Alessandro, che Napoleone ha sottovalutato, è un uomo di intelligenza e cultura notevoli, e io non credo che possa trovare, nel suo impero, un ministro più capace di lui nel giudicare e dirigere gli affari di Stato. Non mi nascose che si rimproverava l’ammirazione alla quale si era affidato nei rapporti con Napoleone. Anche il nonno di Alessandro aveva provato un grande entusiasmo per Federico II61. Nell’illusione ispirata da un uomo straordinario, c’è sempre un motivo generoso nonostante gli errori che ne possono risultare. Tuttavia l’imperatore Alessandro analizzava con molta sagacia l’impressione che gli avevano suscitato le conversazioni di Bonaparte, nelle quali egli diceva le cose più opposte, come se ognuna di esse dovesse solo incantare l’ascoltatore senza lasciargli il tempo di accorgersi che erano contraddittorie. Mi raccontò anche delle lezioni alla Machiavelli che Napoleone aveva creduto opportuno impartirgli. «Vedete, – gli diceva, – io ho cura di inimicare tra loro i miei ministri e i miei generali, affinché l’uno mi riveli i torti dell’altro; per il modo con cui tratto le persone, io alimento attorno a me una gelosia continua, così un giorno si crede preferito uno, il giorno dopo un altro, e mai nessuno può essere sicuro del mio favore». Che teoria allo stesso tempo volgare e falsa! e non capiterà che un giorno un uomo a lui superiore ne dimostrerà tutta l’inutilità? Ciò che occorre alla causa sacra della morale è che essa serva in maniera luminosa a ottenere grandi successi nel mondo; colui che sente per intero la dignità di tale causa le sacrificherebbe felicemente ogni successo, ma occorre pure insegnare a questi presuntuosi, che credono di trovare una profondità di pensiero nei vizi dell’anima, che se talvolta c’è dell’intelligenza nell’immoralità, nella virtù c’è del genio.

Convincendomi della buona fede dell’imperatore Alessandro nei suoi rapporti con Napoleone, mi persuasi allo stesso tempo che non avrebbe imitato l’esempio degli infelici sovrani della Germania e non avrebbe firmato una pace con colui che è nemico sia dei popoli che dei re. Un’anima nobile non può essere ingannata due volte dalla stessa persona. Alessandro dà e ritira la sua fiducia dopo profondissime riflessioni. La sua gioventù e le sue qualità esteriori hanno potuto, solo all’inizio del regno, farlo sospettare di

61 Pietro III di Russia ammirava Federico II di Prussia e gli si alleò nel 1762. (N.d.T.)

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leggerezza, ma egli è serio quanto lo può essere un uomo che conosca la sventura. Alessandro mi espresse il proprio rammarico di non essere un gran capitano e io risposi a questa nobile modestia che un sovrano era più raro di un generale e che sostenere il morale della nazione con il suo esempio significava vincere la più importante delle battaglie, la prima di questo genere che sia stata vinta. L’imperatore mi parlò con entusiasmo del proprio popolo e di tutto ciò che era capace di conquistare. Mi espresse il desiderio, che tutto il mondo già gli riconosce, di migliorare lo stato dei contadini ancora sottoposti a schiavitù. «Sire, – gli dissi, – il vostro carattere è una costituzione per il vostro impero e la vostra coscienza ne è la garanzia». «Se anche fosse, – mi rispose, – io non sarei che un felice incidente»62.

Belle parole: le prime, credo, di questo tipo che un monarca assoluto abbia mai pronunciato! Quanta virtù occorre a un despota per giudicare il dispotismo! e quanta virtù per non abusarne mai, quando la nazione che si governa è quasi stupìta di una così rara moderazione!

Soprattutto a Pietroburgo, gli aristocratici hanno principi meno liberali dello stesso imperatore. Abituati a essere i padroni assoluti dei loro contadini, essi vogliono che il monarca, a sua volta, dia il massimo per mantenere la gerarchia del dispotismo. La classe dei borghesi non esiste ancora in Russia, anche se inizia a formarsi: i figli dei preti, quelli dei commercianti, alcuni contadini che hanno ottenuto dai loro signori la libertà di diventare artigiani possono essere considerati nello Stato come un terzo ceto. La nobiltà russa, del resto, non somiglia a quella di Germania o di Francia; in Russia si è nobili appena si ha un grado militare. Senza dubbio le grandi famiglie, come i Naryškin, i Dolgorukij, i Goličyn eccetera, saranno sempre in primo piano nell’impero, ma non è meno vero che i vantaggi aristocratici appartengono anche a uomini che la volontà del principe ha creato nobili in un giorno, e la massima ambizione dei borghesi è di far diventare i loro figli ufficiali, perché siano introdotti nella classe privilegiata. Da ciò deriva che ogni tipo di educazione termina a quindici anni e non appena possibile ci si precipita nella carriera militare, e tutto il resto viene trascurato. Certamente non è questo il momento di biasimare un ordine di cose che ha prodotto una così bella resistenza, ma in tempi più tranquilli, si potrebbe dire a ragione che, dal punto di vista civile, ci sono grandi lacune nell’amministrazione interna della Russia. L’energia e la grandezza sono insite nella nazione, ma troppo spesso l’ordine e la cultura mancano, sia nel governo che nella condotta privata di ogni individuo. Pietro I, rendendo europea la Russia, le ha dato sicuramente grandi vantaggi, ma li ha fatto pagare con la restaurazione di un dispotismo che suo padre aveva preparato e che lui ha consolidato. Caterina II, al contrario, ha moderato l’uso del potere assoluto, di cui non ne era affatto la creatrice. Se le circostanze

62 «Questa frase è già citata nelle Considérations sur la révolution française, ma merita di essere ripetuta. Tutto ciò, del resto, devo ricordarlo, è stato scritto alla fine del 1812. (Nota di de Staël figlio)»

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politiche dell’Europa avessero riportato la pace, ossia se un solo uomo non dispensasse ancora il male sulla terra, si vedrebbe Alessandro unicamente occupato a migliorare il suo impero, a cercare personalmente le leggi che potrebbero garantire alla Russia quel benessere di cui essa non può ritenersi sicura se non durante la vita dell’attuale zar.

Dopo l’incontro con l’imperatore, mi recai dalla sua rispettabile madre63, questa principessa alla quale la calunnia non ha mai potuto attribuire altro sentimento che non fosse per il consorte, per i figli o per le famiglie degli sfortunati di cui è protettrice. Racconterò più avanti in quale modo dirige l’impero di carità esercitato nell’onnipotente impero di suo figlio. Ella dimora nel palazzo di Tauride e, per giungere al suo appartamento, occorre attraversare una sala costruita dal principe Potëmkin64 che è di una grandezza incomparabile: da una parte è occupata da un giardino d’inverno, di cui si vedono le piante e gli alberi attraverso il colonnato che la circonda. Tutto è colossale in quel palazzo: le concezioni del principe che lo ha realizzato erano bizzarre e gigantesche. Egli faceva costruire intere città in Crimea solamente perché l’imperatrice le vedesse passando, ordinava l’assalto a una fortezza per far piacere a una bella donna, la principessa Dolgorukij, che aveva disprezzato un suo omaggio. Egli era come l’aveva creato il favore della sovrana, tuttavia nella maggior parte dei grandi uomini di Russia, come Menšikov65, Suvorov, lo stesso Pietro I e ancora più anticamente Ivan Vasil’evič, vi è sempre qualcosa di fantastico, di violento e ironico insieme. Lo spirito era per loro un’arma più che un piacere ed era l’immaginazione a guidarli: generosità, barbarie, passioni sfrenate, religione superstiziosa, tutto era riunito nello stesso carattere. Ancora oggi, la civiltà non è penetrata profondamente in Russia, neppure presso gli aristocratici, i quali imitano nelle forme esteriori gli altri popoli, ma rimangono totalmente russi nell’animo, ed è ciò che costituisce la loro forza e originalità, essendo l’amor di patria, dopo quello di Dio, il più bel sentimento che gli uomini possano provare. Occorre che questa patria sia nettamente distinta dalle altre nazioni che la circondano per ispirare un forte attaccamento; i popoli che si confondono tra loro con lievi sfumature, o che sono divisi in molti Stati staccati uno dall’altro, non si sacrificano con vera passione a quella convenzionale associazione alla quale hanno attribuito il nome di patria.

63 Maria Fëdorovna (nata Sofia Dorotea di Württemberg; 1759-1828), seconda moglie dell’imperatore Paolo I. (N.d.T.)

64 Grigorij Aleksandrovic Potëmkin (1739-1791) fu un generale e uno statista russo, ma è noto per essere stato il favorito di Caterina II. Conquistò e colonizzò l’Ucraina meridionale e in particolare la Crimea, antica Tauride, da cui il titolo conferitogli da Caterina II (principe di Tauride) e il nome del suo palazzo a San Pietroburgo, considerato il più grande e lussuoso costruito nel XVIII secolo. Ciò che Madame de Staël racconta in seguito sulle bizzarrie di Potëmkin sono frutto di leggende inventate dai suoi detrattori. (N.d.T.)

65 Aleksandr Danilovič Menšikov (1673?-1729) fu uno statista russo, diventato “generalissimo” dopo la battaglia di Poltava del 1709. Lavorò a fianco di Pietro I in tutte le sue imprese e fu l’artefice della salita al trono di Caterina II. (N.d.T.)

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Costumi degli aristocratici russi

Andai a trascorrere una giornata in campagna da Naryškin66, gran ciambellano di corte: uomo piacevole, semplice e cortese, ma che non sa vivere senza una festa; è a casa sua che si ha realmente l’idea di quella vivacità di gusti che spiega difetti e qualità dei Russi. La casa di Naryškin è sempre aperta e quando egli ospita soltanto venti persone si annoia di questo isolamento filosofico. Cortese con gli invitati, sempre in movimento e tuttavia capacissimo della riflessione necessaria per saper stare a corte, è avido dei piaceri della fantasia che però trova solo nelle cose, mai nei libri; impaziente ovunque fuorché a corte, idealista quando gli conviene, grandioso più che ambizioso, egli cerca in ogni cosa quella grandezza asiatica nella quale si distinguono più la ricchezza e il rango che le caratteristiche individuali. La sua villa è accogliente come può esserlo una natura creata dalle mani dell’uomo: tutto il paesaggio circostante è arido e paludoso e questa residenza è un’oasi. Salendo in terrazza, si vede il golfo di Finlandia e si scorge, di lontano, il palazzo che Pietro I aveva fatto edificare sulla costa, ma il terreno che separa il palazzo dal mare è pressoché incolto e solamente il parco di Naryškin incanta lo sguardo. Andammo a pranzare nella casa dei Moldavi, cioè, in una sala costruita secondo il gusto di quel popolo. Essa era sistemata per proteggersi dal calore del sole, precauzione abbastanza inutile in Russia, tuttavia là si ha così viva l’impressione di vivere tra gente che è a nord soltanto per caso, che sembra naturale trovare gli usi del mezzogiorno, come se un giorno i Russi dovessero far arrivare a Pietroburgo il clima della loro antica patria. La tavola era coperta di frutti di tutti i paesi, secondo la tipica usanza orientale di mettervi solamente la frutta, mentre uno stuolo di servitori porta a ciascun convitato i piatti di carne e verdure.

Ci fecero ascoltare l’orchestra di corni caratteristica della Russia e di cui si è spesso parlato: ciascuno dei venti musicisti esegue una sola nota, sempre la stessa, ogni volta che si presenta, cosicché ognuno di essi porta il nome della nota che è incaricato di suonare: così ci sono il sol, il mi o il re di Naryškin. I corni si ingrandiscono di fila in fila, perciò qualcuno, a ragione, chiama l’orchestra un organo vivente. Da lontano l’effetto è molto bello: la precisione e la purezza dell’armonia suscitano i più nobili pensieri, ma il piacere si affievolisce quando ci si avvicina a quei poveri musicisti, posti là come canne d’organo che emettono un unico suono e non possono partecipare con la propria emozione a quella che essi stessi inducono: non piace vedere l’arte trasformata in lavoro meccanico da apprendere a forza come un esercizio.

In seguito, alcuni abitanti dell’Ucraina, vestiti di rosso, vennero a cantarci delle arie della loro regione: molto piacevoli, a volte allegre, a volte

66 Nella prestigiosa famiglia dei Naryškin figurava Natalia, seconda moglie dello zar Alessio I e madre di Pietro I il Grande. (N.d.T.)

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malinconiche, a volte l’uno e l’altro insieme. Talvolta le canzoni si interrompono bruscamente in mezzo alla melodia, come se l’immaginazione di quei popoli si fosse stancata a terminare ciò che piaceva all’inizio, o trovasse più interessante sospenderne l’incanto nel momento stesso in cui ha maggior intensità. È così che la sultana delle Mille e una notte interrompe sempre il suo racconto, quando l’interesse è più vivo.

Naryškin, in mezzo a questi svariati divertimenti, propose di fare un brindisi al successo degli eserciti russo e inglese riuniti e diede il segnale alla sua artiglieria, quasi altrettanto imponente di quella di un sovrano. L’ebbrezza della speranza afferrò tutti i convitati; io avevo le lacrime agli occhi. Serviva un tiranno straniero per ridurmi a desiderare che i Francesi fossero vinti: «Io auspico, – dissi allora, – la caduta di colui che opprime la Francia e l’Europa, poiché i veri francesi trionferanno se egli sarà sconfitto». Gli inglesi, i russi e soprattutto Naryškin approvarono la mia opinione e il nome di Francia, un tempo simile a quello dell’Armida67, fu ancora ascoltato con benevolenza dai cavalieri dell’Oriente e del mare che andavano a combattere contro essa.

Alcuni calmucchi dai lineamenti schiacciati sono allevati presso i russi, come per conservare un campione dei Tartari che gli Slavi hanno vinto. Nel palazzo Naryškin circolavano due o tre calmucchi mezzi selvaggi: nell’infanzia sono piuttosto graziosi, ma dall’età di vent’anni perdono tutto il fascino della giovinezza; ostinati, sebbene schiavi, essi divertono i loro padroni con la loro resistenza, come uno scoiattolo che si dibatta contro le sbarre della gabbia. Questi esemplari dell’avvilito genere umano erano penosi da guardare: sembrava di vedere, fra tante manifestazioni di lusso, un’immagine di ciò che l’uomo può diventare quando non impara la dignità né con la religione né con le leggi, e tale spettacolo sminuiva l’orgoglio che possono ispirare i piaceri del fasto.

Delle lunghe vetture da passeggio, tirate da bellissimi cavalli, ci condussero, dopo pranzo, nel parco. Era la fine d’agosto, tuttavia il cielo era pallido e i prati di un verde quasi artificiale, perché non vivevano che per mezzo delle cure. Gli stessi fiori erano un piacere aristocratico, tante spese occorrevano per ottenerli. Non si sentiva cinguettare gli uccelli nei boschi perché non si fidavano di quell’estate passeggera; non si vedeva neppure bestiame nei prati, perché non si osava farlo pascolare tra piante che erano costate tanta pena coltivare. L’acqua scarseggiava e veniva incanalata, servendosi di macchine, nel giardino, dove tutta la natura aveva l’aspetto di una decorazione festiva che scompare appena i visitatori se ne vanno. Le nostre carrozze si fermarono davanti a una costruzione nel giardino che rappresentava un accampamento tartaro, e là i musicisti riuniti iniziarono nuovamente a farsi sentire: il suono dei corni e dei cembali inebriava la mente. Per aumentare lo stordimento, si imitavano, in estate, quelle slitte con le quali i Russi si consolano dell’inverno: esse scivolano su alcune assi

67 La maga Armida è un personaggio del poema Gerusalemme liberata (1581) di Torquato Tasso, cui si sono ispirati numerosi poeti e librettisti. (N.d.T.)

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dalla cima di una montagna di legno, con la velocità di un lampo68. Questo gioco divertiva sia le donne che gli uomini e faceva provare loro un po’ dei piaceri della guerra, che consistono nell’emozione del pericolo e nella vivace prontezza dei movimenti. Così trascorreva il tempo, perché si rinnovava quasi ogni giorno ciò che mi sembrava una festa. Eccetto qualche differenza, nella maggior parte dei palazzi di Pietroburgo si vive allo stesso modo; non può esservi, come si capisce, alcun tipo di conversazione seria e la cultura non è di alcuna utilità in questo genere di società, ma d’altra parte quando si vuol riunire attorno a sé un grande numero di persone, le feste sono, dopo tutto, il solo modo di evitare quella noia che si crea quando c’è troppa gente nei saloni.

In mezzo a questo frastuono, c’è posto per l’amore? domanderanno le italiane, le quali non conoscono altro interesse, in compagnia, che il piacere di vedere colui da cui vogliono farsi amare. Ho passato troppo poco tempo a Pietroburgo per farmi un’idea giusta di quel che succede all’interno delle famiglie, tuttavia mi è sembrato che, da un lato, ci fosse più virtù domestica di quanto si dicesse, ma che, dall’altro, l’amore sentimentale fosse conosciuto molto raramente. Le usanze asiatiche, che si incontrano a ogni passo, fanno sì che le donne non si interessino dell’andamento familiare: è il marito che dirige tutto e la donna non fa che agghindarsi dei suoi regali e ricevere le persone che egli invita. A Pietroburgo, il rispetto dei costumi è molto maggiore di quanto lo fosse ai tempi di quei sovrani e di quelle sovrane che corrompevano l’ambiente con il loro esempio. Le due imperatrici attuali hanno fatto amare le virtù di cui esse ne sono il modello. Tuttavia, in questo campo come in molti altri, i principi della morale non sono affatto ben saldi nella mente dei Russi. L’ascendente del padrone è sempre stato così forte che, da un regno all’altro, tutte le massime su qualunque argomento possono essere cambiate. I Russi, uomini e donne, portano di solito nell’amore tutta l’impetuosità che li caratterizza, ma il loro gusto per il nuovo li fa anche rinunciare facilmente alle loro scelte. Un certo disordine sentimentale non permette loro di trovare felicità nella costanza. La cultura dello spirito, che moltiplica il sentimento per la poesia e l’arte, è molto rara e, in queste nature fantastiche e veementi, l’amore è piuttosto una festa o un delirio che un affetto profondo e meditato. Vivere in società in Russia è quindi come essere in un turbinio continuo e forse l’estrema prudenza alla quale abitua un governo dispotico, fa sì che i Russi siano contenti di non essere portati, dalla foga della conversazione, a parlare di argomenti che possano avere una qualche conseguenza. A tale riservatezza che, del resto, è stata loro molto necessaria durante diversi regni, occorre attribuire la mancanza di sincerità di cui li si accusa. Le raffinatezze della civiltà alterano dappertutto la sincerità del carattere, ma, quando il sovrano ha il potere illimitato di esiliare, imprigionare, confinare in Siberia eccetera, la sua potenza è qualcosa di troppo forte per la natura umana. Si sarebbero

68 Comparse nel XVI secolo, le prime “montagne russe” erano scivoli ghiacciati su strutture di legno, alte 15-20 m, su cui una slitta arrivava a una velocità di 70 km/h. (N.d.T.)

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sì potuti incontrare uomini abbastanza fieri da disdegnare il favore, ma occorre eroismo per sfidare la persecuzione, e l’eroismo non può essere una dote universale.

Nessuna di queste riflessioni, si sa, si riferisce al governo attuale, perché il suo capo è perfettamente giusto come imperatore e molto generoso come uomo. Ma i sudditi conservano i difetti della schiavitù per molto tempo dopo che lo stesso sovrano vorrebbe loro eliminare. Si è visto però, in seguito a questa guerra, quali virtù hanno mostrato i Russi, anche quelli della corte. Quando ero a Pietroburgo, quasi non si vedevano giovani in società: tutti erano partiti per la guerra: uomini sposati, figli unici, signori, proprietari di fortune immense servivano nell’esercito in qualità di semplici volontari e, quando hanno visto le loro terre e le loro case devastate, hanno pensato alle perdite soltanto per vendicarsi e mai per capitolare di fronte al nemico. Tali virtù sono molto più importanti di tutto ciò che un’amministrazione ancora difettosa, una civiltà nuova e delle istituzioni dispotiche possono avere portato con sé in fatto di abusi, disordini e difetti.

Istituti per l’istruzione pubblica. Istituto di Santa Caterina

Andammo a vedere il gabinetto di storia naturale, che è notevole per gli esemplari della Siberia. Le sue pellicce hanno suscitato l’avidità dei Russi, come le miniere d’oro del Messico quella degli Spagnoli. Un tempo, in Russia, la valuta di cambio consisteva ancora in pelli di martora e di scoiattolo, tanto era sentito il bisogno di ripararsi dal gelo. Quel che c’è di più curioso nel museo di Pietroburgo è una ricca collezione di ossa di animali antidiluviani e, in particolare, i resti del gigantesco mammut che è stato trovato quasi intatto nei ghiacci della Siberia. Sembra, in seguito alle osservazioni geologiche, che il mondo abbia una storia ben più antica di quella che conosciamo: l’infinito fa paura in ogni cosa. Ora, gli abitanti, e gli stessi animali di questa estremità del mondo abitato, sono come penetrati dal freddo che uccide la natura a qualche lega oltre la loro regione; il colore degli animali si confonde con quello della neve, e la terra sembra perdersi nei ghiacci e nelle nebbie in cui ha termine quaggiù la creazione. Fui colpita dall’aspetto degli abitanti della Kamčatka, che si trova perfettamente imitato nel gabinetto di Pietroburgo. I preti di questo paese, chiamati sciamani, sono una specie di improvvisatori; essi portano, sopra la tunica di corteccia d’albero, una sorta di rete d’acciaio, alla quale sono appesi molti pezzi di ferro, che fanno un fortissimo rumore appena l’improvvisatore si agita; egli ha momenti di ispirazione che assomigliano molto ad attacchi di nervi e fa impressione sul popolo più con la stregoneria che con il talento. L’immaginazione, in paesi ancora tristi come questo, viene sviluppata dalla paura, e la terra stessa sembra respingere l’uomo per lo spavento che essa gli causa.

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Vidi in seguito la cittadella nel cui recinto è la chiesa dove sono deposte le bare dei sovrani da Pietro il Grande in poi: le bare non sono affatto racchiuse in monumenti, ma sono esposte come nel giorno della cerimonia funebre, e ci si sente vicino a quei morti dai quali si è separati da una semplice asse di legno. Quando Paolo I salì al trono, fece incoronare i resti del padre, Pietro III, il quale, non avendo ricevuto questo onore in vita, non poteva essere sepolto nella cittadella69. Si ricominciò, per ordine di Paolo I, la cerimonia della sepoltura di suo padre e sua madre, Caterina II. Entrambi furono nuovamente esposti e quattro ciambellani fecero la guardia ai loro corpi come se essi fossero morti il giorno prima; e i due feretri sono ora messi uno accanto all’altro, costretti a vivere in pace sotto l’impero della morte. Fra i sovrani che si sono succeduti nel potere dispotico trasmesso da Pietro I, se ne trovano molti rovesciati dal trono in seguito a sanguinose cospirazioni. Quegli stessi cortigiani che non hanno la forza di dire al loro padrone la minima verità sono poi capaci di cospirare contro di lui e la più profonda dissimulazione accompagna necessariamente questo genere di rivoluzione politica, poiché occorre colmare di riverenze colui che si vuole assassinare. Tuttavia, che cosa diventerebbe un Paese governato dispoticamente se un tiranno al di sopra di tutte le leggi non avesse nulla da temere, nemmeno dai pugnali? Terribile alternativa, la quale basta a dimostrare cosa siano quelle istituzioni dove bisogna considerare il delitto come bilancia del potere.

Resi omaggio a Caterina II recandomi alla sua residenza di campagna (Carskoe Selo)70. Il palazzo e il giardino sono costruiti con molta arte e magnificenza; ma già l’aria era piuttosto fredda, benché si fosse appena al Primo settembre, e si notava un singolare contrasto in quei fiori del mezzogiorno agitati dal vento del nord. Tutto ciò che si conosce di Caterina II, come sovrana, colma di ammirazione per lei, e non so se i Russi non le debbano, più che a Pietro I, la felice persuasione che essi sono invincibili, persuasione che ha tanto contribuito ai loro successi. Il fascino di una donna moderava l’azione del potere e mescolava la galanteria cavalleresca ai successi di cui le si faceva omaggio. Caterina II aveva al massimo grado il buon senso del governo: uno spirito più brillante del suo sarebbe parso meno geniale e la sua alta ragione ispirava profondo rispetto a coloro che diffidavano della propria immaginazione e auspicavano che fosse guidata con saggezza. Vicino a Carskoe Selo è il palazzo di Paolo I, dimora

69 Pietro III (1728-1762) fu imperatore di Russia soltanto per sei mesi, nei quali migliorò la situazione economica, ma si rese impopolare per l’alleanza con la Prussia, ai danni della Danimarca, e per voler porre il luteranesimo come religione di Stato. La moglie Caterina, con l’amante Grigorij Orlov, lo detronizzò e diventò imperatrice con il sostegno dei nobili. Poco dopo, Pietro III fu ucciso nel carcere di Ropša. Nel dicembre 1796 lo zar Paolo, non condividendo l’operato della madre, pretese che le spoglie del padre fossero riesumate e sepolte con tutti gli onori nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo. (N.d.T.)

70 Oggi chiamata Puškin, ma ancora nota come Carskoe Selo, in russo “Villaggio dello zar”. Vi si trovano due palazzi imperiali: quello di Caterina e quello di Alessandro con i relativi parchi. (N.d.T.)

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splendida, dove l’imperatrice madre e le figlie hanno messo i capolavori del loro ingegno e del loro buono gusto: il luogo parla della ammirevole pazienza di questa madre e delle sue figlie, che nulla ha potuto sviare dalle loro virtù domestiche.

Mi lasciavo andare al piacere che mi procuravano le cose nuove che visitavo ogni giorno e, non so come, avevo dimenticato la guerra da cui dipendeva la sorte dell’Europa; per me era un così gran piacere sentire esprimere apertamente i sentimenti che avevo soffocato tanto a lungo nel mio cuore, che mi sembrava non ci fosse più nulla da temere, e che quelle verità diventassero onnipotenti una volta conosciute. Tuttavia le sconfitte si succedevano senza che il pubblico ne fosse informato. Un uomo di spirito disse che tutto era mistero a Pietroburgo, sebbene nulla fosse segreto; e infatti si finiva sempre per scoprire la verità, ma l’abitudine di tacere è tale fra i cortigiani russi che essi dissimulano alla vigilia ciò che deve essere conosciuto il giorno dopo, e involontariamente essi rivelano sempre ciò che sanno. Uno straniero mi disse che Smolensk era caduta71 e Mosca si trovava in gran pericolo. Fui presa dallo sconforto e credetti di veder ricominciare la deplorevole storia delle paci d’Austria e di Prussia, paci che avevano portato dalla conquista delle loro capitali. Era lo stesso tiro, giocato per la terza volta, ma poteva ancora riuscire. Non coglievo lo stato d’animo russo, perché l’apparente incostanza delle loro impressioni mi impediva di osservarlo. L’abbattimento aveva gelato ogni cuore, ma io ignoravo che, in quegli uomini dalle passioni veementi, quell’abbattimento precede un terribile risveglio. Anche tra la gente del popolo si nota una inconcepibile pigrizia fino al momento in cui la loro attività si rianima, allora essa non conosce alcun ostacolo, non teme alcun pericolo, e sembra trionfare sugli elementi come sugli uomini.

Sapevo che l’amministrazione interna, quella della guerra come quella della giustizia, cadevano spesso in mani molto venali e che, per le dilapidazioni che si permettevano gli impiegati subalterni, non si poteva avere alcuna idea esatta né del numero delle truppe, né delle misure adottate per approvvigionarle; poiché la menzogna e il furto sono inseparabili, e in un Paese da poco tempo civilizzato, la classe intermedia non ha né la semplicità dei contadini, né la grandezza dei bojari, e ancora nessuna opinione pubblica riesce a tenere a freno questo terzo ceto, la cui esistenza è così recente, che ha perso il candore della fede popolare senza avere appreso il senso dell’onore. Si vedevano pure sorgere sentimenti di invidia tra i capi dell’esercito: è nella natura di un governo dispotico far nascere, anche contro la sua volontà, la gelosia fra coloro che circondano la volontà di un solo uomo, il quale può cambiare totalmente la sorte di ogni individuo; il timore e la speranza hanno troppo margine per non agitare

71 La battaglia di Smolensk – cittadina di 12.600 abitanti che non aveva un particolare valore strategico, ma era rinforzata da torri e bastioni – ebbe luogo il 17 agosto 1812 e fu combattuta fra 180.000 francesi, guidati da Napoleone Bonaparte, e 130.000 russi, guidati dai generali Michael Barclay de Tolly, e Pëtr Bagration. (N.d.T.)

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continuamente questa gelosia, peraltro già molto eccitata da un altro motivo: l’odio verso gli stranieri. Il generale che comandava l’esercito russo, Barclay de Tolly, sebbene nato su territorio dell’impero, non era di pura razza slava72, e ciò era sufficiente perché egli non potesse condurre i Russi alla vittoria e, per di più, egli aveva volto le sue notevoli capacità verso i sistemi degli accampamenti, delle posizioni e delle manovre, mentre l’arte militare che conviene ai Russi è l’attacco: farli arretrare, anche se per un calcolo saggio e ben ponderato, significa raffreddare in loro quella impetuosità da cui traggono ogni forza.

Gli auspici della campagna erano dunque estremamente tristi e il silenzio che si manteneva al proposito era più spaventoso ancora. Gli Inglesi forniscono, nei loro bollettini pubblici, il conto esattissimo, uomo per uomo, di feriti, prigionieri e caduti in ogni azione: nobile candore di un governo che è sincero tanto verso la nazione quanto verso il proprio monarca, riconoscendo a entrambi lo stesso diritto di sapere in quale stato si trovi la cosa pubblica. Io passeggiavo con una profonda tristezza in quella bella città di Pietroburgo, che avrebbe potuto diventare preda del vincitore. Quando alla sera tornavo dalle isole e vedevo la guglia dorata della cittadella, che sembrava librarsi nell’aria come una lingua di fuoco, mentre la Neva rifletteva gli argini di marmo e i palazzi che la fiancheggiano, mi immaginavo tutte quelle meraviglie annientate dall’arroganza di un uomo che avrebbe detto, come Satana in cima alla montagna: «I regni della terra sono miei». Tutto ciò che c’era di bello e di buono a Pietroburgo mi sembrava prossimo alla distruzione e non passava giorno senza che tale pensiero doloroso mi perseguitasse.

Andai a visitare gli istituti per l’istruzione fondati dall’imperatrice e là, ancor più che fra i palazzi, si intensificò la mia ansia, perché bastava che il soffio della tirannia di Bonaparte si avvicinasse a istituzioni tendenti al miglioramento del genere umano per far in modo che la loro purezza ne fosse alterata. L’istituto di Santa Caterina si compone di due sezioni, ciascuna comprendente duecentocinquanta ragazze nobili o borghesi; esse vi sono educate sotto il controllo dell’imperatrice, con una cura superiore anche a quella che una famiglia ricca potrebbe dare ai propri figli. L’ordine e l’eleganza si notano fin nei minimi dettagli nell’istituto, e il più puro sentimento di religione e di morale presiede tutto ciò che le arti possono sviluppare.

Le donne russe hanno una così naturale grazia che, entrando nella sala, dove le giovani ci salutarono, non ne vidi una sola che non mettesse in quella riverenza tutta la gentilezza e la modestia che questa semplice azione può esprimere. Le giovani furono invitate a darci un saggio delle loro diverse capacità, e una di esse, che sapeva a memoria dei brani dei migliori scrittori francesi, mi recitò alcune tra le pagine più belle di mio padre, del

72 Il principe Michael Andreas Barclay de Tolly (1761-1818), feldmaresciallo russo e ministro della guerra dal 1810 al 1812, era nato in Livonia (attuale Lituania) da una famiglia di lingua tedesca ma di origini scozzesi. (N.d.T.)

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suo Cours de morale religieuse73: questo pensiero così delicato veniva forse dalla stessa imperatrice. Provai una vivissima emozione nel sentir pronunciare quelle parole che, da tanti anni, non avevano altro asilo che nel mio cuore. Al di fuori dell’impero di Bonaparte, in qualunque paese, i posteri cominciano a render giustizia a coloro che, pur nella tomba, sono stati oggetto delle calunnie imperiali. Le giovani dell’istituto di Santa Caterina, prima di mettersi a tavola, cantarono dei salmi in coro: quel gran numero di voci, così pure e così dolci, mi provocò una commozione mista ad amarezza. Che cosa avrebbe fatto la guerra di quegli istituti così pacifici? dove si sarebbero rifugiate quelle colombe di fronte alle armi del vincitore? Dopo il pasto, le giovani si radunarono in una superba sala, in cui ballarono assieme. La bellezza dei loro lineamenti non aveva nulla di eccezionale, ma la loro grazia era straordinaria: sono figlie dell’Oriente, con tutta il decoro che i costumi cristiani hanno introdotto fra le donne. Dapprima eseguirono una antica danza sull’aria Vive Henri IV, vive ce roi vaillant!74. Quanto lontana era l’epoca attuale dai tempi che quel motivo richiamava alla memoria! Due ragazzine di dieci anni, dal volto rotondo, terminarono il balletto con il passo russo: questa danza prende alcune volte il carattere voluttuoso dell’amore, ma, eseguita dai bambini, vi si mescolano l’innocenza dell’età e l’originalità nazionale. Non si può descrivere l’interesse che ispiravano quegli amabili talenti, coltivati dalla mano delicata e generosa di una donna e di una sovrana.

Un istituto per i sordomuti e un altro per i ciechi sono anch’essi sotto il controllo dell’imperatrice. L’imperatore, da parte sua, dedica molte cure alla scuola dei cadetti, diretta da un uomo di spirito superiore, il generale Klinger75. Tutti gli istituti sono realmente utili, ma si potrebbe rimproverare il troppo lusso. Occorrerebbe almeno che si potessero fondare in diverse parti dell’impero, non scuole così raffinate, ma alcuni istituti che dessero al popolo l’istruzione elementare. In Russia tutto comincia con il lusso e il tetto precede, per così dire, le fondamenta. Ci sono soltanto due grandi città in Russia, Pietroburgo e Mosca; le altre meritano appena di essere citate, ma, del resto, esse sono separate da distanze molto grandi, gli stessi castelli

73 Corso di morale religiosa, pubblicato da Jacques Necker nel 1800. (N.d.T.)74 “Viva Enrico IV, viva questo re valoroso!” Alla prima strofa – Vive Henri IV / Vive ce roi

vaillant! / Vive Henri IV / Vive ce roi vaillant! / Ce diable à quatre / A le triple talent / De boire de battre / Et d’être un vers galant. – composta da un anonimo, Charles Collé aggiunse altre tre strofe verso il 1770 per una sua commedia. La canzone così completata ebbe gran successo nel 1774 quando salì al trono Luigi XVI, perché si auspicava che somigliasse a re Enrico che aveva lasciato un ottimo ricordo nei Francesi. Con parole diverse, diventò l’inno dei monarchici durante la Restaurazione. (N.d.T.)

75 Il poeta drammatico e romanziere tedesco Friedrich Maximilian Klinger (1752-1831) compì gli studi in Germania e fu amico di Goethe. Nel 1780 si recò a San Pietroburgo, diventò ufficiale dell’esercito russo e sposò una figlia naturale di Caterina II. Nel 1785 fu nominato direttore della Scuola dei Cadetti e nel 1803 direttore dell’Università di Dorpat. Tra i suoi lavori teatrali, è celebre lo sfrenato e caotico Wirrwar (1776), soprannominato “Sturm und drang” (Tempesta e impeto) dando il nome a uno dei più importanti movimenti culturali tedeschi. (N.d.T.)

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degli aristocratici sono così distanti gli uni dagli altri che a malapena i proprietari possono comunicare tra loro. Insomma, gli abitanti sono talmente dispersi nell’impero, che le conoscenze degli uni non possono essere utili agli altri. I contadini sanno contare solamente con l’aiuto di una macchina calcolatrice e anche gli impiegati della posta seguono quel metodo. I pope greci hanno minore cultura dei preti cattolici e, soprattutto, dei ministri protestanti, di modo che il clero russo non è in grado di istruire il popolo, come in altri Paesi europei. Il legame che unisce la nazione proviene dalla religione e dal patriottismo, ma manca completamente un centro di cultura i cui riflessi possano spandersi in ogni parte dell’impero: le due capitali non possono ancora comunicare alle province quanto hanno raccolto nei campi della letteratura e delle belle arti. Se questo Paese avesse potuto godere la pace, avrebbe ottenuto molti miglioramenti sotto il benefico regno di Alessandro. Ma chi sa se le virtù sviluppate da una tale guerra non siano proprio quelle che devono rigenerare le nazioni?

Fino a oggi, i Russi hanno avuto uomini di genio soltanto in campo militare, in tutte le altre arti sono soltanto degli imitatori, ma va ricordato che la stampa è stata introdotta da loro solo centoventi anni fa. Gli altri popoli europei si sono civilizzati quasi simultaneamente e hanno potuto fondere il loro genio naturale con le conoscenze acquisite; nei Russi questa fusione non si è ancora operata. Come si vedono scorrere due fiumi, dopo la loro confluenza, nello stesso letto senza confondere le loro acque, allo stesso modo la natura e la civiltà sono unite in Russia senza identificarsi l’una con l’altra, e, secondo le circostanze, lo stesso uomo si presenta a volte come un europeo che non sembra esistere se non nelle forme sociali, a volte come uno slavo che ascolta soltanto le passioni più sfrenate. Il loro genio arriverà alle belle arti e, soprattutto, alla letteratura, quando avranno trovato il modo di far entrare la loro vera natura nel linguaggio, come la mostrano nelle azioni.

Vidi rappresentare una tragedia russa, il cui soggetto era la liberazione dei Moscoviti, quando essi respinsero i Tartari oltre Kazan’: il principe di Smolensk appariva nell’antico costume dei bojari e l’esercito tartaro si chiamava Orda d’oro. L’opera seguiva quasi interamente le regole dell’arte drammatica francese: il ritmo dei versi, la declamazione, il taglio delle scene, tutto era francese. Una sola situazione richiamava i costumi russi, cioè il terrore profondo suscitato in una giovane donna dal timore della maledizione di suo padre: l’autorità paterna è quasi più forte nel popolo russo che in Cina, ed è sempre nel popolo che occorre cercare la linfa del genio nazionale. La vita di società si somiglia dappertutto e nulla è meno adatto di quel mondo elegante a fornire soggetti per una tragedia. Fra tutti quelli offerti dalla storia russa, ce n’è uno che mi ha colpito in modo particolare: Ivan il Terribile, ormai già vecchio, assediava Novgorod. I bojari vedendolo debole, gli domandarono se non volesse cedere l’ordine dell’assalto a suo figlio. A questa proposta la sua collera fu così grande che nulla poté quietarlo: mentre suo figlio si prosternava ai suoi piedi, egli lo respinse con un colpo di tale violenza, che due giorni dopo l’infelice morì.

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Allora il padre, disperato, diventò indifferente alla guerra e al potere e sopravvisse solo pochi mesi a suo figlio76. La ribellione di un vecchio despota contro l’avanzare del tempo è qualcosa di grande e di solenne, e la commozione che succede alla collera, in quell’animo spietato, rivela l’uomo così come esce dalle mani della natura, a volte istigato dall’egoismo, a volte trattenuto dall’affetto.

Una legge russa infliggeva la stessa pena a chi storpiava il braccio di un uomo come a chi lo uccideva, perché l’uomo, in Russia, vale soprattutto per la sua forza militare, e tutti gli altri tipi di energia sono dovuti a costumi e a istituzioni che allo stato attuale in Russia non ha si sono sviluppati. A Pietroburgo, tuttavia, le donne sembravano comprese di quell’onore patriottico che è la forza morale di uno Stato. La principessa Dolgorukij, la baronessa Stroganov e molte altre della nobiltà sapevano già che una parte del loro patrimonio aveva molto sofferto nella devastazione della provincia di Smolensk, ma sembravano pensarvi soltanto per incoraggiare i loro simili a sacrificare tutto come loro. La principessa Dolgorukij mi raccontò che un vegliardo dalla lunga barba, diceva, piangendo su un’altura che domina Smolensk, a suo nipote che teneva sulle ginocchia: «Un tempo, bambino mio, i Russi andavano a riportare vittorie all’estremità dell’Europa, ora gli stranieri vengono ad attaccarli a casa loro». Questo dolore del vecchio non fu inutile, e noi vedremo presto come le sue lacrime siano state riscattate.

Partenza per la Svezia. Arrivo in Finlandia

L’imperatore lasciò Pietroburgo e si apprese che era andato ad Åbo per incontrare il generale Bernadotte, principe reale della Svezia77. Da quel momento non ci furono dubbi sul partito che il principe aveva deciso di prendere nella guerra attuale, e ciò era allora molto importante per la salvezza della Russia e, di conseguenza, per quella dell’Europa: se ne vedrà l’influenza e lo sviluppo nel seguito di questo scritto. Le notizie dell’entrata

76 L’episodio narrato non è storicamente esatto. L’assedio a Novgorod fu nel 1570 (quando lo zar aveva quarant’anni), mentre la morte del figlio di Ivan IV avvenne nel novembre 1581. Poiché lo zar aveva picchiato violentemente la nuora incinta causandole un aborto, suo figlio, anch’egli chiamato Ivan, litigò col padre che lo colpì alla testa con la punta di ferro del proprio bastone, procurandogli la morte. Disperato, Ivan IV riunì i bojari, annunciando che voleva abdicare, perché non era degno di essere lo zar di tutte le Russie, e chiedendo loro di scegliere l’erede al trono (l’altro figlio di Ivan, Fëdor, era mentalmente disabile). I bojari, temendo di essere accusati di complotto, rifiutarono di adempiere alla richiesta e Ivan IV continuò a regnare fino alla morte, nel 1584. (N.d.T.)

77 Cfr. nota 8. Jean Baptiste Jules Bernadotte (1763-1844), già generale francese e imparentato con Napoleone, diventò principe ereditario di Svezia con il nome di Carlo XIV Giovanni il 21 agosto 1810. La dichiarazione di guerra di Napoleone alla Russia rese Bernadotte, per un certo periodo, l’arbitro dei destini dell’Europa. Napoleone gli offrì molti territori in cambio di un attacco alla Russia, ma Bernadotte preferì allearsi con Inghilterra e Russia. I colloqui di Åbo (odierna Turku, in Finlandia) tra Alessandro I e Bernadotte ebbero luogo dal 27 al 30 agosto 1812. (N.d.T.)

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dei Francesi a Smolensk giunse durante i colloqui del principe di Svezia con l’imperatore di Russia, e fu là che Alessandro prese con se stesso e con il principe reale, suo alleato, l’impegno di non firmare mai la pace. «Se Pietroburgo sarà presa, – disse, – mi ritirerò in Siberia. Riprenderò le nostre antiche abitudini e, come i nostri antenati dalla lunga barba, ritorneremo nuovamente a conquistare l’impero». «Questa risoluzione libererà l’Europa» esclamò il principe della Svezia, e la sua previsione inizia ad avverarsi.

Rividi una seconda volta l’imperatore Alessandro al suo ritorno da Åbo, e il colloquio che ebbi l’onore di avere con lui mi convinse così tanto della fermezza della sua volontà, che, malgrado la caduta di Mosca e tutte le voci che si susseguivano, non credetti mai che egli avrebbe ceduto. Mi raccontò che, dopo la presa di Smolensk, il maresciallo Berthier78 aveva scritto al generale in capo dell’esercito russo su alcuni affari militari e che aveva finito la lettera dicendo che l’imperatore Napoleone conservava sempre l’amicizia più affettuosa verso l’imperatore Alessandro: sciocco dileggio che l’imperatore di Russia accolse come si doveva. Napoleone gli aveva dato lezioni di politica e lezioni di guerra, abbandonandosi, nelle prime, alla ciarlataneria del vizio e, nelle seconde, al piacere di mostrare uno sdegnoso cinismo. Si era sbagliato sull’imperatore Alessandro, perché aveva preso la nobiltà del carattere per inganno e non aveva capito che, se l’imperatore di Russia si era lasciato trasportare troppo lontano dall’entusiasmo per lui, era perché lo credeva sostenitore dei primi principi della rivoluzione francese, che si accordano con le sue opinioni; ma mai Alessandro ha avuto l’intenzione di associarsi a Napoleone per sottomettere l’Europa. Napoleone credette, in quella circostanza come in tutte le altre, di riuscire ad accecare un uomo con un suo preteso interesse, ma incontrò una coscienza, e i suoi calcoli furono tutti sventati, perché la coscienza è un elemento di cui egli ignora la forza e perciò non la fa mai entrare nelle sue manovre.

Sebbene Barclay de Tolly fosse un militare molto stimato, l’opinione pubblica, appena egli subì delle sconfitte all’inizio della campagna, designò a sostituirlo un generale famosissimo, il principe Kutuzov: egli prese il comando quindici giorni prima dell’entrata dei Francesi a Mosca, e non poté arrivare all’esercito che sei giorni prima della grande battaglia che ci fu quasi alle porte della città, a Borodino79. Andai a fargli visita la vigilia della sua partenza: era un anziano pieno di garbo nei modi e di vivacità nell’aspetto, sebbene avesse perduto un occhio in seguito a una delle numerose ferite riportate nei suoi cinquant’anni di carriera militare.

78 Louis Alexandre Berthier principe di Neuchâtel (1753-1815) era maresciallo dell’Impero e capo di Stato Maggiore sotto Napoleone Bonaparte. (N.d.T.)

79 Il generale russo Michail Goleniščev-Kutuzov, principe di Smolensk (1745-1813) era stato sconfitto da Napoleone ad Austerlitz (1805), ma la vittoria conseguita contro i Turchi nel 1809-11 gli avevano dato grande popolarità. Nel 1812, dopo lo scontro a Borodino che non fermò l’esercito francese, adottò la tattica, già utilizzata da Barclay, della terra bruciata in caso di supremazia dell’esercito nemico, allora considerato invincibile, in modo da salvare popolazione e armata. Durante la fuga dei Francesi, Kutuzov vinse molte battaglie, tra cui quella decisiva sul fiume Beresina. Poco dopo si ammalò e morì. (N.d.T.)

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Osservandolo, temevo che non avesse la forza per lottare contro gli uomini feroci e giovani che piombavano sulla Russia da ogni angolo d’Europa, ma i Russi, cortigiani a Pietroburgo, ridiventano Tartari in guerra, e si è visto, con Suvorov, che né l’età né gli onori possono affievolire la loro energia fisica e morale80. Ero commossa quando lasciai l’illustre maresciallo Kutuzov: non sapevo se abbracciavo un vincitore o un martire, ma vidi che comprendeva la grandezza della causa di cui si era caricato. Si trattava di difendere, o piuttosto di ristabilire tutte le virtù morali che l’uomo deve al cristianesimo, tutta la dignità che ha avuto da Dio, tutta l’indipendenza che gli concede la natura; si trattava di riprendere tutti questi beni dagli artigli di un unico uomo, poiché non bisogna accusare i francesi più che i tedeschi e gli italiani che lo seguivano, dei delitti dei suoi eserciti. Prima di partire, il generale Kutuzov andò a pregare nella chiesa di Nostra Signora di Kazan’ e tutto il popolo, che seguiva i suoi passi, gli gridò di salvare la Russia. Quale momento per un essere mortale! La sua età non gli permetteva di sperare di sopravvivere alle fatiche della campagna, ma ci sono momenti in cui l’uomo ha bisogno di morire per soddisfare il proprio spirito.

Sicura delle generose idee e della nobile condotta del principe di Svezia, confermai del tutto la decisione che avevo preso di andare a Stoccolma prima di imbarcarmi per l’Inghilterra e, verso la fine di settembre, lasciai Pietroburgo per recarmi in Svezia passando dalla Finlandia. I miei nuovi amici, coloro che la conformità dei sentimenti mi aveva avvicinati, vennero a dirmi addio: sir Robert Wilson, che cercherà ovunque un’occasione per battersi e per infiammare gli amici col suo entusiasmo81; Stein, uomo di carattere antico, che vive soltanto nella speranza di vedere la propria patria liberata82; l’inviato di Spagna; il ministro d’Inghilterra83; Lord Tyrconnel84; il colto ammiraglio Bentinck85; Alexis de Noailles, il solo emigrato francese dalla tirannia imperiale, il solo che fosse là, come me, a testimoniare per la Francia86; il colonnello Dörnberg, l’intrepido tedesco d’Assia che mai ha

80 A settant’anni il generale Suvorov aveva vinto alcune battaglie contro i Francesi nella guerra in Italia del 1799. (N.d.T.)

81 Il generale Sir Robert Thomas Wilson (1777-1849) era stato inviato nel 1812 al quartiere generale dell’esercito russo come rappresentante militare della Gran Bretagna. (N.d.T.)

82 Lo statista prussiano Heinrich Friedrich Karl von Stein (1757-1831) ebbe molte cariche amministrative fino al 1807 quando ebbe contrasti con il re Federico Guglielmo III. Dopo la pace di Tilsitt, fu posto a capo dell’amministrazione civile con amplissimi poteri e procedette alla ricostruzione dello Stato prussiano con energiche riforme, e progettò un’alleanza con Gran Bretagna e Austria. Napoleone, venuto a conoscenza del piano, dichiarò con decreto che Stein era un nemico della Francia, obbligandolo a lasciare Berlino. Rifugiatosi dapprima in Austria (1808), poi in Russia (1812) diventò consigliere di Alessandro I fino alla disfatta di Napoleone, quindi si ritirò nelle sue proprietà in Vestfalia e promosse gli studi sull’antica storia tedesca. (N.d.T.)

83 Nel 1812 l’ambasciatore d’Inghilterra a Pietroburgo era il generale Sir William Schaw barone di Cathcart (1755-1843). (N.d.T.)

84 Cfr. nota 55.85 Cfr. nota 56.86 Nel 1809, il conte Louis Joseph Alexis di Noailles (1783-1835) aveva manifestato

opposizione al governo imperiale, diffondendo la bolla di scomunica che il papa aveva

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deviato dal proprio scopo87, e molti russi i cui nomi sono diventati poi famosi per le loro imprese. Mai il destino del mondo avrebbe corso più gravi pericoli, nessuno osava confessarselo ma ognuno lo sapeva; io sola, come donna, non ero in pericolo, ma potevo considerare ciò che avevo già sofferto. Non sapevo, dicendo addio a quei degni cavalieri del genere umano, chi di loro avrei rivisto, e già due non esistono più. Quando le passioni degli uomini si sollevano le une contro le altre, quando le nazioni si attaccano furiosamente, si riconosce con dolore il destino umano nelle sventure dell’umanità; ma quando un solo essere, simile a quegli idoli dei Lapponi incensati dalla paura, spande sulla terra fiumi di sventura, si prova un certo terrore superstizioso che porta a considerare tutta la gente onesta come vittime.

Quando si entra in Finlandia, tutto rivela che si è arrivati in un altro Paese e che si ha a che fare con un’altra razza e non con la razza slava. Si dice che i Finnici provengano direttamente dal nord dell’Asia e che la loro lingua non ha alcun rapporto con quella svedese, che è una cosa di mezzo tra l’inglese ed il tedesco. La fisionomia dei Finnici è tuttavia, per la maggior parte, completamente germanica: i capelli biondi e la carnagione bianca non somigliano affatto alla vivacità delle fisionomie russe; anche i loro costumi sono più delicati. La popolazione ha una profonda integrità che si deve all’educazione del protestantesimo e alla purezza dei costumi. Alla domenica, si vedono le ragazze tornare dal sermone, a cavallo, e i giovani che le seguono. Si trova spesso ospitalità presso i pastori della Finlandia, i quali considerano loro dovere alloggiare i viaggiatori, e nulla è più puro e più dolce dell’accoglienza che si riceve in quelle famiglie; mancano quasi del tutto castelli e aristocratici in Finlandia, cosicché i pastori sono, di solito, i primi fra gli abitanti del paese. In alcune canzoni finniche, le ragazze offrono ai propri innamorati di sacrificare per loro la dimora del pastore, anche se questa costituisce la loro dote. Ciò ricorda quella frase di un giovane pastore che diceva: «Se fossi re, sorveglierei le mie pecore a cavallo». Anche la stessa immaginazione non va oltre ciò che si conosce.

L’aspetto della natura è molto differente, in Finlandia, da quello della Russia: al posto delle paludi e delle pianure che circondano Pietroburgo, qui si trovano delle rocce, alte quasi come montagne, e delle foreste, ma, alla lunga, ci si accorge che le montagne sono monotone e le foreste sono formate dagli stessi alberi, l’abete e la betulla. Gli enormi blocchi di granito che si vedono sparsi per la campagna e sui margini delle strade, danno al paese un aspetto di vigore; ma c’è poca vita attorno a queste grandi ossa della terra, e la vegetazione incomincia a diminuire, dalla latitudine della

lanciato contro Napoleone. Arrestato, riuscì a fuggire in Svezia e, dopo la caduta di Napoleone e la restaurazione della monarchia, si mise agli ordini di Luigi XVIII. (N.d.T.)

87 Il colonnello assiano Wilhelm Kaspar Ferdinand Dörnberg (1768-1850) prestò servizio in Prussia (1796), poi fu colonnello dei Cacciatori della Guardia di Gerolamo, re di Vestfalia, e si mise a capo (1809) di un movimento insurrezionale contro il sovrano, che fallì. Condannato a morte, si rifugiò in Boemia, nel 1812 entrò nell’esercito russo e, dopo la caduta di Napoleone, in quello hannoveriano, dove diventò maggiore generale. (N.d.T.)

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Finlandia fino all’ultimo lembo di terra animata. Attraversammo una foresta mezzo consumata dal fuoco: i venti del nord che aumentano l’azione delle fiamme rendono gli incendi molto frequenti, sia nelle città che nelle campagne. L’uomo soffre sempre nel lottare contro la natura in questi gelidi climi. Si incontrano poche città in Finlandia e quelle che esistono sono poco popolate. Non c’è un centro, non c’è spirito di emulazione, non c’è nulla da dire e ben poco da fare in una provincia del Nord svedese o russo: per otto mesi all’anno, tutta la natura vivente si addormenta.

L’imperatore Alessandro si impossessò della Finlandia in seguito al trattato di Tilsitt88, e in un momento in cui le turbate facoltà del re che regnava allora in Svezia, Gustavo IV, mettevano quest’ultimo impossibilitato a difendere il proprio Paese89. Il carattere morale di questo principe era assai degno di stima, ma, fin dalla sua infanzia, aveva riconosciuto egli stesso di non poter tenere le redini del governo. Gli Svedesi si batterono, in Finlandia, col massimo coraggio, ma, senza un capo guerriero sul trono, una nazione poco numerosa non può trionfare su un nemico potente. L’imperatore Alessandro diventò padrone della Finlandia per mezzo della conquista e di trattati fondati sulla forza, ma bisogna rendergli giustizia e dire che egli seppe amministrare la nuova provincia e rispettare la libertà di cui essa godeva. Lasciò ai Finnici tutti i loro privilegi circa il prelievo delle imposte e la leva degli uomini, andò generosamente in soccorso delle città incendiate e i suoi favori compensarono, fino a un certo punto, ciò che i Finnici possedevano come diritto, concesso tuttavia che uomini liberi possano acconsentire volontariamente a un tale scambio. D’altronde, una delle idee dominanti del secolo XIX, i confini naturali, rendeva la Finlandia più necessaria alla Russia della Norvegia alla Svezia, e si può veramente dire che, ovunque, dove non esistevano confini naturali, essi sono stati oggetto di guerre perpetue.

Mi imbarcai ad Åbo, capitale della Finlandia. In questa città c’è un’università e si fa un po’ di vita culturale e spirituale; ma gli orsi e i lupi sono così vicini durante l’inverno che ogni pensiero è assorbito dalla necessità di garantirsi una vita fisica tollerabile, e la fatica che occorre allo scopo nei paesi del Nord, porta via gran parte del tempo che si dedica altrove ai piaceri dell’arte e dello spirito. Si può dire, in compenso, che le stesse difficoltà di cui la natura circonda gli uomini danno maggior fermezza al loro carattere e non permettono che nel loro spirito entrino i disordini causati dall’ozio. Tuttavia, sempre rimpiangevo quei raggi del mezzogiorno, che erano penetrati fin nel mio cuore.

Le idee mitologiche degli abitanti del Nord creano in loro,

88 Cfr. nota 16. A Tilsitt, Napoleone aveva incoraggiato l’imperatore Alessandro alla conquista della Finlandia per assicurarsi il suo appoggio in Occidente. (N.d.T.)

89 Gustavo IV Adolfo di Svezia (1778-1837) fu re di Svezia dal 1792 al 1809. Nemico della Francia, dopo la pace di Tilsitt rimase alleato dell’Inghilterra e subì la sconfitta contro la Russia nel 1808-1809. Deposto e arrestato, scelse di abdicare volontariamente per preservare la corona per il figlio, ma inutilmente, poiché gli Stati Generali proclamarono re il Duca Reggente (zio di Gustavo) con il nome di Carlo XIII. (N.d.T.)

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incessantemente, spettri e fantasmi, là il giorno è altrettanto favorevole della notte alle apparizioni; qualcosa di pallido e di nuvoloso sembra chiamare i morti a tornare sulla terra, a respirare l’aria, fredda come la tomba, in cui i vivi sono immersi. In queste regioni, si manifestano, di solito, i due estremi piuttosto che i gradi intermedi: o si è unicamente occupati a conquistare la propria vita contro la natura, o la vita dello spirito diventa molto facilmente misticismo, perché l’uomo ricava tutto da se stesso e non è fuorviato da cose esteriori.

Da quando sono stata perseguitata così crudelmente dall’imperatore, ho perduto ogni genere di fiducia nel destino; credo di più alla protezione della Provvidenza, ma non sotto forma di felicità su questa terra. Ne consegue che qualunque decisione mi spaventa e tuttavia l’esilio mi obbliga spesso a decidere. Temevo il mare e tanti mi dicevano: tanta gente fa questo viaggio e non succede mai nulla a nessuno! Questi sono i discorsi che rassicurano quasi tutti i viaggiatori, ma l’immaginazione non si lascia calmare da questo genere di consolazioni, e l'abisso, da cui si è separati da un così debole ostacolo, tormenta sempre la mente. Schlegel90 si accorse della paura che provavo sulla fragile imbarcazione che doveva portarci a Stoccolma: egli mi mostrò, vicino ad Åbo, la prigione in cui uno dei re più infelici della Svezia, Erik XIV, era stato rinchiuso per qualche tempo prima di morire in un’altra prigione vicino a Gripsholm91: «Se foste là, – mi disse, – quanto invidiereste la traversata di questo mare che ora vi spaventa!». Questa giusta riflessione diede presto un altro corso alle mie idee e i primi giorni della nostra navigazione furono abbastanza piacevoli. Passammo fra diverse isole e, sebbene ci sia più pericolo vicino alla costa che in mare aperto, non si prova mai quel terrore che prende alla vista delle onde che sembrano toccare il cielo. Mi facevo indicare la terra all’orizzonte, fin quando potevo scorgerla: l’infinito fa tanto paura alla vista quanto piacere all’anima. Passammo dinanzi all’isola di Åland, dove i plenipotenziari di Pietro I e di Carlo XII trattarono la pace e tentarono di fissare dei limiti alla loro ambizione su quella terra ghiacciata, che soltanto il sangue dei loro sudditi aveva potuto riscaldare un momento. Speravamo di arrivare l’indomani a Stoccolma, ma un vento decisamente contrario ci obbligò a gettare l’ancora sulla costa di un’isola tutta coperta di rocce inframmezzate da pochi alberi che non si levavano più alti delle pietre dalle quali spuntavano. Tuttavia, ci affrettammo a camminare su quest’isola per sentirci la terra sotto i piedi.

Sono sempre stata molto facile alla noia e, lontano dal sapermi occupare in quei momenti completamente vuoti che sembrano destinati allo studio............

90 Cfr. nota 2.91 Erik XIV Vasa (1533-1577) fu re di Svezia dal 1560 al 1568 e, durante questo periodo,

condusse personalmente molte guerre contro la Danimarca, la Polonia e la Lega Anseatica alleate assieme e, in politica interna, fu spesso contro lo strapotere della nobiltà. Poi cominciò a dare segni di squilibrio mentale e il fratello Giovanni lo detronizzò dopo una guerra civile durata sette anni. Morì pazzo in carcere. (N.d.T.)

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Qui il manoscritto si interrompe. Dopo una traversata che non fu senza pericolo, mia madre sbarcò a Stoccolma. Accolta in Svezia con molta cordialità, vi trascorse otto mesi e là scrisse questo diario. Poco tempo dopo, ella partì per Londra e vi pubblicò la sua opera Allemagne, che la polizia imperiale aveva confiscato. Ma la sua salute, già fortemente alterata dalle persecuzioni di Bonaparte, aveva sofferto per le fatiche del lungo viaggio e mia madre si sentì costretta a cominciare senza indugio la storia della vita politica di Necker e a rimandare qualunque altro lavoro fino a che avesse concluso quello che il suo amore filiale le faceva considerare un dovere. Elaborò quindi il piano delle Considérations sur la révolution française, ma anche questo lavoro non l’ha potuto terminare, e il manoscritto dei suoi Dix années d’exil è rimasto nella sua cartella così come lo pubblico oggi. (Nota di de Staël figlio)

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