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— 1 — Augusta 2017 Sommario UGO BUSSO Vöfzg joar z’bsinne - 50 ANNI da celebrare 2 CLUADINE REMACLE Les fourneaux en pierre douce de la haute Vallée du Lys 3 PAOLO CASTELLO La pierre ollaire de la Vallée d’Aoste 15 DONATELLA MARTINET Vivere in montagna: strategie socio-economiche 22 ROBERTO BERTOLIN Peste, alamanni e rascard nella signoria di Arnad: un collegamento possibile? 35 LUIGI BUSSO SCHÜTZERSCH-DSCHOANTSCH Fora iusticia! 39 MARIAGIOVANNA CASAGRANDE e NICOLA DE LA PIERRE Gressoney: Sent-Josephsch Tschappelò - la cappella di Wald dessous 42 LORENZO PRAMOTTON e FABRIZIA SQUINOBAL Dalle miniere alla birra: versatilità di un imprenditore gressonaro 49 PIERMAURO REBOULAZ Località Balmetò: come rivive uno stadel 53 VITTORIA BUSSO LIXANDRISCH Rollanhsch Téini – Christine-Marie Rolland 60 IMELDA RONCO HANTSCH Dan beerg – il mayen 62 IN MEMORIAM Laura Busso 64 COMITATO DI REDAZIONE Direttore responsabile Domenico Albiero Coordinatore di redazione Michele Musso Membri Michele Musso Barbara Ronco Luigi Busso Foto di copertina Gressoney-Saint-Jean, 9 maggio 2017 alpeggio di Tschalvrinò (Foto Roberto Cilenti) Foto della quarta di copertina Flavio Consol di César, l’ultimo dei Consol nel Vallone di Tourrison. Issime, alpeggio di Lejet (1943 m. s.l.m.), settembre 2014 (Foto Michele Musso) Altre foto: Claudine Remacle, Paolo Castello, Michele Musso, Mariagiovanna Casagrande, Lino Guindani, Davide De Paoli, Piermauro Reboulaz, Roberto Cilenti, Beppe Busso Tutti i diritti sono riservati per ciò che concerne gli articoli e le foto. Rivista disponibile online: www.augustaissime.it ISSN 1120-1320 Autorizzazione Tribunale di Aosta n° 18 del 22-05-2007 AUGUSTA: Rivista annuale di storia, lingua e cultura alpina Proprietario ed editore: Associazione Augusta Amministrazione e Redazione: loc. Capoluogo, 2 - 11020 - Issime (Ao) Stampa: Tipografia Valdostana, C.so P. Lorenzo, 5 - 11100 Aosta N. 49

N. 49 Augusta Sommario 2017.pdf · 2018. 2. 6. · testimonia il grande elenco del nostro santuario della Grotta. In quegli anni il paese ha pure sofferto tragiche calamità come

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    Augusta 2017 Sommario

    UGO BUSSOVöfzg joar z’bsinne - 50 ANNI da celebrare 2

    CLUADINE REMACLELes fourneaux en pierre douce de la haute Vallée du Lys 3

    PAOLO CASTELLOLa pierre ollaire de la Vallée d’Aoste 15

    DONATELLA MARTINETVivere in montagna: strategie socio-economiche 22

    ROBERTO BERTOLINPeste, alamanni e rascard nella signoria di Arnad: un collegamento possibile? 35

    LUIGI BUSSO SCHÜTZERSCH-DSCHOANTSCHFora iusticia! 39

    MARIAGIOVANNA CASAGRANDE e NICOLA DE LA PIERREGressoney: Sent-Josephsch Tschappelò - la cappella di Wald dessous 42

    LORENZO PRAMOTTON e FABRIZIA SQUINOBALDalle miniere alla birra: versatilità di un imprenditore gressonaro 49

    PIERMAURO REBOULAZLocalità Balmetò: come rivive uno stadel 53

    VITTORIA BUSSO LIXANDRISCHRollanhsch Téini – Christine-Marie Rolland 60

    IMELDA RONCO HANTSCHDan beerg – il mayen 62

    IN MEMORIAMLaura Busso 64

    COMITATO DI REDAZIONE

    Direttore responsabileDomenico Albiero

    Coordinatore di redazioneMichele Musso

    MembriMichele MussoBarbara RoncoLuigi Busso

    Foto di copertinaGressoney-Saint-Jean, 9 maggio 2017 alpeggio di Tschalvrinò(Foto Roberto Cilenti)

    Foto della quarta di copertinaFlavio Consol di César, l’ultimo dei Consol nel Vallone di Tourrison. Issime, alpeggio di Lejet (1943 m. s.l.m.), settembre 2014(Foto Michele Musso)

    Altre foto: Claudine Remacle, Paolo Castello, Michele Musso, Mariagiovanna Casagrande, Lino Guindani, Davide De Paoli, Piermauro Reboulaz, Roberto Cilenti, Beppe Busso

    Tutti i diritti sono riservati per ciò che concerne gli articoli e le foto.

    Rivista disponibile online: www.augustaissime.it

    ISSN 1120-1320

    Autorizzazione Tribunale di Aosta n° 18 del 22-05-2007

    AUGUSTA: Rivista annuale di storia, lingua e cultura alpina

    Proprietario ed editore: Associazione Augusta

    Amministrazione e Redazione: loc. Capoluogo, 2 - 11020 - Issime (Ao)

    Stampa: Tipografia Valdostana, C.so P. Lorenzo, 5 - 11100 Aosta

    N. 49

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    tremare il paese smuovendo tutte le pietraie e ogni casa, ab-battendo i comignoli; casa nostra è rimasta gravemente lesa e inabitabile.Purtroppo anche di peggio sta avvenendo in questi tempi da ogni parte e la televisione non ci risparmia, ogni giorno, tra-giche immagini.Non è dunque fuori posto che, nelle nostra chiesa si custodi-scano, in un prezioso museo tante immagini sacre. Tanto si è fatto per il ritrovamento di una storica e preziosa statua del-la Madonna, rubata anni or sono da una nostra cappella. Con pubblica celebrazione è stata restituita alla comunità.Vorrei dunque concludere con un versetto biblico che possia-mo pregare anche in töitschu.Quindi diciamo o cantiamo, anche oggi il salmo biblico:

    COME UN PASTORECome un pastore, giorno e notte ci pascoliNulla ci manca di ciò che aspettiamoAcque buone ci dissetanoE belle erbe si possono mangiare dove pascoli Tu.

    WI A HIRTWi a hirt tagsch un nachtsch, tuscht n’ündsch hütenKhés dinh wénkht n’ündsch van alz was war beitunGuti wasseri tun n’ündsch z’andüstenUn schien weidi séin z’essen woa d’poaschtischt Dou.

    Siamo qui oggi, non ancora per programmare un nuovo cammino che non vogliamo inter-rotto, ma per ricordare e celebrare 50 Anni di attività, di pubblicazioni e di ricorrenze, che saranno ricordate non per vantarci, ma per esprimere festosa e doverosa soddisfazione per ciò che è stato fatto dalle tante persone che non ci sono più e dalle tante an-cora impegnate gratuitamente e lodevolmente, in una attività culturale che onora il paese che amiamo e che è apprezzato anche per altre attività culturali molto importanti e impegnati-ve, ricordo, per tutte, la nostra efficiente e ormai storica Banda Musicale.La storia dell’Augusta è iniziata con l’impegno e l’entusiasmo del sindaco di allora Edmond Trenta, di Gustavo Buratti di Biella e tante altre personalità del mondo della cultura a livel-lo internazionale, ed è proseguita con Mario Goyet, la signora Landi e con i primi lavori di Albert Linty z’Nottrisch che mi ha fatto lavorare tante sere fino a tardi, ad Aosta e ad Issime.Da allora, fino a questo traguardo d’oro, non posso non ricor-dare altre preziose risorse letterarie che figurano sulla pub-blicazione Orizzonti di Poesia come quelle di Irene Alby, di Issime, qualche cosa del sottoscritto, di Alys Barell, Bru-no Favre, Ervin Monterin e l’amico fedelissimo professor Clément Alliod, tutti amici e collaboratori dei due Gressoney.Ad Issime invece compongono il quadro organizzativo altri col-laboratori del paese che chiamerei operativi ancora sempre e che provvedono alle consulenze spicciole di informazioni per l’uso, all’occorrenza, del testo dell’ Eischemtöitschu del 1988, dall’italiano al töitschu e di quello, dieci anni dopo, del 1998, dal töitschu all’italiano.Tra questi dobbiamo soprattutto riconoscenza alla signora Imelda Ronco e al compianto Edmondo Ronco, all’amico e collaboratore Michele Musso, e tanti altri del paese, parte-cipanti ad incontri serali, per alcuni anni, con le preziose ed autorevoli consulenze dello svizzero professor Peter Zürrer e della professoressa Anna Giacalone Ramat.Per non dimenticare i tanti autori e collaboratori della rivista AUGUSTA edita dal 1969, a cui va il nostro grazie più sin-cero.Ma se festeggiamo questi ultimi 50 anni non possiamo non ricordare, con solidale memoria, i 50 anni precedenti la na-scita e la storia di questa nostra Associazione, dal 1917 al 1967, ancora in tempi di guerra con tante famiglie con qual-che giovane deceduto e altri emigrati o senza sostegno, come testimonia il grande elenco del nostro santuario della Grotta.In quegli anni il paese ha pure sofferto tragiche calamità come la tremenda alluvione del 4 settembre 1948 che ha spogliato la parte migliore del paese trascinando una madre di famiglia in fondo alla valle fino al piano della Dora.Qualche anno dopo, un spaventoso terremoto (1968) ha fatto

    50 anni da celebrareUgo BUsso

    Issime, 30 luglio 1967. Il sindaco Edmond Trenta e alcuni dei fondatori dell’Associazione Augusta

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    Les fourneaux en pierre douce de la haute Vallée du Lys1

    ClaUdine RemaCle

    À Gressoney dans le wonstòbò ou l’heiss-stòbò et à Gaby au pilliou2 ou même dans les chambres à coucher, les schloafstòbò, on est encore au-jourd’hui frappé par la présence de ces poêles ronds en pierre aux dimensions imposantes, de plus d’un mètre de hauteur sur un diamètre oscillant entre 60 et 70 cm et dont la couleur va du gris-vert au vert foncé.Les espaces de vie communs, très propres, où l’on séjournait en famille bien au chaud, étaient le centre de la demeure fami-

    1 Cet article est partiellement extrait d’un texte qui paraîtra en italien dans les actes du colloque « La pietra ollare e le pietre verdi nelle Alpi - Coltivazione e utilizzo nelle zone di provenienze », qui s’est déroulé à Varallo, le 8 octobre 2016 : Le stufe in pietra di “lavet” della Valle d’Aosta.

    2 Le mot « pilliou » est la forme patoise de Gaby du mot français « poêle » ou « stufa » en italien. Le fourneau a donc donné le nom à la pièce qu’il chauffait par glissement sémantique. Dans cet article, on l’utilisera surtout pour indiquer le fourneau.

    Archives privées, ayant appartenu à Louis De La Pierre, déposées au Walserkulturzentrum. Exemple d’un plan d’une maison à Gressoney-Saint-Jean, en 1819, dessiné par le géomètre Joseph Beck au Moulin de Clapei. Les inscriptions sont en allemand et sont donc traduites : kellerlein (petite cave) ; koche (cuisine avec son évier triangulaire placé sous une fenêtre) ; feir trehen (âtre) ; blätlin (chaudane/contrecoeur) ; ofen (poêle) ; port (entrée) ; kühbette (couche des vaches) ; groabe (canal d’écoulement du lisier) ; der gang (le passage) ; gaden (étable) ; forbang (banc devant les lits) ; bette (lit).1. Rez-de-terre. À Gressoney, où l’on vivait en hiver à l’étable ou dans une pièce accolée à celle-ci, donc proche des vaches, on trouve un fourneau wongade. (Arch. Zumstein-Dessin-Beck 1814)2. Étage. Les fonctions n’ont pas été indiquées dans le plan par le géomètre, cependant, on sait qu’il s’agit du logis proprement dit, avec rampe d’escalier d’accès, couloir, cuisine avec son évier triangulaire, son âtre qui alimente aussi deux poêles, l’un dans la chambre de vie, la wonstòbò, et l’autre dans une petite chambre ; à l’extérieur, un cabinet d’aisance à deux trous, l’un pour les adultes, l’autre pour les enfants. Noter l’importance de la position centrale de la cheminée, mise à profit pour cuisiner et chauffer les deux niveaux, le rez et l’étage. (Arch. Zumstein-Dessin-Beck 1814)

    1.

    2.

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    propre, car on charge le fourneau par la pièce contiguë à la chambre de séjour, en général par une petite bouche carrée se trouvant dans l’âtre de la cuisine, mais aussi par un placard se trouvant dans le couloir d’entrée de la maison. La fumée s’échappe par la bouche de chargement dans le cas des four-neaux à un seul corps. Pour ceux qui ont plusieurs étages, plusieurs corps superpo-sés, à partir du XIXe siècle, un tuyau part du second corps et est branché sur un conduit construit à l’intérieur du mur. Cer-tains possèdent même en haut un four accessible latéralement. Les fourneaux ronds les plus anciens n’ont ni tuyau, ni four pour cuisiner4.

    liale dans la Vallée du Lys. Les finitions de confort y étaient particulièrement soignées : lambris sur les murs, plafond en bois, parfois décoré de marqueterie, et surtout fourneau en pierre douce (steinofen), le cœur du cœur de la maison !

    FONCTIONNEMENT ET FORMELes fourneaux en pierre douce produisent essentiellement de la chaleur. En principe, ils ne sont pas utilisés pour la cuisine. Grâce à l’inertie thermique de la pierre, ils emmagasinent la chaleur du feu fait à l’intérieur, puis ils la restituent pendant de longues heures, en douceur3. C’est un moyen de chauffage

    3 L’inertie thermique de la pierre ollaire (chloritoschiste) est très forte, à tel point qu’elle est aussi utilisée comme « piastra » pour cuire des viandes.

    4 Jolanda Stévenin, Les fourneaux en pierre ollaire de Gaby et Gressoney, in « Le Messager Valdôtain. Almanach illustré 2003 », Imprimerie valdôtaine 2002, pp. 61- 64. Nous l’avons également constaté chez les Ferrari à Pont-Saint-Martin et sur les structures conservées à Gressoney.

    3. Poêle en pierre en forme de tour dans le wongade de la maison Lateltin, de 1870 env., à Mettien. La maison a été vendue et complètement transformée. (Remacle, Gressoney-Saint-Jean, 2006)

    3.

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    mais aussi en Savoie, on a fabriqué des fourneaux tout à fait semblables par la forme et le fonctionnement, mais en pierre : avec chargement par devant, toujours une canne d’évacuation des fumées et même un trou qui donnait la possibilité de cui-siner directement sur le feu. Ces fourneaux plus récents ont des formes variées : ronds, carrés, ovales et toujours un tuyau rejoignant le conduit de fumée dans le mur.

    La forme de « tour » des fourneaux en pierre douce à plu-sieurs étages n’est pas généralisée. Il en existe certains qui ne comportent qu’un seul corps, composé de six dalles de pierre ollaire très épaisses, comme on en voit aussi à Alagna, à Ma-cugnaga5, mais aussi à Bagnes6. Eux aussi sont chargés à partir de l’âtre de la cuisine. Lorsque les petits poêles en gueuse ont commencé à se diffuser au XIXe siècle partout dans la Vallée,

    4. Bouche de charge du fourneau dans la cuisine à Mettien. Maison Lateltin, 1870 env. Gressoney-Saint-Jean. (Remacle, Gressoney-Saint-Jean, 2006)5. Bouche située dans le couloir d’entrée à Biel. 35 x 38 cm env. Maison Squindoz, 1877. Gressoney-Saint-Jean. (Remacle, Gressoney-Saint-Jean, 2011).6. Au plafond, au-dessus du fourneau, un trou pour laisser monter la chaleur ; 7. Posé sur le dessus, un galet plat de pierre ollaire dans un sac en laine servait de bouillotte pour le lit ; 8. Entre les pieds du fourneau, les chaussures en train de sécher.

    4.

    6. 7. 8.

    5.

    5 Luigi ZanZi, Enrico RiZZi, Le Alpi, architettura e civilizzazione. La casa alpina nei Grigioni, Ticino, Vallese e Walser, Fondazione Enrico Monti, 2016, pp. 241-252.

    6 Les frères Gard, entrepreneurs à Bagnes, dans le Valais, construisent des poêles “en pierre blanche grisâtre” et les vendent avec publicités artistiquement décorées, sur lesquelles sont dessinés en perspective les formes diverses de fourneaux de leur collection. On y trouve la même diversité qu’au Val d’Aoste, mais pas la forme du prototype de Louis Zumstein se trouvant ci-dessus, à gauche. Voir Willy FeRReZ, Un Bagnard de taille, Collection Musée de Bagnes, 1998, p. 50.

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    9. Maison de Otto Welf à Underwald, Gressoney-La-Trinité, fourneau en dalle très épaisse, avec date 1808 et initiales : C.Z. et M. B. (65 x 57 x 67 cm), 2016. Les initiales se trouvant sur la poutre faîtière du bâtiment sont identiques, ce qui signifie que le couple fondateur de la maison a également fait faire ce steinofe, mais , dans l’état actuel de la recherche, nous ignorons leur nom.10. Potager à un trou, restauré (69 x 96 x 64 cm). Maison communale de Gressoney-La-Trinité, 2016.11. Fourneau moderne à chargement frontal, construit par les frères Ferrari. Maison Stévenin au chef-lieu du Gaby, 2016.12. Archives privées, ayant appartenu à Louis De La Pierre, déposées au Walserkulturzentrum. Dans ces archives privées provenant de la maison de Louis Zumstein (* 1805 +1871) à Rong (GSJ), se trouve un dessin proposant un prototype de poêle en pierre ollaire en forme de colonne. Il a été peut-être imaginé par Louis De Lapierre dit Zumstein lui même, pour son cabinet d’étude et son appartement. A-t-il jamais été réalisé ? Louis Zumstein avait fait des études d’architecte qu’il n’avait pas terminées, semble-t-il.13. Formes diverses des poêles à Gressoney, avec leurs noms en titsch, dans le dictionnaire « Vocabolario Greschòneytitsch – Italiano-Titsch, du Walserkulturzentrum/Centre d’Etudes et de culture Walser de la Vallée d’Aoste, Musumeci Ed., Quart (AO), 1988, p. 243.

    12.

    9. 11.10.

    13.

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    d’Anselme Réan au Bourg-Saint-Ours), à Challand-Saint-An-selme (maison Thiébat à Tollegnaz), à Ollomont (maison Bal à Chez-Collet), à Valpelline (maison Ansermin à La Tour et maison Gachet au Cumet), au Bourg de Saint-Rhémy (maison Cabraz). On a également trouvé quelques restes pris dans les maçonneries à Vignil de Quart et Praz-Sec à Ayas12. Il y avait également un fourneau rond en pierre dans la maison du rec-teur à Saint-Jacques d’Ayas.

    UN AUTRE MOYEN DE CHAUFFAGE ALTERNATIFIl faut rappeler à ce point qu’un autre moyen de chauffage, non salissant, parce qu’il ne donnait pas de problèmes de fu-mée dans la chambre de séjour, était presque généralisé dans les demeures paysannes valdôtaines et dans la vallée du Lys avant le XIXe siècle : la plaque foyère13 ou platine ou encore chaudane14, dalle de pierre ou de fonte verticale qui jouait le rôle du fourneau, en réfléchissant et distribuant ainsi la cha-leur dans la chambre.

    LA DIFFUSION DE CE MOYEN DE CHAUFFAGEEn 2003, dans son article paru dans le Messager Valdôtain, Jolanda Stévenin7 a dénombré 138 fourneaux8 en pierre ollaire dans la commune de Gaby. En 2016, François Stévenin et le technicien communal de Gaby, Silvano Consol, en ont encore individualisés 729, sourtout aux alentours du chef-lieu, donc dans la partie centrale du territoire communal10. Il est probable qu’il y en avait plus encore autrefois à Gressoney, car, dans les grosses villas des commerçants aisés, il y a souvent plu-sieurs de ces steinofna. Par contre, à Issime, commune qui se trouve dans la même vallée, juste en aval de Gressoney et de Gaby, il n’y en a pas eus beaucoup, semble-t-il, à part dans quelques familles, dont certaines sont originaires de Gaby, par exemple chez Praz à Proasch ou chez Goyet à Rickurt11. Au Val d’Aoste, ce n’est qu’au Gaby et à Gressoney que les habi-tants ont adopté au XIXe siècle en très grand nombre ce mode de chauffage dans l’usage local. Ailleurs, ce type de fourneau, rond ou carré, est uniquement construit pour des personnages de l’élite ou de la bourgeoisie. Par exemple à Aoste (maison

    15.14. 16.

    14. 15. 16. Exemples de plaques foyères. 14. Exemples de plaque foyère. Firhus de la maison de Nicolas Zumstein à Bosmatto, Gressoney-Saint-Jean. Archives du Servizio Catalogo de la Surintendance régionale des activités et biens culturels de l’Assessorat de l’Education et de la Culture. - 15. Niel, Gaby. - 16. Ruassi, Issime. Du côté de la chambre de séjour lambrissée, la chaleur de la pierre permettait de sécher quelque linge.

    7 Jolanda Stévenin, Les fourneaux en pierre ollaire de Gaby et Gressoney, in « Le messager valdôtain. Almanach illustré 2003 », Imprimerie valdôtaine 2002, pp. 61- 64.

    8 En Valmaggia, dans le Tessin, l’inventaire a dénombré 435 pigne en 1985 dans les dix communes étudiées, mais seules 80 fonctionnaient encore. Museo di Cevio, Valmaggia (TI), 2000 anni di pietra ollare. Origine, estrazione, lavorazione, prodotti, utilizzazione, Cevio 1985.

    9 Je remercie François Stévenin et le technicien communal de Gaby, Monsieur Consol, pour m’avoir fourni ces données.10 On n’a pas individualisé de poêles en pierre à Niel, Chanton, Grouba ; en direction d’Issime : à Stein, Sertaz-dessous et Voury, mais bien en

    direction de Gressoney-Saint-Jean : 5 à Pont-Trentaz, 5 à Boury et 3 à Gattinery. Il y en a surtout beaucoup au chef-lieu : 5 à Gaby-dessus, 8 à Pro-du-Toucco, 1 à Glair-dessus, 6 à Glair-dessous , 3 à Pallaz, 5 à Gaby-dessous, 4 à Moulin, 18 au Chef-lieu – St-Michel, 2 à Sen-de-Labaz, 4 à Sertaz-dessus, 1 à Grangettes, 2 à Maisonnassy.

    11 Otto Welf nous a dit qu’il en avait vu un dans une maison abandonnée du vallon de Saint-Grat.12 Cette liste n’est pas du tout exhaustive.13 Elisabeth SiRot, Allumer le feu, Ed. Picard, Paris 2011, p. 16 et 128-129. En Savoie, dans les régions de montagne, ce moyen de chauffage

    indirect a perduré jusqu’au XXe siècle.14 Chaudane : terme francoprovençal employé par les notaires d’Ayas.

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    répartition de la chaleur dans les éléments de pierre du corps inférieur. Le fourneau provenant, dit-on, de la famille Beck-Peccoz (1860), actuellement à Sarre, mesure 132 cm de haut et 80 cm de profondeur avec 65 cm de diamètre pour le couvercle au sommet. Il ne compte que 9 pièces visibles.La base est toujours très épaisse et longue, encastrée dans le mur de séparation entre la cuisine (ou le couloir) et la chambre chauffée. Lors du montage qui se déroulait sur place, le premier étage du fourneau à monter y était inséré pour présenter de l’autre côté de la muraille la bouche carrée de charge du poêle. ASSEMBLAGE DES ÉLÉMENTSDès l’extraction en carrière, les plaques étaient sciées dans les blocs, mais elles étaient ensuite façonnées au marteau, au ciseau, au burin et à la lime, à partir de modèles en bois, dans l’atelier du tailleur de pierre. En observant les fourneaux démontés, on note qu’un creux est entaillé dans la pierre du fond et c’est contre le bord, ainsi for-mé à l’intérieur, que sont assemblées à tenons et mortaises les plaques composant les parois extérieures du fourneau. D’après les frères Ferrari de Pont-Saint-Martin, les différents éléments sont agrafés16 et rendus solidaires par tenons et mortaises avec, en plus, en haut de chaque pièce verticale, l’insertion

    LES LIEUX DE PRODUCTION DES FOURNEAUXLa pierre ollaire utilisée, la péra dóoutsa, affleure dans plu-sieurs vallées latérales15. Les noyaux, déchets cylindriques du tournage des marmites en pierres, des lavets, étaient employés systématiquement comme montants de supports du couronne-ment des cheminées, surtout dans le Valtournenche et le val d’Ayas. Pour les fourneaux, dans l’état actuel de la recherche, il semble que les « centres » de production de pierre soient surtout Gressoney, Champorcher, Ayas et Valtournenche, mais Gressoney se singularise surtout par la production d’un grand nombre de fourneaux de 1830 environ à 1916 !

    LE NOMBRE DE PIÈCESChaque fourneau, qu’il soit rond ou carré, est composé d’un nombre variable de dalles de pierre douce taillée : une dizaine au maximum pour les ronds à deux corps de bonne qualité. En effet, moins le fourneau compte de pièces, plus il sera résis-tant. Ainsi le grand fourneau à trois étages, de 1,90 cm x 80 cm de profondeur, de la Villa Margherita de Gressoney-Saint-Jean (1885) en compte seulement onze, sans compter celles du pied. Il faut souligner que ce fourneau est actuellement frac-turé d’une fissure par où s’échapperait la fumée si on l’allu-mait. Cette fissure s’est certainement produite lors d’une mise à feu trop rapide et trop forte, qui n’a pas agi lentement sur la

    17. Fourneau à trois étages de 1885 avec tuyau, four et banc à la Villa Margherita à Gressoney-Saint-Jean. 18. Fourneau déplacé à Sarre, mais provenant de Gressoney, 1860, D & P D.L.P. Les initiales ne semblent pas avoir de rapport avec les Beck-Peccoz, mais avec la famille De La Pierre, probablement Daniel, de Gressoney-La-Trinité.19. À Proasch (Issime), poêle de Louis-Fortuné Christillin (1836-1918), syndic d’Issime

    15 Paolo CaStello, S. De leo (2007) - Pietra ollare della Valle d’Aosta: caratterizzazione petrografica di una serie di campioni ed inventario degli affioramenti, cave e laboratori. Actes du XIe Colloque International sur les Alpes dans l’Antiquité, Champsec / Val de Bagnes / Valais-Suisse, 15-17 septembre 2006, in Bulletin d’Études Préhistoriques et Archéologiques Alpines, Aoste, 18: 53-75.

    16 ANA. AO1878, notaire Jacques Roland. Le 25 mai 1754, à Aoste, Antoine-Barthélemy Ubertin passe un prix-fait à Maître Jacques Yoccoz de

    17. 18. 19.

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    de crochets en fer, plantés de part et d’autre des joints, tout comme on en place aujourd’hui lors du montage des armoires IKEA. En effet, les pierres verticales sont soudées, à leur pied et latéralement, avec un mortier à base de terre réfractaire. Les parois extérieures sont légèrement bouchardées, surtout celles des fourneaux en pierre gris clair/blanc de Gressoney, par contre celles qui sont plus vertes sont polies à la façon du marbre, ce qui donne au fourneau un aspect vert foncé. Selon la grand-mère de Jolanda Stévenin, les matériaux ayant servis à la construction du fourneau de la famille, datant de 1870, proviendraient de Champorcher. La pierre ollaire de Petit-Ro-sier à Champorcher a une tonalité franchement verte. Ce poêle porte en bas-relief les initiales du couple duquel il réchauffait le foyer : J.B.M.S. de Jean-Baptiste-Mathieu Stévenin et M.A. de Marie Albert.

    DATES, INITIALES ET SYMBOLESLes pierres frontales étaient particulièrement soignées, car c’était sur la façade du poêle qu’étaient incisées les marques de famille, les blasons, les initiales et surtout la date.Un fourneau de la famille de Juste Stévenin au Gaby, de 1884, porte les initiales T.P.J., probablement du propriétaire de l’époque : Touscoz Pierre-Joseph ; un riche décor embellit la façade frontale de ce poêle rond à deux étages : des lions rampants. D’autres fourneaux portent la signature d’un artisan, mais, dans l’état actuel de la recherche, on ignore qui peut-il être. Ces poêles sont tous d’une pierre ollaire verte. Nous ne connais-sons pas le sens des initiales : sans doute, J. C. B. et L.C.Parmi les symboles sculptés sur les fourneaux, on rencontre des lions rampants avec la couronne qui rappellent la Mai-son de Savoie, l’aigle royal et, bien sûr, le monogramme du Christ : IHS, dans sa splendeur rayonnante, les clous de la passion ; à Gressoney, le 4 des marchands, l’agneau de saint Jean-Baptiste, l’ancre de l’espérance et le cœur de l’amour.

    20. 21.

    22.

    20. Tenon d’assemblage de la pierre ronde de couverture.

    21. Signature de l’artisan, fabricant et sculpteur de fourneau, probablement de Gaby.22. Fourneau dont on ignore l’origine, de la collection des frères Ferrari à Pont-Saint-Martin, M. C. 1832.

    Fontainemore pour faire un fourneau de pierre de lavet à deux étages et le planter dans ses domiciles d’habitation. Il sera semblable à celui de Madame Ansermin, dont la maison est dans la Cité.

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    23. Fourneau que François Stévenin tient de son arrière grand-père J. B. S., Jean-Baptiste Stévenin, 1831, signé par le même artisan. 24. 25. Poêle avec lions rampants et 1884, Touscoz Pierre-Joseph, Gaby. Noter la signature de l’artisan. 26. Même signature sur un poêle de 1888 avec blason de la Maison de Savoie et les lettres : F.J. G. F., conservé chez les frères Ferrari.

    23.

    25.

    24.

    26.

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    coré de lions réalistes, probablement inspirés d’illustrations de style naturaliste, reprises probablement d’un album sur la vie des animaux, plus que de figures en rapport avec l’héral-dique, quoiqu’ils entourent un blason de la Maison de Savoie, surmonté d’une couronne. Ce fourneau porte la date de 1880 dans un écusson, entouré de lauriers, avec les initiales G J B de Goyet Jean-Baptiste de Rickurt. Ce fourneau comprend deux corps superposés parallélépipé-diques avec trois pieds. Devant, le support a été sculpté en forme de tête de lion un peu naïve. Il est probablement réalisé en pierre ollaire de Champorcher.

    Le poêle en pierre ollaire le plus pittoresque est certainement celui de la famille Goyet de Rickurt à Issime17, actuellement démonté, mais photographié par Michele Musso. Ce fourneau semblait unique en son genre. Au départ, on avait des doutes sur son origine locale. Il est en effet tout à fait particulier, dé-

    32.

    27. IHS avec croix et cœur, entourés d’un nimbe rayonnant, 1626. Perletoa, Gressoney-Saint-Jean28. La simplicité des travaux des frères Daniel et Max Squinobal . Initiales d’Edouardo Welf, Gressoney-La-Trinité.29. À Proasch (Issime), C Cre L F sur le poêle du Chevalier Christillin Louis-Fortuné (1836-1918), syndic d’Issime.

    27.

    30.

    31.

    28. 29.

    30. 31. 32. Rickurt, Issime. Fourneau de Goyet Jean-Baptiste. Photos de Michele Musso, 2016.

    17 Il m’a été signalé par Michele Musso que je remercie.

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    Bas-Trentaz qui, depuis, l’a vendu à un entrepreneur, Stefano Lazier, qui l’a restauré et placé dans sa maison à Carema. Il porte des décorations identiques à celui des Goyet et la date de 1881, accompagnée des initiales : B. J.P. F., probablement celles de Jean-Pierre Bastrentaz. On ignore qui a pu le construire.

    Lors de l’inventaire de l’architecture rurale de la commune de Gaby, réalisé pour le Service du Catalogue de la Surintendance régionale des activités et des Biens culturels de la Région, en 2002, Loredana D’Hérin a noté l’existence des restes d’un autre poêle, tout à fait semblable, à Boury. Il appartenait à la famille

    33. 34.

    DES TAILLEURS DE PIERRE, FABRICANTS DE STEINOFEAu cimetière de Gressoney-La-Trinité sont enterrés les fabri-cants de fourneaux les mieux connus dans l’état actuel de la recherche, Joseph-Anton Squinobal, ses fils Max et Daniel de Orsiò et Selbsteg et leur neveu Oscar, qui selon les témoi-gnages d’Otto Welf (*1928) et de Peter Vincent (*1943) au-raient produit, au XIXe siècle et au début du XXe, 90% des poêles de la vallée du Lys. Ce sont eux aussi qui ont taillé les monuments funéraires de la paroisse de Gressoney-La Trinité. Les lieux d’extraction des pierres que nous ont signalés Otto

    Welf et Peter Vincent montrent quelles étaient les difficultés de transport des matériaux à cause de la complexité du relief et des dénivelés importants à franchir pour rejoindre le fond de la vallée. L’atelier de Oscar et de sa famille se trouvait à Selbsteg de Gressoney-La-Trinité. Sur les prises de vue de l’inventaire du patrimoine, on note que le long du ruisseau traversant le ha-meau, se trouvaient les ruines d’un bâtiment rudimentaire en bois et sur une maison au fond du village se trouve un linteau en pierre ollaire identique à celle utilisée pour les fourneaux, avec date, initiales et le 4 des commerçants walser.

    33. 34. Fourneau Bastrentaz provenant de Boury, Gaby. (Photos : Michele Musso, 2016)

    35. 36. Le tombeau et la plaque commémorative de Joseph-Anton Squinobal (*1801+1865), fabriquant de steineoffe. 37. À droite, plaque commémorative des deux frères Squinobal, Daniel (*1838) et Max (Massimilian) (*1840), Steinbauer, morts respectivement en 1909 et 1916.

    35. 36. 37.

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    chronologique, l’invention d’enfermement du feu au XVIe siècle. A Fénis, en Vallée d’Aoste, la maison Ramein datant de 1540 possédait à l’origine un poêle en pierre que l’on char-geait par l’âtre de la cuisine. On sait par l’inventaire qu’il existait des fourneaux en pierre à chargement extérieur, comme dans les maisons médiévales

    DE QUAND DATENT LES FOURNEAUX EN PIERRE ?Pierre Delacrétaz18 pense que les poêles en pierre sont appa-rus en Valais au cours du Moyen-âge. De même, Enrico Rizzi partage cet avis avec de nombreux chercheurs19. En revanche, Willy Ferrez20 et Marc Grodwohl placent, du point de vue

    38.

    40.

    39.

    41.

    38 et 39 - Selbsteg, Gressoney-La-Trinité, novembre 2005.

    40. 41. Perletoa (Gressoney-Saint-Jean). Maison de type valaisan du XVIe siècle. Fourneau en maçonnerie, couverte d’un enduit à la chaux, suporté par deux dalles rondes en pierre ollaire. Perletoa, Gressoney-Saint-Jean (Photo C. Remacle 1996).40. Fourneau dans l’ancienne chambre chauffée de séjour en bois.41. Bouche de chargement située dans la cuisine.

    18 Pierre DelaCRétaZ, La pierre ollaire. Tradition et renouveau, Ed. Monografic, Sierre (CH) 1997, p. 39.19 Enrico Rizzi, La “civiltà” della Stube, pp. 241-245, in Luigi Zanzi, Enrico Rizzi, Le Alpi, Architettura e Civilizzazione. La casa alpina nei

    Grigioni, Ticino, Vallese e Walser, Fondazione Enrico Monti, 2016.20 Willy FeRReZ, Un Bagnard de taille, Collection Musée de Bagnes, 1998, pp. 11-17 et p. 42. Marc GRoDWohl M., Hans Rudolf Lavater, Les

    débuts des poêles et fourneaux économes en bois (1555-1576) , in lavateR Hans Rudolf. Lignea Altas. Der Bieler Dekan Jakob Funcklin und die Anfänge der « Holzsparkunst » (1555-1576), in Basler und Berner Studien zur historischen und sytematischen Theologie. Schweitze Kirchen Geschichte neu reflektiert, Ed. Peter Lang, Bern, 2011 et in L’architecture vernaculaire, tome 36-37 (2012-2013) -http://www.pierreseche.com/AV_2012_grodwohl_CR.htm, 3 février 2012.

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    en bois du Tessin, dans les quelques maisons en bois d’Is-sime, d’Oyace et de Bionaz datant du XVe siècle21, mais il est possible qu’ils aient été placés bien après la construction des bâtiments. Nous n’en connaissons que deux, bien conservés, dans l’état actuel de la recherche, l’un à Perletoa à Gresso-ney-Saint-Jean et l’autre au Voisinal d’Oyace. Ces poêles sont cylindriques, mais bâtis en maçonnerie entre deux grosses pierres plates horizontales, traversant la paroi. Ces deux dalles sont arrondies, d’un diamètre approximatif de 50 cm, et servent de fond en bas et de couvercle, scellé en haut22.En ce qui concerne la documentation historique, la première mention, datant de 1609, de construction d’un fourneau en pierre douce a été repérée dans les archives notariales d’Aoste et concerne un bâtiment d’un des lieux particulièrement ancien de production de lavet : le haut val d’Ayas : « faire deux par-roy à bois pour entrepartir ladicte maison et chambre d’avec le predict poillie; et aussy, oultre ce, forrer ledict poiellie à lans et hes de deux partz oultre lesdictes deux parrois d’entre-partissement de maison et chambre, avec ung beau fornet de pierre doucze, possé et planté audict poillie »23. Le logement, décrit dans ce document, est bipartite : le fourneau chauffe la chambre de séjour et est chargé par le cheminée située dans la « maison », la cuisine.Il est très fréquent que les fourneaux, du XIXe ou du début du XXe siècle, portent deux dates, avec des séries d’initiales différentes. Il s’agit, dans ces cas, de poêles qui ont été recom-posés à partir d’éléments provenant d’un fourneau ancien. De toute façon, comme en Valais, c’est dans la seconde moitié du XIXe siècle que sont construits la plupart des fourneaux en pierre douce, encore conservés dans la vallée du LysDans l’inventaire des biens démo-ethnographiques du Ser-vice régional de l’Inventaire de la Surintendance des activi-tés et des biens culturels, les dates incisées sur les fourneaux conservés s’étalent de 1684 à 1819. Jolanda Stévenin, quant à elle, donne comme période : 1640 à 1902. Suite à la recherche menée pour cet article, on a de nouveau légèrement élargi la fourchette chronologique grâce aux dates que portent les four-neaux en pierre douce : de 1626 à 1909.

    REMERCIEMENTSJe remercie les propriétaires de poêles en pierre douce qui nous ont ouvert les portes de leur maison ; pour ce qui concerne la vallée du Lys, en particulier, Otto Welf, François Stévenin, Anna Fosson, mais aussi Matilde Martinengo, Christina De La Pierre, et les soeurs Olga, Ada e Silvia Squindoz, ainsi que les frères Ferrari pour leur accueil dans leur atelier et magasin à Pont-Saint-Martin.

    21 Claudine ReMaCle, Les vallées au Nord d’Aoste in Architettura in legno in Valle d’Aoste (XIV-XX secolo/ Architecture de Bois au Val d’Aoste. XIV e-XX e siècle, p.113 et pp. 393-399.

    22 Voir aussi : Claudine Remacle, Vallée d’Aoste. Une vallée, des paysages, Umberto Allemandi Ed., Torino 2002, p. 95.23 ANA. Fonds Châtillon, volume 314, notaire Martin Chasseur, 2 juin 1609.

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    té plutôt variables, puisque l’on passe des talcschistes et chlo-ritoschistes aux métagabbros et aux prasinites.Son nom a comme origine le latin « olla » (pot, marmite); elle a été employée, dés l’antiquité, non seulement pour produire des récipients à feu ou pour aliments, mais encore toutes sortes d’objets (fusaïoles, bracelets, lampes, encriers, tabatières, fers à repasser, statuettes, moules pour la fonte, bénitiers, urnes ci-néraires, fourneaux, éléments architecturaux). Elle est encore actuellement employée par de nombreux artisans valdôtains pour la réalisation de récipients et d’objets artistiques.

    CARACTÉRISTIQUES DE LA PIERRE OLLAIRE VALDÔTAINESelon veSCoZ (1910), qui reporte la définition d’un diction-naire de la fin du XIXe siècle (laRive e FleuRy, 1889), et bRoCheRel (1951), la pierre ollaire valdôtaine serait consti-tuée de chlorite, mica, asbeste et talc, intimement mêlés avec des carbonates, avec parfois de minuscules grenats.

    INTRODUCTIONLe terme « pierre ollaire » désigne une pierre, généralement de couleur verte, qui à des caractéristiques chimiques et phy-siques particulières: inaltérabilité aux agents atmosphériques et aux aliments, haute réfractarité thermique et résistance aux variations de température, avec une lente accumulation et une lente restitution de chaleur, faible porosité et dureté générale-ment très faible qui la rend facile à travailler avec des instru-ments métalliques, soit à la main ou au tour.Le terme “pierre ollaire” (“pierre douce” en français, “la-vet”, “përa douce”, “péra dóoutsa” en patois valdôtain, “pirra teindra” en patois valaisan, “ofòstei” et “lavezstei” en titsch, “speckstein”, “lavezstein”, “topfstein” ou “gilstein” en al-lemand) ne correspond pas à un type pétrographique précis, mais il a seulement une signification commerciale liée aux ca-ractéristiques mécaniques et thermiques de la roche.Une classification des pierres ollaires a été proposée par Man-noni et alii (1987, fig. 1) qui distinguent 11 différents types pétrographiques, ayant en réalité des caractéristiques de dure-

    La pierre ollaire de la Vallée d’Aoste

    Paolo Castello

    Fig. 1 – Classification de la pierre ollaire selon Mannoni t., PFeiFeR h.R., SeRneelS v. (1987).

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    glaucophane qui affleurent dans certaines localités valdô-taines et qui ont servi pour la production de meules (Dal PiaZ et alii, 2010).

    Au cours de récentes visites, on a enfin trouvé, à Émarèse, une carrière de pierre ollaire constituée de talc, à grain fin et de couleur gris clair.Sur la base des recherches effectuées, on peut aussi affirmer que les travaux d’extraction ont été effectués soit dans des af-fleurements rocheux, avec de vraies carrières, généralement de petites dimensions, soit en correspondance de blocs de roche appartenant à des dépôts glaciaires ou détritiques. Les activités de tournage ont été parfois exécutées tout près des carrières.Du point de vue géologique toutes les carrières de pierre ol-laire connues sont situées dans des roches ophiolitiques ap-partenant à la «Zone Piémontaise des calcschistes avec pierres vertes», qui affleure dans la partie médiane et orientale de la Vallée d’Aoste, ou à la “Zone du Versoyen”, qui affleure à La Thuile.

    En réalité, sur la base d’études préliminaires effectuées par CaStello et De leo (2007), consistant en recherches biblio-graphiques, visites, prélèvements d’échantillons et analyses pétrographiques, il résulte que la pierre ollaire valdôtaine est constituée essentiellement par deux variétés de chlori-toschistes :- Les pierres ollaires constituées de chloritoschistes mas-

    sifs, à grain fin et de couleur gris-vert (fig. 2), intercalées dans les serpentinites; elles sont formées essentiellement de chlorite, qui représente jusqu’au 80-90% de la roche, avec présence de magnétite et, parfois, de grenat, diopside, trémolite et épidote.

    Dans certains cas (par exemple au lac de Vercoche à Cham-porcher et au Col de la Croix à Champdepraz), la pierre ollaire affleure dans des serpentines adjacentes à des mé-tagabbros et à des amphibolites et elle semblerait être liée à des transformations métasomatiques d’originaires roches basiques (zones de réaction à basse température au contact tectonique entre serpentinites et roches encaissantes ; Dal PiaZ, 1969).

    Cette typologie de pierre ollaire pourrait être insérée dans le groupe F (chloritoschistes à grain fin) de Mannoni et alii (1987), bien que le chloritoïde ne soit pas présent dans les échantillons étudiés.

    - Les pierres ollaires constituées de chloritoschistes, à grain grossier, texture schisteuse plus évidente et couleur verte, associées à des roches amphibolitiques, présentes surtout à Valmérianaz (Pontey) et dans certaines localité d’Ayas et de Valtournenche ; elles contiennent de la chlorite avec des cristaux de grenat, chloritoïde et amphibole, parfois de grandes dimensions (fig. 3-4).Cette typologie de pierre ollaire pourrait être insérée dans le groupe G (chloritoschistes à grain grossier) de Mannoni et alii (1987), bien que dans les échantillons examinés soit présent aussi l’amphibole et qu’on n’ait pas trouvé le talc.Ces roches sont probablement le produit du métamorphisme de subduction, à profondeur sub-crustale, de basaltes avec extrême altération hydrothermale en milieu océanique, de même que les chloritoschistes à grenat, chloritoïde et

    Fig. 2 – Pierre ollaire constituée essentiellement de chlorite (Champdepraz).

    Fig. 3 – Pierre ollaire constituée de chlorite, avec des cristaux de grenat et des gros cristaux de chloritoïde (Pontey).

    Fig. 4 – Fragment d’un récipient en pierre ollaire constituée de chlorite et de gros cristaux de chloritoïde (Pontey).

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    AyasDe nombreux auteurs (GaStalDi, 1871; veSCoZ, 1910; vuil-leRMin, 1923; bRoCheRel, 1951; viSenDaZ, 1968) signalent la présence de carrières et de vestiges d’ateliers de pierre ol-laire dans le territoire d’Ayas. viSenDaZ, sur la base de dates gravées sur des encadrements de fenêtres en pierre ollaire, déduit que l’exploitation de cette pierre était florissante au XVIe siècle ; veSCoZ suppose que les travaux d’exploitation remontent déjà aux XIIIe-XIVe siècles.La pierre ollaire est abondante dans le vallon du torrent Cour-thoud (connu aussi sous les noms de Comba d’Aventine ou vallon des Cimes Blanches) et dans la zone de Saint-Jacques.Dans les serpentinites du vallon des Cimes Blanches, on ren-contre, soit en correspondance d’affleurements rocheux, soit dans des blocs d’origine glaciaire ou détritique, plusieurs ni-veaux de chloritoschistes exploités, habituellement puissants jusqu’à 50 cm et constitués de chlorite à grain fin.Les carrières sont présentes surtout dans la zone de Masé, à 2370-2450 m, et dans la Combe de Rollin, à 2570-2630 m, où l’on observe des blocs et des rochers travaillés, des frag-ments de pierre ollaire et des tessons de forme conique, avec diamètre de 5-10 cm et hauteur de 4-12 cm, provenant du tour-

    CARRIÈRES DE PIERRE OLLAIRENombreux sont les gisements, les carrières et les ateliers de pierre ollaire connus en Vallée d’Aoste. Particulièrement im-portantes sont les carrières des communes d’Ayas, Champ-depraz, Champorcher, Châtillon, Émarèse, Fénis, Gres-soney-la-Trinité, Issogne, La Thuile, Montjovet, Pontey, Saint-Vincent et Valtournenche (CaStello, 2016a, et fig. 5).Dans les pages suivantes sont brièvement décrites les carrières de la vallée de Gressoney et des vallées d’Ayas, Valtournenche et Champorcher qui auraient été, selon ReMaCle (2017), les centres de production de la pierre ollaire employée pour les fourneaux.Des carrières de pierre ollaire sont présentes aussi dans les vallées voisines du Piémont et du Valais (CH). Horace-Béne-dict De SauSSuRe (1796) cite par exemple, lors de son voyage autour du Mont-Rose en août 1789, les carrières d’Alagna Valsesia et en visite un atelier. Dans la région de Zermatt (Va-lais), on à découvert, dans la localité de Fury, les vestiges d’un important atelier daté de l’époque romaine tardive et du haut Moyen Age (PaCColat, 2005). Des fourneaux en pierre ollaire ont été produits avec les pierres d’Evolène (Val d’Hérens) et de Bocheresse (Bagnes), en Valais (FeRReZ, 1998).

    Fig. 5 - Carte des carrières et des ateliers de pierre ollaire de la Vallée d’Aoste (CaStello P., 2016a ; en jaune les carrières et les ateliers avec des données imprécises)

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    Un gisement d’où l’on aurait extrait, à la fin du XIXe siècle, de la pierre pour la réalisation de fourneaux est présent au lieu-dit Ruec, un peu à l’amont de l’alpe Moléraz, à 1870-1880 m. Dans cette localité, on a exploité, en réalisant aussi une galerie actuellement écroulée, des lentilles de pierre ol-laire contenues dans de gros blocs de serpentinite d’origine détritique. Actuellement, on trouve encore des fragments de dalles de pierre, constitués de chlorite à grain grossier avec des cristaux de grenat.Une autre carrière est signalée à Vascoccia – Vascotchaz.

    ChamporcherA Champorcher, la production de marmites et récipients en pierre ollaire remonte au moins au XIVe siècle.bauDin (1999) reporte des documents de 1347-1350, de la châtellenie de Bard, relatifs au permis concédé à Petrus et Jo-hannes Lavazerii (o Lavazones) de fabriquer des marmites et des vases en pierre (lavezos lapidum). Un tour pour le travail de la pierre ollaire (le tour des lavets), fonctionnant à eau, était présent aux XVIe et XVIIe siècles à Saxo Roland (proba-blement à l’aval du village de Vigneroisa - Vignereusaz, sur la rive gauche du torrent Ayasse).bauDin rappelle aussi que la pierre ollaire de Champorcher était employée pour la production de fourneaux, un desquels a été acheté par le Conseil communal, en 1838, pour chauffer l’école et la salle du conseil. Stevenin (2003) signale la pré-sence, dans des maisons de Gaby, de deux fourneaux en pierre ollaire de Champorcher : un sur le quel sont gravées les dates 1640 et 1820, l’autre avec la date 1870.Les carrières étaient situés au Petit-Rosier et dans le vallon de Vercoche.La carrière du Petit-Rosier, nommée aussi du Lavet (boura di lavet) ou de La Cleyva et signalée par plusieurs auteurs (Gon-tieR, 1895; MattiRolo, 1899; veSCoZ, 1910; bRoCheRel, 1951; bauDin, 1999), est probablement une des plus grandes de la Vallée d’Aoste. Elle a été exploitée pour la production de gros vases cylindriques, casseroles, récipients pour aliments, fourneaux, bénitiers et monuments sépulcraux. Selon veSCoZ et bRoCheRel, avec les blocs de pierre du Petit-Rosier, on au-

    nage de la pierre et abandonnés dans le torrent ou réemployés dans des murs de maisons (fig. 6-7).Un important atelier, où l’on produisait des récipients et des fourneaux, était présent dans la zone de Saint-Jacques. veS-CoZ (1910) reporte des informations obtenues par le vicaire Baptiste-Joseph Favre : « la maison où l’on aurait travaillé ces pierres, laquelle se trouvait au fond du pâturage actuel du chalet appelé Arma, tout à côté de la grande route actuelle, tendant de St-Jacques à Fiéry, à cinq minutes à peu près de la chapelle de St-Jacques, cette maison, dis-je, est complè-tement détruite, les pierres mêmes on été emportées depuis longtemps, et l’on ne peut plus reconnaître sa position que parce que le terrain y est sensiblement affaissé et le gazon plus uni. Il reste encore des traces du canal qui conduisait l’eau de l’Evençon à la susdite maison, mais dans le lit même du canal, qui est presque complètement comblé et gazonné, ont poussé de gros sapins qui peuvent avoir quelques siècles d’existence ». Dans les hameaux de Saint-Jacques, Fusine et Blanchard, on observe encore de nombreux restes coniques de tournage, d’un diamètre allant jusqu’à 20 cm, constitués soit de chlorite à grain fin, soit de chlorite contenant des cristaux d’amphibole, grenat et chloritoïde, présents dans le terrain et souvent réemployés dans les murs des maisons et dans le revê-tement des trottoirs (fig. 8) ou encore comme ornement.

    Fig. 7 - Tessons provenant du tournage de la pierre ollaire (Combe de Rollin, Ayas).

    Fig. 6 - Blocs d’origine glaciaire avec des niveaux de chloritoschistes exploités (Combe de Rollin, Ayas).

    Fig. 8 – Trottoir réalisé avec des tessons provenant du tournage de la pierre ollaire (Saint-Jacques, Ayas)

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    Gressoney-La-TrinitéSelon WelDen (1824) “molte sono ne’ contorni di Olen [Alén-coll - col d’Olen] le cave di pietra ollare e di lavezzella, e che da varj artisti si torniscono colà dei laveggi, e che con tavole di serpentino vi si fanno le fornaci per le stufe di Alagna e altrove”. Stevenin (2003), en parlant des fourneaux en pierre ollaire de Gaby, Issime et Gressoney, réalisés pour la plupart entre le XVIIe et le XXe siècle, cite génériquement les car-rières abandonnées de Gressoney, où l’on verrait encore les traces quadrangulaires ou circulaires des masses découpées, et décrit un fourneau présent à Issime, mais provenant de Gres-soney, sur le quel est gravée la date 1795.Selon ReMaCle (2017), Gressoney se singularise surtout par la production d’un grand nombre de fourneaux de 1830 en-viron à 1916. Les fabricants de fourneaux les mieux connus sont Joseph-Anton Squinobal, ses fils Max et Daniel et leur neveu Oscar qui auraient produit avec de la pierre de Gresso-ney, dans leur atelier de Selbsteg, 90% des poêles de la vallée du Lys.La pierre ollaire a été aussi employée au chef-lieu pour réali-ser le bénitier de l’église paroissiale, ainsi que des éléments architecturaux (encadrements de portes et fenêtres) et des mo-numents funéraires.Selon les informations de Otto Welf et de Peter Vincent, gen-timent fournies par Claudine Remacle, les carrières les plus importantes, utilisées surtout pour la production de fourneaux, se trouveraient à l’amont de Jatza, le long du versant droit du Moosbach, près de sa confluence avec la vallée principale du Lys, et à l’amont de Recka, près du chemin pour le Ga-biet et le col des Salati. Selon les informations de Rudy Mehr, gentiment fournies par Francois Stévenin, d’autres carrières seraient présentes dans un vallon du versant droit de la vallée principale, au dessous du Groabhopt (Testa Grigia).Lors de visites, effectuées en compagnie de Claudine Remacle, on a trouvé à l’amont de Jatza, à 2170-2180 m s.l.m. à la base d’une falaise constitué de serpentinites et amphibolites, un af-fleurement de pierre ollaire puissant jusqu’à 1,5 m. La pierre est grise, avec des lits millimétriques plus clairs (fig. 12); elle semble être constituée de chlorite à grain fin avec présence de

    rait réalisé les monuments qui ornent la place du sanctuaire de Machaby (Arnad), parmi lesquels un groupe de statues datées 1693 et une croix de 1689.Dans la zone du Petit-Rosier affleurent des serpentinites avec des intercalations de pierre ollaire à grain fin et des filons de quartz parfois minéralisés à sulfures (mine de La Cleyva, pro-bablement exploitée pour l’or dans le XIIIe siècle) ; à proximi-té affleurent aussi des amphibolites et des métagabbros.La carrière principale se trouve entre 1570 et 1640 m et elle a une extension d’environ 10.000 m². Les travaux d’exploita-tion ont été effectués soit le long des affleurements rocheux, soit dans de petites galeries de forme irrégulière (fig. 9-10-11).Dans le vallon de Vercoche, la pierre ollaire, signalée par MattiRolo (1899), a été extraite surtout à l’amont de la mine de fer voisine au lac homonyme (mine de magnétite exploi-tée entre 1646 et 1843) où l’on observe des intercalations de chloritoschistes, épaisses jusqu’à un mètre et qui sont consti-tuées de chlorite à grain fin, dans des serpentinites schisteuses proches des métagabbros.

    Fig. 9 – La carrière de Petit-Rosier (Champorcher) Fig. 10 – La carrière de Petit-Rosier (Champorcher)

    Fig. 11 – Les traces des travaux d’extraction (carrière de Petit-Rosier, Champorcher)

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    cristaux millimétriques de pyrite. Les recherches dans la zone de Recka n’ont pas eu, pour le moment, de résultats positifs.

    ValtournencheLa présence de carrières de pierre ollaire à Valtournenche est signalée par de nombreux auteurs (D’aubuiSSon, 1811 ; biCh, 1862 : GaStalDi, 1871 ; veSCoZ, 1910 ; enGaSSeR, 1923 ; bRoCheRel, 1951). Avec cette pierre, on aurait produit des poêles, des casseroles et des vases, des bénitiers, des porte-encriers, des pipes et des « langues » qu’on introduisait bru-lantes dans les fers à repasser; les carrières auraient été inac-tives déjà en 1910.Selon D’aubuiSSon (1811) « presque tout les grands poêles en usage dans le pays d’Aoste sont faits avec cette pierre, et viennent du val Tornanche ». biCh, dans un manuscrit de 1811 conservé à la Bibliothèque du Séminaire d’Aoste et gentiment signalé par Claudine Remacle, affirme que « Valtournenche … a dans son sein … plusieurs carrières de pierre de lavet avec lesquels l’on construit de nombreux et excellents poêles qu’on envoi de toutes parts pour chauffer les chambres d’hiver. Cette chaleur est douce et bien préférable à celle des poêles en fonte : on en fait de différentes formes selon le goût et l’usage des propriétaires qui les commandent ». bRoCheRel (1951) af-firme que Valtournenche est la patrie des tourneurs ; « les Val-torneins s’étaient spécialisés dans la fabrication de poêles, et ils en ont semés dans toutes les bourgades de la vallée cen-trale, et surtout à Aoste, où, il y a cinquante ans, avant l’in-troduction du chauffage central, pas une famille bourgeoise n’était dépourvue dans son pélio d’un poêle monumental en pierre ollaire. Et comme les artisans de Valtournenche se plaisent d’agrémenter de naïf ornements les travaux ouvragés au tour, ils ont décoré aussi les poêles de figurines humaines, d’arabesques, et les signant d’une date. Celle de la fabrica-tion des poêles était dans le temps une petite industrie assez prospère, puisqu’on en exportait dans le Canavais et même à Turin ». Selon les renseignements du recteur Joseph Perron (veSCoZ, 1910), l’exportation de poêles à Turin remonte aux années 1860-1870.

    Fig. 12 - Bloc de pierre ollaire à Jatza (Gressoney-La-Trinité).

    Fig. 13 - Restes coniques de tournage employés pour soutenir la couverture des souches de cheminées (Pessey-Désot, Valtournenche).

    Fig. 14 - Tessons provenant du tournage de la pierre ollaire à côté du torrent d’Illiaz (Valtournenche)

    Fig. 15 - Chloritoschistes avec d’abondants grenats de la carrière de Crébuchette (Valtournenche)

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    A l’occasion de recherches, on a trouvé de nombreux restes coniques de tournage dans les zones de Laviel, Pessey-Da-mon et Pessey-Désot, soit en correspondances d’escarpement et de remblais, soit employés pour soutenir la couverture des souches de cheminées (fig. 13) ou dans des murs de maisons ou de terrassement ; on trouve plusieurs cônes de pierre ollaire, longs jusqu’à 19 cm et avec un diamètre de 10 à 15 cm, surtout près d’un petit bâtiment en ruine présent à 1750 m, à côté du torrent d’Illiaz, où probablement existait un tour (fig. 14).Dans la zone de Champ-de-l’Eve, on observe de gros blocs de serpentinite, avec des niveaux de pierre ollaire constituée de chlorite à grain fin, avec des traces évidentes d’exploitation.Des travaux d’extraction d’une pierre ollaire avec chlorite à grain plus grossier et d’abondants grenats (fig. 15) ont été ef-fectués peu au sud de Crébuchette, à 2070 m à la base d’une falaise rocheuse constituée de métagabbros et de serpentinite, à proximité d’une carrière de pierres meulières en chlori-toschiste grenatifère (CaStello, 2016b).

    REMERCIEMENTSJe remercie Claudine Remacle, pour les informations fournies et pour la collaboration lors des visites effectuées aux carrières de Gressoney-la-Trinité, et Rosaria Frachey, Mauro Maqui-gnaz, Armando Pession, Francois Stévenin, Peter Vincent et Otto Welf pour les précieuses informations fournies.

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    re dalla biozona 5 in cui aumenta il polline dei cereali (2%) e compare quello del castagno, che, per questo settore delle Alpi, rappresenta un marcatore biocronologico in quanto la sua introduzione è legata alla presenza dei Romani che occu-parono la valle”6.

    Nel Medio Evo, Issime vede come feudatari principali i Val-laise (il loro nome deriva dalla valle del Lys Vallis Hellesii). Il primo documento che parla di loro risale al 17 aprile 12167; Arduçon dit Senex de Vallexia è sicuramente vivente tra il 1195 e il 12458. I signori di Vallaise giurano fedeltà al conte di Savoia almeno dal 7 novembre 13269.Il 4 agosto 1347 Amedeo di Vallaise, figlio di Amedeo, con-cede alcune franchigie alle comunità della valle del Lys di Guelmour superius10; proprio prima della grande peste, che ebbe avvio a Genova alla fine dell’anno. Secondo le ricostru-zioni degli storici, il morbo ha falcidiato in Europa circa la metà della popolazione; terminata l’infezione, i sopravvissuti si sono appropriati delle terre abbandonate, o un’unica perso-na ha incamerato i coltivi di tutta una famiglia, dando origine ad un’imprenditoria più forte della precedente. Anche dallo studio sui pollini sopracitato emerge una prima fase di dimi-nuzione della pressione antropica e una successiva ricoloniz-zazione.

    In Valle d’Aosta la permanenza in alta quota è testimoniata dai ritrovamenti archeologici di fre-quentazioni di epoca protostorica alle pendici del Mont-Fallère (sopra Saint-Pierre, a circa 2.000 m s.l.m.)1, della Cime Noire (nel comune di Pon-tey, a circa 2.100 m s.l.m.) e del Mont Tantané (a La Magde-leine, a circa 2.440 m s.l.m.)2.Gli atti di infeudazione degli alpeggi sono numerosi, risalgono al basso medioevo e possono riguardare una persona singola, alcune persone, un villaggio o l’intera comunità3. Dai docu-menti pervenuti emerge, anche, che inizialmente i pascoli era-no soprattutto collettivi.L’atto più antico è la cessione dell’Alpe Citrin (Saint-Rhémy-en-Bosses) da parte di un certo Gontier alla chiesa del Gran San Bernardo nel maggio 11154. Della fine del secolo (1191) è la donazione alla Prevostura di Saint-Gilles di Verrès dell’alpe Le Layet a Valtournenche5. Le malghe non erano, quindi, solo dei signori feudali, ma anche della chiesa (in tal caso incame-rate anche per donazione) e date in “gestione” alle comunità o ai singoli.Ad Issime frequentazioni sporadiche molto antiche sono state attestate dallo studio sulle torbiere di Mundschuvett e Réich della professoressa Brugiapaglia, anche se “l’incremento del-le attività umane si osserva invece in maniera decisa a parti-

    Vivere in montagna: strategie socio-economiche

    donatella maRtinet

    1 Con ritrovamenti dell’industria litica risalenti al Mesolitico, in L. Raiteri, La ricerca sul popolamento della Valle d’Aosta nell’Olocene antico: il sito mesolitico di alta quota del Mont Fallère (Saint-Pierre), Bollettino della Soprintendenza per i beni e le attività culturali, n. 6, 2009, pp. 17-21.

    2 Il sito, composto da due diversi ma contigui nuclei di capanne, rappresenta uno degli insediamenti protostorici a utilizzo stagionale più alto di tutto l’arco alpino che sia attualmente in corso di esplorazione.

    3 J.-C. Perrin, Gli alpeggi: un sistema economico e culturale, in Muri d’alpeggio in Valle d’Aosta – Storia e vita, Priuli e Verlucca, Aosta 2009, p. 24.

    4 J.-C. Perrin, cit., pp. 14-38.5 Alla Carta Augustana del 1191, riguardante le franchigie di Aosta, pare seguì nel 1206, ma la datazione non è certa, la richiesta unitaria di

    poter usufruire delle franchigie della città da cavalieri, clienti e rustici.6 E. Brugiapaglia, Il Vallone di San Grato ed il suo ruolo per la ricostruzione paleo ambientale con particolare riferimento all’occupazione

    umana. Importanza biologica e scientifica delle torbiere, in Augusta 2016, pp. 9-19.7 Il vescovo di Vercelli, Ugolino, sigla un trattato di pace con Arduçon e Emeric de Vallaise. Un precedente atto era stato firmato, oltre che da

    Arduçon, da un altro fratello Vallaise, Pierre, poi deceduto, con il precedente vescovo di Vercelli, Alberto; in O. Zanolli, Lillianes, Histoire d’une communauté de montagne de la Basse Vallée d’Aoste, Tome 1er Musumeci, Aoste 1985, p. 18.

    8 In O. Zanolli, Lillianes, cit., p. 19. Non trova, invece, riscontro storico il fatto che gli imperatori Federico, Enrico e Sigismundo investono con feudi i signori Vallaise già dal 1211; tuttavia le “voci di corridoio” sono interessanti in quanto rafforzano l’importanza della casata, tra queste ricordiamo quelle dell’insigne storico Jean-Baptiste De Tillier (in Nobiliaire du Duché d’Aoste, édité par les soins d’A. Zanotto, La Tourneuve, Aoste 1970, pp. 616-617.

    9 Par O. Zanolli, Bibliothèque de l’Archivium Augustanum XXII, Inventaires des archives des Vallaise, Tome 1er, Musumeci, Aoste 1985, p. 206.10 A cura di M.C. Daviso di Charvensod e M.A. Benedetto, Le franchigie delle comunità del Ducato di Aosta di Jean-Baptiste de Tillier,

    Tipografia ITLA, Aosta 1965, pp. 88-100; l’atto fu stipulato nel cimitero di San Giacomo di Issime, alla presenza, tra gli altri, di Giovanni Femelli e Antonio de Cruce di Issime e Giovanni du Biolley.

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    to il 2 luglio 1784, con la pubblicazione delle lettere patenti di Vittorio Amedeo III. Tale procedura di affrancamento ge-nerale dai canoni feudali fu affidata alla Royale Délégation, commissione istituita il 26 novembre 1764 per la verifica dei beni privilegiati dei feudatari o appartenenti al patrimonio del-la Chiesa.È il tempo in cui alcuni pascoli sono stati acquisiti da chi li stava utilizzando, ma anche da ricchi borghesi e notabili, in possesso della capacità finanziaria necessaria, o dai Comuni18. Nei casi in cui la proprietà continua ad essere collettiva, l’uso seguita ad essere disciplinato secondo le antiche consuetudini.Gli Issimesi, come molti altri Valdostani, sono un popolo in cammino, con lo sfruttamento del territorio alle diverse quote legato alla stagionalità; al quale si aggiungeva l’emigrazione temporanea degli uomini, soprattutto di professione muratore. La combinazione di questi due fattori ha fatto sì che la gestio-ne degli alpeggi ricadesse quasi esclusivamente sulle donne19.

    L’economia agraria locale si basa ancora oggi sulla fienagione (riserva di cibo invernale per gli armenti, che prevede uno, so-litamente due, tagli, secondo la localizzazione altimetrica dei prati, mentre il bestiame pascola in altura) e sui raccolti (da campi e orti); nonché sulla transumanza estiva; le abitazioni permanenti, rifugio invernale, possono essere utilizzate anche quale laboratorio artigianale, occupazione possibile prevalen-temente durante l’inverno.In generale, la linea di monticazione prevede l’utilizzo razio-nale dei pascoli alle diverse quote: si sale nella bella stagione, a tappe, solitamente prima nei mayens (aprile-maggio), poi negli alpeggi20 (giugno-settembre, circa 100 giorni), per ritor-nare gradualmente a valle.Gli alpeggi sono prevalentemente a conduzione familiare e hanno dimensioni contenute a causa della geomorfologia del territorio (in media 15/20 capi). Si ricavano essenzialmente formaggi di piccole dimensioni (tome) e burro, anche se, se-guendo il target dell’Alta e Media Valle, si producono anche formaggi grassi e soprattutto fontine, con conseguente minor lavorazione del burro21. Oggi si è orientati in particolare alla produzione a marchio DOP: toma di Gressoney solo nella val-le del Lys e fontina su tutto il territorio regionale, in quanto prodotti di eccellenza.

    Dieci anni dopo, il 14 aprile 1357, Jacomota, vedova di Vuil-lermet de la Plana, e i suoi figli Pierre e Jean, riconoscono di tenere in feudo dal nobile Arduçon di Vallaise alcuni beni, tra i quali Crossum Ronqui Robini, L’Adreit, Cleva, Molinat, Or-tietum e La Layx, in Turrixomo detto Plane, tra i due Reverssi Turrixoni.11Inoltre, il 1° settembre 1359 Jean de la Plana, figlio di Sain-ton, dichiara di utilizzare, alcuni beni a Perloz e Issime, nelle località: Fontaine de Nantray, Sappel de Chapaç, Alpe de Nan-tray, Plana, La Gianacha, Ronc Robin, Turixon, Bella Cleva de Turixon.12Era negli usi tradizionali utilizzare erbaggi in comune, tant’è che, tra il 25 ottobre 1339 e il 7 marzo 1389, taluni documen-ti testimoniano l’infeudazione di pascoli comuni a privati, in particolare a Issima Soveror13, per un numero di mucche pre-cisato (in questi casi da una a cinque, per avere un ordine di grandezza) con il conseguente compenso da esborsare.Nel secolo successivo, altri documenti attestano passaggi di proprietà delle terre; ad esempio, il 23 gennaio 1458, il signore Bertholin di Vallaise infeuda ai fratelli Verra Vercellot e Pierre di Issime alcuni beni siti nell’alpe di Turisonat, che questi ave-vano acquisito da Yon Gabriel de La Cleva e Ottini Aymon.14In merito all’utilizzo dei pascoli comuni sono sicuramente sor-te alcune questioni dal momento che il 25 ottobre 1468 tre “te-xatores” d’Issime “a ciò deputati” (Yaquyn Carrerie, Antoine Yocco Alby di Lyntyn e Pierre di Antoine du Ronc) procedono alla stima15 della quantità d’erba pascolata da una mucca nella montagna di Issime Severour, in una località denominata Pra-tum Savyn, nelle “Comugnia esteriori”, sopra ‘Buyl’ di sotto, nonché dell’erbaggio di sei bestie sempre nella montagna di Issime Severour, a “Comugniis interioribus”.16Successivamente, stante la redditività degli alpeggi, grazie all’ottima produzione derivante dalla qualità degli erbaggi, alcuni contadini più intraprendenti hanno iniziato a costruire stalle proprie sui pascoli comuni, privatizzando, di fatto, alcu-ne zone a scapito della collettività; la pratica della monticazio-ne si è, quindi, evoluta ed ogni malgaro aveva il suo pascolo da utilizzare, ponendo fine a diatribe ancestrali.L’affrancamento dalle rendite feudali, già iniziato nel corso del XVI e XVII secolo17 con l’alienazione di beni da parte dei signori Vallaise per necessità economiche, arriva a compimen-

    11 Par O. Zanolli, Bibliothèque de l’Archivium Augustanum, XXII, Inventaires des archives des Vallaise, Tome 3ème, Musumeci, Aoste 1988, p. 444, n. 52.

    12 Ibidem, pag. 323, n. 26.13 Ibidem, da pp. 388-396, documenti vari. Yssima Severor corrisponde ai territori alti dei valloni.14 Ibidem, p. 310, n. 7.15 Richiesta da Angelin di Hans de Raset, procuratore di sua madre Antonia, vedova.16 Ibidem, p. 279, n. 48.17 Par O. Zanolli, Inventaires cit., Tome 1er, p. 351: il 1° aprile 1615 i fratelli Pierre, Jean-Humbert e Jean-Frédéric di Vallaise stipulano una

    convenzione con gli uomini di Issime per l’affrancamento.18 Troviamo gli esempi a Fontainemore e Lillianes, quest’ultimo era stato capace di acquisire alpeggi anche sullo stesso Fontainemore (Prial)

    e di sconfinare territorialmente verso il Canavese, sull’attuale Comune di Settimo Vittone, con l’Alpe Lace (quello di Bechera, sullo stesso versante, è privato).

    19 M. Bodo, M. Musso, P.P. Viazzo, Dalla toma alla fontina; trasformazione della produzione casearia nella valle del Lys, in Formaggi e mercati – Economie d’alpeggio in Valle d’Aosta e Haute-Savoie - Le Château, Aosta 2002, p. 139.

    20 Ricordiamo che l’alpeggio è l’insieme dei fabbricati e delle superfici prevalentemente sfruttate a pascolo.21 Non produrre burro in alcuni casi era proibito dai regolamenti feudali.

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    e sopraelevazione (176427 ad opera di Jean-Antoine Goyet fu Gabriel28).Nel 1645 era di proprietà di Christian, figlio del sopracitato Charles, sposato con Plaisance Denchoz, figlia illegittima di Jean. Abitano proprio a “Greron Herb” dove posseggono an-che prati, campi, incolti e boschi d’alto fusto; inoltre hanno beni a Pra Savin (Pressevin), Langzinneres damon (D’Uabru Lansiniri), Stoubes (Stubbi) - le Bul (Bühl) e Galm, sotto l’o-monimo colle per Bourinnes (al quale si sale da Mattu). Nel piano hanno un prato a Grand Champ (Gran Tschamp) e una

    I vari tramuti sono stati realizzati, quindi, su particelle ai diver-si livelli di quota, spesso in radure, anche ai bordi di boschi22. Sono spartani; i locali principali sono la stalla e la casera. L’a-bitato è di tipo diffuso, in quanto basta poco per soddisfare un numero di capi esiguo e rispondere alle esigenze abitative di un solo nucleo familiare.Il mayen, sito in media montagna, è più complesso. General-mente costituito da stalla, abitazione, fienile e delle superfici a specio e pascolate, garantisce il mantenimento del bestiame per un periodo medio di 50 giorni. Storicamente, in particolari condizioni climatiche o economiche, esso poteva divenire an-che abitazione principale.Sono stati presi in considerazione gli spostamenti nei seco-li di alcune famiglie (Goyet, Stévenin, Consol e Ronco), sul territorio comunale per verificarne il tipo di sfruttamento alle diverse quote.I dati derivano dal Catasto comunale del 1645, del Tiers des-soubz soit du Plan (la piana di Issime e gli alpeggi in sinistra orografica) e del Tiers de la montagne (i valloni di San Grato e Bourinnes) e dal Catasto Sardo del 1772. Sono entrambi solo descrittivi, con l’aggravante per quello seicentesco dell’assen-za degli edifici (ha censito solo i terreni). Gli alpeggi storici sono stati anche ricercati nel Livre d’estime des montagnes23 redatto dalla già citata Royale Délegation e terminato l’8 mag-gio 178124. Il Catasto d’Impianto dello Stato Italiano, realizza-to tra il 1898 e il 1913 è, invece, mappato. Utile è stata anche la consultazione della tesi di laurea dell’architetto Fabrizio Boson25, indispensabili le ricerche della Soprintendenza per i beni e le attività culturali26, determinante e corposo l’apporto di Michele Musso.

    GOYET - GOJETSCHA Gradunérp, nel vallone di San Grato, sussiste uno splen-dido esempio di edificio di tipo concentrato, che vede sotto lo stesso tetto tutte le funzioni: stalla e cantina, abitazione e fienile. Contiene un rascard antico (la fase iniziale pare risalire al 1511) anche se rimaneggiato in epoche successive: amplia-mento (1565), altre modifiche (sul colmo del tetto, oltre alla data 1614 si riscontrano le iniziali GCF – Goyet Charles Fecit)

    22 Il legname risultava indispensabile per accendere il fuoco sotto la caldaia del latte e produrre i formaggi, il gas non c’era!23 In un secondo tempo l’état des Paroisses dont l’estime des montagnes, paturages et autres biens incultes a été augmentée independemment

    du premier verbal, et de celle portée dans le Cayer des degrés réspectif, ma i beni in Issime non sono sostanzialmente variati.24 Il documento è conservato all’archivio di Stato di Torino, come Azienda Generale Finanze Livre d’estime des montagnes selon le verbal, 2ª

    Archiviazione, Capo 4, n. 5; presso gli Archivi storici regionali ne esiste una copia microfilmata (inventario n. 118).25 Politecnico di Torino – Facoltà di Architettura, Issime: analisi territoriale di una comunità alpina. Il vallone di San Grato, luogo di

    insediamento walser. Lo ringrazio sentitamente.26 Nel 1987, grazie al coordinamento dell’arch. Flaminia Montanari, la Soprintendenza ha promosso una serie di corsi di formazione per

    rilevatori del patrimonio architettonico minore. Issime è stato censito nella campagna 1997-2000; sotto la guida attenta dell’arch. Claudine Remacle, sul territorio hanno lavorato a vario titolo: Fabrizio Giatti, Denise Vercellin-Nourrissat e Mauro Paul Zucca. Ho tratto alcuni dati dei catasti del 1772 e di inizio ‘900 e del relativo studio storico, così come le destinazioni d’uso, le datazioni delle trasformazioni edilizie e i segni storici dalla schedatura degli edifici (autorizzazione all’utilizzo e alla riproduzione del materiale prot. n. 2615/BC del 12.04.2017).

    27 Si veda anche C. Remacle, Histoire de maison, in Augusta 2002, pp. 20-26 e, della stessa autrice, L’abandon progressif du bois… dans la construction des bâtiments du Tiers de la montagne, in Augusta 2007, pp. 35 e 36.

    28 Jean-Antoine Goyet (ancora vivo nel 1801) sposa Joanna-Maria Busso.

    Villaggio della Riva, il primo edificio a sinistra è la casa Goyet

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    con ogni probabilità a Méttelti, nei pressi del chemin de l’alp (che sale in alpeggio); aveva anche prato e campo a Pressevin e un alpeggio a Le Petit Alp, sotto la cresta spartiacque con il vallone di Bourinnes.Nel catasto sardo (1772) non solo i Goyet a La Riva sono mol-ti di più, ma posseggono anche beni in altre frazioni. Pierre figlio di Gabriel ha solo un prato nel piano; nel vallone, una casa (con pascolo) a Écku (Pintschen Écku); suo fratello Ga-briel possiede un rudere (prato e pascolo) a La Riva, un prato vicino a Rickurt, a Tschachtelljerit; mentre in sinistra orogra-fica del Lys detiene altre case a: Chinchéré, Gran-Pra e Biolley (con prati, pascoli e incolti)32.Il ramo del “vivant” Jean-Antoine è presente a La Riva, con sua moglie Anne-Marie (nata Albert e definita femme libre) e il figlio Jean-Pantaléon, possiedono una casa e un’aia ciascu-no, la signora anche prati e pascoli.33Un altro Jean-Pantaléon Goyet fu Jean-Antoine ha casa e prato a La Riva; mentre un terzo Jean-Pantaléon fu Jean, oltre a risie-dere, con casa e aia, prati e pascoli, a La Riva, sale nel vallone: a Buadma (casa e pascolo), Simulettu (casolare d’alpeggio e pascolo) e nella zona di Ronh (casa, campo, prato e pascolo).

    corte (suppongo quindi anche una casa) devant les domicilles de la ville d’Issime.Nel 1772 il già citato Jean-Antoine di Gabriel, soldato del Reggimento di Aosta, oltre alla casa con pascolo a Gradunérp ne dispone di un’altra (con prato) a La Riva29. Probabilmente trattasi dell’edificio più esterno al villaggio, sito a monte del passaggio interno alle case (detto dei morti) e rivolto verso sud, con il colmo datato 1733.A inizio ‘900 il proprietario dei due edifici è Pietro Goyet fu Pietro, che mantiene questa splendida linea di successione fa-miliare.Nel catasto comunale di Issime del 164530 Jean Goyet, figlio di Andrè, possedeva prati, campi e incolti a La Riva de Go-yet; mentre nel vallone era a Stoubes, la Fontaine du moulin e Bode (tutti nei pressi di Bühl).Per il catasto seicentesco vivevano, invece, unicamente nel vallone, probabilmente a Méttelti dove avevano molte pro-prietà, Christian fu Francesco31 e sua madre Christine. Si spo-stavano anche più in alto, a Kwerratsch, al Mont des Chamoes e a Galm, dove condividevano un pascolo concimato (jacz o jetz) con Jean Goyet d’Antoine. Anche quest’ultimo abitava

    29 E un altro grande prato a Lasuru.30 Archivio comunale, Cadastre d’Issime 1645, Tiers dessoubz soit du Plan.31 Assente, forse perché a lavorare altrove in qualità di muratore, il 15 luglio, data della ricognizione sul terreno.32 A inizio ‘900 Claudina Goyet fu Giuseppe tutela i beni della figlia minorenne, Anna-Maria Christillin fu Pietro, a Chincheré dessus.33 Sempre a La Riva e a Murgerey.

    Il villaggio della Riva

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    Jacques, aveva acquistato l’altra metà della casa dalla famiglia Christille.A inizio ‘900 sono a La Riva Giovanni Goyet39 fu Pietro An-tonio (nella casa dove doveva esserci stato Jean-Pantaléon) e Francesca Fresc fu Luigi Anselmo, maritata Goyet; mentre la proprietaria a Ronh è Ortensia Christillin fu Luigi-Gustavo, maritata Goyet.Cerchiamo di tirare un po’ le fila degli spostamenti della fa-miglia Goyet sul territorio (all’estero mi risulta difficile!). Nel 1645 La Riva era detta dei Goyet, per cui si sono sviluppati nel piano, con il buon Jean, figlio di Andrè. In quegli anni, egli saliva anche nel vallone, a Bühl. Colà trovava anche Charles fu Gabriele che si spostava a Pressevin e Galm, soprattutto a Gradunérp (edificio nato nel 1511 e rimasto dei Goyet fino a inizio ‘900) e nel piano forse abitava nei pressi del Capoluogo (a Grand-Champ).Nel 1645, la linea di monticazione di Galm, con più tramuti, era effettuata anche da Christian fu François e Jean fu Antoine (questi con tappa a Pressevin) che risiedevano stabilmente a Méttelti.Dopo il 1645 i Goyet scompaiono dal settore Bühl – Pressevin - Galm del vallone di San Grato.Nel 1772 i figli e la moglie di Jean Antoine dimorano solo a La Riva; Pierre fu Gabriel sale anche a Écku; mentre suo fratello Gabriel attraversa il Lys per vivere a Chinchéré, Gran-Pra e Biolley. Sale, sulla sinistra del vallone, anche Jean-Pantaléon che prima si ferma a Ronh e poi finisce a Simulettu, passando

    Jean-Pantaléon Goyet34, figlio del vivente Jean-Antoine nel ‘700 non ha edifici, ma solo terreni, tra cui un prato e un cam-po a Haymatta. Troviamo i suoi discendenti nel ‘900; nel val-lone le sorelle Antonietta e Maria Luigia fu Pantaleone a Bech e i loro fratelli Giuseppe-Biagio e Pantaleone fu Pantaleone, Gojetsch Pantalljunh, a Méttelti e Vlüekhji. Più precisamen-te i fratelli Goyet erano Jacques-Marie-Joseph (1847-1876), Antoinette-Marie-Jeanne, Jean-Pierre-Antoine (1852-1917) docteur, Joseph-Blaise-Eugène (1855-), Pantaléon (1861-1942), Marie-Christine-Olympe (1865-1940) e Louise-Antoi-nette-Veronique (1867-1937), figli di Jean-Pantaléon Goyet (1822-1879) e Marie Alby (1824-1878).Nel piano, Giuseppe-Biagio vive a Sengle superiore (Z’Uabra Zéngji), nell’edificio più a sud di tutti; mentre Antonietta e Pantaleone sono a Eimattu, nella casa modificata prima nel 1779 dal capostipite35 e poi dal figlio Jean-Jacques nel 182736 per ottenere quattro livelli37; la splendida costruzione risale al 1689 con ogni probabilità ad opera dei fratelli Giacomo, Gio-vanni Pietro e Giovanni Giacomo Busso38. Questa abitazione nel 1772 risulta appartenere per metà a Jean-Jacques Busso Schützersch fu Pierre, e per l’altra metà a Jean-Pantaléon Christille Pöizersch (1736-1803) di Jean-Joseph. Nel 1827 Jean-Jacques Goyet (1787-1828) acquistò metà della casa da Jean-Jacques Busso Schützersch (1764-1842) nipote del pre-cedente, come da atto di acquisto conservato dalla famiglia Goyet. Già intorno al 1779, come da millesimo su architrave di finestra, Jean-Pantaléon Goyet (1750-1824), padre di Jean-

    34 Suo figlio Jean-Jacques (16.10.1787 - 7.7.1828) sposa Marie-Antoinette Ronc (deceduta nel 1827) fu Joseph. Vivevano a Eimattu. Ebbero quattro figli: Jeanne-Antoinette; Louise-Antonie-Virginie; Marie-Christine e Jean-Pantaléon (7.11.1822 – 20 .11.1879). Questi, il 22.10.1846, sposerà Marie Alby (1824-1878) di egr. Jean notaire e di Christine Christillin. Jean-Pantaléon aggiusterà la casa di Preit nel 1861, come indicato sulla trave maestra, con tanto di cognome inciso per intero. Ebbero sette figli: Jacques Marie Joseph (1847-1876); Antoinette Marie Jeanne; Jean-Pierre Antoine (1852-1917) docteur (*); Joseph Blaise Eugène (**) (1855-?); Pantaléon Benjamin Ferdinand (1861-1942) Gojetsch Pantalljunh (viveva a Eimattu); Marie Christine Olympe (1865-1940) e Louise Antoinette Veronique (1867-1937). (*) Jean-Pierre Antoine Goyet (1852-1917) medico, il 27 giugno 1889 sposa Hortanse Christillin (1864-1919) della famiglia Pintsche, figlia del Cavaliere Louis-Gustavo Christillin (1838-1900) e di Marie-Christine-Philomène Freppa (1837-1883). (**) Joseph-Blaise-Eugène Goyet [Gojetsch Dschodefji] (16.3.1855-?) il 17 febbraio 1898 sposa Fidèle-Anne-Marie Christillin Tunterentsch (1867-1937).

    Jean Goyet (1899-1972) di Giuseppe-Biagio sposa il 16 febbraio 1926 Vittoria Freppa (1904-1995), vivranno prima a Sengle, poi, alla morte delle zie paterne di Jean Gojetsch Méji (1865-1940) e Gojetsch Luéisi (1867-1937), andranno a vivere a Preit, nella casa datata 1861.

    35 Le iniziali J P G erano sulla placca del caminetto del pëillo – ovvero la stanza riscaldata.36 Le iniziali di suo figlio Jean-Pantaléon J P G comparivano su un architrave all’ultimo piano a sud-est.37 Due cantine e tre stalle al primo, quattro cucine, due peillo e due entrate al secondo, quattro camere, due fienili, ancora un peillo e un’entrata

    al terzo; ancora due fienili e una dispensa all’ultimo.38 La trave di colmo, oltre alla data di costruzione, il monogramma di Cristo IHS - sormontato da un cuore che si collega in basso a una croce

    - e il nodo Savoia, riportava una scritta, solo in parte leggibile, schedata in questo modo: JacopousF in co s JoannesPetrus JoannesJacopous FratresB. L’edificio era nato per due famiglie (i due camini centrali erano originari), nel 1772 apparteneva a Jean-Pantaléon Christille, figlio di Jean-Joseph, e agli eredi di Pierre Busso; confinava a nord proprio con il prato di Jean-Pantaléon Goyet. Questi deve aver comprato, tra il 1772 e il 1779, la metà di Christille, quella a levante; l’altra metà sarà acquistata da suo figlio Jean-Jacques dall’omonimo Busso, fu Pietro il 29 dicembre 1827; nella fattispecie era un corps de domiciles situé au mas de l’Aimatta présent la rétoire consistant en une écurie, une cave, un poële, une cuisine, avec deux chambre (compris un gros coffre qui est dans la chambre), foignière soit galetas jusqu’au toit inclus, avec les galeries couts et places. Confinava a nord e, in parte, a ovest con i fratelli Christille, i cui terreni non erano coltivati (atto del notaio Jean-Louis Linty).

    39 Giovanni Goyet fu Pietro Antonio (capomastro di anni 82) è uno dei testimoni nell’atto del 19 dicembre 1920, redatto dal notaio Luigi Linty (Registrato a Donnas il 30.12.1920, al n. 455, assunta al Tribunale di Aosta l’11 gennaio 1921 con n. 2876 la copia conforme redatta ad Issime l’otto gennaio 1921) attestante che sul territorio di Issime, in sinistra orografica del torrente Lys, in località Fontaine Claire, esisteva da tempo immemorabile una presa e derivazione