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1/22 –OTTICA GEOMETRICA ED APPLICAZIONI - C. Calì - DIEET-UNIPA (2007-rev_15/16) - Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica OTTICA GEOMETRICA ED APPLICAZIONI Nell'ottica geometrica la propagazione della luce è rappresentata mediante raggi, ossia segmenti che, rispettando semplici regole, subiscono una variazione di direzione nell’interfaccia fra materiali dielettrici differenti. Un’infinità di raggi pressoché paralleli fra loro e che occupano uno spazio limitato è chiamato fascio. Un’infinità di raggi paralleli fra loro che occupano l’intero spazio equivalgono ad un’onda piana di estensione infinita. Un'infinità di raggi che hanno origine da un punto con distribuzione angolare uniforme nello spazio equivalgono ad un'onda sferica. Il raggio rappresenta, secondo i casi, la direzione di propagazione del fascio, dell’onda piana o del fronte di un'onda sferica in una certa direzione. Mediante l'ottica geometrica è possibile spiegare in modo semplice il comportamento dei componenti ottici elementari come specchi, lamine, prismi e lenti, ed il funzionamento di base di diversi strumenti ottici. Rifrazione e riflessione Un raggio luminoso incidendo con un certo angolo sulla superficie di discontinuità fra due differenti materiali trasparenti è in parte trasmesso (rifrazione) ed in parte riflesso (riflessione). Indicando con θ 1 e θ 2 gli angoli di incidenza e di rifrazione rispetto alla normale sulla superficie di discontinuità e con n 1 ed n 2 gli indici di rifrazione dei corrispondenti mezzi attraversati, vale la seguente legge della rifrazione (o di Snell): n 1 sin θ 1 = n 2 sin θ 2 Indicando poi con θ 1 ' l'angolo di riflessione ed adottando la convenzione che il segno di un angolo è positivo se questo aumenta ruotando il raggio in senso antiorario, vale la seguente legge della riflessione: θ 1 = - θ 1 ' ossia l'angolo di riflessione è uguale, in valore assoluto, all'angolo di incidenza. Inoltre raggio incidente, riflesso e rifratto giacciono tutti sullo stesso piano. La figura 1 illustra quanto affermato. Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 Quando si passa da un mezzo di un certo indice di rifrazione ad uno di indice più basso si parla di riflessione interna. Questo si verifica, ad esempio, passando dal vetro all'aria, ma non viceversa.

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OTTICA GEOMETRICA ED APPLICAZIONI

Nell'ottica geometrica la propagazione della luce è rappresentata mediante raggi,

ossia segmenti che, rispettando semplici regole, subiscono una variazione di

direzione nell’interfaccia fra materiali dielettrici differenti.

Un’infinità di raggi pressoché paralleli fra loro e che occupano uno spazio limitato è

chiamato fascio.

Un’infinità di raggi paralleli fra loro che occupano l’intero spazio equivalgono ad

un’onda piana di estensione infinita.

Un'infinità di raggi che hanno origine da un punto con distribuzione angolare

uniforme nello spazio equivalgono ad un'onda sferica.

Il raggio rappresenta, secondo i casi, la direzione di propagazione del fascio,

dell’onda piana o del fronte di un'onda sferica in una certa direzione.

Mediante l'ottica geometrica è possibile spiegare in modo semplice il comportamento

dei componenti ottici elementari come specchi, lamine, prismi e lenti, ed il

funzionamento di base di diversi strumenti ottici.

Rifrazione e riflessione

Un raggio luminoso incidendo con un certo angolo sulla superficie di discontinuità

fra due differenti materiali trasparenti è in parte trasmesso (rifrazione) ed in parte

riflesso (riflessione). Indicando con θ1 e θ2 gli angoli di incidenza e di rifrazione

rispetto alla normale sulla superficie di discontinuità e con n1 ed n2 gli indici di

rifrazione dei corrispondenti mezzi attraversati, vale la seguente legge della

rifrazione (o di Snell): n1 sin θ1 = n2 sin θ2

Indicando poi con θ1' l'angolo di riflessione ed adottando la convenzione che il segno

di un angolo è positivo se questo aumenta ruotando il raggio in senso antiorario, vale

la seguente legge della riflessione: θ1 = - θ1'

ossia l'angolo di riflessione è uguale, in valore assoluto, all'angolo di incidenza.

Inoltre raggio incidente, riflesso e rifratto giacciono tutti sullo stesso piano. La figura

1 illustra quanto affermato.

Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3

Quando si passa da un mezzo di un certo indice di rifrazione ad uno di indice più

basso si parla di riflessione interna. Questo si verifica, ad esempio, passando dal

vetro all'aria, ma non viceversa.

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Riflessione interna totale

La legge della rifrazione mostra che per la riflessione interna, al di sopra di un certo

angolo di incidenza, non esiste più il raggio rifratto: essendo l'angolo θ2 maggiore

dell'angolo θ1, esiste un valore di θ1 (angolo critico) per cui si verifica che θ2 è pari a

π/2: θ1c = sin-1

(n2/n1)

In questo caso si parla di riflessione interna totale, ossia il raggio è completamente

riflesso. Nel caso di passaggio dal vetro (n ≈ 1,5) all'aria (n ≈ 1) si ha che θ1c ≈ 42°.

Guida ottica

La riflessione interna totale spiega il funzionamento delle guide ottiche ed in

particolare delle fibre ottiche, ossia guide ottiche di sezione circolare, per le quali

l'angolo di accettazione è il valore massimo che può formare un raggio luminoso con

l'asse della fibra affinché rimanga confinato all'interno della stessa. Questo angolo

dipende dall’angolo critico e quindi dal rapporto fra indice di rifrazione della parte

più interna della fibra (nucleo o core) e la parte più esterna (mantello o cladding).

Prisma riflettente

Sulla riflessione interna totale è basato il funzionamento dei prismi riflettenti. In

figura 2 sono mostrati due modi differenti di utilizzare uno stesso prisma isoscele con

un angolo di 90°. Nel primo caso il raggio torna indietro nella stessa direzione di

provenienza mentre nel secondo caso è deviato di 90°. Il vantaggio di utilizzare

questo tipo di specchi è che questi sono privi di perdite a causa dell'assenza di

metallo. Le uniche perdite presenti sono sulle discontinuità di ingresso nel prisma e di

uscita (aria-dielettrico e dielettrico-aria) che comunque possono essere notevolmente

ridotte con un opportuno strato di adattamento, come si vedrà successivamente. Altri

vantaggi sono l'inalterabilità nel tempo (a differenza dei metalli, i dielettrici non si

ossidano) e la resistenza alle elevate intensità luminose (l'assenza di cariche mobili,

tipiche dei metalli, esclude la possibilità di innalzamento di temperatura e

conseguente danneggiamento dovuto alla dissipazione).

Un prisma con tre facce riflettenti disposte ad angolo retto fra loro (figura 3) può

essere visto come una estrapolazione nello spazio del primo prisma della figura 2.

Questo tipo di prisma è detto retroriflettore, o più comunemente catarifrangente, ed è

in grado di rinviare i raggi indipendentemente dalla direzione di provenienza.

Prisma rifrangente

Un raggio luminoso, dipendentemente dagli angoli di incidenza sulle due superfici di

discontinuità, può attraversare un prisma subendo una deviazione del suo percorso.

L'angolo di deviazione δ può essere facilmente determinato osservando la figura 4.

L'angolo di deviazione è dato da:

δ = (θ – θp) + (θ' – θ'p)

Nell'ipotesi che gli angoli θ, θp, θ'p e θ' siano piccoli, per la legge di Snell applicata

sulle due facce del prisma:

θ = n θp e θ' = n θ'p

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La relazione fra gli angoli del triangolo ABC è:

α + (π/2 - θp) + (π/2 – θ'p) = π, dalla quale: α = θp + θ'p

Utilizzando le tre relazioni trovate:

δ = (n – 1) (θp + θ'p) = (n – 1) α

Fig. 4

Si osservi che, almeno per piccoli angoli, l'angolo di deviazione è indipendente

dall'angolo di incidenza mentre dipende dall'angolo al vertice α e dall'indice di

rifrazione del prisma.

Poiché l’indice di rifrazione dei materiali dipende dalla lunghezza d’onda è possibile

realizzare strumenti (spettrometri) in grado di separare le lunghezze d’onda.

A causa della dispersione non molto elevata, gli strumenti così realizzati presentano

una scarsa risoluzione. Risoluzioni molto più elevate possono essere ottenute

utilizzando reticoli di diffrazione o risuonatori accordabili, come si vedrà

successivamente.

Lente

Una lente, almeno quella classica, è costituita da un volume dielettrico delimitato da

due superfici sferiche. Per spiegare il comportamento di una lente è utile inizialmente

analizzare il percorso di un raggio che incide sulla superficie di discontinuità sferica

fra due differenti dielettrici.

Con riferimento alla figura 5 si consideri un punto A da cui parte un raggio che

raggiunge in P la superficie sferica, il cui centro si trova in C. Il raggio, subendo una

rifrazione in P, interseca la retta (asse del componente ottico) passante per A e C in

A'. Il punto A' è detto immagine di A. Si deve stabilire la relazione che intercorre fra

la posizione di A e quella di A'. Si adotta la convenzione che tutte le quantità che si

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trovano nello spazio (spazio oggetto) a sinistra della discontinuità sono rappresentate

prive di apice ('), viceversa quelle a destra (spazio immagine). Inoltre le distanze sono

positive se riferite a punti che si trovano a destra o in alto rispetto al punto O,

intersezione della superficie sferica con l'asse passante per A e C. Per quanto riguarda

gli angoli, i segni sono determinati trigonometricamente; ad esempio l'angolo φ è

negativo perché è negativa la sua tangente, essendo data dal rapporto fra una quantità

positiva (y) ed una negativa (l).

Per il triangolo PAC si ha:

φ + α + (π - θ) = π

dalla quale:

θ = α + φ

e per il triangolo PCA':

φ' + (π - α) + θ' = π

dalla quale:

θ' = α – φ'

Fig. 5

Si adotta l'approssimazione parassiale, ossia si ipotizza che i raggi formano angoli

piccoli con l'asse e conseguentemente y è piccolo rispetto ad l, l' ed R, così come

sono piccoli gli angoli θ ed θ' e quindi i seni e le tangenti degli angoli possono essere

approssimati agli stessi angoli. Inoltre in queste condizioni si può supporre la base del

segmento y coincidente con il punto O, intersezione della superficie sferica con l'asse

che passa per A e C.

In queste condizioni la legge di Snell applicata nel punto P è:

n θ = n' θ'

Sostituendo ad θ ed θ' le espressioni precedentemente trovate:

n (α + φ) = n' (α – φ')

Sempre per l'ipotesi raggi parassiali:

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φ = y/l, φ'=y/l', α=y/R

e la precedente diventa:

n (y/R + y/l) = n' (y/R - y/l')

Dividendo per il fattore comune y ed ordinando:

n'/l' + n/l = (n' – n)/R

Infine per la convenzione dei segni la distanza l deve assumere segno negativo e

quindi la relazione che lega la posizione dell'oggetto A alla sua immagine A',

nell'ipotesi di raggi parassiali, è:

R

n'nn'n −=−

ll'

I punti A ed A' sono detti punti coniugati, così come coniugate sono le distanze l ed

l'.

Quando non è più valida l'ipotesi di raggi parassiali (distanza del punto P da O non

trascurabile) i raggi, dipendentemente dalla distanza y, incidono sull'asse in punti

nell'intorno di A. In questo caso si dice che l'immagine soffre di aberrazione.

Una lente, come detto in precedenza, è costituita da un dielettrico racchiuso da due

superfici sferiche quindi la relazione che lega la posizione dell'oggetto alla sua

immagine può essere trovata facilmente utilizzando la relazione precedente

nell'ipotesi che la distanza fra le due superfici sia piccola rispetto alle altre quantità (l,

l', R). In questo caso si parla di lente sottile. Ipotizzando che la lente di indice di

rifrazione n si trova in aria (n ≈ 1) e con riferimento alla figura 6, la posizione (l1')

dell'immagine dovuta alla prima superficie di discontinuità di raggio R1 à data da:

1R

1n1n −=−

ll'1

Il raggio non raggiunge il punto A1' perché è intercettato dalla seconda superficie di

discontinuità di raggio R2.

Fig. 6

La seconda superficie si comporta come se l'oggetto fosse posizionato in A1', alla

distanza l1' dal centro della lente. Applicando nuovamente l'equazione della

discontinuità per la seconda superficie si ha:

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2R

n1n1 −=−

'1

'll

Sommando le ultime due equazioni ed eliminando l1' si ottiene l'equazione dei

fabbricanti di lenti:

−−=−

21 R

1

R

1)1n(

l

1

l'

1

Definendo la quantità:

−−=

21R

1

R

1)1n(

'f

1

la precedente può essere riscritta nel seguente modo:

'f

111=−

ll'

che prende il nome di equazione della lente. La quantità f' prende il nome di

lunghezza focale della lente e rappresenta la posizione dell'immagine del punto

oggetto che si trova all'infinito o il punto dove convergono tutti i raggi paralleli

all'asse che provengono dall'infinito. Questo punto è chiamato punto focale

secondario ed è indicato con F' in figura 7. Analogamente per i raggi paralleli all'asse

che provengono da destra si definisce il punto focale primario, indicato con F in

figura 7. Dall'equazione della lente risulta che f = -f'.

Fig. 7

Costruzione dell'immagine

L'immagine di un punto generico appartenente ad un oggetto può essere determinata

graficamente applicando al percorso dei raggi due delle tre regole seguenti:

- un raggio parallelo all'asse passa per il fuoco della lente dopo averla attraversata;

- un raggio che passa per il fuoco della lente procede parallelo all'asse dopo averla

attraversata (duale della precedente);

- un raggio che passa per il centro della lente non subisce deviazioni.

Le prime due regole derivano dalla definizione di fuoco della lente, la terza dalla

considerazione che in prossimità dell'asse la lente ha un comportamento da lamina,

essendo le facce piane e parallele.

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Classificazione delle lenti

Le lenti sono classificate in positive o convergenti, ossia quelle che deflettono su un

punto dell'asse tutti i raggi paralleli all'asse che la attraversano, e negative o

divergenti, che hanno un comportamento opposto.

Come si può osservare nella figure 8 e 9, le lenti positive sono caratterizzate

dall'essere più spesse al centro. Il contrario si verifica per le negative. Inoltre le lenti

possono essere classificate in base alla capacità o meno di proiettare un'immagine su

uno schermo. Nel caso questo sia possibile si parla di immagine reale. Una lente

positiva proietta un'immagine reale invertita (figura 10a) se l'oggetto è posto alla

sinistra del suo punto focale primario F; quando l'oggetto si trova sul fuoco

l'immagine è proiettata all'infinito; quando l'oggetto si trova fra il punto focale

primario F e la lente, l'immagine è eretta e virtuale (figura 10b).

Fig. 8 Fig. 9

Fig. 10

Una lente positiva non deve avere necessariamente tutte e due le superfici convesse

(lente biconvessa, fig. 8a): una può essere piana (lente piano-convessa, fig. 8b) o

concava (menisco convergente, fig. 8c) purché sia più spessa nella parte centrale.

Le lenti negative sono caratterizzate dall’avere il fuoco secondario nello stesso

semipiano da cui provengono i raggi e quindi la quantità f ' è negativa e non possono

proiettare un'immagine reale di un oggetto. Le lenti divergenti generano immagini

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virtuali erette (figura 10c). L'unico caso in cui una lente negativa genera un'immagine

reale è quando intercetta l'immagine generata da una lente positiva e la allontana

(figura 10d). Le lenti negative non devono avere necessariamente entrambe le facce

concave (lenti biconcave, fig. 9a): una può essere piana (lente piano-concava, fig. 9b)

o convessa (menisco divergente, fig. 9c) purché sia più sottile nella parte centrale.

Specchi sferici

Il formalismo sviluppato per le lenti può essere esteso agli specchi. La legge della

riflessione θ1 = - θ1' può essere riscritta formalmente, nell'ipotesi di raggi parassiali,

nel seguente modo: 1·sin θ1 = -1·sin θ1' che non è altro che la legge della rifrazione.

Quindi uno specchio può essere visto come una superficie di discontinuità fra due

dielettrici di indice di rifrazione n = 1 e n' = -1 e conseguentemente, applicando la

relazione che lega la posizione dell'oggetto con quella della sua immagine, si ottiene:

R

2

l

1

l'

1=+

dove R è il raggio di curvatura della superficie dello specchio. Con le stesse

considerazioni fatte per le lenti: f' = R/2.

Gli specchi sono classificati in concavi e convessi. Gli specchi concavi, così come le

lenti convergenti, proiettano un'immagine reale capovolta se l'oggetto è posto oltre il

piano focale (figura 11a) mentre quelli convessi un'immagine virtuale eretta (figura

11b).

Fig. 11

Lenti spesse

Nel caso in cui la lente non può essere considerata sottile esistono due piani che la

individuano e consentono di poterla trattare come una lente sottile.

Si tracci il percorso di un raggio parallelo all'asse ottico che attraversa una lente

spessa. Il raggio è sottoposto a due rifrazioni sulle superfici di discontinuità. I

prolungamenti del raggio incidente e del raggio emergente, indicati con tratteggio in

figura 12, si intersecano in un punto (Q' in figura) che giace su un piano ortogonale

all'asse della lente in P'. E' come se in P' si trovasse il centro di una lente sottile di

lunghezza focale pari alla distanza P'F'. Il punto P' ed il piano passante per P' sono

chiamati rispettivamente punto principale secondario e piano principale secondario.

Se si prova a tracciare un raggio che parte dal fuoco primario F e si ripete la

costruzione si ottiene un altro punto ed il corrispondente piano che interseca l'asse nel

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punto P. Punto P e piano passante per il punto prendono il nome rispettivamente di

punto principale primario e piano principale primario. In genere P e P' non

coincidono e in alcuni casi possono trovarsi all'esterno della lente.

Fig. 12

La stessa costruzione può essere applicata ad un sistema di più lenti, individuando i

punti di intersezione dei prolungamenti dei raggi entranti e di quelli uscenti. Si

troveranno due piani principali sui quali si può pensare possa essere sistemata una

lente sottile, dipendentemente se i raggio provengono da sinistra o destra, come

mostrato in figura 13.

Fig. 13

I quattro punti F, F', P e P' sono chiamati punti cardinali della lente e consentono la

costruzione dell'immagine di un oggetto, come indicato in figura 14.

Fig. 14

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Si osservi che nell'intercapedine fra i due piani principali i raggi non subiscono

alcuna variazione di quota. La regione fra i due piani principali è chiamata spazio

morto della lente. L'equazione trovata per le lenti sottili è valida anche per le lenti

spesse purché le distanze dell'oggetto e della sua immagine vengano misurate con

riferimento ai punti P e P'.

Si definisce la distanza di lavoro come la distanza fra il fuoco e la superficie della

lente. Ovviamente questa distanza non coincide con la distanza focale.

Le regole illustrate per la costruzione dell'immagine nelle lenti sottili sono ancora

valide per lenti spesse, se si prendono in considerazione i piani principali, come è

possibile vedere nella figura 14.

Ingrandimento

L'ingrandimento (lineare) è definito come il rapporto fra la dimensione dell'immagine

e quella dell'oggetto ed è anche pari al rapporto fra la distanza dell'immagine e la

distanza dell'oggetto dai piani principali secondario e primario, come è possibile

vedere in figura 15.

Fig. 15

Nel caso rappresentato l'ingrandimento è negativo perché dato dal rapporto fra una

quantità positiva (l') ed una negativa (l). Si osservi il capovolgimento dell'immagine

rispetto all'oggetto. Esistono disposizioni in cui l'ingrandimento è positivo, come ad

esempio quello rappresentato in figura 10b.

Forma di Newton dell'equazione della lente

Con riferimento alla figura 16, dai triangoli simili, rispettivamente di sinistra e di

destra: h/x=h'/f e h'/x'=h/f'

Risolvendo entrambe le equazioni rispetto a h'/h ed eguagliando, si ottiene:

x x' = f f'

Poiché f ed x sono quantità entrambe negative non è necessario cambiare il segno

nell'equazione. Per una lente in cui entrambe le facce sono a contatto dell'aria f'=-f e

quindi:

x x' = - f'2

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Fig. 16

Questa è chiamata forma di Newton dell'equazione della lente ed è particolarmente

utile nella determinazione della lunghezza focale quando non è possibile individuare

il piano o i piani principali, come nel caso di lenti spesse; nel caso di lenti spesse

convergenti è sempre possibilmente individuare sperimentalmente i piani focali

rispetto ad un piano di riferimento arbitrario.

Apertura relativa

Si definisce apertura di un componente ottico (specchio o lente) il rapporto fra il

diametro e la distanza focale. L'apertura è responsabile della quantità di raggi (ossia

di energia luminosa) raccolti. Maggiore è l'apertura e maggiore è l'angolo solido entro

cui si trovano i raggi che convergono sul fuoco e che provengono dall'infinito. In

campo fotografico l'apertura si misura con il suo inverso (distanza focale / diametro)

e l'unità di misura è lo stop.

Aberrazioni e cenni sulle possibili correzioni

Negli specchi e nelle lenti è presente l'aberrazione sferica. A causa dall'apertura

elevata i raggi non possono essere considerati parassiali e conseguentemente non tutti

i raggi paralleli all'asse si intersecano esattamente nel fuoco. L'aberrazione sferica si

manifesta con disco luminoso più o meno esteso sul piano focale quale immagine di

una sorgente luminosa puntiforme che si trova a grande distanza. L'aberrazione

sferica può essere eliminata utilizzando specchi o lenti con superfici paraboliche

anziché sferiche.

Altra aberrazione dovuta alla geometria e presente sia negli specchi sia nelle lenti è

l'astigmatismo. Lo si può avere anche quando il componente ottico è caratterizzato da

un'apertura piccola ed è dovuto al fatto che i raggi luminosi incidono sul componente

lungo una direzione che forma un angolo grande rispetto al suo asse, ed equivale ad

utilizzare una zona laterale di un componente molto più esteso e quindi di grande

apertura. L'astigmatismo si manifesta con un'area luminosa ellittica più o meno

schiacciata sul piano focale quale immagine di una sorgente luminosa puntiforme che

si trova a grande distanza.

L’astigmatismo può anche essere causato dall’attraversamento con angolo grande di

una lamina da parte di un fascio (insieme di raggi), come mostrato in figura 17.

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Fig. 17

L'aberrazione dovuta alla dipendenza dell'indice di rifrazione dalla lunghezza d'onda

(dispersione), quindi non presente negli specchi, è l'aberrazione cromatica. Questa si

manifesta nel mettere a fuoco su piani diversi i colori di oggetti policromatici. Per

una lente convergente in vetro la lunghezza focale del blu è minore della lunghezza

focale del rosso, come è possibile vedere dall’equazione dei fabbricanti di lenti e

ricordando che l'indice aumenta con il diminuire della lunghezza d'onda.

La tecnica di correzione dell'aberrazione cromatica è basata sull'utilizzo di una coppia

di lenti, una convergente e l'altra divergente, realizzate con materiali di differente

dispersione.

Per comprendere il meccanismo è conveniente analizzare il comportamento di un

prisma attraversato da un raggio che, come già visto, devia un raggio luminoso della

quantità:

δ ≈ (n – 1) α

ossia l'angolo di deviazione, per angoli piccoli, è indipendente dall'angolo di

incidenza e dipende, oltre che dall'angolo α, dalla quantità (n-1), in modo analogo a

quanto si verifica per le lenti (equazione dei fabbricanti di lenti).

Nella tabella I è riportata la quantità (n-1) per due diversi tipi di vetro e per tre

differenti lunghezze d'onda, nonché le variazioni al cambiare del materiale e nel

passare da un estremo all'altro del campo visibile. Si osserva che il valore medio della

quantità n-1 per il vetro Flint è circa il 20% più grande mentre la dispersione è

doppia. Conseguentemente un prisma di vetro Flint genera un allargamento angolare

dei raggi policromatici doppio di quello generato da un prisma di vetro Crown e

quindi per compensare la dispersione dovuta ad un prisma di tipo Crown di angolo al

vertice α è sufficiente utilizzare un prisma di vetro Flint ribaltato con un angolo al

vertice pari a α/2. E' però ancora presente una deviazione complessiva dei raggi

perché gli angoli di deflessione sono uno il doppio dell'altro mentre la variazione di

indice è solo del 20%.

Tabella I

rosso giallo blu ∆n rosso-blu

Vetro Flint 0,644 0,650 0,665 0,021

Vetro Crown 0,517 0,520 0,527 0,010

∆n Flint-Crown 0,127 0,130 0,138

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Ragionamento analogo può essere esteso alle lenti, immaginando che queste siano

costituite da un insieme di tronchi di prisma.

Estensione delle leggi dell'ottica geometrica alle onde sferiche

Le onde sferiche, ossia le onde generate da una sorgente puntiforme caratterizzata da

un diagramma di radiazione isotropo, possono essere rappresentate da un'infinità di

raggi che hanno origine da un punto.

Devono pertanto valere le stesse leggi dell'ottica geometrica, con l'accorgimento di

tenere in considerazione la convenzione dei segni: il raggio di curvatura è positivo se

l'onda "si apre", ossia se il raggio aumenta con l'aumentare della distanza dalla

sorgente.

Pertanto l'equazione della lente, indicando con R1= - o il raggio di curvatura dell'onda

sferica che proviene dalla sorgente puntiforme nel punto in cui raggiunge la lente e

con - R2 = i il raggio di curvatura dell'onda sferica immediatamente dopo la lente,

diventa:

'f

1

R

1

R

1

12

−=

Per le onde sferiche vale inoltre l'ovvia relazione che dà il raggio di curvatura in un

determinato punto, noto il raggio di curvatura in un altro punto e nota la distanza fra i

due punti:

R2 = R1 + (z2 – z1)

PRINCIPALI STRUMENTI OTTICI

Occhio umano

Il sistema ottico dell'occhio umano (fig, 18) è costituito dalla cornea, calotta sferica

trasparente, e dal cristallino ("Lens" in figura). L'interno dell'occhio consiste in un

fluido trasparente il cui indice di rifrazione è 1,33, pari a quello dell'acqua. Il

cristallino ha un indice di rifrazione più alto, circa 1,4. L'occhio mette a fuoco le

immagini sulla superficie fotosensibile, la retina, mediante la contrazione di muscoli

involontari che deformano il cristallino e conseguentemente ne fanno diminuire la

lunghezza focale.

I punti principali dell'occhio sono pressoché coincidenti e localizzati a circa 2 mm

dietro la cornea ed a 22 mm dalla retina. Inoltre l'occhio è dotato di un diaframma

variabile, l'iride, posto immediatamente davanti il cristallino. L'iride, anch'essa

azionata dalla contrazione di muscoli involontari, controlla la quantità di luce che

raggiunge la retina.

Nell'ottica fisiologica, anziché di lunghezza focale, si parla di potenza di una lente,

definita come il rapporto fra l'indice di rifrazione del mezzo in cui si trova immersa la

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lente e la lunghezza focale (espressa in metri) della lente. L'unità di misura è la

diottria (D). Una lente convergente la cui lunghezza focale è pari ad un metro che si

trova immersa nell'aria (n ≈ 1) ha la potenza di una diottria. Si preferisce utilizzare

questa quantità perché le potenze di lenti adiacenti si sommano algebricamente.

Fig. 18

La potenza della cornea di un occhio normale è circa 43 D, quella del cristallino 17

D. Quindi la potenza totale dell'occhio è circa 60 D.

L'attitudine dell'occhio a focalizzare oggetti vicini mediante contrazione dei muscoli

del cristallino è chiamata accomodamento. Questa attitudine diminuisce con l'età per

cui, mediamente oltre i 40 anni, è necessario utilizzare "lenti da lettura".

La minima distanza a cui l'occhio è in grado di focalizzare un oggetto, che dipende

dall'accomodamento, è chiamata distanza di visione distinta "dv" ed è definita pari a

25 cm. Questa è la distanza di visione distinta di un individuo medio di 40 anni di età.

I bambini possono mettere a fuoco facilmente oggetti posti a distanze di pochi

centimetri.

La perdita di accomodamento è chiamata presbiopia e la si corregge con lenti

convergenti. Se la potenza dell'occhio è eccessiva e quindi la superficie focale si

trova prima della retina si parla di miopia e la si corregge con lenti divergenti. Se la

potenza dell'occhio è insufficiente e quindi la superficie focale si trova oltre la retina

si parla di ipermetropia e la si corregge con lenti convergenti. L'astigmatismo è

dovuto al fatto che a volte la superficie della cornea non è una calotta sferica ma una

calotta di un ellissoide più o meno schiacciato e si lo corregge con le lenti cilindriche.

Le contrazioni dell'iride adattano l'occhio a differenti livelli luminosi. Tipicamente

l'apertura dell'iride varia dai 2 agli 8 mm, passando dalla luce intensa al buio. Si può

assumere che in condizioni normali l'iride ha un diametro di 5 mm.

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La retina è costituita da piccoli sensori di radiazione luminosa chiamati bastoncelli e

coni.

I coni danno l'informazione sui colori ma sono poco sensibili mentre i bastoncelli

danno informazione sulla sola intensità ma sono più sensibili. Questo è il motivo per

cui in condizioni di bassa luminosità è pressoché impossibile distinguere i colori. I

coni sono più addensati in prossimità della fovea quindi in questa area si ha la

massima risoluzione. L'occhio, fissando un oggetto, tende istintivamente, agendo

sulla rotazione del bulbo, a formare l'immagine in prossimità della fovea.

I bastoncelli sono posizionati per la maggior parte al di fuori della fovea, dove sono

presenti pochi coni ed inoltre pochi bastoncelli occupano la zona della fovea. Per

questo motivo è difficile una visione distinta in condizioni di scarsa illuminazione.

I coni in prossimità della fovea sono distanziati in modo tale da sottendere un arco,

centrato sui punti principali, pari a circa 0,15 mrad. L'occhio è in grado di distinguere

due punti se le loro immagini sono separate almeno di un cono ossia quando i due

punti sottendono un arco, centrato sui punti principali, maggiore od uguale a circa 0,3

mrad. Per un oggetto posto alla distanza dv questo corrisponde ad una risoluzione

limite poco inferiore a 0,1 mm, che è pressoché uguale a quella che si può calcolare

con la teoria della diffrazione considerando una lente del diametro di 2mm (apertura

dell'iride in presenza di elevata luminosità) e una lunghezza focale pari a quella

dell'occhio. In sostanza, una maggiore densità dei coni non produrrebbe una migliore

risoluzione.

L'occhio umano è in grado di percepire lo spettro luminoso compreso

approssimativamente fra 400 e 700 nm. I coni sono più sensibili alla radiazione verde

(campo attorno a 550 nm) che corrisponde al massimo dell'emissione solare nel

visibile. I bastoncelli sono più sensibili alle lunghezze d'onda minori, ossia a quelle

che si avvicinano al blu.

Camera fotografica

Come l'occhio, la camera fotografica è costituita da una lente (obiettivo), un'iride

(diaframma) e da un piano sensibile alla luce dove è posta la lastra fotografica o, più

modernamente, un insieme di fotorivelatori (CCD). Inoltre è presente un otturatore

che consente di esporre la lastra fotografica, o il suo equivalente, per un intervallo di

tempo opportuno. La messa a fuoco avviene agendo sulla distanza dell'obiettivo dal

piano della lastra. Normalmente l'obiettivo è costituito da un insieme di lenti in grado

di correggere le varie aberrazioni che nascerebbero dall'utilizzo di una semplice lente.

Fra le lenti dell'obiettivo è inserito il diaframma la cui apertura può essere variata

meccanicamente e usualmente è calibrata in stop. Nel passaggio da uno stop all'altro

l'apertura (rapporto fra la distanza focale della lente e il suo diametro) varia nel

seguente modo: 1,4 - 2 - 2,8 - 4 - 5,6 - 8 - 11 - 16 - 22, ossia è una progressione

geometria di ragione pari a circa (2)1/2

. Il passaggio da uno stop al successivo cambia

l'esposizione di un fattore 2, ossia dimezza, o raddoppia, la quantità di luce (numero

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di fotoni) che raggiunge la superficie fotosensibile in un dato intervallo di tempo

(apertura dell'otturatore) perché il diametro della lente varia di 21/2

e la sezione si

dimezza o raddoppia.

L'otturatore può trovarsi fra le lenti dell'obiettivo o in prossimità del piano focale.

Spesso il tempo di apertura dell'otturatore è indicato in frazioni di secondi: 1/2000 –

1/1000 – 1/500 – 1/250 – 1/125 – 1/60 – 1/30 – 1/15 - ... ossia ciascun tempo di

esposizione differisce dal seguente di un fattore 2. Dal punto di vista quantità di luce

(numero di fotoni) che raggiunge la superficie fotosensibile, dimezzare il tempo di

esposizione equivale a dimezzare l'area utile della lente ossia aumentare di uno stop

l'apertura. In sostanza, quando si vuole diminuire il tempo di esposizione si deve

aumentare l'apertura dell'obiettivo se si vuole mantenere invariata la quantità di luce

che raggiunge la superficie fotosensibile.

Una quantità d'interesse in campo fotografico è la profondità di campo. Osservando

la figura 19 si vede che un punto posto a distanza diversa da quella per cui era stato

posizionato l'obiettivo è focalizzato su un piano diverso da quello in cui si trova

l'elemento fotosensibile. Su questo, anziché un punto si forma un'area circolare più o

meno estesa.

Fig. 19

Si definisce profondità di campo l'intervallo di distanze per le quali l'area circolare

che si forma ha dimensione uguale o inferiore al singolo elemento fotosensibile. E'

ovvio che in questo campo l'immagine di un oggetto, visto come un insieme di

piccole aree, risulta ancora nitida.

La profondità di campo diminuisce con l'aumentare dell'apertura. Infatti ad una

apertura maggiore corrisponde un angolo solido maggiore e, con riferimento alla

figura 19, anche l'area circolare risulta maggiore. Per ritrovare la stessa area circolare

è necessario spostare il piano verso destra, ossia diminuire δ.

Sistemi di proiezione

Nei sistemi di proiezione l'oggetto, ossia la lastra semitrasparente nella quale sono

registrate le informazioni da proiettare, è illuminato da una lampada da proiezione, L

in figura 20, di elevata intensità.

La lente CL (condensatore) e lo specchio M hanno la funzione di convogliare la

maggiore quantità possibile di raggi luminosi emessi dalla lampada sulla superficie

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dell'oggetto, oltre che illuminarlo uniformemente. La migliore efficienza di ottiene

quando la lente CL genera l'immagine della lampada L sulla lente di proiezione PL,

riempiendola totalmente. Pertanto la lampada L non deve essere puntiforme ma deve

avere una superficie emittente piuttosto grande. Normalmente queste lampade sono

costituite da diversi filamenti disposti in modo tale da occupare complessivamente

una superficie rettangolare o quadrata.

Contrariamente alla lente PL, lo specchio M e la lente CL non devono essere

necessariamente di elevata qualità perché hanno la sola funzione di illuminare

l'oggetto, non di proiettare la sua immagine. Lo specchio M è di tipo dicroico, ossia

riflette soltanto la radiazione visibile mentre si lascia attraversare da quella infrarossa.

La lente CL poi assorbe la radiazione infrarossa ma è attraversata da quella visibile.

In questo modo sia lo specchio M che la lente CL contribuiscono ad evitare il

surriscaldamento della lastra semitrasparente (oggetto) che potrebbe danneggiarsi per

una temperatura troppo elevata. Lente condensatrice, specchio dicroico e lampada

sono comunemente raffreddati da un flusso forzato di aria.

Fig. 20

Lente di ingrandimento o microscopio semplice

Volendo esaminare i dettagli di un oggetto, questo lo si deve avvicinare all'occhio; in

tal modo aumenta l'angolo visuale, dato dal rapporto fra la dimensione (h) del

particolare e la distanza (d) oggetto-occhio: h/d. Questo angolo visuale, affinché il

dettaglio possa essere distinto dall'occhio umano non deve essere inferiore a 0,3

mrad, come detto a proposito del funzionamento dell'occhio. Ma la distanza d non

può essere ridotta oltre un certo limite perché al di sotto di questo (dv) l'occhio non è

più in grado di mettere a fuoco. Quindi l'angolo visuale massimo è h/dv. Mediante

una lente convergente di lunghezza focale opportuna è possibile ridurre questa

distanza e quindi aumentare l'angolo visuale, come descritto più sotto.

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Fig. 21

Se un oggetto si trova sul fuoco di una lente convergente di lunghezza focale f la sua

immagine è proiettata all'infinito e l'angolo visuale con cui l'occhio vede l'immagine

dell'oggetto è: h/f, come mostrato in figura 21. Con riferimento a questa figura

l'occhio deve trovarsi immediatamente a destra della lente.

L'ingrandimento, ossia il rapporto fra l'angolo visuale in presenza di lente e quello in

assenza, è: (h/f)/(h/dv), ossia dv/f. Affinché si abbia effettivo ingrandimento è

necessario che la distanza focale della lente sia inferiore a dv, ossia 25cm.

Si osservi che utilizzando una lente di ingrandimento l'immagine si forma all'infinito

o quasi e quindi l'occhio lavora nelle condizioni migliori (muscoli del cristallino

rilassati).

Utilizzando lenti semplici, ossia non corrette dalle aberrazioni, non è possibile

raggiungere ingrandimenti superiori a 5 ed ottenere immagini di buona qualità.

Utilizzando lenti composte (chiamate oculari) è possibile raggiungere ingrandimenti

dell'ordine di 10 ed oltre.

Microscopio o microscopio composto.

Il microscopio è costituito, concettualmente, da due lenti: obiettivo ed oculare. Come

si vede in figura 22, l'oggetto è posto in prossimità dell'obiettivo, ad una distanza un

poco superiore alla sua distanza focale (Fo'), e la sua immagine è proiettata su un

piano nel quale si trova il fuoco (Fe) dell'oculare. In questo modo l'occhio, posto in

prossimità dell'oculare vede l'immagine dell'oggetto proiettata all'infinito, come

avviene nel microscopio semplice. La distanza fra il fuoco secondario dell'obiettivo

(Fo') ed il fuoco primario dell'oculare (Fe) è chiamata lunghezza del tubo (g),

standardizzata e nella maggior parte dei microscopi commerciali pari a 160 mm.

Fig. 22

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Osservando la figura 22, l'ingrandimento (lineare) dovuto all'obiettivo è –g/fo', mentre

l'ingrandimento (angolare) dell'oculare, come visto a proposito del microscopio

semplice, è dv/fe. Pertanto l'ingrandimento complessivo è il prodotto dei due

ingrandimenti, ossia -gdv/(fo'fe). Il segno meno indica un capovolgimento

dell'immagine.

Avendo fissato la lunghezza del tubo, l'obiettivo può essere identificato

dall'ingrandimento. Si parla di obiettivi da 10X, 20X, 40X, ... Un obiettivo da 10X ha

quindi una lunghezza focale di 16 mm. Dell'obiettivo, così come in tutti le lenti, si

specifica anche l'apertura numerica, ossia il rapporto fra la lunghezza focale della

lente equivalente ed il suo diametro.

Telescopio, filtro spaziale ed espansore di fascio

Il telescopio è utilizzato per osservare oggetti relativamente grandi posti a

grandissima distanza. Come il microscopio, l'obiettivo del telescopio proietta

l'immagine dell'oggetto sul piano focale di un oculare al quale si avvicina l'occhio,

come mostrato in figura 23.

Si supponga che l'oggetto sia molto distante ma abbastanza grande da essere visto ad

occhio nudo con un angolo visuale α. L'occhio, utilizzando il telescopio, vedrà

l'immagine dell'oggetto con angolo α'. Si definisce l'ingrandimento del telescopio il

rapporto fra l'angolo visuale in presenza di strumento ed in assenza (α'/α), in modo

analogo a quanto fatto per la lente di ingrandimento.

Dalla figura 23 risulta che α=h'/fo' e α'=h'/fe', pertanto l'ingrandimento è pari a - fo'/ fe'.

Il segno negativo giustifica il capovolgimento dell'immagine. Per ottenere un buon

ingrandimento è necessario utilizzare una lente obiettivo di grande lunghezza focale

ed un oculare di piccola lunghezza focale.

Fig. 23

Con riferimento alla figura 24, se sul piano focale comune alle due lenti si inserisce

un diaframma il cui foro è centrato sull'asse del sistema ottico, è possibile bloccare

tutti i raggi che formano con l'asse un angolo superiore ad un dato valore. Tale

dispositivo viene chiamato filtro spaziale e può essere utilizzato per "pulire" un

fascio, ossia eliminare i raggi che formano con l'asse un angolo differente dal voluto.

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Si osservi che se oculare ed obiettivo hanno la stessa lunghezza focale

l'ingrandimento è unitario e la presenza di un diaframma sul piano focale comune

"pulisce" il fascio che rimane inalterato nella dimensione trasversale.

Viceversa un sistema costituito da due lenti di lunghezza focale differente è in grado,

oltre che di "pulire" il fascio, di trasformarlo, ossia di espanderlo o restringerlo. In

questo caso si è realizzato un espansore di fascio.

Il telescopio descritto provoca un capovolgimento dell'immagine. Questo non è un

problema per le osservazioni astronomiche ma lo è per quelle terrestri. Per ottenere

l'immagine dritta si può utilizzare un telescopio galileiano (figura 25) nel quale

l'oculare è costituito da una lente divergente il cui fuoco (negativo) è sovrapposto

ancora al fuoco dell'obiettivo, oppure si può utilizzare una terza lente che ha la sola

funzione di capovolgere nuovamente l'immagine, come mostrato in figura 26.

Fig. 24

Fig. 25

Fig. 26

La necessità di avere a disposizione lenti di lunga distanza focale per ottenere un

buon ingrandimento costringe ad utilizzare lenti di grande diametro se si vuole avere

un'apertura tale da raccogliere un'energia luminosa sufficiente. Lenti di grande

diametro sono pesanti e costose per cui si preferisce sostituire alle lente obiettivo uno

specchio. Su questo principio sono state messe a punto diverse soluzioni, alcune delle

quali sono rappresentate in figura 27. Gli aggiustamenti fini di puntamento del

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telescopio vengono usualmente compiuti sugli specchi di rinvio (o sulla lente oculare,

nel telescopio di Herschel) perché questi hanno dimensioni molto minori dello

specchio obiettivo.

Fig. 27

Bibliografia

- M. Young, "Optics and Lasers", Springer-Verlag

- W.J. Smith, Modern Optical Engineering - McGraw-Hill

- B. Rossi, "Optics", Addison-Wesley

Problemi

1 - Due specchi piani formano fra loro un angolo α minore di π. Un raggio luminoso

incidendo su uno dei due specchi con un angolo a viene riflesso ed inviato sull'altro

specchio dal quale emerge con un angolo b. Determinare l'angolo δ formato dai raggi

incidente ed emergente.

2 - Un raggio luminoso incide con un angolo θ sulla superficie di un prisma di vetro

di angolo α. L'angolo θ è scelto in modo che il raggio uscente dal prisma formi

anch'esso un angolo θ con la normale alla faccia da cui esce. Questa è la condizione

per cui si verifica il minimo di deflessione. Ricavare un'espressione per l'indice di

rifrazione del materiale di cui è costituito il prisma.

3 - Una fibra ottica di diametro d è piegata in modo con il raggio di curvatura del suo

asse sia r+(d/2). Un fascio di raggi di luce incide normalmente su una estremità della

fibra. Calcolare il valore minimo del rapporto r/d affinché tutta la luce che entra nella

fibra possa essere ritrovata in uscita.

4 - Dimostrare che, per angoli piccoli, una lamina di vetro allontana l'immagine di un

oggetto della quantità d(1-1/n), dove d è lo spessore della lamina ed n il suo indice di

rifrazione.

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5 - Determinare la lunghezza focale della combinazione di due lenti sottili di focale

f1 e f2 in contatto fra loro.

6- Determinare la lunghezza focale della combinazione di una lente di focale f e di

uno specchio di raggio di curvatura r in contatto fra loro.

7 - Stabilito che il piano di riferimento di un obiettivo fotografico è l'estremità porta-

filtri, da misure sperimentali risulta che il piano focale nello "spazio oggetti" si trova

a 11,5 cm ed il piano focale nello "spazio immagini" si trova ad 11,0 cm dal piano di

riferimento. Inoltre un oggetto posto alla distanza di 29,0 cm ha la sua immagine alla

distanza di 16,0 cm, sempre dal piano. In base a queste informazioni si determini la

lunghezza focale dell'obiettivo.