Riassunto Manuale Di Psicologia Cognitiva 2

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  • 8/20/2019 Riassunto Manuale Di Psicologia Cognitiva 2

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    OPsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della PsicologiaAppunti d’esame, tesi di laurea, articoli, forum di discussione, eventi, annunci di lavoro, esame di stato, ecc…E-mail: [email protected] – Web: http://www.opsonline.itGestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma - p.iva: 07584501006

    1. PSICOLOGIA COGNITIVA

    La psicologia cognitiva tratta ed include argomenti quali l’attenzione, la percezione,l’apprendimento, la memoria, il linguaggio, le emozioni, la formazione di concetti, ilpensiero; ed è resa unitaria da un approccio basato sull’analogia tra la mente ed ilcomputer digitale.Si può affermare che sia nata nel 1956 in concomitanza di un congresso tenutosi

    presso il Massachussetts Institute of Technology (MIT).Broadbent sosteneva che gran parte dell’attività cognitiva fosse costituita da unasequenza di stadi di elaborazione. Era possibile infatti seguire lo stimolo in ingresso intutto il suo percorso, a partire dagli organi di senso fino alla sua ultima collocazionenella memoria a lungo termine mediante capitoli successivi sulla percezione,l’attenzione, la memoria a breve termine e a memoria a lungo termine.

    E’ possibile operare una distinzione tra elaborazione dal basso verso l’alto (BOTTOM UP)ed elaborazione dall’alto verso il basso  (TOP DOWN). La prima è influenzatadirettamente dallo stimolo in ingresso, mentre la seconda è influenzata dall’individuo,dalle sue aspettative e dalle sue esperienze pregresse.Alla fine degli anni ’70 quasi tutti gli psicologi cognitivi concordarono su:

    •  Gli individui sono esseri autonomi e dotati di intenzionalità che interagiscono con mondoesterno.

    •  La mente è un sistema di elaborazione di simboli con scopi generali•  Alcuni processi agiscono sui simboli, trasformandoli in altri simboli che si collegano alla fine

    con le entità del mondo esterno•  La mente è un processore a capacità limitata che presenta limiti strutturali e di risorse•  Il sistema simbolico dipende da un substrato neurologico

    Molte di queste idee derivavano dal concetto che l’attività cognitiva umana è simile alfunzionamento di un computerLa scienza cognitiva comprende la psicologia cognitiva, l’intelligenza artificiale, lalinguistica, la filosofia. Le neuroscienze e l’antropologia (ottagono)I quattro approcci fondamentali nell’ambito della psicologia cognitiva sono:

    1.   psicologia cognitiva sperimentale

    2. 

    Scienza cognitiva3.  Neuropsicologia cognitiva4.  Neuroscienza cognitiva 

    METODI EMPIRICI

    I processi e le strutture cognitive sono stati dedotti dal comportamento dei partecipantiottenuto in condizioni ben controllate.Ci sono due problemi principali:

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    •  La valutazione della velocità e dell’accuratezza della prestazione fornisce unicamenteinformazioni indirette sui processi

    •  I dati comportamentali vengono di solito raccolti nell’ambiente artificiale del laboratorioUn modo alternativo per studiare i processi cognitivi consiste nell’usare l’ introspezione,che è definita come “esame o osservazione dei propri processi mentali”; dipendedall’esperienza conscia che è personale e privata.Nisbett e Wilson sostennero che le persone non sono in genere consapevoli dei processiche influenzano il loro comportamento. Questa teoria venne convalidata dalla scopertache l’analisi introspettiva di un individuo in merito a ciò che ne determina ilcomportamento non è spesso più precisa delle semplici supposizioni in merito fatte daaltri.Ericsson e Simon proposero vari criteri per distinguere tra usi validi e non valididell’introspezione:

    •  È preferibile ottenere resoconti introspettivi durante l’esecuzione di un compito piuttostoche retrospettivamente, a causa della fallibilità della memoria

    •  È più probabile che i partecipanti producano un’analisi introspettiva accurata quandodescrivono ciò che stanno facendo piuttosto che quando viene loro chiesto di interpretare 

    •  La persone non possono utilizzare proficuamente l’analisi introspettiva in numerosi tipi diprocessi

    SCIENZA COGNITIVA

    I modelli computazionali costituiscono il punto di partenza dell’approccio della scienza

    cognitiva.Negli anni ’60 e ’70, gli psicologi cognitivi tendevano a caratterizzare le proprie teoriausando diagrammi di flusso più specifici delle descrizioni verbali, ma possono tuttaviarisultare poco soddisfacenti se non sono accompagnati da un programma codificato.Implementare una teoria sotto forma di programma è un ottimo metodo per verificareche la teoria stessa non contenga assunzioni nascoste o termini vaghi, questiprogrammi sono scritti in linguaggi di programmazione di intelligenza artificiale, disolito LISP o PROLOG.Separare gli aspetti psicologici di un programma da altri aspetti è importante, in quantoci saranno sempre parti del programma che non hanno quasi nulla a che fare con lateoria psicologica. Temi di discussione nascono a proposito della relazione tra laprestazione del programma e la prestazione dei soggetti umani.Il programma dovrebbeessere in grado di riprodurre risposte uguali a quelle date dai soggetti in presenza deglistessi stimoli.Tre tipi di modelli:

    1.  reti semantiche2.  sistemi di produzione3.  reti connessioniste

    RETI SEMANTICHE

    Una lunga tradizione filosofica sostiene che la conoscenza è costituita da legamiassociativi:

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    •  Contiguità (contemporaneamente)•  Somiglianza•  Contrasto

    Le reti semantiche hanno le seguenti caratteristiche generali:•  Concetti rappresentati da nodi collegati tra loro a formare una rete•  Legami di vario tipo: generiche specifiche o complesse•  Nodi e legami tra essi possono avere valori di attivazione che rappresentano il grado di

    somiglianza tra un concetto e l’altro•  L’apprendimento si configura come l’aggiunta di nuovi legami e nuovi nodi alla rete

    SISTEMI DI PRODUZIONE

    Sono costituiti da produzioni, ed una produzione è una regola di forma “SE…ALLORA”.ES. “Se è illuminato l’omino verde, allora attraversa la strada”.Hanno le seguenti caratteristiche:

    •  Contengono numerose regole nella forma “SE… ALLORA”•  Hanno una memoria di lavoro che contiene le informazioni•  Il sistema di produzione opera confrontando il contenuto della memoria di lavoro e la parte

    SE della regola ed eseguendo la parte ALLORA:•  Se alcune informazioni nella memoria di lavoro corrispondono alla parte SE di molte regole

    diverse, potrebbe esistere una strategia di risoluzione dei conflitti  

    RETI CONNESIONISTE

    Possono “apprendere” a generare specifiche risposte quando vengono loro presentatideterminati input.Caratteristiche:

    •  La rete è costituita da unità elementari, simili a neuroni, chiamate anche nodi•  Ogni unità può influenzare le altre inviando segnali inibitori o eccitatori•  La singola unità assume la somma pesata di tutti i legami in ingresso, e produce un unico

    valore ad un’altra unità se la somma pesata supera il valore soglia prefissato•  La rete è caratterizzata dalle proprietà delle singole unità da cui è formata•  Reti possono avere uno strato di legami di ingresso, strati intermedi(unità nascoste) ed

    uno strato di unità in uscita•  La rappresentazione di un concetto può essere conservata in modo distribuito attraverso

    una specifica configurazione di attivazione diffusa nella rete•  La stessa rete può conservare molti pattern senza che essi interferiscano l’uno con l’altro•  Regola di apprendimento nota come Backward Propagation of Errors o BackProp.

    Uno strato è formato dalle unità di ingresso che codificano uno stimolo come pattern diattivazione in quelle unità. Un altro strato è uno strato d uscita, che produce rispostecome pattern di attivazione. Quando la rete ha imparato a produrre una data rispostain uscita, è in grado di comportarsi “come” se avesse imparato una regola nella forma:Se così così ALLORA così e cosà.Le reti apprendono l’associazione tra input e output diversi modificando i pesi deilegami tra le unità di rete.

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    Una di queste regole di apprendimento è chiamata “BackPRop” e consente alla rete diapprendere ad associare una specifica configurazione in ingresso con unacorrispondente configurazione in uscita.Durante le prima fasi di apprendimento, le unità in uscita producono spesso unaconfigurazione o risposta che non è quella richiesta. BackProp mette a confronto questaconfigurazione imperfetta con la risposta richiesta che conosce. Successivamente inviaalla rete un’attivazione all’indietro, così che i pesi tra le unità vengono regolati in modotale da fornire la configurazione richiesta, fino a quando la rete non produce laconfigurazione di risposta richiesta.

    a . 

    NEUROPSI COLOGI A COGN I T I V ALa neuropsicologia cognitiva studia le prestazioni cognitive di individui portatori di unalesione cerebrale. La prestazione cognitiva è spiegata da teorie che appartengono allapsicologia cognitiva. Tali teorie dovrebbero poter spiegare, molti dei disturbi cognitividei soggetti portatori di lesioni cerebrali in termini di danni selettivi ad alcuni di questimeccanismi.Obiettivo fondamentale è la scoperta delle dissociazioni , che si verificano quando unsoggetto riesce ad eseguire normalmente un certo compito, ma la sua abilità èdanneggiata nel compierne un altro.Una doppia dissociazione  tra due compiti (1 e 2) si ha quando un soggetto eseguenormalmente un compito 1 e ad un livello ridotto il compito 2, mentre un altro soggettoesegue normalmente il compito 2 e ad livello ridotto il compito 1.Es. vedi memoria a lungo e breve termine.

    Assunti teorici:•  Il sistema cognitivo presenta modularità, nel senso che vi sono diversi processi o moduli

    cognitivi relativamente indipendenti•  Relazione tra l’organizzazione del cervello fisico e quella della mente: isomorfismo •  Lo studio dell’attività cognitiva in soggetti che hanno subito una lesione cerebrale può

    fornire molte informazioni sui processi cognitivi dei soggetti normali•  La maggior parte dei pazienti può essere classificata in termini di sindromi , ognuna delle

    quali si basa sulla presenza simultanea di una serie di sintomi.L’approccio basato sulle sindromi ci consente di mettere un certo ordine nei vari casi dipazienti con danni cerebrali che sono stati studiati assegnandoli ad un numerorelativamente ridotto di categorie. E’ anche utile per identificare quelle aree del cervelloche sono primariamente responsabili di specifiche funzioni cognitive.

    Tuttavia presenta molti problemi in quanto sopravvaluta le somiglianze tra pazientidiversi che si suppone soffrano della stessa sindrome.

    Ellis ha sostenuto che la neuropsicologia cognitiva dovrebbe procedere sulla base distudi intensivi di singoli casi, in cui i singoli pazienti vengono studiati in base adun’ampia serie di compiti; lo studio di casi singoli sarebbe in grado di verificare in modoadeguato le teorie cognitive.Tuttavia, se la stessa dissociazione viene osservata in numerosi soggetti, è menoprobabile che tutti i pazienti abbiano sistemi cognitivi atipici precedenti alla lesionecerebrale, o che tutti abbiano utilizzato strategie compensative simili.

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    Nel cervello numerosi moduli   o elaboratori cognitivi relativamente indipendenti, cosìche i danni riportati da uno dei moduli non influiscono in modo diretto sulfunzionamento degli altri. I moduli sono distinti dal punto di vista anatomico.Fodor ha identificato le seguenti peculiarità:

    •  Ciascun modulo funziona indipendentemente dal funzionamento degli altri moduli•  Ogni modulo può elaborare un solo tipo di input•  Non è possibile controllare in modo volontario il funzionamento di una singolo modulo•  I moduli sono congeniti. innati

    Isomorfismo = due entità (il cervello e la mente) hanno la stessa struttura o forma.Così, ci si aspetta che ciascun modulo abbia una diversa collocazione fisica nel cervelloIn contrasto con l’approccio connessionista, secondo il quale un processo può esseredistribuito un una vasta area del cervello

    Gli studi di casi singoli, possono fornire prove fallaci se il paziente presentava deficitcognitivi specifici prima del danno cerebrale, o se lo stesso individuo aveva sviluppatostrategie di compensazione insolite per affrontare le conseguenze del danno cerebrale.

    b .   NEUROSCI ENZA COGN I T I V A

    Churchland e Sejnowsky suggerirono: “Sarebbe utile poter capire la natura dell’attivitàcognitiva senza comprendere la natura del cervello stesso. Sfortunatamente èimpossibile.”In linea di principio, è possibile stabilire dove  nel cervello e quando  abbiano luogo

    alcuni processi cognitivi. Tali informazioni ci consentono di determinare l’ordine in cui siattivano parti diverse del cervello quando un soggetto esegue un dato compito. Ciconsentono anche di scoprire se due compiti richiedono l’attivazione delle stesse partidel cervello nello stesso modo, o se vi sono differenze importanti.Alcune tecniche forniscono informazioni sull’attività cerebrale in termini di millisecondi,mentre altre indicano l’attività cerebrale in periodi di tempo molto più lunghi, comeminuti o ore.

    REGISTRAZIONE A UNITA’ SINGOLA

    Un micro elettrodo del diametro di 1/10.000 di millimetro viene inserito nel cervello diun animale per ottenere la registrazione dei potenziali extracellulari rendendo possibilel’individuazione di scariche elettriche di un milionesimo di volt. (Hubel e Wiesel).

    E’ possibile ottenere informazioni sull’attività neuronale in uno spettro molto ampio diintervalli di tempo, a partire da una frazione di secondo fino a diverse ore o giorni,tuttavia si tratta di una tecnica invasiva.

    POTENZIALI EVENTO CORRELATI (ERPs)

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    L’elettroencefalogramma (EEG) si basa sulla registrazione dell’attività elettrica delcervello, gli elettrodi sono in gradi di rilevare minime variazioni dell’attività elettrica delcervello.

    Il problema fondamentale dell’EEG, è la presenza di un’attività cerebrale spontanea o disfondo tale da oscurare l’impatto dell’elaborazione dello stimolo sulla registrazione EEG.Una possibile soluzione consiste nel presentare lo stesso stimolo diverse volte; inseguito, il segmento di EEG viene estrapolato. Si calcola poi la media di tali segmentiEEG al fine di generare una sola forma d’onda. Questo metodo produce potenzialievento – correlati  (ERPs) dalle registrazioni EEG, e consente di distinguere gli effettiautentici della stimolazione dell’attività cerebrale di sfondo.

    Gli stimoli attesi e quelli non attesi vengono elaborati in modo diverso in una faseprecoce dell’elaborazione.

    Gli ERPs forniscono informazioni sulla durata dell’attività cerebrale, tuttavia nonindicano in modo preciso quali regioni del cervello siano maggiormente coinvoltenell’elaborazione.

    TOMOGRAFIA AD EMISSIONE DI POSITRONI (PET)

    La tecnica si basa sull’individuazione di positroni, che sono particelle atomiche emesseda alcune sostanze radioattive. Una certa quantità di liquido marcato con isotopiradioattivi viene iniettato nel corpo e si accumula rapidamente nei vasi sanguigni delcervello. Quando parte della corteccia diventa attiva, il liquido si sposta rapidamente inquella direzione. Successivamente un’apposita apparecchiatura misura i positroniemessi dal liquido radioattivo; un computer poi traduce queste informazioni in immaginidei livelli di attività delle diverse parti del cervello.

    L’attività cerebrale osservata durante la condizione di controllo viene sottratta da quellaosservata durante l’esecuzione del compito sperimentale. Si suppone che ciò consentadi identificare quelle parti del cervello che sono attive solo durante l’esecuzione delcompito.

    Svantaggi:

    •  La risoluzione temporale è molto scarsa, un periodo pari o maggiore a 60 secondi.•  fornisce solo una misura indiretta dell’attività neurale•  è una tecnica invasiva•  può essere difficile interpretare i risultati in base alla tecnica sottrattivi

    RISONANZA MAGNETICA (MRI e fMRI)

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    Le onde radio vengono usate per eccitare gli atomi del cervello. Ciò produce variazionimagnetiche che vengono rilevate da un magnete di 11 tonnellate che circonda ilpaziente. Queste variazioni vengono poi interpretate da un computer e trasformate inun’immagine tridimensionale estremamente definita dando informazioni solo sullastruttura e non sulle funzioni  del cervello.

    E’ stata applicata alla misurazione dell’attività cerebrale, risultando così nella risonanzamagnetica funzionale.

    Un limite della fMRI consiste nel fatto che essa fornisce solo una misura indiretta dell’attività neurale. Come hanno evidenziato Anderson et al. “ Con la fMRI l’attivitàneurale si riflette nelle variazioni della concentrazione relativa di emoglobina ossigenatae deossigenata nelle aree adiacenti alle zone di attivazione”. In secondo luogo essapresenta una mediocre risoluzione temporale, dell’ordine di alcuni secondi, e pertantonon è possibile valutare la durata dei processi cognitivi. Infine, si basa sulla tecnicasottrattivi, e quindi non è in grado di valutare in modo preciso l’attività cerebraledirettamente implicata nell’esecuzione di un compito sperimentale.

    MAGNETO-ENCEFALOGRAFIA (MEG)

    Prevedere l’impiego di un dispositivo superconduttore per l’interferenza dei quanti chemisura i campi magnetici prodotti dall’attività elettrica del cervello _ una misura direttadell’attività neurale corticale.

    La MEG fornisce informazioni alquanto dettagliate a livello di millisecondi sulla duratadei processi cognitivi ma è in grado di fornire informazioni strutturali o anatomiche.

    Tutte le tecniche utilizzate dai neuroscienziati cognitivi presentano vantaggi esvantaggi, e pertanto è spesso preferibile usare diverse tecniche al fine di studiare undato aspetto dell’attività cognitiva umana. Se si ottengono risultati simili con duetecniche diverse, si parla di evidenza convergente.

    2. PERCEZIONE

    Il termine “percezione” si riferisce ai modi con cui l’informazione acquisita attraverso gliorgani di senso è trasformata in esperienza di oggetti, eventi, suoni, gusti, ecc.

    Parte della complessità insita nella percezione visiva divenne evidente quando si tentòdi programmare i computer a “percepire” l’ambiente; questi richiedono unaprogrammazione estremamente complessa. La percezione è INDIRETTA, in quantodipende da numerosi processi interni. (Studiosi detti TEORICI COSTRUTTIVISTI).Gibson ha elaborato un approccio alla percezione visiva che è in apparente conflitto conla maggior parte delle teorie cognitive e computazionali. La sua è una teoria di

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    percezione DIRETTA: le informazioni fornite dall’ambiente visivo sono ragionevolmentesufficienti da permettere al soggetto di spostarsi ed interagire direttamente conl’ambiente stesso senza che sia necessario ipotizzare l’intervento di processi erappresentazioni interne. Gibson ed altri studiosi enfatizzano il ruolo che i processibottom-up giocano nella percezione. La teoria diretta di Gibson implica un approccio ditipo ecologico, considerata l’insistenza sulla necessità di studiare la percezione cosìcome essa ha luogo nel mondo reale. Inoltre, egli ha sostenuto che la percezione el’azione sono strettamente interconnesse.

    ORGANIZZAZIONE DELLE PERCEZIONI

    Gestalt da gruppo di psicologi tedeschi che emigrarono negli Stati Uniti nel periodo trale Due Guerre. Basata sulla legge di Pragnanz: “ Di numerose organizzazioni possibilidal punto di vista geometrico, si verificherà quella che possiede la forma migliore, piùsemplice e più stabile”.

    Proposero anche numerose altre leggi che derivano dallo studio di figure statichebidimensionali, per lo più.

    Enfatizzano l’importanza dell’ARTICOLAZIONE FIGURA-SFONDO nell’organizzazionepercettiva; la figura è percepita con una forma distinta mentre lo sfondo non ha forma.

    Cercarono di spiegare le leggi di organizzazione percettiva con la teoriadell’ISOMORFISMO ma le loro idee pseudo-fisiologiche non hanno avuto seguito.

    Rock e Palmer suggerirono anche : la legge della regione comune e la legge dellaconnessione.

    PERCEZIONE DELLA PROFONDITA’ E DELLE DIMENSIONI

    Uno degli elementi fondamentali della percezione visiva è il modo in cui l’immagineretinica bidimensionale viene trasformata nella percezione di un mondo tridimensionale.

    Per quanto riguarda la percezione della profondità, vi è una DISTANZA ASSOLUTA chesi riferisce alla distanza di un oggetto dall’osservatore e una DISTANZA RELATIVA chesi riferisce alla distanza tra due oggetti. Gli indizi sulla profondità disponibili anche sel’osservatore e gli oggetti sono fermi. Questi indizi possono essere classificati inmonoculari, binoculari ed oculomotori.

    INDIZI MONOCULARI

    Richiedono l’uso di un solo occhio e sono a volte chiamati INDIZI PITTORICI.

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    •  PROSPETTIVA LINEARE, linee parallele che puntano in una direzione distante da noisembrano progressivamente avvicinarsi l’una all’altra con l’aumentare della distanza. Es.binari del treno.

    •  PROSPETTIVA AEREA dove gli oggetti più lontani perdono contrasto e sembrano sfumare inqualche modo.

    •  TESSITURA o DENSITA’, gli oggetti possiedono una tessitura e gli oggetti dotati di tessiturainclinati rispetto a noi hanno quello che Gibson ha descritto come GRADIENTE DITESSITURA, i dettagli diventerebbero sempre più indistinti mano a mano che si guarda inlontananza.

    •  INTERPOSIZIONE in cui un oggetto più vicino copre alla vista parte di un oggetto piùdistante

    •  OMBREGGIATURA le superfici piatte, bidimensionali, non proiettano ombre.•  FAMILIARITA’ DELLE DIMENSIONI, è possibile usare la dimensione dell’immagine retinica

    di un oggetto per fornire una stima accurata della sua distanza, ma solo quando si conoscela reale dimensione dell’oggetto.

    •  OFFUSCAMENTO DELL’IMMAGINE, una regione di immagine contiene tessitura nitida edun’altra una tessitura sfuocata possono essere percepite a profondità diverse

    •  PARALLASSE DI MOVIMENTO si riferisce al movimento dell’immagine di un oggetto sullaretina Es. dal finestrino di un treno in movimento la velocità apparente degli oggettisembra maggiore quanto più essi sono vicini.

    INDIZI BINOCULARI ED OCULOMOTORI

    Indizi oculomotori:•  CONVERGENZA gli occhi si girano più all’interno per mettere a fuoco un oggetto quanto più

    l’oggetto è vicino. Ma sono sorte alcune controversie sull’utilità della convergenza comeindicazione della distanza perché è possibile percepire simultaneamente due motivi illusoria due apparenti diverse distanze.

    •  ACCOMODAMENTO variazioni della capacità ottica prodotta dall’ispessimento del cristallinoquando mette a fuoco un oggetto vicino. Ha un’utilità limitata.

    Indizi binoculari:

    •  VISIONE STEREOSCOPICA dipende dalle differenze nelle immagini prodotte sulla retina deidue occhi produce un effetto di profondità. Bisogna stabilire delle CORRISPONDENZE tra leinformazioni presentate ad un occhio e quelle presentate all’altro occhio.

    In quasi tutte le teorie sulla visione stereoscopica possono essere importanti anche ifattori cognitivi. L’informazione stereoscopica è ignorata a favore delle attese basatesulle esperienze precedenti.

    Se due indizi di profondità ci forniscono informazioni contrastanti, queste devono esserecombinate tra loro, ma ad alcune viene attribuito maggior peso rispetto ad altre.

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    La COSTANZA DELLA DIMENSIONE è la tendenza i qualsiasi oggetto ad apparire dellastessa dimensione, indipendente dal fatto che la sua dimensione nell’immagine retinicasia grande o piccola. Es. guardando qualcuno che cammina verso di noi.

    Lo studio di Brunswick presenta un problema potenziale. Non è chiaro se le dimensionidegli oggetti stimate riflettessero ciò che si vedeva realmente o ciò che sapeva di dovervedere. Mostriamo costanza di dimensioni perché quando valutiamo le dimensioni di unoggetto, prendiamo in considerazione la sua distanza apparente. Es. oggetto grandeanche se sua immagine retinica molto piccola; non altrettanto evidente quando siosservano edifici dall’alto da un aereo.

    Questi concetti fanno parte dell’ipotesi dell’invariabilità dimensione/distanza secondocui per una data dimensione di immagine retinica, la dimensione percepita di unoggetto è proporzionale alla distanza percepita.

    Se la valutazione delle dimensioni dipende dalla distanza percepita, allora non sidovrebbe riscontrare costanza di dimensione quando la distanza percepita di un oggettoè molto diversa dalla distanza reale. Es. La stanza di Ames.

    Dimensione lineare percepita = quella che sembra la dimensione reale di un oggetto

    Dimensione angolare percepita = la dimensione apparente dell’oggetto sulla retina.

    L’ipotesi di invariabilità dimensione/distanza è maggiormente applicabile alla stima delladimensione lineare che a quella della dimensione angolare. Possiamo usare leinformazioni sulla familiarità delle dimensioni per valutare in modo preciso ladimensione di un oggetto. Anche l’orizzonte è talvolta usato nella dimensione. Lacostanza della dimensione dipende da vari fattori, inclusi la distanza percepita, lafamiliarità di dimensione, l’orizzonte e così via.

    SISTEMI CEREBRALI

    Per comprendere la percezione visiva, è utile considerare alcuni dei sistemi cerebraliprincipali. La maggior parte delle cellule gangliari nella retina dei primati sono cellule M(=magnocellulari) o P (=parvocellulari). Gli assoni di queste cellule gangliari concorronoa formare il nervo ottico che si proietta al nucleo genicolato laterale (NGL). Questo èorganizzato in sei strati, ognuno dei quali riceve l’input da un occhio. Sono stateottenute indicazioni su funzioni del nucleo genicolato laterale: le lesioni del magnodeteriorarono la rilevazione dei movimenti, mentre le lesioni del parvo produsseroperdita della capacità di percepire i colori, tessiture fini ed oggetti dettagliati.

    I neuroni degli strati P e M di proiettano principalmente nella corteccia visiva primaria oV1. I percorsi P e M non sono completamente separati; esistono prove convincenti delfatto che il percorso P ha due divisioni. Quando la citocromo ossidasi viene applicataalla superficie di V1, diviene concentrata in aree di attività metabolica elevata. Le areeassociate ad attività metabolica elevata cono chiamate BLOBS, mentre quelle associate

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    a scarsa attività sono chiamate INTERBLOBS. Queste aree corrispondono a divisionidistinte all’interno del percorso P. Le cellule dei tre percorsi rispondono fortemente alcontrasto. Le cellule del percorso M rispondono in modo notevole anche al movimento,quelle delle regioni blob del percorso P al colore, e quelle delle regioni interblob allalocalizzazione ed all’orientamento.

    Nell’area V2 sembrano esservi le strisce spesse rappresentano la continuazione delpercorso M, le strisce sottili la continuazione del percorso P blob e le interstrisceun’estensione del percorso P interblob. Il percorso parietale si interessaprevalentemente dell’elaborazione del movimento, mentre il percorso temporale siinteressa dell’elaborazione del colore e della forma.

    L’importanza dell’area V1 è dimostrata dal fatto che lesioni riportate in qualsiasi puntodel percorso a partire dalla retina conducono a cecità assoluta all’interno della porzioneinteressata di V1.

    Ipotesi di Zeki è che i colori, le forme ed il movimento, vengono elaborati in partianatomiche distinte della corteccia visiva.

    BLINDSIGHT

    Malgrado tale perdita di visione consapevole, alcuni di questi pazienti sono in grado diformulare giudizi accurati e discriminare gli stimoli visivi loro presentati in questa areacieca. Si dice che questi pazienti presentano una visione cieca o “BLINDSIGHT”.DB era in grado di stabilire se uno stimolo era stato presentato nell’area cieca, edindicarne anche la localizzazione – non consapevole di possedere un’esperienza visivaconsapevole – consapevolezza apatica, sensazione che stia accadendo qualcosa, anchese non si tratta della normale azione del “vedere”. La sua velocità di reazione ad unostimolo luminoso presentato alla parte integra del campo visivo risultava rallentataquando uno stimolo luminoso veniva presentato contemporaneamente all’area cieca.Una possibilità consiste nell’ipotizzare che vi sia un percorso “veloce” che procededirettamente verso V5 senza attraversare l’area V1. I pazienti con blindsight potrebberousare questo percorso anche in presenza di una totale distruzione dell’area V1.

    PROBLEMA DEL BINDING (del legame)

    Le informazioni relative al movimento, al colore, alla forma di un oggetto, devonoessere combinate tra loro; queste vengono probabilmente integrate o combinate inun’area corticale integrativa successiva più elevata.

    i.  TEORIE COSTRUTTIVISTE

    Le INFERENZE INCONSCE aggiungono significato alle informazioni di tipo sensoriale.Sono dette inconsce poiché non abbiamo alcuna consapevolezza di stare elaborandodelle inferenze. Secondo l’approccio costruttivista la percezione è condizionata daipotesi e da aspettative che possono talvolta essere sbagliate, pertanto è soggetta aderrori.

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    Es. sperimentale dei possibili trabocchetti:i soggetti si aspettavano di vedere delle carte da gioco convenzionali, ma alcune dellecarte usate erano incongruenti _ cuori neri_ i soggetti dicevano di avere visto dellecarte di cuori marrone o porpora. In questo caso si ha letteralmente una mescolanzatra le informazioni derivanti dallo stimolo presentato con le informazioni che invecefanno parte della conoscenza generale.

    (ESPERIMENTO DI BRUNER  _ simbolo dollaro / svastica)

    ILLUSIONI OTTICHE

    Secondo Gregory molte delle illusioni ottiche classiche possono essere spiegateassumendo che conoscenze derivate dalla percezione degli oggetti tridimensionalivengano applicate in modo inadeguato alla percezione delle immagini bidimensionali.La costanza delle dimensioni è in contrasto con la dimensione dell’immagine retinica;Gregory afferma che questo tipo di elaborazioni percettive, qualora siano applicateerroneamente, possano generare illusioni ottiche; ha sostenuto che immagini di Muller-Lyer vengono trattate come oggetti tridimensionali. (Es. quando vengono presentate inuna stanza buia sotto forma di disegni luminosi).Tuttavia, l’ipotesi non è corretta, questa illusione può essere ottenuta anche quando itratti obliqui delle figure vengono sostituiti da altre figure; secondo Matlin e Foleyquesti risultati convalidano la teoria del confronto inesatto, secondo la quale lepercezioni come illusioni ottiche sono influenzate dal fatto che alcune parti delle figurenon vengono analizzate.

    E’ possibile ridurre o eliminare del tutto molte illusioni ottiche quando i partecipanti allostudio possono interagire in qualche modo con la figura. L’effetto dell’illusione risultavatrascurabile in relazione al movimento delle mani.

    Limiti dell’approccio costruttivista:1.  La percezione è spesso fallace, mentre in realtà la nostra percezione è generalmente

    adeguata. E’ probabile l’ambiente fornisca un numero molto più elevato di informazionirispetto ai “frammenti di dati” ipotizzati dai costruttivisti

    2.  Molti degli esperimenti condotti dagli studiosi costruttivisti sono stati realizzati utilizzandostimoli artificiali o non naturali.

    3.  Non è sempre chiaro quali ipotesi potrebbero essere formulate dagli osservatori (Ames)4.  Gli studiosi non sono riusciti a fornire spiegazioni soddisfacenti della maggior parte delle

    illusioni ottiche.

    PERCEZIONE DIRETTA

    Gibson ha definito la sua teoria un approccio ecologico, per sottolineare che la funzioneprimaria della percezione consiste nel promuovere l’interazione tra l’individuo el’ambiente che lo circonda. Ritiene che:

    •  La configurazione di stimolazioni luminose che raggiunge l’occhio è un ordinamento ottico econtiene tutte le informazioni visive dell’ambiente esterno raggiungono l’occhio.

    •  Queste informazioni arrivano in molte forme diverse, compresi il gradiente di tessitura, leconfigurazioni di flusso ottico e l’affordance

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    •  L’atto percettivo è la raccolta delle informazioni fornite in modo diretto dell’ordinamentoottico per mezzo del processo della risonanza

    Evidenziò la configurazione di flusso ottico che può essere illustrata immaginando unpilota d’aereo che si avvicina alla pista di atterraggio. Il punto verso il quale il pilota sista dirigendo (focus di espansione) è apparentemente immobile, mentre il resto delcampo visivo sembra allontanarsi da questo punto. Un cambiamento al centro del flussoindica che c’è stata una variazione di direzione dell’aereo.La configurazione di flusso ottico e la densità del gradiente di tessitura sono alcunedelle informazioni che forniscono all’osservatore una visione non ambiguadell’organizzazione spaziale dell’ambiente.

    AFFORDANCE

    Gibson sostiene che tutti gli usi potenziali degli oggetti( affordance) sono direttamentepercepibili. Ad esempio, una scala a pioli offre la possibilità della salita o della discesa.La maggior parte degli oggetti offre più di una possibilità e la particolare possibilità cheinfluenza il comportamento dipende dalla situazione psicologica in cui si trova ilsoggetto. Gibson ipotizza che gran parte dell’apprendimento percettivo abbia avutoluogo nel corso della storia dell’umanità e pertanto non è necessario che esso siverifichi durante la vita di un individuo. Tuttavia, è necessario apprendere quali offertedi possibilità siano in grado di raggiungere particolari risultati.

    R I SONANZA

    I soggetti possono cogliere le informazioni dell’ambiente circostante in modorelativamente automatico, se sintonizzati correttamente. Un danno di una parte delcircuito ne impedisce il funzionamento.

    Le teorie di Gibson hanno avuto un forte impatto a livello filosofico: “Le parole “animale” e “ambiente” formano una coppia inseparabile.”Ha ragione nel sostenere che la percezione non accurata spesso dipende dal riferimentoa situazioni estremamente artificiali, tuttavia alcune illusioni ottiche generano effettisimili a quelli che si possono osservare nella percezione normale, ad esempio l’illusioneverticale-orizzontale.Inoltre l’approccio teorico di Gibson si applica maggiormente ad alcuni aspettiparticolari della percezione piuttosto che ad altri; a tale proposito può essere utile la

    distinzione tra “vedere” (approccio di Gibson) e “interpretare come”.

    ii.  INTEGRAZIONE TEORICA

    La percezione visiva è probabilmente dominata soprattutto dai processi bottom-upquando le condizioni di percezione sono buone, ma implica processi top-down quando lecondizioni di osservazione sono insoddisfacenti.I sostenitori delle teoria della percezione indiretta sostengono che:

    •  La percezione implica la formazione di una rappresentazione interna•  La memoria, considerata come la conoscenza, sia di fondamentale importanza nei

    fenomeni percettivi

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    •  Ci sia la necessità di comprendere l’interdipendenza delle elaborazioni percettive a livellidifferenti.

    Via VENTRALE di elaborazione maggiormente coinvolta nella percezione finalizzata alriconoscimentoVia DORSALE maggiormente coinvolta nella percezione finalizzata all’azione (enfatizzatada Gibson).La percezione finalizzata a qualsivoglia scopo è in genere basata su entrambi i tipi dielaborazione, sono interconnessi.Ad esempio, le illusioni ottiche si evidenziano quando il compito implica il sistemaventrale di percezione finalizzata al riconoscimento e si riducono considerevolmentequando il compito implica il sistema dorsale di percezione finalizzato all’azione.

    L’approccio di Marr e di Gibson non si escludono a vicenda, piuttosto sonocomplementari.

    I SISTEMI “COSA” E “DOVE”

    La visione è utilizzata per due scopi fondamentali: la percezione dell’oggetto (che cosaè?) e la percezione spaziale (dove è?); sistemi cerebrali diversi sono preposti aciascuna funzione:Via ventrale _ corteccia temporale inferiore _ nella percezione degli oggetti.Via dorsale _ corteccia parietale posteriore _ nella percezione spaziale.Alcune delle prove più convincenti derivano dallo studio di pazienti cerebrolesi. Era

    stata postulata una doppia dissociazione: alcuni pazienti avrebbero presentato unavisione per la percezione del tutto integra, ma una visione gravemente danneggiata perl’azione, ed altri avrebbero mostrato uno schema completamente opposto.La doppia dissociazione si riferisce in parte a pazienti affetti da atassia ottica (lesionenella corteccia parietale), i quali incontravano gravi difficoltà nel ruotare in modoadeguato le mani quando veniva loro assegnato il compito di stenderle in avanti einserirle in un’ampia fessura posta di fronte.La doppia dissociazione riguarda anche i soggetti affetti da agnosia visiva, unacondizione patologica che causa una grave compromissione della facoltà diriconoscimento degli oggetti.Es. DF non era in grado di individuare, tra i tanti presentati, alcun disegno raffiguranteoggetti di uso comune; tuttavia, DF incontrava poche difficoltà in attività quotidiane. La

    sua via ventrale è gravemente compromessa e / o disconnessa.Tre filoni:

    1.  Comunemente, le posizioni teoriche sulla visione ipotizzano in modo implicito che il fine delsistema visivo sia costruire una sorta di modello interno del mondo esterno. Pertanto ènormale occuparsi della visione finalizzata alla percezione.

    2.  Molte illusioni ottiche hanno luogo a causa dell’elaborazione dell’input visivo da parte delsistema ventrale. Il sistema dorsale non è in genere ingannato da tali illusioni ottiche.

    3.  La visione finalizzata all’azione usa rappresentazioni di breve durata che dipendono dalpunto di osservazione. Viceversa, la visione finalizzata alla percezione usa rappresentazionidi lunga durata, cioè che si basano sulle conoscenza pregresse.

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    3.RICONOSCIMENTO DI OGGETTIE’ possibile comprendere la complessità del riconoscimento di oggetti se si consideraalcuni dei processi coinvolti. Innanzitutto, nell’ambiente visivo di solito vi sononumerosi e differenti oggetti sovrapposti e dobbiamo in qualche modo stabilire dove unoggetto finisce e ne comincia un altro.Poi, gli oggetti possono essere riconosciuti con precisione in un ampio spettro didistanze e di orientamento visivi.Infine, riconosciamo che un oggetto è, ad esempio, una sedia senza alcuna apparentedifficoltà. Tuttavia le sedie variano enormemente nelle loro proprietà visive.

    iii.  RICONOSCIMENTO DI CONFIGURAZIONI

    E’ opportuno iniziare prendendo in esame i processi coinvolti nel riconoscimento dioggetti bidimensionali:

    1.  TEORIE DELLE SAGOMEL’assunto fondamentale alla base delle teorie delle sagome è che esiste una copia inminiatura (o sagoma) immagazzinata nella memoria a lungo termine che corrisponde aciascuna configurazione visiva che conosciamo. E’ molto semplice, ma non molto

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    realistica, considerato l’enorme numero di stimoli visivi che possono combinarsi con lastessa sagoma. Si potrebbe ovviare supponendo che lo stimolo visivo subisca unprocesso di normalizzazione (producendo cioè una rappresentazione interna in unaposizione e dimensione standard).Si potrebbe inoltre supporre l’esistenza di più sagome corrispondenti a ciascuna letteree a ciascun simbolo numerico.I loro limiti appaiono evidenti soprattutto quando lo stimolo appartiene ad unacategoria mal definita, una categoria per la quale una singola sagoma non sarebbesufficiente (edificio).

    2.  TEORIE DELLE CARATTERISTICHESecondo le teorie delle caratteristiche, una configurazione è costituita da una serie diattributi specifici o caratteristiche. Si presume che il processo di riconoscimento dellaconfigurazione inizi con l’estrapolazione delle caratteristiche dallo stimolo visivopresentato, le quali vengono combinate e confrontate con le informazioniimmagazzinate nella memoria.

    Evidenze sperimentaliQueste teorie si basano sull’assunto che l’elaborazione visiva proceda dall’analisidettagliata di una configurazione o di un oggetto ad un’analisi generale o globale.Esistono tuttavia delle prove sperimentali che suggeriscono che spesso l’elaborazioneglobale precede quella più specifica:Ai partecipanti veniva chiesto di decidere se la lettera in questione era una H o una S ose le lettere piccole erano delle H o delle S. la velocità di risposta diminuiva quando lalettera grande era diversa dalle lettere piccole. Kinchla e Wolfe scoprirono che, quando

    la lettera globale era molto grande, l’individuazione delle lettere piccole precedevaquella della lettera grande; conclusero quindi che l’elaborazione globale precedel’elaborazione più dettagliata quando la struttura globale di una configurazione o di unoggetto può essere individuata con un solo sguardo.

    Neuroscienza cognitivaL’esistenza di cellule specializzate nella risposta a specifici aspetti degli stimoli visivipuò essere congruente con le teoria delle caratteristiche, ma NON ne dimostra lavalidità.Molte cellule dei gangli retinici, le cellule genicolate laterali e le cellule del IV stratodella corteccia visiva primaria possono essere divise in

    •  cellule on centre  producono la risposta “on” ad una luce localizzata al centro del lorocampo recettivo, ed una risposta “off” ad una luce localizzata nell’area periferica

    • 

    cellule off centre

     hanno un comportamento esattamente opposto.Hubel e Diesel scoprirono l’esistenza di due tipi di neuroni nei campi recettivi dellacorteccia visiva primaria: le cellule semplici e le cellule complesse (forse anche quelleipercomplesse).Sostengono inoltre che l’elaborazione nella corteccia visitasi basa su linee diritte emargini. Un’ipotesi alternativa suggerisce l’esistenza di reticoli, che sono configurazionicostituite dall’alternanza di barre luminose e barre scure. Rivestono particolareimportanza i reticoli sinusoidali, in cui vi sono graduali variazioni di intensità tra barreadiacenti. Hanno quattro proprietà:

    1.  Frequenza spaziale, distanza tra barre da rappresentazione su retina2.  Contrasto

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    3.  Orientamento4.  Fase spaziale, posizione del reticolo

    Ricerche successive hanno dimostrato che la maggior parte delle cellule della cortecciavisiva primaria sono più responsive a reticoli sinusoidali che a linee o margini.L’importanza attribuita alla frequenza spaziale ha portato allo sviluppo della funzione disensibilità al contrasto, che indica l’abilità di un soggetto a individuare “oggettibersaglio” con frequenze spaziali varie.Ginsburg, Evans, Sekuler e Harp hanno scoperto nel loro studio, che i piloti chepresentavano più elevata sensibilità al contrasto vedevano che la pista era bloccata dauna distanza maggiore rispetto ai piloti la cui sensibilità al contrasto era inferiore.Nello studio di Harvey, Roberts e Gervais si evince che i soggetti non confondevanoalcune lettere che avevano in comune alcune caratteristiche; al contrario, tendevano aconfondere le lettere con frequenze spaziali simili. Per questo la frequenza spaziale èpiù importante delle caratteristiche nella rappresentazione delle lettere all’interno delsistema visivo.

    CommentoLe teorie delle caratteristiche sottovalutano gli effetti del contesto e delle aspettativesul riconoscimento di configurazioni, il quale non dipende unicamente dall’insieme dellecaratteristiche di uno stimolo ma è necessario considerare anche le relazioni tra le variecaratteristica (A = \ / - ). Inoltre l’elaborazione globale spesso precede l’elaborazionedelle caratteristiche.

    LA TEORIA COMPUTAZIONALE DI MARR

    Marr ha proposto una teoria computazionale dei processi implicati nel riconoscimento dioggetti. Egli ha suggerito l’esistenza di tre tipi fondamentali di rappresentazioni:

    1.  L’abbozzo primarioIndividua l’abbozzo primario grezzo e l’abbozzo primario completo. Entrambirappresentano l’immagine come un insieme di simboli.

    L’abbozzo primario grezzo contiene informazioni sulle variazioni di intensità luminosadella scena visiva le quali sono spesso ingannevoli; per cui è costituito da quella che ènota come rappresentazione della scala dei grigi dell’immagine retinica; la scala si basasu ciascuna piccolissima area dell’immagine (Pixel) sulla quale l’intensità luminosa chesi riflette fluttua continuamente e quindi esiste il pericolo che la rappresentazione dellascala dei grigi risulti distorta da queste fluttuazioni momentanee. Per ovviare a taleinconveniente si calcola la media del valori di intensità luminosa di pixel adiacenti. Latradizione assume che si formino numerose rappresentazioni dell’immagine, ognunadelle quali con un diverso livello di “oscuramento”. Le informazioni derivanti da talirappresentazioni vengono poi combinate e formano l’abbozzo primario grezzo.

    L’abbozzo primario completo. Dal momento che le informazioni contenute nell’abbozzoprimario grezzo sono ambigue e congruenti con numerose strutture, Marr scoprì cheera utile usare due principi generali:

    il principio della denominazione esplicita secondo il quale è utile attribuire un nome oun simbolo ad un insieme di elementi raggruppati perché è possibile usareripetutamente quel nome per descrivere altri insiemi;

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    il principio del minor obbligo secondo il quale le ambiguità vengono risolte solo quandovi sono evidenze convincenti sulla soluzione più opportuna.

    2.  L’abbozzo 2.5-DLa trasformazione nell’abbozzo 2.5-D prevede vari stadi. Il primo stadio implica lacostruzione di una mappa delle distanze (info sulla profondità delle immagini in unascena). Successivamente si ottengono descrizioni al livello più elevato combinandol’ombreggiatura, il movimento, l’aspetto della superficie, la forma e la disparitàbinoculare.

    3.  Il modello 3-DLa rappresentazione di un oggetto varia considerevolmente a seconda dell’angolazioneda cui esso viene osservato. Marr e Nishihara suggerirono, quali unità primitive per ladescrizione degli oggetti, forme cilindriche con un asse principale, organizzate in modogerarchico, nel senso che le unità di livello più basso forniscono informazioni in meritoalla forma degli oggetti, mentre le unità di livello più elevato forniscono informazioni piùdettagliate perché è di solito facile stabilire quali sono gli assi principali di un oggettoindipendente dall’angolo di osservazione. (Es. la figura umana scomposta in serie dicilindri a diversi livelli di organizzazione).

    Essi ritengono che il riconoscimento di oggetti implica il confronto tra larappresentazione del modello 3-D e una serie di rappresentazioni immagazzinate nellamemoria. A tal fine, le concavità vengono identificate per prime e vengono usate perdividere l’immagine visiva in segmenti, individuandone, infine, l’asse principale.

    TEORIA DEL RICONOSCIMENTO PER COMPONENTI DI BIEDERMAN (AmpliaMarr)

    L’assunto centrale è che gli oggetti sono costituiti da forme di base note come “geoni”(ioni geometrici). Questi vengono confrontati con le rappresentazioni di oggettiimmagazzinate nella memoria, o con modelli strutturali contenenti informazioni sullanatura dei relativi geoni.

    Essi vengono estrapolati nel modo seguente: Estrapolazione dei loro margini; decisionedel frazionamento dell’oggetto visivo per stabilire il numero delle parti che locompongono; scegliere l’informazione relativa ai margini che possieda la fondamentalecaratteristica di rimanere immutata indipendentemente dall’angolo di osservazione.

    Proprietà dei margini sono: curvatura; linee parallele; co-terminazione; co-linearità.

    Una parte importante è quello che egli definisce il principio di “non casualità”, secondoil quale le regolarità nell’immagine visiva riflettono regolarità reali, nel mondo reale, enon dipendono da caratteristiche casuali di un determinato punto di osservazione.Questo principio facilita il riconoscimento di oggetti, ma induce occasionalmente aderrore.

    Tuttavia, in genere, noi siamo in grado di riconoscere oggetti anche quando lecondizioni sono sub-ottimali; i motivi di tale fenomeno sono i seguenti: le proprietà

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    invarianti possono essere individuate anche quando è possibile osservare solo parte deimargini; esistono dei meccanismi che consentono di colmare le parti mancanti; sonodisponibili numerose informazioni accessorie per il riconoscimento di oggetti complessi,identificati anche quando manca parte dei geoni.Affrontare il  problema del collegamento, ad esempio, quando vengono presentaticontemporaneamente diversi oggetti e bisogna stabilire quali caratteristiche o qualigeoni appartengono a quali oggetti.

    Evidenze sperimentaliBiederman, Ju e Clipper hanno condotto uno studio teso a verificare il concetto secondoil quale è possibile individuare oggetti complessi anche quando mancano alcune parti, o

    geoni. Il riconoscimento degli oggetti risultava molto più complesso quando era omessaparte del contorno in grado di fornire informazioni sulle aree concave. Secondo la teoriadi Biederman, il riconoscimento di oggetti dipende dalle informazioni relative ai marginipiuttosto che dalle informazioni relative alla superficie. Joseph e Proffit hannosottolineato che i risultati di molti studi dimostrano che il colore non facilita ilriconoscimento di oggetti, specialmente gli oggetti che hanno un colore caratteristico;la conoscenza del colore può essere più importante della  percezione del colore stessonel riconoscimento di oggetti.

    CommentoMolte teorie del riconoscimento di oggetti, ipotizzano che esso dipenda da una serie diprocessi, quali:

    •  Codifica dei margini•  Codifica in caratteristiche di ordine più elevato•  Confronto con la memoria•  Accesso alla conoscenza semantica

    Presentano anche dei limiti, ad esempio risultano convincenti quando vengono applicatead oggetti che hanno parti costitutive relativamente facili da identificare.Sanocki dice che è più probabile che il processo di estrapolazione dei margini induca unriconoscimento preciso di oggetti quando gli oggetti sono presentati nel contesto piùappropriato.In ogni caso, le teorie proposte sono in grado di spiegare solo distinzioni percettivealquanto grossolane, ad esempio, vengono usati gli stessi geoni per descrivere qualsiasitazza ma noi siamo in grado di distinguere con facilità quella che usiamo abitualmente;

    le teorie non hanno attribuito grande importanza al ruolo svolto dal contesto nelriconoscimento di oggetti.

    TEORIE DIPENDENTI E INDIPENDENTI DAL PUNTO DI VISTA

    Le teorie del riconoscimento di oggetti possono essere classificate in:

    1.  Teorie che non dipendono dal punto di vista   ipotizzano in genere che ilriconoscimento di oggetti si basi su rappresentazioni tridimensionali degli oggettiimmagazzinate nella memoria. Più importanti quando il compito assegnato implica lasemplice distinzione tra categorie.

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    2.  Teorie che dipendono dal punto di vista  suggeriscono spesso che il riconoscimento dioggetti implichi rappresentazioni bidimensionali multiple immagazzinate nella memoria.Più importanti quando il compito richiede la distinzione sottile all’interno di unacategoria.

    iv.  NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA

     Agnosia visiva è una condizione in cui i pazienti presentano una grave compromissionedella facoltà di riconoscimento di oggetti, malgrado il fatto che le informazioni visiveraggiungono la corteccia. Inoltre, essi sono in grado di riconoscere gli oggetti usandoaltre modalità sensoriali. E’ possibile distinguere due forme di agnosia visiva:

    1. 

    Agnosia appercettivaI due test comunemente usati per valutare l’agnosia appercettiva sono il testdell’immagine di Gollin ed il compito delle lettere incomplete.Nel primo, ai partecipanti viene presentata una serie di schizzi via via più completi  ipazienti hanno bisogno di disegni più completi rispetto ai soggetti normali.Il secondo compito implica la presentazione delle lettere in forma frammentaria, aisoggetti viene poi chiesto di riconoscerle  la prestazione dei pazienti è inferiore aquella dei soggetti normali.

    Warrington e Taylor hanno sostenuto che il problema fondamentale è l’incapacità diottenere la costanza dell’oggetto, che implica la capacità di identificare gli oggettiindipendentemente dalle condizioni di visione. Ottennero evidenze ancora più drastiche

    quando presentarono contemporaneamente ai pazienti coppie di fotografie, e chieseroloro di stabilire se le due fotografie rappresentavano lo stesso oggetto; i pazientitrovavano difficile identificare un oggetto mostrato da una visuale insolita, quando cioèl’oggetto è mostrato in una prospettiva che rende difficile la determinazione del suoasse principale, o perché una caratteristica distintiva dell’oggetto è nascosta alla vista.

    2.  Agnosia associativaI pazienti incontrano difficoltà nella denominazione degli oggetti, ma riesconoabbastanza bene ad associare oggetti che non sono in grado di denominare. Alcunipazienti, presentano il fenomeno della specificità di categoria, cioè incontranoparticolari difficoltà nel riconoscere alcune categorie di oggetti; ad esempio, JBRincontrava difficoltà nell’identificazione di immagini di esseri viventi ma esistono anchepazienti la cui prestazione è considerevolmente peggiore nel caso di disegni raffigurantioggetti. Le maggiori difficoltà incontrate nel riconoscimento di esseri animati possonoessere spiegate ipotizzando che le immagini raffiguranti esseri viventi sono più similil’una all’altra.

    Ma non si spiega perché alcuni pazienti presentino maggiori difficoltà nelriconoscimento di esseri inanimati. E’ possibile che differenti aree cerebrali contenganoalmeno parte della conoscenza semantica usata nel riconoscimento di esseri viventi e dioggetti inanimati.

    HJA non era in grado di riconoscere quasi nessun oggetto ma riusciva a disegnare conprecisione alcuni oggetti che non era in grado di riconoscere. I suoi problemi percettivi

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    sembravano concentrarsi sul fatto che incontrava particolari difficoltà di integrazionedelle informazioni visive relative a parti degli oggetti al fine di riconoscerli.

    Humprey e Riddock suppongono che il riconoscimento visivo degli oggetti implica unaserie di fasi: la codifica delle caratteristiche, l’accesso alle descrizioni strutturalidell’oggetto immagazzinato nella memoria, e l’accesso alla conoscenza semantica suglioggetti. E’ possibile che, a causa della compromissione di una di queste fasi, siincontrino difficoltà nel riconoscimento visivo degli oggetti. Tale posizione è piùcomplessa ma più realistica della semplice distinzione tra agnosia appercettiva eagnosia associativa.

    L’afasia ottica è una condizione in cui i pazienti presentano problemi particolari neldenominare oggetti presentati visivamente anche quando gli stessi oggetti possonoessere denominati quando vengono toccati con le mani. I pazienti hanno la capacità dimimare l’uso adeguato di ossetti presentati visivamente e che non riescono adenominare.

    Nell’afasia ottica la lesione del corpo calloso è più estesa che non nell’agnosia visiva.

    L’ anomia specifica per categoria è una condizione in cui vi è una difficoltà selettiva nelladenominazione di alcune categorie di oggetti.

    SCIENZA COGNITIVA

    Il fine è simulare gli effetti delle lesioni cerebrali al sistema percettivo umano.Prenderemo in esame due di tali modelli: il primo è stato danneggiato in modo tale dasimulare gli effetti dell’agnosia visiva; l’altro è stato danneggiato in modo tale dasimulare gli effetti di vari disturbi percettivi umani.

    1.  IL MODELLO DI FARAH E McCLELLAND

    Hanno elaborato un modello computazionale basato su di una rete connessionista. Il modello ècostituito da due sistemi di input periferico (visivo e verbale) collegati da un sistemasemantico; la denominazione degli oggetti implica un passaggio di informazioni dal sistemavisivo al sistema semantico e quindi al sistema verbale.

    Il sistema semantico è diviso in unità visive e funzionali, o unità semantiche. Il numero delleprime è tre volte superiore a quello delle seconde, ( supposto perché ai soggetti partecipantiallo studio venne chiesto di classificare i relativi elementi descrittivi come visivi o funzionali;tutti gli elementi vennero classificati come “visivi” in una percentuale tre volte superiore aquella relativa agli elementi “funzionali”).

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    Le unità visive possiedono informazioni sulle caratteristiche visive degli oggetti mentre le unitàfunzionali possiedono informazioni semantiche sull’utilizzo degli oggetti.

    Successivamente Farah e McClelland simularono gli effetti dell’agnosia associativa mediante “lesioni” al sistema semantico, il che implicava la disattivazione di alcune unità semantiche. Idanni causavano conseguenze molto più gravi nel riconoscimento di esseri viventi che nelriconoscimento di oggetti inanimati.

    Commento

    I processi implicati nel riconoscimento di oggetti sono più complessi di quanto suggerito dalmodello. Inoltre, non è chiara l’organizzazione del sistema semantico in sottosistemi visivi e

    funzionali. Secondo Damasio “il recupero anomalo di parole indicanti persone era correlato aduna lesione localizzata nel polo temporale sinistro; il recupero anomalo di parole indicantianimali era correlato ad una lesione della regione infero-temporale, e quello di parole indicantioggetti ad una lesione della regione postero-laterale”; è certo che nel riconoscimento dioggetti siano implicate anche numerose altre aree del cervello.

    Un ulteriore problema sta nel fatto che secondo il modello, le unità visive e percettive delsistema semantico sono collegate le une alle altre. Ne consegue che i pazienti con grvecompromissione della memoria visiva degli oggetti dovrebbero presentare anche una scarsamemoria delle informazioni funzionali.

    2.  IL MODELLO DI HUMPHREYS ET AL. (1995)Hanno elaborato un modello interattivocce include insiemi di unità di quattro tipi:

    •  Descrizioni strutturali degli oggetti immagazzinate nella memoria•  Rappresentazioni semantiche•  Rappresentazioni del nome•  Unità di ordine più elevato o etichette di categoria.

    (Vedi grafico)

    Si ipotizza che gli esseri viventi siano più simili nell’aspetto esteriore ad altrimembri della

    stessa categoria rispetto a quanto accade agli oggetti inanimati.

    Evidenze sperimentali

    La similitudine tra esseri viventi causa una maggiore attivazione di rappresentazioni strutturalie del nome non pertinenti, il che impedisce la denominazione degli esseri viventi e rallenta larelativa velocità di risposta. Di contro, aumenta l’attivazione dell’etichetta di categoriaadeguata, e quindi rende più rapida la classificazione.

    I soggetti con agnosia associativa presentano maggiori difficoltà nell’identificazione degli esseriviventi. Quando il modello venne “danneggiato” in vari punti, la sua capacità di denominare glioggetti, e specialmente gli esseri viventi, risultò ridotta.

    Commento

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    Il modello costituisce uno sviluppo del modello di Farah e McClelland, elaborato solo persimulare la prestazione dei pazienti affetti da disturbi della vista.

    Ellis e Humprheys sostengono che “gli effetti possono essere chiariti se la lesione non è globalema più selettiva, e riguarda le unità immagazzinate nella memoria ed i collegamenti per lerappresentazioni di oggetti inanimati piuttosto che gli esseri viventi.

    3.  TEORIA GENERALE DELLA VISIONE AD ALTRO LIVELLOElaborazione visiva che implica l’uso di informazioni immagazzinate in precedenza nellamemoria. Per elaborare la teoria è stato costruito un modello di simulazione al computer. Ilpunto di partenza sono informazioni simili a quelle dell’abbozzo 2.5-D di Marr come margini,profondità e orientamento, che vengono trasmesse al buffer visivo. La quantità di informazionidisponibili nel buffer visivo è maggiore di quella che può essere trasmessa alle fasi successivedell’elaborazione visiva e quindi, è necessaria una finestra attenzionale.

    La codifica delle informazioni relative agli oggetti (che cosa) e quella delle informazioni spaziali(dove) avvengono in sottosistemi diversi.

    Il sottosistema della memoria associativa è responsabile dell’integrazione delle informazionispaziali e relative all’oggetto fornite dai due sottoinsiemi. Queste informazioni vengono poiconfrontate con le opportune informazioni immagazzinate nella memoria al fine di ottenere ilriconoscimento di oggetti. La ricerca dall’alto verso il basso (top-down).

    Simulazione al computer

    Nel buffer visivo vennero poste alcune serie di stimoli bi-dimensionali che rappresentano unvolto o una volpe e, serie di stimoli vennero trasmesse agli altri sottosistemi. Al programma disimulazione vennero poi assegnati compiti diversi:

    •  Cos’è?•  Chi è? (per i volti)•  Sono uguali?•  Che cosa c’è qui?

    Il risultato fu che molti problemi percettivi possono essere causati da svariati tipi di lesione perla natura strettamente interconnessa del sistema di elaborazione visiva. Ad esempio, unalesione al sistema relativo alle proprietà degli oggetti indica l’esistenza di un output impoveritoda quel sottosistema della memoria associativa, la quale non è in grado di funzionare in modo

    efficace, anche se integro.Ne è un esempio l’ agnosia visiva evidenziata da una scarsa prestazione nell’esecuzione delprimo compito e da una corretta esecuzione del terzo. Questo particolare deficit può esserecausato da ben 34 tipi diversi di lesione. Un altro esempio è la prosopagnosia definita dallacapacità di identificare un volto come tale ma incapacità di distinguerlo in modo corretto. Siverificava con 16 diversi tipi di lesione.

    Presero in esame anche la simultanagnosia in cui si è in grado di percepire solo un oggetto allavolta; la condizione si verifica solo a causa di una lesione parziale alla parte del sottosistemarelativo alle proprietà spaziali.

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    Commento

    D’altro canto, la teoria presenta un grado eccessivo di generalizzazione; è molto più chiarocosa faccia ciascun sottosistema che non come lo faccia.

    RICONOSCIMENTO DI VOLTI

    I pazienti prosopagnosici sono incapaci di riconoscere volti familiari, e addirittura avolte non riescono a riconoscere il proprio volto allo specchio. Questa incapacità siverifica nonostante il fatto che i pazienti siano in grado di riconoscere le persone

    familiari dalle loro voci e dai nomi.

    IL MODELLO DI BRUCE E YOUNG (1986)

    Prevede otto componenti:

    •  1. Codifica strutturale: produce descrizioni di volti.•  2. Analisi dell’espressione: dello stato emotivo•  2. Analisi del linguaggio facciale: movimento labbra•  2. Elaborazione visiva diretta: elaborazione selettiva•  2. Unità di riconoscimento dei volti: info strutturali dei volti•  3. nodi di identità della persona: info sulle persone•  4. Produzione del nome: dalla memoria•  5. Sistema cognitivo: contiene info aggiuntive

    Evidenze sperimentali

    Hanno ipotizzato che i volti familiari e quelli non familiari siano elaborati in modidiversi; necessario trovare pazienti che mostrano doppia dissociazione.

    •  Secondo il modello, alla componente di produzione del nome si può accedere soloattraverso il nodo appropriato di identità della persona. Quindi, non dovremmo mai poterdare un nome ad un volto senza avere a disposizione contemporaneamente altreinformazioni su quella persona.

    Nell’ambito della neuropsicologia cognitiva: nessun paziente cerebroleso è in grado didare un nome ad un volto senza sapere nient’altro su quella persona, ma numerosipazienti presentano un profilo del tutto opposto.

    •  Secondo il modello, un altro tipo di problema dovrebbe verificarsi abbastanzacomunemente. Se viene attivata l’unità appropriata di riconoscimento di volti ma non ilnodo di identità personale, si dovrebbe provare una sensazione di familiarità associataall’incapacità di richiamare alla mente altre informazioni pertinenti alla persona. (questasituazione è stata riportata in 233 occasioni).

    Commento

    Il modello presenta anche dei limiti:

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    In primo luogo, alcune evidenze non sono congruenti con l’ipotesi che l’accesso ai nomiabbia luogo solo attraverso pertinenti informazioni autobiografiche immagazzinate neinodi di identità della persona.

    In secondo luogo, è importante il fatto che alcuni pazienti siano in grado di riconoscerei volti familiari meglio di quelli non familiari, mentre altri mostrano un profilo del tuttoopposto.

    MODELLO INTERATTIVO DI ATTIVAZIONE E COMPETIZIONE

    Burton e Bruce hanno ulteriormente sviluppato il modello precedente adottando unapproccio connessionista.

    Ci sono le unità di riconoscimento volti (URV) e le unità di riconoscimento dei nomi(URN) che contengono rispettivamente informazioni su specifici volti e nomi.

    I nodi di identità della persona (NIP) sono attivati dalle unità precedenti e fungono davia di accesso alle informazioni semantiche.

    Le unità di informazione semantica (UIS) contengono informazioni relative al nome oad altri elementi caratteristici, es. mestiere.

    Evidenze sperimentali

    Il tempo che si impiega a decidere se un volto è familiare risulta ridotto quando talepresentazione è preceduta da quella un volto collegato al primo. Il primo volto attiva leUIS, che trasmettono a loro volta l’attivazione ai NIP di quel volto e di volti collegati adesso riducendo così il tempo di decisione.

    INFORMAZIONI DI CONFIGURAZIONE 

    Quando riconosciamo un volto utilizziamo due tipi fondamentali di informazioni:

    1.  Relative alle caratteristiche di quella persona (es. colore occhi)

    2.  Sulla configurazione o disposizione complessiva delle sue caratteristiche.Molte ipotesi teoriche sul riconoscimento di volti si basano sullo studio dellecaratteristiche.

    Young, Hellawell e Hay hanno dimostrato che è necessario considerare anche laconfigurazione delle caratteristiche del volto. Costruirono dei volti unendo a caso leparti superiori e quelle inferiori di volti differenti. La precisione di risposta aumentavaconsiderevolmente quando le due metà non collimavano.

    Searcy e Bartlett hanno ottenuto evidenze convincenti a sostegno dell’ipotesi chel’elaborazione dei volti non si basa solo sulla configurazione, operando in due modi:

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    1.  Alterando la configurazione (es. occhi al posto della bocca)2.  Modificando parti dell’immagine (es. oscurando pupille)

    Le fotografie vennero poi presentate diritte o capovolte. Le alterazioni di singole partidel volto vengono individuate con facilità sia nelle immagini diritte che in quellecapovolte, mentre le alterazioni della configurazione sfuggono spesso nel caso diimmagini capovolte. In caso di immagini diritte è possibile usare sia l’elaborazione dellaconfigurazione sia quella relativa a singole parti del volto, ma l’elaborazione di volticapovolti si limita all’elaborazione delle singole parti.

    Hanno usato fotografie bi-dimensionali, questo comporta limiti perché l’osservazione diuna reale volto tri-dimensionale fornisce un maggior numero di informazioni rispettoall’osservazione di un’immagine bi-dimensionale; i volti delle persone sono in generemobili, poichè registrano stati emotivi.

    PROSOPAGNOSIA

    L’ipotesi che l’elaborazione di volti implichi alcuni meccanismi specifici sarebbeconvalidata se fosse possibile dimostrare una doppia dissociazione, l’esistenza cioè dipazienti che presentano una normale capacità di riconoscimento di volti, ma agnosiavisiva per gli oggetti.

    Kanwisher, McDermott e Chun hanno ottenuto risultati convincenti utilizzando la fMRIper valutare l’attività cerebrale in risposta a volti, volti costruiti alla rinfusa, case, emani. Essi scoprirono l’esistenza di un’attivazione volto-specifica in alcune aree.

    MODELLI DI CONOSCENZA IMPLICITA E MODELLI CONNESSIONISTI

    Bauer e Verfaellie chiesero ad un paziente prosopagnosico di indicare i nomicorrispondenti ai volti dei personaggi famosi; la sua scelta fu indirizzata dal caso. Ma furilevata una presenza di risposte cutanee alla corrente elettrica decisamente maggiorequando i nomi corrispondevano ai volti, e ciò indica l’esistenza di una conoscenzaimplicita.

    Burton et al simularono una condizione di prosopagnosia riducendo i pesi sulleconnessioni dalle unità di riconoscimento dei volti (URV) ai nodi di identità dellapersona (NIP). La conseguente riduzione dell’attivazione del NIP ai volti fece sì che ivolti non venissero identificati o riconosciuti come familiare in vari casi. Ciò facilitaval’esecuzione di compiti che prevedevano l’utilizzo della conoscenza implicita.

    MODELLO DEL DUPLICE PROCESSO DI FARAH

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    Farah ha elaborato un modello a due processi per il riconoscimento di oggetti che sirivela efficace per la comprensione del riconoscimento di volti. Prevede i seguentiprocessi:

    1.  Analisi olistica2.  Analisi delle parti

    Farah sostiene che il riconoscimento di volti dipende soprattutto dall’analisi olistica,mentre la lettura di lettere o di brani implica prevalentemente l’elaborazione analitica.

    Ai partecipanti al suo esperimento vennero presentati alcuni disegni raffiguranti volti ocase, e venne loro chiesto di associare un nome a ciascuno. Successivamente venneroloro presentati o volti e case interi o una singola caratteristica di entrambi. Dovevanodecidere se una determinata caratteristica appartenesse all’individuo del quale inprecedenza avevano conosciuto il nome.

    Il riconoscimento delle caratteristiche dei volti era decisamente migliore quando adessere presentato era il volto intero; di contro, il riconoscimento delle case era moltosimile in entrambi i casi.

    Ulteriori conferme si hanno studiando l’ effetto del volto sottosopra, in base al quale lacapacità di riconoscere i volti risulta considerevolmente ridotta quando gli stessivengono presentati capovolti. I soggetti normali subiscono l’effetto del volto sottosopra.Tuttavia il paziente prosopagnosico LH, mostrava di subire l’effetto opposto perchél’elaborazione olistica o di configurazione che i soggetti normali applicano ai volti

    presentati normalmente non può essere usata con facilità nel caso di volti sottosopra.Invece i pazienti prosopagnosici presentano una capacità estremamente ridottanell’utilizzare l’elaborazione olistica o di configurazione, e quindi la loro capacità diriconoscere i volti non subisce l’effetto di inversione.

    Ciò significa che i volti vengono in genere riconosciuti come insiemi, e le parti del voltogiocano un ruolo marginale.

    E’ dimostrato che i volti sono immagazzinati nella memoria in forma olistica, ma nonche i volti vengono percepiti  in tale forma.

    Presentato un volto, seguito da una maschera (costituita da parti di un volto disposte acaso, o da un volto intero), poi da un secondo volto. Compito è decidere se il secondo

    volto è uguale al primo. Il riconoscimento di volti era migliore quando venivanoutilizzate maschere costituite da parti del volto. Questo risultato suggerisce che i voltivengono elaborati in senso solistico. Valutati sul riconoscimento di parole o case, ivantaggi offerti dalla presentazione di maschere “frammentate” erano minori con lecase che con i volti, e scomparivano del tutto con le parole. Quindi l’elaborazioneolistica sembra di minore importanza in caso di presentazione di oggetti e di parole.

    Lesioni cerebrali

    Farah ha preso in esame alcuni risultati ottenuti con pazienti affetti da una o più delleseguenti patologie:

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    •  Prosopagnosia   con compromissione dell’elaborazione olistica•   Agnosia visiva   facoltà di riconoscere gli oggetti compromessa malgrado l’info visiva

    raggiunga la corteccia visiva (non fa distinzione tra agnosia appercettiva e agnosiaassociativa); con compromissione di entrambi i tipi di elaborazione. 

    •   Alessia   causa difficoltà nella lettura malgrado una buona capacità di comprendere illinguaggio parlato e di riconoscere oggetti; con compromissione dell’elaborazione analitica. 

    I pazienti con agnosia visiva dovrebbero soffrire anche di prosopagnosia o di Alessia odi entrambe. Questa previsione venne confermata in quanto emerse una doppiadissociazione tra prosopagnosia e Alessia. Tali conclusioni sono convalidate da alcunitentativi di identificare le aree cerebrali danneggiate in caso di prosopagnosia edAlessia mediante l’utilizzo della MRI e di altre tecniche diagnostiche simili. La teoriaipotizza che sia la lettura sia il riconoscimento di oggetti implichino l’elaborazioneanalitica. Quindi i pazienti con Alessia dovrebbero mostrare compromissione dellafacoltà di riconoscere oggetti. Tale assunto è in contrasto con l’opinione tradizionalesecondo la quale i pazienti affetti da Alessia “purA2 incontrano difficoltà solo nellalettura.

    Commento

    Per altri versi, l’approccio di Farah è alquanto semplicistico.

    Sembra controproducente il fatto che Farah non faccia distinzione tra agnosiaappercettiva e agnosia associativa. Ad esempio, il caso di HO: la sua prestazione eraottimale nel test di osservazione di immagini inconsuete e soddisfacente nel test di

    scelta degli oggetti; tuttavia, egli era in grado di denominare solo il 50% di una serie dioggetti, e non conosceva la funzione di molti di essi. I problemi di Ho sono chiaramenteassociati ad agnosia associativa.

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    4.ATTENZIONE E LIMITAZIONE DELLA PRESTAZIONEGli studi sull’attenzione sono tornati di moda nel 1958 con la pubblicazione del libro diBroadbent “Percezione e Comunicazione”.(Definizione)William James ha distinto tra modalità di attenzione “attiva” e “passiva”. L’attenzione èattiva quanto è controllata dall’alto verso il basso in top-down, dalle finalità che sipropone l’individuo, e passiva viceversa.L’ attenzione focalizzata si studia presentando contemporaneamente al soggetto due o

    più stimoli e chiedendogli di rispondere ad un solo di essi.L’ attenzione distribuita si studia presentando almeno due stimoli contemporanei, macon l’indicazione che occorre considerare e rispondere a tutti  gli stimoli.I soggetti in genere decidono quale modalità di attenzione utilizzare.Gli studi sull’attenzione presentano, però, dei limiti importanti. Innanzitutto, la maggiorparte di essi si è occupata unicamente dell’ambiente esterno, anche se noi possiamoconsiderare anche i nostri pensieri e le informazioni immagazzinate nella memoria alungo termine. Inoltre, in laboratorio ci si concentra su esperimenti che presentanobrevemente immagini 2D statiche e richiedono risposte arbitrarie.L’attenzione si divide in: Focalizzata e distribuita.

    v.  ATTENZIONE FOCALIZZATA UDITIVA

    Colin Cherry si concentrò sul problema del “cocktail party”, cioè la nostra capacità diseguire una sola conversazione mentre molte persone parlano contemporaneamente .Scoprì che questa abilità implica l’utilizzo delle differenze fisiche per