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“Non è tutto oro quel che luccica”Actions spécifiques dans le societés privatiseés: le beurre ou l’argente du beurre, in Rev. du droit de l’Union europeénne, 2003, 39

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L ’ a r m a d e l l a “ g o l d e n s h a r e ” t r a g i u r i s p r u d e n z a c o m u n i t a r i a e d e v o l u z i o n e

normativa interna

di Luigi Scipione

“Non è tutto oro quel che luccica”

W. Shakespeare, Il mercante di Venezia

Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Privatizzazioni, liberalizzazioni e

«golden shares». – 3. Struttura ed evoluzione dei poteri speciali nell’ordinamento italiano. –

3.1. (Segue): La riforma della golden share. – 4. I rilievi della Commissione europea nella

causa C-326/07. La violazione degli articoli. – 5. La sentenza della Corte di giustizia. La

delimitazione del campo d’indagine. – 5.1. I poteri di opposizione. – 5.2. I poteri di veto. – 6.

Il reasoning della Corte e le osservazioni dell’Avvocato generale. De jure condendo. – 7.

L’impianto concettuale della giurisprudenza comunitaria in materia di golden share. – 7.1.

Confini “mobili” di legittimità dei poteri speciali e golden share “virtuosa”. – 8. “Libero

movimento dei capitali” e “libertà di stabilimento” nella giurisprudenza comunitaria. Indicazioni

definitorie su concetto e portata dei due principi. – 9. Le linee di riforma di un possibile

intervento normativo. – 9.1. La figura ed il ruolo dell'antitrust in materia di golden share. –

9.2. Profili di diritto comune. – 10. Conclusioni.

Con la sentenza del 26 marzo 2009 (causa C-326/07) la disciplina italiana relativa alla golden

share, originariamente contenuta nel decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con

modificazioni dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, è stata dichiarata dalla Corte di Giustizia in

contrasto con le disposizioni del Trattato CE, poiché ritenuta restrittiva della libera circolazione

dei capitali (art. 56) e della libertà di stabilimento (art. 43).

Dopo aver ripercorso i passaggi più significativi dell’impianto concettuale della citata sentenza,

l’Autore tenta una rilettura in chiave riformatrice di questo variegato complesso di regole.

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L’intento è quello di porre in rilievo come l’intervento della Corte, tanto con riguardo precipuo

al caso italiano quanto con riferimento agli altri ordinamenti degli Stati membri, sembri

focalizzarsi principalmente sugli aspett i formali anziché sulle s i tuazioni struttural i ,

concentrando l’attenzione sugli effetti anziché sulle cause ed evitando di esaminare il grado di

sviluppo delle privatizzazioni o, addirittura, l’effettività del loro avvio.

In its ruling of March 26, 2009 (Case C- 326/07), the Italian rules on “golden share”, originally

contained in Decree-Law of 31 May 1994, n. 332, ratified with amendments by Law 30 July

1994, n. 474, was declared by the Court contrary to the provisions of the EC Treaty, as

deemed to restrict the free movement of capital (art. 56) and freedom of establishment (art.

43).

Having traced the most significant passages that emerges from the conceptual cited above,

the Author attempts a reinterpretation of this reform varied set of rules.

The intent is to emphasize that the intervention of the Court, both with regard to the Italian

case as principal with regard to other legal systems of Member States, seems to focus mainly

on formal aspects rather than on structural situations, focusing on the effects rather than the

causes and which does not examine the degree of development of privatization, or even the

fact of their launch.

1. Privatizzazioni, liberalizzazioni e «golden shares». Note introduttive.

L’intervenuta incidenza dei processi di liberalizzazione promossi dalla Comunità europea ha

dato luogo, da parte degli Stati membri, a reazioni di varia natura, concernenti tanto la

ritenuta necessità del perdurare di una particolare influenza statale sugli operatori dei settori

produttivi strategici, quanto i rischi legati al verificarsi in tali settori, come conseguenza della

liberalizzazione stessa e della spesso conseguente privatizzazione, di fenomeni distorsivi della

concorrenza. Le criticità e le contraddizioni che hanno accompagnato in tutta Europa il

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processo di privatizzazione delle imprese pubbliche sono ben note ed ampiamente esaminate

(1); altrettanto note ed egualmente approfondite risultano le analisi dedicate al delicato

intreccio intercorrente tra le privatizzazioni (2) e quei poteri straordinari riservati all’azionista

pubblico, comunemente denominati golden share (o, per i francofili, action spécifique) (3).

Il termine “golden share” (letteralmente “azione dorata”) indica l’istituto giuridico, di origine

britannica, in forza del quale uno Stato, durante o a seguito di un processo di privatizzazione

(o vendita di parte del capitale) di un’azienda pubblica, si r iserva ( indipendentemente

dall’effettivo numero di azioni da esso possedute) taluni poteri speciali (di nomina e di veto

all’acquisizione di partecipazioni rilevanti) e/o vincoli statutari (limiti al possesso azionario, tetti

ai diritti di voto, obbligo di controllo nazionale). La quota in mano pubblica può, infatti, essere

al limite ridotta ad una sola, simbolica azione e conferisce allo Stato un potere sulle scelte

strategiche anche quando la privatizzazione è completata. Viceversa non è in genere

1 La ricostruzione delle innovazioni regolamentari in materia di golden share non può, per le ragioni suesposte,

tralasciare il ruolo delle privatizzazioni. Se da un punto di vista economico il termine “privatizzazione” assume la valenza di cessione del controllo (ai privati) di un’impresa (precedentemente in mano pubblica), per contro la questione si complica, sia pure solo apparentemente, da un punto di vista più prettamente giuridico. La dottrina infatti, distingue tra “privatizzazione formale” e “sostanziale”: la prima è l’adozione di una forma giuridica di carattere privatistico (trasformazione in società per azioni) in luogo di una di stampo pubblicistico; la seconda segna il passaggio del controllo da un soggetto pubblico a soggetti privati. In quest’ottica, quindi, la privatizzazione formale deve essere vista come strumentale a quella sostanziale. Sul complesso e delicato intreccio tra lo sviluppo dei processi di privatizzazione delle aziende pubbliche e la previsione di poteri speciali di controllo degli assetti societari, con riferimento all’esperienza italiana, si vedano, ex plurimis, MINERVINI, Contro il diritto speciale delle imprese pubbliche privatizzate, in MARCHETTI (a cura di), Le privatizzazioni in Italia, Milano 1995, 165; G. ROSSI, Privatizzazioni e diritto societario, in Riv. soc., 1994, 385 ss.; PARDOLESI - PERNA, Fra il dire e il fare: la legislazione italiana sulle privatizzazioni delle imprese pubbliche, in Riv. crit. dir. priv., 1994, 4 s.; CLARICH - PISANESCHI, Privatizzazioni, in Dig. Pubbl., 2000, 432; IRTI, Economia di mercato e interesse pubblico, in Riv. trim. dir. e proc. civ. , 2000, 435; PERNA, L’eccesso di tutela nella privatizzazione delle public utilities, in Foro it., 1996, III, p. 210; J. SODI, Poteri speciali, golden share e false privatizzazioni, in Riv. soc. 1996, 368; NINATTI, Privatizzazioni: la Comunità Europea e le golden share nazionali, in Quad. cost. , 2000, 702; SINISCALCO - BORTOLOTTI - FANTINI - VITALINI, Le privatizzazioni difficili, Bologna, 1999;AMICONI, Enti pubblici e privatizzazione, in Foro amm., 1999, 1652; CARBONE, Brevi note in tema di privatizzazioni e diritto comunitario, in Dir. comm. internaz., 1999, 231; GAROFOLI, Golden share e authorities nella transizione dalla gestione pubblica alla regolazione dei servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1998, 159;

(2) La distinzione, presente in JAEGER, Problemi attuali delle privatizzazioni in Italia, in Giur. comm., 1992, I, 989 e comunemente utilizzata (da ultimo, v. BONELLI - ROLI, voce Privatizzazioni, in Enc. dir. , Aggiornamento, IV, Milano, 2000, 994 ss.; IBBA, La tipologia delle privatizzazioni, in Giur. comm., 2001, I, 464), trova diverse formulazioni nella dottrina pubblicistica che contrappone le priva tizzazioni «in senso oggettivo» e «in senso soggettivo» (si veda al riguardo CARABBA, voce Privatizzazioni di imprese ed attività economiche, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1995, 564) o le privatizzazioni «fredda» e «calda» (così CLARICH - PISANESCHI, voce Privatizzazioni, in Dig. disc. pubbl., sez. dir. pubbl., Appendice, Torino, 2000, 432).(3) Così COLANGELO, Golden shares e privatizzazioni incompiute. La lunga vecchiaia dello Stato-imprenditore, in Enti pubblici, 2003, 6, 328; DEL CASALE, Uno strumento diretto al controllo governativo sulle privatizzazioni: le “golden share s ” , in Pol. dir. , 1988, 1, 189 ss. La golden share introdotta dalla legislazione inglese sulle privatizzazioni per permettere al governo di opporsi a scalate di soggetti stranieri o a cambiamenti di controllo societario non voluti, venne poi ripresa in Francia come action spécifique con la legge n. 86-912 del 6 agosto 1986 e riconfermata dalla legge n. 93-923 del 19 luglio 1993 all’art. 10. Per maggiori dettagli si rinvia a GIPPINI FOURNIER - RODRIGUEZ MIGUEZ, Actions spécifiques dans le societés privatiseés: le beurre ou l’argente du beurre, i n Rev. du droit de l’Union europeénne, 2 0 0 3 , 3 9 s s . ; CARRAEU, Privatisations et droit comunitaire: la validation conditionelle des actions spécifiques (ou «Golden Shares»), i n Contr. impr./Europa, 2002 , 1191 e ss . Nell’ordinamento spagnolo la golden share fu istituita per effetto della legge n. 5 del 1995. Sul tema cfr. COCCIOLO, La golden share in Spagna. Regulating corporate governance, in Servizi pubblici, 2004, 247 e ss . ; DEL MAR BUSTILLO SAIZ, Notas sobre la privatización de empresas que realizan actividades de interés publico y sobre la «doctrina» del le acción de oro, in Revista de derecho mercantile, 2006, 457 ss.

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applicabile alle società controllate e collegate che l’impresa pubblica deteneva prima e dopo la

privatizzazione.

La golden share – la cui durata è di solito limitata nel tempo – ha come finalità dichiarata

quella di tutelare l’interesse della collettività in quelle società attive in settori strategici quali,

per esempio, l’energia o la difesa . È prevista negli ordinamenti giuridici di diversi Paesi

europei, introdotta tipicamente negli anni ’90 con l’avvio dei primi processi di privatizzazione

delle aziende pubbliche.

Sulla incompatibilità di un tale istituto, perlomeno nelle sue accezioni più restrittive, con il

principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali, di cui agli artt. 43 e 56 del

Trattato CE, è difficile alimentare dubbi; resta il fatto che il contrasto in materia tra l’Unione

Europea ed i suoi Stati Membri tende ad estendersi, anziché a restringersi. La percorribilità,

per di più con tempistiche non coordinate, di vie nazionali compatibili con i rispettivi caratteri

delle costituzioni economiche ha ingenerato scompensi diacronici e sincronici: «in tale sfrenata

opera di alchimia, i governi spesso hanno dimenticato l’effetto correttore del dir i t to

comunitario, che esautora i privilegi esorbitanti, scrupolosamente blindati, che essi intendono

riservarsi, collocandosi al di sopra dei comuni azionisti» (4).

Dal canto suo, i l legislatore comunitario ha peccato di difet to in termini di capacità

prognostiche, ed ha cominciato ad ovviare a qualcuna delle relative disfunzioni solo piuttosto

tardivamente. Su questo variegato complesso di regole, derogatorie rispetto a quelle generali

del diri t to societario ordinariamente applicabile, si è, tuttavia, formata una cospicua

giurisprudenza della Corte di giustizia che, a dispetto dell’apparente natura societaria, ha

ricondotto tali deroghe tra gli strumenti di limitazione o dissuasione degli investimenti diretti e

quindi della libertà di circolazione dei capitali, sancendone in diversi casi l’incompatibilità con le

regole fondanti del Trattato, ancora una volta facendo applicazione di tali principi in relazione

alle limitazioni dirette all’accesso ai settori protetti.

2. Struttura ed evoluzione dei poteri speciali nell’ordinamento italiano.

In Italia la legge n. 359 del 1992 al Capo III ha disposto la trasformazione in S.p.A. di IRI,

ENI, INA, ed ENEL, e ha previsto la possibilità di trasformare in S.p.A., tramite delibera del

CIPE, gli enti pubblici economici operanti in qualunque settore: è la cosiddetta “privatizzazione

(4) Così RUIZ-JARABO COLOMER, Conclusioni dell’Avvocato generale presentate il 6 novembre 2008, causa C-

326/07, Commissione v. Italia, p.to 2.

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formale”, che ha riguardato, per l’appunto, il mutamento della forma strutturale dell’impresa.

Dopo l’effettiva trasformazione degli enti pubblici economici in S.p.A., l’attenzione del

legislatore si è concentrata sulla regolazione dell’assetto strutturale e organizzativo delle

società privatizzate.

Con la previs ione d i procedure specia l i da osservare ne l caso d i d ismiss ione de l le

partecipazioni statali o di enti pubblici operanti nei settori di interesse generale (5), la legge n.

474 del 1994 ha avviato la cosiddetta “privatizzazione sostanziale” (6).

L’utilizzo congiunto dell’OPV (offerta pubblica di vendita) e della trattativa diretta ha permesso

di realizzare un assetto societario ad azionariato diffuso, nel quale però è di regola presente

un nucleo stabile di azionisti di riferimento (7). Nel silenzio del legislatore, il Governo ha

intrapreso, di volta in volta, strade diverse per procedere alla individuazione degli azionisti

strategici (8) . In part icolare, intervenendo con la ci tata legge n. 474/94, non solo ha

introdotto regole sul funzionamento dei nuclei stabili, ma ha previsto due meccanismi di

regolazione nell’acquisto delle partecipazioni, allo scopo di rendere contendibile il controllo dei

nuclei e favorire la riallocazione proprietaria delle imprese. Il primo è costituito dalla

determinazione, nello statuto, del tetto massimo di azioni (con diritto di voto), non modificabili

per un triennio, possedute dagli azionisti singoli o anche da un gruppo di soggetti tra loro

collegati (art. 1); il secondo è invece rappresentato dall’obbligo di lancio di una offerta

pubblica di acquisto successiva da parte di quegli acquirenti che, di concerto con altri, siano in

grado di «disporre della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria ovvero di

esercitare una influenza dominante nella medesima assemblea» (art. 8) (9).

(5) L’art. 1 della legge n. 474/94 disciplina la vendita delle partecipazioni direttamente detenute dallo Stato e

dagli enti pubblici, nonché la cessione delle azioni possedute in società indirettamente controllate dallo Stato. La

modalità di alienazione è scelta, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, tra l’offerta pubblica di vendita,

la trattativa diretta, ovvero il ricorso ad entrambe le procedure (art. 1, comma 2).(6) S e c o n d o JAEGER, v o c e Privatizzazioni (profili generali), i n Enc. Giur . Treccani , R o m a , 1 9 9 8 , 2 , l a

privatizzazione “formale” deve essere vista come strumentale alla privatizzazione sostanziale, come una fase che si impone nei casi in cui è necessario trasformare un ente pubblico in società per azioni. Ma esisterebbero anche ipotesi nelle quali non bisognerebbe passare attraverso una privatizzazione “formale” per realizzare quella “sostanziale” (nel caso, ad esempio, in cui l'impresa pubblica sia già organizzata sotto forma di società per azioni).

(7) Si tratta, invero, di forme di coalizione interna in grado di influire decisivamente sulla gestione dell’impresa. Nel nostro ordinamento, a differenza di quanto avvenuto in altri Paesi, non è stata prevista una specifica disciplina sulla procedura che porta alla individuazione dei soci stabili. Indicazioni più precise, infatti, sono state inserite negli stessi decreti che hanno accompagnato ogni singola privatizzazione.

(8) Per un approfondimento v. Bollettino delle Privatizzazioni, 1.3, CESPED - 1999, 17.(9) Cfr. CONSOB, Comunicazione n. 97004573 del 27 maggio 1997 in materia di privatizzazioni e offerte pubbliche

di acquisto; BERLANDA, in Atti del Convegno “Società aperta”, organizzato nell’ottobre 1996 a Pavia dall’AssociazioneDisiano Preite. Sul punto cfr. LIBONATI, La faticosa «accelerazione» delle privatizzazioni, in Giur. comm., 1995, 20 ss.; STELLA RICHTER J r . , “Trasferimento del controllo” e rapporti tra i soc i , Milano, 1996, 139 ss. Le disposizioni che prendevano espressamente in considerazione l’azione di concerto in relazione alla disciplina dell’Opa, ponendo a carico dei partecipanti all’accordo la responsabilità solidale per la conseguenza della loro condotta, si trovavano infatti racchiuse nell’art. 8 del d.l. 31 maggio 1994, n. 332 nel testo coordinato con la legge di conversione 30 luglio 1994, n. 474. Secondo tale disposizione il comportamento concertato costituiva un elemento indiziario dell’esiste nza di un patto

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Accanto alla previsione di nuclei stabili di controllo, il legislatore ha inserito un meccanismo di

garanzia e di controllo: l’esercizio di poteri speciali da parte dello Stato (10). Sebbene il codice

civile del 1942 già consentisse allo Stato e agli enti pubblici il diritto di nominare direttamente

alcuni amministratori e sindaci, si scelse la soluzione di attribuire al governo (o in certi casi

agli enti locali, su società di servizio pubblico quali trasporti ed energia operanti sul suo

territorio) dei “poteri speciali” sulle società da privatizzare, poteri che nel loro complesso

vengono per l’appunto definiti come “golden share” (“azione speciale”) (11). La golden share

si applica alle società che operano in settori relativi ai servizi pubblici, tra i quali il d.l. n.

332/1994 indica espressamente la difesa, i trasporti, le telecomunicazioni, le fonti di energia

(12).

di sindacato, non anche un autonomo presupposto per il sorgere di un obbligo di Opa. In particolare, si prevedeva che l’obbligo di offerta pubblica potesse sorgere non solo quando le azioni acquistate venissero apportate ad un sindacato di voto, ma anche qualora fossero apportate ad un sindacato di consultazione che, come si evinceva dall’ultima parte della norma, il legislatore considerava astrattamente idoneo ad esercitare il controllo. La norma in esame poneva altresì un duplice limite di rilevanza temporale sia dell’adesione al sindacato, in ragione di due anni dal collocamento per offerta pubblica di vendita, sia dell’acquisto che doveva essere effettuato successivamente alla comunicazione ufficiale della dismissione con procedura di offerta pubblica di vendita. In tal modo, il legislatore aveva statuito che un accordo che assicurava il controllo fosse rilevante ai fini dell’Opa in quanto l’acquisto delle azioni fosse stato o contestuale o determinato dal concerto preventivo dei partecipanti.

(10) Oltre all’istituto della golden share, la legge 474 del luglio 1994 ha introdotto il meccanismo del voto di lista per la nomina del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale (con soglia dell’1%). L’esperienza positiva derivante dall’adozione di tale meccanismo è stata evidenziata dal Presidente della Consob, Lamberto Cardia, durante la sua audizione del 5 maggio 2004 innanzi alla V Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei Deputati nell’ambito della “Indagine conoscitiva sulle politiche di privatizzazione”. Si trat ta di un meccanismo di corporate governance destinato a tutelare gli azionisti di minoranza in base al quale si prevede di inserire negli statuti delle società in cui vi sono tetti ai possessori azionari ( come nel caso delle società quotate, parzialmente privatizzate) clausole che impediscono ai soggetti privati l’acquisizione di quote azionarie superiori a determinate soglie, nonché l’obbligo di inserire clausole statutarie per l’elezione degli amministratori tramite voto di lista.

(11) Viene prevista, prima di ogni atto che determini la perdita del controllo, l’introduzione nello statuto di alcuni poteri speciali riservati agli organi del Governo, come ad esempio la possibilità di nominare almeno un amminis tratore o un numero di amministratori non superiore ad un quarto dei membri del consiglio stesso. Vengono prese anche cautele, in caso di trattativa diretta con gli acquirenti, che prevedono l’impegno di questi ultimi al fine di « garantire, mediante accordo fra i partecipanti al nucleo stabile (di controllo), determinate condizioni finanziarie, economiche e gestionali» (art . 1, comma 3, d. l . n. 322/1994): in pratica una sorta di imposizione alla st ipulazione tra i soci acquirenti di patti parasociali.

(12) Il contenuto della clausola che attribuisce i poteri speciali è definito con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive e le clausole stesse sono approvate con deliberazione dell’assemblea straordinaria. I soci dissenzienti hanno facoltà di recesso. La disciplina sui poteri speciali si applica anche alle società controllate, direttamente o indirettamente da enti pubblici, anche territoriali ed economici, operanti nel settore dei trasporti e degli altri servizi pubblici e individuate con provvedimento dell’ente pubblico partecipante, al quale sono riservati i poteri in questione (art. 2, comma 3, d.l. n. 332/1994).

Relativamente ai soci, si ricorda che l’art. 2, comma 2, d.l. n. 332/1994 stabilisce che ai soci dissenzienti delledeliberazioni che introducono i poteri speciali di cui al comma 1, lett. c) (veto all’adozione di delibere di scioglimentodella società, di trasferimento dell’azienda, di scissione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di cambiamentodell’oggetto sociale, etc.), spetta il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2347 c.c. Sull’argomento, per ulteriori spunti dianalisi, cfr. CEROLI - SABBATINI, Ai piccoli soci il diritto di recesso quando lo Stato fa scattare la golden share, in Il Sole24 Ore, 20 novembre 2006, 44.

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Come si è accennato, la legge non richiede che lo Stato (o l’ente pubblico) sia effettivamente

azionista (anche se di minoranza) (13): si tratta infatti di prerogative pubbliche, che lo statuto

delle società “a sovranità limitata” incorpora e riconosce.

Nello specifico, lo Stato, anche senza la maggioranza del capitale con diritto di voto in

assemblea, ha la capacità di influire sul comando dell’impresa attraverso l’esercizio:

a) del diritto di gradimento, volto ad impedire che soci privati acquistino le azioni e superino

una “soglia di attenzione” (a seconda dei casi, individuata fra il tre e il cinque per cento) (14).

Analogo potere lo Stato si è poi riservato nei confronti di coalizioni che si formino fra azionisti

separati;

b) del diritto di opporsi a decisioni fondamentali per il destino della società, quali fusioni,

scissioni, trasferimenti d’azienda, trasferimenti della sede all’estero, e simili;

c) del diritto (già previsto dal codice civile, v. supra) di nominare uno o più amministratori

(fino a un quarto del totale) e sindaci della società.

La disciplina dei criteri per l’esercizio dei poteri speciali venne dettata successivamente, con

l’emanazione del d.p.c.m. 11 febbraio 2000. La direttiva riusciva a conciliare due diverse

esigenze. Da un lato, dava r isposta agl i innumerevoli r i l ievi mossi al Governo dal la

Commissione Europea sulla scarsa chiarezza dei criteri di esercizio dei poteri speciali.

Dall’altro, intendeva limitare i poteri alla tutela di interessi specificamente richiamati, rendendo

noti previamente e formalmente i criteri di esercizio. La genericità delle disposizioni della legge

sulle privatizzazioni sul tema aveva costretto il Governo a precisare che l’esercizio dei poteri

speciali non può essere fondato su generici obiettivi di politica economica ed industriale, come

enunciato nell’art. 2 della legge n. 474/94, ma su specifici motivi di ordine pubblico, sicurezza

pubblica e difesa, come precisato nel decreto.

(13) Nella privatizzazione delle imprese di gestione dei servizi pubblici, le due diverse forme di controllo non sono

state intese come alternative l’una all’altra, ma l’esercizio dei poteri speciali si è aggiunto alla possibilità di partecipazione dello Stato al capitale sociale dell’impresa pubblica privatizzata. Sulle questioni relative all’applicazione anche alle società a partecipazione locale della disciplina contenuta nella l. 474 del 1994, cfr. CAMMELLI - ZIROLDI, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimin i , 1999 , 51 ss . Secondo CARDINALE, La clausola di gradimento nelle privatizzazioni delle public utilities, in MARASÀ (a cura di), Profili giuridici delle privatizzazioni, Torino,1997, 14 s., la disciplina delle “golden shares” può essere considerata, in definitiva, solo la soluzione all’esigenza di curare la fase di transizione dal controllo pubblico a quello di natura privatistica. Come osserva CAVAZZA, Golden share, giurisprudenza comunitaria ed abrogazione dell’art. 2450 c.c., in Nuove leggi civ. comm., 2008, 5, 1195 s., in dottrina la distinzione in parola è stata spesso trascurata ed in molti casi il termine “golden share” è stato utilizzato in un’accezione lata, atta a ricomprendere ogni ipotesi di “potere speciale”. Peraltro, la distinzione non dovrebbe essere sopravvalutata, dato che la Corte di giustizia, come si vedrà, ha sempre giudicato la conformità al Trattato delle normative interne avendo di mira i risultati pratici da queste conseguiti. Sul punto v. pure LOMBARDO, voce Golden share, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1998, in particolare 23 s. e 78 ss.

(14) Il regime speciale del limite al possesso azionario deve considerarsi prevalente rispetto alla disciplina del mercato regolamentato e quindi applicabile anche in caso di società quotate. Esso non è infatti espressamente escluso dai requisiti per la quotazione di cui agli artt. 46, par. 1, dir. 2001/34/CE del 28 maggio 2001 e 40, par. 1, comma 2, dir. 2004/39/CE del 21 aprile 2004.

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Per giunta, sotto un diverso profilo, il decreto chiariva la ratio della golden share. Il motivo per

cui sopravvivono tali poteri in una società in cui lo Stato non è più azionista di maggio ranza

veniva giustificato «dal la es igenza di sa lvaguardare gl i in teress i v i ta l i del lo Stato»,

rispondendo «ad imprescindibili motivi di interesse generale, in coerenza con gli obiettivi in

materia di privatizzazioni e di tutela della concorrenza e del mercato».

Così allora, in quel contesto, la necessità di garantire il rispetto dell’interesse pubblico da parte

delle società miste sembrava giustificare l’applicazione di una disciplina “speciale”, proprio

nelle ipotesi in cui tali società erano a partecipazione prevalentemente privata.

3.1. (Segue): La riforma della golden share.

La disciplina relativa alla golden share originariamente contenuta nel citato decreto è stata

dichiarata dalla Corte di Giustizia in contrasto con le disposizioni del Trattato CE in materia di

diritto di stabilimento (art. 43), libera prestazione dei servizi (art. 49) e libera circolazione dei

capitali (art. 56) con sentenza pronunciata il 23 maggio 2000 (15).

In particolare, la Corte europea nell’esaminare il caso italiano, ha sta tuito l’incompatibilità

degli artt. 1, n. 5, e 2 del d.l. 31 maggio 1994, n. 322 (recante norme per la dismissione di

partecipazioni dello Stato e di enti pubblici) con le regole di l ibera concorrenza e di

circolazione di capitali. La Corte, in coerenza con precedenti pronunzie, ha ribadito che i

“poteri speciali”, potendo ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà fondamentali

garantite dal Trattato, devono soddisfare quattro condizioni: 1) devono applicarsi in modo non

discriminatorio (ad esempio, in ragione della nazionalità); 2) devono essere giustificati da

motivi imperativi di interesse generale (non sono sufficienti considerazioni di carattere

economico o amministrat ivo); 3) devono essere idonei a garant ire i l conseguimento

dell’obiettivo perseguito; 4) devono essere proporzionati (cioè, non devono andare oltre

quanto necessario per il raggiungimento degli scopi dichiarati.

In un secondo tempo, con riferimento alla normativa intervenuta successivamente alla prima

procedura di infrazione (art. 66 della legge n. 488/1999 – legge finanziaria per il 2000 e

d.p.c.m. 11 febbraio 2000) (16), la Commissione ha di nuovo inviato, nel febbraio 2003, una

(15) Cfr. Corte giust., 23 maggio 2000, causa C-58/99, Commissione v. Italia. Per un commento si veda FRENI,

L'incompatibilità con le norme comunitarie della disciplina sulla golden share. Nota a CGCE 23 maggio 2000 (causa C-58/99), in Giorn dir. amm., 2001, 1145; DE PASQUALE, Golden share all'italiana. Nota a CGCE 23 maggio 2000 (causa C-58/99), in Riv. dir. pubbl. comp. eur., 2000, 1233 ss.; MERUSI, La Corte giust. condanna la “golden share” all’italiana e il ritardo del legislatore, in Dir. pubbl. comp. eur., 2000, 1236 ss.

(16) Legge 23 dicembre 1999, n. 488 (art. 66, comma 3).

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lettera di messa in mora al Governo italiano, nella quale l’infrazione è stata prospettata con

riferimento alla violazione degli artt. 43 e 56 del TCE (17).

Per queste ragioni particolare rilievo ha assunto anche la successiva riforma della golden

share. Sebbene già nel 1999 il legislatore avesse una prima volta limato le unghie alla golden

share, la legge finanziaria per il 2004 (legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, commi 227-

231) (18) ha operato una generale revisione della suddetta disciplina, al fine di limitare la

portata dei poteri speciali, anche in considerazione dei rilievi formulati dalla Commissione

europea in meri to al la necessi tà di una compatibi l i tà del la normativa con i pr incipi

dell’ordinamento comunitario relativi alla libertà di stabilimento e alla libertà di movimento dei

capitali.

L’art. 4, comma 227, della citata legge finanziaria, disciplina i diritti speciali conferiti allo Stato

italiano su alcune società; in particolare, il primo paragrafo contiene una versione riformulata

dell’art . 2, comma 1, del d. l . n. 332, secondo i l cui tenore: «Tra le società controllate

direttamente o indirettamente dallo Stato operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle

telecomunicazioni, delle fonti di energia, e degli altri pubblici servizi, sono individuate con

decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (…), quelle nei cui statuti, prima di ogni atto

che determini la perdita del controllo, deve essere introdotta con deliberazione dell’assemblea

straordinaria una clausola che attribuisca al Ministro dell’economia e delle finanze la titolarità

di uno o più dei seguenti poteri speciali da esercitare di intesa con il Ministro delle attività

produttive (…)».

Rispetto alla disciplina previgente, viene meno la previsione in base alla quale l’esercizio dei

poteri speciali avrebbe dovuto tener conto degli obiettivi nazionali di politica economica e

industriale, specificando che il pericolo non può essere generico, ma deve riguardare l’ordine

(17) L’art. 2 della legge n. 474/1994 nella formulazione originale aveva rappresentato il fondamento normativo

per attribuire agli enti pubblici il potere speciale di nominare almeno uno o più amministratori. Nel 2004, il comune di Milano aveva ceduto la maggioranza assoluta di AEM (quotata), mantenendo però, mediante una combinazione di statuto e codice civile apparentemente astuta, il diritto di nominare la maggioranza degli amministratori. La Corte di giustizia ha dichiarato contrario alla normativa europea l’art. 2449 c.c., che consentiva agli statuti di attribuire allo Stato il potere di nominare direttamente alcuni amministratori (v. Corte giust., 6 dicembre 2007, cause riunite C-463/04 - C-464/04, Federconsumatori e altri v. Comune di Milano, in Racc., I-4933). Si vedano al riguardo anche le conclusioni del 7 settembre 2006 dell’Avvocato generale Poires Maduro presso la Corte. In breve, secondo il reasoningdei giudici comunitari, l’art. 56 CE dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una disposizione nazionale, quale l’art. 2449 del cod. civ., secondo cui lo statuto di una società per azioni può conferire allo Stato o ad un ente pubblico, che hanno partecipazioni nel capitale di ta le società , la facol tà di nominare diret tamente uno o più amministratori, la quale, di per sé o, come nelle cause principali, in combinato con una disposizione, quale l’art. 4 del d.l. 31 maggio 1994, n. 332 (convertito, in seguito a modifiche, nella legge 30 luglio 1994, n. 474, come modificata dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350), che conferisce allo Stato o all’ente pubblico in parola il diritto di partecipare all’elezione mediante voto di lista degli amministratori non direttamente nominati da esso stesso, è tale da consentire a detto Stato o a detto ente di godere di un potere di controllo sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta società.

(18) Cfr. FRENI, Legge finanziaria e pubblica amministrazione. Le privatizzazioni delle imprese pubbliche. Commento a l. 24 dicembre 2003, n. 350, in Giorn. dir. amm., 2004, 263 ss.

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pubblico, la sanità, la difesa nazionale, l’approvvigionamento delle materie prime, la sicurezza

delle reti, la continuità dei servizi pubblici essenziali, delle telecomunicazioni e dei trasporti:

ipotesi gravissime ed estreme, che mal si adattano a “coprire” semplici finalità di politica

economica.

Per effetto delle innovazioni recate dalla legge finanziaria per il 2004, le prerogative dello

Stato italiano, che sono descritte dettagliatamente nelle lettere a), b), c) e d) del medesimo

art. 2, interessano i seguenti profili:

a) si è sfoltita la pletora delle società sotto tutela, riducendole a quelle che operano in settori

ritenuti vitali per il Paese;

b ) s i è s p e c ificato che l’esercizio dei poteri speciali può avvenire solo nel caso in cui

l’operazione rechi pregiudizio agli interessi vitali dello Stato, con il rinvio ad un apposito

decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la definizione dei criteri con i quali i poteri

medesimi dovranno essere esercitati (art. 4, comma 230);

c) si è attuata la sostituzione del “potere di opposizione” al “potere di gradimento preventivo”

nei confronti di rilevanti modifiche degli assetti proprietari (assunzioni di partecipazioni

rilevanti e patti parasociali) (19);

d) si è operata la limitazione dei poteri di nomina ad un solo amministratore, privo del diritto

di voto (20);

Resta confermato il potere di veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie

o , comunque, di particolare rilevanza, con l’aggiunta della previsione che l’esercizio di tale

potere debba essere motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato agli interessi vitali

dello Stato. Si tratta delle delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell’azienda,

di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all 'estero, di cambiamento

dell’oggetto sociale e delle delibere volte a modificare lo statuto, sopprimendo o modificando i

poteri speciali.

Inoltre, con il d.p.c.m. 10 giugno 2004 (adottato in attuazione delle disposizioni della legge

finanziaria) vengono individuati nuovi criteri per l’esercizio dei poteri speciali. Si ribadiscono,

(19) Il comma 228 detta alcune disposizioni volte a specificare le modalità di esercizio del potere di opposizione

all’acquisizione di partecipazioni rilevanti e alla conclusione di patti parasociali, di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) e b),del d.l. n. 332 del 1994, come modificato dal comma 227. Al riguardo si precisa che il potere di opposizione viene esercitato con riferimento alla singola operazione. Tale potere è altresì esercitabile quando il limite fissato per l’individuazione di una partecipazione rilevante sia raggiunto o oltrepassato attraverso ripetuti e distinti atti di acquisto.

Si prevede, infine, che il potere di opposizione possa essere ese rcitato non soltanto in relazione all’operazione di acquisto della partecipazione rilevante ovvero alla conclusione del patto parasociale, ma anche ogniqualvolta insorga l’esigenza di tutelare «sopravvenuti motivi imperiosi di interesse pubblico». In questa ipotesi il potere di opposizione deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal concreto manifestarsi degli interessi che richiedono tutela e deve essere esplicitamente motivato con riferimento alla data in cui le ragioni che lo giustificano si sono manifestate.

(20) In particolare sulla portata di tale innovazione cfr. SACCO GINEVRI, La nuova golden share: l’amministratore senza diritto di voto e gli altri poteri speciali, in Giur. comm., 1, 2005, II, 70 ss.

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rispetto alla disciplina di cui al d.p.c.m. 11 febbraio 2000, le finalità di eser cizio dei poteri

speciali, il criterio di idoneità e rilevanza rispetto agli interessi da tutelare, la possibilità di

introdurre limiti temporali, il rispetto dei principi dell’ordinamento interno e di quello

comunitario, con particolare riferimento al principio di non determinazione. Vengono, per

contro, eliminate le giustificazioni di esercizio dei poteri speciali correlate a modalità generali

di riassetto proprietario o di svolgimento dell’attività della società.

Connessa alla normativa dei poteri speciali, deve inoltre essere considerata la disciplina recata

dalla legge finanziaria per il 2006, (legge n. 266/2005: art. 1, commi 381 -384), la quale

permette che gli statuti delle società in cui lo Stato detenga una partecipazione rilevante

possano prevedere l’emissione di strumenti che attribuiscono all’assemblea speciale dei loro

titolari, il diritto di richiedere, a favore di questi ultimi, l’emissione di nuove azioni, anche al

valore nominale, o di nuovi strumenti finanziari partecipativi muniti di diritt i d i vo to

nell’assemblea ordinaria e straordinaria (cd. poison pill), in deroga al vincolo stabilito nel

comma 6 dell’art . 2346 del cod. civ. ( 21). L’efficacia di tali ulteriori poteri, in funzione

antiscalata, è subordinata all’approvazione comunitaria (22).

4. I rilievi della Commissione europea nella causa C-326/07. La violazione degli articoli.

Il ricorso proposto il 28 giugno 2006 (IP/06/859) dalla Commissione contro la Repubblica

italiana si inserisce nel filone giurisprudenziale riguardante le cosiddette “golden shares”

(21) Cfr. F.M. MUCCIARELLI, Società privatizzate: un castello inespugnabile, in www.lavoce.it, 22 gennaio 2008.

L’art. 1, commi 381-384, della legge finanziaria per il 2006 ha previsto la facoltà, per le società in cui lo Stato detiene una partecipazione rilevante, di emettere azioni e strumenti finanziari partecipativi che attribuiscono il diritto a chiedere l’emissione di nuove azioni o strumenti partecipativi muniti di diritto di voto. In tal modo si è introdotto nell’ordinamento italiano uno strumento di difesa (detto, appunto, poison pill), presente anche in altri Paesi, rispetto a tentativi di scalata considerati ostili, attraverso il quale, in caso di offerta pubblica di acquisto riguardante società partecipate dalla mano pubblica, è possibile deliberare un aumento di capitale, con cui l’azionista pubblico è in grado di incrementare la propria quota di partecipazione. Sul valore delle novità legislative in termini “antiscalata” sia consentito rinviare a SCIPIONE, Le regole in materia di misure difensive tra vecchia e nuova disciplina dell’Opa, in Le società, n. 5/2009, p. 590 s.

(22) Un’efficace analisi dei vari problemi posti dalla disposizione in questione è realizzata da SANTONASTASO, Dalla«golden shares» alla «poison pill»: evoluzione o involuzione del sistema? Da una prima lettura del 381°-384° comma dell’art. 1 l. 23 dicembre 2005, n. 266, in Giur. comm., 3, 2006, I, 383 ss. In proposito, a p. 390, l’Autore rileva che «L’esplicito richiamo alla necessità di un vaglio positivo comunitario per far perdere efficacia ad una parte del preesistente regime dei poteri speciali acquista un significato particolare in presenza sia di quanto precisato dalla direttiva del 2004/25 in tema di condizioni di legittimità dei poteri speciali (p.to 20 dei “Considerando”) che della conseguente possibilità di non applicare, in presenza di un’OPA, regole di neutralizzazione (comma 7 dell’art. 11)». Secondo l’Autore, p. 402, non sembravano «sufficienti a superare le obiezioni sotto il profilo della rispondenza dell’ordinamento comunitario del nuovo strument o di difesa della partecipazione sociale pubblica i corrett ivi rappresentati dalla possibil i tà per gl i strumenti f inanziari e per le azioni di godere “di un diri t to l imitato di partecipazione agli utili o alla suddivisione dell’attivo residuo in sede di liquidazione” (comma 1) e la previsione della loro emissione “in deroga all’articolo 2441 del codice civile” (comma 385), in presenza dell’interpretazione dell’articolo 29 della seconda direttiva resa ormai da tempo dalla Corte di giustizia ».

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(pacchetti azionari privilegiati), espressione con cui, a partire dalla pronuncia della sentenza

Commissione v. Germania, s i deve intendere «qualsiasi struttura giuridica applicabile alle

singole imprese, che conserva o contribuisce a mantenere l’influenza dell’autorità pubblica su

tali società» (23).

In particolare, la Commissione ha ritenuto che alcune disposizioni della normativa italiana (la

legge presa in esame è quella citata sulle privatizzazione del 30 luglio 1994, n. 474, mod ificata

dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350) riguardanti gli investimenti nelle società privatizzate,

costituiscano restrizioni ingiustificate alla libera circolazione dei capitali (art. 56 CE) e alla

libertà di stabilimento (art. 43 CE). Il Trattato consente eccezioni per ragioni di ordine

pubblico, sicurezza pubblica, salute pubblica e difesa e pertanto l’obiettivo di proteggere

alcune attività economiche può essere accettabile purché in casi specifici.

Il punto controverso nella presente causa è, tuttavia, rappresentato dall’esame dei criteri

contenuti nel d.p.c.m. del 2004 (art. 1, comma 2), ove si stabiliscano le condizioni atte a

giustificare l’esercizio dei poteri speciali (24). Non a caso, la Commissione ha giudicato

«eccessivo l’uso dei poteri speciali previsti dalla normativa italiana per raggiungere tali

obiettivi» e ha ritenuto altresì che i criteri per l’esercizio di questi poteri – sarebbe a dire le

situazioni concrete che possono essere r icomprese nel la nozione di «grave ed effettivo

pericolo», di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) – d), del decreto del 2004 – sebbene riguardino

diversi tipi di interessi generali, siano «vaghi e di portata indeterminata – ad eccezione di un

vago (generale) riferimento alla tutela degli interessi nazionali (25) – e conferiscano, pertanto,

alle autorità del Paese ampi poteri discrezionali nel giudicare i rischi per gli interessi vitali dello

Stato». L’assenza di certezza costituisce un ostacolo ingiustificato all’ingresso di investitori

stranieri che intendono stabilirsi in Italia al fine di esercitare un’influenza sulla gestione delle

imprese. Inoltre, la Commissione ha ritenuto che la formula utilizzata vada «oltre quanto

necessario per tutelare gli interessi pubblici che ne costituiscono l’oggetto». Le preoccupazioni

di interesse pubblico avrebbero potuto essere prese in considerazione mediante disposizioni

alternative meno restrittive.

(23) La Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia europea per la golden share in

Eni, Enel, Finmeccanica e Telecom (poteri speciali nelle società privatizzate). Per un primo commento cfr. COLANGELO,“Golden share”, diritto comunitario e i mercanti di Venezia. Nota a CGCE sez. III 26 marzo 2009 (causa C-326/07), in Foro it., 2009, 5, 224 ss.; sulla stampa specialistica cfr. BRIVIO, Bruxelles condanna la golden share italiana, in Il Sole 24 Ore, 27 marzo 2009, 39.

(24) Cfr. TALARICO, I “poteri speciali” riservati allo Stato italiano nelle società privatizzate. Possibili effetti sulla economicità aziendale, i n FERRARIS FRANCESCHI (a cura d i ) , Privatizzazioni e problemi di governance (Esperienze a confronto: il caso tedesco), Torino, 2002, 203 ss.

(25) V., in tal senso, Corte giust., 4 giugno 2002, causa C-483/99, Commissione v. Francia, in Racc., I-4781, p.ti 50 e 51. Il decreto del 2004 ha in realtà specificato che i poteri possono essere esercitati nei casi di grave ed effettivo pericolo derivante da una carenza di approvvigionamento nazionale minimo di prodotti petroliferi ed energetici, dalla discontinuità di obblighi verso la collettività nell’ambito di un servizio pubblico, da rischi per la sicurezza degli impianti e delle reti, per la difesa nazionale o da emergenze sanitarie.

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Peraltro, a tenore delle suesposte osservazioni, la Commissione ha rilevato, infine, la

mancanza di un nesso causale tra la necessità di garantire l’approvvigionamento di prodotti

energetici, la fornitura dei servizi pubblici e il controllo dell’assetto azionario dell’impresa,

soprattutto nei settori non armonizzati. Riguardo ai settori di attività in cui è stato raggiunto

un certo livello di armonizzazione delle legislazioni nazionali, la Commissione cita le direttive

2003/54/CE, 2003/55/CE e 2002/21/CE (rispettivamente: la “Direttiva elettricità”, la “Direttiva

gas” e la “Direttiva telecomunicazioni”), come strumenti che contengono i mezzi per garantire

la continuità degli approvvigionamenti su scala nazionale in questi settori dell’economia.

5. La sentenza della Corte di giustizia. Delimitazione del campo d’indagine.

La Corte di giust izia europea con sentenza del 26 marzo 2009 ( causa C-326/07) (26),

accogliendo il ricorso della Commissione, ha bocciato la golden share italiana, giudicando

contrarie alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione di capitali (27) sia le disposizioni

di cui al d.l. n. 332/1994 che il decreto del 2004.

Per stabilire se la normativa nazionale rientri nell’una o nell’altra di tali libertà, la Corte

europea muove dal prendere in considerazione l’oggetto della normativa in questione, come

d’altro canto rileva da una giurisprudenza consolidata (28).

Tuttavia, per definire con la necessaria accuratezza i l campo di indagine, con logica

geometrica ma ricca di implicazioni, la Corte opera una prima distinzione a seconda che i

suddetti criteri contenuti nel d.p.c.m. del 2004 siano applicati:

1) ai poteri di opposizione dello Stato all’acquisizione di partecipazioni e alla conclusione di

patti tra azionisti che rappresentino una determinata percentuale dei diritti di voto (art. 2,

comma 1, lett. a) e b), del d.l. n. 332/1994);

2) al potere di porre un veto a talune decisioni della società [art. 2, comma 1, lett. c), del d.l.

n. 332/1994].

(26) V. Corte giust., 26 marzo 2009, causa C-326/07, Commissione v. Italia. Per un primo commento si veda

COSTANTINO, In tema di golden share, in Foro it., 2009, 5, 221 s.(27) Il giudizio della Corte si basa su quanto verificatosi nella fase precontenziosa – in seguito alla prima lettera di

diffida della Commissione del 6 febbraio 2003, l’intervento normativo dello Stato italiano (art. 4, commi 227 e 230, l. n. 350/ 2003 e art 11 d.p.c.m. 10 giugno 2004, la lettera di diffida complementare del 22 dicembre 2004, la risposta del governo italiano del 20 maggio 2005. La Corte ha accolto le contestazioni mosse dalla Commissione giudicando, tra le altre argomentazioni, non fondato il tentativo della Repubblica italiana di far valere il principio di sussidiarietà, avendo in proposito ritenuto che anche questo, alla stregua di tutti i poteri discrezionali lasciati agli Stati membri, debba sottostare al principio di proporzionalità che nel caso concreto non è stato rispettato.

(28) V . Corte giust., 24 maggio 2007 , c a u s a C -157/05, Holböck, i n Racc., I -4051 , p . to 22 , nonché l a giurisprudenza ivi citata.

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La delimitazione del campo d’indagine si arricchisce poi di un ulteriore filtro di analisi, in forza

del quale la Corte stabilisce preventivamente che:

a ) i criteri relativi all’esercizio dei poteri di opposizione vanno esaminati sotto il profilo di

entrambe le disposizioni del Trattato di cui si contesta la violazione;

b) per quanto attiene, invece, al potere di veto, i criteri del d.p.c.m. del 2004 devono essere

esaminati esclusivamente sotto il profilo dell’art. 43 CE, dovendosi escludere, per contro, un

esame autonomo alla luce dell’art. 56 CE. A detta della Corte, infatti, tale potere riguarda

decisioni rientranti nella gestione della società e, pertanto, concerne soltanto azionisti in grado

di esercitare un’influenza sicura sulle società considerate (29).

5.1. I poteri di opposizione.

Secondo la Corte sono da sanzionare i poteri speciali che permettono agli azionisti con almeno

il 5% dei diritti di voto (quindi lo Stato italiano) di opporsi all’acquisto di partecipazioni rilevanti

da parte di nuovi investitori. Del pari, la medesima valutazione deve considerarsi valida anche

per le norme che regolano i patti o gli accordi tra azionisti che rappresentano almeno il 5% de i

diritti di voto.

In relazione all’esercizio dei poteri di opposizione, la Corte precisa che la limitazione del

principio di libera circolazione dei capitali può essere legittimata esclusivamente:

1) da provvedimenti nazionali giustificati dalle ragioni di cui all’art. 58 CE;

2) da ragioni imperative di interesse generale, purché in questa seconda ipotesi le misure

restrittive non siano discriminatorie e siano proporzionate (30), cioè non esistano misure

comunitarie di armonizzazione che, nello specifico, indichino i provvedimenti necessari a

garantire la tutela di tali interessi (31).

La libertà riconosciuta agli Stati membri di decidere, in assenza di armonizzazione comunitaria,

il livello al quale intendono garantire la tutela di tali legittimi interessi , nonché il modo in cui

questo livello deve essere raggiunto, deve infatti essere esercitata nel rispetto del principio di

proporzionalità. Siffatto principio richiede che «le misure adottate siano idonee a garantire il

(29) V. Corte giust., 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, in

Racc., I-7995, p.to 33.(30) V. Corte giust., 4 giugno 2002, causa C-483/99, Commissione v. Francia, cit., p.to 45.(31) V. Corte giust., 23 ottobre 2007, causa C-112/05, Commissione v. Germania, in Racc., I-8995, p.to 72, e la

giurisprudenza ivi citata.

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conseguimento dello scopo perseguito e non vadano ol tre quanto necessario per i l suo

raggiungimento» (32).

A difesa della disciplina oggetto di critica, i rappresentanti italiani, durante l’udienza, hanno

evocato come esempi l’eventualità che un operatore straniero legato ad un’organizzazione

terroristica tenti di acquisire partecipazioni in società nazionali operanti in un settore

strategico; o la possibilità che una società straniera che controlli reti internazionali di energia

( e c h e i n p a s s a t o a b b i a g i à s f r u t t a t o l a s u a p o s i z i o n e p e r c r e a r e diff icol tà di

approvvigionamento a Paesi limitrofi) acquisisca una partecipazione in un’impresa nazionale. I

giudici hanno riconosciuto che simili situazioni potrebbero giustificare un’opposizione

all’acquisizione di una partecipazione, ma hanno anche rilevato che non si tratta di casi

menzionati dal decreto del 2004 che formula gli interessi generali in modo più generico e

impreciso.

In questa come in altre fattispecie, l’applicazione del “test di proporzionalità” (di cui si dirà in

seguito) ha condotto la Corte a ritenere che l’attuazione dei criteri controversi, considerati in

relazione all’esercizio dei poteri di opposizione, non è atta a conseguire gli obiettivi perseguiti

nel caso di specie a causa della mancanza di un nesso tra detti criteri e tali poteri (33). Del

resto, l’assenza di un “collegamento funzionale”, come sostenuto dalla stessa Commissione,

accentua l’incertezza in ordine alle circostanze in cui i medesimi poteri possano essere

esercitati e conferisce ad essi un carattere discrezionale eccessivo.

5.2. I poteri di veto.

L’altra questione di merito riguarda l’esercizio dei poteri di veto che, come supra specificato,

comporta invece un’infrazione solo dell’art. 56 del CE sulla libera di circolazione dei capitali.

Anche in questo caso la Corte ha ritenuto che non siano state precisate sufficientemente le

circostanze concrete che permettono al Governo italiano l’esercizio della prerogativa in esame.

Per giunta, la menzione della normativa italiana, secondo cui il potere di veto può essere

esercitato solo in conformità della legislazione comunitaria, non è stato ritenuto elemento

sufficiente a garantirne la compatibilità con il diritto dell’Unione europea. Né tanto meno,

(32) V . Corte giust., 23 o t tobre 2007, causa C -112/05, Commissione v. Germania, c i t . , p . to 73 nonché la

giurisprudenza ivi citata.(33) Nella sentenza del 17 luglio 2008, Commissione v. Spagna, cit., p.ti 38 e 51, la Corte ha statuito che la mera

acquisizione di una partecipazione che ammonti a oltre il 10% del capitale sociale di una società operante nel settore dell’energia o ogni altra acquisizione che conferisca un’influenza significativa su tale società, in linea di principio, non p u ò e s s e r e c o n s i d e r a t a , d i p e r s é , c o m e u n a m i n a c c i a r e a l e e s u f f i c i e n t e m e n t e g r a v e p e r l a s i c u r e z z a dell’approvvigionamento.

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sembra esserlo la previsione di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) - c), del d.l. n. 332/1994 che

prevede il controllo del giudice nazionale, al fine di assicurare la protezione delle persone in

relazione all’applicazione delle norme sulla libera circolazione dei capitali.

6. I l reasoning della Corte e le osservazioni dell’Avvocato generale. De jure condendo.

Nelle motivazioni che supportano il dispositivo della sentenza, la Corte richiama puntualmente

tutto l’acquis giurisprudenziale accumulato (34), per riproporre l’approccio meramente

procedurale, già adottato a partire dal caso Konle (35). Di fronte ad un asse logico così forte e

nitido, ogni altra valutazione parrebbe, dunque, al più perimetrale, e comunque non potrebbe

spostare il sillogismo portante.

Eppure, le problematiche toccate dalla sentenza o lasciate intravedere sullo sfondo e non

affrontate direttamente, anche se richiamate dall’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nelle

proprie conclusioni, sono numerose e potenzialmente suscettibili di offrire spunti per soluzioni

non del tutto scontate, nonostante il peso dell’argomento principale.

A titolo esemplificativo, vi sarebbe stato spazio per esaminare o riprendere profili di analisi

come i seguenti:

1) se il principio di sussidiarietà autorizzi od avalli misure unilaterali di singoli Stati ed in

presenza di quali fattori, con particolare riguardo a discrasie o squilibri nell’apertura dei

mercati, configurabili sul piano sincronico per effetto di scelte fondamentali diverse dei vari

ordinamenti o su quello diacronico in relazione alla differente tempistica delle evoluz ioni

consentite o imposte da discipline europee;

2) se considerazioni di reciprocità possano pesare nella valutazione di ammissibilità di siffatte

misure, con specifico riferimento ai mercati di settore; se esse possano eventualmente venire

legittimate per il fatto di indirizzarsi al perseguimento di obiettivi positivamente apprezzabili

sul terreno del diritto comunitario, per essere individuati dal Trattato o da disposizioni

normat ive sot tordinate , ed in par t icolare in quanto in tese a l la protezione d i l ibe rtà

fondamentali di origine giurisprudenziale (36);

(34) Oltre a Corte giust., 4 giugno 2002, cause C-367/98, C-483/99 e C-503/99, vengono richiamate le sentenze

Keck e Mithouard (C-267/91 e C-268/91), Trummer e Mayer (C-222/97), Alpine Investments (C-384/93), Sanz de Lera e altri (C-163/94, C-165/94, C-250/94), Analir e altri (C-205/99), Église de Scientologie (C-54/99).

(35) Cfr. Corte giust., 7 settembre 1999, causa C-355/97, Konle, in Racc., I-3099.(36) È stato perfino rilevato che l’idea centrale della normativa in materia di «golden share» ruota intorno alle

condizioni in base alle quali soggetti extraeuropei possano sfruttare i privilegi derivanti dalla proprietà di imprese nei se t tor i p iù sensibi l i , scartando, dunque, soluzioni al ternative come la reciprocità e optando per accordi che introducano negli statuti le golden shares, con il consenso della maggioranza degli azionisti.

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3) se, specie in tale logica, la temporaneità possa fungere da giustificazione;

4) se, nell’ambito del trend verso la liberalizzazione prima e la privatizzazione poi, interventi di

singoli Stati possano essere diversamente apprezzati laddove si rivolgano solo agli operatori

pubblici e non a quelli privati, senza che si configurino disparità di trattamento.

Molte di queste tematiche sono in realtà solo sfiorate, in un certo modo assorbite dal filo

conduttore del ragionamento della Corte, pregnante e dominante rispetto ai pur non irrilevanti

dati collaterali; altre sono pressoché ignorate, soprattutto allorquando appaiono ricche di

implicazioni strategiche, in termini di politica economica e di convivenza dei sistemi nazionali

in una complessa fase di transizione indotta dal diritto europeo. Sembra, dunque, che la Corte

abbia voluto trascendere i profili più delicati della tempistica e delle modalità di attuazione

delle politiche europee, quando una più approfondita disamina di esse potrebbe esporla a

valutazioni impegnative e suscettibili di sconfinare nella sfera della politica.

Ribaltando il ragionamento, la decisione della Corte, nella sua voluta schematicità, è

comunque “apprezzabile” anche per quel che non dice. È sufficiente operare un rapido

accostamento con le conclusioni dell’Avvocato generale per rendersi conto di come una

predisposizione meno refrattaria e più incline alla sistematicità espositiva ed alla completezza

dei raccordi avrebbe potuto sfociare in affermazioni molto più impegnative e compromettenti,

oltre che difficili da recuperare in future occasioni (37).

Secondo il parere formulato dall’Avvocato generale le preoccupazioni che stanno alla base

della conservazione della golden share possono essere condivisibili, ma è sulle soluzioni che

l’Italia è andata oltre il diritto comunitario. In particolare, l’Avvocato generale sostiene che, sul

fronte della proporzionalità, «esistono soluzioni meno gravose per il funzionamento del

mercato comune, che conferiscono una maggiore prevedibilità agli atti degli investitori

stranieri: penso in particolare alla conservazione, da parte dello Stato italiano, di una

minoranza di blocco nelle società in cui ritenesse opportuno mantenere la propria presenza».

Come pure si potrebbe pensare all’introduzione di criteri, ammessi dal diritto societario

europeo, che condizionino l’efficacia delle delibere su operazioni straordinarie a maggioranze

rafforzate o alla presenza di quorum rigidi.

Inoltre, l’Avvocato generale ribadisce che il tipo di comportamenti sotto accusa degli organi

societari debba essere ricondotto alla sfera della libertà di stabilimento di cui all’art. 43 CE e

non a quella della libera circolazione dei capitali, che non sembra rilevante, nemmeno in

considerazione di un presunto effetto dissuasivo sui fondi stranieri, a causa della debolezza del

nesso occorrente.

(37) In tal senso cfr. COLANGELO, “Golden share”, diritto comunitario e i mercanti di Venezia, cit., 226.

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7. L’impianto concettuale della giurisprudenza comunitaria in materia di golden share.

La sentenza in epigrafe si innesta sul solco di altri pronunciamenti restrittivi emessi in passato

dalla Corte di Giustizia europea sulla scia di azioni della Commissione contro la golden share di

Spagna (da Respol a Teléfonica), Gran Bretagna (British Airport Authority), Paesi Bassi (Kpn e

Tnt) e Portogallo (38). Vanno inoltre segnalate sia la sentenza che condannò nel dicembre del

2007 lo statuto dell’AEM Milano (39) poi ripetuto da quello di A2A, sia il braccio di ferro con il

Land tedesco della Bassa Sassonia per la golden share detenuta in Volkswagen (40).

La validità delle normative nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito delle golden

sha res viene generalmente esaminata dalla Corte di giustizia al la luce di due l ibertà

fondamentali garantite dal Trattato CE: il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei

capitali.

Con le pronunce del 4 giugno 2002, i colpi della scure comunitaria si erano, in un primo

momento, abbattuti sulle legislazioni portoghese e francese (cause C-367/98 e C-483/99)

(41), con la significativa eccezione di quella belga. Secondo la ratio decidendi delle sentenze

sulle c.d. golden shares, le disposizioni nazionali violavano, in linea di massima, il principio

della libertà di movimento dei capitali sancito dagli articoli 56 ss. del Trattato, salvo che esse

(38) Di ques to au ten t i co campo d i ba t t ag l i a con t inen ta le dava ana l i t i co con to uno s tud io compara to

commissionato dal Comitato per le Privatizzazioni del Ministero dell’Economia, che forniva una aggiornata quanto istruttiva rappresentazione delle forme e delle logiche attraverso le quali, nei diversi Paesi europei, l’intervento pubblico nel mercato tenda ad evolvere, a trasfigurarsi o a perpetuarsi . Se ne veda l’i l lustraz ione sintetica di BORTOLOTTI, Europa a prova di golden share, in Il Sole 24 Ore, 20 aprile 2003. Ne scaturiscono due evidenze di fondo:(i) fatta eccezione per il Regno Unito e per la Spagna, gli Stati Membri dell’Unione Europea risultano azionisti di controllo delle società privatizzate nei settori strategici delle cc.dd. regulated industries (petrolio e gas, elettricità, telecomunicazioni, aerospaziale e difesa, trasporti); (ii) nelle società privatizzate i poteri speciali e/o i limiti al possesso azionario sono presenti in maniera alquanto estesa. Il che conferma, secondo la classica dottrina di Monsieur de La Palisse, a lmeno due al t r i dat i : ( iii) le società privatizzate operanti nei citati settori strategici non sono di fatto contendibili, in quanto non scalabili senza il consenso dell’azionista pubblico; e, soprattutto, ( iv) la stessa eventuale rimozione della golden share non risulterebbe risolutiva, ove i governi nazionali decidessero di non portare a compimento le privatizzazioni iniziate. (39) V. infra nt. 18.

(40) Per una disamina della giurisprudenza della Corte di giustizia con riferimento ai singoli ordinamenti nazionali cfr. SPATTINI, “Vere” e “false” “golden shares” nella giurisprudenza comunitaria e la “deriva sostanzialista” della Corte giust., ovvero il “formalismo” del principio della “natura della cosa”: il caso Volkswagen, e altro…, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, 451 ss.; SAN MAURO, Golden shares, poteri speciali e tutela di interessi nazionali essenziali, Roma, 2004, 41 s.

(41) Al riguardo cfr. Corte giust., 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione v. Portogallo, in Racc., I-4731; causa C-483/99, Commissione v. Francia, cit.; causa C-503/99, Commissione v. Belgio, in Racc., I-4809. Le cause C-367/98, C-483/99 e C-503/99, sono pubblicate anche in Foro it. , 2002, IV, 479 con nota di BOSCOLO, Le “golden shares” di fronte al giudice comunitario; cfr. anche FRENI, Golden share e principio di proporzionalità: quando il fine non giustifica i mezzi. Commento a CGCE 4 giugno 2002, causa C-438/99; CGCE 4 giugno 2002, causa C-367/98; CGCE 4 giugno 2002, causa C-503/99, in Giorn. dir. amm., 2002, 1045 ss. ; SZYSZCZAK, Golden Shares and Market Governance, i n Leg. Issues of Econ. Integr. 29(3) , 2002, 255; LAZZARA, Libera circolazione dei capitali e “golden share”. Nota a CGCE sez. V 4 giugno 2002 (cause C-483/99 e C-503/99), in Foro amm., 2002, 1607 ss.

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non risultassero giustificate da una delle ragioni di cui all’art. 58 o da ragioni prevalenti

d’interesse generale nella definizione di cui alla giurisprudenza “Cassis de Dijon” e s i

rivelassero adatte, necessarie e proporzionate per il raggiungimento dello scopo p refissato

(42).

In segui to due sentenze gemel le del 13 maggio 2003, la Corte di Giustizia pronunciò

l’incompatibilità con l’ordinamento comunitario delle disposizioni in tema di golden share

contenute nella normativa spagnola (43) ed in quella inglese (44). Esse completano la vasta

geografia giuridica del contenzioso sulla materia, che comprendeva naturalmente le procedure

d’infrazione pendenti nei riguardi dell’Italia, dell’Olanda (45), della Danimarca, della Germania.

(42) Sia i l decreto francese n. 93 -1298, che conferisce allo Stato francese una partecipazione speciale nella

Société Elf-Aquitaine, sia la legge portoghese n. 11/90, che consente tra l’altro alla Repubblica portoghese di limitare l’influenza degli investitori stranieri sulle aziende privatizzate, furono considerati, sulla base di questo principio giuridico, violazioni della libertà di movimento dei capitali. Solo i due regolamenti belgi che conferivano allo Stato azioni speciali della Société Nationale des Transports par Canalisation e della Distrigaz furono giudicati compatibili con la libertà di movimento dei capitali. Nel caso specifico, al governo belga fu riconosciuto il potere di opporsi ad operazioni di cessione o a mutamento di destinazione degli investimenti sociali, che potevano recare pregiudizio agli interessi nazionali nel settore dell’energia, nonché di nominare due rappresentanti nell’ambito del consiglio di amministrazione di dette società, in grado di proporre al ministro competente l’annullamento di deliberazioni societarie ritenute in contrasto con la politica energetica nazionale. Invero, il diritto di sollevare obiezioni, assegnato al Ministero dai due regolamenti, venne giudicato in contrasto con l’art. 56, ma si ritenne che fosse giustificato per motivi di sicurezza pubblica, nonché proporzionato all’obiettivo prefissato. Nello specifico, giocava a favore di tale tesi il presupposto che un’eventuale obiezione dovesse essere sollevata entro un dato periodo di tempo, in forma specifica e solo per talune ragioni e che fosse soggetta ad esame giudiziario. Pertanto, a parere della Corte, l’interferenza con la libertà di movimento dei capitali causata da tali regolamenti poteva ritenersi limitata alla misura necessaria per raggiungere lo scopo. Di tal che, la normativa belga era stata giudicata compatibile con l’ordinamento comunitario in quanto maggiormente rispettosa degli investitori. A giudizio della Corte, essa configurava, a tutti gli effetti, un “regime di opposizione” nel quale il dispiegamento della libertà non era subordinato all’esercizio di alcun potere da parte dell’amministrazione, essendo a quest’ultima riservata soltanto u na potestà inibitoria in casi rigorosamente previsti.

(43) V. Corte giust., 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione v. Spagna, cit. Nei casi presi in esame dalla Corte, i poteri speciali oggetto di verifica erano quelli detenuti dal governo spagnolo nel le società Repsol (petrolio ed energia), Telefonica (telecomunicazioni), Argentaria (banca), Tabacalera (tabacco) ed Endesa (elettricità). In dottrina si rimanda alle osservazioni formulate da BOSCOLO, Circa la “golden share”. Osservazioni a CGCE 13 maggio 2003 (causa C-98/01) CGCE 13 maggio 2003 (causa C-463/00), in Foro it., 2003, 9, IV, 406 s.; COLANGELO, Circa la “golden share”. Osservazioni a CGCE 13 maggio 2003 (causa C-98/01) CGCE 13 maggio 2003 (causa C-463/00), in Foro it., 2003, 9, IV, 405 s . In base alla normativa iberica le imprese, che presentavano nel proprio capitale sociale una partecipazione pubblica superiore al 25% e la cui att ività includesse la prestazione di servizi essenziali o lo svolgimento di attività di interesse generale, erano assoggettate ad un regime di autorizzazione preventiva delle delibere societarie più importanti (scioglimento, scissione, fusione, modifica dell’oggetto sociale, cessione di beni o di capitale sociale, riduzione della partecipazione pubblica in misura pari o superiore al 10%, acquisizione di quote sociali pari a l 10% del capi tale) , qualora la partecipazione del lo Stato a) s i r iducesse, per effet to di operazioni di trasferimento, in percentuale pari o superiore al 10% del capitale sociale e divenga inferiore a l 50%; b) si riducesse, a seguito di qualsiasi atto o negozio, ad una quota inferiore al 15% del capitale sociale.

(44) V . Corte giust., 13 maggio 2003 , causa C -98/01, Commissione v. Regno Unito, i n Racc. , I -4641. La normativa inglese aveva previsto, contestualmente alla privatizzazione della British Airport Authority (BAA), una One Pound Special Share che conferiva al Governo la facoltà di autorizzare in via preventiva alcune importanti operazioni sociali (liquidazione o scioglimento della società o di una sua controllata, cessione di un aeroporto, cessazione del controllo su più della metà dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea di una qualsiasi controllata, acquisto di azioni con diritto di voto eccedenti il 15% del capitale).

(45) V. Corte giust., 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione v. Paesi Bassi, in Racc., I-9141. La Corte di giustizia ha giudicato illegale la golden share detenuta dal governo olandese nell’operatore telefonico KPN e in TNT Post Group (TPG), accogliendo le argomentazioni della Commissione che aveva denunciato la violazione, da parte dell’Olanda, dell’art. 56 CE sulla libera circolazione del capitale all’interno dell’Ue e dell’art. 43 sulla libertà di stabilimento. Conferendo un controllo sulla politica gestionale delle due società, sostenne la Corte, i poteri speciali detenuti dal governo, pur non essendo esplicitamente discriminatori, scoraggiavano gli investitori di altri Stati membri ad investire nelle due società.

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Le due successive sentenze della Corte di Giustizia hanno consentito di attualizzare (rectius,

precisare) il punto di vista comunitario sull’argomento. L’indicatore sviluppato scaturisce dal

numero di poteri speciali (poteri di nomina, e di veto all’acquisizione di partecipazioni rilevanti)

e di vincoli statutari (limiti al possesso azionario, tetti ai diritti di voto, obbligo di controllo

nazionale).

E a ben vedere, il giudizio della Corte con riferimento al caso italiano ripercorre pari passu il

già ricordato decisum del 4 giugno 2002 e del 13 maggio 2003, ribadendo i criteri direttivi di

interpretazione del Trattato, secondo cui:

i) simili restrizioni sono ammissibili ove “non discriminino” in ragione della nazionalità;

ii) rispondano ad esigenze imperative di interesse generale (c.d. principi o d i “ idoneità-

necessità”);

iii) e siano commisurate al fine che perseguono (c.d. principio di “proporzionalità”).

In altri termini, occorre che la previsione dei “poteri speciali” venga adottata a posteriori e

che, qualora si basino su criteri oggettivi e precisi, le condizioni di esercizio siano note

anticipatamente agli interessati ed impugnabili dinanzi ad un giudice (46).

È, dunque, dal l ’appl icazione di questo t r ipl ice test di conformità ai pr incipi di non-

dicriminazione, di idoneità-necessità e di proporzionalità, che scaturisce la condanna dell’Italia,

come ieri di Spagna e Regno Unito, e più indietro ancora di Portogallo e Francia (fatta salva

l’assoluzione del Belgio) (47).

È tuttavia doveroso osservare che, in questa battaglia per l’abolizione degli ostacoli alla libera

circolazione dei capitali, l’intervento della Corte europea sembra focalizzarsi principalmente

sugli aspetti formali anziché sulle situazioni strutturali, concentrando l’attenzione sugli effetti

(46) Cfr. parr. 68 e 69 della sentenza.(47) Alcune contraddizioni di fondo, riguardanti l’applicazione della giurisprudenza del 4 giugno 2002 alle cause di

cui trattasi, si rinvengono dall’esame delle conclusioni cui giunse l’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer. Più nel dettaglio, la ricostruzione proposta con riferimento alla causa Commissione v. Spagna, portava a concludere che esistessero numerose analogie tra la normativa spagnola e quella belga: in primis, perché anche la normativa spagnola perseguiva motivi imperat ivi di interesse generale qual i la preoccupazione per la s icurezza degl i approvvigionamenti, la solidarietà economica e sociale, la tutela degli interessi dei consumatori; e , in secondo luogo, poiché in entrambe le normative la pubblica autorità disponeva di un termine ris tretto per far valere la propria opposizione, soggetta a controllo giurisdizionale. Le differenze palesate fra queste due normative erano, per inciso, le seguenti:

1) l’ambito di applicazione ratione materiae del la normativa spagnola era più ampio, ma ciò non incideva sull’obiettività e sulla precisione dei criteri ai quali l'autorizzazione era subordinata;

2) essa possedeva una caratteristica specifica che la distingueva da altre cause simili dinanzi alla Corte di giustizia: il suo carattere transitorio. Ciascuno dei regi decreti prevedeva un termine di decadenza, il che confermava che si trattasse di un regime eccezionale destinato ad accompagnare un processo di privatizzazione.

L’Avvocato generale ritenne, pertanto, che le possibili restrizioni alla libera circolazione dei capitali stabilite dal regime spagnolo fossero giustificate e proporzionate all’obiettivo perseguito, e propose, di conseguenza, di respingere il ricorso della Commissione contro la Spagna.

Diversamente, nella causa Commissione v. Regno Unito, l’Avvocato generale sostenne che non ricorresse alcuno dei criteri stabiliti dalla Corte di giustizia nell’esaminare la normativa belga, dato che le decisioni che la pubblica autorità poteva prendere in forza dell’azione speciale non erano soggette ad alcuna condizione né ad alcun controllo giurisdizionale. Da qui l’evidente contrasto del regime britannico con la libera circolazione dei capitali.

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anziché sulle cause ed evitando di esaminare il grado di sviluppo delle privatizzazioni o,

addirittura, l’effettività del suo avvio (48). Non è senza significato il richiamo dell’Avvocato

generale Ruiz-Jarabo Colomer a non ricercare nella previsione della golden share una

fattispecie di incompatibilità fine a se stessa, ma ad indagare case-by-case l’anomalia del suo

esercizio (49).

Eppure, nella concezione comunitaria della regolazione delle public utilities, che è il campo

privilegiato di operatività delle aziende pubbliche privatizzate (o da privatizzare) (50), è il

regime del mercato concorrenziale ad offrire, al più alto grado di efficienza, le risposte

precedentemente garantite dalla public ownership (51).

(48) Cfr. KILIAN, Vom sinkenden Wert der “Goldenen Aktien”, in Neue juristische Wochenschrift, 2003, 2653 ss.;

GIPPINI-FOURNIER; RODRÍGUEZ MÍGUEZ, Actions spécifiques dans les sociétés privatisées: le beurre ou l’argent du beurre, in Revue du droit de l’Union européenne, 2003, 1, 39 ss.; VOLCK MADSEN, The second round in the battle over state held Golden Share s, i n European Law Reporter, 2003, 327; SPINDLER, Deutsches Gesellschaftsrecht in der Zange zwischen Inspire Art und Golden Shares?, in Recht der internationalen Wirtschaft, 2003, 850 ss.

(49) Nel tentativo di proporre alla Corte una soluzione giuridica delle cause in oggetto, l’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer fa riferimento alla norma del Trattato in forza della quale quest’ultimo lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri e invita la Corte a riconsiderare l’a pplicazione di tale norma ai regimi che istituiscono azioni specifiche a favore dello Stato. In questo modo le autorità pubbliche possono imporre determinati obiettivi di politica economica diversi dal perseguimento del massimo profitto che caratterizza l’ attività privata. Pertanto – secondo il parere dell’Avvocato generale – un provvedimento nazionale che incide sul regime di adozione di decisioni del settore pubblico dev’essere ritenuto compatibile con il Trattato, salvo che se ne provi l’uso ingiustificatamente discriminatorio.

(50) V. Corte giust., 6 dicembre 2007, causa C-464/04, Federconsumatori et al. v. Comune di Milano, cit. Nel caso di specie, i poteri speciali del Comune di Milano risultano dall’applicazione di disposizioni legislative nazionali, le quali autorizzano, specificamente a favore dello Stato o di enti pubblici, l’introduzione di poteri speciali nello statuto societario di un’impresa privatizzata. L’imperativo di coerenza, tuttavia, è violato allorché uno Stato membro adotta delle misure legislative che consentono al medesimo o a suoi organi di occupare, nel controllo di un’impresa privatizzata, una posizione privilegiata rispetto agli altri azionisti della società. La dottr ina, nel commentare i l dispositivo della sentenza, ha, tra l’altro, rimarcato come la Corte:

1) abbia omesso di statuire espressamente il diritto di stabilimento all’estero di imprese pubbliche operanti in contesti di mercato chiuso, nonostante il richiamo dell’Avvocato generale (par. 22 della sentenza);

2) abbia ricusato di parificare le normative intese alla conservazione, a favore di Stati membri che avevano avviato processi di privatizzazione, di golden shares, a cui si riferivano i suoi precedenti (in particolare cfr. Corte giust., 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione v. Portogallo, cit.; causa C-483/99, Commissione v. Francia, cit.; causa C-503/99, Commissione v. Belgio, cit.), all’ipotesi speculare del tentativo di precludere il controllo da parte di soggetti pubblici;

3) non abbia insistito troppo in profondità sull’irrilevanza del carattere mirato delle restrizioni alla circolazione dei capitali, indirizzate solo ad operatori pubblici (par. 32 della sentenza), mentre l’Avvocato generale la invitava a sviluppare in dettaglio questo argomento (par. 23 della sentenza), per giunta enfatizzando che, per essere gli unici due operatori italiani a partecipazione del Ministro del tesoro, ENI ed ENEL, entrambi quotati, la restrizione finiva in fatto con l’operare solo verso soggetti esteri (par. 31 della sentenza). Pe r un ampio e articolato commento si rinvia a GHEZZI FEDERICO - VENTORUZZO, Golden Share e diritto comunitario: la Corte giust. delle Comunità Europee afferma l'incompatibilità dell'art. 2449 c.c. con il principio di libera circolazione dei capitali nel caso EAM, in Riv. soc., 2008, 252 ss.; CORRADI, La proporzionalità tra partecipazione e “potere di controllo” nell'art. 2449 c.c. Nota a CGCE sez. I 6 dicembre 2007 (cause riunite C-463/04 e C-464/04), in Giur. comm., II, 2008, 5, 932 ss.; BARZAZI, La forza espansiva dei principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria in tema di golden share (riflessioni a margine delle sentenze della Corte giust. relative alla vicenda Volkswagen e A.E.M. Milano), in I contratti dello Stato e degli enti pubblici,2008, 3, 147 ss.

(51) In tal senso emblematica è la vicenda del colosso pubblico francese Edf, non quotato in borsa (e quindi non scalabile), che ha intrapreso con successo il takeover sul gruppo iberico Hidrocantabrico e su quello italiano della Montedison. Mette conto, per di più, di sottolineare il senso beffardamente inflessibile dell’atteggiamento assunto nella circostanza dalla Commissione europea, che ha espressamente negato la compatibilità comunitaria dei tentativi di difesa posti in essere dai governi spagnolo e italiano mediante l’adozione di misure restrittive. Per riprendere le parole di LOCATELLI, Due domande, in Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2003, probabilmente il nodo della golden share non

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Allo stesso modo, se è quello della concorrenza regolata lo scenario veramente compat ibile

con lo sviluppo di un libero mercato integrato a livello europeo, a quale titolo di legittimità –

all’infuori delle fattispecie di palesi market failures – è ascrivibile la possibilità che lo Stato

possa continuare ad estendere, anche in misura decrescente, la sua sfera di ingerenza a ciò

che non gli appartiene più? (52).

In particolare, nel confronto di posizioni riportato nella sentenza contro il Regno di Spagna, la

Commissione Europea osserva che il ricorso alla previa autorizzazione amministrativa viola gli

ar t t . 43 e 56 del TCE e r ichiama in proposi to la sentenza Église de scientologie ( 53).

Aggiungasi che considerazioni di carattere puramente economico o amministrativo non sono

annoverabili tra i motivi imperativi di carattere generale; né, a giustificazione delle restrizioni

imposte alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento, possono essere invocate

dagli Stati Membri circostanze legate all’esercizio di pubblici poteri, all’ordine pubblico, alla

pubblica sicurezza ed al la sanità pubblica: eccezioni che debbono essere interpretate

comunque in modo restrittivo e che non possono essere determinate unilateralmente dagli

Stati membri (54).

Infine, vale la pena segnalare che, per parte sua, il governo spagnolo ha nell’occasione

invocato il principio di neutralità rispetto al regime di proprietà sancito all’art. 295 del TCE e

ha dichiarato di condividere l’opinion espressa dall’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer

nelle conclusioni presentate nelle precedenti cause contro il Portogallo, la Francia e il Belgio,

sottolineando che, dal momento che gli Stati Membri possono legittimamente optare per la

privatizzazione delle imprese pubbliche, dev’essere applicato il principio secondo cui «il potere

più ampio implica il potere meno ampio».

7.1. Confini “mobili” di legittimità dei poteri speciali e golden share “virtuosa”.

Le diverse stesure che hanno contraddistinto l’elaborazione dei “criteri di esercizio dei poteri

speciali” sono indicative dell’incertezza con cui si è mosso progressivamente il legislatore

sta esattamente in cima alla scala delle asimmetrie più eclatanti . Sorprende invece che l’Unione europea privilegi, senza distinzioni, la lotta agli effetti anziché alle cause che ostacolano, dalla base, la libera circolazione delle merci.

(52) Cfr. VERHOEVEN, Privatisation and EC Law: Is the European Commission ‘Neutral’ with Respect to Public versus Private Ownership of Companies?, 45 Int. and Comp. L. Quart. 27 (1996).

(53) su l pun to v . Corte giust., 14 marzo 2000, causa C-54/99 Association Église de scientologie de Paris, Scientology International Reserves Trust c. Repubblica francese.

(54) Cfr . GOBBATO, Golden share ed approccio uniforme in materia di capitali nella recente giurisprudenza comunitaria, in Dir. unione eur., 2004, 428 ss.

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italiano, sotto la scure della rispondenza del nuovo regime di tutela della presenza pubblica al

diritto comunitario.

Le modalità di esercizio dei “poteri speciali” da ultimo introdotte con il d.p.c.m. del 2004, oltre

a non fugare sostanziali perplessità sul versante dell’efficienza, risvegliano non pochi dubbi

anche in considerazione di un giudizio complessivo della loro conformità al diritto “vivente”

comunitario, a sua volta delineato, nella sua interpretazione e applicazione, dalla Corte di

giustizia. Dubbi che sembrano accrescersi specie se considerati alla luce dell’orientamento

della Corte inteso a privilegiare, nella individuazione della golden share “virtuosa” (55), il dato

contenutistico dell’attività (settori della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti

di energia e degli altri pubblici servizi) rispetto ad un’indicazione formale del soggetto (le

società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato).

In questa nuova prospettiva, riprendendo lo spunto dal quale si è partiti, la consolidata

giurisprudenza della Corte considera legittime deroghe nazionali al diritto comune solo se

giustificate, nel rispetto del principio di proporzionalità, da «ragioni imperative di interesse

nazionale» e se «tese a perseguire uno scopo legittimo compatibile con il Trattato».

I dubbi sollevati sull’ultima versione nostrana dei “poteri speciali” conseguono non tanto a

riserve nei confronti dell’aspetto tecnico della redazione legislativa, a dire il vero non sempre

impeccabile, quanto piuttosto sotto l’aspetto della loro compatibilità con le indicazioni della

Corte di giustizia che, come si è illustrato, già in precedenza avevano condotto il legislatore

italiano a modificare progressivamente e in modo radicale un regime di diritto speciale in

or igine det tato in funzione di una generica tutela degl i «obiettivi nazionali di politica

economica e industriale» (56).

Nell’identificare i limiti all’applicabilità della golden share la Corte, nel quadro di una serie di

decisioni, sopra richiamate, che negavano legittimità all’istituto per la violazione del principio

della libera circolazione dei capitali, ha temperato il suo giudizio negativo, fissando specifici

criteri ai quali si deve uniformare il legislatore nazionale per poter beneficiare di una sorta di

“regime di esenzione” (57).

In effetti , non vi è chi non veda il carattere problematico e l’intrinseca provvisorietà

dell’impianto concettuale della giurisprudenza comunitaria in materia di golden share, che non

(55) L’espressione è di BALLARINO - BELLODI, La golden share nel diritto comunitario. A proposito delle recenti

sentenze della Corte comunitaria, in Riv. soc., 2004, 2 ss., ove gli Autori ricostruiscono la posizione della Corte di giustizia in alcune delle citate pronunce del 2002 e 2003.

(56) Sui profili di “atecnicità” riconducibili alla formula summenzionata cfr. G. ROSSI, Privatizzazioni e diritto societario, in Riv. soc., 1994, 391 ss.; OPPO, La privatizzazione dell’impresa pubblica: profili societari, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 775 s.

(57) V. Corte giust., 4 giugno 2002, causa C-503/99, cit., p.ti 43 e 55.

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a caso ha sollevato numerose ragioni di perplessità, anche a proposito del caso belga (58) e

del carattere non proprio soft dell’ingerenza pubblica in quel caso ritenuta compatibile (59).

Nonostante le peculiarità di ciascuna situazione oggetto di giudizio, l’orientamento della Corte

si è rivelato tale da permettere di estendere il modello di argomentazione ogniqualvolta gli

Stati membri cerchino di introdurre deroghe o eccezioni giustificate da situazioni particolari o

straordinarie.

I requisiti di carattere formale e procedurale che, fungendo da garanzia per l’osservanza dei

principi fondamentali del Trattato, devono ricorrere affinché la suddetta “virtuosità” possa

essere invocata sono:

1) l’esistenza di un preciso testo normativo;

2) la sussistenza di un controllo pubblico successivo in contrapposizione alla richiesta di

un’autorizzazione preventiva;

3) la previsione dell’obbligo di motivazione;

4) la presenza del controllo giurisdizionale.

Per giunta, i giudici comunitari richiedono il sussistere di un ulteriore, fondamentale requisito

identificato nei «motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza» (art. 58 Trattato) (60).

Nell’argomentazione complessiva della Corte emerge, dunque, la possibilità di salvaguardare

con “deroghe circoscritte” taluni interessi vitali degli Stati membri che rischierebbero altrimenti

di essere lesi in situazioni generali. È bene escludere, tuttavia, che tale atteggiamento possa

tradursi nel riconoscimento di una riserva generale relativa a situazioni eccezionali che,

prescindendo dai presupposti specifici stabiliti dal Trattato, rischierebbe di compromettere la

forza cogente e l’applicazione uniforme del diritto comunitario. È per queste ragioni che si

rende necessario – come già più volte sottolineato – verificare in concreto, caso per caso, nel

rispetto del principio di proporzionalità, se la disapplicazione di norme del Trattato possa

essere realizzata su un altro piano o con altri strumenti.

(58) Nella circostanza, la Corte ha chiarito che il Trattato [ai sensi dell’art. 73 d, divenuto art. 58, n. 1, lett. b)]

non pregiudica il diritto degli Stati membri di adottare misure che limitano la libera circolazione dei capital i se giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

(59) Secondo un’attenta dottrina «direttamente dal caso del Belgio e indirettamente dagli altri sembra si possano desumere delle discriminanti al generale divieto delle actions spécifiques come discende dal principio della libera circolazione dei capitali»; così BALLARINO - BELLODI, La golden share nel diritto comunitario, cit., 2004, p. 42.

(60) Lo stesso orientamento è stato affermato da Corte giust., 2 giugno 2005, causa C-174/04, Commissione v. Italia, in Dir. comun. sc. intern., 2005, 480 (con brevi note di commento), sulla legittimazione della legge 20 luglio 2001, n. 301, ritenuta in contrasto, nel sistema di protezione introdotto, con il principio dell’art. 56 del Trattato. Per inte ressan t i approfond iment i s i veda pure FRENI, G o l d e n s h a r e , ordinamento comunitario e liberalizzazioni asimmetriche: un conflitto irrisolto, in Giorn. dir. amm., 2007, 2, 145 ss. ; PULCINI, La privatizzazione dell’AEM ed il principio comunitario di libera circolazione dei capitali. Osservazioni a Corte giust. 6 dicembre 2007, C-463/04 e C-464/04, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, 565 ss.

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8. “Libero movimento dei capitali” e “libertà di stabilimento” nella giurisprudenza comunitaria.

Indicazioni definitorie su concetto e portata dei due principi.

Secondo l’interpretazione costante della giurisprudenza, l’art. 56, n. 1, CE vieta in maniera

generale le restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri. È interessante osservare

che, data l’assenza di una definizione, nell’ambito del Trattato, della nozione di “movimenti di

capitali” ai sensi dell’art. 56, n. 1, la Corte ha in precedenti occasioni riconosciuto un valore

indicativo alla nomenclatura allegata alla direttiva del Consiglio 24 giugno 1988, n. 361, per

l’attuazione dell’art. 67 del Trattato (articolo poi abrogato dal Trattato di Amsterdam). Per

effetto di tale rinvio, costituiscono pertanto movimenti di capitali ai sensi dell’art. 56, n. 1, CE,

segnatamente: gli “investimenti diretti”, vale a dire gli investimenti di qualsiasi tipo effettuati

dalle persone fisiche o giuridiche aventi lo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e

diretti tra il finanziatore e l’impresa cui tali fondi sono destinati per l’esercizio di un’attività

economica (61).

Il principio della libera circolazione dei capitali, al pari delle altre libertà, ha l’obiettivo di

favorire l’apertura dei mercati nazionali con l’opportunità offerta ad investitori ed imprese in

cerca di capitali di fruire appieno del mercato interno comunitario. Al fine di raggiungere tale

obiettivo, si chiede agli Stati membri di considerare gli effetti del loro operato con riguardo agli

investitori stabiliti in altri Stati membri che desiderino esercitare il loro diritto alla libera

circolazione dei capitali.

Si può notare, dunque, che i giudici europei considerino come “restrizioni” alla libertà di

stabil imento tutte quelle ipotesi in cui un soggetto viene per così dire “scoraggiato”

dall’investire in una società e dallo stabilirvi “legami durevoli” (62). Tale “deviazione” può

essere ottenuta:

(61) Nelle Conclusioni relative alla causa C-326/07 del 6 novembre 2008, par. 7, l’Avvocato generale Ruiz-Jarabo

Colomer indica a titolo esemplificativo la «partecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o mantenere legami economici durevoli» (investimenti diretti), e l’«acquisto da parte di non residenti di titoli nazionali trattati in borsa» (investimenti in titoli). Cfr., in particolare, Corte giust., 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione v. Paesi Bassi, cit., p.to 18 e giurisprudenza ivi citata; Corte giust., 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione v. Portogallo, cit., p.to 45; causa C-483/99, Commissione v. Francia, cit., p.to 41; causa C-503/99; 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione/Spagna, cit., p.to 61; causa C-98/01, Commissione v. Regno Unito, cit., p.to 47; 2 giugno 2005, causa C-174/04, Commissione v. Italia, cit., p.ti 30 e 31, nonché Commissione v. Paesi Bassi, cit., p.to 20. In tal senso, v. pure Corte giust., 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. p. I-11753, p.ti 179-181; e 24 maggio 2007, causa C-157/05, Holböck, p.ti 33 e 34.

(62) V. Corte giust., Commissione v. Germania, cit., p.to 18 nonché la giurisprudenza ivi citata. Con riferimento a tale forma di investimenti, la Corte ha precisato che devono essere qualificate come “restrizioni” ai sensi dell’art. 56, n . 1, CE misure nazionali idonee a impedire o a limitare l’acquisizione di azioni nelle imprese interessate o che possano dissuadere gli investitori degli altri Stati membri dall’investire nel capitale di queste ultime. Sul punto cfr. GHEZZI - VENTORUZZO, La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici nel capitale delle società per azioni: fine di un privilegio?, in Riv. Soc., 2008, 692; DEMURO, L’incompatibilità con il diritto comunitario della nomina diretta ex art. 2449 c.c., in Giur. comm., 2, 2007, II, p. 581 ss.; cfr. anche CORRADI, Libera circolazione dei capitali ed art. 2449 cc.: il principio di proporzionalità tra partecipazione e “potere di controllo”, in Giur. comm., 3,

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a) sia ricorrendo a disposizioni che riconoscono al soggetto pubblico poteri speciali (di nomina,

di opposizione, di gradimento, etc.) che costituiscono palesi eccezioni al principio di

“proporzionalità partecipativa”;

b) sia per mezzo di regole di diritto societario che, seppur non derogatorie del principio di

eguaglianza, irrigidiscono e rendono non suscettibile di modifiche l’assetto di poteri di cui

dispone l’entità pubblica (63).

È bene precisare che, in un simile scenario l’art. 56 vieta non solo le discriminazioni operate

sulla base della cittadinanza, ma investe anche le disparità che implicano condizioni più

gravose (v. oneri addizionali) per lo svolgimento di un’attività intracomunitar ia, ovvero

impediscono l’ingresso al mercato nazionale degli investitori residenti in altri Stati membri,

«sia poiché tali discriminazioni hanno l’effetto di proteggere la posizione di taluni operatori

economici già stabilit i sul mercato, sia poiché rendono gli scambi intracomunitari più

difficoltosi rispetto al commercio interno» (64).

Volendo ampliare il campo di osservazione, questo è il caso non solo delle disposizioni

legislative che conferiscono poteri speciali direttamente allo Stato (o all’ente pubbl ico), ma

anche della normativa nazionale che, specificamente a favore del soggetto pubblico, consente

che tali poteri siano inseriti nello statuto societario. L’applicazione di tale normativa nazionale

può in concreto rappresentare uno scostamento dalla normale applicazione della normativa

sulle società, poiché in grado di riservare allo Stato una posizione di privilegio rispetto agli altri

2008, II, 941, il quale sottolinea che la valutazione della Corte non può fondarsi sulla natura “pubblica” del soggetto titolare dei poteri speciali, perché sarebbe un argomento contrario all’art. 295 del Trattato, e allora la vera ratiorisiederebbe nella “sproporzione tra proprietà e controllo”.

(63) Cfr. CIRENEI, Le società di diritto “speciale” tra diritto comunitario delle società e diritto comunitario della concorrenza: società a partecipazione pubblica, privatizzazioni e “poteri speciali”, in Dir. comm. int., 1996, 771 ss. In quest’ottica si potrebbe trarre un principio di diritto estremamente ampio, per il quale sarebbero incompatibili con la libera circolazione dei capitali tutte le disposizioni nazionali che consentono, anche solo potenzialmente, ad un ente pubblico di ottenere o mantenere un’influenza sproporzionata rispetto alla quota di capitale sottoscritta. Tuttavia, un numero crescente di giuristi auspica che la nuova giurisprudenza disciplini anche gli ostacoli alle acquisizioni creati tramite accordo, come le azioni con diritti di voto multip li e i limiti ai diritti di voto. Se tali riflessioni si rivelassero corrette, sorgerebbe il dubbio sull’esigenza di affrontare la questione attraverso una direttiva basata sull’art. 44, lett. g) del Trat ta to . I l pr incipio per cui tu t te le norme nazional i che dissuadono dallo stabilire “legami durevoli” rappresentino restrizioni alla libera circolazione dei capitali, infatti, potrebbe avere effetti eccessivamente estesi, se non se ne individua il perimetro di applicazione. Qualora si applicasse il principio in questione in maniera lineare, si dovrebbe concludere che tutte le norme dei diritti societari nazionali che conformano i poteri dei soci in maniera da rendere meno appetibile l’acquisto della partecipazione sociale, siano contrarie alla libera circolaz ione dei capitali. Ad esempio tutte le norme che esulano, o consentono di esulare, dal rigido principio “un’azione – un voto” potrebbero essere tacciate di restringere la circolazione dei capitali, nonostante la scelta di imporre su base comunitaria il principio “un’azione – un voto” sia stata rigettata dalla Commissione, per l’impossibilità di dimostrare che questo livello di armonizzazione abbia effetti davvero benefici sull’efficienza produttiva e l’integrazione comunitaria. Per interessanti spunti di riflessione si vedano, tra gli altri, ZUMBANSEN - SAAM, The ECJ, Volkswagen and European Corporate Law: Reshaping the European Varieties of Capitalism, in German law journal, 2007, 1028 ss.; VOSSESTEIN, Volkswagen: the State of Affairs of Golden Shares, General Company Law and European Free Movement of Capital, i n European company and financial law review, 2008, 130 ss . ; F .M. MUCCIARELLI, Company ‘Emigration’ and EC Freedom of Establishment: Daily Mail Revisited, in EBOR, 2008, 267 ss.

(64) Così Conclusioni dell’Avvocato generale Poiares Maduro nelle cause r iunite C-2 8 2 / 0 4 e C -283/04, Commissione v. Paesi Bassi, par. 24 e i parr. 40 e 41 delle conclusioni nelle cause riunite C-158/04 e C-159/04, Trofo Super-Markets.

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azionisti. Né, in simili circostanze, si ritiene, per giunta, rilevante l’argomento secondo cui gli

azionisti privati potrebbero, in teoria, ottenere privilegi analoghi in virtù della disciplina

generale in materia di diritto societario.

Al tempo stesso, però, si denota che i giudici europei assumano, in talune fattispecie, posizioni

che non consentono, con a l t re t tan ta ch iarezza, di individuare i limiti intrinseci delle

argomentazioni da essi stessi proposte. In particolare, è di tutta evidenza come la Corte non

fornisca indicazioni valide per distinguere, in linea di principio, tra soci pubblici e privati dal

punto di vista del diritto comunitario. Ne consegue che, alla stregua di quanto affiorato nel

caso Volkswagen, qualora la legge imponga un tetto al voto o una minoranza di blocco,

immobilizzando de facto il potere detenuto da un socio privato e rendendo una società non

scalabile (65), tale normativa dovrebbe essere considerata incompatibile con la l ibera

circolazione dei capitali, poiché essa distrae potenziali investitori dal costituire “legami

durevoli” con la società (66).

Va precisato, per altro verso, che il principio (rectius, limite), in forza del quale qualsiasi

provvedimento nazionale che si traduca in un trattamento meno favorevole per le situazioni

transnazionali rispetto alle situazioni puramente nazionali rappresenti una restrizione alla

libera circolazione, è solo parzialmente mitigato dalla previsione che lascia gli Stati membri

liberi di disciplinare le attività economiche nel proprio territorio e di operare sul mercato

nazionale (67).

Per la libertà di stabilimento rileva l’art. 43, co. 1, CE, che così rec ita: «Nel quadro delle

disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato

(65) Cfr . ZUMBANSEN - SAAM, The ECJ, Volkswagen and European Corporate Law: Reshaping the European

Varieties of Capitalism, cit., 1034 ss.; SPATTINI, “Vere” e “false” “golden shares” nella giurisprudenza comunitaria, cit., p. 303 ss. Nelle cause sulle c.d. golden shares, i governi nazionali si difesero sostenendo che i poteri speciali loro attribuiti potevano essere rivolti «senza distinzioni, agli azionisti nazionali e agli azionisti cittadini di altri Stati membri» e, quindi, non creavano alcuna discriminazione. La Corte rigettò questa argomentazion e e ritenne che una restrizione alla libera circolazione dei capitali potesse verificarsi anche ove il potere attribuito all’ente pubblico non fosse formalmente discriminatorio, poiché tali norme potevano « impedire l'acquisizione di azioni nelle società interessate e dissuadere gli investitori di altri Stati membri dall'investire nel capitale di tali società». Inoltre, sebbene il potere di veto non rappresentava una violazione formale della parità di trattamento, dato che poteva arsi valere nei confronti disoggetti tanto nazionali quanto esteri, tuttavia esso configurava una violazione del principio di eguaglianza tra soci, inteso come modalità di attribuzione dei diritti e dei poteri (Gleichberechtigung).

(66) Così , F .M. MUCCIARELLI, La sentenza “Volkswagen” e i l pericolo di una “convergenza” forzata tra gl i ordinamenti societari. Nota a CGCE Grande sezione 23 ottobre 2007 (causa C-112/05), in Giur. comm., 2, 2009, II, 279. In senso conforme cfr. SALERNO, Golden share, interessi pubblici e modelli societari tra diritto interno e disciplina comunitaria, i n Diritto del commercio internazionale, 2002; RINGE, Company law and free movement of capital: nothing escapes the ECJ?, in University of Oxford legal research paper series, 11, November 2008, disponibile suwww.ssrn.com/abstract=1295905, che distingue tra il caso in cui la società è partecipata da enti pubblici da quello in cui la società è partecipata da privati: il primo caso costituirebbe una limitazione della libera circolazione dei capitali perché gl i ent i pubbl ici di sol i to perseguono f inal i tà non lucrat ive, e per questo dissuadono maggiormente l’investimento, al contrario di soggetti privati che, ancorché tutelati in concreto da norme di legge che att ribuiscono loro più potere di quello derivante dal loro investimento, proprio perché perseguono interessi lucrativi finirebbero per non ostacolare gli investimenti, almeno nella maggior parte dei casi.

(67) Cfr. Conclusioni dell’Avvocato generale Poiares Maduro nella causa C-94/04, Cipolla, p.to 58.

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membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì

alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno

Stato membro stabiliti sul territorio di un [altro] Stato membro».

In conformità ad una giurisprudenza costante, si osserva che rientrano nell’ambito di

applicazione ratione materiae delle disposizioni del Trattato CE relative a siffatta libertà le

disposizioni nazionali che si applicano alla disponibilità da parte di un cittadino comunitario di

una partecipazione nel capitale di una società stabilita in uno Stato membro diverso dal suo,

tale da conferirgli un’influenza sulle decisioni della partecipata, in guisa tale da permettergli di

indirizzarne le attività (68). Come confermano le note esplicative, sempre con riferimento a

partecipazioni in imprese nuove o esistenti, l’obiettivo di creare o mantenere legami economici

durevoli (69) presuppone che le azioni detenute dall’azionista conferiscano a quest’ultimo, a

norma delle disposizioni di legge nazionali sulle società per azioni o altrimenti, la possibilità di

partecipare effettivamente alla gestione di tale società o al suo controllo (70).

È interessante notare che, proprio con riferimento alla causa C-326/07, l’Avvocato generale

Ruiz-Jarabo Colomer invoca la necessità di una maggiore concisione dei rispettivi ambiti di

applicazione delle due libertà fondamentali in parola, che è in contrasto con l’attuale vis

atractiva della libera circolazione di capitali indotta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

Si ritenere che il settore naturale e idoneo per valutare le varie restrizioni che discendono da

quelle che vengono definite golden shares, sia quello della libertà di stabilimento, poiché lo

Stato membro in questione aspira abitualmente a controllare, utilizzando poteri d’intervento

nella formazione della struttura dell’azionariato, la formazione della volontà sociale degli enti

privatizzati (incidendo sulla composizione dell’assetto azionario o sugli atti concreti di

amministrazione), aspetto che ha poco a che vedere con la libera circolazione dei capitali ( 71).

Tuttavia, tali poteri possono incidere sul diritto alla libertà di stabilimento, rendendolo meno

interessante , s ia d i re t tamente , quando r iguardano l ’accesso a l capi ta le socia le , s ia

indirettamente, quando riducono l’attrattiva di quest’ultimo limitando la possibilità di disporre

(68) In tal senso v., segnatamente, Corte giust., 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, in Racc., I-2787, p.to 22;

12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit., p.to 31; 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, p.to 27; e 23 ottobre 2007, causa C-112/05, Commissione v. Germania, cit., p.to 13.

(69) Cfr. FORTUNATO, La libertà di stabilimento delle società in una recente sentenza della Corte giust.: il caso Centros, in Dir. unione eur., 2000, 211 s.

(70) V. Corte giust., 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, cit., p.to 182, e 24 maggio 2007, causa C-157/05, Holböck, cit . , p.to 35; v. altresì senten ze 4 giugno 2002, causa C-367/98, Commissione v. Portogallo, cit . , p.to 38; causa C-483/99, Commissione v. Francia, cit . , p.to 37; causa C-503/99, Commissione v. Belgio, cit . , p.to 38; 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione/Spagna, cit., p.to 53; causa C-98/01, Commissione v. Regno Unito, cit., p.to 40; 2 giugno 2005, causa C-174/04, Commissione v. Italia, cit., p.to 28, nonché cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione v. Paesi Bassi, cit., p.to 19.

(71) Cfr. DE VIDO, La recente giurisprudenza comunitaria in materia di golden shares: violazione delle norme sulla libera circolazione dei capitali o sul diritto di stabilimento?, in Dir. comm. int., 2007, 4, 867 s.

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degli organi societari o di gestirli. Contrariamente a quanto dichiarato in più pronunce dalla

Corte, si insiste sul fatto che l’ostacolo alla libera circolazione dei capitali che ne consegue,

presenta natura sussidiaria e non necessaria. Tale affermazione si reputa certa per quanto

riguarda le misure che hanno un’influenza sulla composizione dell’azionariato, ma lo è ancora

di più per quelle che limitano l’adozione di decisioni societarie (per esempio, modifica

dell’oggetto sociale o cessione di attivi), come quelle contestate nel caso italiano; in queste

ultime ipotesi, il nesso con la libera circolazione dei capitali è ipotetico o molto tenue.

9. Le linee di riforma di un possibile intervento normativo.

Sin qui difetti e pregi delle pronunce, consistenti questi ultimi più che altro in omissioni,

raffrontate con le potenzialità di ogni singolo caso derivanti dalla linea dei precedenti, dalle

suggestioni dell’Avvocatura generale, dalla metodologia del sillogismo deduttivo applicata

tradizionalmente al reasoning della Corte.

Come è facile intuire, su un unico presupposto – l’attribuzione dei poteri speciali, appunto – si

innestano due distinte problematiche:

1) dal punto di vista politico-economico, la necessità di destatalizzare l’assetto del mercato

interno italiano;

2) dal punto di vista strettamente giuridico, l’opportunità di mitigare la portata di un istituto

ritenuto per certi versi “aberrante” rispetto al diritto comune.

9.1. La figura ed il ruolo dell'antitrust in materia di golden share.

Sotto il primo profilo, com’è ovvio, la problematica in oggetto si intreccia con quella relativa al

ruolo e ai poteri dell'antitrust (72).

Il tema richiama la problematica del rapporto tra liberalizzazione e regime della proprietà, tra

apertura del mercato e privatizzazione: quest’ultima, da taluno considerata necessaria a

garantire il perdurare di effettive condizioni di concorrenza, resta in effetti una mera facoltà

degli Stati membri, stante il principio di neutralità sancito dall’art. 295 del Trattato (73).

(72) Cfr. MARINI, Golden share e diritto comunitario della concorrenza nelle recenti sentenze della Corte giust., in

Dir. comm. int., 2002, 245.(73) Sul punto cfr . MUNARI, La disciplina dei servizi essenziali tra diritto comunitario, prerogative degli Stati

membri e interesse generale, i n Dir. unione eur. , 2002, 433; M. MONTI, Liberalisation des services publics et croissance economique dans l'Union européenne, in Revue de droit de l'Union européenne, 2000, 362.

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Il Trattato autorizza gli Stati membri a mantenere la proprietà pubblica di talune imprese.

Tuttavia, quando uno Stato decide di liberalizzare un certo settore del mercato, esso deve

agire in modo coerente con tale decisione e osservare con il massimo rispetto i principi di

trasparenza e non discriminazione sanciti nella regolamentazione del mercato interno

comunitario. In altre parole, gli Stati non sono autorizzati a limitare selettivamente l’accesso

degli operatori a tale settore di mercato. Nel caso della p rivatizzazione di imprese già

appartenenti allo Stato, tale esigenza è particolarmente importante. Se lo Stato fosse

autorizzato a mantenere forme speciali di controllo di mercato su imprese privatizzate, esso

potrebbe facilmente eludere l’applicazione del le norme sulla libera circolazione garantendo

soltanto un accesso selettivo e potenzialmente discriminatorio a parti sostanziali del mercato

nazionale. Tali forme di controllo potrebbero di conseguenza scoraggiare investimenti

provenienti da altri Stati membri (74).

Al fine di mitigare la portata di tale anomalia si renderebbe opportuno, coerentemente con la

filosofia che permea l’istituto della golden share nell’ordinamento italiano, circoscrivere

l’utilizzo dei poteri speciali a quei soli casi in cui esso possa ragionevolmente convivere con la

predetta esigenza di liberalizzazione. Una soluzione esperibile al fine di allineare il mercato

interno con il diritto e la pratica comunitaria in materia di libera concorrenza, tutela dei

mercati e libera circolazione dei capitali potrebbe, pertanto, essere quella di attribuire

all’Autorità garante della concorrenza e del mercato le competenze ed i poteri necessari a

provvedere in via autonoma ed esclusiva a regolamentare la concorrenza in quei settori

economici le cui caratteristiche richiedono, attualmente, il temporaneo permanere della golden

share.

La previsione di un’analisi antitrust dell’art. 2 del d.l. n. 332 del 1994 opera precisamente in

questa direzione: l’authority sarebbe chiamata ad esprimere preventivamente, a titolo di atto-

presupposto, parere conforme circa l ' individuazione delle società suscettibili di essere

assoggettate alla presenza della clausola statutaria, che introduce i poteri speciali in questione

(74) L’applicazione di tecniche analogiche di analisi porta a riprendere in considerazione decisioni anteriori relative a normative nazionali che assoggettavano ad autorizzazione amministrativa le più importanti vicende societarie di imprese pubbliche in via di privatizzazione e alle quali si è già fatto riferimento (come Corte giust ., 13 maggio 2003, causa C-463/00, Commissione v. Spagna, cit.) o che introducevano restrizioni all’acquisto di pacchetti azionari con diritto di voto sempre nell’ambito di vicende di privatizzazione concernenti società di gestione aeroportuale (come Corte giust., 13 maggio 2003, causa C-98/01, Commissione v. Regno Unito, i n Racc., I -4641). In dottrina, tra i contributi più recenti, cfr. SALAZAR MARTINEZ-CONDE, HERNANDEZ, La acción de o ro de l e s t rado en l as empresas privatizadas, in Rev. Der. Banc. y Burs. , (RDBB), 2005, 130 ss.; e, con riferimento al regime previgente la riforma intervenuta con la legge 30 dicembre 2003, n. 62 (con cui si conservava “las acci ones de oro” in società come Respol-Ypf, per il settore petrolifero; Iberia, per il trasporto aereo; Teléfonica, per le telecomunicazioni; Endesa, per il set tore elettrico), TRONCOSO REIGADA, Pr ivat ización, empresa públ ica y cons t i tuc ión , Madrid, 1997, 34 ss.; NIEVES DE LA

SERNA BILBAO, Comentario a la jurisprudencia del Tribunal de Justicia de la Comunidad Europea en relación con las denominadas “acciones de oro”; las res t r icc iones a las l iber tades de la l ibre c i rculac ión de capi ta les y de establecimiento, i n Revista española de Derecho Europeo, 2 0 0 3 , 5 2 9 s s . ; ID., La p r i v a t i z a c i ó n e n E s p a ñ a .Fundamentos cons t i tuc iona les y comuni ta r ios , Pamplona, 1995, 208 ss.

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(75). Come è lecito attendersi, un’efficace azione dell’Autorità antitrust renderebbe superfluo

l’esercizio dei poteri speciali da parte dello Stato nei confronti delle aziende privatizzate. Tale

tipo di azione infatti ostacolerebbe la superiore capacità concorrenziale delle imprese ex

pubbliche comprimendone la possibilità di avvantaggiarsi della forte posizione di dominio di cui

esse hanno fino ad allora goduto nei relativi mercati di riferimento. Con ciò stesso si

ridurrebbe, senza ricorso alla golden share, il rischio di passare – in caso di scalata – da un

monopolio pubblico ad uno privato.

Una simile soluzione permetterebbe, tra l’altro, di definire cosa si deve intendere per “settore

economico di rilevante interesse pubblico” ai fini dell’esercizio dei poteri speciali, evitando che

la latitudine di tale concetto favorisca l’espandersi pervasivo delle golden share (76).

La predetta modifica, inoltre, confinerebbe i poteri speciali nell’ambito residuale che gli deve

essere proprio (77).

Peraltro, anche questa modifica, da sola, non sarebbe ancora sufficiente in quanto, seppure

circoscritta e mitigata, l’anomalia dei poteri speciali rimarrebbe presente.

Funzionale allo scopo di garantire, in un’ottica di liberalizzazione dei mercati, il superamento di

tale situazione, si rivelerebbe la previsione di un “regime di temporaneità” tanto della vigenza

del diritto di introdurre la golden share quanto del potere di esercitare i vari poteri speciali ad

essa sottesi (ad esempio, non oltre il termine di due anni) .

9.2. Profili di diritto comune.

La vera anomalia della golden share italiana risiede, infatti, nella sua intensità. Il combinato

disposto degli articoli della l. n. 474/1994 conferisce, da un lato, ampi poteri di nomina e di

veto al governo e, dall’altro, introduce limiti al possesso azionario ed ai diritti di voto valutati

dalla Corte di Giustizia tra i più restrittivi d’Europa.

Dal punto di vista strettamente giuridico, a differenza della golden share inglese e dell’action

spécifique francese, i “poteri speciali” previsti dall’art. 2 del citato d.l. n . 332 de l 1994

(75) Un’efficace analisi dei vari problemi di compatibilità comunitaria della nuova disciplina, come introdotta dalla

riforma del diritto societario, è affrontata da CIRENEI, Riforma delle società, legislazione speciale e ordinamento comunitario: brevi riflessioni sulla disciplina italiana delle società per azioni a partecipazione pubblica, in Dir. comm. int., 2005, 41 ss.

(76) Cfr. GAROFOLI, Golden share e Authorities nella transizione dalla gestione alla regolazione dei servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 1998, 180 ss.

(77) Secondo AJELLO Le golden shares nell'ordinamento comunitario:certezza del diritto, tutela dell'affidamento degli investitori e “pregiudiziale” nei confronti dei soggetti pubblici, in Dir. unione eur., 2007, 4, 815 s., il conferimento alle autorità di “poteri speciali” rappresenta un modello di intervento pubblico nell’economia non perfettamente assimilabile né al vecchio sistema delle partecipazioni statali, costituendo anzi la sua evoluzione, né all’interventopropriamente regolatorio, essendone una modalità in parte alternativa.

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prescindono da qualsivoglia possesso azionario; non sono attribuibili allo Stato in quanto

azionista, ma allo Stato in sé.

La strategia di sviluppo del sistema economico-finanziario includeva il mantenimento di

caratteri marcatamente nazionali, attraverso accorgimenti preventivi contro possibili squilibri

derivanti dalla non contestualità dell’apertura dei mercati nazionali e a maggior ragione contro

comportamenti predatori.

Aldilà dell’evidente refuso di dirigismo che tale impostazione evoca, i suddetti poteri speciali

stravolgono i princìpi di diritto societario, per il fatto di togliere, senza limiti di tempo, agli

azionisti i più significativi poteri di deliberazione da adottarsi secondo le regole della

maggioranza e, agli amministratori, la gestione dell’impresa sociale (78).

Anche il codice civile, nel disciplinare le “società con partecipazione dello Stato o di enti

pubblici” (art. 2449) e gli “amministratori e sindaci nominati dallo Stato o da enti pubblici”

(art. 2450), prevede che lo statuto delle predette società può conferire allo Stato o ad altro

ente pubblico il diritto di eleggere un certo numero di consiglieri di amministrazione o un

componente del consiglio di sorveglianza e un membro del collegio sindacale, sia in sede di

costituzione della società sia durante la sua vita in occasione della privatizzazione (79). Fermo

restando che gli amministratori nominati in virtù degli speciali poteri conservano gli stessi

diritti ed obblighi di qualsiasi altro membro nominato dall’assemblea.

L’effetto perverso della disciplina de qua, si genera(va), tuttavia, laddove questa norma veniva

applicata in combinato disposto con l’art. 4 della l. n. 474/1994. Essa consent(iva), infatti, di

aggirare il principio di proporzionalità, poiché permetteva all’ente pubblico di avere la

maggioranza dei consiglieri di amministrazione, pur conservando una quota di partecipazione

minoritaria.

In ragione di tale anomalia, l’art. 2449 c.c. è stato di recente modificato dall’art. 13 della l. 25

febbra io 2008 , n . 34 (recante disposizioni per l ’adempimento di obbl ighi der ivant i

dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee – Legge Comunitaria 2007) (80), e prevede

(78) Non a caso, nel dichiarare ammissibile, con sentenza 30 gennaio -10 febbraio 1997 il referendum abrogativo

sulla golden share, la Consulta ha chiarito che «l’opzione legislativa che si mira a sopprimere in via referendaria è appunto quella di aver sottratto in via permanente dal diritto societario comune la posizione dello Stato, caratterizzata dalla particolarità che i rilevanti suoi poteri inseriti nella struttura della società non sono riconducibili al possesso di una o più azioni (privilegiate in quanto attributive dei più estesi ed incisivi diritti rispetto a quelli che competono ad altri azionisti)».

(79) Cfr. CAVAZZA, Prerogative speciali e società partecipate dai pubblici poteri: il nuovo art. 2449 c.c. ( l . 25 febbraio 2008, n. 34), in Nuove leggi civ., 2009, 2, 384 ss.; ID., Commento all'art. 3, comma 1, d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, conv. in l. 6 aprile 2007, n. 46, cit., 1199 s.

(80) Sul tema cf r . A. TRICOLI, Diritto speciale di nomina degli amministratori di s.p.a. privatizzata e diritto comunitario. Il caso AEM. Nota a CGCE sez. I 6 dicembre 2007 (cause riunite C-463/04 e C-464/04), in Riv. dir. soc., 2009, 2, 285. Come osserva l’A., la nuova versione dell’art. 2449 c.c. opera una netta dis tinzione tra s.p.a. che non ricorrono al mercato dei capitali di rischio, in cui si consente allo Stato o enti pubblici soci di nominare un numero di amministratori proporzionale alla partecipazione al capitale, e società c.d. “aperte”, nelle quale la facoltà di nominare

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ora l’obbligo per gli statuti che conferiscono all’azionista pubblico tali poteri diretti di nom ina,

di rispettare il principio di proporzionalità rispetto alla partecipazione sociale detenuta. Quanto

all’ipotesi della mancanza di partecipazione sociale pubblica, i poteri speciali di nomina sono

venuti meno con l’abrogazione dell’art. 2450 c.c. ad opera dell’art. 3, comma 1, d.l. 15

febbraio 2007, n. 10, conv. dalla l. 6 aprile 2007, n. 46 (recante disposizioni volte a dare

attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali), abrogazione originata dall’adeguamento

alla procedura di infrazione n. 2006/2104 (81).

Seguendo questa chiave di lettura il campo di indagine si amplia ulteriormente. Basti

osservare che, per effetto degli sviluppi intervenuti nella legislazione sugli enti locali, è stato

estesa a favore della società a responsabilità limitata la possibilità di essere partecipata da enti

locali (art. 115 del d.lgs. 267/2000).

Tuttavia, rimane dubbia la possibilità di creare delle quote partecipative (non azionarie) dotate

di particolari diritti, in quanto l’art. 2468, comma 3, c.c. permette l’attribuzione di poteri

speciali a singoli soci, non invece a categorie di quote, soluzione che implicherebbe una loro

oggettivazione e quindi una perdita del collegamento con la persona, coerentemente con le

caratteristiche personali del tipo societario della società a responsabilità limitata (82).

A ben vedere, prevedendo il trasferimento della titolarità dei poteri speciali dal Ministro

dell’economia al consiglio di amministrazione della stessa società privatizzata, si ripristinerebbe

un amministratore è legata alla previsione degli artt. 2346, comma 6, e 2351 c.c., ossia all’emissione di strumenti finanziari partecipativi oppure di diritti amministrativi collegati ad una categoria di azioni. Alcune perplessità emergono, dunque, dal nuovo testo dell’art. 2449, laddove appare privo di significato sul piano applicativo consentire, soprattutto per le s.p.a. “aperte”, misure già previste in altre disposizioni.

(81) Cfr. C. CAVAZZA, Golden share, giurisprudenza comunitaria ed abrogazione dell’art. 2450 c.c., cit., 1195 ss. Invero, l’art. 2 della legge n. 474/1994, nella formulazione originale, aveva rappresentato il fondamento normativo per attribuire agli enti pubblici il potere speciale di nominare almeno uno o più amministratori. Nel 2004 il comune di Milano aveva ceduto la maggioranza assoluta di AEM (quotata), mantenendo però, mediante una combinazione di statuto e codice civile apparentemente astuta, il diritto di nominare la maggioranza degli amministratori. La Corte di giustizia ha dichiarato contrario alla normativa europea l’art. 2449 c.c., che consentiva agli statuti di attribuire allo Stato il potere di nominare direttamente alcuni amministratori (v. Corte giust., 6 dicembre 2007, cause riunite C-463/04 - C-464/04, Federconsumatori e altri v. Comune di Milano, cit.). Si vedano al riguardo anche le conclusioni del 7 settembre 2006 dell’Avvocato generale Poires Maduro presso la Corte. In breve, secondo il reasoning dei giudici comunitari, l’art. 56 CE dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una disposizione nazionale, quale l’art. 2449 c.c., secondo cui lo statuto di una società per azioni può conferire allo Stato o ad un ente pubblico che hanno partecipazioni nel capitale di tale società la facoltà di nominare direttamente uno o più amministratori, la quale, di per sé o, come nelle cause principali, in combinato con una disposizione, quale l’art. 4 del d.l. n. 332/1994 (convertito, in seguito a modifiche, nella legge 30 luglio 1994, n. 474, come modificata dalla l. n. 350/2003), c he conferisce allo Stato o all’ente pubblico in parola il diritto di partecipare all’elezione mediante voto di lista degli amministratori non direttamente nominati da esso stesso, è tale da consentire a detto Stato o a detto ente di godere di un potere di controllo sproporzionato rispetto alla sua partecipazione nel capitale di detta società.

Sul dibattito cfr., ex multis, M.T. CIRENEI, Riforma delle società. Legislazione speciale e diritto comunitari: brevi riflessioni sulla disciplina italiana delle società a partecipazione pubblica, in Dir. comm. internaz., 2005, 41 ss.; Ibba, Sistema dualistico e società a partecipazione pubblica, in Riv. dir. civ., 2008, 574 ss.; I. DEMURO, L’incompatibilità con il diritto comunitario della nomina diretta ex art. 2449 c.c. , i n Giur. comm. , 3 , 2008 , I I , 576 ; F . GHEZZI – M.VENTORUZZO, La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici nel capitale delle società per azioni: fine di un privilegio?, cit., 674 ss.

(82) Così si esprime la Relazione al d.lgs. 6/2003 di riforma del diritto societario. In senso non del tutto conforme a questa interpretazione pare si esprima la massima n. 39 della Commissione società del Consiglio notarile di Milano.

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quel collegamento necessario tra la disciplina della golden share ed i l d ir i t to comune

societario. Sebbene trattasi di società “controllate dallo Stato”, l’influenza che la mano

pubblica riuscirebbe comunque ad estendere sulle decisioni del consiglio di amministrazione in

merito all’esercizio dei poteri speciali perlomeno avverrebbe secondo logiche collegiali e

privatistiche.

Nella stessa direzione, altri interventi più sostanziali, aldilà della citata focalizzazione

dell’ambito applicativo della normativa in questione, risiederebbero nel modificare il criterio di

quantificazione del limite del possesso azionario e nella espressa temporaneità delle clausole

statutarie che lo prevedono.

Per quanto concerne il profilo della quantificazione, si tratterebbe di passare da un limite

fissato ad un limite variabile, definito in funzione di un intervallo (ad esempio, compreso tra il

5 ed il 15 per cento del capitale azionario), onde garantire un maggiore spazio agli investitori

privati; parimenti sarebbero innalzati i limiti relativi agli accordi di voto.

Riguardo invece al profilo della temporaneità sarebbe necessario prevedere la decadenza delle

clausole introduttive di tali limiti dopo due anni dalla data di iscrizione delle delibere che li

prevedono; fermo restando che qualora l’interesse che ne ha giustificato l’adozione ancora lo

richieda, esse potrebbero essere rinnovate per un eguale periodo.

Nell’ipotesi peculiare di società che gestiscono in concessione servizi pubblici assoggettati alla

riserva di Stato di cui all’art. 43 Cost., sarebbe funzionale altresì l’introduzione, al posto del

collegamento patrimoniale con il Ministro dell’economia, di una forma di collegamento

funzionale tra la società privatizzata ed il Ministro titolare del dicastero che ha rilasciato la

concessione.

In tale fattispecie, si osserva che lo speciale potere di ingerenza del Governo si legittima solo

relativamente alla qualità dell’attività svolta dalla società privatizzata oggetto di golden share e

non deriva invece dal fatto che l’esecutivo eserciti su tale società un controllo patrimoniale, in

quanto, sotto quest’ultimo profilo, la consistenza dei diritti del Governo deve risultare –

almeno in astratto – parificata a quella degli azionisti privati. Per questo stesso motivo – la

qualità del controllo esercitato – appare opportuno che la predetta prerogativa del Ministro

concedente abbia vigore indipendentemente dalla durata dei poteri speciali. Presupposto di

legittimità di una previsione in tal senso è, naturalmente, il perdurare della vigenza della

concessione: concessione e potere di nomina simul stant simul cadunt. Ciò implica, tra l’altro,

come previsto dalla legge, che il potere di nomina in questione vada attentamente coordinato

con la normativa comunitaria in materia di liberalizzazione di concessioni di pubblici servizi;

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una volta liberalizzata la concessione, infatti, verrebbe meno il presupposto di cui sopra e,

quindi, la legittimità del potere di nomina ad esso riconnesso.

Ancora, al fine di rimodulare la disciplina della golden share, in special modo per quanto

riguarda la tutela degli acquirenti delle azioni della società privatizzanda, si potrebbero

introdurre ulteriori innovazioni in grado di rafforzare notevolmente la posizione giuridica degli

investitori innanzi all’intervento dello Stato. In particolare si tratterebbe di prevedere:

1) il dimezzamento dei termini per il rilascio o diniego del gradimento;

2) l’obbligo di motivare tale atto e l’introduzione del silenzio-assenso in loro favore;

3) il meccanismo di rimborso previsto per il caso di vendita coattiva delle azioni.

10. Considerazioni conclusive.

Le ultime vicende, oltre a presentare momenti di perdurante attualità sotto il profilo delle c.d.

«halbherzige Privatisierung» (83), come dimostra la più recente giurisprudenza della Corte di

giustizia intesa «as a part of contemporary corporate law making in progress» (84), hanno

reso evidente l’esistenza di un processo di privatizzazione non sempre attento a completare,

nella transizione dalla fase “formale” alla fase “sostanziale”, la regolamentazione delle attività

trasferite per una loro effettiva liberalizzazione e l’attribuzione di potestà pubbliche a soggetti,

qualificati per diritto positivo, in termini di diritto privato (85).

Se è vero che l’ordinamento italiano, non diversamente da altri, si è evoluto per garantire il

perseguimento di obiettivi necessariamente di carattere politico, e questi obiettivi includevano

in qualche modo la difesa del carat tere nazionale del s is tema economico e di quello

finanziario, allora non vi è dubbio che nella prima metà degli anni novanta esso si è mosso

con ritardo rispetto ad altri – segnatamente quello inglese e quello spagnolo –, scoprendo le

privatizzazioni nella fase in cui la normativa europea sulle procedure di evidenza pubblica era

g i à p i e n a m e n t e e ff icace. Sicché impedire i l massiccio intervento di capi ta l i es ter i

(83) Così TEICHMANN - HEISE, Das VW-Urteil des EuGH und seine Folgen, in BB, 2007, 2582 che così proseguono

«die ein Unternehmen mitten auf das Minenfeld der Kapitalverkehrsfreiheit steuern».(84) In questo senso, a commento della decisione del 22 ottobre 2007, C-112/05, cfr. ZUMBANSEN - SAAM, The ECJ,

Volkswagen and European Corporate Law, cit., 1046. In merito cfr. pure SANTONASTASO, La saga della “golden share” tra libertà di movimento di capitali e libertà di stabilimento, in Giur. comm., II, 2007, 3, 310 ss.

(85) Gli strumenti endosocietari, pur essendo di diri tto comune, sono infatti rimessi nel loro utilizzo ad un soggetto pubblico ovvero sono introdotti in funzione di interessi che fuoriescono dallo stretto contesto societario. Sul punto cfr. SALERNO, Golden shares: interessi pubblici e modelli societari tra diritto interno e disciplina comunitaria, in Riv. soc., 2002, 673 ss.

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nell’acquisizione di imprese pubbliche variamente conformate si è rivelato impresa impossibile

o comunque molto difficile (86).

Parimenti era, del resto, prefigurabile che misure unilateral i di singoli Stati, ancorché

presentate come temporanee e limitate alla fase di primo avvio dell’apertura dei mercati ed ai

fenomeni di correlato squilibrio, venissero paralizzate da un potere giudiziario comunitario che

difficilmente può accettare forme di sostanziale disapplicazione del diritto europeo, soprattutto

quando si traducono in vere e proprie barriere a libertà economiche presentate da decenni

come fondamentali per il sistema.

La domanda che viene da porsi e alla quale la dottrina ha cercato di dare più di una risposta è

se i poteri che lo Stato si è ancora riservato dopo le varie fasi della privatizzazione delle

società pubbliche, soprattutto attraverso l’istituto della c.d. “golden share”, siano compatibili

con il diritto comunitario, o comunque giustificabili secondo la logica del mercato.

Le privatizzazioni, anziché costi tuire una fonte di chiusura del mercato europeo e di

discriminazioni basate sulla nazionalità degli investitori, avrebbero dovuto rappresentare lo

strumento attraverso il quale favorire gli investimenti su scala europea; se è vero che

attraverso il meccanismo restrittivo della golden share la contendibilità delle grandi società si

riduce, è anche vero che in questo modo l’investitore ha visto allargarsi il mercato anche a tali

società, benché restino “inattaccabili”, come del resto è stato per molti anni (87).

In questa prospettiva la golden share ha rappresentato un nuovo modello di intervento

pubblico nell’economia, del tutto assimilabile al vecchio sistema delle partecipazioni pubbliche

(88).

Si ritiene, al riguardo, che la soluzione in grado di contemperare gli obiettivi dei governi con

quelli comunitari di apertura dei mercati dei capitali possa essere più semplice di quanto si

supponga e si trovi verosimilmente nel solco del Trattato CE e delle più recenti decisioni

comunitarie.

I governi degli Stati membri contro cui la Commissione ha aperto formali procedure di

infrazione sono ora impegnati a definire le proprie strategie con un duplice obiettivo. Da un

lato, accogliere la forte sollecitazione a rimuovere le barriere alla circolazione dei capitali

(86) Un’ampia disamina dei metodi di control enhancement utilizzati nei vari ordinamenti europei si trova nello

studio richiesto dalla Commissione UE, Report on the Proportionality Principle in the European Union, redatto da S h e a r m a n & S t e r l i n g , I S S e d E C G I n e l m a g g i o 2 0 0 7 ( c o n s u l t a b i l e a l l ’ i n d i r i z z o : http://ec.europa.eu/internal_market/company/docs/ shareholders/study/final_report_en.pdf).

(87) Da tutto ciò, emerge chiaramente la scarsa contendibilità delle privatizzate operanti nei settori strategici europei, difficilmente scalabili senza il consenso dell’azionista pubblico. Ma anche la potenziale irrilevanza di una eventuale rimozione su larga scala della golden share, se i governi decidessero poi di non privatizzare ulteriormente.

(88) Sul punto si rimanda a GOISIS, La natura delle società a partecipazione pubblica tra interventi della Corte europea di giustizia e del legislatore nazionale. Nota a CGCE sez. I 23 ottobre 2007 (causa C-112/05); CGCE sez. I 6 dicembre 2007 (cause riunite C-463/04 e C-464/04), in Riv it. dir. pubbl. com., 2008, 1, 396 ss.

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proveniente dalle istituzioni europee. Dall’altro, proteggere le proprie società privatizzate in un

contesto i cui prevalgono asimmetrie e mancano chiare regole di reciprocità.

È, d’altro canto, sempre più avvertita dai Paesi membri la necessità di ridisegnare la funzione

dello Stato nell’economia, non tanto per una ridefinizione della frontiera tra pubblico e privato,

quanto per l ’ individuazione di una innovat iva archi tet tura del mercato attraverso la

trasformazione degli obiettivi conferiti alle imprese.

Tutto ciò richiama la problematica del rapporto tra liberalizzazione e regime della proprietà,

tra apertura del mercato e privatizzazione: quest’ultima, da taluno considerata necessaria a

garantire il perdurare di effettive condizioni di concorrenza, resta in effetti una mera facoltà

degli Stati membri, stante il principio di neutralità sancito dall’art. 295 CE.

Le regole del gioco europeo sono forse rigide e a volte impietose per la loro insensibilità, ma

chiare e persino meccaniche nel funzionamento. Lo sforzo di frapporre ostacoli, per giunta

tardivi, alla forza soverchiante del diritto comunitario è vano, come la critica sterile a decisioni

della Corte di giustizia che forse non sono perspicue per profondità e sottigliezza dottrinale,

ma appartengono ad una dinamica di s is tema assolutamente consol idata e come tale

prevedibile (89). L’unico possibile atteggiamento costruttivo è quello consapevole della

necessità di elaborazione di un sostrato culturale omogeneo e condiviso che supporti

adeguatamente il rapporto ascendente e discendente tra ordinamento domestico e sistema

europeo, orientando il primo verso sviluppi compatibili sia nella qualità che nella tempistica

con le esigenze del secondo, e contribuendo a modellare il secondo anche in funzione di

insopprimibili connotati essenziali del primo, e con ciò prevenendo intrinsecamente almeno le

più importanti manifestazioni di distonia (90).

Resterà ora da vedere se l’atmosfera internazionale profondamente cambiata, con interventi

pubblici anti-crisi sempre più diffusi e crescenti preoccupazioni derivanti dall’attività di alcuni

fondi sovrani, spingeranno l’Esecutivo Ue e i giudici europei ad adottare in futuro un metro di

giudizio meno rigoroso.

(89) Cfr. Conclusioni dell’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer, nelle cause C-367/98, C-483/99 e C-503/99,

p.ti 39 ss., in Racc., 2002, I-4733 ss. Per comprendere le affermazioni dell’Avvocato generale, occorre ricordare che lo stesso Colomer, nelle conclusioni riguardanti tre delle sentenze sulle c.d. “golden shares”, aveva ch iesto alla Corte di considerare compatibili con la libera circolazione dei capitali i poteri speciali previsti dal diritto portoghese, francese e belga, che si applicavano indistintamente a qualsiasi soggetto, proprio sulla base del fatto che il Trattato r ispetta pienamente il regime di proprietà del le imprese, s ia esso pubbl ico o pr ivato. Secondo l’Avvocato generale , «difficilmente si potrebbe pensare che il Trattato abbia voluto permettere agli Stati di mantenere interamente le loro partecipazioni in una qualsiasi impresa, con la massima restrizione al diritto di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali che ciò implica, e contemporaneamente, si opponga ad un regime liberalizzato, soggetto a condizioni di natura amministrativa tassative e non discriminatorie e, pertanto, più affine ad una logica integrativa».

(90) Per interessanti spunti di riflessione cfr. GHEZZI - VENTORUZZO, La nuova disciplina delle partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici nel capitale delle società per azioni: fine di un privilegio?, in Riv. soc. , 2008, 696 ss. ;FERRARI, La golden share nella governance delle imprese locali di servizi. Nota a CGCE sez. I 6 dicembre 2007 (cause riunite C-463/04 e C-464/04), in Dir. pubbl. comp. eur., 2008, 2, 884 ss.

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