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Vincenzo Andriello, Donatella Calabi, Françoise Choay,Paola Di Biagi, Giovanni Ferraro, Patrizia Gabellini,Pier Giorgio Gerosa, Francesco Infussi, Ugo Ischia,

Elena Marchigiani, Luigi Mazza, Luca Pes,Bernardo Secchi, Guido Zucconi

I CLASSICI DELL’URBANISTICA MODERNA

a cura di Paola Di Biagi

Alexander, Astengo, Benevolo, Bernoulli, Cullen,De Carlo, Geddes, Giovannoni, Howard, Le Corbusier,

Lynch, Mumford, Poëte, Samonà, Sitte

DONZELLI EDITORE

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© 2002, 2009 Donzelli editore, Romavia Mentana 2b

INTERNET www.donzelli.itE-MAIL [email protected]

ISBN 978-88-6036-367-1

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Introduzionedi Paola Di Biagi

I. Uno statuto antropologico dello spazio urbanoSitte,Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen, 1889di Françoise Choay

II. Una lettura tecnicaHoward,Garden Cities of Tomorrow, 1902di Luigi Mazza

III. Un manuale di educazione allo sguardoGeddes, Cities in Evolution, 1915di Giovanni Ferraro

IV. La lezione del passato per la città del presentePoëte, Introduction à l’urbanisme. L’évolution des villes, 1929di Donatella Calabi

V. Un manuale mancatoGiovannoni, Vecchie città ed edilizia nuova, 1931di Guido Zucconi

VI. La Khôrapolis e i suoi costruttoriLe Corbusier,Manière de penser l’urbanisme, 1946di Pier Giorgio Gerosa

VII. Tra storia e passione politicaBernoulli, Die Stadt und ihr Boden, 1946di Ugo Ischia

V

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55

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Indice

I CLASSICI DELL’URBANISTICA MODERNA

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VIII. Un programma di ricercaSamonà, L’urbanistica e l’avvenire della città negli stati europei, 1959di Francesco Infussi

IX. La città vista attraverso gli occhi degli «altri»Lynch, The Image of the City, 1960di Vincenzo Andriello

X. I molteplici paesaggi della percezioneCullen, Townscape, 1961di Elena Marchigiani

XI. Storiografia e urbanistica come cura e cultura dell’uomoMumford, The City in History, 1961di Luca Pes

XII. L’inevitabilità del «politico»Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, 1963di Bernardo Secchi

XIII. Una critica dei dogmi del movimento modernoDe Carlo,Questioni di architettura e urbanistica, 1964di Patrizia Gabellini

XIV. Le ipotesi metodologichedell’ultimo razionalismo funzionaleAlexander,Notes on the Synthesis of Form, 1964di Pier Giorgio Gerosa

XV. Una voce enciclopedica tra scienza e utopiaAstengo, Urbanistica, 1966di Paola Di Biagi

Indice dei nomi

VI

Di Biagi, I classici dell’urbanistica moderna

101

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193

219

237

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Introduzione

di Paola Di Biagi

1. Perché rileggere.

Se osservando la superficie del territorio contemporaneo come unpalinsesto possiamo descrivere le tracce delle modificazioni apportatedal succedersi delle generazioni1, leggendo i libri che compongono labiblioteca degli urbanisti è possibile ricostruire il depositarsi di diversisaperi che incontrandosi hanno dato forma alla disciplina. Una biblio-teca composta in un tempo assai più limitato del millenario stratificarsidel territorio e nell’ambito di una disciplina relativamente recente, lacui storia si snoda, in modo non lineare, sostanzialmente lungo i duesecoli passati.

Leggere, o rileggere, i libri degli urbanisti, quelli scritti da urbanistie che appartengono agli urbanisti e alle loro metaforiche biblioteche,aiuta a riconoscere e rinnovare le tradizioni che hanno dato forma al-l’urbanistica e, seppure indirettamente, alla città moderna e contem-poranea. Questo è il senso che il volume qui presentato vuole suggeri-re. Ma non solo.

«Rompere con una tradizione o con uno stile è tanto più significa-tivo ed efficace quanto più tale stile e tradizione sono conosciuti conprecisione e profondità. In questo senso la concezione di nuovi meto-di e pratiche urbanistiche, l’elaborazione delle loro problematiche,passano attraverso la conoscenza dei metodi, delle pratiche e dei pro-blemi posti dalle teorie che ci hanno preceduto sulle sistemazioni ur-bane»2. L’affermazione di Françoise Choay aiuta a chiarire meglio lemotivazioni che hanno portato alle riletture proposte. La loro ambi-

VII

I CLASSICI DELL’URBANISTICA MODERNA

1 A. Corboz, Il territorio come palinsesto, in «Casabella», 1985, 516.2 F. Choay, Premessa, in C. Sitte, L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi

fondamenti artistici (1889), Jaca Book, Milano 1981, p. 11.

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zione è quella di contribuire alla stesura di bilanci di più ampio respi-ro sull’urbanistica moderna e sulla città contemporanea, attraverso larivisitazione delle idee di città e società elaborate lungo il percorso diformazione e codificazione – ma anche crisi – della disciplina.

A fronte di quel processo critico che in periodi più recenti ha coin-volto, talvolta in maniera indifferenziata, urbanistica e città, possonorivelarsi oltremodo utili pazienti bilanci che, pur osservando critica-mente gli esiti visibili al suolo, siano generosamente capaci di tenere inconsiderazione le intenzioni che hanno mosso idee e progetti. Bilanciche non pretendano cioè di sovrapporre motivazioni e risultati, fino auna loro totale con-fusione e identificazione. Tenere distinti esiti fisicie ricerca disciplinare evita di attribuire le responsabilità del presuntofallimento del progetto della città moderna direttamente ad alcunitesti3 o autori, rimuovendo una concatenazione che rischia di portare aun’indistinta delegittimazione della città del nostro tempo. Ed è pro-prio per contribuire a comprenderla meglio ed eventualmente aprire ariflessioni future, che vengono qui proposti differenti esercizi di rilet-tura di alcuni dei testi che hanno contribuito a formare la cultura e latradizione urbanistica del Novecento.

«L’attualità può essere banale e mortificante – afferma Italo Calvi-no a motivazione della lettura dei classici – ma è pur sempre un puntoin cui situarci per guardare in avanti o indietro», e per leggere «i classi-ci si deve pur stabilire “da dove” li stai leggendo, altrimenti sia il librosia il lettore si perdono in una nuvola senza tempo»4. Rileggere oggi ilibri dell’urbanistica moderna, guardarli «da lontano», alla luce deltempo trascorso dalla loro scrittura e dall’iniziale accoglienza da partedella comunità scientifica, può rivelarsi utile non solo a una nuova va-lutazione del loro posto nell’evoluzione disciplinare del XX secolo,ma anche a una più profonda comprensione della cultura e della cittàcontemporanee, evitando al tempo stesso la «tirannia del momento»5.

VIII

Di Biagi, I classici dell’urbanistica moderna

3 Emblematiche in questo senso le critiche rivolte alla Carta d’Atene, testo sempre cita-to, ritenuto unico manifesto urbanistico del movimento moderno e divenuto quasi il simbo-lo di un presunto fallimento della città moderna. La Carta in realtà è stato un testo poco let-to e di rado studiato in modo approfondito, quasi mai collocato entro il contesto temporalee di senso al quale appartiene. Cfr. P. Di Biagi (a cura di), La Carta d’Atene. Manifesto eframmento dell’urbanistica moderna, Officina, Roma 1998.

4 I. Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 1991, p. 17.5 «Classico non è qualcosa che rimanda al passato, è qualcosa che resiste al presente: che

contrasta con l’ora, con ilmodus, cioè con ilmoderno, con lamoda. Per questo nessuno puòfare a meno dei classici. Se non possiedi i tuoi classici, se non li ri/cor/di, cioè non li conservinel tuo cuore, sei un moderno che vive sotto l’impressione del momento, disarmato, fagoci-

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2.Un percorso tra i libri degli urbanisti.

Questo volume non intende ambiziosamente dire quali siano iclassici dell’urbanistica, ma soltanto proporre un primo provvisoriopercorso di lettura tra i libri «di sempre». Qualcuno, ritenendoli alcontrario libri «del momento», del loro tempo e perciò non più ingrado di parlare alla nostra contemporaneità, potrebbe criticare lascelta di averli riproposti. Così qualcun altro potrebbe, a ragione,obiettare la mancanza di altri testi fondamentali. Senza ricorrere al-l’impegnativa definizione di «classico», è bene affermare che queste ri-letture sono state più semplicemente svolte su alcuni dei libri che unurbanista non può non aver incontrato sulla sua strada o non averenella sua biblioteca.

La storia del volume aiuta a comprendere meglio la selezione pro-posta. Esso raccoglie i testi rivisitati nel corso di altrettante conferenzesvolte nell’arco di tre anni accademici (dal 1996 al 1998) all’interno deicorsi di Teorie dell’urbanistica che allora tenevo all’Istituto universita-rio di architettura di Venezia, e realizzate grazie al contributo del di-partimento di Urbanistica. Un progetto dunque nato con il lavoro di-dattico che ora, traducendosi in volume, continua a cercare i suoi de-stinatari soprattutto tra i giovani studenti.

La selezione proposta trae origine non solo da una scelta a priori,ma anche dall’incontro tra l’autore della rilettura e quello del testo ri-letto; talvolta è stato il campo di studio e riflessione dei colleghi coin-volti a portare all’individuazione del «classico» di cui occuparsi. Di-versi studiosi, urbanisti, critici e storici dell’urbanistica e della città,appartenenti a differenti generazioni, hanno proposto il loro momen-taneo «classico», dando così forma a posteriori alla selezione.

Ora il volume offre le riletture di quindici libri «indispensabili».Esse vengono presentate secondo l’ordine della successione temporaledi pubblicazione dei libri, la semplice e agiografica sequenza linearedata dal tempo della scrittura.

Aprono così la serie i testi di Camillo Sitte, Der Städtebau nachseinen künstlerischen Grundsätzen del 1889 – con la sua attenzione al-la lettura morfologica delle città antiche e dei loro spazi aperti – e di

IX

Introduzione

tato dal presente, senza la distanza critica che i classici forniscono e che ti permetterebbe dinon esserne schiavo. Leggere i classici […] è contraddire la tirannia del momento. I veri clas-sici non fuggono: sfidano. Sono sempre pericolosi». M. Cacciari, citato in M. Smargiassi, Iclassici? Odiarli è facile, in «la Repubblica», 10 ottobre 2002, p. 44.

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Ebenezer Howard, The Garden Cities of Tomorrow del 1902 – con lamessa a punto di quello che sarà uno dei modelli urbani di maggiorsuccesso nel nuovo secolo. La sequenza prosegue con l’alternarsi di li-bri che contribuiscono a definire e affermare l’urbanistica della mo-dernità (ad esempio quelli di Le Corbusier, Manière de penser l’urba-nisme o di Hans Bernoulli, Die Stadt und ihr Boden), e di libri che nepongono in discussione i principi, proponendo stili altri rispetto al-l’International Style (soprattutto quelli degli autori americani, il LewisMumford di The City in History, o Kevin Lynch con The Image ofthe City, e inglesi come Gordon Cullen con Townscape).

Se osserviamo l’indice del volume non possiamo non notare unaddensamento delle pubblicazioni o traduzioni italiane attorno aglianni sessanta, in particolare nella prima metà di quel decennio, forsea dimostrazione di una centralità dell’urbanistica nella società italianadell’epoca, un’attenzione alla città e al progetto per la città resa evi-dente anche dalle aspettative degli urbanisti per una stagione di rifor-me. Inaugura il periodo Giuseppe Samonà col suo testo L’urbanisticae l’avvenire della città del 1959. Un anno al quale gran parte dellastoriografia ha attribuito un ruolo di svolta nella cultura disciplinare,anche grazie a questo volume che, affiancandosi ad altri «eventi» –quali il convegno dell’Inu di Lecce sul volto della città e il concorsoper il quartiere Cep alle barene di San Giuliano a Mestre –, avrebbeorientato l’attenzione dell’urbanistica italiana verso nuovi temi e sca-le progettuali. Questo sottoinsieme prosegue con la traduzione epubblicazione anche nel nostro paese di libri che hanno posto al cen-tro del loro interesse, seppure da diversi punti di vista, la forma dellacittà e del paesaggio urbano, o di libri che hanno aperto la stagionedella critica ai dogmi del movimento moderno (ad esempio le Que-stioni di architettura e urbanistica di Giancarlo De Carlo). Taleispessimento attorno agli anni sessanta è dato inoltre da testi chehanno posto la questione delle «origini» dell’urbanistica moderna (illibro di Leonardo Benevolo) o che ne hanno ricostruito un’evolu-zione. Anche scritti antecedenti al periodo, come ad esempio quellodi Marcel Pöete Introduction à l’urbanisme. L’évolution des villes –pubblicato nel 1929 e tradotto in italiano nel 1958 – o quello di HansBernoulli – edito nel 1946 e tradotto cinque anni dopo –, trovanouna riscoperta e una nuova divulgazione nel nostro paese attraversogli studi morfologici avviati negli anni sessanta da Carlo Aymoninoe Aldo Rossi.

X

Di Biagi, I classici dell’urbanistica moderna

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Chiude quel «decennio breve» – e il volume – la voce enciclopedi-ca Urbanistica di Astengo del 1966, con il suo tentativo di sistematiz-zare un sapere che dal dopoguerra sembra avere ormai compiuto unsufficiente tratto di strada e col suo intento di aprire nuovi percorsi.Ponendo l’accento sulla natura e la radice utopistica dell’urbanistica,Astengo interpreta a suo modo un clima che di lì a poco porterà al ’68.

Guardare al Novecento – a una sua ampia parte (1889-1966) – dadiversi punti di vista mi pare possa essere una delle possibilità che ilvolume offre. Dalle riletture emerge una parziale storia delle idee diurbanistica, di città, di spazio oltre a una sequenza di temi caratteriz-zanti diversi periodi del secolo; affiorano differenti modi di intenderela modernità o i suoi superamenti; parzialmente vi si riconoscono gliintrecci tra culture diverse, ad esempio tra quella europea e america-na. Molti altri avrebbero potuto essere i modi per costruire un per-corso di lettura di questo libro sui libri. Ad esempio le riletture pote-vano essere ordinate distinguendo i volumi che hanno avanzato nuo-ve idee di spazio e di città da quelli che hanno ricostruito criticamen-te gli inizi e la storia della disciplina. In sostanza, seguendo la classifi-cazione proposta da Françoise Choay, i testi «instauratori»6 (ad esem-pio quelli di Sitte, Howard o Le Corbusier) dai testi «commentatori»,o interpretabili come tali dagli autori delle riletture (il saggio critico estoriografico di Benevolo, o la raccolta di saggi di De Carlo, o la voceenciclopedica di Astengo). Una netta classificazione qui sfumata dalibri nei quali l’autore ricorre a una narrazione delle vicende dell’ur-banistica o della storia urbana come sfondo per esporre la propriaidea di città o di intervento su di essa (ad esempio il «manuale» diGiovannoni o quello di Geddes).

O ancora, un altro ordine poteva essere delineato a partire dalle dif-ferenti proposte di codificazione del sapere urbanistico contenute neitesti. Tra i libri riletti possiamo ad esempio osservare la presenza di di-verse forme manualistiche: «manuali dello sguardo» che fondano nuovimodi di osservare e descrivere lo spazio urbano (Lynch) e quelli che si-stematizzano metodi e pratiche della progettazione urbanistica, ma an-che manuali che fondono i due approcci alla città (Sitte o Geddes).

XI

Introduzione

6 Testi instauratori sono quei libri che «assumono come obiettivo esplicito quello di co-struire un’attrezzatura concettuale autonoma che permette di concepire e realizzare spazinuovi e non esistenti […] che si propongono di sostenere e di appoggiare come teorie glispazi costruiti e da costruire, come fondamento o basamento». F. Choay, La regola e il mo-dello. Sulla teoria dell’architettura e dell’urbanistica (1980), Officina, Roma 1986, p. 20.

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3. Riletture.

«I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggen-do…” e mai “Sto leggendo…”»7.

Sono ancora le parole di Italo Calvino a suggerirci che le rilettureraccolte in questo volume per la maggior parte sono svolte su libri cheormai ognuno di noi è arrivato a «rileggere». Questo «non vale per lagioventù, età in cui l’incontro con il mondo, e con i classici come partedel mondo, vale proprio in quanto primo incontro»8. Le riletture pro-poste non vanno in alcun modo interpretate come sostitutive di primee dirette letture, esse non intendono affatto ostacolare l’incontro collibro, illudendo soprattutto il giovane lettore di poterlo conosceresenza averlo letto. In fondo nessun libro che parla d’un libro dice dipiù del libro in questione.

Queste «recensioni inattuali» aspirano piuttosto a far sì che il testolo si vada a cercare o a ritrovare negli scaffali delle biblioteche o dellelibrerie, nel caso fortunato in cui l’editore abbia, in modo lungimiran-te, continuato a farlo vivere. Esse vorrebbero non solo favorire que-st’incontro, ma arricchirlo contribuendo ad aggiungere su questi librinuovi segni, quelli che le letture della nostra contemporaneità vi depo-siteranno. «I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di séla traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé latraccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attra-versato»9. Così è stato per il testo di Sitte,Der Städtebau, esempio for-se estremo di come nel nostro campo disciplinare diverse letture, rilet-ture, reinterpretazioni da parte delle culture coeve o che gli sono suc-cedute possano trasformare un libro in una sorta di testo apocrifo, delquale non si può ormai non tener conto10. A questo processo di ap-propriazione e trasformazione non sono estranee neanche le traduzio-ni dalle lingue originali, intervenute talvolta a modificare il senso di al-cune parti del testo.

Nello scorrere il volume appaiono evidenti diversi modi di inter-pretare una «rilettura». Alcuni autori sono rimasti aderenti alla super-ficie del testo e senza troppo discostarsene hanno compiuto una veraanalisi testuale o hanno fatto parlare il più possibile l’autore; altri han-

XII

Di Biagi, I classici dell’urbanistica moderna

7 Calvino, Perché leggere i classici cit., p. 11.8 Ibid.9 Ibid., pp. 13-4.

10 Cfr. G. Zucconi (a cura di),Camillo Sitte e i suoi interpreti, Franco Angeli, Milano 1992.

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no contestualizzato l’opera nel suo tempo tematico o l’hanno rilettatra genesi e posterità; altri ancora hanno letto il testo «di traverso»orientando su di esso «uno sguardo obliquo»11; per altri infine il libroè divenuto una sorta di pre-testo dal quale prendere avvio per poi di-scostarsene seguendo i fili che lì hanno avuto origine per coinvolgeresuccessivamente altri lettori-interpreti e autori. Nessuno ha inteso larilettura come giudizio sul testo e nessuno ha corso il rischio di «so-vrainterpretarlo»12, facendogli dire quello che non gli appartiene.

Comune è stata la convinzione che questi libri non abbiano ancorafinito di dire quello che hanno da dire, che in sostanza non abbianoperso la capacità di rispondere, ma soprattutto di sollevare, nuove do-mande e dubbi.

Tra parentesi quadre vengono indicate le pagine dei testi in rilettura dalle qualisono tratte le citazioni.

XIII

Introduzione

11 «Una certa arte della lettura – e non soltanto quella di un testo, ma anche ciò che si di-ce la lettura di un quadro, o la lettura di una città – potrebbe consistere nel leggere di traver-so, orientare sul testo uno sguardo obliquo». G. Perec, Pensare/Classificare (1985), Rizzoli,Milano 1989, p. 102.

12 U. Eco, Interpretazione e sovrainterpretazione, Bompiani, Milano 1995.

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I. Uno statuto antropologico dello spazio urbanoCamillo Sitte,Der Städtebau nach seinen

künstlerischen Grundsätzen, 1889

di Françoise Choay

1. Rileggere: una continua ricreazione di senso.

La linguistica semantica ha confermato l’intuizione dei poeti, se-condo cui il senso è una creazione e una ricreazione permanente. Nes-sun testo verbale, scritto o iconico, è associato a un solo senso autenti-co e certificato, un aspetto che già Valéry constatava a proposito dellapropria poesia prima che Bachtin e Lotman, Benvéniste e Jakobson,fino a Barthes e Eco, formalizzassero queste osservazioni nelle variediscipline delle scienze umane. Michel de Certeau ha utilizzato l’illu-minante metafora di «operazione storica» per designare il lavoro deglistorici sugli avvenimenti e i documenti della storia: ogni volta l’inter-pretazione è necessariamente la proiezione delle certezze e dei dubbidi un’epoca.

Nel campo dell’urbanistica le diverse letture di cui è stato oggettoDer Städtebau durante il secolo che ci separa dalla sua pubblicazioneillustrano in maniera esemplare questo processo di appropriazione deltesto e di reinterpretazione del senso.

A tale proposito non si devono dimenticare tre fattori. In primoluogo ogni testo, orale o scritto, comporta degli enunciati referenziali,un’oggettività corrispondente a ciò che Jakobson chiama la funzionedenotativa del linguaggio. Così nessuna lettura può contestare cheDer Städtebau sia concentrato sulla città europea, che questa sia consi-derata dal punto di vista della sua bellezza, in un’analisi morfologicache, grazie ad esempi precisi, oppone punto per punto le conforma-zioni rispettive del passato, apprezzato, e del presente, disprezzato. Insecondo luogo l’appropriazione semantica del testo produce scarti piùo meno considerevoli in rapporto a questo fondamento denotativo oreferenziale. Infine l’ampiezza di questi scarti o variazioni è funzione

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I CLASSICI DELL’URBANISTICA MODERNA

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della ricchezza propria del testo, ma anche, eventualmente, delle suecontraddizioni, imprecisioni e ambivalenze.

La lettura che propongo ora di Der Städtebau è diversa da quellache ho svolto trent’anni fa e anche da quella di quindici anni fa, entram-be orientate da altri interrogativi e da congiunture storiche diverse.

Ma, per prima cosa, vorrei schematicamente richiamare le interpre-tazioni di cui è stato oggetto il libro di Sitte fra la data della sua pub-blicazione (1889) e gli anni settanta e ottanta del nostro secolo. Questeinterpretazioni sono inseparabili dal contesto storico nel quale sonostate formulate e dalle tendenze ideologiche dell’urbanistica dei lororispettivi periodi.

In un primo momento Der Städtebau suscita l’entusiasmo di tuttiquelli che, come l’autore, deplorano la monotonia e l’assenza dipreoccupazioni estetiche della nuova urbanistica. Il libro è ristampatodopo soli due mesi ed è all’origine di due approcci diversi, ma cheugualmente appartengono al campo dell’estetica. Il primo, di cui Sittestesso è esempio, tende alla creazione di tessuti urbani nuovi, ma cheper tracciato, volumetria e articolazione di vuoti e pieni si ispirano al-la morfologia delle città antiche. Così sono concepite nuove periferieo estensioni di città, o «colonie operaie» come quelle costruite dallafamiglia Krupp nella Ruhr, o ancora le prime garden cities inglesi.

L’altra tendenza, incarnata da Charles Buls1, borgomastro militantee restauratore della Grande Place di Bruxelles, propone la conserva-zione e il restauro di centri o di insiemi urbani storici.

In un secondo tempo l’opera di Sitte incontra una critica senzaquartiere. Per gli urbanisti progressisti e il movimento dei Ciam, inrottura radicale con la città e con l’urbanizzazione del passato, DerStädtebau diventa sinonimo di oscurantismo. Le Corbusier, che peranni ne aveva fatto il suo vademecum, come dimostrato da Paul Tur-ner2, considera il testo di Sitte simbolo di un convenzionalismo re-trogrado e di passatismo. Per Le Corbusier, come per Giedion, DerStädtebau esprime la nostalgia di un uomo incapace di comprendereil proprio tempo e di riconoscere la rivoluzione tecnica e sociale chesi compie davanti ai suoi occhi.

Ma a partire dalla fine degli anni sessanta, con la demistificazionedel movimento dei Ciam e con il mondo sommerso dalla crescita di

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Di Biagi, I classici dell’urbanistica moderna

1 M. Smets, Charles Buls, les principes de l’art urbain, Mardaga, Liège 1995.2 P. Turner, La formation de Le Corbusier, trad. fr. Macula, Paris 1987.

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un’urbanizzazione incontrollata, per Der Städtebau comincia unanuova carriera. Innanzitutto grazie a George Collins il libro cono-sce finalmente una traduzione fedele e integrale e una critica filolo-gica3. Poi per molti professionisti il libro diventa l’alfiere del «ritor-no alla città» e nello stesso tempo, soprattutto per i postmoderni co-me i fratelli Krier, il garante di un nuovo eclettismo architettonico edel pastiche urbano.

La mia lettura, a sua volta, non può essere dissociata da due proces-si che si sono affermati nel corso degli ultimi trent’anni: da una parte lacrisi d’identità delle città occidentali, confrontate con ciò che ho chia-mato l’emergere di una «civiltà dell’urbano»; dall’altra il culto, semprepiù devoto, fanatico e feticista di cui è stato oggetto il patrimonio sto-rico. La prospettiva apertami da questa congiuntura è stata guidata esostenuta, allo stesso tempo, sia da un confronto serrato con il testo diSitte, sia dagli apporti illuminanti di altri due testi, scritti l’unovent’anni prima e l’altro quarant’anni dopo quello di Sitte: gli Entre-tiens sur l’architecture di Viollet-le-Duc e Vecchie città ed edilizia nuo-va di Giovannoni.

2. Sitte e Viollet-le-Duc.

Gli Entretiens sur l’architecture4 sono, come si sa, la versione scrittadi un corso di storia dell’architettura destinato agli studenti dell’Ecoledes Beaux Arts di Parigi, un corso che Viollet-le-Duc non poté maiprofessare per la violenta opposizione dei suoi colleghi. Rileggendoquesto testo qualche anno fa sono stata colpita da una trentina di pagi-ne disseminate nel libro, in particolare negli Entretiens 2, 3, 7, 8, 9, 10 e13. In un libro principalmente dedicato all’architettura queste pagineformulano tuttavia un insieme di osservazioni e di commenti sulle cittàantiche e su quelle della seconda metà dell’Ottocento così simili a quel-li diDer Städtebau che si potrebbero credere scritti da Sitte stesso.

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Camillo Sitte

3 Unwin ha letto Der Städtebau nella mediocre traduzione francese, ridotta e tagliata, diC. Martin. La prima traduzione in lingua inglese è del 1941; quella a cui qui mi riferisco, C.Collins - G. R. Collins, City Planning According to Artistic Principles, Phaidon Press, Lon-don (Random House, New York) 1965, contiene una ricca serie di apporti critici. Gli stessiautori hanno successivamente elaborato una versione ancora più accurata, aggiornandone icommenti e la bibliografia (Rizzoli, New York 1988).

4 E. Viollet-le-Duc, Entretiens sur l’architecture, A. Morel, Paris 1867-1872: i due volu-mi sono stati ristampati in un unico volume dalle edizioni Mardaga, Liège 1977.

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