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Emanuela D’Amico IL RICONOSCIMENTO DEI VOLTI. ANALISI E APPLICAZIONI NELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA

IL RICONOSCIMENTO DEI VOLTI. ANALISI E APPLICAZIONI … · 1.2 La gestione della conoscenza p. 9 1.3 La conoscenza tacita p. 11 1.4 Le caratteristiche della conoscenza tacita p. 13

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Emanuela D’Amico

IL RICONOSCIMENTO

DEI VOLTI. ANALISI E

APPLICAZIONI NELLA

COMUNICAZIONE

PUBBLICITARIA

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IL RICONOSCIMENTO DEI VOLTI. ANALISI E APPLICAZIONI NELLA

COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA

D’Amico Emanuela Published by Mistral Service sas Via U. Bonino, 3, 98100 Messina (Italy)

Questo libro e’ distribuito come un lavoro “Open Access”. Ogni lettore può scaricare,

copiare e usare il presente volume purché autore e casa editrice siano opportunamente

citati.

AVVISO IMPORTANTE L'editore non si assume nessuna responsabilità per qualsiasi svantaggio o danno derivante dalle informazioni, raccomandazioni o consigli elencati dovute all’uso di materiale, illustrazione, metodo o idea contenuti nel presente volume. Opinioni ed affermazioni contenute in questo libro appartengono all’Autore e non all’Editore. Inoltre, l’Editore non si assume nessuna responsabilità per l'accuratezza delle informazioni contenute nel presente volume. Pubblicato,Marzo 2014

Questo libro in forma elettronica e’ disponibile sul sito www.mistralservice.it/books IL RICONOSCIMENTO DEI VOLTI. ANALISI E APPLICAZIONI NELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA D’Amico Emanuela

ISBN: 978-88-98161-34-8

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Indice Introduzione p. 5 1. Capitolo. L’evoluzioni delle rappresentazioni faccia p. 7 1.1 Come funziona Face-It Project p. 8 1.2 La gestione della conoscenza p. 9 1.3 La conoscenza tacita p. 11 1.4 Le caratteristiche della conoscenza tacita p. 13 1.5 La rete associativa. p. 14 1.6 Conoscenza tacita e reti associative p. 14 1.7 Estrarre la conoscenza p. 16 1.8 Grafi “scale-free” e rappresentazioni della conoscenza p. 18 2. Capitolo. Il marketing e la pubblicità p. 20 2.1 Come pensano i consumatori p. 21 2.2 Analisi del comportamento del consumatore p. 22 2.3 Come tenere aperte le finestre delle coscienze dei consumatori p. 22 2.4 Il Neuro-marketing p. 23 2.5 Il Neuro- marketing e le rappresentazioni facciali p. 24 3. Capitolo. Analisi delle espressioni facciali p. 26 3.1L’anatomia dei movimenti facciali p. 26 3.2 I messaggi inviati dal volto p. 28 3.3 Le espressioni facciali e le emozioni umane p. 31 3.4 Le emozioni manifestate dalle espressioni p. 38 3. 5 Tecniche per analizzare le emozioni p. 39 3.6 F.A.C.S. (Facial Action Coding System) p. 42 4. Capitolo Una Faccia Parlante ed Espressiva Intelligente p. 46 4.1 Verso il lessico della faccia p. 47 4.2. L’innalzamento di sopracciglia p. 48 4.3. La varietà dei significati p. 49 4.4. La polisemia dell’innalzamento di sopracciglia p. 50

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4.5. Il “grado zero” dell’innalzamento e dell’aggrottamento di sopracciglia p. 51

4.6. Le sopracciglia dell’insegnante. Una ricerca osservativa. p. 52 4.7. Le fasi della ricerca. p. 52 4.8. Risultati della ricerca p. 53 4.9. Conclusione della ricerca p. 56 Conclusioni p. 58 Bibliografia p. 59

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Introduzione Questo lavoro affronta il problema di automatizzare un’attivit{ umana di altissima specializzazione, ovvero la classificazione delle espressioni facciali, e più in particolare l’analisi delle azioni facciali così come sono state definite e classificate da Paul Ekman. È stato scelto questo argomento poiché l’analisi delle espressioni facciali, negli ultimi anni, è studiata da psicologi ed esperti di marketing anche per capire in che modo queste possano influire e condizionare le scelte dei consumatori. L’ispirazione è prettamente psicologica. L’analisi dettagliata delle espressioni facciali è usata specialmente negli studi di psicologia comportamentale dove è fondamentale riconoscere ogni sfumatura di espressione che può aiutare a distinguere, ad esempio, un sorriso vero da uno falso, oppure i diversi stati psicologici che si celano dietro espressioni solo superficialmente identiche. Oltre a questo però, l'automatizzazione dell'analisi usando il F.A.C.S. (Facial Action Coding System) permette una soluzione più precisa del problema più generale del riconoscimento delle espressioni facciali che ha applicazioni che spaziano dallo sviluppo di nuove interfacce uomo-computer, alla biometrica. Il legame tra emozioni ed espressioni facciali è stato preso in considerazione già ai tempi di Darwin. Nel frattempo la ricerca è andata avanti permettendoci di comprendere meglio questo rapporto. Il più grande esperto, in questo campo, è lo psicologo Paul Ekman, che ha studiato migliaia di espressioni facciali ed elaborato modelli scientifici per la loro interpretazione. Lo scopo della sua ricerca era di dimostrare che le espressioni del volto legate alle emozioni sono innate nel genere umano. Non hanno origini culturali, e sono identiche in tutti i popoli. Lo scopo di questo lavoro è, invece, quello di spiegare come le teorie della mente possano essere applicate ai nuovi mezzi di diffusione di massa. In particolare, si vuole mettere in evidenza come lo studio delle espressioni facciali possa contribuire a creare le condizioni essenziali capaci di far in modo che una impresa possa conseguire il successo. Dalla classificazione delle espressioni facciali è possibile, infatti, valutare, se pur in modo approssimativo, il grado di soddisfazione di un prodotto. È stato,

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probabilmente, anche questo il punto di partenza che ha diretto gli studi umanistici verso il neuro- marketing. Si tratta di una recente disciplina volta a studiare i meccanismi che portano all’acquisto di un particolare articolo. Questi studi consistono nel rilevare le risposte della mente, all’esposizione di un certo prodotto, attraverso la risonanza magnetica. Si tratta di reazioni del subconscio che non è possibile nascondere nel momento in cui l’attivit{ celebrale è stimolata dalla merce. Allo stesso modo, per quanto concerne il marketing pubblicitario, lo studio delle espressioni facciali si è rivelato un sistema di studio efficace poiché non è facile nascondere le espressioni del volto legate a particolari sensazioni quali l’apprezzamento, il piacere o il disgusto. In pratica, uno scopo importante da raggiungere per ottenere una comunicazione efficace è quello di riuscire a capire cosa effettivamente vogliono i consumatori, per soddisfare così al meglio le loro aspettative.

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Capitolo 1 L’evoluzione delle espressioni facciali. Nel corso dei secoli le espressioni facciali si sono evolute per comunicare velocemente le emozioni all’interno di un gruppo. Dal punto di vista evolutivo, comunicare le emozioni, con lo scopo di facilitare la comunicazione, può essere di importanza vitale. Da secoli gli studiosi dell’evoluzione hanno diretto i loro studi sull’importanza delle espressioni facciali, quale sistema di comunicazione non verbale, in grado di offrire ricche possibilità di socializzazione. Fu proprio Charles Darwin il primo studioso ad interessarsi dell’evoluzione delle espressioni e nel 1872, pubblicò “L'espressione delle emozioni”. In questo testo Darwin espone le tesi che l'espressione delle emozioni negli umani ha il suo corrispettivo nel comportamento delle altre specie, nel quadro di una comunità di forma e funzione. Il testo illustra espressioni di timore, rabbia, soddisfazione e tristezza nelle varie specie. L’efficacia di un simile sistema di comunicazione dipende da un complesso processo evolutivo dei sistemi trasmettitori, dei sistemi di riconoscimento e del linguaggio utilizzato. Molti ricercatori hanno diretto i loro interessi in questo settore, che quindi, sta conoscendo, col passare del tempo, un crescente interesse da parte di professionisti operanti in discipline soltanto in apparenza molto distanti tra loro. Le espressioni facciali delle emozioni sono studiate da psicologi, biologi evoluzionisti, esperti di marketing, agenti di comunicazione, pubblicitari e ricercatori di una recente disciplina, l’Intelligenza Artificiale. In particolare, è proprio quest’ultima disciplina che si colloca al centro della ricerca l’interazione tra l’uomo e la macchina ed ha come obiettivo primario quello di realizzare sui calcolatori elettronici programmi che siano intelligenti. Costruire macchine, infatti, in grado di produrre e riconoscere delle emozioni, potrebbe migliorare l’interazione uomo-macchina. Esistono molti prototipi informatici in grado di analizzare, più o meno efficacemente, lo stato emotivo di un individuo tramite l’analisi di un’espressione anche impressa su un’immagine fotografica. Sul versante opposto, il campo della costruzione di sistemi artificiali che riproducono e comunicano agli esseri umani delle emozioni è poco sviluppato. Eppure prototipi di questo tipo potrebbero essere utili sia per fini applicativi che

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per fini di ricerca di base. Molte informazioni potrebbero essere comunicate dalle macchine agli uomini adottando un codice “emozionale”. Un tentativo in ambito robotico è stato portato avanti da Picard e i suoi collaboratori nel 2002. Si tratta di ricerche estremamente interessanti e innovative, non si poteva immaginare, fino a pochi decenni fa, di poter sfruttare così l’interazione tra l’uomo e le macchine. È ricorrente, infatti, immaginare l’interazione tra l’uomo e la macchina come un processo in cui l’individuo impartisce comandi e la macchina li esegue. È noto però, che in alcuni casi i ruoli si invertono ed è l’umano ad eseguire le istruzioni comunicate dal calcolatore. Per quanto concerne la ricerca in campo pubblicitario, ad esempio, i ricercatori sperano di poter utilizzare lo studio delle espressioni facciali per incrementare la vendita di determinati prodotti e dunque accrescere la potenza delle imprese. D’altro canto, la realizzazione di macchine che comunicano uno stato emotivo potrebbe aiutare i ricercatori a dettagliare i propri modelli teorico-esplicativi circa l’origine e la produzione delle espressioni facciali. Sono stati presentati vari prototipi di software che si propongono di essere utilizzati come strumento di misurazione e successiva dimostrazione della validit{ delle teorie circa l’espressione facciali delle emozioni di base. Pagliarini e Parisi, nel 1996 idearono un software che è una versione potenziata di Face-IT. Si tratta di uno strumento che, utilizzando tecniche di vita artificiale, permetteva ad un utente di modificare i tratti fisiognomici dei soggetti. In seguito a questi studi, in una fase successiva della attività di ricerca, altri ricercatori si proposero di verificare se gli utenti del software potevano convergere sulla costruzione e sull’allevamento di alcuni specifici tratti tipici dell’espressioni delle emozioni. Inoltre, grazie alla possibilit{ di generare e costruire delle facce artificiali è possibile misurare l’esistenza di tratti comuni nei percorsi evolutivi adottati dagli utenti. Esiste oggi un software, denominato face-it project, in grado di operare sulle espressioni facciali. 1.1 Come funziona Face-It Project Face-It Project (FIP) è un software basato sull’utilizzo di algoritmi genetici per evolvere rappresentazioni grafiche delle espressioni facciali. È possibile creare artificialmente espressioni facciali poiché le espressioni

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del viso che provengono da determinati stati emotivi manifestano visivamente i movimenti muscolari della fronte, delle sopracciglia, delle labbra, del naso e del mento. È per questo motivo che modificando artificialmente le distanze tra le varie parti del volto si ottengono espressioni diverse. Il Face-It-Project opera mediante un sistema capace di riconoscere il profilo genetico di un individuo, ed in grado, dunque, di costruire genotipi artificiali. Ogni genotipo è costituito da 33 geni ognuno dei quali riconosce perfettamente la posizione spaziale di un particolare elemento di un volto. È possibile determinare, infatti, le contrazioni di ogni muscolo facciale e misurare ad esempio l’angolazione e la lunghezza delle sopracciglia, la dimensione e la forma della bocca, o ancora, la distanza che intercorre tra il naso e le labbra e così via. È in base alla combinazione dei movimenti dei vari muscoli che prendono forma e si modificano le espressioni del volto. In accordo con i diversi genotipi, il Face-It-Project produce sul monitor di un computer nove diverse facce, ognuna delle quali esprime un’emozione. Dopo aver costruito il primo modello è possibile selezionare un sottoinsieme di queste espressioni facciali selezionando un determinato numero di volti. Ogni viso selezionato, associato ad un genotipo individuato, viene clonato un numero fisso di volte, il numero viene precedentemente stabilito. Il genotipo di ogni clone viene trasformato casualmente. I nuovi genotipi sono in grado di creare altre fisionomie artificiali innumerevoli volte. Avendo una precisa idea prestabilita è possibile ripetere il processo di selezione e clonazione che può essere differito fino a quando non si è raggiunta l'espressione facciale desiderata. Un sistema del genere è particolarmente utile per analizzare i legami esistenti tra le espressioni del viso e le caratteristiche della personalità. Questi a loro volta rappresentano i tratti essenziali per valutare le emozioni umane e, conseguentemente, creare dei validi processi comunicativi. 1.2 La gestione della conoscenza.

Per ottenere una comunicazione efficace, oltre a valutare le espressioni del volto, che rappresentano la parte del linguaggio non verbale, è necessario prendere in considerazione il tema della gestione della conoscenza, sia dal punto di vista disciplinare che sotto il profilo dei diversi ambiti aziendali.

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Negli ultimi decenni è fortemente aumentato lo studio e l’interesse nei confronti sistematiche che diano facoltà di modellare le capacità acquisita, gli obiettivi e le rendite dei lavoratori. Questi studi sono rivolti in modo particolare a creare le basi per un’efficiente comunicazione all’interno delle aziende. Solo in questo modo è possibile accrescere la conoscenza completa di una organizzazione. Questo rappresenta un aspetto fondamentale per qualsiasi tipo di azienda, e in particolare per le agenzie pubblicitarie, di marketing e di comunicazione, poiché le aziende operanti in questo settore fanno della comunicazione il loro punto di forza. È attraverso un processo continuo delle interazioni dinamiche fra conoscenza tacita ed esplicita che si crea la conoscenza. Questa nasce, appunto, dalle relazioni sociali e di collaborazione che si stabiliscono tra i dipendenti, specie tra quelli che producono e progettano i servizi ed i prodotti offerti dall’azienda e che sono a diretto contatto con le esigenze dei consumatori. Per ottenere risultati soddisfacenti è opportuno condividere la conoscenza tacita con la comunicazione faccia a faccia. È in quest’ottica che diventa impossibile separare la comunicazione verbale da quella non verbale. È, dunque, indispensabile studiare la coscienza e i rapporti mentali che si generano alla percezione di alcune particolari espressioni facciali dettate da specifiche espressioni legate alle diverse sensazioni. Come si evince dal modello SECI (Socializzazione, Esteriorizzazione, Combinazione ed Interiorizzazione) proposto da Nonaka e Takeuchi nel 1995, è necessario per i dipendenti trovare degli spazi adeguati dove poter comunicare, esternare nuove idee condividendo le esperienze con i colleghi. Lo studio dei due ricercatori giapponesi è rivolto a mettere in evidenza le dinamiche sociali all’interno delle organizzazioni. È ormai evidente che abbiamo delle conoscenze implicite e sappiamo sicuramente molto di più di quanto riusciamo ad esprimere con le parole. La conoscenza esplicita, articolata e completa, si fonda, infatti, su una dimensione implicita precedentemente interiorizzata.

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Fig.1: il modello di Nonaka e Takeuchi (fonte “The Knowlege Creating

Company, 1995) Questo modello è utile per tentare di ottenere alti risultati. È ovvio,

tuttavia che non si tratta di imporre una forma di controllo sulle singole conoscenze degli individui Bisogna, invece, favorire la costituzione di gruppi di lavoro caratterizzati da un patrimonio comune di esperienze o da un obiettivo comune da conseguire.

Il fine ultimo deve essere quello di favorire la crescita, nel modo più spontaneo possibile, di processi quali la condivisione, la ricerca ed il trasferimento della conoscenza. Per realizzare quanto detto è, però, opportuno che l’azienda debba essere in grado di monitorare i livelli di esperienza raggiunti dai dipendenti, assieme ai loro obiettivi ed ai loro interessi. Applicare un tale modello può rivelarsi utile per potenziare le attività aziendali e, allo stesso tempo, facilitare lo sviluppo dei progetti di ogni singolo lavoratore.

Lo studio deve essere indirizzato a valutare al meglio sia la conoscenza esplicita che quella implicita. La prima è, infatti, prodotta e utilizzata dai dipendenti, ed è esprimibile in parole, immagini da condividere attraverso i mezzi di comunicazione e gli ausili informatici e tecnologici. La seconda, ovvero la conoscenza tacita, è, al contrario, strettamente personale ed è per tale ragione che è difficile, o addirittura impossibile, da formalizzare.

1.3 La conoscenza tacita

Come abbiamo già detto, la conoscenza tacita è congenita in ogni individuo poiché rappresenta l’intuito, l’esperienza e la cultura personale

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del soggetto. È proprio il suo carattere strettamente personale che ne rende la condivisione difficile, o nella maggior parte dei casi, inattuabile. Con il termine tacita, infatti, si è soliti indicare un tipo di conoscenza non codificata. Per essere più precisi, si tratta di una conoscenza che esiste esclusivamente nella testa dell’uomo. Proprio perché nasce dall’esperienza, dalle intuizioni e dalle sensazioni è un tipo di conoscenza che non si può acquisisce attraverso i testi o i manuali.

Risulta comunque indispensabile riconoscerla all’interno delle aziende, poiché la capacit{, l’esperienza e gli approcci di problem solving individuali sono fortemente decisivi per valutare il livello di qualità di un prodotto.

La conoscenza tacita ha due dimensioni, una più tecnica legata alle abilit{ e alle procedure utilizzate dall’individuo nella risoluzione dei problemi. Si tratta di abilità inconsce, difficilmente spiegabili e, di conseguenza, a stento trasmissibili.

La seconda dimensione è, invece, più cognitiva e diretta ad interpretare e organizzare gli stimoli che provengono dal mondo esterno. Questa è legata alle credenze individuali, agli schemi mentali che una persona matura con soprattutto grazie l’esperienza. È ovvio dunque, che non si può pensare di acquisire la conoscenza tacita del soggetto. Inoltre, gli schemi mentali dei dipendenti non sono sempre riproducibili e raffigurabili per il loro carattere in continua evoluzione e del tutto personale. Si può però tentare di aggiornare alcuni schemi dinamici di rappresentazione che catturino in modo sempre più fedele certi aspetti della conoscenza tacita di ogni singolo soggetto. È necessario mantenere sempre con l’individuo in questione un continuo feedback che deve servire a correggere i possibili errori di rappresentazione. A differenza dell’informazione la conoscenza esiste soltanto quando vi è una mente che può contenerla. Come spiegato da molti studiosi nel corso di questi ultimi decenni, un sistema può tentare, ad esempio, di modellare gli aspetti tecnici della conoscenza tacita del lavoratore, individuando gli schemi ricorrenti presenti nelle sequenze di azioni da questo eseguite durante lo svolgimento di un determinato compito. Il sistema può effettuare una previsione sulle procedure adottate dal dipendente in base allo schema che ne modella le conoscenze tecniche, per poi aggiornare tale schema considerando le differenze procedurali riscontrate. Per

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migliorare le proprie prestazioni il dipendente di un’azienda deve accettare suggerimenti quali articoli, documenti, manuali o filmati utilizzare nello svolgimento dei suoi compiti in base al suo profilo che può essere continuamente aggiornato.

Quanto detto fino a questo momento ci aiuta ad esentare alcune tecniche e formati di rappresentazione che possono essere utilizzati per l’acquisizione automatica della conoscenza dal contenuto testuale dei documenti. L’attenzione si focalizza quindi maggiormente sugli aspetti cognitivi della conoscenza tacita che si vuole rappresentare. Per poter definire una efficace tecnica di acquisizione bisogna però partire con l’individuare quelli che sono le principali caratteristiche della conoscenza tacita.

1.4 Le caratteristiche della conoscenza tacita

La conoscenza tacita è indispensabile nel pensiero creativo. Proprio per questo motivo è indispensabile studiarla e conoscerla, così come cerchiamo di riconoscere le sensazioni dettate dai movimenti facciali involontari. La combinazione di questi elementi porta infatti ad essere in grado di portare il consumatore a scegliere un prodotto piuttosto che un altro. Complessivamente si può affermare che la conoscenza tacita è dinamica. Essa viene utilizzata per assegnare un significato a dati ed informazioni, quando questi vengono interpretati sorge un nuovo stato di conoscenza che si va a sommare a quella precedentemente acquisita.

La conoscenza tacita è soggettiva e specifica. Possiamo definirla contestualizzata, in quanto si adegua alla particolare situazione che le viene attribuita. Non dobbiamo dimenticare che la conoscenza tacita può essere gestita, in modo corretto e conveniente, solo nell’area in cui viene creata e scambiata, possiamo definirla dunque decentralizzata.

Dal punto di vista aziendale emerge come l’insieme delle conoscenze, sia tacite che esplicite, porti ad una più efficace collaborazione tra i soggetti appartenenti ad una stesso gruppo. Rappresentano un tipico esempio le agenzie di marketing e comunicazione. All’interno di questi gruppi, infatti, l’obiettivo finale è quello di generare conoscenza organizzata attraverso processi che mirano a un apprendimento continuo, e all’interno del quale tutti i

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membri del gruppo hanno uguale importanza poiché il lavoro di ciascuno è beneficio per l’intera comunit{.

Ulteriori studi hanno dimostrato che la conoscenza tacita può essere formalizzata adottando forme di rappresentazione della conoscenza che si rifanno allo schema della rete associativa. 1.5 La rete associativa.

Una rete associativa è un grafo che collega concetti mediante collegamenti non etichettati e pesati. Questo formalismo, opportunamente utilizzato, può permettere di rappresentare conoscenza tacita nel rispetto delle caratteristiche che vengono prese in esame. Le reti associative sono utili a schematizzare dettagliatamente piccole o grandi varietà di processi in termini quantitativi e algoritmici.

In genere, le reti associative si presentano come strutture, più o meno elaborate, di oggetti semplici, detti vertici o nodi. Questi sono collegati tra di loro e creano appunto una rete che graficamente viene rappresentata come un insieme di linee appositamente messe in comunicazione.

1.6 Conoscenza tacita e reti associative

Sono molteplici le definizioni di conoscenza tacita. Tuttavia tutti gli studiosi concordano sul fatto che essa è legata alle capacità individuali. Polanyi individuò in essa l’atto di focalizzare l’attenzione su particolari aspetti della realtà che ogni uomo percepisce in modo differente. La differenza nasce dalle diverse sensazioni e dai differenti stimoli a cui ognuno di noi è continuamente sottoposto. Polanyi opera un’importante distinzione tra aspetti prossimali, che associamo a noi stessi, ed aspetti distali dell’attenzione, che, al contrario, associamo al mondo esterno.

È la combinazione tra questi due aspetti che favorisce un buon sistema di comunicazione. Questi due aspetti entrano in gioco durante i processi cognitivi. Tra gli aspetti prossimali si creano alcune relazioni attraverso vari processo di selezione e categorizzazione. A loro volta, gli elementi osservati vengono richiamati alla mente, ed ecco che avviene il riconoscimento di un oggetto.

È indispensabile studiare, per gli operatori nel settore pubblicitario, questo tipo di processo poiché prima di realizzare una campagna

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pubblicitaria è necessario individuare gli elementi base (colori, forme etc..) che portano il soggetto a riconoscere un determinato articolo.

Il noto esempio del riconoscimento di un volto può servire a chiarire meglio tale argomentazione. Tutti, infatti, siamo in grado di riconoscere il volto di una persona a noi noto tra una serie, anche molto ampia, di altri visi a noi completamente sconosciuti, ma non sappiamo spiegare esattamente in che modo avviene tale processo. È stato provato inoltre, che nella maggior parte dei casi in cui vengono presentati una serie di volti a noi sconosciuti e viene inserita tra questi l’immagine di un volto a noi noto, con facilità, naturalezza e velocità rivolgiamo la nostra attenzione sul volto che conosciamo. Questo rappresenta dunque un tipico esempio di conoscenza tacita. Il riconoscimento avviene relazionando i tratti facciali che maggiormente richiamano la nostra attenzione. Questo procedimento è dettato appunto dagli aspetti prossimali della conoscenza.

Tali relazioni richiamano a loro volta un aspetto distale della nostra conoscenza, ovvero la persona a cui attribuiamo il volto percepito. In questo modo la conoscenza che noi abbiamo del volto di una persona viene interiorizzata ovvero diventa parte integrante delle nostre percezioni.

Un meccanismo di questo genere può essere utilizzato per spiegare qualsiasi altro processo cognitivo. Si può dunque affermare che la conoscenza diventa tacita, viene cioè interiorizzata, solo quando esistono delle relazioni implicite tra la conoscenza prossimale e la conoscenza distale.

L’esempio del riconoscimento del volto ci porta a pensare che la conoscenza tacita possa essere rappresentata mediante uno schema che relaziona alcuni elementi di conoscenza esplicita, come tratti somatici, parole, numeri, immagini, etc. uno schema ben strutturato. È in quest’ottica che entrano in gioco le reti associative. Esse permettono il recupero, tramite processi mentali, di concetti e elementi a nostra disposizione.

Facendo partire un segnale dai nodi che rappresentano il contenuto dell’informazione analizzata, questo segnale si diffonde per tutta la rete in modo più o meno amplificato a seconda del peso dei collegamenti attraversati. Quando il valore del segnale di attivazione in corrispondenza

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dei vari nodi si stabilizza, quelli maggiormente attivati potrebbero rappresentare elementi di conoscenza distale.

La costituzione di qualunque rete associativa deve avvenire sulla base di precisi criteri. Lo schema di connessioni ed il loro peso devono risultare variabili nel tempo, in modo da garantire una certa flessibilità del sistema di rappresentazione. Si deve lasciare aperta la possibilità di aggiornare continuamente la rete a seguito dell’analisi di nuova informazione, mantenendo comunque un preciso schema interno. La formazione dello schema interno deve essere condizionata dalla conoscenza accumulata in precedenza, tutto deve funzionare in un certo modo per consentire alla rete di determinare il contesto della nuova informazione elaborata.

1.7 Estrarre la conoscenza

Esistono dei processi volti ad estrarre la conoscenza. È noto come il sistema di acquisizione della conoscenza si basi sul modello della memoria di lavoro a lungo termine. Capire i meccanismi che intercorrono tra la memoria e la conoscenza può essere utile a migliorare le prestazioni degli individui e, di conseguenza, delle aziende.

Il modello esplicativo della memoria simula il modo in cui la mente umana comprende un discorso o riconosce il mondo circostante. Possiamo infatti riconoscere qualcosa proprio grazie alla memoria. La memoria umana può essere suddivisa in due parti. La memoria di lavoro, avente capacità limitata, ha il compito di attribuire un significato all’informazione attualmente analizzata. La memoria a lungo termine rappresenta invece tutta la conoscenza acquisita in precedenza. La conoscenza di qualcosa di nuovo avviene quando nella nostra mente non sono registrate informazioni simile a quelle che ci vengono sottoposte per la prima volta. La memoria di lavoro è suddivisibile a sua volta in una parte a breve termine che contiene la nuova informazione, ed una parte a lungo termine è in grado di recuperare le informazioni precedentemente acquisite. Nella memoria a breve termine si verifica un rapido deterioramento delle informazioni, mentre quella a lungo termine conserva le informazioni in modo sostanzialmente stabile. Le informazioni che arrivano continuamente alla memoria a breve termine, se non si trasformano in oggetto di attenzione, cominciano rapidamente a

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cancellarsi. Possono essere recuperate, tuttavia, attraverso la ripetizione dell’informazione stessa. La parte a breve termine della memoria di lavoro genera automaticamente quella a lungo termine grazie al fatto che alcuni elementi di conoscenza, presenti nella parte a breve termine, sono collegati ad elementi di conoscenza presenti nella memoria a lungo termine.

Gli schemi della memoria presentano, in un certo senso, alcuni punti in comune con gli schemi della conoscenza. La conoscenza tacita è rappresentata dallo schema di connessioni che relaziona gli elementi di conoscenza presenti nella parte a lungo termine della memoria di lavoro.

Sia la memoria che la conoscenza sono rappresentate mediante reti associative in grado di assegnare un significato all’informazione analizzata. In entrambi i casi l’informazione si diffonde attraverso i nodi del grafo che rappresentano i punti di collegamento di tutta la rete. Lo schema in figura 2 spiega come avviene l’estrazione della conoscenza tacita dai testi.

Figura 2 – Un’implementazione semplificata del modello della memoria di

lavoro a lungo termine di Kintsch, Patel ed Ericsson.(fonte “la rappresentazione della conoscenza tacita, L.Lella)

La memoria a lungo termine viene realizzata mediante una

semplice rete associativa di parole. Questa rete viene aggiornata mediante dei grafi di parole ricavati dal blocco della memoria di lavoro che elabora il contenuto del nuovo testo analizzato. Il confronto tra tali grafi e la rete associativa di parole della memoria a lungo termine può portare alla memorizzazione di nuove parole, e quindi di nuovi nodi, o al rafforzamento di alcune connessioni tra nodi già presenti in essa. Il

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processo seleziona tutti i termini che rappresentano la parte a breve termine della memoria di lavoro. Questi vengono inseriti in una memoria temporanea denominata buffer. Facendo partire un segnale di attivazione dai nodi che le rappresentano si possono estrarre dalla memoria a lungo termine ed aggiungere nel buffer altre parole, tra quelle maggiormente attivate. Queste non sono presenti nel paragrafo analizzato ma possono servire per renderne meno ambiguo il contenuto.

Le parole del testo recuperate dalla memoria a lungo termine vengono utilizzate dal blocco della memoria di lavoro per ricavare il grafo di parole che rappresenta il contenuto estrapolato del testo.

Restano da definire le modalità di generazione di tale grafo. Nell’ambito della Dinamica dei Grafi si stanno perfezionando dei modelli che simulano l’evoluzione strutturale delle rappresentazioni della conoscenza umane.

In particolare recentemente è stato dimostrato che alcune rappresentazioni prodotte dall’uomo o ricavate analizzando i dati forniti dall’uomo (reti associative ottenute mediante esperimenti di libere associazioni di parole) sembrano essere strutturati come grafi particolari conosciuti come scale-free.

1.8 Grafi “scale-free” e rappresentazioni della conoscenza

Un grafo “scale free” ha tre caratteristiche principali che sono la conformazione a piccolo mondo, la tendenza all’aggregazione dei nodi che lo costituiscono ed una particolare distribuzione dei gradi dei nodi.

La conformazione a piccolo mondo è caratterizzata dalla presenza di percorsi relativamente brevi che connettono qualsiasi coppia di nodi.

La tendenza all’aggregazione si manifesta con la presenza di gruppi di nodi fortemente interconnessi tra loro. Tale proprietà è quantificata dal coefficiente di clustering (C).

Infine la particolare distribuzione dei gradi indica la presenza di alcuni nodi, detti hub, che stabiliscono molte più connessioni rispetto alla media. Da qui il nome “scale-free” assegnato a tali tipi di grafi.

In figura 3 è rappresentato un esempio di memoria a lungo termine ricavata adottando il modello di comprensione del discorso di Kintsch ed il modello di Bianconi e Barabasi per la generazione dei grafi di parole.

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Figura 3 – Esempio di rete associativa (LTM) ricavata dopo l’analisi di cinque articoli medici. Tale grafo rappresenta il contenuto di cinque articoli medici riguardanti

differenti argomenti. (fonte: “La rappresentazione della conoscenza tacita, L.Lella)

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Capitolo 2

Il marketing e la pubblicità

La pubblicità, intesa come comunicazione della disponibilità di una merce ad un pubblico di potenziali consumatori, è un fenomeno antichissimo. La nascita della pubblicità risale alla notte dei tempi, ma è dall’Ottocento in poi che tale forma di comunicazione ha assunto forme moderne che ancora oggi la contraddistinguono. Certamente la pubblicità è uno dei principali motori dell’economia e rappresenta un potere ricchissimo che condiziona la vita di tutti i mezzi di comunicazione di massa. Ai giorni nostri, infatti, grazie allo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa sono stati inseriti linguaggi che sono particolarmente efficaci nell’esercitare un’influenza sui comportamenti dei consumatori.

È del tutto normale che questo tipo di comunicazione si modifichi col passare del tempo e sia particolarmente influenzata dalle abitudini e dalla moda di un particolare periodo.

I messaggi pubblicitari, visivi e sonori, ci inseguono in ogni ambiente e in ogni momento della vita privata e sociale, essi determinano non solo i nostri consumi, ma anche i nostri comportamenti e il nostro linguaggio. Se, da un lato, esprime creativit{ e diverte, dall’altro non manca di suscitare reazioni di saturazione e di rifiuto. Si tratta di una presenza che caratterizza l’immagine del mondo contemporaneo nelle sue stesse contraddizioni.

È in questo contesto che si inseriscono gli esperti di pubblicità e di marketing. I creatori di strategie pubblicitarie sono stati spesso accusati di manipolare le coscienze degli individui ma, a ben vedere, la pubblicità risulta meno potente di quanto possa sembrare a prima vista.

Il lavoro del pubblicitario è, infatti, irto di difficoltà di vario genere che ne rendono il risultato alquanto incerto. È per questo motivo che la pubblicità è considerata un fenomeno complesso e multidimensionale. Il suo scopo ultimo è quello di persuadere e convincere i consumatori a fare determinati acquisti. Prima di poter raggiungere tale risultato è, però, necessario capire come pensano i consumatori per riuscire a proporgli ciò che appaga le loro aspettative. Non bisogna sottovalutare che la pubblicità cambia in fretta, e il suo movimento non è immotivato né resta

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senza conseguenze su chi lo guarda. Per questo motivo è necessario capire cosa il consumatore desidera e i meccanismi che influenzano le sue scelte. In quest’ottica anche lo studio delle espressioni facciali che scaturiscono dalla visione di uno spot diventano di fondamentale importanza.

2.1 Come pensano i consumatori

È, senza dubbio, difficile capire cosa vogliono i consumatori e le loro aspettative riguardo un determinato prodotto. Raggiungere la mente del consumatore e comprendere le sue esigenze è, infatti, sicuramente più difficile rispetto a decantare le virtù di un certo prodotto. Il mondo cambia velocemente e con la stessa frequenza devono cambiare i metodi di analisi volti a capire le azioni e i pensieri di chi deve acquistare un prodotto.

Cambiare però rappresenta quasi sempre una sfida. Le persone, non sempre, riescono ad accettare una visione del mondo diversa, spesso lottano per conservare quella corrente. Rovesciare un paradigma richiede il cambiamento di molti presupposti formali e informali, aspettative e regole di “decision marketing” che governano i nostri pensieri e le nostre azioni. Molto spesso le aziende si trovano a fronteggiare grosse difficoltà quando mettono il cliente al centro delle loro strategie. È necessario mettere da parte le “false credenze” e immaginare un modo completamente nuovo di “pensare il pensiero”. I responsabili di marketing devono studiare la mente inconscia poiché questa è una delle forze più importanti che stanno alla base delle nostre decisioni ed interviene nel 95% o più di tutti i processi cognitivi.

I ricordi dei consumatori, infatti, si modificano continuamente, spesso in modo inconsapevole. Ogni volta che i consumatori ritornano su un loro ricordo, lo modificano, a volte in maniera impercettibile, altre volte in modo più radicale.

Gli esperti di marketing possono intervenire in questo processo ricostruttivo, influenzando i vari modi in cui il consumatore richiama alla mente i suoi ricordi di consumo.

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2.2 Analisi del comportamento del consumatore Per studiare a fondo i pensieri che caratterizzano i consumatori è

necessario tenere in considerazione tre parametri fondamentali. Essi sono: “Cognition” “Affect” e “Behavior”.

Il primo elemento, “Cognition”, identifica l’insieme dei processi mentali attraverso cui si raccolgono, si interpretano e si elaborano le informazioni necessarie alle prese delle decisioni d’acquisto.

L’ “Affecet” identifica la componente valutativa, non necessariamente razionale, che sta alla base delle preferenze per marche, prodotti, ecc…

Infine, il “Behavior” identifica la condotta che il consumatore pone in essere in relazione ai beni di consumo.

Ovviamente, studiare gli effetti che un spot produce sul pensiero del consumatore non è un problema di facile soluzione. Spesso le opinioni che i consumatori esprimono verbalmente non corrispondono al vero stato d’animo che lo spot ha generato. È facile, infatti, modificare un parere attraverso le espressioni verbali, risulta, invece, molto più complesso mentire attraverso la comunicazione non verbale, dettata quest’ultima da reazioni spontanee che derivano da sensazioni quali piacere o disgusto verso un prodotto o uno spot. È ormai noto che la maggior parte della comunicazione umana avviene attraverso segnali non verbali, ed è per mezzo di questi che le persone si scambiano messaggi e significati.

2.3 Come tenere aperte le finestre delle coscienze dei consumatori

Gli esperti di marketing devono tenere in considerazione che è necessario, per ottenere buoni risultati, tenere aperte delle finestre che possono creare il giusto collegamento tra ciò che gli acquirenti si aspettano e ciò che gli addetti ai lavori gli propongono.

Un buon esperto di marketing, o un bravo agente pubblicitario, non dimenticheranno mai che, metaforicamente parlando, il cliente è il re, e tutti coloro che lavorano per vendere un prodotto sono a suo servizio. Per riuscire a raccogliere buoni frutti è necessario, dunque, avere rispetto per il cliente, essere motivati, offrire massima qualità ed applicare le proprie capacità e risorse a servizio del consumatore. Il marketing deve avere degli orientamenti adeguati per dimostrarsi vincente. Bisogna predisporre un “approccio macro” e un “approccio micro”. Il primo è, di solito, rivolto ai

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canali di distribuzione, ai settori industriali e ai mercati. Il secondo, invece, si rivolge ai singoli consumatori, ai nuclei familiari e alle singole imprese. Il ruolo del consumatore ha un duplice aspetto, in quanto il consumatore può essere visto sia come individuo che come decisore.

Nel prendere una qualsiasi decisione, un individuo si trova ad affrontare una situazione di conflitto nella quale deve soppesare gli atteggiamenti positivi e negativi nei confronti delle differenti alternative. Tra le varie teorie psicologiche va ricordata la piramide di Maslow. Questa esprime il grado di importanza dei bisogni dei consumatori.

2.4 Il neuro-marketing

Il neuro-marketing rappresenta una nuova disciplina che ha come obiettivo quello di trasformare il marketing in una sorta di scienza esatta. È una nuova branca della ricerca che utilizza tecniche e strumenti delle neuro-scienze per studiare le relazioni del subincoscio di fronte a prodotti e inserzioni pubblicitarie. È in quest’ambito che lo studio delle rappresentazioni facciali si propone di potenziare al massimo la vendita di un determinato prodotto. Le espressioni facciali, il linguaggio del corpo e lo studio della mente dei consumatori, sono elementi che hanno come obiettivo primario quello di riuscire ad individuare quel meccanismo in grado di indurre, una volta azionato, all’acquisto di un determinato prodotto.

Figura 4: Maslow attraverso questa piramide rappresenta l’importanza dei bisogni

umani e il loro grado di necessità. Oggi si è perfettamente in grado di registrare l’attivit{ di dodici

differenti regioni del cervello e le reazioni che si innescano di fronte a

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determinati stimoli visivi e orali. Da alcune ricerche è emerso che propinando ad alcuni soggetti certe immagini pubblicitarie e osservando quali particolari porzioni del loro encefalo si accendono, è possibile dire, di volta in volta, se la risposta è di piacere, di disgusto, di eccitazione, di approvazione, ecc…

Lo scopo è quello di capire, prima che avvenga il lancio del prodotto, quale sarà il suo livello di gradimento. I ricercatori pensano di aver individuato, se non proprio il buy- button, perlomeno quella porzione del cervello che potrebbe conservare la chiave per la realizzazione di più alti profitti. Quello che si prefigura è un futuro in cui il supermercato diventerà luogo di sfide psicologiche particolarmente insidiose, con persone competenti impegnate a combattere irrefrenabili appetiti e desideri indotti da esperti di marketing e occulti manipolatori della psiche.

Non si può neppure immaginare che esista un “bottone compra” nel nostro cervello, eppure sembra che il lavoro di molti ricercatori sembra rivolto a trovarlo.

2.5 Il Neuro- marketing e le rappresentazioni facciali

Sembrava strano e assurdo fino a pochi anni fa, ma oggi è risaputo che al momento di fare un acquisto quelle che si operano sono più scelte emozionali che non razionali, dettate da impulsi che, il più delle volte, noi stessi non siamo in grado di spiegare. A differenza dei comuni test, i risultati ottenuti con le tecniche di neuro-marketing sono, senza alcun dubbio, più precisi. Ciò perché le onde cerebrali non possono mentire. Nei soggetti sottoposti a test è stato, per esempio scoperto che l’area del cervello deputata al riconoscimento dei volti umani, si attiva quando vengono mostrate immagini della parte frontale di auto sportive, e in maniera particolarmente evidente, quando i fari ricordano, in un certo senso, la forma degli occhi. Quella che scatta è, insomma, una sorta di identificazione soggetto – oggetto. Ma in che modo le espressioni facciali sono riconducibili al marketing? È importante sapere che le espressioni facciali ci inviano informazioni non solo circa il nostro stato effettivo, ma anche riguardo l’attivit{ cognitiva, il comportamento, la personalit{, e la psicopatologia. Il riconoscimento delle espressioni facciali è utilizzato nello studio di particolari processi che coinvolgono le emozioni, le interazioni sociali, la comunicazione e lo sviluppo dei bambini. In un certo senso è

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come se le espressioni facciali fossero la rappresentazione grafica delle nostre emozioni. È, infatti, facile nascondere un certo stato d’animo attraverso le parole, ma è difficilissimo nasconderlo con l’espressione. Per capire meglio questo concetto dobbiamo analizzare, con più precisione, in che senso le espressioni facciali rappresentino il sistema di comunicazione più efficace ed immediato.

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Capitolo 3 Analisi delle espressioni facciali

In questo capitolo si vuole mettere in evidenza quanto sia importante

lo studio delle espressioni facciali. Molti studiosi si sono soffermati su tali studi e sono concordi

nell’affermare che esiste un codice nelle espressioni. Questo codice rappresenta la chiave di lettura per capire perché assumiamo determinate espressioni del volto e soprattutto perché siamo in grado di cogliere informazioni dalle espressioni altrui.

Quello delle espressioni facciali è uno dei campi più importanti, e al tempo stesso uno dei più affascinanti, nello studio del comportamento non verbale. Alla stessa stregua, il comportamento non verbale rappresenta uno dei campi più importanti ed interessanti nello studio della comunicazione pubblicitaria.

Gli studi psicologici delle espressioni facciali sono stati presi in considerazione da tecnici informatici per aiutare i pubblicitari, modificando le espressioni del volto, e rendere così più efficace il loro prodotto. Ne è un esempio quello illustrato in figura 5, in cui partendo dalla fotografia di un soggetto che abbia una naturale espressione con una normale illuminazione attraverso modifiche bidimensionali e tridimensionali è possibile ottenere una “nuova faccia” che presenta una nuova espressione completamente diversa rispetto a quella di partenza. Questi esperimenti, attuabili grazie all’ausilio dei nuovi sistemi informatici, sono davvero utili per modificare le espressioni, ad esempio di alcune immagini pubblicitarie. Lo schema presentato in figura 5 e più complesso di quello presentato in figura 6. Anche quest’ultimo ha però come obiettivo quello di far vedere come è possibile modificare le espressioni facciali.

3.1 L’anatomia dei movimenti facciali

Fin dai tempi antichi esiste l ’idea che vi sia una corrispondenza biunivoca tra le configurazioni del volto e le emozioni, ma è solo dagli anni Ottanta che la ricerca psicologica si è mossa in questo settore. I celeri movimenti che caratterizzano le espressioni facciali, così come le espressioni emozionali, sono il risultato di movimenti della pelle e del viso e del tessuto connettivo in concomitanza con una concentrazione di uno o

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più muscoli facciali. Studiare le espressioni del volto significa esaminare immagini, fotografie e filmati, questi ultimi a rallentatore. Così facendo, si riescono a cogliere con più facilità i movimenti rispetto a quando questi sono espressi nel corso di una normale conversazione.

Figura 5: qui è possibile riuscire a vedere i passaggi attraverso i quali, con i mezzi informatici, è possibile modificare le espressioni facciali. (fonte : Efficient 3D

reconstruction for face recognition, 2004, Pattern Recognition)

Figura 6: ricostruzione facciale attraverso un sistema esclusivamente 3D

(fonte : Efficient 3D reconstruction for face recognition, 2004, Pattern Recognition)

È sorprendente notare la velocità con cui i muscoli facciali si contraggono. Spesso la durata di un movimento è talmente breve che neanche i più bravi osservatori riescono a coglierne il mutamento. I muscoli del volto sono striati e possono essere suddivisi in due categorie. Il

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primo gruppo è formato da elementi innervati che muovono la struttura scheletrica della mandibola durante la masticazione. Il secondo gruppo comprende, invece, i muscoli attaccati alle ossa del volto. Sono proprio questi, appartenenti al secondo gruppo, che contraendosi combinano i tratti facciali in configurazioni espressive. Di solito queste espressioni sono ben visibili, tuttavia può anche capitare che vi sia una attivazione senza che ci sia una corrispondente configurazione espressiva. Per lo più ciò accade quando il movimento è troppo veloce, l’attivazione è debole o bloccata tempestivamente.

L’attivazione neurale dei muscoli striati, per ciò che concerne il processo biochimico, risulta dal rilascio di acetilcolina a livello motorio, che a sua volta attiva i potenziali di azione del muscolo, attraverso le fibre muscolari, mettono in moto il meccanismo responsabile della contrazione muscolare. L’attivazione dei neuro-trasmettitori avviene molto rapidamente. Le scariche si susseguono in modo continuo per far in modo che la contrazione della fibra sia rapida. Scariche a bassa ampiezza neurale tendono ad attivare piccoli motoneuroni, che innervano relativamente poche e piccole fibre muscolari. In tal modo, flussi di informazione dinamici e configurativi, fluiscono dai muscoli che soggiacciono ai segnali facciali rapidi. A volte può capitare che i processi siano talmente veloci da non apportare visivamente una distorsione dei tratti sulla superficie del volto. Ciò può essere possibile grazie alla perfetta organizzazione dei muscoli facciali e alla struttura elastica della pelle del viso. Di prezioso aiuto si è rivelata l’elettromiografia, ovvero la misurazione dell’attivit{ elettrica che si effettua attaccando degli elettrodi alla superficie del volto. Questa è servita alla ricerca per confermare il sistema di codifica dell'azione facciale.

Tutti i muscoli che spontaneamente si attivano e danno origine alla mimica facciale sono innervati da un nervo motore di basso livello che è emanato da un nucleo nervoso del nervo facciale. I meccanismi che controllano i tratti sub-corticali e corticali influiscono il primo sui comportamenti spontanei, non flessibili che sono direttamente e immediatamente comandati da pulsioni di base; il secondo fornisce adattabilit{ a tutto il complesso del volto permettendo l’apprendimento e il controllo volontario per influenzare il comportamento motorio.

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3.2 I messaggi inviati dal volto All’interno della sfera comunicativa, al secondo posto, dopo la

comunicazione verbale, si colloca la comunicazione non verbale, espressa, in primo luogo dai movimenti, più o meno spontanei, del corpo. Il luogo dove si concentra la maggior parte delle informazioni sensoriali è, senza alcun dubbio, il volto. Questo perché è più facile controllare i movimenti di tutto il corpo, mentre diventa complicato controllare i movimenti dei muscoli facciali, in quanto essi si esprimono con naturalezza e quasi in modo involontario. Ciò risulta valido sia nel caso che un soggetto esibisca le emozioni come emittente o che sia in grado di leggere sul volto dell'altra persona, come ricevente all'interno di un processo comunicativo. Il volto è un sistema di risposta multisegnale, e al tempo stesso, multimessaggio capace di inviare una enorme quantità di messaggi flessibili e specifici. Fra gli autori che hanno rivolto i loro studi in questa direzione vi è Ekman, il quale sosteneva che questo sistema di comunicazione facciale veicola informazioni attraverso quattro classi generali di segnali :

1. segnali facciali statici che rappresentano tratti relativamente permanenti della faccia, tali come la struttura ossea e le masse di tessuto sottostante che contribuiscono all'apparenza di un individuo;

2. segnali facciali lenti che sono costituiti dai cambi, che avvengono col tempo, nell'apparenza della faccia di un individuo, tali come lo sviluppo di rughe permanenti e cambi nella grana della pelle;

3. segnali artificiali rappresentati da tratti della faccia determinati esternamente come gli occhiali e i cosmetici;

4. segnali facciali rapidi che rappresentano cambi di fase nell'attività neuromuscolare che può portare a visibili cambi nell'apparenza facciale.(Ekman, 1979)

Ekman discute, in modo approfondito, questi quattro sistemi di segnali facciali. È la combinazione di questi elementi che crea l’espressione sul volto di qualsiasi individuo. Tali segnali combinati insieme possono produrre differenti messaggi, ai quali è possibile attribuire vari significati. L’insieme delle quattro classi di segnali contribuiscono al riconoscimento facciale. Tra queste la classe che pone più problemi è quella che riguarda i segnali facciali rapidi. Questi si presentano, a volte, in

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modo inconsapevole, e risultano per questo difficili da gestire. Questi movimenti dei muscoli facciali tirano la pelle, distorcendo temporaneamente la forma degli occhi, delle sopracciglia, delle labbra e la sembianza delle pieghe, le rughe e i rigonfiamenti facciali in differenti parti della pelle. Ogni parte mette in evidenza un particolare stato d’animo. Questi cambi repentini nell’attivit{ dei muscoli facciali sono brevi in quanto durano pochi secondi. Un sistema semplice di classificazione, non molto accurato nella descrizione include termini quali sorriso, aggrottamento, ghigno, ecc., che sono imprecisi in quanto ignorano le differenze fra la varietà di differenti azioni muscolari ai quali si possono riferire. Tuttavia questi termini risultano i più comprensibili e riescono con facilità a spiegare a parole le sembianze che la faccia, di volta in volta, acquisisce. Tra i tipi di messaggi che i segnali facciali rapidi possono veicolare vi sono:

a. le emozioni; b. i simboli culturali, ovvero tutti gli emblemi specifici, che

appartengono alle varie società. Ad esempio fare l'occhiolino ha un preciso significato all’interno di un contesto culturale ben radicato;

c. i manipolatori, che comprendono i movimenti di automanipolazione quali il mordersi le labbra;

d. gli illustratori, che comprendono tutte le azioni che accompagnano e sottolineano il parlato tali come l’alzare le sopracciglia;

e. i regolatori, che comprendono tutti i mediatori della conversazione non verbale quali assentire o sorridere.

A livello comportamentale fisiologico, le azioni dei segnali facciali rapidi possono esprimere:

a. azioni riflesse sotto il controllo di input afferenti; b. azioni impulsive o rudimentali tipi di riflesso che accompagnano

emozioni, poco identificabili a livello di processazione delle informazioni, evidenziati all'interno del comportamento di orientamento nello spazio o durante la risposta comportamentale di difesa, di fronte ad uno stimolo ritenuto pericoloso. Tali azioni sembrano essere controllate da programmi motori innati;

c. azioni adattabili, versatili, culturalmente variabili e spontanee che sembrano essere mediate dai programmi motori appresi;

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d. azioni volontarie. e. Come è facile capire, le classi di azioni facciali rapide possono essere

esibite in modo relativamente indipendente dalla capacità di processare informazioni di un soggetto. Esse sono involontarie, innate e svincolate dal controllo voluto. Le condizioni necessarie, che permettono che altre rapide azioni facciali siano manifestate in un processo comunicativo, richiedono al soggetto una buona capacità di processazione, sono sotto il controllo volontario e sono governate da complesse prescrizioni specificate culturalmente, chiamate regole di esibizione.

3.3 Le espressioni facciali e le emozioni umane È opportuno ricordare che tutte le espressioni facciali sono strettamente correlate alle emozioni ed a determinati stati d’animo.

Figura 7: sequenza di espressioni del volto (fonte: Ekman)

Per lungo tempo lo studio delle emozioni è stato trascurato dal mondo scientifico, come si evince anche dalla piuttosto scarsa letteratura in materia, rispetto a quella relativa ad altri aspetti della mente. Le cause di tale apparente disinteresse sono molteplici. Era opinione diffusa che le emozioni fossero un aspetto secondario e meno nobile della vita mentale di un individuo, che invece andava studiata nella sua componente razionale. Negli ultimi anni però lo studio scientifico delle emozioni ha subito un notevole sviluppo che ha prodotto una quantità di conoscenze, provenienti soprattutto dalla neurobiologia e dalla psicologia sperimentale, ed un crescente interesse anche nel dominio dell’informatica. Paradossalmente, proprio l’emotivit{ ha iniziato ad essere considerata come una importante

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componente dell’intelligenza stessa. Fino a pochi decenni fa era considerata uno scomodo patrimonio evolutivo e un’inutile interferenza nei processi intelligenti. Oggi da tutti i più importanti testi di psicologia si apprende che le emozioni sono un fenomeno complesso, un processo che coinvolge tutto l’organismo. Le teorie elaborate per spiegare le emozioni possono essere raggruppate su tre diversi piani di indagine: quello relativo allo studio del cervello, quello psicologico e quello computazionale. Il senso comune ci spinge ad affermare che le emozioni sono prima di tutto esperienze. Molti sono d’accordo anzi nel ritenerle le esperienze più importanti di un individuo, quelle che danno valore e sapore all'esistenza. Ma molti indizi hanno portato a ritenere che l’ emozione e l’ esperienza emotiva siano distinte. L’esperienza di un’emozione non sarebbe altro che l’accesso cosciente ad un processo che si sviluppa senza l’intervento della coscienza. Secondo alcuni studiosi, le emozioni sono processi di tipo cognitivo. L’ emozione consisterebbe in un processo in cui, alla percezione di un certo insieme di stimoli, seguirebbe una valutazione cognitiva che consentirebbe all’ individuo di etichettarli e di individuare un determinato stato emotivo. A questo punto, seguirebbe la risposta emotiva, sia di tipo fisiologico che comportamentale e espressivo. La sequenza è illustrata nello schema seguente e nel successivo esempio:

Figura 8:Dinamica di un generico processo emotivo.

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Figura 8: esempio di processo emotivo.

Le emozioni fondamentali sarebbero quelle universalmente espresse ed identificate, indipendentemente dal contesto individuale e culturale, in contrapposizione con le emozioni complesse. Nonostante le attuali conoscenze sulle emozioni siano ancora parziali e confuse, si può ugualmente organizzare le informazioni disponibili e tentare di delineare un quadro coerente, sebbene approssimato, in modo da fornire una base giustificativa al sistema realizzato. Innanzitutto, il concetto di emozione non é unitario, come probabilmente non lo è quello di mente, ma viene riferito ad una collezione di processi e di sistemi abbastanza specifici. Le emozioni possono essere definite come un insieme di processi specializzati per la risoluzione di problemi. Ma per caratterizzarle in modo più preciso, è necessario distinguerle in tre diversi tipi:

1. emozioni fondamentali 2. emozioni cognitive 3. emozioni esperenziali

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Le emozioni fondamentali (o emozioni elementari) sono processi di tipo reattivo. Ad esempio, la paura primordiale, quella che ci fa scattare non appena sentiamo un rumore improvviso, permette di reagire alle situazioni di pericolo, e fornisce istantaneamente le risorse per affrontarle. Nella tabella seguente sono riportate le principali emozioni fondamentali e le situazioni contestuali a cui esse si riferiscono.

EMOZIONE SITUAZIONE

Paura presenza di un pericolo

Disgusto reazione nei confronti di sostanze o

oggetti potenzialmente nocivi

Gioia affettività, raggiungimento di scopi

Tristezza affettività, scopi non (ancora) raggiunti

Rabbia Aggressività

Le emozioni cognitive estendono i sistemi emotivi elementari con l’ introduzione di un sistema di valutazione cognitiva di tipo psicologico. Per fare un esempio, si consideri nuovamente l'emozione di paura: in questo caso, i sistemi di valutazione cognitiva permettono di individuare un numero maggiore di situazioni potenzialmente pericolose, o le variazioni della pericolosità di un evento al variare del tempo. Per quanto riguarda le risposte comportamentali, alle tre di tipo innato (paralizzarsi, fuggire o lottare), si affiancheranno comportamenti che, in caso di successo, verranno associati alla specifica situazione che ha generato la paura. Si parla in questo caso di paura appresa, che sarà un'emozione più complessa rispetto alla paura intesa come emozione fondamentale. Il terzo tipo di emozioni, quelle più complesse, sono i sentimenti quali l’invidia, l’amore o il senso di colpa. In questo caso, per l'instaurarsi di tali emozioni è necessario un individuo che abbia un modello di sé e della relazione tra sé e il mondo. Tale condizione è legata alla presenza della coscienza. L’esperienza cosciente consente di ampliare ulteriormente non soltanto la

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valutazione degli stimoli e delle situazioni, ma anche l'insieme delle risposte, e può generare effetti retroattivi che attivino ulteriori processi emotivi (ad esempio, il senso di colpa può generare tristezza o paura). Le emozioni hanno tre funzioni principali:

motivazione: sono processi motivazionali che predispongono l'individuo verso un certo insieme di possibili comportamenti;

comunicazione sociale: permettono di comunicare informazioni da individuo a individuo (ad esempio, l'abbracciarsi per esprimere affetto o il lamentarsi per richiedere aiuto);

informazione: fanno sì che l'individuo sia aggiornato sui suoi bisogni e obiettivi, che apprenda situazioni ed eventi utili e pericolosi, agendo come misuratori del proprio stato interno e del mondo esterno.

È chiaro che le funzionalità sono legate al tipo di emozione considerata. In tutti sistemi emotivi (semplici o complessi) si può sostanzialmente distinguere:

un insieme di condizioni elicitanti (le percezioni caratteristiche di una data emozione);

un insieme di possibili risposte (di tipo fisiologico, comportamentale od espressivo);

un sistema di valutazione che individua le condizioni elicitanti e seleziona la risposta più appropriata; tale sistema potrà avere sia componenti descrivibili direttamente in termini di circuiti neurali, sia componenti di livello psicologico, plausibilmente legate all'attività della corteccia cerebrale.

Per riconoscere un'emozione è sufficiente rintracciare un certo numero di indizi correlati al processo emotivo in atto. Le informazioni caratteristiche possono essere legate al contesto esterno o al tipo di risposta, e possono contenere parametri comuni ad intere categorie emotive. Per il riconoscimento emotivo esistono diverse strategie, dipendenti dal tipo di risposta emotiva utilizzata come fonte di informazione, come viene evidenziato dallo schema seguente:

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Il riconoscimento emotivo tramite auto-valutazione viene invece trattato separatamente, essendo quello a cui ci si è riferiti nella realizzazione del sistema. Nei primi tre tipi di sistemi, quelli basati su espressione e fisiologia, la metodologia seguita è stata quella di raccogliere configurazioni di segnali e correlarli con le emozioni individuate mediante autovalutazione. Una volta realizzata tale correlazione, questi sistemi permettono di rintracciare lo stato emotivo anche sulla base di un insieme parziale di tali segnali. La modellizzazione emotiva viene ricondotta ad un riconoscimento di configurazioni (pattern recognition). I sistemi per il trattamento delle espressioni facciali si basano sull'analisi computazionale delle immagini. Il modello può contenere informazioni sulla geometria del viso e sui muscoli facciali, oppure sui movimenti delle diverse porzioni della faccia durante un cambiamento di espressione. In alcuni modelli più sofisticati, gli schemi espressivi sono ottenuti combinando fra loro configurazioni locali, relative a porzioni del viso particolarmente significative quali la bocca, gli occhi o le sopracciglia. Il tempo medio di riconoscimento di questi sistemi è di qualche minuto per quelli basati sulla geometria del viso e sulle informazioni muscolari, è dell'ordine dei secondi per quelli basati sulle configurazioni di movimento, ma risulta comunque ancora grande per molte applicazioni in cui e' necessaria un'interazione in tempo reale tra uomo e macchina. Un

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altro problema è costituito dall'attuale impossibilità a gestire il cambiamento espressivo e a discriminare due diverse espressioni quando il soggetto passa dall'una all'altra in maniera continua. Nel caso dell'analisi vocale, i parametri considerati sono tipicamente il volume, la velocità, la regolarità del parlato. I sistemi attualmente in sviluppo non considerano il contenuto linguistico del messaggio, e un problema è costituito dalla necessità di mascherare tale contenuto in modo da non influenzare i segnali non verbali. L’espressione vocale è inoltre fortemente influenzata dall'umore del parlante, dal contesto e dalla cultura. Ad esempio, un consumato oratore, impegnato in un importante discorso, difficilmente lascerà trapelare l'eventuale tensione, e sarà più difficile individuarla rispetto ad altri contesti in cui il soggetto si senta sotto esame. Per quanto riguarda i sistemi basati sull'analisi della risposta fisiologica, cambiano i parametri (che in questo caso faranno riferimento alla pressione sanguigna, al battito cardiaco, alla respirazione, ecc.), ma l'approccio metodologico è sostanzialmente analogo: una fase iniziale in cui i segnali vengono raccolti in configurazioni da correlare ai diversi stati emotivi, e una fase successiva in cui il riconoscimento è possibile sulla base di pochi indici che il modello provvederà a integrare e a completare. La modellizzazione basata sull'analisi del comportamento si basa generalmente su modelli in cui non viene data importanza alla struttura del singolo stato ma alle transizioni tra stati emotivi differenti. La correlazione viene effettuata tra i comportamenti (o le sequenze di comportamenti) e le transizioni, cercando di pesare le probabilità associate ad ognuna di esse, in modo da scegliere lo stato corrente come quello avente la probabilità maggiore. Una recente linea di ricerca riguarda la possibilità di combinare le informazioni provenienti da ognuno dei diversi tipi di riconoscimento. In particolare, una direzione promettente è quella volta a combinare l'analisi dell'espressione facciale e vocale. I due contributi di informazione sono infatti in buona misura complementari: ad esempio, il livello di eccitazione emotiva (arousal) è più facilmente discriminato analizzando il parlato, mentre la valenza (ossia, il grado di positività o negatività di un'emozione, caratterizzato dai segnali di piacere o dolore) si individua più efficacemente tramite le espressioni facciali. Attualmente, però, non ci sono ancora modelli in cui sia possibile

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analizzare l'espressione del viso di una persona mentre questa sta parlando. L'integrazione tra modelli differenti dà la possibilità di decidere configurazioni altrimenti difficili da disambiguare: si può piangere per l'infelicità ma anche per la gioia, e il solo apporto visivo può non essere sufficiente, mentre in questo caso potrebbe essere risolutivo il contributo del modello vocale. 3.4 Le emozioni manifestate dalle espressioni Lo studio scientifico di quali configurazioni facciali siano associate con ciascuna emozione si è concentrato in primo luogo sull'interpretazione degli osservatori delle espressioni facciali (giudizio di figure di espressioni facciali, vedi il capitolo sulla comunicazione non verbale). Poche ricerche sono state condotte per esaminare come le espressioni facciali si correlano con altre risposte che il soggetto può emettere (per esempio: attività fisiologica, voce e parlato) e al contesto sociale comunicativo in cui l'espressione può occorrere. In numerose culture c'è un alto e significativo grado di accordo fra osservatori nel categorizzare le espressioni facciali di felicità, tristezza, sorpresa, dolore, disgusto e paura. Le prove sperimentali di cosa i soggetti sentono come stati positivi o negativi, associati a stati emozionali, sono correlate a distinte azioni facciali. Le influenze culturali possono, anche se non necessariamente, alterare significativamente questi risultati. Gli stessi risultati possono essere trovati nei neonati e nei ciechi, così come nei soggetti adulti normodotati, sebbene l'evidenza nei neonati e nei ciechi è più limitata che nei soggetti adulti normodotati. L'attività che deriva da una emozione specifica nel sistema nervoso autonomo sembra emergere quando i prototipi facciali delle emozioni sono prodotti su richiesta dai soggetti sperimentali, muscolo per muscolo. Differenti modelli di attività di regioni cerebrali coincidono con differenti espressioni facciali. La variabilità nelle espressioni facciali, osservata in diversi individui e culture, è attribuibile a fattori che sono legati a quali emozioni o sequenze di emozioni è evocata in sede sperimentale e alle prescrizioni culturali relative alle regole di esibizione delle emozioni. Le azioni facciali sono anche state osservate in correlazione con la processazione di informazioni non emozionali, come per esempio avviene in aggiunta a messaggi non verbali (è il caso degli emblemi o illustratori);

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durante l'attività incipiente di processazione di linguaggio in silenzio; quando vi è attività neuromuscolare della regione frontale del volto, con la produzione della tipica corrugazione della fronte; qundo si verifica un decremento della frequenza del battito ciliare associato con la concentrazione mentale o lo sforzo fisico.

Figura 9. Espressioni delle emozioni, (fonte P. Ekman)

3.5 Tecniche per analizzare le emozioni Le emozioni principali: sorpresa, paura, dolore, disgusto, disprezzo, tristezza e felicità sono registrate da cambiamenti dei muscoli della fronte, delle sopracciglia, delle palpebre, delle guance, del naso, delle labbra e del mento. Per cui l'area di maggiore interesse per lo studio della espressione delle emozioni è il volto. Si può studiare la codifica delle emozioni chiedendo alle persone di adottare l'espressione facciale e il tono di voce che corrispondono all'espressione fenomenica delle varie emozioni. Questo può indurre le persone che mimano le emozioni, ad esagerare e per lo più a ricorrere a delle espressioni stereotipate che non hanno nulla di spontaneo e che forse non si verificano mai nella vita di relazione. D'altro canto esiste un indubbio vantaggio nell'uso delle espressioni in posa per il fatto che gli esecutori in questo caso non mascherano e non inibiscono le loro espressioni, come spesso succede nella vita sociale,

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regolata da rigide convenzioni che vietano la manifestazione pubblica di alcune espressioni emozionali. Si è riscontrato che una gamma considerevole di espressioni facciali è prodotta da persone differenti, nel medesimo stato emotivo e perfino dalle stesse persone per la stessa emozione. Se un numero considerevole di persone assume certe espressioni, solo il 60% circa può essere riconosciuta da parte dei "”giudici” (solitamente sono i soggetti che devono individuare le espressioni presentate in foto). Tuttavia, vi è una normale gamma di espressioni per una determinata emozione che potrebbe essere ritenuta come varietà personali di esibizione. Se vogliamo fare un paragone con la linguistica, si può prendere come esempio il fonema, che rappresenta un'entità astratta, l'espressione pura per un determinato suono, realizzata poi, nell'esecuzione, con sfumature diverse o con varianti per lo stesso fonema da differenti parlanti o dallo stesso parlante in momenti diversi. Anche per l'espressione delle emozioni esiste un range di manifestazioni fenotipiche che, pur differenziandosi fra loro, in realtà appartengono alla stessa categoria emozionale, cioè sono considerate per esempio, espressioni di tristezza o di felicità dalla maggior parte delle persone. Quali sono le diverse espressioni del volto per l'emozione che possono essere distinte da osservatori? Si sono fatte numerose ricerche nelle quali molte fotografie, in posa o tratte dalla vita reale, sono state giudicate da osservatori sulla base di elenchi di emozioni stabilite. Questo metodo è criticabile, come si era detto sopra, perché artificioso e perché in realtà decontestualizza le emozioni dalla situazione reale in cui avvengono, non garantendo così una corretta interpretazione da parte degli osservatori e sminuendo in qualche modo la validità dei dati. La prima ricerca con fotografie in posa, effettuata da Woodworth e Schlosberg, proponeva diverse serie di categorie fino ad arrivare a quella compiuta da Osgood che chiese ai giudici di identificare quaranta diverse espressioni del volto. Questa ricerca dimostrò che si potevano distinguere chiaramente sette gruppi principali di espressioni, che sono le seguenti: felicità, sorpresa, paura, tristezza, collera, disgusto/disprezzo, interesse. Osgood e collaboratori, inoltre, si servirono del metodo di chiedere ai soggetti di classificare le fotografie in base ad un numero di scale graduate, distinte verbalmente e ordinate secondo le dimensioni piacevolezza spiacevolezza;

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intensità emotiva - controllo; interesse - mancanza di interesse. In questo modo le sette espressioni possono essere analizzate secondo queste tre dimensioni, anche se l'inserzione di queste altre tre categorie complica ulteriormente l’analisi dell’espressione delle emozioni, rispetto alla metodologia di codifica e di decodifica. D’altro canto, le dimensioni presentano il vantaggio di essere in opposizione, il che si accorda con la tesi, sostenuta da Darwin, secondo la quale alcune espressioni emotive sono semplicemente il contrario di altre. Tutti questi studi risentono del limite imposto dall'uso di fotografie statiche, invece che estrapolate da filmati. Si è scoperto però che, per quanto il riconoscimento delle espressioni dell'emozioni avvenga più facilmente utilizzando sequenze filmiche, la differenze non è notevole: ciò dimostra che la posizione statica del volto trasmette un maggior numero di informazioni sulle emozioni. Un altro limite di questi studi consiste nell’aver chiesto agli osservatori di rispondere con categorie verbali, mezzo che non sempre riesce a cogliere tutte le sfumature della comunicazione non verbale. Stringer usò un metodo che superava questo ostacolo chiedendo agli osservatori di raggruppare le foto sulla base della somiglianza. In seguito egli realizzò una analisi statistica di questi raggruppamenti, individuando tre dimensioni che classificò nel seguente modo: felice - preoccupato; pensieroso - sorpreso; pensieroso - disgustato - sofferente; la spiegazione di questa discordanza può essere data dal fatto che gli osservatori avevano oltrepassato la sfera di interpretazione delle emozioni, includendo le espressioni solitamente in connessione con la comunicazione verbale. Numerosi sono stati gli studi condotti col metodo “encoding”, attraverso i quali si è scoperto che stimolando diverse emozioni si provocano diverse espressioni del volto misurabili. Studi condotti invece col metodo “decoding” hanno utilizzato fotografie in posa che sono state giudicate in modo diverso dagli osservatori. Come si diceva prima, infatti, esistono intere “famiglie” di espressioni per ogni emozione. La sorpresa, per esempio, è un’emozione con una grande famiglia. Per essa non esiste un’unica espressione facciale, ma molte. Per esempio: “domandare con sorpresa”, “sorpresa che lascia senza parole”, “sorpresa che intontisce”, “sorpresa moderata o estrema”. La complessit{ delle espressioni facciali è stata anche evidenziata con un metodo molto complesso, che ritocca alcuni tratti dei volti fotografati per dimostrare come differenti emozioni possono

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mescolarsi in una singola espressione facciale e creare un miscuglio molto difficile da identificare. 3.6 F.A.C.S. (Facial Action Coding System) Il Facial Action Coding System (F.A.C.S.) fu creato da Ekman e Friesen per conoscere meglio le relazioni che legano i comportamenti facciali e gli stati interni degli individui.

Figura 10:

Il Facial Action Coding System scompone il movimento in componenti di azioni. I muscoli facciali superiori corrispondono alle azioni 1,2,4,6 e 7, per come è illustrato. Negli ultimi anni sono stati effettuati molti studi che mostrano la ricca varietà di informazioni che è possibile ottenere utilizzando questo metodo. Il F.A.C.S. fu sviluppato per determinare come le contrazioni di ogni muscolo facciale (singolarmente o in combinazione con altri muscoli) cambiano le sembianze di una faccia. Gli autori hanno video-registrato più di 5000 differenti combinazioni di azioni muscolari, che sono state esaminate accuratamente per determinare i cambi più significativi che ognuna di esse apportava alla struttura del volto, studiando anche come era possibile differenziare un movimento dall’altro. In realt{ non è stato loro possibile arrivare ad una distinzione affidabile sulla determinazione dei muscoli che sono messi in gioco per produrre, per esempio, l’abbassamento di un sopracciglio e lo stiramento delle due soppracciglia insieme. Nonostante ciò, i tre muscoli coinvolti in questi cambi dell’apparire del volto sono combinati in una specifica Unit{ di Azione.

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Anche i segnali rapidi, che interessano l’apertura dei muscoli delle labbra, sono combinati insieme nella stessa Unità d'Azione, ma non è facile distinguere quando intervengono singolarmente. La misura delle espressioni facciali nel sistema F.A.C.S. è fatta attraverso le Unità di Azione, invece che con unità muscolari, in quanto ci sono buoni motivi di economia nell’attivit{ di decodifica. Un primo motivo potrebbe essere quello descritto poco prima: pochi cambi nell'apparenza di un volto coinvolgono più di un muscolo in una singola Unità di Azione. Un secondo motivo è dato dal fatto che per mezzo del sistema F.A.C.S. è possibile separare in due Unità di Azione, l'attività dei muscoli frontali. Questo a causa del fatto che questi ultimi sono situati sia internamente che esternamente e, di conseguenza, possono agire indipendentemente, producendo cambi differenti nell'apparenza. Ekman e Friesen hanno calcolato 46 Action Unit, (AU) che rendono conto dei cambi nell'espressioni facciali e 12 Action Unit che più grossolanamente descrivono i cambi nella direzione dello sguardo e nell'orientamento della testa. Il processo di acquisizione della metodologia di misura dei sistemi facciali è laborioso. Un apprendista del team di Ekman spende quasi 100 ore per apprendere come funziona il sistema di codifica delle F.A.C.S., attraverso materiale autodidattico che insegna l'anatomia dell'attività facciale, ovvero come i muscoli singolarmente o in combinazione cambiano l'apparenza di un volto. Prima di utilizzare le F.A.C.S., ad ogni soggetto viene richiesto di superare un test: decodificare un nastro video registrato, ottenendo un punteggio, per assicurarsi che egli stia misurando il comportamento facciale in accordo con gli altri appartenenti al team. Un analista F.A.C.S. disseziona una espressione osservata, decomponendola in specifiche Action Unit che hanno prodotto il movimento. L’analista vede il nastro sia al rallentatore che fermando le immagini, per determinare quale unità di azione o combinazione di unità di azione sono coinvolte nei cambiamenti facciali. I punteggi, per la rilevazione di specifiche espressioni facciali, consistono nel determinare la lista di unità di azione che sono coinvolte in quell'espressione. Viene determinata anche la precisa durata di ogni azione, l'intensità di ogni azione muscolare e ogni asimmetria bilaterale. Nell'uso più esperto della metodologia F.A.C.S., l'analista riesce a determinare dai primi indizi l'unità

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di azione coinvolta in un movimento rapido, quando l’azione raggiunge l'apice, la fine del periodo apicale, quando inizia a declinare e quando scompare definitivamente dalla faccia. Le unità di punteggio di F.A.C.S. (che di fatto listano le unità di azione coinvolte in una espressione facciale) sono descrittive e non interferiscono con l'interpretazione delle emozioni e possono essere convertite da un computer usando un dizionario di interpretazione e predizione delle emozioni (appositamente creato) o le regole per ottenere i punteggi delle F.A.C.S. Sebbene questo dizionario di interpretazione delle emozioni sia stato originariamente basato su una teoria, attraverso tutti gli studi condotti dal gruppo di Ekman e Friesen, c’è attualmente un supporto che proviene da una sperimentazione empirica che ha dimostrato che:

a. i punteggi delle F.A.C.S. producono predizioni e post-dizioni altamente accurate delle emozioni segnalate agli osservatori in più di quindici culture, sia dell'Est che dell'Ovest, letterate e pre-letterate;

b. punteggi specifici di Unità di Azione mostrano da moderata ad alta correlazione con i report soggettivi sulla qualità e l'intensità dell'emozione sentita dai soggetti che esprimono l'emozione stessa;

c. circostanze sperimentali sono associate con specifiche espressioni facciali;

d. modelli differenti e specifici di attività fisiologica cooccorrono con specifiche espressioni facciali.

Il dizionario delle predizioni delle emozioni fornisce punteggi sulla frequenza di sette emozioni (angoscia, paura, disgusto, tristezza, felicità, disprezzo e sorpresa), la cooccorrenza di due di queste emozioni insieme, e una distinzione tra sorriso emozionale e non emozionale, basata sul fatto che il muscolo che circonda l'occhio (AU6) è presente in concomitanza con il muscolo che tira su gli angoli delle labbra obliquamente (AU 12). Secondo Ekman i sorrisi emozionali sono involontari e di solito sono associati con l'esperienza soggettiva di felicità e cambiamenti fisiologici. Sorrisi non emozionali sono, al contrario, volontari e non sono associati con sentimenti di felicità o di cambiamenti fisiologici. Ekman riporta tutte le evidenze empiriche su questa distinzione ormai provata sperimentalmente. Izard nel 1979 mise a punto un altro sistema di decodifica delle emozioni denominato MAX (Maximally Discriminative Affect Coding

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System) che misura i cambiamenti apparenti nelle facce. Le unità di base di MAX sono formulate in termini di apparenze (ciò che si verifica sul viso di un soggetto), che si riferiscono a otto specifiche emozioni, piuttosto che ad una descrizione dei muscoli che in tali emozioni sono coinvolti. Questa modalità di decodifica, a differenza del sistema F.A.C.S., non misura esaustivamente tutte le azioni facciali, ma conteggia solo quei movimenti facciali che Izard correla a una o più delle otto emozioni. Tutte le azioni facciali che MAX specifica sono rilevanti solo per particolari emozioni, che si trovano anche nel dizionario delle predizioni del sistema F.A.C.S.

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Capitolo 4. Una Faccia Parlante ed Espressiva Intelligente Nel seguente capitolo sono stati riportati fedelmente alcuni studi ottenuti da esperimenti aventi come fine l’evolversi dell’espressione facciale mediante movimenti, naturali o artificiali, dei muscoli del volto. I seguenti studi sono stati elaborati da alcuni docenti, in particolare dalla professoressa Isabella Poggi, dipartimento linguistico dell’Universit{ Roma Tre. Negli ultimi anni ha avuto un grande sviluppo la ricerca sulle Facce Animate, e più in generale, la costruzione di Agenti Virtuali interattivi capaci di esibire espressioni facciali, movimenti degli occhi, delle sopracciglia e del capo. È cresciuto notevolmente, inoltre, lo sforzo per sviluppare interfacce di comunicazione tra uomo e computer. Per poter portare a termine con successo qualsiasi esperimento, è di fondamentale importanza che gli attori che si prestano allo studio siano in grado di simulare espressioni nel modo più naturale possibile. Quando inviamo un segnale comunicativo, sia esso verbale o non verbale, l’espressione del volto cambia in maniera significativa. E ciò avviene anche quando si modifica l’intonazione di un discorso. Ad esempio, se la persona pronuncia una parola con un’intonazione impetuosa, contemporaneamente produrrà un corrispondente segnale di enfasi nella modalità visiva, che potrebbe eseere l’innalzamento delle sopracciglia.

Viene naturale chiedersi come mai durante una normale comunicazione il tono della voce non sia sempre lo stesso. Ciò ovviamente dipende dalla nostra intenzione di comunicare. Quando il significato della parola che stiamo pronunciando è più importante, e vogliamo farlo capire, rispetto al significato delle altre parole nella frase ecco che cambia l’intonazione. E allo stesso tempo si modifica l’espressione del volto aiutando il nostro interlocutore a capire il significato del messaggio che vogliamo trasmettere. I docenti del dipartimento di linguistica dell’Universit{ di Roma Tre, si sono posti un obiettivo particolarmente interessante. Come sottolineato

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dai loro lavori, si tratta di un progetto del tutto ambizioso, ovvero, costruire Facce Parlanti ed Espressive che siano anche Intelligenti, cioè che producano segnali comunicativi sulla base di sottostanti rappresentazioni semantiche. In realt{, l’intonazione enfatica e l’innalzamento di sopracciglia comunicano lo stesso significato, cioè entrambe sono generate da una stessa rappresentazione semantica. Ora, se la Faccia Parlante fosse dotata di una rappresentazione semantica interna, questa rappresentazione sottostante potrebbe generare solo l’intonazione enfatica, o solo l’innalzamento di sopracciglia o, laddove la comunicazione di questo significato fosse a sua volta meta rappresentata come particolarmente importante, la Faccia potrebbe generare contemporaneamente sia il segnale acustico-uditivo che quello ottico-visivo. L’obiettivo di una ricerca di questo genere è stato, dunque, quello di costruire una Faccia Parlante ed Espressiva semanticamente determinata, in cui cioè i segnali siano generati dai significati corrispondenti.

(fonte: Le sopracciglia dell’insegnante, Università Roma Tre

4.1 Verso il lessico della faccia L’obiettivo della ricerca, svolta dai docenti dell’Universit{ Roma Tre, era quello di rafforzare l’idea che per ciascuno dei vari sistemi e sottosistemi di comunicazione usati dal nostro corpo sia possibile individuare il lessico. È risaputo che esistono delle regole di corrispondenza tra i segnali che spontaneamente inviamo e i significati che questi rappresentano. È sicuramente più facile individuare esiste un lessico delle parole e attribuire significati precisi al linguaggio verbale. L’interpretazione diventa più complessa nell’individuare il significati derivante da un lessico dei gesti, un lessico degli sguardi, uno delle

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espressioni facciali, e così via. Più in generale, è difficile interpretare nel modo giusto tutte le informazioni che ci giungono da una comunicazione non verbale. L’ipotesi da cui i ricercatori sono partiti era quella di dimostrare che anche la faccia ha un suo lessico, cioè una serie di regole di corrispondenza fra segnali e significati: i segnali sono movimenti dei muscoli della faccia, o variazioni nella pigmentazione dei tessuti (pallore, rossore, labbra livide); i significati sono rappresentazioni mentali che l’Agente ha lo scopo di comunicare: ad esempio, “questa è la parte più importante della frase”, “sono sorpreso”, “ti faccio una domanda”, “ho paura”, “mi vergogno”. Questo scopo di comunicare conoscenze può non essere un’intenzione cosciente, ma uno scopo inconscio o un altro scopo non oggetto di attenzione deliberata; e può essere anche uno scopo biologico, ossia non generato dalla volont{ dell’individuo, come avviene per il rossore. Per implementare Facce Parlanti ed Espressive Intelligenti, cioè capaci di generare segnali facciali sulla base di sottostanti significati, è necessario individuare i significati corrispondenti ai segnali facciali e rappresentarli nella mente dell’Agente Virtuale per costruire il lessico della faccia. L’obiettivo di questa ricerca era quello di portare un piccolo contributo alla costruzione di un lessico della faccia. In particolare è stato preso in esame il significato di due segnali prodotti con le sopracciglia: l’innalzamento e l’aggrottamento di sopracciglia. 4.2 L’innalzamento di sopraccigli In un famoso lavoro sulle “Somiglianze interculturali tra movimenti espressivi”, [Eibl-Eibesfeldt, 1977] individua nell’innalzamento delle sopracciglia un certo numero di significati diversi. Da un lato, al “colpo di sopracciglia”, anche noto come “eyebrow flash”, che rappresenta l’istante in cui esse si sollevano ripetutamente e velocemente, l’autore attribuisce significati che complessivamente indicano un “sì” al contatto, una disponibilità all’interazione sociale: approvazione, ringraziamento, saluto, ricerca di conferma. Dall’altro nota che alzare le sopracciglia può significare anche rifiuto o disapprovazione, esprimere indignazione o arroganza: uno sguardo ammonitorio che ricorda quello minaccioso di alcuni primati non umani.

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Secondo Eibl-Eibesfeldt l’innalzamento delle sopracciglia è in origine un semplice epifenomeno dell’apertura degli occhi che accompagna il porsi in attenzione: per questo si alzano le sopracciglia per segnalare la sorpresa; e se dalla sorpresa piacevole scaturisce la disponibilità al contatto, da quella spiacevole ha origine la disapprovazione o la minaccia. In questo modo, Eibl-Eibesfeldt riconduce tutti i diversi significati dell’innalzamento di sopracciglia all’attenzione che viene messa in atto in situazioni di sorpresa. 4.3. La varietà dei significati Entrambi gli autori rimarcano la varietà di significati portati dall’innalzamento delle sopracciglia, e tentano di individuare elementi di significato comuni a tutti, o comunque un elemento comune da cui tutti quei diversi significati hanno origine. E’ proprio questo, infatti, il compito di chi si pone l’obiettivo di individuare un lessico, ossia delle corrispondenze sistematiche tra segnali e significati. Se un segnale assumesse, negli infiniti contesti possibili, significati sempre diversi, non vi sarebbe alcuna corrispondenza sistematica con uno specifico significato. L’ipotesi del loro lavoro è invece quella di creare un segnale comunicativo può avere un solo significato, o anche un certo piccolo numero di significati, ma non un numero di significati infinito, cioè infinitamente variabile nel contesto, perché ciò non sarebbe economico per la struttura di un sistema comunicativo. Prendiamo in esame lo studio delle parole. Se una parola, poniamo merlo o raggio, ha due o più significati diremo che è una parola ambigua; e tale ambiguità può essere di due tipi: omofonia, quando i due o più significati della parola non hanno nessun legame semantico, ad esempio, merlo, che si riferisce a un uccello e a un elemento architettonico, o polisemia, quando i suoi significati, pur diversi, hanno un nucleo semantico comune, sia nel raggio di sole, sia nel raggio di una ruota, sia nel raggio d’azione di un certo fenomeno c’è l’idea di un qualcosa che si diparte da un centro e giunge lontano da esso. Ora, il problema è come ricondurre a un unico significato comune i vari significati di un segnale polisemico. L’ipotesi è che i vari significati di un segnale siano tutti risultanti dall’applicazione di una o più inferenze ad un significato di base. L’idea è che un segnale venga prodotto, alla sua prima occorrenza, con un determinato significato, chiamiamolo significato

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primo. Tutte le volte che il segnale viene usato di nuovo in contesti diversi, il suo significato si arricchisce di nuove conoscenze inferibili dal primo, cioè il segnale assume un significato diverso, ma collegato inferenzialmente al primo. I contesti però non sono sempre completamente nuovi, si possono distinguere diverse classi di contesti ricorrenti, e in ciascuna classe di contesti il significato inferibile da quel primo significato è sempre lo stesso. 4.4. La polisemia dell’innalzamento di sopracciglia Sulla base di questa ipotesi, Poggi e Pelachaud, hanno individuato quattro diversi significati dell’innalzamento di sopracciglia:

1. sorpresa, che si attiva tutte le volte che siamo di fronte a una situazione imprevista;

2. perplessità o dubbio, che si esprime quando, nel fornire come interlocutori un back- channel al parlante, ci mostriamo perplessi o increduli verso ciò che dice;

3. significato avversativo, quando l’innalzamento delle sopracciglia accompagna parole come “ma”, “però”, “tuttavia”, perché il parlante avverte che non si devono trarre le inferenze più prevedibili da quanto appena detto, ma semmai le conclusioni opposte;

4. enfasi, quando in una frase o in un discorso argomentativo si mette l’accento sulla parola o la parte di frase che si considera più importante.

L’elemento semantico comune che Poggi e Pelachaud, individuano in questi quattro significati è un componente di violazione di aspettative; e a questo significato si aggiungono ulteriori elementi semantici, diversi per ogni diversa classe di contesti:

quando la violazione di aspettative è causata, ad esempio, da un fenomeno naturale, si crea la sorpresa;

quando ciò che viola precedenti aspettative è un’affermazione di un parlante, c’è dubbio o perplessit{;

quando è una parte della frase che contrasta con una parte precedente, c’è l’avversativa;

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quando è una parte di frase nuova, che richiede maggiore attenzione, c’è enfasi.

In questo modo è possibile ridurre a un piccolo numero i significati dell’innalzamento di sopracciglia: il segnale è polisemico, cioè ha un piccolo numero di significati diversi, ma questi sono tutti riconducibili a un primo significato .4.5. Il “grado zero” dell’innalzamento e dell’aggrottamento di sopracciglia Ma che rapporto c’è fra la violazione di aspettative e l’alzare le sopracciglia e aprire gli occhi? Ogni volta che si verifica qualcosa d’imprevisto nell’ambiente, l’animale uomo deve cercare conoscenze per spiegarsi l’evento imprevisto; e poiché la visione è la prima strada all’acquisizione di conoscenze, aprendo molto gli occhi egli cerca di amplificare il suo campo visivo, cioè di vedere più cose intorno a sé. Questa è la spiegazione di Eibl-Eibesfeldt, ripresa da Ekman, dell’innalzamento di sopracciglia e del suo significato basico di sorpresa. Potremmo dire che un’azione non comunicativa, guardare più cose possibile intorno a sè, il “grado zero” di significato dell’alzare le sopracciglia si ritualizza poi acquistando un significato (“grado uno”), mostrare sorpresa. Ora, un’analoga spiegazione può essere valida anche per l’altro, simmetrico segnale: l’aggrottamento. In quali casi aggrottiamo le sopracciglia? Quando facciamo una domanda o non capiamo una cosa, ma anche quando siamo preoccupati, o guardiamo qualcosa con attenzione, o cerchiamo di ricordarci qualcosa; e ancora, quando vogliamo essere severi o assertivi. Infine, aggrottiamo le sopracciglia quando un altro ci dice qualcosa che non abbiamo capito bene, e spesso il comunicare che non capiamo serve a comunicare indirettamente che invece, sì, abbiamo capito benissimo, ma non siamo d’accordo. Eppure, in questa variet{ di usi è possibile individuare un elemento semantico comune: aggrottiamo le sopracciglia quando siamo concentrati. E questo elemento di concentrazione potrebbe avere una spiegazione simmetrica a quella trovata per l’innalzamento di sopracciglia. Se apriamo di più gli occhi quando vogliamo vedere più cose, al contrario li “aguzziamo” per vedere una cosa sola, ma vederla meglio. In altri termini, le sopracciglia si innalzano per migliorare la visione in senso quantitativo,

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si aggrottano per migliorarla in senso qualitativo; cioè quando concentriamo la nostra attenzione e la nostra acuità visiva su qualcosa per vederla meglio. 4.6. Le sopracciglia dell’insegnante. Una ricerca osservativa Per indagare sull’uso delle sopracciglia nell’interazione reale è stata condotta una ricerca su un caso particolare di interazione comunicativa: la lezione dell’insegnante in classe. La ricerca è stata condotta da Remondini, nel 2000. L’importanza della comunicazione non verbale nell’interazione educativa è stata già stata messa in evidenza da De Landesheere e Delchambre, nel 1981. L’insegnante non insegna solo con le parole, ma con tutto il corpo: si muove all’interno dell’aula, si avvicina ai ragazzi, a volte li tocca per rassicurarli. Ma anche quando è in cattedra dà informazioni, fa domande, richiede azioni non solo con le parole, ma usando molto l’intonazione, i gesti, lo sguardo e le espressioni del viso. Inoltre, come è stato mostrato, non solo nella sua comunicazione verbale ma anche nell’usare tutti gli altri segnali comunicativi tiene conto in maniera sofisticata di tutti gli elementi contestuali, dall’interlocutore alle conoscenze condivise pregresse: usa il contatto fisico in modo diverso con bambini timidi o irruenti, intonazioni più dolci col bambino da incoraggiare, più ironiche con quello da tenere a freno. Inoltre anche gli aspetti non verbali rivelano come la pianificazione del discorso in una singola lezione sia strettamente determinata dalla programmazione di lungo periodo: nel riprendere un argomento trattato tempo prima, ad esempio, l’insegnante usa spesso l’enfasi facciale e vocale per sottolineare quali sono le conoscenze che i ragazzi devono recuperare dalla memoria e quali quelle nuove e importanti da imparare adesso. Per queste ragioni si è pensato di analizzare gli innalzamenti e gli aggrottamenti di sopracciglia dell’insegnante, e di vedere quanti e quali significati questi segnali comunicano. 4.7. Le fasi della ricerca I soggetti della ricerca erano due insegnanti di scuola elementare, M.P. e P.C. Sono state registrate quattro lezioni di 20 minuti ciascuna, in due III elementari della stessa scuola, in cui le due insegnanti,

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rispettivamente, spiegavano due lezioni sugli stessi argomenti, l’aria e l’acqua. All’interno delle lezioni registrate, sono stati enucleati tutti i frammenti in cui le due insegnanti producevano, rispettivamente, un innalzamento o un aggrottamento di sopracciglia. Ogni frammento individuato è stato analizzato con la “Partitura della comunicazione multimodale”, limitando l’analisi a due sole modalità, quella verbale e quella facciale, in particolare la zona delle sopracciglia. Per ogni innalzamento e aggrottamento è stato individuato non solo il significato letterale, ma anche il significato dato dalle inferenze pertinenti in quel contesto, che abbiamo chiamato significato di II livello: cioè non solo si è cercato di capire cosa significava genericamente quel segnale, ma anche cosa voleva significare nel contesto analizzato. Lo schema seguentmostra l’analisi di un caso di innalzamento.

4.8. Risultati della ricerca La tabella 1 indica quanti segnali delle sopracciglia sono stati prodotti negli 80 minuti analizzati. Ne risulta innanzitutto una notevole differenza individuale fra le due insegnanti, quanto ad espressività facciale: 32 segnali di M.P. contro solo 9 di P.C. Inoltre, P.C. non produce mai aggrottamenti, ma solo innalzamenti.

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Tab. 1: in tabella è stato espresso il numero dei movimenti delle sopracciglia delle due insegnanti. Il numero dei loro movimenti presenta una differenza notevole.

Vediamo infine, rispettivamente nelle Tabelle 2 e 3, i significati degli innalzamenti e degli aggrottamenti prodotti.

Tabella 2: innalzamento delle sopracciglia

Come si vede, a tutti gli innalzamenti di sopracciglia è stato attribuito un primo significato di richiesta di attenzione, ma i 20 usi si distinguono per il diverso significato nel loro specifico contesto. La maggior parte degli innalzamenti (16) chiede attenzione enfatizzando una parte della frase; in certi casi ha lo scopo di evidenziare che quella è la parte nuova in ciò che l’insegnante sta dicendo, in altri al contrario enfatizza una conoscenza per farla recuperare dalla memoria di lezioni passate. L’enfasi espressa dalle sopracciglia significa cioè: “poni attenzione a questa cosa che per te è nuova”, oppure "poni di nuovo attenzione a questa cosa che gi{ sai ma hai riposto nella tua memoria a lungo termine". In due casi l’innalzamento chiede attenzione per qualcosa di sorprendente: una volta perché l’insegnante sta dicendo qualcosa che era difficile aspettarsi; un’altra volta in segno di ammirazione, e quindi di lode, per un bambino che si è ricordato una cosa prima degli altri. Che l’ammirazione contenga un elemento di sorpresa è gi{ chiaro dall’etimo (mirror = “mi meraviglio”): ammiro qualcuno che sa fare qualcosa meglio degli altri, ma molto meglio, in maniera sorprendente in quanto fuori della norma. E lodare una persona

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vuol dire comunicarle qualcosa di più della propria approvazione, la propria ammirazione. Per questo l’innalzamento di sopracciglia della lode può essere annoverato fra quelli di sorpresa. Infine, in due casi l’innalzamento ha valore avversativo, e infatti nella frase concomitante è pronunciato un però.

Tabella 3: aggrottamento delle sopracciglia

Veniamo ora ai casi di aggrottamento, a cui abbiamo sempre attribuito un primo significato di concentrazione. Come si vede dalla Tab.3, l’uso più frequente è quello concomitante a una domanda, in cui l’insegnante mostra concentrazione per metacomunicare che sta facendo una domanda, e proprio perché si concentra nella ricerca, o nell’attesa, della risposta. Il secondo caso relativamente più frequente è l’aggrottare per concentrarsi quando si cerca di ricordare qualcosa. Altri due usi semanticamente vicini sono gli aggrottamenti di sopracciglia che caratterizzano ciò che chiamiamo “uno sguardo serio”. Questo è usato dall’insegnante due volte quando, solo con l’espressione facciale, vieta a una bambino di parlare. Ma un’altra volta è usato semplicemente per esibire un’espressione assertiva, come di chi dice: “Sto parlando seriamente, sono sicuro di me stesso nel dire quello che dico, non sto scherzando”. Ma vediamo gli ultimi tre significati attribuiti all’aggrottamento di sopracciglia. L’insegnante, per spiegare il ciclo dell’acqua, racconta la storia di una goccia d’acqua e delle sue compagne, e nel narrare impersona a volte il narratore, a volte le goccioline stesse. Quando, in qualità di narratore, deve elencare le qualità della gocciolina protagonista, mentre

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dice “era una gocciolina allegra, spensierata, vivace...” aggrotta le sopracciglia. Qui l’aggrottamento si può a nostro avviso interpretare come un segnale metatestuale di questo tipo: “mi sto concentrando perché voglio elencare queste qualità senza soluzione di continuità, senza pause e senza cali di attenzione”. In altri 6 casi invece l’insegnante nel suo narrare impersona le goccioline stesse, e allora mima il loro aggrottamento di sopracciglia. In tre casi rappresenta iconicamente lo sguardo tipico di chi guarda lontano cercando di mettere a fuoco: infatti nella frase concomitante dice “guardava lontano”. In altri 3 punti della narrazione, l’aggrottamento dell’insegnante mima la preoccupazione delle goccioline che temono di evaporare al sole. Come si vede dalle Tabelle 2 e 3, due dei significati che avevamo ipotizzato non si ritrovano nei dati raccolti, rispettivamente, il significato di perplessit{ per l’innalzamento di sopracciglia, e quello di incomprensione (“non capisco”) per l’aggrottamento. L’assenza di questi usi nei nostri dati è però spiegabile col fatto che in essi l’insegnante è sempre il parlante, mai quello che ascolta. Il mostrare perplessità o incomprensione (o anche la disapprovazione che l’incomprensione comunica indirettamente) è tipico di chi sta ascoltando, perché questi sono segnali di back-channel, cioè informazioni di ritorno che l’interlocutore manda al parlante su quanto quel che lui dice è compreso, creduto e accettato. 4.9. Conclusione la ricerca è servita ad avanzare alcune ipotesi su quali siano i significati dell’innalzamento e dell’aggrottamento di sopracciglia, ed è stato verificato, in una ricerca sul comportamento facciale di insegnanti elementari, che i due segnali comunicano sempre, rispettivamente, una richiesta di attenzione e un’espressione di concentrazione. Ma a questo significato di base si aggiungono, in diverse classi di contesti, altri elementi semantici che vanno a costituire rispettivamente le diverse letture di quei segnali. Innalzare le sopracciglia può avere un significato avversativo, uno di sorpresa, uno di enfasi; aggrottarle mostra severità o assertività, ma anche preoccupazione, o bisogno e ricerca di conoscenze. Lo scopo della ricerca presentata è dimostrare che i segnali facciali hanno un loro preciso significato, che in base a regole sistematiche assume letture diverse nelle diverse classi di contesti. L’individuazione delle

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sistematicità nei rapporti fra segnali facciali e loro significati è un passo verso la costruzione di un “lessico della faccia”, quindi anche verso la costruzione di Facce Parlanti ed Espressive Intelligenti.

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Conclusioni Lo scopo di questa ricerca è quello di esaminare le espressioni facciali, e come oggi esse siano importanti per le nuove ricerche in ambito scientifico e tecnologico. Prima di esaminare come avviene il riconoscimento delle espressioni del volto, ho voluto prendere in considerazione una recente disciplina. Si tratta del neuro- marketing. Questa è una nuova forma di marketing che sviluppa i suoi studi registrando l’attivit{ di dodici differenti regioni del cervello e le reazioni che si innescano di fronte a speciali stimoli visivi e orali. È particolarmente utile nella comunicazione pubblicitaria poiché studia le reazioni del sub-inconscio di fronte a prodotti e inserzioni pubblicitarie. È un nuovo controverso campo del marketing che utilizza tecnologie mediche per comprendere i meccanismi della persuasione all’acquisto. Gli studi sono tutti rivolti per cercare di capire chi è il consumatore e quello che vuole e si aspetta da determinati prodotti. Successivamente ho ritenuto opportuno spiegare i meccanismi di analisi delle azioni e delle espressioni facciali. In particolare, è stato preso in esame il modello F.A.C.S. (Facial Action Coding System) di Ekman. Il funzionamento di tale modello è esplicitato anche grazie all’aiuto di immagini e grafici. È, inoltre, opportuno sottolineare che le espressioni facciali sono strettamente correlate alle emozioni di ogni individuo. Per questo motivo ho ritenuto essenziale soffermare la mia attenzione sulle emozioni, su cosa esse generano e da cosa sono, in genere, indotte. Nella parte conclusiva dello studio ho preso in esame un lavoro di ricerca riguardante una “Faccia Parlante ed Espressiva Intelligente”, in cui sono stati presi in considerazione i risultati ottenuti durante l’analisi dei movimenti di innalzamento e aggrotamento delle sopracciglia durante la lezione due insegnanti della stessa scuola elementare.

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ISBN: 978-88-98161-34-8