Riassunto Treves

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  • 8/10/2019 Riassunto Treves

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    Diritto internazionale pubblicoISOGGETTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE:LO STATO

    1.

    Lo Stato come protagonista della societ internazionale e soggetto di dirittointernazionale.

    Gli Stati sono i soggetti tipici del diritto internazionale.La formazione di uno Stato un fenomeno essenzialmente politico e pre-giuridco, che si verificaquando si afferma di fatto e stabilmente nel mondo delle relazioni internazionali unautorit politicasovrana e indipendente, entro una determinata sfera territoriale e sociale.

    2. Il concetto di Stato ai fini del diritto internazionale.Due sono le nozioni di Stato che assumono rilievo ai nostri fini. Secondo una prima accezione, lo Stato inteso come il governo, ossia il complesso delle autorit che esercitano il potere politico nell'ambito di

    ciascuna comunit.In una seconda accezione, invece, per Stato si intende la stessa comunit degli uomini, il popolo che siorganizza politicamente entro un territorio definito. Di modo che per Stato si intende la sintesi di uninsieme di elementi eterogenei, tra i quali emergono ilpopolo, il territorioe ilgoverno.Ma, ai nostri fini, assume un maggiore rilievo la prima accezione di Stato.

    3.

    Il riconoscimento e la soggettivit internazionale dello Stato.Il riconoscimento pu definirsi l'atto con cui uno Stato ammette che un determinato ente presenta lecaratteristiche necessarie perch lo si possa considerare come Stato, nel senso di soggetto del dirittointernazionale. Si ritiene poi equivalente al riconoscimento il voto a favore dell'ammissione di un nuovoStato alle Nazioni Unite.

    Tuttavia, occorre rilevare che il riconoscimento non ha natura costitutiva, e che, pertanto, da esso nondipende la qualit di soggetto internazionale. Tale idea trova innumerevoli conferme nella praticainternazionale, oltre che nella dottrina prevalente, la quale, sia pure con varie sfumature di pensiero,concorda sulla natura politica e dichiarativa del riconoscimento.

    A tale proposito, lInstitut de Droit International, nell'art. 1 della risoluzione consacrata al riconoscimentodei nuovi Stati e dei nuovi governi, afferma: Il riconoscimento di uno Stato nuovo l'atto liberoattraverso il quale uno o pi Stati costatano l'esistenza su di un determinato territorio di una societumana politicamente organizzata, indipendente da ogni altro Stato esistente, in grado di osservare leprescrizioni del diritto internazionale, e manifestano di conseguenza la loro volont di considerarlamembro della comunit internazionale. Il riconoscimento ha un effetto dichiarativo. L'esistenza delnuovo Stato, con tutti gli effetti giuridici che si ricollegano a tale esistenza, non influenzata dal rifiuto

    di uno o pi Stati di riconoscerlo.Alcuni aspetti della pratica recente, paiono in definitiva confermare il fine eminentemente politico delriconoscimento. Ci si riferisce in particolare alla dichiarazione adottata il 16 dicembre 1991 dai ministridegli esteri degli (allora) dodici Stati membri della Comunit europea. In tale dichiarazione si adottanolinee guida indicanti che, per ottenere il riconoscimento della Comunit europea e dei suoi Statimembri, uno stato candidato a tale riconoscimento deve, tra l'altro: rispettare le disposizioniconcernenti lo Stato di diritto, alla democrazia e ai diritti dell'uomo; garantire i diritti dei gruppi etnici enazionali e delle minoranze; rispettare l'inviolabilit di tutte le frontiere. All'atto pratico, dunque, ilriconoscimento proposto come premio per ottenere un certo comportamento a livello interno ointernazionale da parte del nuovo Stato.

    4.

    Segue: la soggettivit dello Stato come qualit conferita da un'apposita regolainternazionale generale.

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    Relativamente alla determinazione della fattispecie (o del presupposto di fatto) della regola generale dacui dipenderebbe l'attribuzione o il venir meno della personalit internazionale degli Stati, la dottrinache segue l'indirizzo ora in esame si attiene per lo pi alla descrizione degli elementi correntementeritenuti tipici dello Stato anche come protagonista della vita di relazione internazionale, vale a dire ilgoverno, il popolo e il territorio. Secondo il diritto internazionale, uno Stato un ente che ha un

    territorio definito e una popolazione permanente, sotto il controllo del suo proprio governo, e che siimpegna o ha la capacit di impegnarsi in relazioni formali con altri simili enti.

    5.

    Gli enti dipendenti da uno Stato.Si pone in alcuni casi il problema di uneventuale soggettivit internazionale di enti che, pur esercitandofunzioni di governo, si trovino nello stesso tempo in una posizione di subordinazione rispetto a unaltro Stato.Una tipica situazione al riguardo quella degli enti territoriali membri di un'unione federale nei rapporticon lo Stato federale. soltanto nella misura in cui gli Stati membri di uno Stato federale partecipinodirettamente, e autonomamente rispetto all'autorit federale, alla vita di relazione internazionale che diessi si potr parlare come di destinatari di regole internazionali generali aventi a oggetto le attivit

    interne ed esterne nell'esercizio delle quali la loro autorit non risulti in fatto limitata.In questo senso non possono considerarsi soggetti di diritto internazionale gli Stati membri degli StatiUniti d'America. Infatti, nel 1999, chiamata a indicare misure cautelari nei confronti degli Stati Uniticonsistenti nel fermare l'esecuzione di due cittadini tedeschi condannati a morte dalle autoritgiudiziarie dellArizona, la Corte internazionale di giustizia afferm tra l'altro: uno Stato rispondeinternazionalmente per l'azione degli organi e autorit competenti che agiscono in seno a tale stato,quali che essi siano. Pertanto il governatore dellArizona aveva l'obbligo di agire conformemente agliimpegni internazionali degli Stati Uniti.Una soggettivit internazionale, in quanto Stati, va invece attribuita ai cc.dd. micro-Stati, qualora, purnell'esiguit della loro dimensione territoriale e del numero dei loro abitanti, mantengano la loroindipendenza e non si trovino in situazioni di subordinazione formale rispetto ad alcun altro

    ordinamento statale. Va rilevato che ormai anche i pi piccoli Stati (ricordiamo in particolare a SanMarino, Monaco, il Liechtenstein) oltre ad altri sorti da fenomeni di decolonizzazione, sono divenutimembri delle Nazioni Unite.

    6. I mutamenti rivoluzionari nel governo di uno Stato.Il quadro della moderna societ internazionale stato sin dalle origini in vivace movimento per quel cheriguarda il numero e l'individualit dei protagonisti della sua vita di relazione. Le trasformazioni di cui siparla possono sollevare nella vita internazionale delicate questioni in ordine alla continuit o meno deirapporti giuridici, soprattutto dei rapporti giuridici pattizi, che legavano ad altri stati gli Stati coinvoltinelle trasformazioni stesse, anteriormente al loro prodursi.Secondo diversi studiosi, infatti, la continuit nei rapporti giuridici tra Stati dipenderebbe, in tutto un

    insieme di situazioni, dalla stessa regola generale che provvederebbe a determinare chi sono i soggetti didiritto internazionale e a quali condizioni tale qualit viene in essere o si estingue. Il dirittointernazionale generale, in altre parole, determinerebbe anche a quali condizioni un soggetto, inparticolare uno Stato, debba considerarsi giuridicamente identico a quello che era prima, nonostante glieventi interni o esterni intervenuti nel frattempo.L'enunciazione pi nota della regola in tema di continuit dei rapporti giuridici deriva da un protocollofirmato il 19 febbraio 1831 dai plenipotenziari delle maggiori potenze europee, riuniti a Londra perdiscutere della crisi del Belgio. Pur se in forma alquanto enfatica, nel protocollo si affermava chesecondo un principio d'ordine superiore, i trattati non perdono la loro forza, quali che siano imutamenti intervenuti nell'organizzazione interna dei popoli e che i mutamenti verifica tisi nellasituazione di uno Stato non l'autorizzano a ritenersi sciolto dai suoi impegni anteriori. Questamassima si ricollega al principio per cui gli Stati sopravvivono ai loro governi, e gli impegniimprescrittibili dei trattati a coloro che li hanno assunti.

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    In definitiva, dunque, nonostante alcune prese di posizione contrarie, l'esistenza di una regola generalestatuente la continuit nei rapporti giuridici internazionali, in caso di mutamenti rivoluzionariintervenuti nella struttura politico-istituzionale dello Stato, avvalorata da numerosi dati della prassi,con lavvertenza che tale regola va coordinata con altre regole generali di cui ricorra lapplicazione nelcaso concreto, ad esempio con la regola che prevede lestinzione dei trattati per effetto del mutamento

    fondamentale delle circostanze.

    7.

    I mutamenti nel territorio degli Stati.Ancora pi complessi sono i problemi in tema di continuit dei rapporti giuridici internazionali, qualoraintervengano mutamenti nel territorio degli Stati.Si ha il trasferimento di una parte del territorio di uno Stato a un altro quando il mutamentoterritoriale incide solo marginalmente nella consistenza complessiva degli Stati in questione, checonservano la loro preesistente identit, che pi estesi o, viceversa, pi ristretti territorialmente. Esempipossono essere la cessione dell'Alaska da parte della Russia agli Stati Uniti, avvenuta nel 1867 per ilcorrispettivo di $ 7.200.000.L'unificazione(o fusione) di Stati comporta l'unione di due o pi Stati preesistenti, che si estinguono,

    e la formazione di uno Stato nuovo, che spesso assume i caratteri di uno Stato federale. Un recente casodi unificazione il nuovo Stato della Repubblica Yemenita, costituitosi nel 1990 a seguito dell'unionedella Repubblica araba dello Yemen (o Yemen del Nord) e della Repubblica popolare democratica dello

    Yemen (o Yemen del Sud).L'incorporazione (o annessione) comporta l'estensione dell'autorit di uno Stato preesistente alterritorio di un altro Stato, che si estingue. I casi del passato comportarono spesso l'uso della forza esono comunemente indicati con il termine annessione. Questo fenomeno si produsse, ad esempio, nel1936 col annessione dell'Etiopia da parte dell'Italia e nel 1937 con lAnschlussdell'Austria da parte dellaGermania. Nel secolo scorso, la formazione dell'Italia probabilmente da configurarsi come annessioneda parte della Sardegna degli Stati pre-unitari esistenti nella penisola. Ma l'esempio pi recente diincorporazione stato il frutto di un'evoluzione pacifica ed rappresentato dal trattato di unificazione

    firmato a Berlino il 31 agosto 1990, ed entrato in vigore il 30 ottobre dello stesso anno dalla GermaniaDemocratica e dalla Germania Federale, a seguito del quale cinque nuovi Lander (gi costituenti laGermania Democratica) vengono ad aggiungersi agli undici Landercostituenti la Germania Federale.La dissoluzione(o smembramento) comporta l'estinzione di uno Stato preesistente e la formazione didue o pi Stati nuovi. Ne sono classici esempi le estinzioni dell'Impero Austro-Ungarico e dell'imperoOttomano a seguito del conflitto mondiale 1914-1918 e dell'estinzione del Reichgermanico nel 1945,con la successiva formazione in una parte importante del suo antico territorio di due Stati separati, laRepubblica federale di Germania e la Repubblica democratica tedesca. Un caso recente quello delladissoluzione della Cecoslovacchia avvenuta il 31 dicembre 1992, con la Cost. della Repubblica Ceca edella Repubblica Slovacca.La separazione(o secessione) comporta il distacco di una parte o di parti del territorio di uno Statopreesistente, che permane, e la formazione di uno Stato nuovo o di pi Stati nuovi. Di essa, che puavvenire con procedimenti pacifici o con procedimenti violenti, sono esempi: la secessione, nell'ultimoquarto del XVII secolo, dall'Inghilterra delle sue colonie dell'America settentrionale e la formazionedegli Stati Uniti; la secessione dell'Islanda dalla Danimarca nel 1940.I due recenti casi del venir meno dell'Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche e della Repubblicafederativa socialista di Jugoslavia alla fine del 1991 presentano caratteristiche che possono far dubitarese si tratti di casi di dissoluzione o di separazione. In entrambi i casi una pluralit di Stati esercita ormaila sovranit su quello che era il territorio di un unico Stato. In entrambi i casi, nessuno di tali Stati hamantenuto il regime politico e la denominazione dello Stato unitario preesistente. In entrambi i casi,infine, uno di tali Stati, ovvero, rispettivamente, la Federazione Russa e la Repubblica federale di

    Jugoslavia (Serbia e Montenegro), ha avanzato pretese di essere il continuatore dello Stato preesistente.Nel primo caso, nonostante che accordi del 1992 con gli altri Stati sorti sul territorio dell'Urss,affermassero che l'Urss come soggetto di diritto internazionale e come realt geopolitica non esiste

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    pi, la Federazione Russa considerata dagli altri Stati venutisi a formare sul territorio dell'ex UnioneSovietica ed anche dagli altri Stati (come sembra confermare quanto avvenuto in seno alle NazioniUnite, ove la Federazione Russa ha sostituito l'Unione Sovietica, anche nel seggio permanente inConsiglio di Sicurezza senza suscitare seria opposizione). Nel secondo caso, la pretesa di continuitrispetto alla Repubblica federativa socialista di Jugoslavia della Repubblica federativa di Jugoslavia

    (Serbia e Montenegro) ha incontrato la ferma opposizione delle altre Repubbliche sorte sul territoriodell'ex Jugoslavia e di altri Stati, e una soluzione confusa in seno alle Nazioni Unite. Dopo il mutamentopolitico seguito alla caduta del regime di Slobodan Milosevic, la stessa Repubblica federale di Jugoslavia(Serbia e Montenegro) si era allineata alla tesi dello smembramento, presentando domanda, accoltaunanimemente il 10 novembre 2000, di ammissione alle Nazioni Unite. La Jugoslavia ha confermatotale sua nuova posizione chiedendo la revisionegiustificata a suo dire per il fatto che l'ammissione alleNazioni Unite ne confermava la qualit di Stato nuovo rispetto alla Repubblica federativa socialista di

    Jugoslaviadella sentenza sulle eccezioni preliminari della Corte internazionale di giustizia dell'11 luglio1996 sul caso dell'applicazione della Convenzione sul crimine di genocidio. La Corte, con sentenza del 3 febbraio2003, respinse l'istanza di revisione, evitando per di pronunciarsi sul se la Repubblica federale di

    Jugoslavia sia o meno (al di fuori del sistema delle Nazioni Unite) uno Stato nuovo o se lo fosse tra il

    1992 e il 2000, sostenendo che in tale periodo la sua situazione giuridica rimaneva complessa.

    ISOGGETTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE:LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

    1. Organizzazione giuridica e organizzazioni istituzionale della cooperazione tra Stati.Bench gli Stati restino senza dubbio la componente essenziale della moderna societ internazionale, inessa sono presenti e operano strutture istituzionali, usualmente denominate nella pratica e nella dottrinaorganizzazioni internazionali o organizzazioni intergovernative. Mentre in passato si trattava perdi un'organizzazione prevalentemente giuridica, i fenomeni odierni concernono un'organizzazioneistituzionaledella cooperazione internazionale.Per alcuni secoli, invero, la cooperazione tra Stati fu attuata attraverso la conclusione, per il tramite dei

    normali canali diplomatici, di trattati fra Stati. Si tratt, alle origini, di accordi bilaterali, nel cui testovenivano fissati gli impegni, normalmente reciproci, che uno Stato volontariamente assumeva neiconfronti di un altro. Persino i grandi trattati di pace conclusi al termine di guerre che avevano vistoimpegnati come belligeranti una molteplicit di Stati, a cominciare dai trattati di pace di Westfalia del1648, vennero concepiti non come un unico atto internazionale, ma come un fascio di accordi bilateraliparalleli tra le diverse coppie di Stati che avevano partecipato alla guerra in campi opposti.La cooperazione intergovernativa risulta oggi perseguita in forme diverse e pi complesse. Infatti, innumerosi trattati internazionali, per lo pi multilaterali, conclusi soprattutto in questo secolo, i governicontraenti non si sono limitati ad assumere impegni relativi al proprio comportamento; ma si sonoaltres obbligati a far sorgere appositi enti (o istituzioni), destinati ad assolvere determinati compiti nelcampo della cooperazione internazionale e capaci di manifestare una propria volont e di svolgere una

    propria attivit, distinte e separate da quelle dei governi contraenti. in questi casi che si parlacorrentemente di organizzazione internazionale.

    2.

    Le prime manifestazioni di una periodica cooperazione tra Stati in materia politica: ilConcerto europeo.

    Le prime manifestazioni dei fenomeni che qui interessano si producono gi nel XIX secolo e investonoimportanti settori della cooperazione intergovernativa: da quello politico a quello economico e sociale.Una prima, ma molto embrionale, periodica cooperazione tra Stati in materia politica, che va sotto ilnome di Concerto europeo o Direttorio europeo si ebbe tra le grandi potenze europee dopo ilCongresso di Vienna del 1815. Nel determinare il riassetto politico del continente dopo il crollo delgrande disegno napoleonico, le potenze europee vincitrici si erano impegnate a concertarsiperiodicamente anche per l'avvenire in apposite conferenze, tutte le volte che gli interessi comuni loavessero richiesto. Allargatasi nel 1818 alla Francia e nel 1856 alla Sardegna, l'idea e la pratica del

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    Concerto si rivel ben pi duratura e consistente di quanto fosse la compattezza della coalizione dipotenze che aveva determinato quel riassetto.

    3. La Societ delle Nazioni.La Societ delle Nazioni fu creata nel 1919 con un accordo istitutivo (detto convenant o patto) che

    venne inserito come parte prima nel trattato di pace di Versailles e degli altri trattati di pace chechiusero il primo conflitto mondiale. Con il patto, gli Stati contraenti enunciavano gli obiettivi dipromuovere la cooperazione internazionale e di garantire la pace e la sicurezza internazionali.Dei tre organi in cui la Societ delle Nazioni appariva strutturata l'Assemblea, il Consiglio e ilSegretariatoi primi due, lungi dal potersi anche lontanamente configurare quali l'organo legislativo e,rispettivamente, l'organo esecutivo di una grande entit superstatale, non erano altro che conferenzediplomatiche, una generale e una pi ristretta. Come stato messo in evidenza, rappresentati in taliconferenze, come in ogni conferenza diplomatica, erano esclusivamente gli Stati; n deve ingannare ilfatto, per esempio, che nell'assemblea gli Stati avessero tre rappresentanti, in quanto il voto era unico,per Stato, e il punto di vista che i delegati erano chiamati a esporre non era il loro personale, e neppurequello collettivo delle popolazioni dei rispettivi paesi, ma quello ufficiale del loro governo. [] La vera

    ragione del dualismo Assemblea-Consiglio stava unicamente nella necessit di trovare un compromessonel tradizionale contrasto tra grandi e piccole potenze, tra la tendenza delle prime ad assumersi unafunzione direttiva e a riservare a s stessi l'esame e la soluzione delle maggiori questioni internazionali, ela tendenza delle seconde a partecipare su un piano di eguaglianza ai convegni e ai consessi di Stati..La periodicit delle riunioni dell'Assemblea e del Consiglio postulava naturalmente l'esistenza di unterzo organo che assicurasse la continuit del funzionamento degli altri due; e a tal fine fu istituito ilSegretariato a carattere permanente.

    4.

    Le Nazioni Unite.Quel cospicuo sforzo di organizzazione istituzionale della cooperazione tra Stati in materia politica chetrov espressione nella Societ delle Nazioni, venne progressivamente a logorarsi nel corso delle

    vicende politiche internazionali che si produssero nei venti anni intercorsi tra le due guerre mondiali efu definitivamente travolto, in linea di fatto, dallo scoppio nel settembre 1939 del nuovo conflittomondiale. Ma l'esigenza di fornire un'intelaiatura istituzionale pi stabile e pi efficiente allacooperazione tra Stati in materia politica non solo non era destinata a venire meno, ma anzi dovevarisultare ancora pi accentuata dagli eventi bellici. Proprio per soddisfare questa esigenza, il 26 giugno1945, a conclusione di una conferenza tenutasi a San Francisco, e quindi antecedentemente trattati dipace che avrebbero dovuto chiudere il secondo conflitto mondiale, gli Stati vincitori elaborarono eadottarono il testo dello statuto (detto anche Carta di San Francisco) istitutivo di una nuovaorganizzazione internazionale, a vocazione universale e finalit generali, denominata Nazioni Unite.Delle Nazioni Unite sono attualmente membri pressoch tutti gli Stati.Non si pu non riconoscere che varie affinit sussistono, per quanto riguarda sia i fini che la struttura,

    tra la Societ delle Nazioni e le Nazioni Unite. Per quanto riguarda i fini, gli Stati che dettero vita alleNazioni Unite si impegnarono a (art. 1):

    1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale [];2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio

    delleguaglianza dei diritti e dellauto-decisione dei popoli, e prendere altre misure attea rafforzare la pace universale;

    3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionalidi carattere economico, sociale culturale o umanitario, e nel promuovere e incoraggiareil rispetto dei diritti delluomo e delle libert fondamentali per tutti senza distinzioni dirazza, di sesso, di lingua o di religione;

    4. Costituire un centro per il coordinamento dellattivit delle nazioni volta alconseguimento di questi fini comuni.

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    Per quanto riguarda la struttura, le Nazioni Unite si compongono dell'Assemblea generale, della qualefanno parte, con eguale diritto di voto, tutti gli stati membri dell'organizzazione, di un organo piristretto, denominato Consiglio di sicurezza, composto di cinque membri permanenti (Cina, Francia,Regno Unito, Stati Uniti, Federazione Russa, che ha preso il posto dell'Unione Sovietica) e di diecimembri non permanenti, eletti per un periodo di due anni dall'Assemblea Generale, e del Segretariato,

    a carattere permanente, a capo del quale posto il Segretario Generale. L'art. 7 dello statuto annovera, tragli organi principali delle Nazioni Unite, anche il Consiglio economico e sociale, il Consiglio per l'amministrazionefiduciaria(la cui funzione sembra per esaurita) e la Corte internazionale di giustizia. La Corte internazionaledi giustizia costituisce il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite (art. 92).Sono peraltro rilevabili anche marcate differenze tra la Societ delle Nazioni e le Nazioni Unite, perquanto riguarda sia la ripartizione delle competenze tra i due organi dominanti, sia i sistemi di votoadottati, sia le attribuzioni del Segretariato, sensibilmente pi estese nelle Nazioni Unite.Particolarmente significativo il fatto che la carta abbia cercato di rimediare al rischio di conflitti diattribuzioni, conferendo all'Assemblea Generale la competenza di discutere qualsiasi questione oargomento che rientri nei fini della Carta (art. 10) e al Consiglio di sicurezza la responsabilitprincipale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (art. 24). Altrettanto

    significativo l'abbandono del principio dell'unanimit, poich sia l'Assemblea Generale che ilConsiglio di sicurezza decidono a maggioranza. A questo riguardo, l'interesse delle grandi potenze aevitare il rischio di trovarsi in posizione di minoranza rispetto a delibere di organi delle Nazioni Unite stato tutelato in un duplice modo. Da una parte, non previsto un valore vincolante per le deliberedell'Assemblea Generale, che pu fare raccomandazioni (art. 10) ai membri delle Nazioni Unite, alConsiglio di sicurezza o agli uni e agli altri. D'altra parte, per l'adozione delle decisioni di natura nonprocedurale del Consiglio di sicurezza, che in certi casi hanno valore vincolante, si prevede la necessitdi una maggioranza di 9 voti su 15, nella quale siano compresi i voti dei membri permanenti.Per quanto riguarda le critiche, esse riguardano in primo luogo la composizione del Consiglio disicurezza e il diritto di veto. La mutata struttura della comunit internazionale rende indubbiamenteobsoleta tale composizione. Potenze di grande peso economico e politico, come la Germania e ilGiappone, nonch importanti e popolosi Stati in via di sviluppo, come l'India e il Brasile, manifestanochiare aspirazioni a contare di pi, sostenendo l'introduzione di riforme che le vedrebbero accedere alrango di membro permanente con o senza diritto di veto. Potenze di media dimensione, e in modoparticolarmente attivo l'Italia, si oppongono, finora con successo, a queste riforme checomporterebbero l'inclusione tra i membri permanenti di un numero ristretto di Stati, tra cui esse nonfigurerebbero, e sostengono soluzioni che introdurrebbero, tra i membri permanenti e quelli nonpermanenti, una categoria intermedia di membri la cui presenza nel consiglio, bench non permanente,sarebbe frequente.Le Nazioni Unite sono l'incarnazione pi recente del sistema della cooperazione organ izzata tra Statisovrani; e un fosso assai profondo le separa ancora da quelle forme a carattere superstatuale checostituiscono l'aspirazione profonda e per ora irrealizzata di tanti che vi vedono il solo mezzo perassicurare un ordinato e pacifico sviluppo della convivenza umana.

    5. Le organizzazioni internazionali quali soggetti di diritto internazionale.La cerchia dei membri della societ internazionale costituita oggi non pi soltanto da una pluralit dicentri sovrani e indipendenti di potere politico (Stati), ma anche da una pluralit di centri indipendentidi organizzazione istituzionale della cooperazione tra Stati (organizzazioni internazionali). appena il caso di segnalare, tuttavia, che la concreta destinatariet di obblighi e i diritti soggettividiscendenti da regole di diritto internazionale appare, nel caso di un'organizzazione intergovernativa,alquanto pi limitata di quanto avviene per gli Stati. Un'organizzazione internazionale , al pari di unoStato, un soggetto di diritto internazionale, ma dotata di una capacit giuridica internazionale ristretta e

    soprattutto, a differenza di uno Stato, un soggetto di diritto internazionale privo di qualsiasi baseterritoriale.

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    In mancanza nella Carta di San Francisco di una norma esplicita che sancisca la soggettivitinternazionale delle Nazioni Unite, la pratica, in particolare attraverso la conclusione di convenzioni allequali l'Organizzazione delle Nazioni Unite parte, ha confermato questo carattere dell'Organizzazione,la quale appare, sotto certi aspetti, quale un'organizzazione che si giustappone ai suoi membri e che ha ildovere, quando se ne presenti il caso, di richiamarli all'osservanza di certi obblighi.

    Sulla base di queste considerazioni la Corte arriva alla conclusione che l'Organizzazione un soggettodi diritto internazionale. Questo non equivale a dire che l'Organizzazione sia uno Stato, il checertamente essa non , o che la sua personalit giuridica, i suoi diritti e i suoi obblighi siano gli stessi chequelli di uno Stato. Meno ancora questo equivale a dire che l'organizzazione sia un superstato, quale chesia il significato di tale espressione. [] Questo vuol dire unicamente che l'Organizzazione unsoggetto di diritto internazionale, che essa titolare di diritti e obblighi internazionali e ha la capacit difar valere i suoi diritti per mezzo di reclami internazionali.Ulteriormente, stato osservato, che leistituzioni in cui si articolano le organizzazioni internazionali operano organizzando la cooperazionetra i governi nazionali, non sovrapponendosi e imponendosi a questi, ed esse costituiscono per talmodo non tanto gli inizi di un governo internazionale, anche se il termine in molti casi conveniente,quanto piuttosto il surrogato di un tale governo.

    La qualit di soggetto di diritto internazionale delle Nazioni Unite sempre secondo il parere dellaCorteva d'altra parte affermata non solo di fronte agli Stati membri, ma anche di fronte a Stati nonmembri.

    QUESTIONI SULLA SOGGETTIVIT INTERNAZIONALE DI ALTRI ENTI

    1.

    Considerazioni introduttive.Si visto come la societ internazionale sia storicamente venuta a formazione come una societ di Stati,intesi quali centri di potere politico superiores non recognoscentes, e come essa tuttora si configuri come unasociet nella quale gli Stati sovrani svolgono il ruolo di protagonisti. Si anche visto come, in undeterminato periodo storico, accanto agli Stati e per mezzo di trattati conclusi dagli Stati, siano sorti altri

    soggetti di diritto internazionale, dotati di una propria indipendenza e denominati organizzazioniinternazionali. Ci si pu ora chiedere se esistano altri enti, diversi dagli Stati e dalle organizzazioniinternazionali, che siano dotati di una personalit giuridica internazionale.La determinazione di quali siano i destinatari degli obblighi giuridici, dei diritti soggettivi e cos pure diogni altra conseguenza giuridica (soggettiva o non soggettiva) discendente dalle regole del dirittointernazionale, presuppone la identificazione di quali siano i membri della societ nella quale il dirittointernazionale si manifesta e opera; essa si riduce sostanzialmente a una mera determinazione di qualisiano, secondo criteri di effettivit, i protagonisti della vita di relazione internazionale nella suamaterialit e concretezza storica.

    2. La Santa Sede.

    La Santa Sede (o Sede Apostolica) la suprema autorit di governo della Chiesa cattolica, e vieneconseguentemente considerata come un soggetto di diritto internazionale alla medesima stregua degliStati.La Santa Sede ha assunto il ruolo di protagonista della vita di relazione internazionale proprio nelperiodo che va dall'occupazione di Roma da parte dell'Italia (1870) allo stabilimento dello Stato dellaCitt del Vaticano in virt della conclusione del trattato del Laterano tra l'Italia la Santa Sede (1929).Con tale trattato, l'Italia riconosce la sovranit della Santa Sede nel campo internazionale comeattributo inerente alla sua natura, in conformit alla sua tradizione e alle esigenze della sua missione nelmondo (art. 2). Inoltre, l'Italia riconosce alla Santa Sede la piena propriet e la esclusiva e assolutapotest e giurisdizione sovrana sul Vaticano, com' attualmente costituito, con tutte le sue pertinenze edotazioni, creandosi per tal modo la Citt del Vaticano per gli speciali fini con le modalit di cui alpresente trattato (art. 3).

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    La Santa Sede si pone anche quale suprema autorit di governo della Chiesa cattolica, concepita comeuna vera e propria societ interindividuale, una societas perfectaallo stesso modo delle societ nazionali,dotata di un proprio ordinamento giuridico, il diritto canonico, distinto e separato dagli ordinamentinazionali.La Santa Sede e gli organi che realizzano i suoi fini godono in Italia e in altri Stati dei privilegi e delle

    immunit che spettano agli Stati esteri.

    3.

    Il Sovrano Militare Ordine di Malta.Il Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) un ordine religioso sorto nel XII sec., che esercit inpassato la sovranit territoriale su Rodi, dal 1310 al 1522, e su Malta, dal 1530 al 1798. Da oltre duesecoli esso non governa pi su alcun territorio.Il SMOM non gode di indipendenza. Una sentenza di un tribunale cardinalizio della Santa Sede del 24gennaio 1953 lo definisce come un ordine religioso, approvato dalla Santa sede. Il SMOM dipende,dunque, dalla Santa sede.Malgrado le discussioni che il problema di una sua asserita personalit internazionale ha determinato, da escludere che il SMOM sia un soggetto di diritto internazionale, vista la sua posizione di

    subordinazione rispetto alla Santa Sede. La qualit di ordine sovrano consiste nel godimento di alcuneprerogative inerenti all'ordine stesso come soggetto di diritto internazionale. Tali prerogative, che sonoproprie della sovranit e che, dietro l'esempio della Santa Sede, sono state riconosciute anche da alcuniStati, non costituiscono tuttavia nellordine quel complesso di poteri e prerogative, che proprio deglienti sovrani nel senso pieno della parola.

    4.

    I governi in esilio.I governi in esilio si trasferiscono o si costituiscono sul territorio di uno Stato amico a seguito diinvasione bellica o di conflitti interni avvenuti sul territorio che essi intendono governare. Ad esempio,durante la seconda guerra mondiale, si stabilirono a Londra i governi in esilio di Olanda, Grecia,Norvegia, Polonia, Belgio, Jugoslavia e Lussemburgo.

    In tempo di guerra, il fatto che uno Stato favorisca la formazione di governi in esilio, non costituisce unillecito internazionale, ma rientra fra le misure che uno Stato belligerante pu adottare nei confrontidell'avversario. per evidente che il governo in esilio privo di un effettivo controllo su di unterritorio e su di una popolazione ivi stanziata. Esso manca inoltre di indipendenza, rispetto allo Statosul cui territorio costituito e da cui anche dipende la continuazione delle sue funzioni, e molto siavvicina a un organo di fatto di questo Stato. La soggettivit internazionale dei governi in esilio va, indefinitiva, esclusa.

    5. Popoli, autodeterminazione, minoranze.Il concetto di popolo e il principio di autodeterminazione dei popoli, menzionati dall'art. 1, par. 2,della Carta delle Nazioni Unite, trovano svolgimento con il fenomeno della decolonizzazione,

    promosso dalle Nazioni Unite. La risoluzione dell'Assemblea Generale n. 1514(L)XV del 1960, relativaalla concessione dell'indipendenza ai popoli e ai paesi sottoposti a dominio coloniale, ribadisce il dirittoall'autodeterminazione dei popoli, come diritto di determinare liberamente la propria condizionepolitica e di perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale.In seguito, l'Assemblea Generale ha adottato nel 1970 la risoluzione n. 2625 (XXV), affermando ilprincipio che i popoli, che reagiscono e resistono a una misura di coercizione nell'esercizio del lorodiritto all'autodeterminazione, hanno il diritto di ricercare e ricevere un appoggio secondo gli scopi e iprincipi della Carta. Un ulteriore passo stato compiuto con la risoluzione dell'Assemblea Generale n.3314 (XXIX) del 1974, relativa alla definizione dell'aggressione, la quale non pregiudica il diritto deipopoli sottoposti a regimi coloniali, razzisti, o ad altre forme di dominio straniero, di lottare ai fini dellaloro autodeterminazione, libert e indipendenza. Ne consegue che l'impiego della forza e gli altri attiequiparabili non costituiscono aggressione, se esercitati dai popoli privati con la forza del dirittoall'autodeterminazione.

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    Rimane tuttavia difficile dire quali sono i soggetti che da tale regola derivano diritti e obblighi. Ladifficolt del problema sta in ci, che il concetto storico-politico di popolo (affine a quello dinazione), riconducibile a una comunanza di razza, lingua, religione o tradizioni (fattori che nonnecessariamente devono tutti concorrere) in una collettivit di individui, difficilmente formulabile intermini giuridici.

    In definitiva, dunque, la norma di diritto internazionale generale in tema di diritto diautodeterminazione dei popoli, venutasi a sviluppare, come visto, nel quadro delle Nazioni Unite, neiconfronti di popoli trovantisi in determinate situazioni, sembra doversi intendere nel senso che i popoli,lungi dal costituire un ente dotato di personalit giuridica internazionale, sono l'oggetto o, se sipreferisce, i materiali beneficiari di norme internazionali che pur sempre pongono diritti e obblighi incapo agli Stati.Il principio di autodeterminazione va, per, conciliato con quello del rispetto della integrit territorialedegli Stati. Nella risoluzione sulle relazioni amichevoli del 1970, dopo aver affermato il principiodell'autodeterminazione, si sottolinea che nulla di quanto precede deve essere interpretato nel senso diautorizzare o incoraggiare qualsiasi azione tale da smembrare o menomare, in tutto o in parte, l'integritterritoriale o la unit politica di Stati sovrani e indipendenti che si comportino conformemente al

    principio dell'eguaglianza di diritti e dell'autodeterminazione dei popoli come sopra descritto e pertantodotati di un governo che rappresenti nel suo insieme il popolo appartenente al territorio senzadistinzione di razza, credo o colore. Questi concetti frenano l'estensione della regolasull'autodeterminazione a contesti diversi da quello di popoli sottoposti a dominazione coloniale,straniera o razzista. Nel 1992, all'indomani dello smembramento dell'Unione sovietica e della Jugoslavia,l'allora segretario generale delle Nazioni Unite osservava: Se ognuno dei gruppi etnici, religiosi olinguistici dovesse pretendere la condizione di Stato, la frammentazione non avrebbe pi limiti, e lapace, la sicurezza e il progresso economico per tutti diverrebbero sempre pi difficili da assicurare. Lasovranit, l'integrit territoriale e lindipendenza degli Stati nel quadro del sistema internazionaleesistente e il principio dell'autodeterminazione dei popoli, principi tra i pi preziosi che esistano, nondovranno mai trovarsi in opposizione in futuro.La conciliazione con il principio dell'integrit territoriale viene a trovarsi nel considerare come popolosuscettibile di autodeterminazione la popolazione maggioritaria di territori che in potenza possanotrasformarsi in Stati. Ne sono pertanto esclusi i gruppi che, pur rispondendo almeno in qualche misuraalla nozione storico-politica di popolo, si trovano a essere minoritari in un determinato territorio: sitratta delle cc.dd. minoranze [un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in

    posizione non dominante, i cui membri che hanno la cittadinanza dello Stato stesso posseggano, dal punto di vistaetnico, ovvero religioso, ovvero linguistico, delle caratteristiche diverse da quelle del resto della popolazione e manifestino anche in modo implicitoun sentimento di solidariet, tendente a preservare la propria cultura, le proprie tradizioni, la

    propria religione o la propria lingua].Va tuttavia osservato che la minoranza nell'ambito di uno Stato costituito pu essere maggioranza inuna determinata regione e, in situazioni di trasformazioni politiche, affermarsi come popolo di unnuovo Stato. Quelle che si presentano come minoranze viste da lontano (guardando alla Jugoslavia) sitrasformano in popolazioni maggioritarie guardando pi da vicino (per esempio, la Croazia), ma se sideve guardare da lontano o da vicino dipende dalle preferenze politiche dell'osservatore. Il caso delleFalkland/Malvinas, in cui l'autodeterminazione della popolazione locale (che si espressa a favore delmantenimento della sottoposizione alla sovranit britannica, frutto peraltro del colonialismo) vaconciliata col principio dell'integrit territoriale del contiguo Stato argentino, chiaro esempio delledifficolt che si pongono e della larga parte che vi hanno i punti di vista politici.Per quanto riguarda pi specificamente le minoranze, gi dopo la conclusione del primo conflittomondiale, e a seguito delle modifiche territoriali intervenute con i trattati di pace, vennero conclusi varitrattati relativi al trattamento delle minoranze che si trovavano entro i confini di uno Stato determinato.

    I concetti di popolo e di minoranza stanno alla base della Convenzione per la prevenzione e larepressione del delitto di genocidio (New York, 9 dicembre 1948), che si applica agli atti commessi conl'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come

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    tale. Bench il concetto di minoranza non coincida totalmente con quello di popolo, rimane pur sempreevidente, l'intento di porre a carico di uno Stato obblighi di diritto internazionale di cui siano materialibeneficiari gli individui che appartengono a un gruppo a s stante, per caratteristiche culturali,linguistiche, razziali o religiose o, addirittura, il gruppo stesso.

    6.

    Gli insorti.Gli insorti sono un gruppo organizzato di individui che prende le armi in occasione di una guerra civileo di moti rivoluzionari interni, sulla spinta di determinati fini politici, quali la conquista del potere o lasecessione di un territorio per acquisire l'indipendenza o per unirsi a un altro Stato.Gli insorti che riescano a conquistarsi nella comunit internazionale uno spazio sufficientementeampio di relazioni paritarie con altre entit indipendenti, hanno per ci stesso personalit giuridicainternazionale e sono destinatari, quindi, del diritto internazionale generale, anzitutto quello di guerra edi neutralit, nella misura in cui a essi sia materialmente applicabile.Di soggettivit internazionale degliinsorti pu peraltro parlarsi soltanto qualora concorrano due condizioni:

    a) che gli insorti siano organizzati sotto un comando responsabile;b) che essi riescano a esercitare effettivamente un potere di governo su di un territorio.

    Va comunque tenuto presente che la soggettivit internazionale degli insorti, in quanto tale, ha naturatemporanea. La situazione, infatti, dovr necessariamente prima o poi evolvere o nello scioglimentodegli insorti, qualora la loro lotta non abbia successo, o nella trasformazione da insorti in nuovo Stato(o nell'annessione del territorio controllato dagli insorti in uno Stato preesistente), qualora gli obiettividellinsurrezione vengano conseguiti.

    7.

    I movimenti di liberazione nazionale.Il movimento di liberazione nazionale l'ente che rappresenta un popolo nell'esercizio del dirittoall'autodeterminazione. Un esempio ne l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP),considerata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite quale rappresentante del popolo palestinese,nell'esercizio del suo diritto all'autodeterminazione.

    In ogni processo di liberazione nazionale c' sempre all'origine un piccolo gruppo di uominideterminati che si organizza e che, a poco a poco, sviluppa un'attivit sui piani intellettuale, politico emilitare fino a ottenere l'indipendenza del loro paese. La durata di questo processo e i metodi daapplicare dipendono da diversi fattori, tra i quali si pu citare la politica dello Stato colonizzatore el'aiuto che il movimento di liberazione riceve dall'estero. Nel processo di liberazione si perviene a unostadio in cui le aspirazioni del movimento sono precisate e in cui esso si organizza istituzionalmente.Dopo essersi strutturato, il movimento pu cominciare ad agire ed esce dalla clandestinit. L'azione non necessariamente condotta sul piano della guerriglia, ma pu trattarsi soltanto di un'attivit politica. Mabisogna sottolineare che l'elemento decisivo del successo o dell'insuccesso di un movimento diliberazione sempre il concorso della volont popolare. [] Tali attivit hanno una portata sul pianointernazionale a partire dal momento in cui esse costituiscono nella vita istituzionale dello Stato

    territoriale un avvenimento anormale, che lo obbliga a prendere delle misure eccezionali, vale a direquando, per dominare o cercare di dominare gli avvenimenti, esso si vede costretto a ricorrere a mezziche non sono quelli che si impiegano ordinariamente per far fronte a disordini occasionali.Molto significativi appaiono, in tema di movimenti di liberazione nazionale, gli sviluppi del dirittointernazionale umanitario avutisi con i due protocolli addizionali alle convenzioni di Ginevra del 1949,aperti alla firma a Ginevra nel 1977. Nell'ambito della categoria dei conflitti interni o civili i protocollioperano una distinzione, che si basa unicamente sul fine che anima coloro che prendono le armi controil governo costituito:

    ai popoli che lottano per il fine dell'autodeterminazione contro regimi coloniali, razzisti ostranieri si applica il primo protocollo, redatto per i tradizionali conflitti armati tra Stati;

    agli insorti che lottano per altri fini si applica invece il secondo protocollo, che offre unaprotezione di diritto umanitario pi limitata.

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    L'atteggiamento che emerge dal trattamento di favore riservato ai movimenti di liberazione nazionale,rispetto agli insorti che lottano per altri fini, non trasforma di per s automaticamente tali movimenti insoggetti di diritto internazionale. Esso per indubbiamente facilitata tale effetto e, sul piano politico, lelotte che i movimenti perseguono. Questo spiega anche perch taluni Stati abbiano deciso di nonratificare il primo protocollo.

    Proprio i requisiti di un'organizzazione istituzionale e dell'esercizio effettivo di attivit aventi unaportata internazionale distinguono il movimento di liberazione nazionale, ente che diviene unprotagonista di relazioni internazionali, dal popolo, che rimane un ente sociale privo di un diretto rilievogiuridico sul piano internazionale.Infatti, la Corte di cassazione penale italiana, nel 1985, rilevava che: il d iritto internazionale riconoscecome Stati soltanto quegli enti che, in piena indipendenza, esercitano il proprio potere di governoeffettivo nei confronti di una comunit stanziata su di un territorio, onde da ritenersi principioacquisito che la sintesi statuale debba essere espressa dalla triade popolo-governo-territorio e cherichieda, quindi, necessariamente che la componente della popolazione e l'apparato di governo da essaespresso ricadano su un luogo di esercizio di tale governo dell'attivit dei soggetti.

    L'INDIVIDUO COME TITOLARE DI DIRITTI E DI OBBLIGHI:DIRITTI DELL'UOMO E CRIMINI INTERNAZIONALI

    1. L'individuo soggetto del diritto internazionale? Titolarit di diritti e di obblighi esoggettivit.

    Si discute molto in dottrina se, tra i soggetti del diritto internazionale, si debbano comprendere gliindividui. La posizione tradizionale che il diritto internazionale un diritto fatto dagli Stati e per gliStati e che pertanto gli individui ne sono non soggetti, bens oggetti. In appoggio di questa opinione sicita l'istituto della protezione diplomatica. Alla stregua di tale istituto, quando un privato subisce undanno dovuto alla violazione, da parte di uno Stato diverso da quello di cui cittadino, di una regola didiritto internazionale avente per oggetto la protezione degli stranieri, e quando tale privato abbia

    esaurito i ricorsi interni previsti nell'ordinamento dello Stato che si sostiene abbia commesso laviolazione, la pretesa del privato pu essere fatta sua dallo Stato in cui esso ha la cittadinanza. Lapretesa del privato si trasforma in una pretesa internazionale. La riparazione, se a essa si arriva, compiuta in favore dello Stato nazionale, anche se la misura del danno quella del danno subito dalprivato. Il carattere di finzione giuridica di questo istituto, tradito dall'incrociarsi in esso di aspetti cheriguardano l'individuo (il previo esaurimento dei ricorsi interni, il danno) e aspetti che coinvolgono loStato, pu vedersi come indicare che gli Stati considerano gli individui non come soggetti ma oggetti neldiritto internazionale.

    2. I diritti della persona umana.Come ha affermato in una risoluzione del 1989 lInstitut de droit International: I diritti dell'uomo sono

    l'espressione diretta della dignit della persona umana. L'obbligo per gli Stati di assicurarne il rispettoderiva dallo stesso riconoscimento di tale dignit proclamata gi dalla Carta delle Nazioni Unite e dallaDichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Quest'obbligo internazionale un obbligo erga omnes; esso

    vale per ogni Stato rispetto alla comunit internazionale nel suo insieme, e ogni Stato ha un interessegiuridico alla protezione dei diritti dell'uomo.Rilievo fondamentale assume il fatto che il promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo edelle libert fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua, o di religione indicato all'art. 1, par. 3, della Carta delle Nazioni Unite come uno dei fini dell'organizzazione.Notevole rilevanza hanno in questo campo le norme scritte di carattere non vincolante (soft law). La piimportante la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata con risoluzione nel 1948dall'Assemblea Generale. In essa pu vedersi un punto di partenza e ancor oggi un punto di riferimentoessenziale in materia di diritti umani. Da essa prendono le mosse le norme pattizie sviluppatesinell'ultimo cinquantennio, nonch le norme consuetudinarie.

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    A proposito di queste ultime, difficile sostenere che la Dichiarazione nel suo insieme sia oggi dirittoordinario, come pure stato detto. Occorre esaminare la pratica degli Stati per verificare il carattereconsuetudinario delle regole contenute in ciascuna disposizione e in generale per determinare l'esistenzae il contenuto di specifiche norme consuetudinarie in materia di diritti umani.Non qui possibile affrontare neppure sommariamente la su indicata indagine caso per caso. Essa

    resa particolarmente complessa dalla difficolt di determinare quali elementi della pratica siano rilevanti.In materia di diritti umani pare di particolare rilievo la considerazione che l'esistenza di una prassi,anche estesa, contraria al precetto normativo, non impedisce di per s la formazione o la persistente

    validit di una norma consuetudinaria. Infatti, come efficacemente espresso da una Corte internaamericana in relazione al divieto di tortura, nessuno Stato ha mai rivendicato il diritto a torturare ipropri cittadini. Di fronte a credibili accuse di tortura, uno Stato solito rispondere negandonel'esistenza o meno frequentemente, affermando che la condotta non era autorizzata, ovvero che essacostituiva un trattamento duro, ma non qualificabile quale tortura.Come accennato, la Dichiarazione universale e l'azione delle Nazioni Unite sono state anche il punto dipartenza per lo sviluppo di norme pattizie per la protezione dei diritti umani. Dal susseguirsi di talinorme, si pu rilevare come accanto ai diritti c ivili e politici emergano diritti detti di seconda

    generazione, i diritti economici e sociali, tra cui il diritto al lavoro, alla salute, all'istruzione, checomportano soprattutto obblighi di agire (o di fare il possibile) da parte degli Stati e il cui adempimento indubbiamente di pi difficile verifica. A essi seguita una terza generazione di diritti, di cui non facile identificare con chiarezza il titolare degli obblighi corrispondenti, che sono i diritti di solidariet dicarattere collettivo, quali il diritto all'autodeterminazione, il diritto allo sviluppo, il diritto a un ambientesano.

    Tra gli strumenti pattizi di carattere generale di portata universale, hanno particolare importanza i Pattidelle Nazioni Unite, relativi rispettivamente ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali eculturali, adottati a New York il 16 dicembre 1966. L'alto numero degli Stati che sono oggi parte deiPatti, pur essendo giustificato lo scetticismo sull'effettivo impegno di tutti nell'adempimento degliobblighi previsti, sembra incoraggiare la presunzione che, salvo prova contraria, da fornirsi in base apersuasive indicazione della prassi, i diritti in essi previsti siano avviati a divenire parte del dirittoconsuetudinario. Ci sembra valere in particolare per il nucleo duro comprendente i diritti che,seguendo il precedente della Convenzione europea del 1950, il Patto dei diritti civili e politici prevedenon possano essere sospesi neppure in caso di pericolo pubblico eccezionale: il diritto alla vita, il dirittoa non essere sottoposto a tortura o a trattamenti crudeli e degradanti, il diritto a non essere tenuto instato di schiavit, il diritto a non essere imprigionato per inadempimento di obbligazioni contrattuali, ildiritto a non essere condannato in base a norme retroattive, il diritto al riconoscimento della personalitgiuridica, il diritto alla libert di pensiero, di coscienza e di religione.Sul piano pi strettamente giuridico, la Convenzione europea ha avuto un triplice merito essenziale. Inprimo luogo, pochi anni dopo la Dichiarazione universale del 1948, essa ha trasformato, con modifichee approfondimenti, i diritti in questa previsti nell'oggetto di obblighi internazionale per gli Staticontraenti, obblighi che sono stati (con modalit variabili da Stato parte a Stato parte) a loro voltatrasposti negli ordinamenti interni. In secondo luogo, come gi accennato, essa ha aperto la strada allaformazione dei Patti delle Nazioni Unite. In terzo luogo, essa introdotto dei meccanismi aventi aoggetto il controllo della messa in opera dei diritti da parte degli Stati contraenti ivi compresal'istituzione di una corte europea dei diritti dell'uomo, cui ora possono rivolgersi direttamente i privati.

    3. I diritti procedurali dell'individuo nei meccanismi internazionali per l'applicazionedelle norme sui diritti umani.

    L'azione organizzata delle Nazioni Unite ha messo a punto meccanismi miranti a mettere in luceinadempienze degli Stati ai loro obblighi in materia di tutela dei diritti umani ed anche a imporre loro

    varie forme di riparazione a vantaggio degli individui.Questi meccanismi si riferiscono tutti all'asserito inadempimento di obblighi previsti da normeinternazionali, consuetudinarie o pattizie. Esse non prescindono per dalla tutela che i diritti previsti da

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    quelle norme possano ricevere nell'ambito dei diritti interni. Il requisito del necessario esaurimento deiricorsi interni per poter mettere efficacemente in moto i meccanismi internazionali previsto comecondizione per l'utilizzazione di questi, chiara indicazione della ora indicata connessione.La funzione dei meccanismi in esame di prevedere una tutela supplementare, mirante a colmare lelacune dei sistemi di diritto interno e soprattutto a reagire alle inadempienze che possano essersi

    verificate nonostante la presenza di norme e procedimenti di tutela nel diritto interno. Ruoloimportantissimo hanno queste norme nei momenti di involuzione politica, in cui l'avvento di regimiliberticidi pu essere contrastato a livello internazionale ricorrendo ai suddetti meccanismi.Nell'ambito degli organi delle Nazioni Unite, sono stati creati due procedimenti (il primo pubblico,l'altro confidenziale) che possono trarre origine da petizioni individuali.

    A. La petizione un puro meccanismo di iniziativa, perch gli individui non partecipano aiprocedimenti e perch oggetto di questi non una protezione individualizzata. Il risultato finalesono raccomandazioni.

    B. Rilievo maggiore, anche se sempre a livello di iniziativa, hanno comunicazioni individuali alComitato dei diritti dell'uomo, istituito nel quadro del Patto per i diritti civili e politici. Ci siriferisce peraltro a un procedimento che non tutti gli Stati parte al Patto hanno accettato. Alla

    stregua del protocollo ogni individuo che si ritenga vittima della violazione di uno dei dirittienunciati dal Patto pu presentare una comunicazione al comitato. Questo la esamina tenendoconto delle comunicazioni scritte dello Stato che si pretende abbia commesso la violazione edanche dell'individuo interessato. Si va pertanto verso una protezione individualizzata attraversoun meccanismo, nel quale si instaura una sorta di contraddittorio scritto, che non sembraazzardato definire quasi-giudiziale. Alla conclusione il Comitato adotta considerazioni (views),che vengono trasmessi allo Stato interessato e all'individuo e che contengono spesso anchel'indicazione degli obblighi che incombono allo Stato a seguito di quanto accertato dalComitato. difficile che Stati che tengono alle reazioni dell'opinione pubblica e degli altri Statipossano decidere alla leggera di non seguire le indicazioni (pur non vincolanti) del Comitato.

    C. Ancor pi penetrante il ruolo riservato agli individui dalla Convenzione europea dei dirittidell'uomo del 1950. Ricorsi individuali possono infatti essere presentati alla Corte europea deidiritti dell'uomo, composta attualmente di 44 giudici, uno per ogni Stato membro del consigliod'Europa. L'art. 34 prevede infatti: La Corte pu essere investita di un ricorso da parte di unapersona fisica, un'organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d'essere

    vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nellaConvenzione o nei suoi protocolli. Il ricorso, che avvia un procedimento caratterizzato daiprincipi della pubblicit e del contraddittorio sia scritto che orale, cui l'individuo ricorrentepartecipa a pieno titolo, mira a ottenere dalla Corte la dichiarazione dell'avvenuta violazione daparte dello Stato e una condanna di tale Stato a rimuovere le conseguenze di tale violazione.Ove tale rimozione non sia possibile o lo sia solo in modo imperfetto alla stregua del dirittointerno dello Stato condannato, possibile la condanna a prestare un'equa soddisfazione (art.41) che in generale di carattere pecuniario. Le sentenze sono vincolanti.Il sistema risultante dalla Convenzione diviene cos il primo nel quale gli individui godono sulpiano internazionale di un vero e proprio diritto d'azione a tutela dei diritti e delle libert deiquali sono diretti destinatari in virt della Convenzione.

    4. L'individuo come titolare di obblighi: i crimini internazionali dell'individuo.Anche in questo caso l'obiettivo sempre quello di garantire un doppio livello di protezione, in quantocerti comportamenti individuali rimangono vietati dal diritto internazionale anche qualora essi nonricevano una sanzione sulla base di un diritto nazionale.

    Tali comportamenti possono qualificarsi come crimini internazionali dell'individuo.

    L'elemento pi innovativo di tale nozione si ha nel caso in cui l'individuo di cui trattasi si trovi in unaposizione di autorit nell'apparato di uno Stato: in tale caso, infatti, solo la qualifica di crimine

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    internazionale individuale consente di far valere la responsabilit personale dell'individuo, che siaggiunge alla responsabilit internazionale dello Stato di cui l'individuo organo.Se queste nozioni vengono accettate, evidente che il punto cruciale per la loro pratica applicazione dato dalla soluzione del problema del tribunale competente a giudicare i crimini internazionali degliindividui. Le soluzioni prospettate sono varie: si va dalla creazione dei tribunali internazionali, alla

    previsione della competenza universale dei giudici di tutti gli Stati, a una combinazione dei dueprincipi.Un impulso fondamentale all'affermazione nel diritto internazionale della nozione di criminiinternazionali dell'individuo deriva dall'accordo (Londra, 8 agosto 1945) a Francia, Regno Unito, StatiUniti e Unione Sovietica per il giudizio e la punizione dei principali criminali di guerra dell'asse europeo,cui ha fatto seguito la sentenza resa a Norimberga il 30 settembre 1946 dal Tribunale militareinternazionale, costituito con l'accordo. Al Tribunale di Norimberga era conferito il potere di giudicaree condannare le persone che, agendo nell'interesse dei paesi dell'asse europeo, avessero compiuto attiche rientravano nelle tre categorie di crimini definite nell'art. 6 della Carta del Tribunale: i criminicontro la pace, i crimini di guerra e i crimini contro l'umanit. Il fatto che gli imputati avessero agitosulla base di un ordine del loro governo o di un loro superiore non li esonerava dalla responsabilit, ma

    poteva essere dal tribunale considerato come un'attenuante della pena (art. 8). Il Tribunale, con lasentenza motivata e definitiva, poteva infliggere ai responsabili la morte o ogni altra pena che essostabilisse giusta (art. 27).Proprio sul piano del contributo allo sviluppo del diritto internazionale consuetudinario vaprobabilmente inteso il superamento delle obiezioni, proposte dagli imputati, che il dirittointernazionale riguarda le azioni degli Stati sovrani e non dispone alcuna pena per gli individui; e inoltreche, quando l'atto in questione un atto dello Stato, coloro che lo compiano non sono personalmenteresponsabili, ma sono protetti dalla dottrina della sovranit dello Stato. Il Tribunale di Norimbergaritenne invece che: i crimini contro il diritto internazionale sono commessi da uomini, e non da entitastratte, e le norme di diritto internazionale possono venire applicate soltanto punendo gli individui checommettono tali crimini; l'essenza stessa della Carta che gli individui hanno obblighi internazionaliche trascendono gli obblighi nazionali di obbedienza imposti dal singolo Stato. Chi viola le leggi diguerra non pu ottenere immunit perch abbia agito sulla base dell'autorit dello Stato, se lo Stato cheautorizza l'atto va oltre la sua competenza secondo il diritto internazionale.

    5. L'istituzione di giurisdizioni penali internazionali e le sue conseguenze.Se si fa eccezione per la convenzione del 1948 sul genocidio, dopo le sentenze di Norimberga e di

    Tokio, la materia dei crimini internazionali dell'individuo rimase, per oltre quarant'anni, in unasituazione di stallo, o di lento progresso. Nell'ultima decade del XX secolo, viceversa, si assistito aun'avanzata precipitosa che ha avuto il suo punto di partenza nell'istituzione di tribunali penaliinternazionali. Fu cos che furono istituiti, nel 1993, il Tribunale penale internazionale per i criminicommessi nella ex-Jugoslavia e, nel 1994, il Tribunale internazionale per il Ruanda e che, nel 1998, fuadottato lo Statuto della Corte penale internazionale, poi costituita nel 2003.L'indubbio progresso che, sia pure con limiti, segna l'istituzione degli organi giudiziari penaliinternazionali va in una triplice direzione. Esso non si limita infatti alla messa in opera di istanzegiudiziarie internazionali di fronte a cui gli individui accusati di crimini internazionali potranno essereprocessati. Esso si manifesta anche in ci che la presenza di giurisdizioni penali internazionali non senza influenza sugli Stati che sono stimolati, quasi sfidati, a reprimere con il loro diritto penale e i loromeccanismi giudiziari i crimini internazionali. Infine, i documenti che disciplinano i tribunali ad hoce laCorte penale internazionale, nonch la prassi dei primi (la Corte non ha ancora una giurisprudenza)hanno dato un contributo fondamentale alla definizione dei crimini internazionali dell'individuo e delloro ambito di applicazione.

    Relativamente alla disciplina dell'ambito di giurisdizione della Corte penale internazionale, lagiurisdizione della Corte pu esercitarsi qualora il crimine di cui si tratti sia stato commesso sulterritorio di uno Stato parte o da un cittadino di uno Stato parte (art. 13). Ne segue che i crimini

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    commessi sul territorio di uno Stato parte dal cittadino di uno Stato non parte rientrano nellagiurisdizione della Corte. Questa previsione ha sollevato preoccupazione da parte degli Stati contrariall'istituzione della Corte e in particolare degli Stati Uniti. Per altro verso, gli Stati Uniti, hanno inoltrestipulato con un'ottantina di Stati (ma incontrando l'opposizione, o almeno la resistenza, di molti altri,tra cui quelli dell'Unione europea) accordi bilaterali per escludere il deferimento alla Corte di militari

    degli Stati Uniti accusati di crimini commessi nel territorio di uno Stato parte. Come emerge, la stradaper leffettivo funzionamento della Corte irta di ostacoli.

    6. Le varie categorie di crimini internazionali dell'individuo e il diritto internazionalepenale.

    Le norme internazionali che prevedono i crimini individuali sono il risultato di una complessaevoluzione consuetudinaria e pattizia, alimentata e precisata dalla giurisprudenza dei tribunali nazionalie internazionali. Significativo punto di partenza lo Statuto della Corte penale internazionale, nel qualeconfluiscono, con qualche arretramento e con qualche progresso, i precedenti dei Tribunaliinternazionali di Norimberga e di Tokio e dei Tribunali ad hoc.L'art. 5 dello Statuto, dopo aver affermato che la giurisdizione della Corte limitata ai pi seri crimini

    che preoccupano la comunit internazionale nel suo insieme afferma che tale giurisdizione riguarda:a) il crimine di genocidio;b) i crimini contro l'umanit;c) i crimini di guerra;d) il crimine di aggressione.

    Va detto subito che il secondo par. dell'art. 5 rinvia il possibile esercizio della giurisdizionerelativamente all'aggressione al momento in cui le parti contraenti ne avranno dato una definizione eavranno precisato le condizioni di esercizio della giurisdizione in materia. I lavori sono in corso ma nonsembrano avviati a pronta e positiva soluzione. Questa eccezione che riguarda il principale tra quelli chela Carta di Norimberga definiva crimini contro la pace dovuta alla difficolt politica di definire conprecisione una nozione che ha una rilevanza chiave nell'interpretazione dell'art. 51 della Carta delle

    Nazioni Unite. Non si pu non ricordare peraltro quanto ebbe a dire il Tribunale di Norimberga: Laguerra essenzialmente un male. Le sue conseguenze non sono confinate ai suoi Stati belligeranti, mariguardano il mondo intero. Iniziare una guerra di aggressione, pertanto, non soltanto un crimineinternazionale; il supremo crimine internazionale, che si distingue dagli altri crimini di guerra solo peril fatto che contiene in s la somma dei mali di tutti gli altri.Di ciascuna delle altre categorie di crimini, lo statuto d analitiche definizioni nei successivi artt. 6,7 e 8,che vanno completate alla luce degli elementi dei crimini.Per quanto riguarda il genocidio, l'art. 6 lo definisce come ciascuno degli atti seguenti, commessi conl'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso cometale:

    a. uccisione di membri del gruppo;b.

    lesioni gravi all'integrit fisica o mentale di membri del gruppo;c. sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di esistenza che comportano la sua

    distruzione fisica, totale o parziale;d. misure miranti a impedire le nascite all'interno del gruppo;e. trasferimento forzato di bambini da un gruppo all'altro.

    Le norme che prevedono i crimini contro l'umanitsono ispirate ai medesimi valori che ispirano i dirittidell'uomo. Questi crimini infatti sono gravi attentati alla vita e alla dignit umana caratterizzati dal lorocarattere diffuso o sistematico. Ne possono essere vittime anche persone che appartengono allo stessopaese cui appartengono i responsabili e possono essere perpetrati in pace o in guerra. All'art. 7, par. 1,lo statuto della Corte penale internazionale, elenca le seguenti undici categor ie di crimini contro

    l'umanit, che devono essere commessi come parte di un attacco diffuso e sistematico controqualsiasi popolazione civile, con conoscenza dell'attacco: omicidio;

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    [16]

    sterminio; riduzione in schiavit; deportazione o trasferimento forzato di popolazione; incarcerazione o altra grave violazione della libert personale in violazione di regole

    fondamentali di diritto internazionale;

    tortura;

    stupro; schiavit sessuale; prostituzione forzata; gravidanza forzata; sterilizzazione forzata o ogni altra forma di violenza sessuale di gravit comparabile; persecuzione contro un gruppo o collettivit identificabile per motivi politici, razziali, nazionali,

    etnici, culturali, religiosi, di genere o per altri motivi universalmente riconosciuti comeinammissibili secondo il diritto internazionale;

    lapartheid; e altri atti inumani di carattere simile che diano luogo intenzionalmente grande sofferenza, o

    gravi danni al corpo o alla salute fisica e mentale.Il par. 2 dell'art. 9 contiene ulteriori chiarimenti relativi a nozioni utilizzate nel definire i crimini control'umanit nel precedente par.. Se a questi si aggiungono i rilevanti elementi dei crimini si hal'impressione che l'intento degli Stati parte sia stato quello di imbrigliare la Corte restringendo lepossibilit di seguire l'esempio dei Tribunali ad hocla cui giurisprudenza ha dato contributi rilevanti alladefinizione dei crimini contro l'umanit.I crimini di guerra sono le violazioni gravi delle norme sul c.d. ius in bello previste dal dirittoconsuetudinario e da specifiche convenzioni (in particolare quelle di Ginevra del 1949 e i Protocolliaddizionali del 1977). Essi possono riguardare il trattamento delle cc.dd. persone protette (feriti, civili,

    prigionieri di guerra) o specialmente protette (personale medico, la Croce Rossa, ecc.), l'uso di metodi emezzi di guerra proibiti. L'art. 8 dello statuto della Corte penale internazionale (par. 2 lett. a) ne daun'analitica elencazione. Va peraltro sottolineato che la nozione di crimine di guerra anche applicabileai crimini commessi in conflitti armati interni e non solo in quelli internazionali.L'istituzione di giurisdizioni penali internazionali ha portato, di necessit, al formarsi di normeinternazionali relative alla parte generale del diritto penale. Prendendo ancora come guida lo statutodella Corte penale internazionale (la cui parte terza intitolata Principi generali di diritto penale), diparticolare rilievo sono i principi seguenti. In primo luogo, i principi nullum crimen e nulla poena sine legecompletati dalla irretroattivit delle norme incriminatrici (artt. 22, 23 e 24). Mentre il principio di legalitdella prima norma mira a superare le obiezioni che erano state sollevate rispetto alla Carta diNorimberga, e che la sentenza di Norimberga aveva superato affermando il carattere consuetudinario

    delle norme che prevedevano i crimini internazionali, quello di irretroattivit mira a evitarel'applicazione dello statuto a situazioni precedenti alla sua entrata in vigore. In secondo luogo, ilprincipio della responsabilit penale individuale, completato da una serie di norme in tema dicomplicit, di istigazione, di tentativo (art. 25) e di elemento soggettivo del reato (intent and knowledge,dell'art. 30). In terzo luogo, vanno ricordate le norme che escludono qualsiasi esenzione o immunitdovute alla qualit ufficiale della persona incolpata (art. 27) e disciplinano le condizioni in presenza dellequali sussiste la responsabilit dei superiori per gli atti dei subordinati (art. 28). Viceversa, l'ordine delsuperiore pu essere una scusante ma solo in limitati casi di crimini di guerra e mai per il genocidio o ilcrimine contro l'umanit (art. 33).

    CARATTERI DINSIEME DELLE REGOLE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

    1. Diritto internazionale generale, diritto internazionale particolare e altre fonti di dirittointernazionale.

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    Linsieme di regole di condotta denominato diritto internazionale si compone, precipuamente, di duedistinte categorie di regole:

    da una parte, le regole del diritto internazionale generale o comune o consuetudinario o nonscritto, chiamate talvolta anche regole del diritto internazionale spontaneo o della coscienzaovvero regole generalmente riconosciute o generalmente accettate dai membri della societ

    internazionale; dall'altra, le regole del diritto internazionale particolare o convenzionale o pattizio, chiamate

    anche talvolta regole del diritto internazionale positivo o della volont.La distinzione tra diritto internazionale particolare e diritto internazionale generale emerge dall'art. 38,par. 1, dello statuto della Corte internazionale di giustizia, secondo il quale la Corte, la cui funzione didecidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte, applica:

    a) le convenzioni internazionali, sia generali che particolari, che stabiliscono norme espressamentericonosciute dagli Stati in lite;

    b) la consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come diritto;c) i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;d) le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori pi qualificati delle varie nazioni come mezzi

    sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche.

    2. Natura e origine della consuetudine.Proprio per il fatto di non essere posta per iscritto da un legislatore secondo procedure rigidamentepredeterminate, la regola consuetudinaria presenta caratteri di spontaneit, di informalit e di flessibilitche ne rendono difficile un inquadramento sul piano teorico.L'orientamento seguito nella presente opera ritiene che, per l'esistenza di regole generali del dirittointernazionale, sia giuridicamente irrilevante il modo della loro formazione. Secondo questoorientamento, l'esistenza di tali regole non deriva dal fatto che esse siano state poste in essere in unmodo predeterminato, riconosciuto come idoneo alla produzione giuridica da una norma, esplicita oimplicita, del diritto internazionale; bens puramente e semplicemente dal fatto che tali regole si possanoconstatare presenti ai membri della societ internazionale e operanti nella loro vita di relazione, qualiregole di osservanza obbligatoria.L'elemento empirico che caratterizza la consuetudine di solito reso in termini giuridici spiegando che,per l'esistenza di una consuetudine, occorre la presenza concomitante di due elementi: un elementooggettivo o materiale, dato dalla ripetizione costante nel tempo di una serie di comportamenti, e unelemento soggettivo o psicologico, dato dal convincimento che i comportamenti in questione sonodoverosi e prescritti da una regola giuridica (opinio juris sive necessitatis).

    3. Il fattore tempo nella formazione della consuetudine.L'irrilevanza dei processi che portano alla formazione o al venir meno di regole del dirittointernazionale generale si manifesta anche sotto l'aspetto dell'irrilevanza del fattore temporale (il time

    factoro time elementedegli anglosassoni) ai fini dell'esistenza delle regole in questione.Con ci non si vuole affermare che il passaggio di un tempo sia pur breve non sia in praticaindispensabile per l'affermarsi di una regola consuetudinaria. Si vuole solo sottolineare che, soprattuttodi recente, non poche regole internazionali generali sono venute a esistenza nell'arco di pochi anni.Cos dicasi, ad esempio, per la regola generale che dispone l'irradiazione della sovranit territoriale delloStato sullo spazio atmosferico sovrastante il suo territorio. Cos pure dicasi per la regola generalerelativa all'irradiazione della sovranit territoriale dello Stato marittimo sulla cosiddetta piattaformacontinentale. Cos ancora dicasi per la regola generale relativa alla libert di utilizzazione degli spaziextra-atmosferici.

    4.

    La prova della consuetudine.Non sembra che possa parlarsi di un vero e proprio onere della provadel contenuto e dell'esistenza delleregole generali del diritto internazionale, a carico dello Stato che le invoca nei confronti di un altro.

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    Lo Stato che invoca l'esistenza di una regola generale di diritto internazionale si preoccuper di darne laprova con tanta maggiore ampiezza e accuratezza, quanto pi forte e decisa risulti la resistenza dell'altroStato ad ammetterne l'esistenza. Il maggior numero di controversie internazionali in cui sono state fatte

    valere pretese fondate su regole generali del diritto internazionale verte, peraltro, non tantosull'esistenza di tali regole, quanto sul pi preciso contenuto delle stesse.

    L'odierna divisione della societ internazionale, sia sotto il profilo dell'organizzazione interna,economica, sociale e politica, dei suoi protagonisti, sia sotto quello del loro sviluppo economico etecnologico, nonch la sua espansione in conseguenza della decolonizzazione, rendono probabilmentepi acuto il delicato problema della rilevazione delle regole internazionali generali.Una regola consuetudinaria potr pertanto dirsi universalmente riconosciuta soltanto se essa risultiseguita non soltanto da un adeguato numero di Stati, ma anche dai principali gruppi di Stati interessatialla regola stessa.

    5. Gli interventi volontari nella formazione ed evoluzione delle regole consuetudinarie.Anche se la configurazione delle norme consuetudinarie internazionali come norme spontanee,continua, a nostro avviso, a essere la pi soddisfacente, occorre precisare che nella pratica

    contemporanea divengono sempre pi frequenti i comportamenti e le manifestazioni di opinione permezzo dei quali gli Stati si propongono di influire sul processo di formazione o di evoluzione del dirittointernazionale consuetudinario.

    Tali interventi possono assumere le forme pi varie, da comportamenti materiali (come, ad esempio, ilpassaggio di flotte in certe zone marittime), alla emanazione di leggi e altri provvedimenti interni, adichiarazioni, obiezioni, e via dicendo. Una manifestazione molto chiara dell'atteggiamento in questione data da una dichiarazione del 1970 del primo ministro canadese, Trudeau. La dichiarazione intendevagiustificare la legge, adottata quell'anno, con la quale il Canada in contrasto con il dirittoconsuetudinario allora vigente, che limitava a 12 miglia la sovranit dello Stato sul mare adiacente estendeva a 100 miglia dalla costa l'ambito di applicazione spaziale delle norme canadesi relative allaprevenzione dell'inquinamento marino nella regione artica: Dove non vi diritto o dove il diritto

    chiaramente insufficientee non c' alcun diritto internazionale comune applicabile ai mari articinoidiciamo che qualcuno deve preservare quest'area per l'umanit, finch il diritto internazionale non sisviluppi. E noi siamo pronti a facilitarne lo sviluppo prendendo misure da parte nostra.In tali interventi e nelle reazioni che essi suscitano e da vedere non tanto mutamento qualitativo deimodi di formazione del diritto consuetudinario; quanto piuttosto un arricchimento della serie dimanifestazioni della pratica di cui ci si pu servire per ricostruire il contenuto delle normeconsuetudinarie.

    6. Lo Stato obiettore persistente.Tra gli interventi volontari nel processo di formazione delle norme consuetudinarie internazionali,esaminati nel par. precedente, ne stato da tempo identificato uno con il quale uno Stato, pur non

    intendendo ostacolare il sorgere di una norma consuetudinaria in formazione, persegue lo scopo disottrarre s stesso all'ambito di applicazione di tale norma.Si sostiene, infatti, che se una regola consuetudinaria nel corso della sua fase formativa viene fattaoggetto di obiezioni in modo persistente e inequivoco da parte di un determinato Stato (detto Statoobiettore persistente o Stato recalcitrante), la regola stessa, una volta affermata, non pu essere fatta

    valere nei confronti dello Stato in questione.La spiegazione del fenomeno, pi che in una concezione consensualistica della consuetudine, parrebberisiedere in una situazione di temporanea e limitata frantumazione della societ internazionale, dovutaalle tensioni cui danno luogo le rapide trasformazioni della sua composizione e delle concezioni in essaprevalenti.

    7.

    Le consuetudini locali o particolari.

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    Alcune manifestazioni importanti della giurisprudenza internazionale sembrano deporre per l'esistenzanon solo di regole generali, ma anche di regole particolari aventi una natura consuetudinaria. Si trattadelle regole la cui esistenza sarebbe provata, secondo la formulazione dell'art. 38, par. 1b, dello statutodella Corte internazionale di giustizia, da una pratica generale accettata come diritto non dai membridella societ internazionale nel loro insieme, bens da un gruppo limitato e determinato di Stati o al

    limite da due Stati soltanto. Si parla a questo proposito di consuetudine locale o particolare o regionale, incontrapposizione alla consuetudine universale o generale.Prendendo posizione sul punto, la Corte ha osservato che: La parte che invoca una consuetudine diquesta natura deve provare che tale consuetudine si stabilita in modo tale da divenire obbligatoria perl'altra parte. Alla luce di ci, e a differenza di quel che si detto avvenire per le regole generali, sullaparte che invoca una regola consuetudinaria particolare sembrerebbe incombere l'onere di fornire laprova della sua esistenza nei confronti dello Stato che tale esistenza contesti.

    8. I rapporti tra regole consuetudinarie e regole pattizie.Il fatto che i trattati internazionali siano posti in essere mediante un procedimento previsto da normeconsuetudinarie e che pertanto, sotto un profilo meramente logico, il diritto consuetudinario rivesta una

    posizione prioritaria rispetto a quello pattizio, non significa che una corrispondente posizionesovraordinata del diritto consuetudinario esista anche sotto il profilo dell'efficacia normativa per isoggetti. anzi vero il contrario. Le norme pattizie (ben s'intende, tra le parti del trattato che le hannoposte in essere) hanno in linea di principio un'efficacia normativa del tutto equivalentee autonomarispettoalle regole di diritto non scritto o consuetudinario: dunque chiaro che le regole del dirittointernazionale consuetudinario conservano un'esistenza e un'applicabilit autonoma rispetto a quelle deldiritto internazionale convenzionale, anche quando le due categorie di diritto hanno un contenutoidentico.Soltanto in tempi recenti, con la convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, ha cominciato aprendere terreno l'idea che, in casi determinati e limitati, una ristretta categoria di normeconsuetudinarie, caratterizzate da loro contenuto imperativo (ius cogens), abbia efficacia normativa

    prevalente su norme pattizie, cos da rendere nullo un trattato che sia in conflitto con tali regoleimperative del diritto internazionale generale.

    Anche a prescindere dai casi eccezionali in cui venga ipotizzata l'esistenza di una norma generalecogente, l'indagine sui criteri che si possono invocare nei casi di conflitto fra regole consuetudinarie eregole pattizie presenta carattere di notevole delicatezza. Non ci si pu rifare al solo criterio per cui lanorma successiva deroga a quella preesistente, ma occorre anche tener presente il criterio per cui lanorma speciale deroga alla generale. Anzi, a quest'ultimo criterio oggi ci si rif nella maggioranza deicasi, posto che al carattere generale delle regole di diritto consuetudinario si contrappone quelloparticolaree in questo caso specialedelle norme pattizie.Nella sentenza parziale resa il 14 luglio 1987 nella controversia tra Stati Uniti e gli Iran, il Tribunale deireclami Iran-Stati Uniti fece il seguente rilievo: Come lex specialis nelle relazioni tra i due paesi, iltrattato prevale sulla lex generalis, ovvero sul diritto internazionale consuetudinario. Questo non significa,tuttavia, che il secondo sia irrilevante nel caso specifico. Al contrario, le regole di dirittoconsuetudinario possono essere utili al fine di colmare possibili lacune del trattato, per determinare ilsignificato di termini non definiti nel suo testo o, pi in generale, per contribuire all'interpretazione eall'applicazione delle sue disposizioni.Se il criterio di specialit consente in molti casi di ritenere prevalente la norma pattizia, in altri casi possibile giungere all'opposta conclusione. Questo si verifica in particolare quando si assiste al formarsiin tempi brevi, successivamente all'accordo, di una nuova, e rispetto a esso divergente, normaconsuetudinaria. Esempi recenti del fenomeno riguardano la formazione, rapidamente avvenuta negliultimi decenni del XX secolo, di nuove regole consuetudinarie in materia di diritto del mare, che

    consentono allo stato costiero di esercitare diritti sovrani in materia di pesca entro 200 miglia marinedalla costa. Tali norme consuetudinarie hanno abrogato, come sottolineano manifestazioni della prassi

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    anche giudiziaria, le norme pattizie in materia di pesca fondate sul presupposto di una limitazione a 12miglia dell'ambito dei poteri dello Stato costiero.

    9. I principi generali di diritto.Nell'iniziale processo di formazione spontanea delle regole generali della moderna societ

    internazionale, un ruolo non indifferente stato giocato da diversi principi generali di diritto che nonerano altro, sino alla loro trasfusione nel corpo del diritto internazionale, che principi generali del dirittoromano o del diritto interno delle singole societ nazionali del tempo, in particolare di quel diritto comuneche rappresent, per molti paesi europei, fino agli inizi del XVIII secolo, una sorta di fondo giuridicouniforme tra i paesi stessi e i rispettivi ordinamenti nazionali.Il ruolo per tal modo svolto dai principi generali del diritto romano o del diritto comune nell'inizialeprocesso di formazione spontanea di molte regole generali del diritto internazionale venuto, peraltro,progressivamente regredendo mano a mano che l'esistenza di queste regole nella vita di relazioneinternazionale pot essere attestata, non pi con riferimento a siffatti principi, bens con un direttoriferimento alla pratica degli Stati.Nella situazione contemporanea dell'ordinamento internazionale, una simile trasfusione di principi

    generali dalla sfera giuridica delle societ nazionali alla sfera giuridica propria della societ internazionale da ritenersi ancora ammissibile?Certamente s, se tale possibilit sia espressamente contemplata da una regola pattizia. Ed questo ilcaso del gi riportato art. 38, par. 1c, dello statuto dell'attuale Corte internazionale di giustizia, il qualeprevede che la Corte applichi, nel decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sonosottoposte, anche i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili. Con essa, stato intesoconferire alla Corte una maggiore libert di apprezzamento per quanto riguarda le premesse giuridicheda cui trarre la decisione delle controversie, rispetto a quanto risulterebbe da un mero riferimento alleregole convenzionali o generali applicabili al caso controverso.L'esercizio del potere di ricorrere ai principi generali del diritto soggetto, tuttavia, a condizioni erestrizioni. Occorre, innanzitutto, che non vi siano regole particolari n regole generali del diritto

    internazionale applicabili alla fattispecie su cui verte la controversia. Occorre, in secondo luogo, che ilprincipio generale di diritto applicato dalla Corte informi gi di s i principali sistemi giuridici nazionali.Occorre, in terzo luogo, che il principio non sia incompatibile con i caratteri e la struttura della societinternazionale.

    Va subito aggiunto che la Corte ha esercitato finora con estrema cautela il potere conferitole dall'art. 38,par. 1c, dello statuto.

    10.Le dichiarazioni di principi dellAssemblea generale delle Nazioni Unite e il soft law.Certi atti dell'Assemblea Generale e, pi precisamente, le risoluzioni di tale organo, si usanoconsuetamente designare con l'espressione dichiarazioni di principi.

    Tra le pi note e le pi frequentemente richiamate si possono ricordare: la risoluzione n. 217 A (III) del

    1948 recante la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; la risoluzione n. 1514 (XV) del 1960recante la dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai popoli coloniali; la risoluzione n. 3324(XXIX) del 1974 recante la definizione dell'aggressione.Ci si chiede se tali e altre similari dichiarazioni di principi, in considerazione della vocazione universaledelle Nazioni Unite, non debbano configurarsi quali una vera e propria nuova fonte, di natura legislativao quasi-legislativa, del diritto internazionale contrapponibile, in quanto tale, sia all'accordo che allaconsuetudine. Non sembra che la prassi internazionale consenta di dare una risposta positiva a unsimile quesito. Queste risoluzioni hanno senza dubbio un gran peso nei processi di formazionespontanea di regole generali di diritto internazionale relative alle materie considerate, come pure nellacristallizzazione di opinioni e di pratiche dalle quali derivano e si sviluppano tali regole, ma nullaconsentirebbe, a parer nostro, di andare oltre. Nella stessa Carta delle Nazioni Unite difficile rinvenireun fondamento giuridico preciso della competenza dell'Assemblea Generale a emanare le suddette

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    dichiarazioni di principi, le quali non hanno comunque altra natura che quella di raccomandazioni(art. 10 della Carta). poi sintomatico che diverse tra tali dichiarazioni si siano trasfuse o tendano a trasfondersi in accordiinternazionali e che la tecnica prescelta dall'Assemblea Generale per portare avanti la sua opera dicodificazione e di sviluppo progressivo del diritto internazionale non sia stata quella delle dichi